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dall'errore logico all'errore fenomenologico: un ... - Rivista S.S.E.F.

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DALL’ERRORE LOGICO ALL’ERRORE FENOMENOLOGICO:UN CONFRONTO TRA HUSSERL E KELSEN SULL’ESSENZA DELLA NORMASommario: 1. Premessa – 2. La Legge di Hume e la “fallacia naturalistica” – 3. L’autonomia del doveressere rispetto all’essere: la posizione di Kelsen – 4. Il contenuto della norma: Kelsen contro Husserl – 5.Dalla Logica formale alla Logica trascendentale: la risposta Fenomenologica a Kelsen – 6.L’intersoggettività come A priori Logico – 7. L’errore Logico-Trascendentale e il senso della Norma1. PREMESSADi errori esistono diverse specie. Essi si distinguono e misurano in relazione alle conseguenze eal grado di evitabilità. Vi sono errori, infatti, gravi per le conseguenze che provocano ed errori più omeno evitabili: in ogni caso non sono commessi appositamente, altrimenti essi sarebbero degli attentaticonsapevoli e non certificazioni di <strong>un</strong> tentativo fallito.Vi sono errori di impostazione del pensiero che provocano grandi teorie, il cui fondamentoperò rimane debole, irrisolto, perfino corrotto. A volte però, il tentativo di correggere l’errore, pereccesso di coerenza o per <strong>un</strong> distorto anelito al rigore, può generare errori, app<strong>un</strong>to, perfino piùradicali, perché vanno ad occultare il nucleo stesso del problema dal quale il primo errore era sorto.Scopo del presente articolo è, pur nella sua brevità, di mostrare, attraverso la polemica traHusserl e Kelsen in merito allo statuto della norma, i possibili errori logici in cui può incorrere il difficilediscorso sul diritto e in generale sull’etica.Dall’errore che fu denominato (da certa scuola di pensiero nata sulla scia della c.d. legge diHume) fallacia naturalistica in cui sarebbe destinato ad incorrere ogni preteso discorso di fondazione didiritto naturale o di metaetica, all’errore ben più radicale che, seguendo le analisi di Husserl è possibileravvisare nell’impostazione giuspositivistica a partire dalla teoria di Kelsen.Se il primo errore può essere considerato <strong>un</strong> errore <strong>logico</strong> di procedimento o di formalizzazionedel pensiero, il secondo potrebbe essere definito <strong>un</strong> errore fenomeno<strong>logico</strong> o <strong>logico</strong>-trascendentale(secondo la distinzione operata da Husserl tra logica formale e logica trascendentale) perché non tieneconto dello fondo teoretico della norma nel quale è implicata necessariamente il destino dell’interacom<strong>un</strong>ità.2. LA LEGGE DI HUME E LA “FALLACIA NATURALISTICA”Come è noto, <strong>un</strong>a delle principali premesse teoriche dell’etica analitica e del giuspositivismo ingenerale, risiede nella c.d. “Legge di Hume”.Dalla legge di Hume, infatti, si evincerebbe in modo chiaro e inequivocabile – a tal p<strong>un</strong>to cheessa viene definita come <strong>un</strong>a legge e non <strong>un</strong>a teoria – l’assoluta distinzione, separazione e autonomialogica tra l’essere e il dover essere, ovvero tra la natura e l’artificio, fattualità e normatività, fatti e valori,descrizioni e prescrizioni, tra le cose che sono e quelle che dovrebbero essere.Non è inutile ricordare che tale legge, ascritta al pensiero di Hume, trova il suo riferimentoletterale in <strong>un</strong> passo della prima sezione della terza parte del suo Trattato sulla natura umana (dedicata,nell’ambito del discorso morale, sull’origine dei vizi e delle virtù) dove il pensatore scozzese scrive:“In ogni sistema di morale in cui finora mi sono imbattuto, ho sempre trovato che l'autore per<strong>un</strong> po' ragionando nel modo più consueto e afferma l'esistenza di Dio, o fa delle osservazionisulle cose umane; poi, tutto a <strong>un</strong> tratto, scopro con sorpresa che al posto delle abituali copule ‘è’e ‘non è’ [is or is not] incontro solo delle proposizioni che sono collegate con <strong>un</strong> ‘deve’ o <strong>un</strong> ‘nondeve’ [ought, or an ought not]; si tratta di <strong>un</strong> cambiamento impercettibile, ma che ha, tuttavia,la più grande importanza. Infatti, dato che questi ‘deve’ e ‘non deve’ esprimono <strong>un</strong>a nuovarelazione o <strong>un</strong>a nuova affermazione, è necessario che siano osservati e spiegati... ma poiché gli1


Autori non seguono abitualmente questa precauzione, mi permetto di raccomandarla ai lettori,e sono convinto che <strong>un</strong> minimo di attenzione a questo riguardo rovescerà tutti i com<strong>un</strong>i sistemidi morale e ci farà capire che la distinzione tra il vizio e la virtù non si fonda semplicementesulle relazioni tra gli oggetti e non viene percepita mediante la ragione” 1Quello che viene den<strong>un</strong>ciato da Hume in questo passo è <strong>un</strong> vero salto <strong>logico</strong> e argomentativo,<strong>un</strong>’inspiegabile, misteriosa ed ingiustificata traslazione semantica dall’is all’ought. Il cambiamentoimpercettibile dall’is all’ought costituisce in realtà <strong>un</strong> fatto sovversivo, giacché, la ragione, conversa al vero efalso delle cose e d<strong>un</strong>que alla logica assertoria dominata dall’is, non avrebbe affatto il potere dideterminare che cosa dovremmo fare, la sfera dell’ought 2 .Per Hume, infatti, l’ought, il dovere – reale movente delle azioni e dei comportamenti umani -non sarebbe da rinvenirsi nella ragione e nella sua pretesa di conoscenza delle cose – la ragione comediscovery of truth and falshood–, ma nelle passioni, nelle volizioni e negli impulsi, i quali, al modo dellequalità secondarie, d<strong>un</strong>que come i colori, il caldo e il freddo, non sono qualità delle cose ma percezionidella mente, impressioni, sentimenti: per cui <strong>un</strong>'azione virtuosa o viziosa è tale non in forza di <strong>un</strong>giudizio razionale sulla verità o falsità delle cose, ma solo perché si accompagna ad <strong>un</strong> sentimento dipiacere o dispiacere 3 . La ragione, proprio quale tentativo di ricercare la verità e falsità delle cose comeesse sono, non può impedire <strong>un</strong>'azione <strong>un</strong>a passione o <strong>un</strong>a volizione, rispetto a queste, che nonpossono essere né vere né false, è solo <strong>un</strong>a spettatrice muta ed esterna 4 .Tuttavia, solo in seguito, la den<strong>un</strong>cia di Hume è divenuta <strong>un</strong> vero e proprio divieto e d<strong>un</strong>que <strong>un</strong>alegge sul piano <strong>logico</strong>.La locuzione “Legge di Hume” deriva infatti da esiti di ricerca del secolo scorso, in particolaredalla formulazione fornita da Poincarè secondo cui da premesse indicative (espresse al mododell’indicativo presente) non è possibile derivare conclusioni imperative 5 . Tale regola logica fu ripresa eulteriormente definita tra gli altri da Hare (oltre che da numerosi altri autori quali ad esempioKalinowski, Bergström e Rescher), secondo il quale, non è possibile ricavare alc<strong>un</strong>a valida conclusioneimperativa da <strong>un</strong> insieme di premesse indicative (e in particolare da <strong>un</strong> insieme di premesse di cuialmeno <strong>un</strong>a non sia a sua volta imperativa) 6 .La legge di Hume, asserisce d<strong>un</strong>que che, dal p<strong>un</strong>to di vista meramente <strong>logico</strong>, non è possibilederivare da ciò che è – la sfera dell’is – ciò che dovrebbe essere – la sfera dell’ought – e che, d<strong>un</strong>que, nonè possibile trovare <strong>un</strong> passaggio sul piano sillogistico, deduttivo o induttivo dalle preposizionidescrittive a quelle prescrittive, dai giudizi assertori sulla natura delle cose espressi mediante l’è copulasul modello soggetto/predicato, a giudizi imperativi che esprimono obblighi o comandi sul modello Adeve B.Il tentativo, viceversa, di voler derivare il dover-essere dall’essere, costituirebbe <strong>un</strong>macroscopico errore <strong>logico</strong>-giuridico, <strong>un</strong>a vera e propria “fallacia” di cui soprattutto il giusnaturalismopremoderno sarebbe responsabile e che in particolare Moore, a partire dalle analisi contenute nei suoiscritti dei primi del ‘900, avrebbe individuato essenzialmente nel tentativo di considerare il bene come <strong>un</strong>oggetto naturale, descrivibile dalla fisica o dalla metafisica, d<strong>un</strong>que dotato di proprietà sensibili osoprasensibili, correlabile alla sfera dell’essere anziché dipendente dal puro giudizio valutativo 7 .In particolare, Moore asserisce che il bene è in sé indefinibile perché, s’accompagna allefluttuazioni dei nostri giudizi su ciò che è buono e da qui deriverebbe l’impossibilità logica di porlo incorrelazione con altri termini per addivenire ad <strong>un</strong> giudizio di verità o falsità. Che qualcosa “sia buono”,1 Cfr. D. Hume, A treatise on human nature, trad. it., Trattato sulla natura umana, Laterza, Bari 1971, parte III, sezione I, I.2 Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, cit., III, I, I, p. 434; cfr. D. Hume, Ricerca sull’Intelletto umano, Laterza, Bari 1996,p.123ss.3 Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, cit., III, I, 1, p. 496.4 Cfr. D. Hume, Trattato sulla natura umana, cit., III, I, 1, p. 436.5 Cfr. H.J. Poincaré, La morale et la science, in "Foi et Vie", n. 13, pp. 323-29, in H.J. Poincaré, Dernières Pensées, Flammarion,Paris, trad. it. in Opere epistemologiche, Piovan, Abano Terme 1989, vol. II, cap. VIII.6 Cfr. R. M. Hare, The Language of Morals, trad. it. Il linguaggio della morale, Ubaldini, Roma 1968, p.37.7 Cfr. G. E. Moore, Principia ethica, Bompiani, Milano 1964, p. 51ss..2


d<strong>un</strong>que, non significa secondo Moore che esso possieda <strong>un</strong>a proprietà ontologica denominata “bene”rintracciabile in sfere sensibili o metasensibili e sia perciò omogeneo all’essere o natura delle cose 8 .Pertanto, stando ad <strong>un</strong>a lettura estensiva della legge, né dall’essere delle cose, né dall’essenzadell’uomo o da quella divina, neppure dallo stato di natura in cui emergerebbe il regime prepolitico epregiuridico tra gli uomini, è possibile derivare con certezza logica e d<strong>un</strong>que fondare dal p<strong>un</strong>to di vistateoretico, doveri, obblighi, permessi facoltà e divieti, l’intera sfera deontologica (la sfera logicaimperniata sul deomai verbo medio che esprime il “si deve”) che si addensa nel corpus politico, nellasocietà civile o stato di diritto.3. L’AUTONOMIA DEL DOVER ESSERE RISPETTO ALL’ESSERE: LA POSIZIONE DI KELSENStando, d<strong>un</strong>que, alle elaborazioni della Legge di Hume, tra essere e dover essere vi sarebbe <strong>un</strong>oiato, <strong>un</strong> intervallo incolmabile, <strong>un</strong>a cesura che ness<strong>un</strong>a formulazione di diritto naturale potrebbericucire: essi corrispondono a due logiche diverse e autonome, a radici distinte della realtà e dellaricerca. E così ontologia, teologia, scienze naturali, scienze antropologiche e sociologiche, comecoerentemente espresse Kelsen, non possono costituire alc<strong>un</strong> fondamento teorico certo per la scienzagiuridica, ness<strong>un</strong>a valida premessa per determinare ciò che la legge impone e dispone. Se qualcosa èvalido è perché <strong>un</strong>a norma prevede che debba essere valido 9 .Senza qui affrontare la sterminata e complessa letteratura sul giuspositivismo 10 , possiamobrevemente dire che specie su questa premessa, il diritto positivo ha tentato di guadagnare autonomiarispetto alla sfera del tradizionale diritto naturale, distinzione dialettica rispetto al frastagliato territoriodella morale e dell’etica cognitiva, dignità autosufficiente rispetto ai tentativi di inglobamento da partedella sociologia applicata e dell’economia politica 11 . In particolare, il c.d. normativismo – teoria secondola quale il diritto non sarebbe altro che <strong>un</strong> insieme coerente di norme, dato che la giuridicità di <strong>un</strong> entedipende dal fatto che <strong>un</strong>a norma sotto determinati aspetti vi si riferisca (così come ad esempio l’eventodella morte ha rilevanza giuridica per il fatto che norme ad esempio sulla premorienza e sul testamento,vi si riferiscono) – ha tentato di individuare <strong>un</strong> fondamento autonomo, <strong>un</strong> criterio diautolegittimazione, di validità interna, <strong>un</strong> principio auto<strong>logico</strong> del diritto rispetto alle altre sfere,identificandolo variabilmente con la pura volontà del sovrano (normativismo volontaristico), con <strong>un</strong>anorma fondante (normativismo formalistico), con la compresenza di volontà politica e norma fondante(normativismo realistico) 12 .E’ in ogni caso Kelsen, che più di ogni altro, ha sostenuto e teorizzato nell’arco della suamovimentata ricerca, di consolidare la “Legge di Hume” e tradurla nella radice stessa del problemafilosofico-giuridico, asserendo sotto diversi gradi di motivazione, che la sfera del Sollen, del doveressereavesse dignità autonoma originaria rispetto a quella del Sein dell’essere e che d<strong>un</strong>que il dirittopossedesse <strong>un</strong>a sua radice logica del tutto distinta, insuscettibile di declinarsi per soggetti e predicati sulmodello della logica apofantica 13 , ma tutta sospesa sul nucleo teoretico dell’ “obbligo” e del “comando”,ovvero della “coercizione”, sulla reciprocità logica dovere/imperio idonea a tradurre il rapportogovernanti/governati sotto lo specifico profilo dello Stato di diritto.In particolare, il Diritto sarebbe costituito da <strong>un</strong> coerente Stufenbaufolgen – costruzione a gradi – apartire da <strong>un</strong>a Gr<strong>un</strong>dnorm – <strong>un</strong>a norma fondante – sino agli ultimi dettagli costituiti da proposizioni8 Cfr. G. E. Moore, Principia Ethica, Cambridge, trad. it. Bompiani, Milano 1964, p.51ss.; Cfr. G. Carcaterra, Il problema dellafallacia naturalistica, Giuffrè, Milano 1969, pp. 227 ss.9 Crf. ad es. Kelsen, Allgemeine Theorie der Normen, trad. it., Teoria generale delle norme, Einaudi, Torino 1960, p.283.10 Cfr. in Italia oltre ai già citati contributi di G. Carcaterra, N. Bobbio, Giusnaturalismo e cognitivismo giuridico, Giappichelli,Torino 1961; cfr. U. Scarpelli, Cos’è il positivismo giuridico, Ed. La Com<strong>un</strong>ità, Milano 1965; cfr. sulle radici anglosassoni delconcetto M.A. Cattaneo, Il positivismo giuridico inglese. Hobbes, Bentham e Austin, Giuffré, Milano 1962.11 Cfr. in particolare Kelsen, Tra metodo giuridico e socio<strong>logico</strong>, Guida, Napoli 1974.12 Cfr. G. Carcaterra, Lezioni di Filosofia del Diritto, Bulzoni, Roma 1996.13 Kelsen ha sempre sostenuto che la logica formale rispondente alla domanda sulla verità-falsità dell’asserzione, siaincompatibile con l’essenza del dovere, d<strong>un</strong>que, con la logica giuridica la quale per lo più è posta in relazione alla questionenon tanto sul “cosa devo fare”, ma sul dover-essere in quanto imperativo ipotetico. Cfr. spec. Kelsen, AllgemeneTheorie derNormen; trad. it. Teoria generale delle norme, Einaudi, Torino 1985, p.290.3


giuridiche (atti normativi espressi nell’ambito delle c.d. fonti del diritto) o, secondo la distinta teoria diMerkl, da <strong>un</strong>a pluralità eterogenea di fonti normative anche diverse rispetto alla Legge dello Stato,come i contratti, le sentenze dei giudici o gli atti amministrativi 14 .Oltre questi ultimi dettagli di grado nella costruzione dell’Ordinamento o del Sistema giuridico,lì dove s’attesta il confine, s’affaccia il non-diritto, l’extra-giuridico, la morale e le pres<strong>un</strong>zioni del dirittonaturale, l’etica e la politica, l’economia e la scienza in generale. La norma fondante è in realtà <strong>un</strong>trascendentale in senso kantiano, pure <strong>un</strong> trascendentale regolativo (secondo l’uso regolativo dellaragione), d<strong>un</strong>que, non <strong>un</strong>a realtà ma <strong>un</strong>a condizione, la condizione pratica di possibilità secondo cui<strong>un</strong>’intera com<strong>un</strong>ità deve obbedire: la Gr<strong>un</strong>dnorm è <strong>un</strong> als ob, <strong>un</strong> come se, come se l’intera com<strong>un</strong>ità dovesseobbedire, fosse pre-disposta all’ascolto e all’obbedienza delle norme, le quali, a loro volta, possono dirsivalide in quanto efficaci 15 , in quanto cioè, a partire dalla previsione di <strong>un</strong>a sanzione, si ponessero comeeffettive ed efficaci per la com<strong>un</strong>ità medesima.Il circolo di autosufficienza del diritto è così d<strong>un</strong>que posto: dalla norma fondante che è puraforma o pura finzione trascendentale, seguono (nel senso proprio del folgen) le altre norme secondo igradi e i sussulti dell’ordinamento, le quali, di rimando, trovano la loro validità nella loro effettiva efficacianel rivolgersi alla com<strong>un</strong>ità giuridica destinataria (stato di diritto / cittadinanza). La norma fondante èd<strong>un</strong>que pura forma, condizione originaria, fantasma di finzione per <strong>un</strong>a attuale ed efficace vitaassociata. La com<strong>un</strong>ità è avvolta dal senso del dovere, permeata dalla forma dell’obbedienza, agitatacome specificò Olivecrona da <strong>un</strong>a vera e propria fedeltà attiva alla costituzione 16 . Solo nel p<strong>un</strong>to disutura più alto dell’Ordinamento, e in particolare, per la fase prevalente della teorizzazione di Kelsen apartire dal 1922, nello Stato è possibile scorgere <strong>un</strong>a sorta di essere del dovere, laddove però il termineessere non ha alc<strong>un</strong>a valenza sensibile e si limita al significato di esser posto dal pensiero 17 .Questa forma è poi dettagliatamente scandita da norme imperative - o costitutive secondo lavariante scandinava/anglosassone radicata anche in Italia 18 -, da norme che costituiscono contenutideontici (obblighi, permessi, divieti, facoltà, libertà), ma anche che, secondo altri autori del medesimoambito teorico, definiscono (ad es. quale sia la maggiore età), attribuiscono status (requisiti per rivestirelo status ad es. di senatore o di inabilitato), organizzano o istituiscono (ad es. organi, enti o uffici).A parte l’ass<strong>un</strong>to di Kelsen secondo il quale tutte le categorie di norme che altri studiosinormativisti hanno elaborato possono ridursi a norme imperative perché impongono com<strong>un</strong>quecomandi nei confronti di specifici destinatari (come ad es. a coloro che devono organizzare gli uffici nelmodo prescritto, o a coloro che devono attribuire o riconoscere <strong>un</strong> determinato status 19 ), l’attenzioneche qui si vuole porre è la natura della norma giuridica così come sarebbe stata scolpita precisata edefinita sulla scia dello sfruttamento teoretico della Legge di Hume.Per Kelsen, infatti, la norma è essenzialmente proposizione coercitiva, che esprime <strong>un</strong> comandoper effetto di <strong>un</strong>a sanzione, e non ha, nel suo nucleo epicentrale, alc<strong>un</strong> contenuto valutativo o descrittivo;d<strong>un</strong>que non ha bisogno di essere ulteriormente giustificata, né può trovare sostegno nell’essenza dellecose, nella verità, in rilievi psicologici o sociologici 20 .14 Ed è questa <strong>un</strong>a delle differenze specifiche tra la St<strong>un</strong>fenbaulehre des Rechts di Kelsen e quella, forse addirittura antecedente,di Merkl. Per Kelsen, come è noto, infatti, <strong>un</strong>ica fonte del diritto strettamente inteso, è la legge dello Stato. Per Merkl,viceversa, come ben riassume Patrono, la Stufenbaulehre è “<strong>un</strong> processo continuo discendente dal generale al particolare in cuitanto il negozio di diritto privato che l’atto amministrativo vengono concepiti come fonti del diritto poste tra l’ipotesilegislativa e la pron<strong>un</strong>cia giudiziale (immediatamente mediando l’atto coattivo)” (Patrono, Presentazione a A. Merkl, Il duplicevolto del diritto; il sistema del diritto e altri saggi, Milano 1987, pp.51-57; e cfr. A. Merkl, cit., p.98ss.).15 Cfr. H. Kelsen, Allgemeine Theorie des Normen, p. 164ss e 212ss.; trad. it. Teoria generale delle norme, Einaudi, Torino 1960,p.268ss.16 Cfr. K. Olivecrona, La struttura dell’ordinamento giuridico, Etas Kompass, Milano 1972.17 Cfr. H. Kelsen, Der soziologische <strong>un</strong>d der juristische Staatsbegriff. Kritische Untersuch<strong>un</strong>g des Verhältnis von Staat <strong>un</strong>d Recht, MohrSiebeck, Tuebingen 1928, p.76s. e cfr. spec. G. Stella, Stato e Scienza, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1997, p.14s.18 Cfr. spec. A. Ross, Imperativi e Logica, in Critica del diritto e Analisi del Linguaggio, Il Mulino, Bologna 1982, p.73ss; cfr. H.L.A.Hart, Il concetto di diritto, Einaudi, Torino 1960; e cfr. R. Guastini, Teoria delle regole costitutive, in «<strong>Rivista</strong> internazionale diFilosofia del Diritto» 1983, p.548ss.19 Cfr. H. Kelsen, Una teoria fenomnologica del diritto, Guida, Napoli 1990, p.69ss.; cfr. H. Kelsen, Teoria generale delle norme, cit., p.350ss.20 Cfr. ad. es. H.L.A. Hart, Positivism and the separation of Law and Morals, trad. it. in Contributi all’analisi del diritto, Giuffré,Milano 1964.4


4. IL CONTENUTO DELLA NORMA: KELSEN CONTRO HUSSERLAnche se inizialmente la posizione di Kelsen non può dirsi del tutto disomogenea ad alc<strong>un</strong>etracce teoriche aperte da Husserl specie nelle Ricerche Logiche 21 in particolare in merito al rifiuto dellopsicologismo entro le dinamiche della scienza logica, <strong>un</strong>a divergenza chiara appare sia in merito allaconcezione della norma in sé considerata, soprattutto sul piano nomodinamico della Normier<strong>un</strong>g, cioèdella «normazione»: l’atto costitutivo dal quale la norma trarrebbe la sua genesi profonda e forse quindianche la sua legittimazione ultima.Dalla teoria di Kelsen, in particolare, come Schmitt ha avuto chiaramente modo di contestare, lenorme vengono definite e descritte in modo prettamente impersonale, come se elementi volitivi,percettivi, nel senso di Husserl intenzionali, non vi appartenessero.Eppure, dal momento che la norma, come scrive Schmitt, “non può applicarsi, attuarsi oeseguirsi da sola” 22 , la sua esistenza (d<strong>un</strong>que la sua validità e la sua efficacia), implica l’atto intenzionale“decisivo” di <strong>un</strong> soggetto: il quale ne concretizza, ricostituendolo ogni volta di nuovo, il nucleo regolativo.Ancor prima, sorge la questione del perché adottare determinate norme piuttosto che altre; ilcriterio del se, quando e perché, ad esempio, approvare <strong>un</strong>a legge da parte di <strong>un</strong> Parlamento: laquestione cioè di quali doveri imporre o, secondo la logica delle regole costitutive, quali percorsi istituire.Per Kelsen, come è noto, questa domanda non ha effettivamente senso, in quanto l’<strong>un</strong>ico orientamentoper il porsi della norma è il sistema giuridico stesso, lo Stato di diritto a partire dalla Costituzione (o, inprecedenza, dall’Ordinamento giuridico internazionale) – in ogni caso potremmo dire – il diritto cheprecede e d<strong>un</strong>que vige nella viva coerenza dello Stufenbaufolgen come vera e propria Sovranità 23 : la volontàdell’Ordinamento è il limite giuridico oltre al quale s’attaglia la politica.Per Husserl, la Normier<strong>un</strong>g – intesa qui nel senso di atto che pone, dispone, applica e segue lanorma fino al suo costituirsi ogni volta di nuovo nella coscienza dell’operatore del diritto così come di<strong>un</strong>a com<strong>un</strong>ità destinataria – come ogni atto intenzionale ha <strong>un</strong>o specifico orientamento fenomeno<strong>logico</strong>.La prima traccia di questo orientamento è nella struttura della norma stessa, la quale secondoHusserl non ha soltanto, come pretenderebbe Kelsen, <strong>un</strong> dispositivo di comando, ma anche <strong>un</strong>contenuto teoretico e assio<strong>logico</strong> correlato. La norma per Husserl non poggia cioè su <strong>un</strong> “substratomodalmente indifferente” come sostiene Kelsen 24 , ma implica <strong>un</strong> atto con cui la coscienza afferral’essenza dell’oggetto cui la norma va a riferirsi, nonché la sua valutazione, ovvero l’apprendimento delvalore o disvalore implicito. Vi sarebbero d<strong>un</strong>que così <strong>un</strong>a doppia stratificazione di atti implicati nellaposizione della norma e nella sua validazione dinamica. Nell’atto normativo, per Husserl, v’è <strong>un</strong>intenzionale implicarsi di atto teoretico e atto valutativo 25 . La Normier<strong>un</strong>g è diretta, in altre parole, da <strong>un</strong>aWert-nehm<strong>un</strong>g, da <strong>un</strong>a – letteralmente – apprensione del valore la quale, presuppone, <strong>un</strong>a Wahr-nehm<strong>un</strong>gcioè, “costitutivamente”, <strong>un</strong> rapportarsi al vero 26 ; ne deriva che Ogni norma non è puro atto di volontà,bensì risultante di <strong>un</strong>a “nomogenesi” 27 .Inoltre, nelle proporzioni del pensiero di Husserl, La Wertnehm<strong>un</strong>g non è puramenteconsequenziale alla Wahrnehm<strong>un</strong>g, giacché il nesso che <strong>un</strong>isce i due strati non è la causalità, bensì lamotivazione 28 : l’apprensione del valore è atto costitutivo del valore stesso e non atto puramente21 Cfr. sul p<strong>un</strong>to G. Stella, Hans Kelsen e Edm<strong>un</strong>d Husserl, in «<strong>Rivista</strong> Internazionale di Filosofia del Diritto» LXVI 1989,pp.713-719, ora in Stato e Scienza, cit., p.47ss.22 Schmitt, Le categorie del politico, Il Mulino, Bologna 1972, p.255.23 Cfr. Kelsen, Il problema della sovranità, Milano, Giuffrè 1989.24 Cfr. Kelsen, Teoria generale delle Norme, p.336.25 Cfr. Husserl, Vorles<strong>un</strong>gen ueber Ethik <strong>un</strong>d Wertlehre, 1908-1914, Hua XXVIII, Le Halle 1988, p.5; e cfr. Prolegomena.Cfr. R.Treves, Giudizi di valore e formalismo giuridico, in Riv. Int. di fil. del Dir., 1963, p.426ss..26 Cfr. Husserl, Vorles<strong>un</strong>gen ueber Ethik, cit., p.p.267-268, p.281-282; cfr. Husserl, Logik <strong>un</strong>d allgemeine WissenschaftstheorieVorles<strong>un</strong>gen 1917/1918 mit ergaenzenden Texten aus der ersten Fass<strong>un</strong>g von 1910/1911, Hua XXX, Dordrecht-Boston 1997,p.296ss..27 A. Baratta, Normalità e giuridicità, in Riv. int. fil. del dir., 1960, p.45.28 Cfr. Husserl, Ideen zu einer reinn Phaenomenolog <strong>un</strong>d phaenomenologischen Philosophie. Zweites Buch: Phaenomenologische Untersuch<strong>un</strong>gensur konstitution, Hua IV, Den Haag 1952., p. 212ss., trad. it. Idee per <strong>un</strong>a fenomenologia pura e <strong>un</strong>a filosofia fenomenologica, Einaudi,Torino 1982, p. 607ss. Husserl titola il paragrafo: “La Motivazione come legge fondamentale del mondo spirituale”. Cfr. anche le5


iproduttivo della teoresi svolta 29 ; ogni strato, essendo strato intenzionale, ha, pertanto, <strong>un</strong>a suaautonomia. In questa, complicazione di atti, retta dalla bilateralità Wahrnehmen-Wertnehmen, si ha, allora,che “nell’<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong> cogito si intreccia intenzionalmente <strong>un</strong> duplice cogito” 30 l’<strong>un</strong>o che afferra l’essenzadella cosa e l’altra che apprende il valore in essa implicitato. Nella norma ad esempio che pone adesempio <strong>un</strong> divieto e <strong>un</strong>a sanzione per l’ipotesi di corruzione, è implicito l’atto che coglie l’essenza dellacorruzione e, in particolare, della fattispecie o fatto-tipo che integra il fenomeno in concomitanza con ildisvalore che vi si associa. Kelsen risponderebbe che l’essenza della corruzione ed il disvalore associatoproviene dallo stesso suggerimento normativo e non viceversa: la corruzione è <strong>un</strong> disvalore perché <strong>un</strong>anorma lo impone nel divieto sanzionatorio; nell’esempio contestato: il giudizio di valore «soltanto <strong>un</strong>guerriero valoroso è per essenza <strong>un</strong> buon guerriero» presuppone per Kelsen la validità della normasecondo cui «<strong>un</strong> guerriero deve essere valoroso» 31 .Kelsen critica Husserl per il fatto di porre, in questo modo, all’interno della normapositivamente espressa, “<strong>un</strong> raddoppio illecito di proposizioni, <strong>un</strong>a assertoria e l’altra prescrittiva” 32 , ilche, afferma Kelsen, condurrebbe “a contraddizione poiché l’asserzione è vera o è falsa” 33 .In base alla distinzione tra Sein e Sollen e tra is e ought sancita dalla Legge di Hume, l’illecitoraddoppio interverrebbe, infatti, per Kelsen, tra Rechtssätze (proposizioni di diritto che descrivono) eRechstnormen (norme di diritto che prescrivono), tra Seinsätze (proposizioni che pongono <strong>un</strong> essere) eSollsätze (proposizioni che pongono <strong>un</strong> dover-essere). Per Kelsen, vi sarebbe, in altre parole,<strong>un</strong>’ingiustifcata mescolanza di descrizione, valutazione e prescrizione all’interno della norma 34 che, inquanto giuridica, dovrebbe essere <strong>un</strong>icamente prescrittiva 35 .Per Husserl, di contro, <strong>un</strong>a pura prescrittività non significa nulla, giacché il normativo sicostituisce a partire dagli atti intenzionali, cioè dalle cose che si offrono alla coscienza, dalle proprietàfenomenologiche o meglio dalle possibilità a priori individuate nell’essenza del mondo come correlato dicoscienza. Non vi è d<strong>un</strong>que <strong>un</strong> essere già dato, sensibile, che si appresterebbe a venire definito in modo<strong>logico</strong> formale secondo criteri di verità o falsità, né di valutazione puramente descrittiva: l’essere delmondo è già in bilico nella responsabilità della coscienza che vi si correla e, a sua volta, lo costituiscenella corrente dei suoi vissuti. Termini come Stato, Patria, Popolo, Nazione, den<strong>un</strong>ciava in questo sensoHusserl, non hanno alc<strong>un</strong> senso se non vengono ricostituiti come correlati di coscienza, così come loStato, secondo il suo allievo Fritz Sänder costituiva soltanto l’oggetto intenzionale ultimo (il noema) diatti di coscienza orientati, e d<strong>un</strong>que sfondo dell’esperienza del diritto 36 .In questo senso, Kelsen, nel promuovere l’esplicita accusa a Husserl, si muove sul piano criticolimitato della logica formale 37 . L’atto teoretico viene cioè inteso come <strong>un</strong> illecito raddoppio perchèanalisi compiute sul p<strong>un</strong>to da B. Rang, Kausalitaet <strong>un</strong>d Motivation. Untersuch<strong>un</strong>g <strong>un</strong>ter Verhaeltnis zwischen Perspektivitaet <strong>un</strong>dObjektivitaet in der Phaenomenologie Edm<strong>un</strong>d Husserls, Den Haag 1973.29 Cfr. Husserl, Vorles<strong>un</strong>gen ueber Ethik <strong>un</strong>d Wertlehre, cit., pp.262-268: mentre la Ragion Valutante (wertende Vern<strong>un</strong>ft) ècoscienza che costituisce le oggettività del valore, la Ricerca Teoretica (theoretische Forschu<strong>un</strong>g) non conduce propriamente aness<strong>un</strong> valore.30 Husserl, Ideen, vol. I, p.79.31 Cfr. Kelsen, Teoria generale delle norme, cit., p.283; cfr. G. Stella, Hans Kelsen e Edm<strong>un</strong>d Husserl, cit., p.49ss.32 H. Kelsen, ib., p.265: mentre, infatti, “l’asserzione -scrive Kelsen- è vera o falsa”, per cui “non vuole essere osservata”, “lanorma deve essere osservata”33 Kelsen, Teoria generale delle Norme, p.334: critica analoga Kelsen aveva rivolto a Joergensen, il quale sosteneva che la normacontenesse <strong>un</strong> fattore indicativo immanente all’imperativo, tale per cui fosse applicabile il ragionamento <strong>logico</strong> perdeduzione (cfr. pp.324-333).34 Probabilmente, come rilevano Alchourron e Bulygin, Kelsen mostra di confondere “concetto iletico” e “concettoespressivo” di “norma”. La confusione interverrebbe, cioè, tra Norma come norma socialmente “esistente” (concettoesistenziale di norma), cioè come norma contingente e norma come “proposizione logica” (concetto <strong>logico</strong> di norma): cfr.C. Alchourron-E-Bulygin, The expressive conception of norms, New studies in deontic logic, Dordrecht 1981, p.95-124. Anchesecondo Hartney, Kelsen confonderebbe tali sfere concentrandosi (o dicendo di concentrarsi) solo sulla prima, cioè sullanorma in quanto particolare entità e norma come senso di <strong>un</strong>a proposizione: cfr. M. Hartney, The confusion in Kelsen’s finalrejection of a logic of norms, in Praktische Vern<strong>un</strong>ft, Gesetzgeb<strong>un</strong>g <strong>un</strong>d Rechtswissenschaft, in Archiv für Recht- <strong>un</strong>d Sozialwissenschaft1993, p.77ss.).35 Cfr. spec. Kelsen, Una Teoria fenomenologica del diritto, Napoli 1990, p.46s. e pp.85-87.36 Cfr. F. Sander, Sui compiti di <strong>un</strong>a teoria realistica del diritto, in Riv. Internaz. di fil. del dir., 1924.37 Sembra che Kelsen, infatti, abbia presente solo le Ricerche Logiche e considera in esse solo il p<strong>un</strong>to di vista, se così si puòdire, analitico formale delle proposizioni. Non è tenuta in considerazione il versante propriamente fenomeno-<strong>logico</strong>, di cui,6


assimilato ad <strong>un</strong>a formulazione dell’essere e ad <strong>un</strong>a posizione di valore. Eppure il coglimento dell’essenza(quello che Husserl riprendendo la terminologia greca inerente al vedere della coscienza chiama “eidos”)non rientra per Husserl nella logica formale, ma in quella trascendentale: l’<strong>un</strong>a è “analitica apofantica” e“logica della conseguenza” (fondata sul principio di non contraddizione); l’altra è logica che apre allatrascendenza del vero come <strong>un</strong>ità intenzionale possibile; è, cioè, app<strong>un</strong>to, logica “trascendentale”.5. DALLA LOGICA FORMALE ALLA LOGICA TRASCENDENTALE: LA RISPOSTAFENOMENOLOGICA A KELSENL’evidenza <strong>logico</strong> trascendentale non è, per Husserl, affatto riducibile alla pres<strong>un</strong>ta evidenza deigiudizi analitici formali: questi ultimi, anzi, non sono di per sé in grado, secondo Husserl, di fondarealc<strong>un</strong>a evidenza. L’analitica formale, infatti, è confinata nei ristretti spazi della proposizione, non opera,cioè, aldilà del segmento “s è p”: essa, allora, non è affatto in grado di mostrare l’evidenza dellaproposizione stessa, giacché essa prescinde dalla connessione formale dei termini e rinvia all’atto diesperienza sottostante. Poiché infatti l’analitica formale “ha che fare solo con le forme dei giudizi possibilie delle possibili verità”, afferma in questa direzione Husserl, “il giudizio non-evidente e quello evidentesi offrono sullo stesso piano” e per questo motivo può dirsi che “la via logica ingenua e positiva è la vianaturale” 38 .Entro la proposizione analitica “S è P” non vi è modo di sapere se “S è P” sia evidentemente veroo falso per <strong>un</strong>a coscienza giudicante. Ciò che fonda questa eventuale evidenza è il sottostante giudizio diesperienza, l’originale prensione del nesso in ordine al quale “S è P” è esprimibile. Allora, vi è <strong>un</strong> giudizio diesperienza dal quale originerebbe, nella sua evidenza possibile, il giudizio apofantico stesso.In questo senso, per Husserl, “il giudizio di esperienza, è il giudizio dell’origine” 39 . Esso è,infatti, afferma Husserl “il modo di giudizio geneticamente più originario” 40 in quanto trova terrenonon sulla forma <strong>logico</strong> analitica, ma in quella “evidenza interpredicativa” che per Husserl èl’“Erfahr<strong>un</strong>g” 41 , o, ancora, in quell’ “A-priori della correlazione” 42 , sintetico ed <strong>un</strong>iversale, su cui Husserl sisoffermerà nella Krisis 43 .Data la sospensione operata mediante l’epoché, la descrizione ingenua e naturalistica sull’esseredel mondo, così come il “<strong>logico</strong>” presupporre che vi sia “<strong>un</strong> mondo reale pensato come già dato” è,infatti, stata compressa tra parentesi 44 .come è noto, la sesta ricerca costituisce probabilmente il luogo più intenso. Anche nelle Lezioni sull’etica e la Dottrina del Valoredel 1908, dove si discute il parallelismo tra logica e etica, solo <strong>un</strong>a parte è per la verità dedicata al rapporto tra assiologiaformale e logica formale; essa va riconnessa alle altre parti in cui il parallelo scorre, piuttosto, tra “ragion pratica” e “ragionteoretica” affinché si comprenda in profondità la prima. In Logica formale e trascendentale, il differenziale tra le due sfere, comevedremo, è sistematicamente tracciato.38 Husserl, Formale <strong>un</strong>d transzendentale Logik, Hua XVII, Den Haag 1974, trad. it. Logica formale e trascendentale, Laterza, Bari1966, p.262.39 Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., p.262.40 Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., p.271.41 Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., p.274.42 Per Apriori della Correlazione Husserl intende in generale, come sottolinea la Miskiewicz, la correlazione tra Verità eOggettità e, più specificatamente, “la correlazione tra l’oggetto in specie (identico nella molteplicità delle sue apparizioni enell’<strong>un</strong>ità della sua connessione teorica) e l’oggetto che noi viviamo nella situazione del significare... allorché noi en<strong>un</strong>ciamosulla cosa attraverso la significazione”: W. Miskiewicz, La sphinx de la connoissance; Husserl et l’enigme de l’apriori corrétionnel, inRevue de Métaphysique et de Moral n.99, 1994, p.359. Apriori della correlazione significa, allora, come mette in rilievo AlesBello, “storicizzazione del trascendentale”, il quale viene ogni volta costituito “dalla dialettica finito-infinito” e, che nellatendenza ad abbracciare tutte le cose, a circoscriverle e co mprenderle, si fa esperienza “<strong>un</strong>a vita all’interno di <strong>un</strong> “mondo””:A. Ales Bello, L’oggettività come pregiudizio, Roma 1982, p.57 e pp.102-103.43 Husserl, Die Krisis der europaeische Wissenschaften <strong>un</strong>d die transzendentalen Phaenomenologie. Eine Einleit<strong>un</strong>g in die phaenomenologischePhilosophie, Hua VI, Den Haag 1954, trad. it. La crisi delle scienze europee, Il Saggiatore, Milano 1997, pp.186-188.44 Husserl, Logica formale e trascendentale, cit., pp.276-279: La logica formale, infatti, afferma Husserl, si riferisce ad <strong>un</strong> mondoreale, del tutto ovvio, già dato nella forma e nella materia, naturale: tale “presupposto ingenuo-scrive Husserl- schiera la logica tra lescienze positive”.7


Non d<strong>un</strong>que l’accordo formale basato sul principio di non contraddizione, ma il “vissutodell’accordo” è la radice dell’evidenza 45 . Radice dell’evidenza significa, ancora, genesi intenzionale 46 , raggioche proviene da <strong>un</strong>a coscienza, è attenzione specificatamente apprestata da <strong>un</strong>a coscienza 47 .Nella logica formale manca ogni riferimento all’origine, cioè all’<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a coscienza con il suooggetto intenzionale 48 ; giacché ogni proposizione formale, con i suoi Soggetti e Predicati, “con tutti isimboli letterali che intervengono nell’<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>a connessione formale, contiene il presuppostoocculto che in questa connessione i Soggetti e i Predicati, ecc. abbiano materialmente «a che vedere l’<strong>un</strong>ocon l’altro»” 49 . La logica formale presuppone, cioè, afferma Husserl, dandola per scontato, l’<strong>un</strong>ità di <strong>un</strong>mondo oggettivo già dato. E, in questo senso, afferma Husserl, essa è destinata ad essere <strong>un</strong>a delle tantescienze positive.L’<strong>un</strong>ità che invece è necessario considerare, è <strong>un</strong>a <strong>un</strong>ità apriorica, ma non apriorica formale: sitratta, afferma Husserl, “di <strong>un</strong> nuovo a priori «sintetico» o, per esprimerci in modo più determinato, di<strong>un</strong> a priori del «nucleo» (kernhaft), <strong>un</strong> a priori materiale (sachhaltig) e -più esattamente- <strong>un</strong> a priori<strong>un</strong>iversale...” 50 , che antecede e costituisce il mondo come “senso”.“In virtù di questa <strong>un</strong>ità costituente “del” mondo, quelli che vengono definiti “significatioggettivi”, sono destinati a risalire, per così dire, la corrente del vissuto intenzionale in modo“retrospettivo” fino ad essere assorbiti dall’intenzione significante dalla quale provenivano: l’intenzionesignificante, in questo modo, nella sua mobilità, rende il significato infinito.Non vi è <strong>un</strong>a ragione che coglierebbe l’oggettività del mondo, che coglierebbe l’is per poitrasporlo in ought. I significati impliciti nelle cose fluttuano incessantemente 51 : ma “il fluttuare deisignificati -afferma Husserl- è al contempo <strong>un</strong> fluttuare del significare” stesso 52 .V’è sotto ogni giudicare, <strong>un</strong>a coscienza che “prendendo di mira il mondo come orizzonte”,tiene insieme questa <strong>un</strong>ità originaria mobilitandola come linguaggio e come discorso 53 . Sotto algiudicare, come sua condizione di possibilità “logica”, scorre la Welterfahrendes Leben, l<strong>un</strong>go la qualeaffiora l’essenza come “invariante” e come “fenomeno” 54 . “Tutte le dipendenze-di-valore(Wertabhängigkeiten), gli influssi di valore (die Wertbeeinflussigen), tutte le relazioni proporzionali tra Valoriin-sé(Selbstwerten) e Valori-intermedi (Mittelwerten), e gli accrescimenti di valore (die Wertsteiger<strong>un</strong>gen) -afferma Husserl- si fondano puramente sull’Apriori, cioè sull’Essenza” 55 , la quale è Possibilità Ideale,Prensione Intuitiva, Telos 56 . Così, afferma Reinach, la proposizione del giurista “può essere -nel sensoteleo<strong>logico</strong>- ‘corretta’ o ‘non corretta’, e, da <strong>un</strong> p<strong>un</strong>to di vista di diritto positivo, ‘valida’ o ‘non valida’,ma vera e falsa logicamente mai”. Contrariamente a quanto sostenuto da Kelsen, allora, “non45 Husserl, Ricerche Logiche, Il Saggiatore, Milano 1988, vol. I, p.196.46 Husserl, Esperienza e Giudizio, Bompiani, Milano 1995, p.295ss. e Logica formale e trascendentale, cit., p.271ss..47 Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., pp.72-74.48 Unità che, d<strong>un</strong>que, è anche <strong>un</strong>ità temporale della coscienza: Cfr. Husserl, Ideen, I, cit. p.246, trad. it., p.365.49 Husserl, Logica formale e trascendentale, p.272.50 Husserl, Logica formale e trascendentale, p.186.51 Husserl, Ricerche Logiche, I, p.358.52 Husserl, Ricerche Logiche, I, p.359. La mancata differenziazione delle lateralità intenzionali (significare-significato, Noesisnoema)è all’origine della confusione in base alla quale il soggetto viene assorbito nell’oggetto e l’oggetto scambiato per leespressioni del soggetto. Così, ad esempio, Bloch esorta a non confondere il giudizio fluttuante, e d<strong>un</strong>que, modificabile, su<strong>un</strong> oggetto fisso, da <strong>un</strong> giudizio fisso su <strong>un</strong> oggetto che, essendo in realtà mobile, manifesta tracce di possibilità: in seguito aquesta confusione, “così -scrive Bloch - il giudizio necessariamente oscillante su <strong>un</strong>o stato di cose obiettivamente definitoviene continuamente equiparato al giudizio assertoriamente definito su <strong>un</strong>o stato di cose obiettivamente oscillante, cioè sullapossibilità obiettivamente presente...”: cfr. E. Bloch, Gli strati della categoria della possibilità, in Filosofi tedeschi d’oggi, Il Mulino,Bologna 1967, p.59.53 In questo senso si può ben affermare, come scrive Mc Guire, che per Husserl “l’origine della logica è la monade stessa:cfr. B. Mc Guire, L’origine monadique de la logique selon Husserl, cit., pp.177ss.; e cfr. Husserl, Esperienza e Giudizio, §11-12; cfr.Husserl, Cart. Med., §44.54 Cfr. Husserl, Esperienza e Giudizio, cit., p.313ss.55 Husserl, Logik <strong>un</strong>d allgemeine Wissenschaftstheorie Vorles<strong>un</strong>gen 1917/1918, cit., p.297.56 Come afferma Ales Bello, allora, l’invarianza dell’eidos non è “proprietà di <strong>un</strong>a verità posta come termine ultimo dacogliere in <strong>un</strong> processo di approssimazione, ma (...) nasce come <strong>un</strong> nostro “modo” di conoscenza (...), nella modalitàdell’Erfuell<strong>un</strong>g...” (A. Ales Bello, l’oggettività come pregiudizio, p.52), la quale, potremmo dire, è intersoggettiva nell’essereteleologica, e viceversa.8


dovremmo perciò poter parlare di <strong>un</strong>a contraddizione vera e propria tra le nostre leggi di essenza e leproposizioni del diritto positivo” 57 .Quando Kelsen nomina la logica formale, intende evidentemente indicare <strong>un</strong>a logica“descrittiva” presupponente <strong>un</strong> mondo reale effettivo come già dato 58 . L’essere che Kelsencontrappone al dover-essere è d<strong>un</strong>que l’essere sensibile già dato 59 , è, come ha ben messo in evidenza laStella, “ancora l’essere kantiano” 60 . Ma questo essere è ciò che Husserl ha inteso mettere tra parentesi(sotto epoché) all’inizio del suo metodo fenomeno<strong>logico</strong>.6. L’INTERSOGGETTIVITÀ COME APRIORI LOGICOInoltre, ciò che Kelsen non considera, come si evince chiaramente dalla sua nozione di rapportogiuridico inteso esclusivamente come il rapporto tra <strong>un</strong> soggetto e l’Ordinamento 61 , è che “la realtàeffettiva e l’apparenza si autorizzano e si rettificano” afferma Husserl, solo nel bilico e nel concorso conaltri 62 . L’essere stesso, come Husserl ha inteso attentamente mostrare l<strong>un</strong>go moltissimi suoi scritti,specie raccolti nei tre volumi della sua opera sotto il titolo Zur Phänomenologie der Intersubjektivität, è <strong>un</strong>asfera di ricostruzione intersoggettiva, il tessuto fenomeno<strong>logico</strong> profondo del mondo è continuamente larisultante della implicazione delle coscienze del quale ogn<strong>un</strong>o ha prospettiva e percezione.Per questo motivo, anche l’essenza teoretica non è da intendersi come essenza geometrica pura,ma come “essenza inesatta” 63 , non come idea “nel senso kantiano” 64 , ma come contenuto compreso e contesotra <strong>un</strong>a pluralità di Intuizioni. Il mondo è, per Husserl, “mondo-per-ciasc<strong>un</strong>o”, il cui senso d’essere èincessantemente ricostituito.Il mondo, scrive Husserl, “si comprova nella mia intenzionalità”, la quale “presuppone che ognialtro, come tale, consegni nello mio flusso di coscienza il proprio senso e la propria validità, presupponecioè “il fatto che l’altro è là «di fronte a me» con il suo corpo vivo e con la sua vita propria, e cheanch’esso a sua volta ha di fronte me, che io per lui - con la mia vita intera, con tutti i miei modi dicoscienza e gli oggetti che valgono per me - sono <strong>un</strong> alter ego, come egli lo è per me; e altresì ogni altroper ogni altro, in modo che il «ciasc<strong>un</strong>o» acquista <strong>un</strong> senso...” 65 .Questo rilievo, potremmo dire senza ulteriormente dil<strong>un</strong>garci nella discussione, costituisce perHusserl, lo specifico Apriori materiale della Normier<strong>un</strong>g 66 . L’intera com<strong>un</strong>ità, infatti, che per Kelsen erasoltanto destinataria delle norme e portatrice passiva della norma fondante, si trova per Husserlinviluppata nello stesso criterio di orientamento concreto per la coscienza intenzionale di ciasc<strong>un</strong>o.Si tratta di <strong>un</strong>a Urvergemeinschaft<strong>un</strong>g der Normier<strong>un</strong>g (accom<strong>un</strong>amento originario dellanormazione):“Così noi abbiamo nella connessione <strong>un</strong>iversale della coscienza (...) lo strato di <strong>un</strong>a coscienzaoperativa <strong>un</strong>iversale, sovrapersonale e pure personale, vivente in ogni persona partecipe, fluenteattraverso essa, fin dentro, o meglio scorrendo da essa e attraverso di essa, come se fosse <strong>un</strong>a<strong>un</strong>ità della persona, con <strong>un</strong>a coscienza e <strong>un</strong> operare-produrre personale. La personalità57 Reinach, I fondamenti a priori del diritto civile, p.181. Cfr. S. Cotta, Prospettive di filosofia del diritto, cit., pp.53-65.58 Kelsen, allora forse, ha presente maggiormente il significato di logica trascendentale kantiano piuttosto che quellohusserliano: ma, come ricorda Ales Bello, Husserl critica tale accezione di logica trascendentale, in quanto Kantmancherebbe di indagare proprio come sia possibile la fondazione trascendentale della logica pura, limitandosi a porre accanto, percosì dire, <strong>un</strong>’altra logica alla logica pura; è necessario, invece, indagare a fondo la possibilità stessa, d<strong>un</strong>que, sia la legittimitàche in <strong>un</strong> senso la normatività, della logica formale pura: cfr. A. Ales Bello, Edm<strong>un</strong>d Husserl e la Storia, Parma 1972, p.69ss.:cfr. Husserl, Formale <strong>un</strong>d transzendentale Logik, , §100, pp.234-235, trad. it., p.326s.59 Cfr. Welzel, Naturalismus <strong>un</strong>d Wertphilosophie, Frankfurt 1935, p.44ss.60 G. Stella, I giuristi di Husserl, L'interpretazione fenomenologica del diritto, Giuffrè, Milano 1990, p.213ss.61 Kelsen, Reine Rechstlehre, pp. trad. it., Dottrina Pura del Diritto, Torino 1966, pp.189-190.62 Husserl, Logica formale e trascendentale, p.289.63 Husserl, Ricerche Logiche, II, p.36.64 Husserl, Ricerche Logiche, II, p.36.65 Husserl, Logica formale e trascendentale, p.294.66 Per ulteriori approfondimenti, cfr. il mio La genesi intenzionale del diritto. La fenomenologia genetico-costitutiva del diritto nellaprospettiva di Edm<strong>un</strong>d Husserl.9


collettiva, <strong>un</strong>ificata come ‘Soggetto’ del collettivo produrre è da <strong>un</strong> lato analogo di <strong>un</strong> soggettoindividuale, ma dall’altro non lo è, [giacché] essa resta <strong>un</strong>a molteplicità di persone <strong>un</strong>ificata chenel suo legarsi trova <strong>un</strong>a <strong>un</strong>ità della coscienza (<strong>un</strong>a <strong>un</strong>ità com<strong>un</strong>icativa). Entro la pluralitàdella volontà ripartita sulle singole persone essa ha <strong>un</strong>a volontà costituita identicamente per sé,che non ha ness<strong>un</strong> altro luogo, ness<strong>un</strong> altro sostrato che la com<strong>un</strong>icativa molteplicità dipersone” 67Questa molteplicità che com<strong>un</strong>ica attivamente entro gli strati della coscienza intenzionale, è <strong>un</strong>apriori <strong>logico</strong> ma di tipo trascendentale perché inerisce direttamente alla Welterfahrendes Leben, alla vita cheesperisce il mondo. Scrive Husserl:"Poiché la mia intera vita di coscienza, anche nella sua interezza, senza pregiudizio per tuttele molteplici oggettualità particolari che vi si costituiscono, è <strong>un</strong>'<strong>un</strong>ità <strong>un</strong>iversale di vitaoperante, con <strong>un</strong>'<strong>un</strong>ità dell'operazione, perciò l'intera vita di coscienza è dominata da <strong>un</strong> apriori <strong>un</strong>iversale costitutivo che abbraccia ogni intenzionalità, <strong>un</strong> a priori che si allarga, per latipicità propria della intersoggettività che si costituisce nell'ego, ad <strong>un</strong> a prioridell'intenzionalità intersoggettiva, e delle <strong>un</strong>ità intersoggettive e dei “mondi” intersoggettivi chesi concretano in essa" 68Da questo apriori, che non è supposto ma, app<strong>un</strong>to costituito e costituente in modo originario, ilDiritto trae la sua natura di Direzione.La posizione della norma, l’applicazione e l’attuazione della stessa sono, allora, atti direttivi ediretti, per nulla puri atti di volontà 69 : essi emergono da <strong>un</strong> territorio che li antecede come origine e,nella indisponibilità, li sorpassa.Se vogliamo, l’apriori <strong>logico</strong>-trascendentale esprime la congi<strong>un</strong>tura profonda tra, quello cheHusserl, nelle lezioni sull’etica, denominò Apriori assio<strong>logico</strong> 70 e la Sfera trascendentaledell’intersoggettività. La congi<strong>un</strong>tura agisce affinché, nella posizione dell’atto si impliciti, per così dire,<strong>un</strong>a partecipazione pluritetica 71 : cioè, affinché ogni Setz<strong>un</strong>g contenga <strong>un</strong>a Mitsetz<strong>un</strong>g, ogni Posizioneimplichi <strong>un</strong>a Composizione 72 .In questo senso si specifica e chiarifica la traccia che Husserl espose in <strong>un</strong>a lettera indirizzata aFelix Kaufmann, secondo la quale la dottrina apriorica del diritto doveva essere posta in stretta eprofonda relazione con la “vergemeinschaftete Personalität” 73 cioè con <strong>un</strong>a personalità, per così dire,accum<strong>un</strong>ata o divenuta in qualche modo «com<strong>un</strong>ità».Anche Kant, non a caso, allorché dovette prefigurare <strong>un</strong> criterio della legiferazione, lo concepìin relazione alla com<strong>un</strong>ità 74 : egli lo definì come la “semplice idea della ragione” di <strong>un</strong> Contratto Originariodal quale scaturiva il trascendentale pratico di ogni legislazione possibile 75 . In particolare, secondo Kant,tale idea regolativa suggerisce: il legislatore, nell’atto di emanare <strong>un</strong>a legge, la deve emanare come se tuttirinnovassero il contratto, cioè come se tutti ridecidessero di instaurare “<strong>un</strong> corpo com<strong>un</strong>e”, cioè come se67 Husserl, Zur Phän. der Intersub., II, p.200.68Husserl, Logica formale e logica trascendentale, p. 304.69 Cfr. G. Husserl, Husserl, G., Recht <strong>un</strong>d Zeit, Frankfurt am Main 1955; trad. it. Diritto e Tempo, Giuffré, Milano 1998, p.17:“la radice esistenziale di <strong>un</strong>a norma giuridica non è necessariamente <strong>un</strong> atto di creazione umana. Solo per <strong>un</strong>a minima partele linee guida del comportamento umano, che sono contenute nel sistema di ordinamento di <strong>un</strong>a data com<strong>un</strong>ità possonoessere ricondotte ad atti volontari di creazione”.70 Husserl, Man F I 21, p. 118.71 Cfr. L. Bagolini, Giustizia e Società, Roma 1983, pp.134-135.72 Il Setzen contiene già implicita la Mitsetz<strong>un</strong>g di ego e alter-ego: e ciò in senso specifico: sia come composizione originarianella fattispecie, che come relazione contrattuale o processuale; in generale come sottoriferimento ad ogni norma in quantoimplicante <strong>un</strong> dovere destinato a uomini per altri uomini, e viceversa.73 Husserl, Brief an Felix Kauffman, vom 23.III.1923, in Briefwechsel vol. IV, p.176.74 E ciò nella direzione, sebbene radicalmente mutata, del concetto di volontà generale teorizzato da Rousseau; Rousseau,che Thierry pone in relazione a Husserl: cfr. Y. Thierry, Conscience et humanité selon Husserl. Essai sur le sujet politique, Puf, Paris1995, p.122ss. e p.151ss.75 Kant, Saggio sul detto com<strong>un</strong>e: questo può essere giusto in teoria ma non vale per la pratica, in Scritti Politici, Laterza, Bari 1995, p.143.10


tutti vi acconsentissero 76 : non è necessario che di fatto essi acconsentano; è necessario che l’assenso nonsia impossibile e che la ragione nel suo uso regolativo si diriga verso la possibilità ideal-pratica delconsenso 77 .In questo modo, come rileva Filipponio, anche in Kant “la soggettività legislatrice si rivela, così,intersoggettività” 78 .Ma, senza entrare nella discussione specifica, potremmo dire che in Husserl tale “come se” èassolutamente già fluidificato nella sua forma intenzionale. Non solo perché come direbbe Masullo, inHusserl “l’intersoggettività è la stessa struttura interna della ragione” 79 , ma anche perché, la materiadell’atto di normazione, è di per sé intersoggettiva.Nella sua “idea”, il legislatore, insomma, come direbbe Platone, nell’atto del legiferare devepoter avere sotto lo sguardo, in <strong>un</strong> colpo d’occhio, la città intera 80 . La città, potremmo dire è oggettointenzionale (noema) della normazione, anche per Husserl, categoria logica dell’esser-in-com<strong>un</strong>e, dellacom<strong>un</strong>ità giuridica in quanto Polis 81 .Ma l’oggetto intenzionale, a sua volta è <strong>un</strong>a città pensante, <strong>un</strong>a personalità intersoggettiva dotataa sua volta di <strong>un</strong>a coscienza e d<strong>un</strong>que capace di fornire, nell’intreccio delle motivazioni che la animano,la ratio alla stessa Normier<strong>un</strong>g.Questo, se vogliamo riferirci in senso oppositivo alla terminologia di Kelsen, è substratomodalmente “differente” del normativo. E questo, in generale, è lo sfondo teoretico della norma: lalibertà/responsabilità per l’essenza di ciò verso cui essa si attesta come “coercizione”.Per Kelsen, non potendosi svolgere il parallelo tra il pratico e il teoretico, tra il Sollen(comportamento conforme) e il Sein (verità dell’asserzione), la norma giuridica in quanto giuridica ha“substrato modalmente indifferente” perché deriva dall’anonima volontà dell’ordinamento (volontà cheprevede come dovuto <strong>un</strong> comportamento) 82 .Per Husserl, viceversa “il volere è fondato nel valutare, la soggettività del volere nell’oggettività del valore,la ragione volitiva nella ragione valutativa” 83 .Ciò significa che il volere e l’atto del decidere visti nella loro essenza fenomenologica, non sonoatti originari, creazioni dal nulla, ma atti che nel loro strato inferiore hanno, come referenza attiva, losfondo di <strong>un</strong>’intersoggettività costituente che identifica <strong>un</strong>a lateralità del voluto stesso: hanno, cioè,come sostrato, <strong>un</strong>a pluralità di intenzionalità costitutive del mondo in cui e su cui la volontà stessa sidetermina, opera e agisce.Teoresi e Valutazione, allora, si implicano vicendevolmente nell’ancorare la norma al suosostrato intersoggettivo. Solo in questo modo la normatività può dirsi giuridica e la giuridicità puòmanifestarsi come normativa 84 .Ciò che, allora, Kelsen nella sua critica mostra di trascurare è il fatto che per Husserl non vi ènella norma <strong>un</strong> atto <strong>logico</strong> assertorio che “verifica” <strong>un</strong> valore, ma <strong>un</strong> atto che, riflettendo, rivalutando,ripensando in modo intenzionale, riaccende costitutivamente il nesso di valutazione e di motivazioneche si accinge a regolare. E che, d<strong>un</strong>que, nella formulazione espressa di ciò che è dovere, cioè dellanorma come proposizione imperativa, vi è anche traccia implicita dell’asserto che nomina l’essenza-di-76 Cfr. Kant, ibidem, p.144. Nel senso di Rousseau riecheggiante in Kant, ciò significa: emanare le leggi “come essesarebbero potute nascere dalla volontà ri<strong>un</strong>ita di <strong>un</strong> intero popolo”. In senso diverso, in Kant è più netta la differenziazionetra livello trascendentale e livello empirico, giacché la giustizia della legge è data anche quanto non si impossibile che i sudditiaderiscano, in quanto però conforme alla ragione.77 Cfr. Kant, ibidem.78 A. Filipponio, Struttura, f<strong>un</strong>zione scopo nel diritto, in Seminari di filosofia del diritto, Giappichelli, Torino 1997, p.352.79 A. Masullo, cit., p.119.80 Platone, Leggi, 688 a-b; e cfr. l’interpretazione della Legge come “Mente della Città” svolta da Pietro Piovani in riferimentosoprattutto a Vico, in P. Piovani, La filosofia del diritto come scienza filosofica, Milano 1963, p.40ss.81 Husserl, Man A V 10, p.46ss.82 Kelsen, Teoria generale delle norme, p.268ss.83 Husserl, Logik <strong>un</strong>d allgemeine Wissenschaftstheorie, p.303.84 Cfr. A. Filipponio, Struttura, f<strong>un</strong>zione scopo del diritto, pp.329-330.11


valore di ciò che è dovuto: come quello, per riprendere il famoso esempio di Husserl, in cui si en<strong>un</strong>ciache “l’essenza del guerriero è di essere valoroso” 85 .L’atto teoretico della norma è cioè atto oggettivante compiuto su <strong>un</strong> atto non-oggettivante. Suquesto p<strong>un</strong>to Husserl è chiarissimo: “il valutare stesso e l’intero decidere può essere a sua voltavalutato”; ma “A differenza della questione <strong>logico</strong> formale sul vero-falso delle proposizioni assertorie, ladomanda «in riferimento a cosa si dovrebbe agire», o, in senso generico, «cosa fare», introduce in modoimplicito o esplicito la questione sul valore dell’atto intenzionale, o sul valore in relazione al quale l’attointenzionale si distende in progressione” 86 .L’atto di <strong>un</strong>a coscienza che riflette sul tratto di pratica valutazione intersoggettiva, è attooggettivante di <strong>un</strong> non oggetto: “in questa sfera, la vita-nella-coscienza-pratica (das Im-praktischen-Bewusstsein-Leben), cioè il Volere, il Decider-si, l’agire, l’effettuare, il completare (Vollziehen), differisconodall’atteggiamento interamente diverso con cui noi compiamo la Riflessione e gettiamo lo sguardo(hinsehen) su questi modi del volere e esperendoli li rendiamo oggetto” 87 .Certamente, d<strong>un</strong>que, tale “atto obiettivante” necessario a rendere il diritto positivo, è“costitutivo” poiché implica <strong>un</strong> “iniziare” intenzionale, <strong>un</strong>o stacco o <strong>un</strong>a inconsequenzialità 88 delsoggetto che lo pone in essere; l’atto è, cioè, “decisione” e “giudizio”, d<strong>un</strong>que, in generale,“espressione” 89 . Ma esso è intenzionalmente agganciato al suo oggetto intenzionale, al suo noema, chesospinge verso il suo apriori. Come dire, l’oggettivazione delle norme è sia <strong>un</strong>iversale che volitiva; scriveHusserl: “Esse sono poste (aufgestellt) come conoscenze <strong>un</strong>iversali e nello stesso tempo come leggi divolontà (Willensgesetze) [<strong>un</strong>iversalità del volere (Willensallgemeinheiten)], in cui il volere stesso è accolto(aufgenommen) in quanto <strong>un</strong>iversale” 90 .La Normier<strong>un</strong>g, così, non è l’isolata opera di <strong>un</strong>a volontà individuale o di più volontàindividualmente collegate, né la confusa volontà di tutti 91 . Essa ha <strong>un</strong>a sua storicità interna, <strong>un</strong> Leitfaden,<strong>un</strong> filo conduttore che la ricollega non solo alle altre norme, ma alla motivazione congi<strong>un</strong>ta(Mitmotivier<strong>un</strong>g) di <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>ità intenzionale che ha reso sussistente <strong>un</strong> dovere, <strong>un</strong> divieto, <strong>un</strong> permesso,<strong>un</strong>a qualche forma di libertà.Proprio per questo, la norma data non è <strong>un</strong> semplice positum. La Ratio è il filo conduttoretrascendentale capace di ricondurlo geneticamente alla intersoggettività che la sostiene, che l’avvalora ela ravviva. La norma non è d<strong>un</strong>que <strong>un</strong> risultato ma <strong>un</strong>a risultante. La misura della sua legittimità internaed esterna, della sua validità e della sua giusta efficacia, è il mantenersi del tessuto intersoggettivoprimario (che Husserl designa come Paar<strong>un</strong>g, come appaiamento ana<strong>logico</strong> di ego e alter-ego) comegaranzia della rotazione delle prospettive: è così che la norma riguarda tutti i suoi destinatari.85 Sotto questo rilievo, il Diritto non è non <strong>un</strong>a schiera di asserzioni mescolate a prescrizioni, ma, come Sander afferma,“<strong>un</strong>a sfera della costitutiva legalità di senso (Sinngesetzlichkeit )”: F. Sander, Zur Methodik der Rechtswissenschaft, cit., p.283.86 Husserl, Logik <strong>un</strong>d allgemeine Wissenschaft, p.301. Kelsen, peraltro, come si legge esplicitamente in <strong>un</strong>a sua nota, ritiene che“il contraddittorio concetto di ragion pratica si basa sulla mancata distinzione tra norma e asserzione su <strong>un</strong>a norma” (cfr.Kelsen, Teoria generale delle Norme, p.295, n.); ma è proprio sia il senso di asserzione che, per altri versi, quello di norma che deveessere inteso diversamente. Sulla questione, cfr. ancora la Stella, in particolare le due appendici Hans Kelsen e Edm<strong>un</strong>d Husserl eEdm<strong>un</strong>d Husserl, Ernst Mach, Hans Kelsen in G. Stella, I giuristi di Husserl, pp.211-228. Inoltre, per Husserl, il “senso” nonrappresenta corrispondenza bi<strong>un</strong>ivoca con <strong>un</strong> oggetto: o meglio, laddove anche il senso fosse corrispondente ad <strong>un</strong> oggetto,esso, allora, potrebbe com<strong>un</strong>que, secondo Husserl, diventare a sua volta oggetto di <strong>un</strong> giudizio ed assumere così <strong>un</strong> nuovoulteriore grado di senso, divenire, così, senso di <strong>un</strong> senso e così via, tale per cui, il senso stesso non possa com<strong>un</strong>que maidirsi <strong>un</strong>a componente reale dell’oggetto (cfr. Husserl, Noema <strong>un</strong>d Sinn, p.18ss.. cit. e disc. in A. Peruzzi, Noema. Mente e Logicaattraverso Husserl, p.96).87 Husserl, Logik <strong>un</strong>d allgemeine Wissenschaft, p.301.88 Lo stacco, interviene, se vogliamo, utilizzando <strong>un</strong>a differenziazione di Reinach, tra “logisch richtig ” e “sittlich recht”:“logicamente corretto è il giudizio, mai lo stato di cose. Eticamente giusto è lo stato di cose, mai il giudizio. Così gli<strong>un</strong>iversali atto di coscienza sono indicati come giusti, dove, propriamente solo lo stato di cose di cui si è coscienti è giusto”:Reinach, Die Gr<strong>un</strong>dbegriffe der Ethik. Nachgelassene Texte 1906-1917, in Saemmtliche Werke, I, München 1989, p.336.89 Si intende, ovviamente, il giudizio inerente alla fonte-atto normativa, giacché nelle fonti-fatto, tra le quali la consuetudinee, anche, la consuetudine internazionale, non sono propriamente “espresse” in <strong>un</strong> giudizio.90 Husserl, Erste Philosophie, II, p.201.91 Ciò in generale si esprime dicendo, come scrive Gerhart Husserl, che “la radice esistenziale di <strong>un</strong>a norma giuridica non ènecessariamente <strong>un</strong> atto di creazione umana. Solo per <strong>un</strong>a minima parte le linee guida del comportamento umano, che sonocontenute nel sistema di ordinamento di <strong>un</strong>a data com<strong>un</strong>ità possono essere ricondotte ad atti volontari di creazione”: G.Husserl, Recht <strong>un</strong>d Zeit, p.18, trad. it, p.17.12


Il Giudice, il Legislatore, l’interprete hanno, in questo senso, il compito di cogliere-con-evidenza(Einsehen), ravviandolo in atto 92 , il filo conduttore trascendentale che dal tessuto intersoggettivo conducealla costituzione di ciò che viene appreso come <strong>un</strong> valore: e questo cogliere è attività della ragione 93 . Viè per essi, il dovere di “essere coscienti della latente idea di scopo” 94 da cui essi stessi, in quanto uomini,provengono, e, nel ripercorrere l’itinerario teoretico della regola, “trarre” motivazione in ogni singolocaso 95 .Ciò significa, forse, come disse Gerhart Husserl che le norme giuridiche sono “realizzazioni especificazioni di possibilità tracciate a priori” 96 , nel senso, però, che a priori è tracciata la possibilità dellasua manifestazione come norma “imparziale” “terza” e “indisponibile”, nell’atto dell’esser posta,dell’esser attuata ed applicata.E’ così che, afferma Husserl, ragion pratica e teoretica devono necessariamente collaborareinsieme:Giacché, “la ragione conoscitiva è f<strong>un</strong>zione della ragion pratica, l’intelletto è servo della volontà.Ma il servo compie in se stesso le f<strong>un</strong>zioni della volontà, direzionate su ciò che la conoscenza stessa hacostruito (auf Erkenntnisgebilde selbst)...” 977. L’ERRORE LOGICO-TRASCENDENTALE E IL SENSO DELLA NORMAIl rinvenimento di <strong>un</strong> errore <strong>logico</strong> nel passaggio tra proposizioni descrittive a proposizioniprescrittive, certamente incidente a patto di intendersi bene sul significato di descrizione e su quello diprescrizione, sul senso dell’essere e del dover-essere, non può occultare lo sfondo problematico dalquale ragionamenti fallaci e teorie infondate, sono in ogni caso sorti nel loro tentativo.Al di là dei rilievi metaetici tout court che qui non sono discussi, il riconoscimento dell’errore nonpuò occultare alc<strong>un</strong>e questioni radicali: sempre Husserl, in questo senso, già a partire dalle sue lezioni diEtica e Filosofia del Diritto, lamentava come “la domanda se ciò che è diritto (che si ritrova ad essere oad essere considerato diritto), debba essere anche ‘il Diritto’ sia stata completamente abbandonata” 98 . Laqualificazione di “giuridica” accanto alla norma che appare di fronte in modo puramente fenomenico nonpuò essere relegata alla pura volontà dell’Ordinamento o risolta con il riferimento alle formali fonti deldiritto. Il rilievo fenomeno<strong>logico</strong> richiede infatti che la norma sia costituita come logica nella sua propriamanifestazione da <strong>un</strong>a coscienza intenzionale, capace di cogliere il filo conduttore che possa a sua voltamanifestare l’intreccio delle motivazioni che la sorreggono, tra teoresi e valutazione 99 .L’errore consisterebbe d<strong>un</strong>que nel far scadere il discorso dal dover-essere al fatto che <strong>un</strong> dovereè posto, d<strong>un</strong>que nello scivolamento dal <strong>logico</strong> al fenomenico senza che alc<strong>un</strong>a logica dellamanifestazione e d<strong>un</strong>que alc<strong>un</strong> riferimento alla ragion sufficiente nella normatività stessa, sia posta.92 Husserl, Vorles<strong>un</strong>gen ueber Ethik, p.71. Cfr. anche A. Süssbauer, Intentionalität, Sachverhalt, Noema; eine Studie zu Edm<strong>un</strong>Husserl, pp.480-481.93 Cfr. G. Husserl, Man F I 20, p.221.94 G. Husserl, Erste Philosophie, II, p.201.95 Questo percorso di rinvenimento “costitutivo, in qualche modo, come afferma Pugliatti, non era sconosciuto aigiureconsulti romani: “a ness<strong>un</strong>o può sfuggire -scrive infatti Pugliatti- la tendenza costante all’inquadramento sistematico,che traspariva anche dalle opere dei giureconsulti romani, i quali, en<strong>un</strong>ciando la regola per il caso singolo, motivavano ladecisione e la giustificavano con la en<strong>un</strong>ciazione di <strong>un</strong> principio che la trascendeva e las ciava trasparire la tendenza allageneralizzazione: quella tendenza attraverso la quale, app<strong>un</strong>to si gi<strong>un</strong>ge al concetto; mentre, nel tempo stesso, svelava ilegami tra norma e norma, tra gruppi di norme, tra istituti, e faceva intravedere il tessuto dei principi generali che costituivala solida base su cui tutto l’edificio poggiava”: S. Pugliatti, Grammatica del diritto, Milano 1978, p.151.96 G. Husserl, Der Rechtsgegenstand, Freiburg 1933, p.IV.97 G. Husserl, Erste Philosophie, II, p.201.98 G. Husserl, Man F I 20, p.55.99 Già Bobbio nel riassumere la posizione fenomenologica, scrisse che “oggetto della fenomenologia non è né il sistema dellalegislazione, né l’esperienza giuridica, bensì è il diritto come si costituisce nella coscienza, cioè l’atto giuridico nella sua tipicitàessenziale...”; parallelamente affermò che “l’atto giuridico non è quell’atto che ha il diritto per oggetto (infatti questo sarà <strong>un</strong>atto teoretico o di volontà che presuppone il diritto come già costituito), ma bensì quell’atto che costituisce il diritto, che ponein essere <strong>un</strong> rapporto obbligatorio”: N. Bobbio, L’indirizzo fenomeno<strong>logico</strong> nella filosofia sociale e giuridica, Torino 1934, p.140.13


Per questo motivo, Kelsen non considera la com<strong>un</strong>ità giuridica come componente attiva dellaratio essendi del normativo. La sua teoria presuppone che la norma sia, per pura volontà formale,precedente ed autonoma rispetto ad ogni contenuto teoretico di Wahr-nehm<strong>un</strong>g e valutativo di Wertnehm<strong>un</strong>g:ma senza il duplice strato di percezione e valutazione non si comprende quale possa essere ilcriterio, anche interno, del dovere o l’orientamento dell’imperativo. Inoltre, il Sollen separato dalla sferadel Sein – il quale non può essere ridotto alla natura sensibile intesa come dato – rischia di scivolare sulterreno del Müssen e d<strong>un</strong>que di ritrovare l’essere stesso sotto le categorie della pura causalità e contingenza,saltando quella che per Husserl viceversa costituisce la legge del mondo spirituale, che è la motivazione.Infatti, secondo Kelsen la validità di <strong>un</strong>a norma dipende dalla sua esistenza e questa dalla sua efficacia:ma l’efficacia dipende dal fatto che <strong>un</strong>a com<strong>un</strong>ità effettivamente segua il contenuto normativo nelriflesso della sua sanzione. Lì il circolo formale si spezza in <strong>un</strong> errore <strong>logico</strong>, giacché il criterio per cui<strong>un</strong>a norma è norma giuridica è il fatto che essa venga rispettata, mediante la forza coercitiva di <strong>un</strong>asanzione. All’origine del dovere vi è allora <strong>un</strong> misto di necessità e contingenza su cui la norma fondantesi rompe disperdendo la sua trascendentalità, cioè il suo rilievo di condizione. Il filo conduttoretrascendentale che dalla com<strong>un</strong>ità destinataria ripercorre, per i diversi gradi, la valida efficaciadell’ordinamento intero, incontra infatti il rilievo socio<strong>logico</strong> o puramente repressivo dell’effettivorispetto della norma, senza ness<strong>un</strong> orientamento o criterio ulteriore per comprenderne l’origine e ildestino, nel quale dovrebbe essere inviluppata la com<strong>un</strong>ità stessa. L’errore è d<strong>un</strong>que nel nonconsiderare che il senso del diritto è intimamente intersoggettivo a partire dal conflitto socialeattraverso le contrazioni politiche fino all’ipotesi di risoluzione delle controversie o composizione degliinteressi: questa sfera non è puramente dell’is ma implicita nella ratio del ought. Del resto, per Hume, lastessa sfera dell’ought era animata da azioni, volizioni, impulsi e passioni oltre che permeata dal sensocom<strong>un</strong>e: questo territorio non è pura forma né separato dalla costituzione intersoggettiva di ogn<strong>un</strong>o dinoi.I questo senso le conseguenze dell’errore commesso sul piano <strong>logico</strong>-trascendentale è quello dismarrire al contempo il carattere fondativo della Gr<strong>un</strong>dnorm e schiacciare il senso della norma nei limitidella sanzione, dimenticando che la norma è positiva anche perché generale-astratta, e effettiva ancheperchè dotata di <strong>un</strong>a ratio capace di trasmutare la semplice interazione sociale, app<strong>un</strong>to, in coazionegiuridica, vincolo di com<strong>un</strong>ità.Pier Paolo FioriniProf. a contratto European School of EconomicsDottore di ricerca in Filosofia teoretica PUG e inFilosofia del diritto Università “La Sapienza” - Roma14

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