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Anche Alghero ha volutoavere una parte nelle commemorazionidelle vittimedelle foibe, delle persecuzioni politichee dell’odio etnico che,dopo la seconda guerra mondiale,costrinsero ad un doloroso esodocentinaia di migliaia di Italianidalle terre dell’Istria e della Dalmazia,finite sotto il regime titoista.Fu infatti a Fertilia e nella piccolaborgata di Maristella, tra i vigneti,che una piccola comunità diesuli giuliani trovò – negli anniCinquanta – lavoro e accoglienzadopo un lungo e doloroso girovagareper l’Italia tra “centri di raccoltaprofughi”, privi di tutto, isolatie soggetti al disprezzo deglistessi italiani. Raccontata in un libro,La memoria negata, la vicendaautobiografica di una profugaistriana, Marisa Brugna, immigratanella città catalana dal 1959,ha fatto luce su un pezzo di storiadimenticata, e rimossa, che intrecciai vissuti di tanti uomini e donneagli eventi della grande Storia.Finito il conflitto mondiale, inbase alle trattative con gli Angloamericanidel giugno 1945, gliIugoslavi si erano ritirati sullabase di una spartizione provvisoriache assegnava al controllo degliAlleati la zona A, comprendenteTrieste, una parte del Carso,Gorizia e una fascia di territoriocompreso tra il vecchio confinedel 1915 e gli altipiani sulla sinistradell’Isonzo.Sotto l’amministrazione jugoslavaera posta la zona B , comprendentela parte orientale dellaprovincia di Gorizia, l’Istria, conl’eccezione di Pola, e Fiume. LaConferenza di Parigi per la definizionedei trattati di pace che discusseil problema tra l’aprile e illuglio del 1946 adottò una soluzionedi compromesso. in basealla quale fu costituito il territoriolibero di Trieste, creato il 16 settembre1947. Alla nomina di ungovernatore designato dall’ONUperò non si giunse mai dato il nonaccordo delle potenze interessate:si mantennero quindi due amministrazioni,quella anglo-americanasu Trieste e la zona A e quellajugoslava sul territorio istriano.La Venezia Giulia venne così atrovarsi nella terribile condizionedi terra di confine tra due poderosiblocchi politico-sociali contrapposti(il blocco sovietico e ilblocco occidentale), schiacciatadal nuovo regime jugoslavo, impegnatoa costruire l’edificio delregime socialista. Una realizzazioneattuata attraverso comitatipopolari di Liberazione, politicadegli ammassi, sequestri e confischedei patrimoni, istituzione dicooperative, e tutta una serie dimisure vissute come prepotenzedalla popolazione. Per la quale siusava l’equazione italiani ugualefascisti. In più la pressione di unsistema poliziesco e oppressivoera inasprita da pregiudizi nazionalisticia danno degli Italiani: equesto implicava la negazionedelle libertà individuali e l’uso disinvoltodella cosiddetta “giustiziarivoluzionaria” attraverso i tribunalidel popolo che generaronoviolenti risentimenti nella popolazione, anche perché moltissimi,agivano in nome di bassi e oscuriinteressi personali, e non certodegli ideali del socialismo. In più,ad accrescere in quelle comunitàrisentimento e rabbia, c’era il fattoche delle strutture del potere titoistafacevano parte cittadinigiuliani di nazionalità italiana, difede comunista, che vi erano innome dell’unità della lotta di liberazione.In patria, la base comunista,incalzata dalla propagandadella guerra fredda , considerava“traditori” e “fascisti” i profughiPARLIAMO DELLA SARDEGNACULTURAAPRILE 2003a cura di Manlio BrigagliaIN UN LIBRO LE MEMORIEDI UNA PROFUGA ISTRIANATRAPIANTATA A FERTILIAgiuliani: i portuali di Ancona e iferrovieri di Bologna arrivarono aboicottare i treni e le imbarcazionisulle quali viaggiavano.Una sensazione di generale oppressionefini per inginerare untotale rifiuto da parte degli Istrianidi una prassi che comportavaun totale sconvolgimento delleloro vite.Emarginati e impoveriti; colpitida provvedimenti che si caratterizzavanoper la valenzasnazionalizzatrice, gli Italianicominciarono ad abbandonarePola e Fiume e, in seguito, tutti icentri minori. Un esodo biblicoche durò dal 1945 al 1956: oltre300.000 persone, secondo alcunestime, si allontanarono dall’Istria.Violenza, sopraffazione,perseguimento razionale diun progetto di annientamento ditutto ciò che era Italia e italiano,di Eugenia TognottiCULTURALA PREMATURA SCOMPARSADI MAURIZIO SALABELLENARRATORE DI GRANDE TALENTOdi Giovanni MameliIl suo cognome non ricordaquelli più diffusi nella nostraisola. Eppure lui è natoa Cagliari nel 1959, da madresarda e padre di origine campana.La sua scomparsa a soliquarantatré anni (avvenuta aPescia dove insegnava all’Istitutoprofessionale “Sismondi-Pacinotti”) ha spinto molti criticie amici scrittori a ricordarela sua figura e le sue operesui più importanti quotidianinazionali.Maurizio Salabelle era unnarratore di grande talento,che avrebbe avuto un successopiù ampio se non fosse stato unuomo schivo e riservato. Nonamava comparire in televisioneo promuovere i suoi libricon presentazioni a tappeto.Esordì nel 1992 col romanzo“Un assistente inaffidabile”, alquale seguirono “Il mio unicoamico”, “Il maestro Atomi”,“Il caso del contabile” e “L’altroinquilino”. Cinque opereche hanno fatto di lui un autoreapprezzato soprattutto dalettori esigenti e da recensoriseveri.A differenza di altri autorisardi, per lo più inclini al realismo,Salabelle puntava su situazionistravaganti, nelle qualiagivano personaggi eccentrici,uomini e donne dai trattioriginali. Sin dalle prime paginedei suoi libri si entra in unmondo in bilico tra la cronacae il sogno. Il termine cronacanon deve sembrare eccessivose si pensa che sulla stampaspesso sono raccontati fatti inquietantie anomali, che sem-anticipata dalle stragi del settembre– ottobre 1943, continuaronoin modo sistematiconegli anni successivi in Istria, aFiume, nella Dalmazia, cadutesotto controllo Jugoslavo e dacui le popolazioni erano costrettea fuggire.Gli arresti, le deportazioni avvenivanosenza che nessuno intervenissea difendere quegli infelici,colpevoli solo di essereitaliani. Moltissimi di loro trovaronouna morte atroce nellefoibe. Le tensioni dovute all’irrigidirsidel clima della guerra fredda,lo scoppio della guerra in Corea,si ripercuotevano, esasperate,nella Venezia Giulia, terra diconfine tra i due mondi.Qui, si incrociavano divisioni efurori che interessavano diversipiani e anche chi era del tutto al difuori dalla politica veniva investitodagli eventi e sperimentaval’intollerabilità della situazione:non era consentito neppure parlarela propria lingua: nella scuolasi insegnava solo il croato ed eraseveramente bandita la dolce parlatalocale.Nel libro di Marisa Brugna questitremendi avvenimenti, sonoindirettamente evocati negli effettidevastanti che producono sullasua famiglia. La difficile e dolorosascelta di lasciare Orsera e lapiccola patria istriana è del 1949.Genitori e figli si portano dietro larabbia, contenuta, ma esplosivanel loro triste viaggio come “esuli”,come “profughi”.Dapprima sono condotti a Triestein un enorme capannone, unalveare ronzante, chiamato centrodi prima accoglienza e di smistamentoper gli esuli giuliani. Diquale “accoglienza” si trattasse, labrano frutto della fantasia diuno scrittore surreale.A prima vista poteva sembrareche Salabelle si divertissea raccontare vicende fantastiche,nelle quali il gioco e ildivertimento avevano un ruolodecisivo. In realtà la moraledei suoi romanzi ha a che farecon la nostra vita quotidiana,nella quale gli scarti e le sorpresesono sempre più frequenti.Nel recensire il suo ultimolibro sull’inserto culturalede “La Stampa”, Dario Voltoliniha colto il segno nell’osservare:“Il mondo di Salabelleva visitato con calma, e apoco a poco si rivelerà in tuttala sua compattezza. Appare all’iniziocome un mondo inbianco e nero, dai suoni attutitie lontani, poi la scala dei grigiprende a dispiegarsi sontuosamente,i suoni si armonizzano,lo stupore passa dai personaggial lettore come un profumoche vada al lettore di stanzain stanza. Salabelle inventadecine di situazioni ciascunadelle quali farebbe la fortunadi un film made in Taiwan.”Scrittore internazionale,dunque, non legato a realtà regionali:i suoi libri potrebberoessere ambientati in ogniluogo e in epoche differenti.Per lui quello che contava erail dispiegamento di trovate altempo stesso comiche e tragiche.Il suo umorismo assurdo(al quale non è estraneo unmaestro come Kafka) coinvolgeciascuno di noi. Infatti Salabellemette sempre in primopiano pregi e difetti, tic e atteggiamentidai quali non siamoimmuni.Il suo messaggio sembra essereche la normalità non esiste.Anzi più si è normali maggioreè il tasso di follia dellepersone cosiddette comuni.Ma uno dei suoi pregi più immediatiè la chiarezza dellascrittura, uno stile limpido eaccessibile a tutti i lettori. Nellesue pagine manca ogni formadi compiacimento o l’usodi vocaboli ricercati che spiazzanofasce di persone per lequali la lettura è un piacere immediato.Val la pena concludere il discorsocon due testimonianzesignificative e di grande spessore.Sul Corriere della SeraErmanno Paccagnani ha scritto:“Trame impossibili da riassumere.Perché da godere, purnella coscienza del tragico sottesoa ogni comicità. Per un filonenarrativo raffinato checon Salabelle perde il suo migliorerappresentante”. Invecesu La Repubblica così lo ha ricordato,in un lungo articolo,Ermanno Cavazzoni: “Mi accorgoche parlo di Salabellecome avesse fatto un solo lungoromanzo a puntate; e in effetticredo sia così. C’è sempreun giovane sprovveduto cheosserva e si cimenta in questomondo in tranquilla rovina,senza meravigliarsi di nulla.”Sicuramente i suoi romanzi,dopo la sua improvvisa scomparsa,saranno ristampati presto.Per consentire a chi non liconosce di leggerli per la primavolta.24famigliola lo capì subito : due pagliericcifatti di foglie secche digranturco e delle coperte. Nientecuscini e niente lenzuola e notti diinsonnia- defraudati dalla preziosaintimità- a pensare alla casa eagli affetti perduti.Da lì la famigliola fu avviata alcentro raccolta profughi di Latina.Il soggiorno a Latina è di brevedurata: ecco la famigliola riprendereil treno e ripartire per un altroCentro Raccolta a Marina di Carrara.Si chiamava – per una ironiadella sorte – fermata Paradisoquella dell’autobus che, dopo ilviaggio in treno, li porta a destinazione:un reticolato chiude il CentroRaccolta Profughi dove la famigliaritrova parenti e amici. Edè tutto un intrecciarsi di lacrime,di sospiri, di domande ansiose suciò che succedeva nelle loro terresotto il tallone del governo croato,deciso a cancellare ogni tracciadella lingua, dei canti, dei modi divivere dell’industriosa e civile comunitàdegli Istriani.In quel luogo la famiglia rimanedieci anni.La successiva e ultima tappasarebbe stata la <strong>Sardegna</strong>. È in<strong>Sardegna</strong> infatti che comincia unaltro capitolo della storia dellafamiglia. Già dal 1947 si era insediatoa Fertilia un gruppo di istrianie di dalmati, per interessamentodi don Francesco Dapiran, parrocodi Orsera. Ormai non c’erapiù nessuna speranza di tornare inPatria: il 5 ottobre 1954 Stati Uniti,Gran Bretagna, Italia e Iugoslaviaavevano firmato un memorandumd’intesa: all’Italia era tornataTrieste e la zona A, alla Iugoslavia,previa rinuncia dell’Italia, lazona B: uno status quo, ormai, chesarà sancito nel 1975 col trattatodi Osimo. Occorre dire che la <strong>Sardegna</strong>non era certo, allora, unparadiso nell’immaginario collettivo(una terra spopolata, dallegrandi solitudini, una terra di punizionee di esilio).Ma quando al capofamiglia erastato assegnato uno dei poderidell’ETFAS, l’Ente di trasformazionefondiaria e agraria, istituitodopo le leggi di riforma agrariadel 1950, genitori e figlie si eranotrasferiti in <strong>Sardegna</strong>.Addio, finalmente, al campoprofughi. Fertilia, nonostante tutto,rappresenta un approdo, pur trale fatiche richieste dal disboscamentoe dalla coltivazione dei vigneti:le vie, sono chiamate con itoponimi dei paesi della patriaperduta, Pola, Rovigno, Orsera,Parenzo, Zara, Fiume. Niente piùparaventi di fortuna che a stentoriuscivano a proteggere un po’d’intimità; niente reticolati : i Brugnaavranno una delle case nuovedestinate agli assegnatari. A Fertiliatrovano la loro gente, profughicome loro, con cui condividonoil dolore e la rabbia per la patriaperduta, la crudele odissea a cui liaveva costretti la madrepatria.Nessun senso di esclusione, finalmente.Gli antichi valori dell’ospitalitàe dell’accoglienza deiSardi fanno sì che la comunità deiGiuliani e degli istriani si integrassefelicemente nella nuovapiccola “patria”.Marisa Brugna studia a Sassarie diventa maestra, un lungo sognoaccarezzato negli anni della “profuganza.La memoria di quell’esodo è rimastatroppo a lungo confinatanel recinto di una testimonianzaminoritaria.È necessario che la memoria diquell’esodo non venga cancellatae che aiuti tutti a non dimenticarequanto grandi, terribili e devastantisiano le sventure prodottedalle guerre.

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