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Bruno de Finetti e la geometria del benessere

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chiare e nette e positive soltanto siffatte prese di posizione che si traducono nell’esclusivismoa favore di un solo obiettivo parziale o al massimo in un rigido ordine di priorità: superarel’irragionevolezza di questi tristi residuati di dogmatismo e dottrinarismo costituisce uno <strong>de</strong>ifattori di progresso intellettuale e morale di cui maggiormente l’umanità ha bisogno per nonrestare tanto, tanto, troppo indietro, sotto questi aspetti, in confronto al livello <strong>de</strong>l progressoscientifico e tecnico. (DE FINETTI 1967, p. 59)Verrebbe a questo punto da chie<strong>de</strong>rsi come si inserisce <strong>la</strong> figura di De <strong>Finetti</strong>teorico <strong>de</strong>l <strong>benessere</strong> sociale nel contesto scientifico <strong>de</strong>gli anni cinquanta <strong>de</strong>l secoloscorso, quando sono state teorizzate dagli studiosi numerose ipotesi sul controversocriterio di <strong>de</strong>cisione sociale. Anzitutto, bisogna ammettere che De <strong>Finetti</strong> legge <strong>la</strong> teoriaparetiana in chiave aspramente polemica: ciò che emerge dal quadro <strong>de</strong>lineato è unostudioso che imputa a Pareto l’essersi preoccupato <strong>de</strong>l raggiungimento esclusivo<strong>de</strong>ll’efficienza, anche a scapito <strong>de</strong>ll’equità. Di contro, De <strong>Finetti</strong> si sforza di conciliarecon argomentazioni piuttosto convincenti le motivazioni che dovrebbero spingere glieconomisti a valutare l’equità oltre all’efficienza. Addirittura aval<strong>la</strong> il ricorso ai giudizidi valore, che di ‘operazionale’ probabilmente hanno ben poco, pur di giungere ad unascelta tra gli infiniti punti di ottimo che rispetti il più possibile <strong>la</strong> felicità <strong>de</strong>l<strong>la</strong> maggiorparte di persone. L’originalità <strong>de</strong>l De <strong>Finetti</strong> teorico <strong>de</strong>l <strong>benessere</strong> sociale è proprioquesta: da un ‘pragmatico’, un ‘operazionalista’, un ‘neopositivista’ ci si sarebbeaspettato un rafforzamento à <strong>la</strong> Hicks <strong>de</strong>l<strong>la</strong> teoria paretiana, piuttosto che unosradicamento <strong>de</strong>i suoi presupposti di base. Eppure De <strong>Finetti</strong>, nonostante <strong>la</strong> suasensibilità nei confronti <strong>de</strong>ll’equità, non cerca di costruire ‘una teoria <strong>de</strong>l<strong>la</strong> giustizia’,come avrebbe fatto negli anni settanta il filosofo John Rawls e nemmeno una trattazioneneoutilitarista che riconsi<strong>de</strong>rasse in chiave operazionale l’utilità cardinale e i confrontiinterpersonali di utilità.De <strong>Finetti</strong> ha ripreso lo schema di Bergson nel<strong>la</strong> funzione di <strong>benessere</strong> socialegeneralizzata, ma le differenze con essa sono notevoli: al posto <strong>de</strong>lle funzioni di utilitàindividuali inserisce gli obiettivi <strong>de</strong>l<strong>la</strong> società (che sono anch’essi molteplici, poiché, inqualche modo, rappresentano i <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rata <strong>de</strong>l<strong>la</strong> collettività). L’i<strong>de</strong>a di apporre <strong>de</strong>i ‘pesi’a ciascun obiettivo per valutarne <strong>la</strong> <strong>de</strong>si<strong>de</strong>rabilità in re<strong>la</strong>zione a tutti gli altri è peraltromolto originale.Questa è stata <strong>la</strong> sua i<strong>de</strong>a di equità: così diversa dal<strong>la</strong> giustizia di Rawls, cosìdiversa dall’ordinalismo di Pareto e di Hicks, così diversa dal<strong>la</strong> funzione di <strong>benessere</strong>sociale neoutilitarista. Eppure, anche <strong>la</strong> <strong>de</strong>finettiana funzione di <strong>benessere</strong> sociale nonavrebbe certo superato “l’indipen<strong>de</strong>nza dalle alternative irrilevanti” <strong>de</strong>l teorema diimpossibilità di K. Arrow.18

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