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storia dell'azienda turati dagli anni venti alla riforma fondiaria

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La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a TricaricoLa guerra contro il brigantaggio fu particolarmente dura e vide, comeprotagonisti sugli opposti schieramenti, il bandito Paolo Serravalle ed ilduca di Granville, rappresentante dell’esercito regio in Basilicata. I disordinicessarono completamente solo dopo l’<strong>anni</strong>entamento, proprio in agroTricarico, della banda del famoso fuorilegge Ninco Nanco 51 .Durante il periodo di Crispi si acuì l’insoddisfazione dei contadini e deibraccianti che reagirono sfavorevolmente <strong>alla</strong> tassazione sempre maggiore edalle nuove imposte, come quella sul macinato. Nell’ultimo scorcio del secolo,poi, lo stato della proprietà <strong>fondiaria</strong> si complicò in seguito <strong>alla</strong> ulterioreframmentazione <strong>fondiaria</strong> dovuta <strong>alla</strong> liquidazione delle vaste terre in manoagli enti ecclesiastici 52 .Un fenomeno di grande rilievo, nella vita sociale della comunità fu costituito,nella lotta politica, dalle fazioni raggruppate attorno a potenti famigliequali gli Armento ed i Picardi, che ressero, alternandosi, la cosa pubblicaper circa un trentennio 53 .Nei primi <strong>anni</strong> del ’900, la “Società operaia” e la “Società agricola” rappresentarono,pur con esiti diversi, il tentativo di avviare una cooperazionefattiva sia in campo artigianale che agrario 54 .Se nel primo caso non si uscì di molto dall’ambito utopico, nel secondosi raggiunsero alcuni obiettivi come la creazione di uno spaccio, la distribuzionedelle sementi ai soci e l’elezione di un sindaco contadino: NicolaMazzone. L’orientamento socialista delle due associazioni ne decretò la finequando si instaurò il regime fascista 55 .Il partito fascista a Tricarico nacque d<strong>alla</strong> “associazione reduci e combattenti”,un organismo creato dai reduci della Prima Guerra Mondiale, cheaveva inciso profondamente con il suo numero di morti, ben 330, sulla collettività.Il primo podestà fu Santoro cui seguì Sanseverino. Dal 1927 al 1933 cifurono importanti migliorie quali la pavimentazione stradale, l’<strong>alla</strong>cciamento<strong>alla</strong> rete idrica e la costruzione di una rete fognaria.51 G. Massari, “l brigantaggio nelle province lucane, Milano 1863, pp. 29-30.52 F. Jurilli, Relazione per l’aggiornamento delle ditte enfiteutiche 1955-56, ArchivioComunale di Tricarico, pag. 3 e segg.53 G. Masi, Le origini della borghesia lucana, Bari 1953, pag. 30.54 Statuto della società operaia di Mutuo Soccorso, Potenza 1908. Archivio di Stato diPotenza.55 Statuto del Consorzio Agrario Cooperativo, Potenza 1909.- 29 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a TricaricoDi umili origini, fondatore della sezione tricaricense del PartitoSocialista, membro del Comitato di Liberazione, divenne sindaco diTricarico a soli 23 <strong>anni</strong>. Instancabile latore di una coscienza e di una dignitànuova ed alta nel mondo contadino lucano, incarcerato nel ’50 sotto la falsaaccusa di peculato, partecipò alle occupazioni bracciantili e si battè per lacostruzione di un moderno ospedale all’interno del paese 59 .Amico intimo di Carlo Levi, la cui figura cominciava ad assumere connotazioniprofonde in Basilicata, apprezzato e sostenuto dal Dott. RoccoMazzarone, noto medico e sociologo del luogo, fu stretto collaboratore delprof. Manlio Rossi Doria e della cerchia di studiosi di Portici, dove purtroppospirò prematuramente nel ’53 a soli 30 <strong>anni</strong> 60 .Le sue opere principali, incompiute ma di enorme interesse socio-antropologico,“L’uva puttanella” e “Contadini del Sud”, furono antesignane diun nuovo modo di intendere e di esplorare il mondo agrario e le sue complesseinterazioni con le popolazioni locali, oltre che catalizzatrici, assieme al“Cristo si è fermato ad Eboli”, di rinnovato interesse per la Basilicata ancheal di fuori dei confini nazionali.In questo senso Tricarico rappresentò negli <strong>anni</strong> ’50 un archetipo ed unbanco di prova per diversi antropologi, di cui certamente Ernesto DeMartino fu il più importante. Il grande studioso napoletano fu ospitato daRocco Scotellaro per ben tre volte nel ’52 nel centro materano dove, accompagnatodal fotografo Arturo Zavattini iniziò la sua esplorazione del“mondo magico” lucano 61 . Di diversa natura ma altrettanto stimolanti, enon soltanto per l’enorme differenza culturale, furono gli approcci cheebbero sociologi statunitensi come il Peck ed il Friedman, curiosi di conoscerecondizioni di vita diverse ed in certo senso uniche nel panorama occidentalemoderno 62 .L’universo chiuso ed ermeticamente sigillato degli usi e delle tradizionicontadine trovava finalmente e per la prima volta nella sua <strong>storia</strong>, unaconsiderazione ed un peso specifico che gli erano da sempre stati negati,anche se si trattava di una scoperta tardiva e per certi aspetti postuma.59 Ibid.60 Ibid.61 Ibid.62 Per la ricostruzione di frammenti di <strong>storia</strong> tricaricense non contrassegnati da note ci si èavvalsi della testimonianza del Prof. Rocco Mazzarone noto studioso della realtà locale.Gran parte del materiale bibliografico proviene dai suoi archivi personali.- 31 -


Fabio FontanaL’avvio delle trasformazioni fondiarie, la nuova stagione industriale deiconsumi, l’affacciarsi di nuove problematiche per il Mezzogiorno e perl’Italia intera non avrebbero, infatti, tralasciato l’atavica e fiera comunitàtricaricese 63 .GLI EFFETTI DELLA RIFORMA AGRARIA SULL’AZIENDALISMORIFORMATORE IN BASILICATA: IL CASO TURATII capitoli che seguono inerenti la <strong>storia</strong>, l’evoluzione e la fine dell’aziendaTurati di Calle sono stati scritti seguendo modalità non propriamenteconformi a quelle che generalmente vengono adottate nella compilazione diuna tesi. La ragione di questa “diversità” si spiega in primo luogo con la difficoltàriscontrata nel reperire una bibliografia ed una documentazione esaurientisulla materia in questione. Ricerche effettuate sia nell’ArchivioCentrale di Stato di Roma che in quello di Potenza non hanno, purtroppo,consentito di ottenere riscontri soddisfacenti per integrare, di fatto, l’unicafonte in nostro possesso, ossia il libro di Guida Spera: “Storia ed evoluzionedi un’azienda agricola in Lucania” (Laterza, Bari 1950).Si tratta di una pubblicazione estremamente rara, anche all’interno deiristretti confini della Basilicata stessa. Il valore del libro è comunque enorme,considerata la competenza e tenendo conto dell’impegno che l’autoreha dimostrato nello scriverlo.Di Guido Spera, del resto, non si sa molto dal punto di vista biografico.Si sa per certo che raggiunse, negli <strong>anni</strong>, un certo prestigio come incisore(infatti il testo originario comprende una serie di illustrazioni di pregevolefattura da lui eseguite) e, cosa più importante per quanto ci riguarda, lavoròa Calle nell’azienda del cav. Turati.D’altra parte non è stato possibile neppure rintracciare notizie esaurientiintorno al cav. Turati stesso, industriale torinese che abbandonò qualsiasiattività in Basilicata all’indomani della Riforma Fondiaria.È lecito pensare che fu proprio lui a commissionare a Spera la stesura deltesto, nel disperato tentativo di evitare lo scorporo della tenuta di Tricarico,come si evince da testimonianze orali raccolte sul posto, su tutte quella del63 Inchiesta dell’I.N.E.A. sulla proprietà terriera nell’immediato dopoguerra 1947-1948, G.Ambrico, inedito conservato negli archivi del prof. Rocco Mazzarone.- 32 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a TricaricoComunque venne redatto un piano di riforme indispensabili in tredicipunti, compilato insieme al rag. Turati, che comprendeva la costruzione distrade, case coloniche, pozzi e stalle, l’<strong>alla</strong>cciamento all’energia elettrica oltreall’introduzione di prati artificiali e ad una corretta regimentazione deiboschi. Ci si impegnava anche per nuovi dissodamenti, per la lotta <strong>alla</strong>malaria e per il miglioramento sociale della popolazione.Come si può facilmente intuire tutto questo era qualcosa di assolutamenteprematuro per un comune dell’Italia meridionale degli <strong>anni</strong> ’20. Si trattavadi un tentativo di gestione razionale più adatto alle regioni settentrionalidalle quali Pasini e Turati provenivano. Ad esempio i costi per la costruzionedi 17 km. di strada avrebbero sicuramente superato il valore dell’aziendastessa, inoltre le popolazioni locali si dimostravano restie ad ogni tentativodi miglioria e di cambiamento. Ci sarebbe voluto peraltro un forte interessamentogovernativo, viste le difficoltà tecniche di un’impresa che andavaoltre le possibilità di un singolo privato.Quando nel 1925 Pasini abbandonò l’impresa, stanco e sfiduciato, dopocinque <strong>anni</strong> di amarezze e delusioni, dei suoi tredici punti solo due avevanovisto la luce.Si trattava di quattro modeste costruzioni in muratura e, cosa questamolto più importante, dell’<strong>alla</strong>cciamento dell’azienda <strong>alla</strong> rete elettrica. Peril resto la situazione si presentava immutata.Il rag. Turati tuttavia decise di andare avanti, convinto della necessità diuna seria bonifica, sempre più legato a quelle povere campagne.Rilevò, quindi, la parte del cognato e chiamò a coadiuvarlo il dott.Talacchini, allievo del prof. Azimonti, insieme con il quale operava già nellatenuta di Tramutola, in provincia di Potenza.Le credenziali di questo giovane tecnico non potevano essere migliori, dalmomento che il nome di Azimonti era giustamente famoso. Purtroppo andaronoampiamente disattese tutte le più rosee aspettative. Talacchini tentò inprimo luogo di richiamare sulle terre di “Calle” famiglie di mezzadri veneti, insecondo di costruire in loco una segheria per sfruttare il legname del bosco.I contadini veneti rinunciarono quasi subito <strong>alla</strong> loro permanenza, acausa delle differenze climatiche ed ambientali d<strong>alla</strong> terra di origine e per ladiffidenza, talora vera e propria ostilità, delle genti locali.La segheria, poi, si rivelò impresa assolutamente inadeguata, se non propriodisastrosa, visti gli alti costi di impianto e considerata la cattiva qualitàdei legnami, buoni soltanto per ardere e non certo per costruzioni.- 35 -


Fabio FontanaCon l’aiuto dell’ing. Soldato di Torino si attuò, quindi, la captazione deltorrente “Levetta”, con lo scopo di portare acqua potabile sul territorio dell’azienda.Vennero investiti moltissimi quattrini ma, in seguito, ad operaultimata, si scoprì che l’acqua non era affatto potabile.Talacchini, reso sempre più nervoso dai continui insuccessi, si guadagnòper di più l’avversità dei contadini di Tricarico, i quali iniziarono nei suoiconfronti una serie di ostilità come l’incendio sistematico di porzioniboschive dell’azienda o il mancato permesso al bestiame di transitare sulleproprietà limitrofe.Tuttavia Talacchini qualcosa realizzò: curò l’inst<strong>alla</strong>zione di due ‘silos’in ferro “Sima”, della capacità di 1.200 q. ciascuno, anche se, purtroppo,l’ambiente sub-arido della provincia materana non consentiva una resaforaggera adeguata a riempirli. Dei 2.500 capi di bestiame immessi sulterritorio non ne rimasero in vita che un centinaio, e questo per mancanzadi cibo, di acqua e per l’assenza di qualsiasi ricovero nei rigidissimi mesiinvernali.Nel 1928 Talacchini venne perciò allontanato dal Turati, il quale, nonostantegli ingentissimi capitali investiti, non ultimi quelli spesi per l’impiantodi una stentata sericoltura, ricavava da “Calle” solo amarezze ed insoddisfazionecrescente.Archiviata anche la parentesi del sig. Bergamaschi, chiamato <strong>alla</strong> direzionenel ’29, ed espressosi in termini favorevoli <strong>alla</strong> liquidazione dei contrattidi mezzadria ed <strong>alla</strong> vendita del bestiame residuo, Turati assunse nel 1930 ilsig. Gaetano Gorgone, uomo di grande esperienza, maturata in Sicilia ed inToscana.Con l’aiuto di questa competente persona, il rag. Turati ripropose il programmadei tredici punti, ripartendo veramente da zero o quasi, se si consideracome dato significativo il patrimonio zootecnico sceso al numero diquattrocento capi, di cui solo quaranta bovini, ma facendo tesoro degliinsuccessi e delle illusioni degli <strong>anni</strong> precedenti.L’opera di ristrutturazione, valutabile in un lungo periodo, necessitòessenzialmente di due cose: tempo e pazienza.Di fatto lo stato dell’azienda era tornato ad essere quello riferito almomento dell’acquisto: incuria e degrado; rescissione dei contratti di mezzadriasostituiti dall’affitto; mancanza assoluta di collegamenti con il paesedi Tricarico; impossibilità di insediarsi sul fondo stesso per la cronica penuriadi acqua potabile oltre che di infrastrutture adeguate.- 36 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a TricaricoIl sig. Gorgone, prendendo atto della situazione, pensò di consultarsi coni cattedratici della Cattedra Ambulante di Agricoltura della provincia diMatera, facendo tesoro dei loro preziosi consigli. Insieme si trovarono d’accordosu un punto di fondamentale importanza per lo sviluppo futuro delfondo: prescindere dal miglioramento delle penose condizioni socio-economichedi coloro i quali lavoravano la terra optando per una politica di soliinter<strong>venti</strong> tecnici in campo agronomico sarebbe stato un errore gravissimo.Fu stilato, quindi, un nuovo programma, con la totale approvazione delTurati, che tra le altre misure da adottare prevedeva la costruzione di unachiesa, di nuove abitazioni, di una scuola e di un campo sportivo; l’istituzionedi un centro postale autonomo dal paese e di una guardia medica; l’immediataassegnazione di premi ai coloni che più si erano distinti nella produzionegranaria e l’avvio di ricerche per la captazione di acqua potabile.Tutto ciò fu realizzato nell’arco di tre <strong>anni</strong>, dal 1931 al 1934, fatta eccezioneper la ricerca di sorgenti. Quest’ultimo problema fu tuttavia risoltonel 1938, quando la ormai piccola borgata di “Calle” fu <strong>alla</strong>cciataall’Acquedotto Pugliese.Di particolare interesse, poi, fu il ripristino del contratto di mezzadria suiterreni dell’azienda, in quanto si optò per un tipo di rapporto alquantodiverso da quello classico, sia per la durata, che veniva dilatata notevolmentenel tempo, passando da uno a sei <strong>anni</strong>, sia per le modalità del tutto inedite,quantomeno nella Basilicata. Infatti, oltre ai soliti incentivi per chi avesseconseguito la migliore produzione, una serie di proposte furono studiate perrazionalizzare lo sfruttamento dei suoli, potenziando l’allevamento bovino,incentivando le colture foraggere e la plantumazione di alberi da frutta e dioliveti. D’altro canto il mezzadro doveva impegnarsi nella difesa dei suoli edelle strade interpoderali, prestando particolare attenzione ai canali di scolo,onde evitare pericolosi ristagni.Un “libretto colonico” pensato come antidoto <strong>alla</strong> naturale diffidenza deicontadini lucani, abituati da troppo tempo ad essere vessati da contratticapestro di proprietari assenteisti, sancì per ogni lavoratore agricolo, nero subianco, l’adesione a questa serie di iniziative.La portata innovativa di tali misure non può sfuggire a nessuno essenzialmenteper due ragioni: in primo luogo veniva interrotta una tendenza secolareche aveva sempre visto allevamento e agricoltura come attività nettamenteantitetiche e non compatibili; in secondo luogo cessavano il possessoe lo sfruttamento da parte del proprietario, sostituiti da una collaborazione- 37 -


Fabio Fontanafattiva in un’ottica di continuo sviluppo, senza trascurare i problemi dicarattere sanitario e la viabilità stradale.Furono scavati nuovi pozzi e fatte pressanti richieste all’autorità costituitaper la costruzione di una strada degna di questo nome, strada che in effettisi cominciò a mettere in opera nel 1934.Quest’ultimo fattore fu di grandissima rilevanza, in quanto le mulattierepolverose ed i tratturi rendevano difficoltosi gli approvvigionamenti di concimie sementi, facendone lievitare notevolmente i costi.Inoltre la gestione del patrimonio forestale dell’azienda fu condotta per laprima volta con criteri moderni, stabilendo i turni dei tagli a ceduo dicomune accordo con la Guardia Forestale, facendo opera di pulizia nel sottoboscoe, nei punti più degradati del bosco, intervenendo con una energicariforestazione, che riguardò più del 15% della superficie totale. Parimentifurono liberati da piante infestanti, sassi, pietraie e spine i pascoli, per renderepiù agevole il transito e l’alimentazione al bestiame.La produttività dei suoli fu aumentata notevolmente grazie ad un energicointervento di concimazione, che interessò l’intera superficie aziendale.Furono, infatti, costruiti letamai e stabiliti turni regolari per la concimazionedurante l’anno, utilizzando anche mano d’opera giornaliera. Ciò ridusseanche la notevole incidenza sul bilancio dei prodotti chimici che, abbiamovisto, erano di difficile reperibilità oltre che costosi.L’istituzione del sistema mezzadrile fu seguito anche da un riordino piùrazionale dei lotti di terreno, con cui si cercò di evitare l’infruttuosa parcellazionedegli <strong>anni</strong> precedenti, accorpando le tenute anche in base a criterimorfologici, oltre che in base ai singoli contratti. Alla data del 1950 “Calle”si componeva di ben sedici poderi gestiti a mezzadria, partendo dai tre volutidurante l’amministrazione Bergamaschi e non più sufficienti all’epoca.Le scelte dell’amministrazione Gorgone, in stretta connessione con ilpensiero del cav. Turati, non nascondevano finalità di carattere squisitamente“politico”, come il fermo proposito di attuare un riformismo deciso sia incampo economico che sociale, prescindendo di fatto dall’ala protettiva delloStato, tanto limitata se non addirittura assente nelle arcaiche campagnelucane, optando al contrario per le grandi possibilità offerte dall’iniziativaprivata.Proprio in quest’ottica il sistema mezzadrile, sostituito alle affittanze,permetteva un controllo più capillare sulle campagne stesse, “costringendo”i contadini ad abbandonare l’insediamento nel borgo arroccato, frutto- 38 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a Tricaricodi ataviche abitudini, per trasferirsi sui lotti di terreno che erano tenuti acoltivare.Abbiamo già considerato in precedenza quali e quanti vantaggi questasoluzione poteva comportare, sia dal punto di vista della produttività chedella “civilizzazione” vera e propria. L’affittanza, oltre che scarsamente remunerativa,portava infatti al totale disinteresse nei confronti dello stato dellestrade, del ristagno delle acque, del controllo idrogeologico.A conferma di quanto finora affermato, sarà utile riflettere sui dati innostro possesso, frutto di analisi comparate nel corso di un trentennio, inerentile trasformazioni effettuate sull’azienda a partire d<strong>alla</strong> data del 1920circa.Il costante quanto sorprendente aumento della produzione, in modo specificodi quella granaria, non dovette sfuggire all’attenzione delle autoritàdel tempo, né tantomeno degli altri proprietari terrieri, dal momento chel’azienda collezionò una serie di ambiti riconoscimenti, sia a livello provincialeche nazionale. In merito a quest’ultima affermazione, il 1933 segnò untraguardo di grande prestigio, visto che Turati vinse il premio di maggiorproduttore granario d’Italia. Considerate le condizioni della Basilicata, il suostato di abbandono, dissesto e miseria, la notizia suscitò una notevole eco,con l’effetto di una sorpresa di ampie proporzioni nei contemporanei.DATI RELATIVI ALLE MIGLIORIE EFFETTUATE SUL FONDOIn questa parte pubblichiamo un resoconto dettagliato degli inter<strong>venti</strong> dimiglioria effettuati dal cav. Turati sul fondo acquistato nel 1920, distinguendolein opere di ristrutturazione <strong>fondiaria</strong>, agraria, e riguardanti l’allevamentodel bestiame.Anche ad un esame superficiale non può sfuggire la rilevanza degli inter<strong>venti</strong>compiuti, soprattutto nell’ultimo periodo, immediatamente precedentela Riforma Agraria, seguendo le direttive stilate dal Gorgone. Colpiscono,in particolare, le sistemazioni forestali, con la piantumazione di nuove piantine(6500), l’impulso dato all’allevamento e l’edificazione di diversi caseggiati,sia a scopo abitativo che per uso agricolo.Per quanto concerne il bestiame poi, si trattò di uno dei progressi piùvistosi non solo dal punto di vista numerico, ma anche da quello qualitativo.- 39 -


Fabio FontanaOpere di miglioramento fondiarioFonte: G. Spera, Storie ed evoluzione di un’azienda agricola lucana, Bari 1950, pp.170-175- 40 -


- 41 -La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a Tricarico


Fabio FontanaBestiameDENOMINAZIONE AL 1920DAL 1920AL 1930DAL 1930AL 1950TOTALE AL1950Bovini _ 108 277 385Equini 1 26 97 124Suini - 290 750 1040Ovini e caprini - 820 4242 5062Fonte: G. Spera, op. cit. pag. 82LE MEZZADRIE NELL’AZIENDA TURATICome si è già rilevato in precedenza, l’istituzione del sistema mezzadrilerappresentò un indiscutibile successo nella modernizzazione della tenuta delTurati, la punta avanzata di un processo <strong>riforma</strong>tore di grande ambizione.Passiamo ora ad analizzare nel dettaglio i sedici poderi, la loro morfologia eresa economica negli <strong>anni</strong> a ridosso della Riforma Fondiaria.Il podere di “Calle”, denominato come l’intera tenuta e condotta direttamentedal Turati, insisteva su 558,200 ha. di cui 368 a seminativi, 1.20 adorto, 2 a vigneto ed oliveto, 2 ad oliveto di nuovo impianto, 50 a pascolo,150 a bosco.Dei 368 ha a seminativo 40 venivano tenuti a medicaio e quindi fuorirotazione, viceversa i rimanenti erano gestiti secondo rotazione quadriennale.L’organizzazione colturale, dando ampio risalto alle foraggere, consentivadi allevare 137 bovini, 1.274 ovini e caprini, nonché 150 maiali. Il bestiamepascolava regolarmente anche nel bosco.L’importanza dell’allevamento era enorme in considerazione del fattoche, vista la difficoltà di approvvigionamento di concimi chimici dato l’elevatocosto dei trasporti, si effettuavano diverse letamazioni durante il corsodell’anno, in particolar modo a grande beneficio della coltura granaria.Il podere “Cugno Casalini” presentava 22 ha a seminativo, 2 a vigneto, 2a oliveto, 13 a pascolo e 28 a bosco di querce.Il bestiame allevato sul fondo era costituito da 9 bovini, 2 equini e 45 traovini e caprini, oltre che da 20 suini.Le rotazioni nelle colture si effettuavano secondo cadenza quadriennale,in perfetta sintonia con quanto si faceva sulla parte dell’azienda Turati a- 42 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a Tricaricoconduzione diretta, anche se le rese economiche erano lievemente inferiori.Quest’ultima considerazione può essere assunta come caratteristica più omeno generale per quanto riguarda l’analisi anche delle altre terre mezzadriliche descriveremo.Ciò si spiega con le naturali ed umane difficoltà che un contadino potevaincontrare cimentandosi con sistemi agro-silvo-pastorali per lui del tuttonuovi. E questo in un mondo chiuso ed arretrato come la campagna lucanadi quegli <strong>anni</strong>.Il podere “Franca” era praticamente identico al precedente, in quanto fucostituito separando in modo quasi simmetrico un appezzamento di terrenoda un lotto di cui Cugno Casalini costituiva l’altra metà.È interessante rilevare come qui il mezzadro potesse usufruire di unamoderna casa colonica, in ottemperanza alle misure di modernizzazionevolute da Gorgone e Turati. Entrambi i poderi, infine, presentavano ungrande interesse dal punto di vista archeologico, essendo siti di ritrovamentodei resti di un antico monastero di epoca medievale.Il podere “S. Marco” si articolava in 32 ha a seminativo, 1.50 a vigneto,1 a oliveto, 20 a pascolo e 39 a bosco, e veniva pascolato da 19 bovini e 3equini. In esso furono edificate una st<strong>alla</strong> ed una casa colonica.Il podere “Attilio” di 18 ha a seminativo, 0,80 a vigneto, 1 a oliveto, conun’esigua presenza di bestiame pari a 6 bovini e 3 equini, era del tutto simileal podere S. Marco.Questi ultimi due appezzamenti ebbero rese economiche assai modesteche si spiegano facilmente con la limitata estensione territoriale e la scarsaqualità dei suoli, tra i peggiori dell’azienda.Dai dati in nostro possesso, per giunta, le famiglie mezzadrili risultavanoessere non troppo numerose ed in cattive condizioni di salute.I criteri di rinnovamento e miglioria, dunque, non prescindevano da unalucida e dettagliata analisi delle condizioni di partenza, pur cercando diottenere il massimo anche dalle situazioni di maggiore disagio.Diverso discorso va fatto per il podere “Lucia”, che con 10 ha a seminativo,19 a oliveto, 2,50 a vigneto e 14 a pascolo si configurava come specializzatonelle colture legnose. Peraltro nell’oliveto era stato avviato un interessante esperimentodi integrazione foraggera, supportato da concimazioni sia organicheche chimiche. L’appezzamento era dotato di casa, st<strong>alla</strong>, portico e cinque pozzi.Il podere “Piana S. Marco”, con una superficie di 15 ha a seminativo, 2 avivaio, 1 a vigneto ed 1 a oliveto, aveva come caratteristica principale la coltiva-- 43 -


Fabio Fontanazione ortiva. Di limitata estensione e di più recente acquisizione, ci offre lospunto per un’ulteriore osservazione: i lavori al suo interno furono bloccati, omeglio stravolti dalle occupazioni terriere dei contadini. Alle soglie dellaRiforma Fondiaria anche l’azienda Turati cominciò ad essere interessata, seppurmarginalmente rispetto ad altre proprietà contigue, dalle rivendicazioni deibraccianti nullatenenti che, nondimeno, in ultima analisi ne decretarono la fine.Il podere “Giancarlo” era costituito da 15 ha a seminativo, 6 ad orto, 15a pascolo e 5 a bosco, con un limitato carico di bestiame. Una moderna st<strong>alla</strong>,in funzione già dal 1931, anno in cui il terreno era ancora affittato, necompletava la dotazione.Analizzando tale appezzamento e la sua stentata produttività a fronte diun suolo non troppo sfavorevole, si comprende quanto sterile e difficiledebba essere stato in passato il sistema delle affittanze, dal momento che ilfittavolo, spesso vessato da contratti capestro ed ignaro di elementari nozionidi agronomia, conduceva sul “suo” fondo un’agricoltura di pura rapina.Del tutto originale, infine, si presentava la situazione del podere “SerraD’Amendola”. Con una estensione di 196,10 ha, di cui 35 a seminativo,0,10 ad orto, 149 a pascolo e 12 a bosco, fu al centro di un acceso dibattito,iniziato nel 1943, che vide contrapposti il rag. Turati da una parte e le autoritàstatali dall’altra.La quotizzazione volta all’istituzione di una <strong>venti</strong>na di poderi fu infattibloccata dalle difficoltà inerenti la costruzione di una indispensabile stradapoderale che, data la zona impervia, ovviamente mancava. L’intransigenzadelle autorità e le difficoltà derivanti dal conflitto drammaticamente in corso,resero vano questo progetto. Tuttavia, dopo l’armistizio, si cercò di riprenderein mano il piano di attuazione della suddetta strada, ma la diffidenza didiversi coltivatori sui cui fondi, che sarebbero stati oggetto di esproprio,doveva insistere la strada, interruppe di nuovo la discussione sul nascere.Tutti gli appezzamenti di terreno condotti a regime mezzadrile fin quiconsiderati erano ubicati all’interno della tenuta di “Calle”, ma dobbiamoribadire che l’intera superficie dell’azienda comprendeva altri lotti diterreno, sempre in agro tricaricese, come abbiamo detto all’inizio dellanostra trattazione. Anche in essi l’istituzione della mezzadria rappresentòqualcosa di innovativo, viste le consolidate arcaiche abitudini agronomichelucane.Il podere “Carbonara” di 115.13.34 ha, suddiviso in 40 ha a seminativo,0,10 ad orticoltura, 1 a vigneto, 17 pascolo, 37 a bosco di cui 20 vincolato,- 44 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a Tricaricoaltimetricamente rappresentava la parte più alta dell’azienda, oscillando tra i500 e gli 800 m. sul livello del mare. Furono condotte al suo interno importantiopere di rimboschimento, per arginare l’erosione causata da ripetutitagli abusivi iniziati già nel lontano 1890. Furono inoltre costruiti pozzi,stalle ed una casa colonica, proprio dove si ergeva un modesto ricetto utilizzatoin passato dalle guardie del duca. Il bestiame qui allevato era costituitoda bovini, equini e caprini rispettivamente in 16, in 3 e 230 unità.Il podere “Piani Sottani” su di una superficie complessiva di 81 ha presentava35 ha di seminativo, 0,25 di orticoltura, 1,75 di vigneto, 2 di olivetoe 41 di pascoli. Il carico di bestiame era piuttosto ingente, con 8 bovini,5 equini e 200 tra ovini e caprini e la rotazione colturale era quadriennale,come nel resto della tenuta.Il podere “Piani Soprani”, simmetrico al precedente, con una egualedotazione di bestiame ed una medesima divisione colturale oltre che ad essounito da una comune casa colonica ed una st<strong>alla</strong>, si configurava come unodei più fertili in assoluto, soprattutto nel campo della viticoltura. Sia “PianiSottani” che “Piani Soprani” furono oggetto a più riprese, dal ’47 al ’50, dioccupazioni terriere bracciantili, nell’ambito del nascente fenomeno rivendicativogià in precedenza ricordato.Il podere “Oliveto della Salandrella” di ha 28.77.70 si distingueva invece,come indica il nome, per la presenza di un oliveto ringiovanito con lapiantumazione di ben 1.150 piante nuove, alternate a colture foraggere egranarie.Il podere “Lago ed oliveto Garaguso” di ha 108.05.17 si suddivideva in20 ha. di seminativo, 0.10 di orto, 2.95 di oliveti, 10 di pascolo, 75 dibosco. Dotato di diverse infrastrutture, d<strong>alla</strong> casa colonica al pozzo, supportaval’allevamento di un ingente numero di capi di bestiame.Il podere “Boscone” si estendeva su 109.57.97 ha complessivi. I seminativivi insistevano su 20 ha, l’orto su 0,10, il vigneto su 0.50, il pascolo su11, il bosco su 75.20 di cui 0.20 vincolati.Il podere “S. Domenica Sottana” si strutturava su 222.20 ha di cui 20 aseminativo, 0.20 a orto, 50 a pascolo, 152 a bosco.Nuovissime case coloniche ed infrastrutture vi furono edificate dal ’41al ’47.Il podere “S. Domenica Soprana” di 217.25.21 ha con 20 ha seminativi,0.10 ad orto, 45 di pascolo e 152 di bosco era riservato quasi esclusivamenteall’allevamento bovino ed equino. Si trattava di un appezzamento che, con i tre- 45 -


Fabio Fontanaprecedenti ad esso limitrofi, costituiva una singola realtà con spiccate caratteristichesilvo-pastorali, e che fu oggetto di devastanti incendi causati da raccoglitoridi legna di frodo che, denunciati d<strong>alla</strong> Forestale, intendevano vendicarsi inquesto modo dell’offesa ricevuta. Pertanto, ingenti furono le spese indirizzatenel settore della riforestazione e del controllo delle superfici arborate.MEZZI ED ATTREZZI IN DOTAZIONE DEI MEZZADRILa dotazione di ogni mezzadro comprendeva uno o due carretti, dueerpici, quattro aratri in ferro più due voltorecchio oltre a tutta la normalestrumentazione agricola di tipo leggero.I poderi ad indirizzo zootecnico erano forniti, inoltre, di caldaie e tinozzeper la lavorazione del latte. Macchinari di particolare utilizzo, come itrinciaforaggi, i trinciatuberi, le mietitrici venivano noleggiati direttamentedal centro aziendale di “Calle”, pagando un nolo decurtato del 25% rispettoal mercato normale.LA PRODUZIONE MEDIA PER ETTARO CONSEGUITA DAI PODERIAZIENDALI NELL’ANNO 1949I seguenti dati vennero calcolati facendo una media su 5 <strong>anni</strong> di produzionee si riferiscono alle mezzadrie di indirizzo prevalentemente cerealicolodell’azienda “Calle”: grano q. 15,40; avena q. 15,50; orzo q. 15,80; fave q.15,80; ceci q. 5; mais q. 2; vino q. 20; olio q. 0,30; latticini q. 6,17; lana q.2,20; carne q. 54,40.Le aziende ad indirizzo prevalentemente zootecnico, sempre <strong>alla</strong> stessadata, presentavano una produzione pari a: grano q. 14; avena q. 18; orzo q.16; fave q. 10; ceci q. 2; mais q. 8, patate q. 8; vino q. 9; carne q. 57,14; latticiniq. 11,78; lana q. 1,90.Questi dati, come i precedenti, si calcolarono su di una stima media di 5<strong>anni</strong>, come del resto anche quelli dell’ultimo blocco relativo ai poderi adindirizzo più intensivo.Le aziende ad indirizzo legnoso, per finire, producevano mediamente:grano q. 19,50; avena q. 19,50; orzo q. 19,50; fave q. 26,00; ceci q. 3; maisq. 1,50; vino q. 35; olio q. 8; carne q. 7,50; latticini q. 0,56.- 46 -


La <strong>riforma</strong> <strong>fondiaria</strong> a TricaricoÈ utile terminare questa parte della nostra trattazione con una considerazionese si vuole banale, ma in definitiva necessaria.Nella tripartizione dei poderi, analizzati per blocchi a seconda della prevalenzadi indirizzo colturale, si delinea una tripartizione dei suoli aziendali,essendo i migliori destinati a produzioni specializzate come vino e olio;quelli di resa media <strong>alla</strong> cerealicoltura; le zone montane, con scarsa fertilità,al pascolo delle mandrie. Si trattava di una misura ovvia, ma non necessariamente,visto il disordine e l’anarchia colturale lucana di quegli <strong>anni</strong>.- 47 -

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