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LA CUCINA DEI TABARCHINI - florarte arenzano

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Sergio RossiA mio padreLa Cu c i n ad e i Ta b a r c h i n istorie di cibo mediterraneofra genova, l’africa e la sardegnaMunicipio VII Genova PonenteLe immagini utilizzate sono state gentilmente concesse da:Civica Biblioteca Berio di Genova, Secondo Borghero, Nicolo Capriata, LorenzaGarbarino, Antonio Marani, Museo Navale di Genova-Pegli, Nicolo Pomata,Sergio RossiDirezione e coordinamento editoriale Fabrizio FazzariImpaginazione e progetto grafico Marco FiorelloRedazione Fabrizio Fazzari, Marco FiorelloStampa Grafiche G7 Sas per Sagep Editori Srl, ottobre 2010Comune di CarloforteComune di CalasettaIn copertina L’isola di Tabarca in una veduta di anonimo della seconda metàdel XVII secolo (elaborazione grafica da), olio su tela, per gentile concessione delMuseo Navale di Genova-Pegli© 2010 Sagep Editori - www.sagep.itISBN 978-88-6373-099-9


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong>PREFAZIONE1648148182196216218248252indiceLa storiaCucina tabarchinaIl tonnoI dolciIl vinoPer concludereRicetteBibliografiaRingraziamentiprefazione“Cosa ci faccia quella gente in Sardegna lo sanno in tanti e in pochi, molti sanno che ègente di origine genovese ma pochi ne conoscono davvero la storia”, scrive a un certopunto Sergio in questo libro, e ha perfettamente ragione: anche perché delle comunitàtabarchine ultimamente si parla molto, spesso a vanvera.Per certi “genovesi” poi, Carloforte e Calasetta sono diventate una specie di icona, e iloro abitanti gli strenui depositari di tradizioni, suoni, saperi, sapori che i genovesi, dopoaverli buttati nella spazzatura, adesso rimpiangono e si commuovono a ritrovare “intatti”a qualche centinaio di chilometri verso sud. Ed è una bella comodità, tutto sommato: dalpunto di vista di chi sta sotto la Lanterna, le tradizioni, la lingua, la cucina e quant’altrovivono là come per procura. Ogni tanto qualche presidente assortito di enti locali liguri,associazioni culturali e quant’altro ci fa un salto, ne certifica l’esistenza in vita, mangiaun po’ di tonno, dà due pacche sulle spalle, sottoscrive un gemellaggio e se ne torna acasa tutto contento.Il “genovese medio” che ci va in vacanza, poi, sente parlare una lingua che non ha saputotrasmettere ai propri figli e trova da ridire sulla qualità del pesto: così se ne torna a casatutto contento anche lui, perché è vero che “quelli là” hanno mantenuto la lingua, hannoanche delle belle spiagge se vogliamo, ma per il resto, vuoi mettere!Quanto ai Tabarchini, devono essersene accorti e, giustamente, ci “marciano” sopra: da popolodi mercanti quali sono sempre stati, sanno che la pubblicità è l’anima del commercio,di commercio (anzi, di turismo) ora essi vivono, e su questo andirivieni di pegliesi in cercadi “radici” e di autoassoluzioni identitarie non è mica il caso di sputarci sopra…Sono pochi quelli che, come Sergio Rossi, approdano a Carloforte e a Calasetta per cercaredi capirne qualcosa, e che riportano a casa qualcosa di più che la banale sensazione di un“tuffo” in un passato che non hanno mai vissuto e che non è mai esistito. Quei pochi sannoanzitutto che le comunità tabarchine non rappresentano per niente il “passato” della Genova(e tanto meno della Pegli!) di oggi: hanno abbastanza buon senso da rendersi conto chenon stanno visitando una specie di museo o di bazar delle cose perdute, ma paesi autentici,


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong><strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTE267. Scorci del centro di Calasetta.8. Fioriture primaverili a Carloforte.9. Veduta della costa vicino aCarloforte, unico centro abitatodell’Isola di San Pietro(arcipelago del Sulcis).7 8Superata la prima fase di piacevole stupore sono cominciatele domande: cosa rimane davvero della cultura genovese?E il cibo? Quali piatti hanno attraversato il tempo?Insomma il cervello mi fumava e non c’era verso di farlosmettere. Per fortuna un caro amico genovese – FiorenzoToso – profondo conoscitore della cultura tabarchina e assiduofrequentatore di quelle comunità, mi aveva segnalatoalcune persone del posto che poi contattai.Da lì cominciai a capire, e più capivo più mi veniva voglia disapere. E ovviamente le mie curiosità si orientarono versoil cibo, verso la cucina locale, i prodotti agricoli, il tonno.Così si aprì un altro mondo, infinito, grandioso, smisuratonella sua semplicità. Un mondo di rapporti commercialie umani con gente di altre culture. Un mondo di contattie influenze che hanno prodotto una cultura alimentaresingolarissima, forse unica, per capire la quale occorretracciare un minimo di storia delle vicende che queste comunitàhanno affrontato.927


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong><strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTE13. <strong>LA</strong> CURIOSAVICENDADELLO scucuzù37Per un genovese il termine scucuzù oggi identifica unformato di pasta secca – cilindretti del diametro di 4/5millimetri e di altrettanta lunghezza – utilizzato nelclassico minestrone di verdura.Per i tabarchini, invece, è una pasta fatta a mano ricavata dallalavorazione della semola e impiegata per le minestre di ceci efagioli e per un piatto a base di crostacei definito pilau.Come detto, lo scucuzù si fa adottando lo stessoprocedimento di preparazione del cascà, ma prolungandola lavorazione della semola fino ad ottenere piccole sferetteche poi si metteranno ad asciugare all’aria o al sole.Una rapida esplorazione su alcuni testi antichi porta aconstatare che al termine scucuzù – scritto in modi diversi –nel tempo sono stati attribuiti parecchi significati.Qui sotto riporto alcune citazioni in modo che ciascunopossa valutare da sé. La questione è davvero spinosa.Sogliono ancora mangiare carne bollita, e insiemecipolle e fave; oppure l’accompagnano con un altro cibo,detto da essi cuscusu [riferito ad una zona interna delMarocco prima del 1518 NdA].…ma il verno mangiano carne allessa, insieme con quellavivanda che è detta cuscusu, la quale si fa di pasta, comei coriandoli, e lo cuocono in certe pignatte forate perricevere il fumo d’altre pignatte, di poi vi mescolano dentrobutirro, e lo bagnano di brodo [riferito alla città di Fez, inMarocco, prima del 1518 NdA].38Al Hassan Ibn Muhammad al Wazzan al Fasi, conosciutoanche come Giovanni Leone l’Africano (1485 – 1554), Delladescrizione dell’Affrica [relativa ai viaggi effettuati primadel 1518 NdA], in: Giovambattista Ramusio (1485 – 1557),Il viaggio di Giovan Leone e le navigazioni di Alvise da Ca daMosto, di Pietro di Cintra, di Annone, di un Piloto Portoghesee di Vasco de Gama quali si leggono nella raccolta diGiovambattista Ramusio – Venezia, 1837Per fare una vivanda di semolella con diverse altre materiealla moresca, chiamata SucussuBartolomeo ScappiOpera, dell’arte del cucinare, Venezia 1570da 37 a 40. Immagini di scucuzùprodotto a macchina6465


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong><strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTE9038. U præve90. Panissa.Il filone delle farinate comprende anche la panissa, sortadi polenta di farina di ceci anch’essa fortemente radicatanella tradizione alimentare genovese e ligure.Una volta pronta, ovvero ridotta alla consistenza di unapolenta, la panissa viene versata dentro piatti fondi a raffreddare.Infine viene tagliata a pezzetti per essere conditain insalata, saltata in padella oppure fritta a listarelle denominatepanissette, eccellenti se mangiate come aperitivoe stuzzichino, o in mezzo a un panino o ad una focaccetta,come si fa a Savona.Questo settore della cucina, che a Genova è tipico dellesciamadde e dei negozi di torte e farinate, include fral’altro il capitolo che riguarda le verdure ripiene e le tortepasqualine.Le cipolle ripiene occupano un posto di rilievo nella cucinatabarchina e sono preparate in un modo piuttosto singolare,almeno confrontandolo con quello genovese.Dopo aver sfogliato e riempito le brattee della cipolla conun miscuglio a base di verdura, uova, formaggio e erbearomatiche, si friggono in padella per poi metterle in casseruolaultimando la cottura in salsa di pomodoro. Fino allafrittura siamo in parallelo con il metodo antico adottato aGenova. Infatti, in questo modo le verdure ripiene si potevanocuocere direttamente per strada, vendendole così,in diretta, ai passanti. Della successiva stufatura in casseruola,invece, non ci sono più tracce salvo in poche areedell’entroterra dove questa pratica rimane ancora viva.Iniziando questa ricerca, stimolato soprattutto dalle fortianalogie fra la cucina tabarchina e quella ligure, ho sempremantenuto la stessa rotta, sulla scia delle due culturealimentari e alla continua ricerca di punti di contatto.Alcuni fra questi, tipo la farinata, la panissa o le verdureripiene, mi hanno portato nell’ambito dei più popolaricibi di strada genovesi e da lì è nata spontanea una domanda:i tabarchini fanno le torte di verdura?La risposta è sì, le conoscono e le fanno in casa, ma laloro analoga specialità è il præve, cioè il prete.Il nome è quantomeno singolare e sono convinto chenon sia del tutto casuale anche se, nonostante le ricerchee le indagini, non mi è stato possibile scoprirne leorigini né le motivazioni.Il præve è una specie di torta salata simile alla versionepiù classica genovese, cioè con il ripieno formato da bietolee formaggio fresco.Pare non sia legata ad una ricorrenza particolare ed è unpiatto veloce e semplice che a volte aiuta a risolvere ilconsueto problema di “cosa fare da mangiare”.Si fa con bietole, ricotta, uova, sale, maggiorana e unpizzico di spezie, che qui chiamano saporita, dal nome diuna miscela preconfezionata.Oggi il præve si cuoce in forno, mentre in passato spessosi “sottestava”, impiegando i due tegami con la bracesotto e sopra, come spiegato poc’anzi.91, 92. U præve.144145


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong><strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTEGiovanni ReboraGiovanni Rebora (Genova nel 1932,Genova 2007) è stato professoredi Storia Economica e di StoriaAgraria Medievale e direttore delDipartimento di Storia Modernae Contemporaneadell’Università di Genova.Durante la sua lunga carrieraha collaborato con alcuni fra glistorici più importanti del XX secolo(Fernand Braudel).Ha condotto studi e ricerche sullastoria dell’alimentazione e scrittoimportanti pubblicazioni comeLa cucina medievale italiana traOriente e Occidente (Genova 1992),Colombo a tavola (Savona 1992), Laciviltà della forchetta (Roma-Bari1998) e La cucina dei papi DellaRovere (Savona 2003).È stato presidente del Conservatoriodelle Cucine Mediterranee e hastudiato in profondità la storiadella cucina mediterranea, sia sottoil profilo economico, sia sotto ilprofilo enogastronomico.È riconosciuto come uno deimassimi studiosi di storiadell’alimentazione in Europa.46. vitadi tonnaraIntraprendere l’impresa di scrivere un libro sulla cucina tabarchinaè in qualche modo un atto di presunzione: lo credosul serio. Non parliamo, poi, dell’argomento “tonno”, chetrovo davvero arduo sviluppare in modo chiaro e sintetico.Per tentare di farlo al meglio ho cercato libri, documenti etestimonianze, provando ad individuare il corridoio luminosoche guidasse il racconto. Qualcuno mi aveva parlato di unainteressante tesi di laurea presentata da una studentessa diCalasetta. Chiedendo un po’ in giro non fu difficile rintracciarela sua famiglia. Mi recai allora nel negozio del signor Parodi,padre di Angela, l’autrice della ricerca. Fui subito accolto conmolta cortesia anche perché, condividendo l’amicizia di GiovanniRebora, u Prufessù, l’approccio fu assai agevolato.Il mio scopo era quello di consultare e studiare la tesi sul tonno,per apprendere qualcosa di interessante soprattutto inrelazione alle ricette di cucina e ai racconti dei testimoni cheavevano lavorato in tonnara. La difficoltà stava nel riuscire aparlare con la dottoressa Parodi, la quale, non vivendo più aCalasetta, era piuttosto difficile da contattare. La fortuna volleche in occasione di una telefonata alla mamma – che Reborami descriveva come cuoca eccellente – trovai Angela a casa, invisita ai genitori. Sapevo che la tesi non era mai stata pubblicatae sapevo anche che di un tale lavoro, probabilmente, l’autriceavrebbe voluto, prima o poi, pubblicare almeno un estratto.Ciò suggeriva una notevole cautela nel cercare di spiegarealla dottoressa Parodi le mie intenzioni, ovvero la volontà diconsultare la tesi ed eventualmente citarne alcune parti.In effetti Angela Parodi fu molto gentile e disponibile.Ci parlammo al telefono e dopo averle illustrato il mio progettoe ottenuto il suo assenso ad avere la tesi, per una seriedi fortuite coincidenze, passata neppure una settimana neavevo già in mano una copia.È davvero un bel lavoro, chiaro e puntuale nell’inquadramentostorico e molto interessante nella parte delle interviste aitonnarotti e nelle ricette di cucina.Ciò che più mi ha colpito è la sensibilità con la quale è statacondotta la ricerca, studiando ed esponendo la parte storica,certo, ma accostandola ad un autentico spaccato di vita quotidianaaffidato direttamente alle voci degli anziani locali.Sono loro, stimolati dalle domande di Angela, a parlare inprima persona dei trascorsi in tonnara, dell’ impiego stagionalenella lavorazione del tonno e dei legami con quella vitadi mare che ogni primavera riproponeva le stesse gioie, lestesse incognite e purtroppo, per un certo periodo, le stessedelusioni dovute ad una penosa vicenda di inquinamentoambientale che, fra le altre, ebbe anche la terribile responsabilitàdi allontanare quella straordinaria e attesa risorsarappresentata dai tonni.Nei racconti degli intervistati c’è gioia, la gioia di chi ha vissutouna stagione di lavoro e di fatica sapendo apprezzarnegli aspetti positivi: due o tre mesi di salario certo, l’assistenzamedica gratuita per tutta la famiglia dal primo maggiofino a tutto dicembre, gli assegni familiari e i versamenti deicontributi per la pensione [Angela Parodi, intervista ad A.R.].E poi qualche beneficio in natura: quando la mattanza erastata abbondante, ci davano sempre un po’ di tonno (2-3 kg).Quando stivavamo il tonno, un po’ di provvista di scabecciola facevamo sempre [Angela Parodi, intervista a P.F.]. Infinediversi momenti di festa condivisi con i compagni di lavoro:di sera, dopo aver finito di mangiare, giocavamo a carte […]era un divertimento scherzarci e farci dispetti a vicenda. Lavorarein tonnara significava che quell’uomo, che a Calasettaera sempre stato considerato per bene, pacato e dedito allafamiglia, quando prendeva la via del mare per raggiungerela tonnara, perdeva la sua dignità. S’intende in senso buono!Non era più l’uomo che era a Calasetta, perché di norma unuomo grande, non fa dispetti per ridere. …Era proprio un divertimento![Angela Parodi, intervista ad A.R.].104104. Tonno di trecento chili.168169


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong><strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTEUna ricetta storica genoveseCiambelle (Canestrelletti) di pastadi mandorle:Prendete tre ettogrammi dimandorle, mettetele in molle,sbucciatele e pestatele in mortaioaffinché divengano una pastaaggiungendovi poco per voltaduecento grammi di zucchero etre cucchiaini di fior d’arancio eformatene le ciambelle, mettetelein tegame unto leggermente, indiponetelo al fuoco, pochissimo disotto e molto di sopra, osservandolefrequentemente, appena avrannopreso un bel colore d’oro toglietele,bagnatele leggermente allasuperficie di sciroppo e spargetevisopra semenzina confettata(semensetta).[G. B. e Giovanni Ratto,La Cuciniera Genovese ossia la veramaniera di cucinare alla genoveseGenova, 1863]128. Rusette.53. ruette, rusettee canestrelliA Carloforte c’è una pasticceria che fa dolcetti identiciagli attuali canestrelli del Genovesato.Se però si chiede una confezione di canestrelli, si vieneserviti con le ciambelle di cui abbiamo parlato prima;per ottenere i dolci a forma di fiore bisogna chiedere lerusette (rosette). Riflettendo su questa stranezza, in unprimo momento pensai che avrebbe potuto rappresentarela corretta chiave di lettura per definire la questionecanestrelli a fiore o a ciambella, ma nulla da fare: aGenova niente rusette.Tuttavia a Borzonasca, piccolo paese della valle Sturla,nell’entroterra ligure, a circa cinquanta chilometri daGenova, si fa un dolce tradizionale a forma di fiore, esattamenteidentico ai canestrelli, chiamato però ruetta (rotella).E qua e là, nel Genovesato, capita ancora di sentirchiamare ruette i canestrelli.Alla fine, perciò, la questione di uno stesso nome perdiversi prodotti si complica tremendamente e rischia didiventare solo un’inutile esercizio intellettuale. E se percaso si decide di allargare l’interrogativo alle regioni limitrofe,è ancora peggio. Basti pensare ad alcuni canestrellidel vercellese, che sono cialde, oppure ai canestrelli corsi,che sono dolcetti rettangolari.Tornando in Liguria, io credo che i canestrelli “originali”siano quelli tabarchini e gli altri siano davvero ruette o talvoltarusette, intese come rosette, ovvero simboli araldiciriferiti alla rosa a cinque petali con bottone centrale.128Come, quando e perché i primi siano spariti dalla circolazionelasciando spazio e nome ai secondi, non saprei propriodirlo, ma ho l’impressione che si sia trattato di qualcosaaccaduto nel secolo scorso, e non nei primissimi anni.Certamente il problema non è tanto quello di individuareuna data di morte dei canestrelli vecchia maniera odeterminare la nascita degli altri, quanto, piuttosto, capireperché, come e quando si sia verificato il passaggiodagli uni agli altri.Ma dato che questo libro avrebbe la pretesa di occuparsidella sola cucina tabarchina, rimanderò l’indagine adun’altra occasione, magari dopo aver ulteriormente approfonditola questione.194195


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong><strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTE3. Uve ad acini bianchi, bislunghi.}vitis vinifera cucumerina – Corniola (Cornichon blanc Duh.)mammillaris – Tita de bacca.VITI DA PERGO<strong>LA</strong>serotina – Axina de Angiulus.latifolia – Galoppu.laxissima – Apesorgia bianca.Isidori – Muscatellò; Muscateglio.(Muscat d’Alexandrie; Passe longue musquée Duh.). Vite da pergola.Queste tre ultime sorta forniscono uve da tavola.56. le uve sardenel 1838Quest’elenco è stato pubblicato nel 1838 ed è il frutto dellericerche effettuate dal professor Giuseppe Giacinto Moris(1796 – 1869), piemontese, medico e botanico, il quale per unperiodo lavorò a Cagliari e lì condusse i suoi studi botanici.Riporto integralmente la parte dedicata alle uve perché credosia molto interessante per fissare nel tempo le più importantivarietà coltivate.1. Uve ad acini rossicci o neri, rotondi.vitis vinifera amabilis – Nascu. Delle migliori: il vino è conosciuto sotto ugualnome.abundans – Nuràgus. Di estesa coltivazione.rubella – Rosa. Uva da tavola.suavis – Girò. Serve ancora essa per tavola; il vino, d’ugual nome,è molto amabile.nectarea – Monica. Il vino monica è stimato aver il vanto sopratutti i vini sardi.vitis vinifera affinis – Bovàli. Simile al precedente e vi hanno due sorta. Il Bovàlimannu ha gli acini più grossi ma eziando più rari, e siccome disolito mette troppi pampini, è meno coltivato.nigra-mollis – Niedda-moddi.præstans – Cannonau. Dà vino eccellente e ricercato.nigra-vera – Niedda era.infectiva – Zinzillosu (Le Teinturier Roz. Dict. agric. X, p. 178, tab. 9).coacervata – Merdulinu. Uva da tavola.4. Uve ad acini bianchi, rotondi.vitis vinifera generosa – Muscadeddu (Muscat blanc Duh.) Il vino Muscàu chese ne trae è dolcissimo.malvatica – Malvasia.austera – Varnaccia; Carnaccia. Vino amaro ed aspretto ma graditoal palato; contiene minor dose di alcool.læta – Semidànu. Acini piccioli ma dolci e sugosi.vitis vinifera acidula – Manzèsu. Acini piccioli duri, agretti.speciosa – Arremungiau. Il nome latino le venne imposto a motivode’ grossi suoi acini.inæqualis – Sarravèsa. Fornisce il vino che porta questo nome.robusta – Arbumannu. Primaticcia e gradita alle tavole.decolor – Bianchedda.pellucens – Arrettallau Le bucce degli acini sono di una straordinariasottigliezza.Quest’elenco, come avverte l’autore [chi scrive cita il Moris NdA], è ben lungi dalcomprendere tutte le uve sarde, altre molte essendovene, massime nelle parti settentrionalidell’isola, delle quali per ora non poté dare un’esatta descrizione; di questonumero è la Bariadorgia del territorio di Sassari, uva primaticcia e saporitissima; neppurevi manca il Muscat noir, del Duhamel (Muscadeddu-nieddu dei Sardi), ma vienepiantato in pochissimi siti.[G. G. Moris, Flora Sardoa… Torino, 1837 in: “Biblioteca Italiana o sia Giornale di Letteratura,Scienze ed Arti compilato da varj Letterati”, tomo LXXXIX – Milano, 1838]2. Uve ad acini rossicci o neri, bislunghi.vitis vinifera trifera – Axina de tres biàs; Axina de tres bortas. Vite da pergola.jucunda – Apesorgia niedda.hierosolymitana – Axina de Gerusalem.Tutte e tre queste sorta d’uve servono per le mense.204205


<strong>LA</strong> <strong>CUCINA</strong> <strong>DEI</strong> <strong>TABARCHINI</strong>spaghetti alla bottargadi tonno fresca(ricetta del ristorante “L’Oasi”)Ristorante L’Oasivia Gramsci, 59Carloforte<strong>LA</strong> STORIA · <strong>CUCINA</strong> TABARCHINA · IL TONNO · I DOLCI · IL VINO · RICETTEbobba: supremadi fave secche(ricetta del ristorante “Da Andrea, Osteria della tonnara”)Ristorante Da Andrea, Osteria della tonnaracorso Battellieri, 36CarloforteIngredienti per 4 persone350 g di spaghetti150 g di bottarga fresca di tonno(uova di tonno)olio extravergine d’oliva qbaglio a piacere12 pomodorini freschi1 acciuga salata1 ciuffetto di prezzemoloVernaccia qbLessare in acqua della bottarga di tonno fresca, scolarla e ripulirla dalleimpurità.In una padella mettere dell’olio extravergine d’oliva, aglio, pomodorinifreschi, un’acciuga salata e saltare leggermente. Aggiungere poi le uovadi tonno lessate e pulite, un po’ di prezzemolo e sfumare con dellavernaccia. Scolare la pasta molto al dente e aggiungerla al composto inpadella. Far saltare per ultimare la cottura.Vino consigliato Bianco FuntanalirasSolitamente la bottarga si degusta dopo essere stata salata ed essiccata.In questa preparazione, tuttavia, esprime un sapore fresco e delicato.Le uova di tonno fresche si trovano nel periodo primaverile quandoquesti pesci intraprendono la loro lunga migrazione che talvolta terminain tonnara.In un tegame di terracotta mettere dell’olio e la mezza cipolla affettata;lasciare appassire e aggiungere le fave secche (non vanno messe a bagno!).Fare imbiondire e aggiungere la maggiorana, i pomodori schiacciati,le zucchine a pezzi, le due foglie di basilico.Quindi dosare il sale e aggiungere dell’acqua lasciando cuocere per circatre ore a fuoco lento e mescolando di frequente affinché il compostonon si attacchi al fondo del tegame.A fine cottura aggiungere due foglie di basilico.Servire con un filo d’olio e crostini di pane.La bobba ricorda le minestre di lunga cottura, piatto classico della cucinapopolare. E le fave secche, in particolare, comparivano già fra i prodottinormalmente consumati dai corallatori liguri.Ingredienti per 4 persone500 g di fave secche½ cipollaolio extravergine sardo qb4 foglie di basilico1 rametto di maggiorana fresca2 zucchine verdi2 pomodori perinisale qbcrostini di pane a piacere240241

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