468 GIUSEPPE QUARANTAmai acquistare una consistenza sempre maggiore la constatazioneche “le culture antropologiche, le società, ammesso che losiano mai state, non sono più quelle di un tempo, totalità organiche,integrate e condivise, ma si sono – oggi in misura notevolissima– dislocate, frammentate e mescolate” 46 . Nel contestodi un pervasivo processo di globalizzazione e delocalizzazione,infatti, si osserva da più parti come le culture “non sono più assegnabilia regioni, spazi, territori rigidamente definiti”; esse,invece, “deterritorializzandosi, si reinventano a contatto di altre,dando vita a nuove forme di produzione dell’identità” 47 . Eccopertanto spiegato il successo delle metafore di “flusso”, di“ibrido” e di “meticciato” richiamate dagli studiosi per suggerirela frammentazione e il rimescolamento delle culture 48 . Parimentisi assiste ad un altro fenomeno nuovo: il processo di individualizzazionedella <strong>cultura</strong>, in forza del quale non è esageratoaffermare la possibilità che l’individuo costruisca da sé il propriorepertorio <strong>cultura</strong>le e le proprie peculiari avventure formative,esperienziali e conoscitive 49 .Ora, il profondo mutamento nella concezione della <strong>cultura</strong>qui solamente abbozzato, può rivestire diversi significati. Se, dauna parte, esso può rivelarsi un efficace antidoto contro le rina-46V. MATERA, “Affianco alla <strong>cultura</strong>: l’«altro termine»”, in RassegnaItaliana di Sociologia 45 (2004) 66. Attribuendo un vero e proprio valoreprogrammatico alla decostruzione dell’idea di <strong>cultura</strong> com’è abitualmenteintesa, U. HANNERZ, uno dei maggiori antropologi contemporanei, scrive: “Sitratta di mettere in discussione un presupposto abituale, in antropologia ealtrove, vale a dire un particolare modo di intendere la <strong>cultura</strong> come significatocollettivo, socialmente organizzato – l’idea di <strong>cultura</strong> come qualcosa dicondiviso, nel senso di qualcosa di omogeneamente distribuito nellasocietà” (<strong>La</strong> complessità <strong>cultura</strong>le. L’organizzazione sociale del significato, IlMulino, Bologna 1998, 16-17 [orig. ingl.: 1992]). Per un sintetico ma efficaceinquadramento di questa innovativa comprensione della <strong>cultura</strong>, vedi:TANNER, “Criticism and reconstruction”, in ID., Theories of Culture, 38-58.47U. FABIETTI, “Il destino della «<strong>cultura</strong>» nel traffico delle culture”, inRassegna Italiana di Sociologia 45 (2004) 45.48Cf. HANNERZ, <strong>La</strong> complessità <strong>cultura</strong>le, 344; D. PETROSINO, “Pluralismo<strong>cultura</strong>le, identità, ibridismo”, in Rassegna Italiana di Sociologia 45 (2004)389-418.49Cf. MATERA, “Affianco alla <strong>cultura</strong>”, 71; G. ROSE, “Luogo e identità: unsenso del luogo”, in D. MASSEY-P. JESS (a cura), Luoghi, culture e globalizzazione,Utet, Torino 2001, 94-95 [orig. ingl.: 1995].
LA CULTURA PIENO SVILUPPO DELL’UMANO 469scenti “esagerazioni della <strong>cultura</strong>” (vale a dire le visioni che enfatizzanola superata idea di <strong>cultura</strong> e di culture al serviziodell’etnocentrismo o del nazionalismo in alcuni casi, o del relativismoesasperato in altri, o dell’esercizio di un potere <strong>cultura</strong>ledi tipo egemonico in altri ancora) 50 , dall’altra, procedendo inquesto modo, si rischia di immobilizzare l’analisi <strong>cultura</strong>le,complessificando in maniera esponenziale lo sforzo di offrireuna lettura competente e critica dei fenomeni <strong>cultura</strong>li che le èpeculiare. Tornando all’etica teologica, riteniamo imprescindibilela necessità di aggiornare il concetto di <strong>cultura</strong>. Se si vuoleavviare e realizzare anche in teologia morale quell’attento discernimentoevangelico sempre più spesso auspicato dal magisteroecclesiale, diventa necessario non fossilizzarsi su di unastrumentazione concettuale superata. Pur senza lasciarsi abbagliaredalle mode del momento, diventa necessario evitare il rischioche la teologia continui a riflettere sull’esperienza moralesottostimando quella fitta rete di significati e di forme espressivedetta “<strong>cultura</strong>” 51 . Da parte nostra, quindi – ed è la conclusionealla quale siamo pervenuti svolgendo questo studio – vorremmoindicare nella <strong>cultura</strong> un ambito meritevole di ulterioreapprofondimento. Ne va della possibilità stessa di dotarsi diuna descrizione comprensibile di che cosa è l’uomo e, di conseguenza,della possibilità che la teologia continui a svolgere ilcompito che le è peculiare, quello cioè di stabilire “una correlazionecritica e mutua tra l’interpretazione della tradizione cristianae l’interpretazione della nostra esperienza umana contemporanea”52 .GIUSEPPE QUARANTA50Cf. FABIETTI, “Il destino della «<strong>cultura</strong>»”, 44.51A quest’idea fondamentale si riferisce la definizione “semiotica” di<strong>cultura</strong> proposta da C. GEERTZ, Interpretazione di culture, Il Mulino, Bologna1998, 11 [orig. ingl.: 1963].52C. GEFFRÉ, Le christianisme au risque de l’interprétation, Cerf, Paris1988 2 , 9.