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Dal concetto di antipsicotico a quello di

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Articolo originale • Original article<strong>Dal</strong> <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> <strong>antipsicotico</strong> a <strong>quello</strong> <strong>di</strong> “normostabilizzatoremulti<strong>di</strong>mensionale”: il percorso clinico-terapeutico della schizofreniaFrom the concept of “antipsychotic” to that of “multi<strong>di</strong>mensional normostabilizer”:the clinical-therapeutic itinerary of schizophreniaA.C. AltamuraClinica Psichiatrica,Università <strong>di</strong> Milano,Dipartimento Salute Mentale,IRCCS Cà Granda OspedaleMaggiore Policlinico,MilanoKey wordsSchizophrenia • Neurobiologicaltheories • Dopamine receptors •Glutamatergic system • Atypicalantipsychotics • Schizophrenia •Phase-related symptomatologySummaryThis paper reviews the roots of the clinicalcategorical concept of Schizophreniaand its biopathogenetic model (“dopaminergicmodel”) based on dopaminergicdysfunctioning in CNS as conceived in the60’s and 70’s. These clinical/biopathogeneticalconcepts have been challenged bythe new <strong>di</strong>mensional approach and by amore complex neurochemical model forSchizophrenia, arising mainly from the useof novel compounds which act on <strong>di</strong>fferentneurotransmitters in the CNS.Moreover, new compounds used in thetreatment of schizophrenia are effective notexclusively on the psychotic <strong>di</strong>mension butalso on other, as negative, depressive andcognitive ones.Therefore, the term “antipsychotic”, whichnamed a class of drugs acting mainly onacute psychotic symptoms, seems obsolete,and Schizophrenia is not anymore conceivableas an acute <strong>di</strong>sorder, but as a chronicmulti<strong>di</strong>mensional dysfunctioning.Consequently, novel compounds actingon <strong>di</strong>fferent <strong>di</strong>mensions can better stabilizepatients, avoi<strong>di</strong>ng the shifts from positive tonegative symptoms, due to the D2 antagonism.Thus, a new denomination is needed consideringall these peculiarity of new compoundscompared to neuroleptics in orderto stabilize not just psychotic symptoms inthe acute phase, but also affective, negativeand anergic symptoms (which are integralpart of the <strong>di</strong>sorder) even in the me<strong>di</strong>umlongterm: more appropriately they shouldbe considered as “multi<strong>di</strong>mensional normostabilizers”,instead of antipsychotics.IntroduzioneIl termine <strong>antipsicotico</strong>, così come è stato concepito negli anni ’50, agliesor<strong>di</strong> dell’era psicofarmacologica, appare attualmente superato per in<strong>di</strong>carei nuovi composti che agiscono nel <strong>di</strong>sturbo schizofrenico. Esso è,infatti, associato, da un canto, ad una visione clinica non più aggiornatacosì come ad un modello neurochimico della stessa obsoleto e risalenteagli anni ’60/’70, nonché ad una strategia terapeutica “semplicistica”,focalizzata essenzialmente sull’acuzie clinica.Negli anni ’60 i sintomi psicotici erano, infatti considerati i core symptomso “sintomi nucleari” della schizofrenia e la <strong>di</strong>sfunzione dopaminergicaappariva il fondamentale “<strong>di</strong>fetto” neurochimico (“modellodopaminergico”) 1 , privilegiando la lisi dell’episo<strong>di</strong>o acuto rispetto allaterapia sul lungo periodo ed alla prevenzione.Pertanto, è necessario oggi riconsiderare l’utilizzo degli antipsicotici nellaschizofrenia alla luce <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> evidenze cliniche, psicobiologichee farmacoterapeutiche che non esistevano ai tempi in cui Delay eDeniker 2 definirono il primo composto “<strong>antipsicotico</strong>” attivo sui sintomischizofrenici acuti. In questo articolo, verranno considerati alcuni con-Corrispondenza:Alfredo Carlo Altamura, Dipartimento Salute Mentale, IRCCS Cà Granda Ospedale Maggiore Policlinico, Milano, Italia • Tel. 0255035982 • E-mail: carlo.altamura@unimi.itGiorn Ital Psicopat 2010;16:87-10387


A.C. Altamuracetti che appaiono qualificanti ed imprescin<strong>di</strong>biliper una ridefinizione terminologica e concettualein funzione dell’utilizzo e dello spettro <strong>di</strong> azioneclinica dei composti utilizzati attualmente nella terapiadella schizofrenia.In particolare si prenderanno in considerazione:• l’evoluzione delle teorie biopatogenetiche (inparticolare neurochimiche);• le <strong>di</strong>mensioni psicopatologiche;• il <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> “atipicità”;• antipsicotici <strong>di</strong> terza generazione ed i nuovimodelli <strong>di</strong> gestione terapeutica (stabilizzazionee mantenimento).L’evoluzione delle teoriebiopatogeneticheL’attuale concezione del <strong>di</strong>sturbo schizofrenico<strong>di</strong>fferisce enormemente da quella sviluppata più<strong>di</strong> 50 anni fa e, parallelamente, il trattamentofarmacologico è stato al centro <strong>di</strong> una evoluzioneteorico-pratica spesso scarsamente coltae grossolanamente applicata nella quoti<strong>di</strong>anitàclinica.È in<strong>di</strong>spensabile a questo proposito considerarelo sviluppo del <strong>concetto</strong> clinico <strong>di</strong> schizofrenia esuccessivamente le linee <strong>di</strong> trattamento farmacologicoche hanno seguito e sono state influenzatein doppio senso dalle <strong>di</strong>verse teorie nosografichee biopatogenetiche 3 .L’idea iniziale kraepeliniana, sviluppata alla Scuola<strong>di</strong> Monaco all’inizio del XX secolo, definiva lamalattia come Dementia Praecox, grave patologiapsicotica ad insorgenza giovanile in grado <strong>di</strong> portareil paziente verso un importante deterioramentomentale, non <strong>di</strong>ssimile da una demenza.La pubblicazione del trattato <strong>di</strong> Bleuler DementiaPraecox, or the Group of Schizophrenias (1911) 4segnò l’inizio della categorizzazione o<strong>di</strong>erna, enfatizzandonella schizofrenia non tanto il decorsolongitu<strong>di</strong>nale della malattia, così come aveva fattoKraepelin (definendola una patologia invariabilmentedementigena), ma concentrandosi anchesull’analisi trasversale della patologia e dei suoisintomi, utile a definire più precisamente un quadrosindromico tipico, negandone, d’altra parte,l’inevitabile esito in demenza.Da una visione puramente clinico-descrittiva, senzaimplicazioni patogenetiche che non fossero <strong>di</strong>tipo degenerativo-aspecifico (Kraepelin) o biopsicologico(Bleuler) o francamente psicologiche/psicosociali5-7 , si è giunti, in seguito all’avvento deineurolettici, ad un modello biopatogenetico chespiegava soprattutto i sintomi produttivi, così comeconcepiti da Schneider 8 , considerandoli comesintomi nucleari della patologia schizofrenica, determinatidal <strong>di</strong>sfunzionamento delle vie dopaminergiche1 .Risale, infatti, al 1963 la prima fondamentaleteoria biopatogenetica che tentava <strong>di</strong> spiegareil nesso che sfuggiva tra effetto <strong>antipsicotico</strong> deineurolettici e <strong>di</strong>fetto biochimico cerebrale. ArvidCarlsson intuì per primo il ruolo della dopamina(allora si riteneva fosse solo un precursore dellanoradrenalina senza un ruolo neurotrasmettitorialespecifico), attraverso l’associazione tra l’efficaciariscontrata nel trattamento dei sintomi acuti <strong>di</strong>pazienti schizofrenici ed antagonismo dei recettoridopaminergici post-sinaptici 1 .A rafforzare la consistenza della teoria dopaminergicadella schizofrenia fu, nel 1972, il gruppo <strong>di</strong>Solomon Snyder che verificò come la sintomatologiapsicotica potesse essere aggravata (o provocata)dall’utilizzo <strong>di</strong> amfetamine, potenti stimolantidei recettori dopaminergici centrali e bloccanti delreuptake della dopamina: si <strong>di</strong>mostrò, inoltre, comespecificamente il blocco dei recettori D2 postsinapticifosse correlato alla “potenza” dei varineurolettici 9-11 .D’altra parte, oggi si ipotizza che il blocco deirecettori D2/3 striatali renda ragione <strong>di</strong> <strong>quello</strong> chepuò essere considerato uno dei meccanismi psicopatologicifondamentali della schizofrenia, ovverol’alterazione della salience, intendendo con questotermine il processo <strong>di</strong> attribuzione <strong>di</strong> significatie rilevanza all’interno <strong>di</strong> un contesto <strong>di</strong> stimoli chel’encefalo opera, per poter gestire efficacementeil rapporto con il mondo esterno e interno, selezionandocioè gli stimoli rilevanti dal “rumore”.Gli antipsicotici potrebbero quin<strong>di</strong> indurre un miglioramentosintomatologico attraverso il blocco<strong>di</strong> tali recettori, mo<strong>di</strong>ficando la “salience” 12 . Riassumendo,<strong>di</strong>sregolazione dopaminergica e alterataattribuzione <strong>di</strong> significati e rilevanza (salience),uniti a schemi cognitivi che tentano <strong>di</strong> organizzaree trovare un senso a tali input porterebbero allacomparsa <strong>di</strong> sintomatologia psicotica 13 .Inoltre, fino ad anni recenti, le strategie <strong>di</strong> trattamentocon gli antipsicotici della schizofrenia comedefinita dal DSM-III e -IV si erano concentratesoprattutto sulla lisi della sintomatologia acutapiuttosto che su <strong>di</strong> un intervento a lungo termine,88


Il percorso clinico-terapeutico della schizofreniasottovalutando il ruolo della stabilizzazione clinicae delle fasi intercritiche <strong>di</strong> mantenimento, ingrado <strong>di</strong> influire sulla prognosi 14 . Solo in anni recenti,con la pubblicazione delle linee guida APA,è stato stigmatizzato il ruolo essenziale del trattamento<strong>di</strong> stabilizzazione e <strong>di</strong> mantenimento perimpe<strong>di</strong>re le ricadute ed attualmente possiamosupporre come ciò significhi probabilmente agiresui meccanismi neurodegenerativi nel SNC 15 , inaccordo anche con le recenti linee guida WFSBP eWPA per il trattamento farmacologico dell’acuziee del lungo termine della schizofrenia 16 17 .Inoltre, con la riformulazione della <strong>di</strong>cotomia trasintomi positivi vs. sintomi negativi, gli aspetti clinicisono stati sempre più associati a specifichemo<strong>di</strong>ficazioni funzionali e strutturali del SNC conevidenti implicazioni sul trattamento. I sintomi positivirifletterebbero una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> iperattivitàdopaminergica a livello delle strutture sottocorticali(vie dopaminergiche mesolimbiche) e quellinegativi e cognitivi una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ipofunzionamentodopaminergico in regioni corticali associativecome la corteccia prefrontale ed entorinale(vie dopaminergiche mesocorticali) 18 .È stata osservata, inoltre, una <strong>di</strong>fferente rispostadei sistemi dopaminergici mesolimbici e mesocoritcalialla somministrazione dei neurolettici, conuno scarso effetto <strong>di</strong> tali farmaci sul tono dopaminergicodella CPF (corteccia pre frontale) rispetto a<strong>quello</strong> delle strutture limbiche e striatali 19 .Questo dato potrebbe spiegare la limitata efficaciadegli antipsicotici tra<strong>di</strong>zionali sui sintomi negativie sulle funzioni cognitive (nella misura in cui siha un miglioramento della funzionalità dopaminergicaprefrontale in confronto ad altre aree cerebrali).Per una corretta impostazione terapeutica sivedano le linee guida ECNP per il trattamento deisintomi negativi, depressivi e cognitivi nella schizofreniae l’importanza del loro riconoscimentoe <strong>di</strong>scriminazione in funzione prognostica e terapeutica20 .Il significato clinico della modulazione, piuttostoche il semplice aumento o decremento funzionaledella trasmissione dopaminergica nella CPF,deriverebbe dal fatto che i livelli <strong>di</strong> dopamina intale area corticale devono essere mantenuti entroun range che consenta <strong>di</strong> evitare compromissionidelle funzioni cognitive, sintomi depressivi e/o negativisecondari.Affinché le funzioni cognitive superiori come lapianificazione e l’anticipazione, in parte basatesulla memoria semantica e <strong>di</strong> lavoro, venganoconservate, la trasmissione dopaminergica a livellodella CPF, particolarmente sensibile agli stressambientali, necessita <strong>di</strong> essere mantenuta in unpreciso ambito <strong>di</strong> funzionamento 21 .È importante però tenere presente come negli annisi siano acquisiti sia dati morfofunzionali, sia sulruolo <strong>di</strong> me<strong>di</strong>atori <strong>di</strong>versi dalla dopamina per megliospiegare i <strong>di</strong>fferenti aspetti psicopatologici (<strong>di</strong>mensionali)della schizofrenia, non evidentementericonducibile alla sola <strong>di</strong>sfunzione dopaminergica.Altri neurotrasmettitori, infatti, quali la serotonina(5-HT), il glutammato, la glicina, l’aspartatoe l’acido gamma-amminobutirrico (GABA) sonostati implicati nella patogenesi del <strong>di</strong>sturbo. L’ipotesiserotoninergica sostiene che vi sia un’ipoattivazionedel sistema serotoninergico a partire dall’evidenzadell’effetto allucinogenico dell’acidolisergico (LSD), antagonista dei recettori serotoninergici22 . L’interesse per il ruolo della serotoninanella patogenesi della schizofrenia è stato stimolatodall’introduzione degli antipiscotici atipici,antagonisti dei recettori 5-HT 2A, e dalla efficaciadella clozapina nelle forme resistenti 22 . Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong>biologia molecolare in<strong>di</strong>cano come polimorfismidei recettori 5-HT 1A, 5-HT 2A e 5-HT 2C sianocorrelati ai sintomi positivi e cognitivi della schizofrenia23 . La correlazione tra aminoaci<strong>di</strong> eccitatori(aspartato e glutammato) e schizofrenia è statadapprima suggerita dagli effetti biochimici e psicologicidella fenilcicli<strong>di</strong>na (PCP) che può far insorgereuna sindrome che imita i sintomi, non solopositivi, ma anche negativi della schizofrenia 24 .Stu<strong>di</strong> istologici post-mortem sul cervello <strong>di</strong> pazientischizofrenici hanno mostrato una riduzionedei livelli dei recettori per questi neurotrasmettitoriin particolare a livello dell’ippocampo e della cortecciaentorinale, ma un aumento degli stessi nellacorteccia frontale. Questi dati sono stati rafforzatidall’evidenza circa la riduzione delle regionilimbiche del livello <strong>di</strong> mRNA responsabile dellaco<strong>di</strong>ficazione <strong>di</strong> questi recettori 25 . Infine ridottistimoli eccitatori glutamatergici dall’ippocampo eda altre strutture limbiche verso lo striato ventralesembrano poter essere considerate uno dei fattorichiave nello sviluppo <strong>di</strong> sintomi della <strong>di</strong>mensionepsicotica e <strong>di</strong>sorganizzata 19 . D’altro canto, stu<strong>di</strong>funzionali hanno mostrato come il GABA moduliil rilascio <strong>di</strong> dopamina a livello corticale: in particolarealti livelli <strong>di</strong> GABA a livello subcorticaledeterminerebbero <strong>di</strong>minuzione del rilascio <strong>di</strong> do-89


A.C. Altamurapamina a livello frontale e sarebbero quin<strong>di</strong> implicatinella patogenesi dei sintomi cognitivi dellaschizofrenia 26 . Recenti stu<strong>di</strong> hanno indagato lacapacità dei modulatori allosterici glicinergici <strong>di</strong>agire regolando l’attività dei recettori NMDA eglutamatergici, rivelando l’importanza <strong>di</strong> tali neurome<strong>di</strong>atorinella patogenesi dei sintomi della <strong>di</strong>mensionenegativa e, in<strong>di</strong>rettamente, anche nellaregolazione della funzionalità dopaminergica 27 28 .Si è inoltre posta attenzione sul possibile ruolo deineuropepti<strong>di</strong> (NT, NK1-3) nella patogenesi dellaschizofrenia, in virtù della loro capacità <strong>di</strong> regolazionea livello <strong>di</strong> altri sistemi neurotrasmettitorialicoinvolti nello sviluppo del <strong>di</strong>sturbo 29 .Per quanto riguarda l’aspetto morfologico vi sonodelle alterazioni (rilevate con risonanza magneticaa <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> tensore) che sono state associate a<strong>di</strong>fferenti aspetti psicopatologici: la passività, adesempio, è stata associata a <strong>di</strong>ffuse anomalie cortico-sottocorticali,aumentata anisotropia a livellodel giro cingolato, della corteccia frontale e deigangli della base e <strong>di</strong>minuita anisotropia a livellotalamico, in rapporto a pazienti senza passività 30 .I sintomi negativi sono stati associati anche ad alterazioni<strong>di</strong>ffuse (evidenziate alla RMN) a livelloorbito frontale prefrontale laterale, temporale bilaterale,così come a livello limbico e sottocorticale31 .Ricerche effettuate utilizzando S-MRI (RisonanzaMagnetica Strutturale) suggeriscono che la schizofreniapossa essere associata ad una riduzione <strong>di</strong>materia grigia in un network <strong>di</strong> aree cerebrali, particolarmentequelle frontali, temporali, limbiche,talamiche e striatali 32 . In giovani pazienti definitiad alto rischio <strong>di</strong> malattia o con sintomatologiapsicotica sottosoglia, tale riduzione, in alcune <strong>di</strong>queste aree (cingolato anteriore e posteriore, lobitemporali me<strong>di</strong>ali e laterali e corteccia frontalelaterale), risulterebbe essere presente primadell’esor<strong>di</strong>o psicotico e sembrerebbe peggiorarenel tempo nei pazienti che successivamente svilupperannouna schizofrenia conclamata 33 34 . Neiprimi anni <strong>di</strong> malattia successivi all’esor<strong>di</strong>o acutosi noterebbero poi ulteriori riduzioni della materiagrigia nelle regioni prefrontali laterali e nel cingolatoanteriore 35-38 . La riduzione <strong>di</strong> sostanza grigiaevidente nei primi anni <strong>di</strong> malattia sembra inoltrefarmaco-sensibile: la terapia con aloperidolosembrerebbe portare ad una riduzione significativadella sostanza grigia (valutata alla RMN) a dueanni <strong>di</strong> follow-up, mentre i pazienti in terapia conolanzapina non mostrerebbero tale riduzione 39 .Recenti evidenze suggerirebbero, inoltre, unaprogressione della degenerazione cerebrale, dalleregioni frontali fino alle regioni cerebrali posterioridurante il decorso della malattia, avvalorandol’ipotesi <strong>di</strong> un processo neurodegenerativocronico 40 , piuttosto che privilegiare l’idea <strong>di</strong> unprocesso degenerativo neuroevolutivo (neurodevelopmentalhypothesis) 41 42 .L’introduzione della Tomografia ad Emissione <strong>di</strong>Positroni (PET) ha incrementato negli ultimi annile conoscenze riguardanti le anomalie funzionalisottostanti la schizofrenia. I sintomi positivi e inparticolare le allucinazioni u<strong>di</strong>tive sono state correlatead un’attivazione delle aree frontali, dellacorteccia del cingolo anteriore, del lobo temporalesuperiore e del cervelletto 43 . Viceversa i sintominegativi sarebbero il risultato <strong>di</strong> un’ipoattivazionedella corteccia prefrontale dorsome<strong>di</strong>ale comemostrato da un recentissimo stu<strong>di</strong>o 44 .Le <strong>di</strong>mensioni psicopatologicheLa classificazione della schizofrenia e delle psicosidel DSM-IV trova le proprie ra<strong>di</strong>ci nelle osservazionicliniche <strong>di</strong> Bleuler, Kraepelin e Schneider; leloro teorie derivano <strong>di</strong>rettamente dall’esperienzaclinica nei gran<strong>di</strong> manicomi europei 45 . Una talefonte ha sicuramente portato alla definizione dellaschizofrenia e delle psicosi in genere come con<strong>di</strong>zioni<strong>di</strong>screte, categoriali, nettamente <strong>di</strong>stintedalla normalità.L’attuale teoria riguardo lo sviluppo della schizofreniae delle altre forme psicotiche insiste suun’etiologia multifattoriale nella quale sarebberocoinvolti numerosi geni, nessuno necessario osufficiente <strong>di</strong> per se nello sviluppo <strong>di</strong> una formafranca, che interagendo fra loro e con i fattori ambientalio epigenetici porterebbero a quadri clinici<strong>di</strong>fferenti, all’interno <strong>di</strong> un continuum fra la normalitàe la patologia 46 . L’analisi quantitativa è, invero,eminentemente <strong>di</strong>mensionale mentre quellaqualitativa appartiene alla sfera categoriale: nelDSM-V sarà dato spazio anche agli aspetti quantitativo-<strong>di</strong>mensionali,oltre che qualitatitivi, a finiclassificatori. La novità, pertanto, dovrebbe consisterenell’inserire una specificazione quantitativache mancava nelle precedenti E<strong>di</strong>zioni, e sarà contutta probabilità la <strong>di</strong>mensione cognitiva la primaad essere indagata.Tale approccio <strong>di</strong>mensionale che supporta il con-90


Il percorso clinico-terapeutico della schizofreniacetto <strong>di</strong> continuum nell’ambito psicotico appare inrelazione soprattutto a tre principali aspetti 47 :1) la prevalenza <strong>di</strong> sintomi psicotici e <strong>di</strong> personalitàpsicotiche sotto soglia nella popolazionegenerale;2) lo sviluppo nel tempo <strong>di</strong> stati psicotici franchi apartire da precedenti quadri sotto soglia;3) in<strong>di</strong>viduazione <strong>di</strong> fattori <strong>di</strong> rischio, genetici edepigenetici, in campioni <strong>di</strong> popolazione generalee in soggetti schizofrenici.I sintomi positivi delle psicosi sembrano, infatti,avere una <strong>di</strong>stribuzione continua all’interno dellapopolazione generale 48-50 . La prevalenza <strong>di</strong> talisintomi in campioni non clinici varia dal 4 al17,5% a seconda del metodo utilizzato per effettuarel’analisi 48 49 .Il fenotipo psicotico sarebbe, quin<strong>di</strong>, molto più<strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> quanto immaginato in passato, soprattuttoper quanto riguarda la prevalenza lifetime dellapatologia 51 .Il <strong>di</strong>sturbo <strong>di</strong> personalità schizotipico, caratterizzatoda suscettibilità a esperienze sub-psicotiche,suggerisce l’esistenza <strong>di</strong> tratti quantitativi lungo uncontinuum tra la “normalità”, l’eccentricità, le <strong>di</strong>verseforme <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo schizotipico, fino alla schizofrenia.Un’analisi fattoriale su una coorte <strong>di</strong> pazientischizotipici ha in<strong>di</strong>viduato tre <strong>di</strong>mensioni psicopatologiche:1) credenze e percezioni bizzarre, 2)introversione e anedonia e 3) <strong>di</strong>sorganizzazioneconcettuale 52 . Questa <strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong>mensionalericorda molto da vicino quella della schizofrenia.Stu<strong>di</strong> longitu<strong>di</strong>nali mostrano che stati psicotici <strong>di</strong>rilevanza clinica si sviluppano con frequenza moltopiù elevata all’interno del pool <strong>di</strong> pazienti schizotipicirispetto alla popolazione generale 53-55 .La <strong>di</strong>mensione psicotica in se non risulta specifica<strong>di</strong> schizofrenia; sintomi psicotici possonocomplicare quadri eminentemente neurologici(Alzheimer, morbo <strong>di</strong> Huntington, psicosi epilettiche,demenza vascolare ecc.) o da intossicazioneda sostanze o stati <strong>di</strong>smetabolici. Anche i sintomischneideriani <strong>di</strong> primo rango, che negli anni nehanno caratterizzato il quadro <strong>di</strong>agnostico, nonrisultano specifici <strong>di</strong> schizofrenia.I sintomi psicotici hanno l’aspecificità della febbrein ambito me<strong>di</strong>co generale, nel senso che si tratta<strong>di</strong> fenomeni ubiquitari in tutto l’ambito delle psicosimaggiori e delle forme psico-organiche.Attualmente la schizofrenia si può considerare unapatologia neurodegenerativa a etiologia multifattoriale:la visione <strong>di</strong>mensionale ben si adatta all’idea<strong>di</strong> ere<strong>di</strong>tà poligenica, la più plausibile nellospiegare la trasmissione eredo-familiare. L’assuntoper cui numerosi geni combinandosi secondo <strong>di</strong>versipatterns e interagendo a loro volta con fattoriambientali è intuitivamente compatibile con l’ideache, a seconda del <strong>di</strong>fferente profilo genetico, sipossa essere sottoposti a una “dose” <strong>di</strong> fattori <strong>di</strong> rischiolieve, moderata o grave. Un profilo geneticoe ambientale a basso rischio, secondo questa ipotesi,porterebbe quin<strong>di</strong> allo sviluppo <strong>di</strong> una con<strong>di</strong>zionesimile al <strong>di</strong>sturbo <strong>di</strong> personalità schizotipicoo a deficit focali in particolari aree (cognitiva, neuropsicologica,negativa).Il modello <strong>di</strong>mensionale, inoltre, risulterebbe ingrado <strong>di</strong> facilitare le analisi genetiche, <strong>di</strong>minuendoil grado <strong>di</strong> eterogeneità fra i <strong>di</strong>versi casi <strong>di</strong> schizofrenia;fenotipi più omogenei sono potenzialmentesotto il controllo <strong>di</strong> un set genico più ristretto, ingrado <strong>di</strong> facilitare la <strong>di</strong>ssezione genetica della patologia56 .Già nel 1962 Meehl propose il termine “schizotaxia”57 per in<strong>di</strong>care una con<strong>di</strong>zione premorbosa<strong>di</strong> tipo biologico (genetico/neurobiologico), pre<strong>di</strong>sponenteallo sviluppo della franca schizofrenia;quaranta anni dopo il <strong>concetto</strong> appare sempre valido,anche in termini biopatogenetici, nel sensoche la “vulnerabilità” ad ammalarsi sarebbe il primummovens del processo patologico.Questa con<strong>di</strong>zione pre<strong>di</strong>sponente, substrato basaledella schizofrenia, è stata rinvenuta anche neifamiliari non psicotici, <strong>di</strong> pazienti schizofrenicinei termini <strong>di</strong> alterazioni neurobiologiche e neuropsicologiche.All’interno <strong>di</strong> questa cornice biopatogenetica,fattori ambientali <strong>di</strong> rischio come complicanzeostetriche o infezioni virali perinatali, agendo suun pattern genetico pre<strong>di</strong>sponente, porterebberoallo sviluppo della malattia 58 . Infine, il modello<strong>di</strong>mensionale sarebbe, inoltre, in grado <strong>di</strong> pre<strong>di</strong>recon più accuratezza decorso, outcome e rispostaal trattamento 59 60 in relazione soprattutto allo specificopaziente.Quali dunque le <strong>di</strong>mensioni su cuiconcentrarsi?Le prime analisi fattoriali hanno evidenziato unprofilo sintomatologico organizzato attorno a3 <strong>di</strong>mensioni psicopatologiche: positiva, negativae <strong>di</strong>sorganizzata 61-64 . Questa tri<strong>di</strong>mensionalità è91


A.C. Altamurastata criticata per l’eccessiva semplificazione delquadro clinico.Altri hanno proposto, sempre basandosi su analisifattoriali <strong>di</strong> ampie popolazioni, un modello a 5 <strong>di</strong>mensioni(negativa, delirante, allucinatoria, <strong>di</strong>sorganizzativa,depressiva) 65 .Un ulteriore modello si articola invece su 8 <strong>di</strong>mensioni:psicotica, <strong>di</strong>sorganizzata, negativa,maniacale, depressiva, eccitatoria, catatonica e“mancanza <strong>di</strong> insight” 66 .Attualmente si è orientati verso un modello penta<strong>di</strong>mensionale,composto dalle <strong>di</strong>mensioni negativa,produttiva, depressiva, <strong>di</strong>sorganizzata, impulsiva67 68 .Questo modello esclude l’ambito cognitivo, considerandolocon<strong>di</strong>zionato o secondario alle altre<strong>di</strong>mensioni psicopatolopatologiche più che riconoscerlocome <strong>di</strong>mensione autonoma. Ciò contrad<strong>di</strong>cela realtà clinica che vede, come Kraepelinaveva ben descritto, il deficit cognitivo come spiaprecoce e non risultante dal <strong>di</strong>sfunzionamento <strong>di</strong>altri domini.In questa ottica si è cercato <strong>di</strong> correlare la <strong>di</strong>mensionecognitiva con le altre <strong>di</strong>mensioni sintomatologiche,al fine <strong>di</strong> comprendere quale patternsintomatologico fosse più strettamente legato aideficit cognitivi. I deficit cognitivi, evidenti in numerosiambiti (funzioni esecutive, pensiero astratto,memoria verbale, fluenza verbale, concentrazione,<strong>di</strong>straibilità), sembrano avere scarsa correlazione conla gravità delle <strong>di</strong>sfunzioni nelle altre <strong>di</strong>mensioni.Il quadro <strong>di</strong>scognitivo suggerirebbe l’esistenza <strong>di</strong>una <strong>di</strong>sfunzione corticale estesa a più <strong>di</strong> un circuitoneuronale, stabile nel tempo, quasi in<strong>di</strong>pendentedal corso della malattia 69 .A tale proposito è opportuno citare il <strong>concetto</strong> <strong>di</strong>cognitive dysmetria 70 , sorta <strong>di</strong> teoria integrativadei quadri <strong>di</strong>scognitivi presenti nella schizofrenia:il modello in questione prende in considerazionetre fondamentali regioni cerebrali, regioni prefrontali,nuclei talamici e cervelletto. Alterazionia livello <strong>di</strong> queste strutture o a livello delle interconnessionifra queste sarebbero in grado <strong>di</strong> produrrela cognitive dysmetria, ovvero <strong>di</strong>fficoltà nelselezionare, processare, coor<strong>di</strong>nare e rispondere astimoli interni ed esterni. Questa “scarsa coor<strong>di</strong>nazionementale” sarebbe da considerare come il deficitfondamentale nella schizofrenia, responsabileprobabilmente <strong>di</strong> un ampio ventaglio <strong>di</strong> sintomi.In generale, l’inter<strong>di</strong>pendenza tra <strong>di</strong>sfunzioni cognitivee altre <strong>di</strong>mensioni è pertanto tuttora da verificare;in altre parole, se esse fossero <strong>di</strong>rettamentecausate, o comunque secondarie, al resto delle<strong>di</strong>mensioni psicopatologiche della schizofrenia,sarebbe logico curare semplicemente le <strong>di</strong>mensioniclassiche (psicotica, negativa ecc.), attendendoun miglioramento conseguente sul piano cognitivo.Ciò è solo in parte vero dal momento che i farmaci“tipici” pur migliorando alcune <strong>di</strong>mensionitendono a mo<strong>di</strong>ficare marginalmente od ad<strong>di</strong>ritturaa peggiorare l’ambito cognitivo.L’altra possibilità ipotizza l’esistenza <strong>di</strong> un meccanismobiopatogenetico comune a causare le<strong>di</strong>sfunzioni <strong>di</strong>mensionali “classiche” oltre che suquella cognitiva.In realtà, la <strong>di</strong>sfunzione cognitiva appare una sfidafondamentale per il trattamento della schizofreniae può considerarsi un marker <strong>di</strong> tratto, come megliosi <strong>di</strong>rà in seguito, dal momento che appareuno degli aspetti più specifici del decorso dellaschizofrenia, sia in funzione della gravità del quadroglobale che dell’outcome e sarà, come giàaccennato, probabilmente il primo aspetto <strong>di</strong>mensionaleinserito nel DSM-V.Da un’analisi <strong>di</strong> letteratura emerge come varieevidenze supportino l’idea che i due ambiti, <strong>di</strong>scognitivoe <strong>di</strong> altre <strong>di</strong>mensioni psicopatologiche,siano in<strong>di</strong>pendenti:1) <strong>di</strong>verso sviluppo nel tempo dei due ambiti;2) <strong>di</strong>fferente risposta alla terapia antipsicotica;3) scarsa correlazione fra i due ambiti;4) deficit cognitivi come fattori <strong>di</strong> rischio per lapatologia schizofrenica.Si è anzitutto evidenziata la presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbicognitivi fin dall’infanzia in pazienti che successivamentesvilupperanno schizofrenia 71-73 . Dati provenientida ampi campioni <strong>di</strong> reclute militari hannorilevato la presenza <strong>di</strong> funzioni intellettive compromesseben prima dell’“esor<strong>di</strong>o psicotico” 74 75 .È inoltre evidente, anche nella pratica clinica, chele <strong>di</strong>sfunzioni cognitive siano già presenti, quasidel tutto sviluppate, anche al momento dell’esor<strong>di</strong>odella malattia 76 .Da tale prospettiva sembra che la presenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>sfunzionicognitive sia un fattore <strong>di</strong> rischio per lafutura emergenza del resto della sintomatologia;tale <strong>di</strong>sabilità influenza significativamente l’esitofunzionale dei pazienti <strong>di</strong>scriminando, a secondadella gravità della stessa, fra pazienti in grado <strong>di</strong>mantenere un posto <strong>di</strong> lavoro da coloro non ingrado <strong>di</strong> organizzarsi una vita autonoma 77 .92


Il percorso clinico-terapeutico della schizofreniaSono numerose le evidenze che suggeriscono chele varie forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>scognitività, come l’appren<strong>di</strong>mentoe la memoria verbale, la vigilanza o le funzioniesecutive, risultino <strong>di</strong> uguale se non maggioreimportanza rispetto ai sintomi positivi/negativinel pre<strong>di</strong>re l’”outcome” funzionale socio/lavorativodei pazienti 78-82 .La risposta al trattamento della sintomatologia positivae impulsiva non mo<strong>di</strong>fica in alcun modo ilprofilo cognitivo dei pazienti: non è rintracciabilecorrelazione fra le due variabili. Appare, pertanto,evidente che la sintomatologia che apparepiù responsiva ai trattamenti farmacologici (quellapsicotica) non presenti alcuna correlazione con lasfera cognitiva 83 .La <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>scognitiva, assimilata a quella<strong>di</strong>sorganizzata in numerosi stu<strong>di</strong>, rimane assolutamenteinvariata col trattamento con i neuroletticidopamino-antagonisti. Alcuni stu<strong>di</strong> hanno invecerintracciato una debole correlazione positiva fra le<strong>di</strong>mensioni negativa, depressiva e <strong>di</strong>scognitiva 84 .Gli “atipici”, definiti operativamente come farmaciche provocano minimi EPS a dosaggi in grado <strong>di</strong>produrre un’efficace azione antipsicotica 85 sembrerebberoinvece, secondo modalità <strong>di</strong>fferenti dacomposto a composto, potrebbero mo<strong>di</strong>ficare ilquadro <strong>di</strong>scognitivo, anche se ciò è tuttora controverso.Gli “atipici” sembrerebbero migliorarela capacità cognitiva 86 anche in virtù dell’assenza<strong>di</strong> effetti collaterali extrapiramidali 87 , anche se irisultati non sono univoci 88 89 . Le altre <strong>di</strong>mensionipsicopatologiche sembrerebbero in<strong>di</strong>pendenti daldeficit cognitivo, per quanto riguarda la rispostaterapeutica.Il <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> “atipicità”La storia del trattamento farmacologico dellaschizofrenia riflette a suo modo quella della concezioneclinico-biopatogenetico della patologia.<strong>Dal</strong>l’introduzione delle terapie antipsicotiche itrattamenti farmacologici si sono concentrati sullacura dei sintomi schizofrenici più acuti e flori<strong>di</strong>e, anche al giorno d’oggi, sebbene esistano nuovicomposti in grado <strong>di</strong> agire anche sulla <strong>di</strong>mensionenegativa e cognitiva, il trattamento della schizofreniaviene considerato tuttora sintomatico eidentificato con lo spegnimento del quadro psicoticoacuto, poco focalizzato sulla prevenzionedelle ricadute e sui <strong>di</strong>sfunzionamenti psicobiologicie <strong>di</strong> base 90 .L’azione terapeutica dei dopamino antagonisti,risulta confinata (in linea con la concezione dellamalattia degli anni ’60) alla <strong>di</strong>mensione psicotica91 , mentre l’azione sui sintomi negativi, sulla<strong>di</strong>mensione depressiva, sulla impulsivo-aggressivae su quella <strong>di</strong>scognitiva è invece molto scarsa senon ad<strong>di</strong>rittura peggiorativa.A livello teorico l’utilizzo degli antipsicotici tipici sibasava sull’assunto, eccessivamente semplicistico,che le psicosi fossero causate sostanzialmente daun’iperattività dopaminergica. Infatti l’ipoattività delladopamina nelle vie mesocorticali, specificamentequelle che proiettano ai lobi frontali, può spiegare isintomi negativi della schizofrenia 92 93 . Nello stessotempo, questa ipoattività del lobo frontale serve a<strong>di</strong>sinibire l’attività dopaminergica mesolimbica tramiteuna circuito <strong>di</strong> feedback cortico-mesolimbico,come già riferito in precedenza.L’azione sui sistemi serotoninergico e dopaminergicoe sulle loro interazioni è certamente trai fattori responsabili della maggior efficacia degliantipsicotici “atipici”su un ventaglio sintomatologicoassai più ampio e composito. Questo doppioantagonismo è ritenuto essere il fattore <strong>di</strong> maggiorimportanza nello spiegare la maggior efficacia eil miglior profilo <strong>di</strong> tollerabilità degli antipsicoticiatipici 94 e d’altro canto l’antagonismo del recettoreserotoninergico 5-HT2 è in grado <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficareregionalmente i recettori D2.Gli antipsicotici “atipici” risultano accomunati dauna ridotta affinità per il recettore D2 e da unamaggiore potenza come antagonisti del recettoreserotoninergico 5HT2; l’attività nei confronti delsistema serotoninergico contribuirebbe a limitaregli effetti sul sistema extrapiramidali e a migliorarela sintomatologia negativa. In virtù <strong>di</strong> tale premesseè stato suggerito <strong>di</strong> considerare il rapporto fraaffinità per il recettore 5HT2A e il recettore D2 comeun in<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> “atipicità” 85 .I neurolettici tra<strong>di</strong>zionali hanno un legame conil recettore più stabile <strong>di</strong> <strong>quello</strong> della dopamina,mentre gli “atipici” mostrano un legame più debole,con una costante <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociazione maggioredella dopamina stessa. A tal proposito è stato ancheipotizzato che l’azione bloccante su 5HT2 nonsarebbe necessaria per caratterizzare l’”atipicità”dell’<strong>antipsicotico</strong>, bensì sarebbe proprio la maggiorerapi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> <strong>di</strong>ssociazione del legame con ilrecettore D2 a garantire tale proprietà 95 : infattigli “atipici” occupano i recettori D2 in manieratransitoria e se ne <strong>di</strong>ssociano rapidamente, ripri-93


A.C. Altamurastinando nel breve periodo la fisiologica attività <strong>di</strong>neurotrasmissione.L’”atipicità” sarebbe caratterizzata dalle seguentipeculiarità:1) assenza <strong>di</strong> EPS;2) assenza <strong>di</strong> <strong>di</strong>scinesia tar<strong>di</strong>va;3) assenza <strong>di</strong> iperprolattinemia;4) attività sui recettori serotoninergici.In realtà alcuni composti, come risperidone, olanzapina,amisulpride, sono da considerare parzialmente“atipici”, in quanto possibili responsabili <strong>di</strong>effetti collaterali a dosaggi elevati (in particolarerisperidone) o <strong>di</strong> iperprolattinemia (amisulpride).Dunque, se la selettività farmaco<strong>di</strong>namica e gli effetticollaterali, non sono in<strong>di</strong>catori vali<strong>di</strong> per definireil <strong>concetto</strong> <strong>di</strong> “atipicità” (anche perché non sipossono avere gli “atipici” degli “atipici”), cosa èvalido considerare per definire i nuovi composti?Innanzitutto, il fatto che essi siano in grado, inmolte con<strong>di</strong>zioni, <strong>di</strong> stabilizzare il malato riducendole ricadute, non inducendo situazioni depressogeneo anergizzanti secondarie, senza peròstimolare la ripresa <strong>di</strong> con<strong>di</strong>zioni psicotiche 96 , <strong>di</strong>non interferire con la cognitività e <strong>di</strong> permettereconseguentemente terapie riabilitative integrate.Il primo farmaco <strong>antipsicotico</strong> “atipico” è stato laclozapina, composto fondamentale nel trattamentodella schizofrenia nelle forme resistenti 97 . Èstato, inoltre, il primo agente capace <strong>di</strong> attenuaresignificativamente i sintomi negativi della schizofrenia,ritiro sociale e apatia per esempio, permettendoai pazienti <strong>di</strong> essere reinseriti nel sociale 98 .Attualmente gli antipsicotici “atipici” <strong>di</strong>sponibiliconsistono oltre alla clozapina, nella quetiapina,risperidone, olanzapina, amisulpride, aripiprazolo,ziprasidone e paliperidone.Alcuni <strong>di</strong> essi si sono mostrati efficaci anche nelmigliorare le funzioni cognitive dei pazienti schizofrenici99 100 che, secondo Green et al. pesa dal20 al 60% sui <strong>di</strong>fferenti “outcome” funzionali deipazienti 101 .L’ampio spettro d’azione recettoriale della clozapinaè stato l’ispiratore dei primi “atipici”. Essainfatti presenta alta affinità per i recettori D4, 5-H-T2, alfa1 adrenergici, muscarinici e istaminici H1ed un’affinità relativamente debole per i recettoriD1, D2, D3.Sembra che sia l’elevato rapporto 5-HT2/D2 il responsabiledei numerosi vantaggi della clozapinarispetto ai neurolettici: altri, invece, hanno evidenziatola chiave dell’efficacia sulla <strong>di</strong>mensioneanergico-depressiva della clozapina nella sua capacità<strong>di</strong> aumentare il rilascio <strong>di</strong> noradrenalina alivello frontale 102 .Parlando più in generale degli altri “atipici” possiamoevidenziare <strong>di</strong>versi pattern d’azione recettoriale:l’olanzapina agisce con una maggior efficaciasui recettori D2 e una più debole affinità sui D4e su gli alfa 1 adrenergici rispetto alla clozapina.La quetiapina mostra debole affinità per i recettori5-HT1a, 5-HT2, D1, D2, H1, alfa 1 e 2 e unelevato rapporto 5-HT2/D2. Il risperidone e il paliperidone(metabolita del risperidone <strong>di</strong> recenteintroduzione nella pratica clinica) presentano uneffetto antagonista D2 associato a un potente effettoantagonista su 5-HT2 in grado <strong>di</strong> agire sia suisintomi positivi che sui negativi.In definitiva, come già accennato il termine “atipico”come classe farmacologica appare fuorviantein quanto il profilo <strong>di</strong> effetti collaterali,così come il loro pattern d’azione, varia molto dacomposto a composto. Il risperidone provoca piùfrequentemente EPS (ad alte dosi) e può associarsia iperprolattinemia. La quetiapina invece nonprovoca EPS ma può causare sedazione eccessiva(effetto H1) e aumento <strong>di</strong> peso ed ha il limite <strong>di</strong>una scarsa attività dopamino antagonista nel caso<strong>di</strong> prevalenti sintomi psicotici. L’olanzapina puòcomportare aumento <strong>di</strong> peso, sedazione e alterazionidel profilo lipidemico. È però da evidenziareil fatto che gli “atipici” siano responsabili <strong>di</strong>effetti collaterali gravi quali EPS o iperprolattinemiain percentuale nettamente inferiore rispettoai precedenti composti 103 .Vari stu<strong>di</strong> hanno evidenziato <strong>quello</strong> che uno deipunti <strong>di</strong> forza dal punto <strong>di</strong> vista clinico degli antipsicotici“atipici”, rappresentato dalla tollerabilitànel tempo e la conseguente migliore compliancerispetto ai “tipici” (ad eccezione delle forme <strong>di</strong>smetabolichepiù gravi).Il ruolo degli antipsicotici tipici può essere ancorariconosciuto nelle terapie <strong>di</strong> “contenimento” farmacologico<strong>di</strong> pazienti acuti, dove la riduzionedella sintomatologia produttiva, della clamorositàe <strong>di</strong> comportamenti particolarmente violenti risultanol’obiettivo prevalente anche se solo temporaneo16 .Utilizzare, invece, tali composti nel lungo terminerisulta in genere controin<strong>di</strong>cato, sia per la <strong>di</strong>mostrataminor compliance dei pazienti, sia per ilridotto tasso <strong>di</strong> tollerabilità, sia soprattutto per il94


Il percorso clinico-terapeutico della schizofreniaprofilo d’azione clinico limitato alla <strong>di</strong>mensioneproduttiva della schizofrenia. L’utilizzo dell’aloperidoload oggi può essere solo in funzione dell’acuziepsicotica ma non nella pianificazione sullungo termine dove, specie in soggetti particolarmentevulnerabili ad EPS, sarebbe da considerarsicome malpractice. A questo proposito, un recentestu<strong>di</strong>o in doppio cieco, volto appunto a verificarela <strong>di</strong>fferente efficacia sul lungo termine <strong>di</strong> tipici eatipici (in particolare aloperidolo vs. ziprasidone),ha mostrato su 196 settimane un tasso <strong>di</strong> remissionesintomatologica statisticamente superiore perziprasidone 104 .Per quanto riguarda l’azione degli “atipici” su altre<strong>di</strong>mensioni cliniche è importante quella sullacognitività.A seconda delle modalità con cui gli antipsicoticiregolano i siti corticali D1 in relazione al rangeottimale si possono quin<strong>di</strong> avere effetti cognitivipositivi, negativi o neutri. Stu<strong>di</strong> condotti me<strong>di</strong>anteSPECT suggeriscono che soggetti con <strong>di</strong>sturboschizofrenico drug-naive abbiano una ridotta attivitàrecettoriale D1. La regolazione dell’attività<strong>di</strong> stimolazione D1 sembra, pertanto, necessariaal miglioramento delle funzioni cognitive e potràessere utilizzato nella sintesi <strong>di</strong> nuove molecoleantipsicotiche. Altri stu<strong>di</strong> focalizzano l’attenzionesul ruolo della 5HT1A nel me<strong>di</strong>are l’attività procognitivanella schizofrenia 105 e, <strong>di</strong> conseguenza,sull’ipotetica funzione terapeutica <strong>di</strong> farmaci atipiciattivi su tali recettori. Aripiprazolo, clozapina, olanzapina,quetiapina, risperidone e ziprasidone sonoesempi <strong>di</strong> antipsicotici agonisti <strong>di</strong>retti o in<strong>di</strong>retti delrecettore 5HT1A i cui effetti sulla cognitività nellaschizofrenia sono stati verificati in vari stu<strong>di</strong>.Relativamente all’aripiprazolo, uno dei farmacipiù recenti e più interessanti dal punto <strong>di</strong> vista farmaco<strong>di</strong>namicograzie all’agonismo parziale sui recettoriD2 e 5-HT1A e l’antagonismo sui 5-HT2A,è stata provata una efficacia sulla sintomatologiacognitiva pari a quella <strong>di</strong> olanzapina 106 .Risperidone si è invece mostrato superiore in ogniambito, soprattutto relativamente alla cognitività,rispetto ad aloperidolo in un ampio stu<strong>di</strong>o sul lungotermine 107 .Sono stati valutati gli effetti <strong>di</strong> clozapina, risperidonee olanzapina sulle funzioni cognitive: clozapinarisultava in grado <strong>di</strong> migliorare attenzione, flui<strong>di</strong>tàverbale e, in parte, funzioni esecutive; risperidoneaveva effetti positivi su working memory, funzioniesecutive e attenzione; olanzapina migliorava inveceappren<strong>di</strong>mento, memoria, flui<strong>di</strong>tà verbale efunzioni esecutive 108 .È stato rilevato beneficio sulle funzioni cognitiveda parte <strong>di</strong> risperidone e olanzapina piuttosto cheda parte <strong>di</strong> clozapina e aloperidolo 61 ; altri hanno,invece, paragonato quetiapina e aloperidolo riscontrandoun evidente miglioramento dei punteggi testalicognitivi nei pazienti trattati con la prima 109 .In generale, si può affermare che il <strong>concetto</strong> <strong>di</strong>“atipico” è tuttora vago e inconsistente se si eccettuail suo valore nel definire la capacità <strong>di</strong> agiresu <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>fferenti, senza provocare effettiiatrogeni, quadri depressivi e/o anedonici comesi assiste con aloperidolo o con i classici dopamino-antagonisti.Inoltre, la minor frequenza <strong>di</strong>effetti extrapiramidali dà un senso al <strong>concetto</strong> <strong>di</strong>salvaguar<strong>di</strong>a della “qualità <strong>di</strong> vita” del soggetto,già duramente provata dalla patologia schizofrenica,che include ovviamente aspetti cognitivi.Il sistema serotoninergico, così come altri sistemi <strong>di</strong>neurotrasmissione, appaiono importanti nel me<strong>di</strong>areuna serie <strong>di</strong> caratteristiche <strong>di</strong> efficacia non rilevabilicon l’uso dei vecchi dopamino-antagonisti.Antipsicotici <strong>di</strong> terza generazionee i nuovi modelli <strong>di</strong> gestione terapeuticaComposti quali olanzapina, aripiprazolo, risperidone,ziprasidone, paliperidone e quetiapina hannoconsentito <strong>di</strong> ottimizzare il trattamento dei <strong>di</strong>sturbischizofrenici, così come <strong>quello</strong> dei <strong>di</strong>sturbibipolari 110 .Questa evoluzione terapeutica, che sarà più evidentenei prossimi anni considerando il relativamentebreve periodo <strong>di</strong> impiego <strong>di</strong> tali composti,presenta però alcuni problemi irrisolti,soprattutto in funzione della remissione clinica,dell’ottimizzazione delle terapie e nel ridurre glieffetti indesiderati <strong>di</strong>smetabolici e car<strong>di</strong>ovascolari.La farmacoingegneria, insieme alla clinica,dovrà affrontare la sintesi <strong>di</strong> nuove molecolecon meccanismi d’azione innovativi, ponendosidei target quali:1) maggiore capacità <strong>di</strong> stabilizzazione clinica eprevenzione;2) maggior efficacia sui sintomi negativi primari e<strong>di</strong>scognitivi;3) risoluzione delle problematiche relative aglieffetti collaterali <strong>di</strong> cui, sebbene in minor misurarispetto ai neurolettici tipici, gli antipsicoticiancora soffrono.95


A.C. AltamuraInterventi psicoeducazionali e supportivi si sonorivelati utili nel migliorare l’“insight” del pazientee quin<strong>di</strong> l’aderenza alla terapia antipsicotica,migliorando, dunque, in<strong>di</strong>rettamente la prognosisul lungo periodo 111 : esso risulterebbe <strong>di</strong> primariaimportanza sia al momento dell’esor<strong>di</strong>o schizofrenico112 , sia nel lungo termine nel prevenire le ricadutee nel migliorare la compliance terapeutica 113 .Relativamente a quest’ultimo punto, l’aderenzaterapeutica risulterebbe maggiormente rinforzatadall’utilizzo sinergico <strong>di</strong> terapia psicoeducazionale,supporto comportamentale e aiuti pratici miratialla soluzione <strong>di</strong> problemi concreti nel quoti<strong>di</strong>anodel paziente 114 .Per garantire a <strong>di</strong>verse figure professionali (rieducatori,psicoterapeuti ecc.) la possibilità <strong>di</strong> intervenireefficacemente, risulta fondamentale l’impostazione<strong>di</strong> una terapia antipsicotica adeguata e bentollerata dal paziente; lo psicofarmacologo clinicodovrà, dunque, ponderare l’efficacia clinica inrapporto agli effetti collaterali, al funzionamentosociale e all’outcome oggettivamente auspicabile.Sarebbe quin<strong>di</strong> l’alleanza terapeutica il fattoremaggiormente implicato nell’“outcome” a lungotermine del paziente schizofrenico: per garantirel’instaurarsi <strong>di</strong> tale relazione risulta <strong>di</strong> fondamentaleimportanza l’impostazione <strong>di</strong> una terapia farmacologicagravata dal minor numero <strong>di</strong> effetti collaterali115 , centrata sulla specificità sintomatologicae adeguata alle esigenze psicosociali del paziente.Nella Figura 1 è mostrato come il passaggio dallafase acuta a quella <strong>di</strong> stabilizzazione sia spessoimpossibile utilizzando i neurolettici a causa deglieffetti collaterali. Da ciò derivano le ricadute precocicausa <strong>di</strong> mancanza <strong>di</strong> stabilizzazione nell’arco<strong>di</strong> 6 o più mesi dall’esor<strong>di</strong>o del quadro <strong>di</strong> acuzie.Risulta quin<strong>di</strong> assolutamente insensato impostarela terapia a lungo termine della schizofreniasull’utilizzo <strong>di</strong> neurolettici, utili certamente nellefasi acute ma inadatti al processo <strong>di</strong> creazione <strong>di</strong>alleanza terapeutica me<strong>di</strong>co-paziente, in quantosgra<strong>di</strong>ti e mal tollerati dal paziente stesso 116 , oltreche non in grado <strong>di</strong> stabilizzare correttamentevista la possibilità <strong>di</strong> induzione <strong>di</strong> stati depressiviiatrogeni e/o <strong>di</strong> stati anergici secondari al loro uso(Fig. 1). Un esempio è dato dall’utilizzo clinicoambulatorialedella 2COM per migliorare appuntoil rapporto me<strong>di</strong>co-paziente, l’alleanza terapeuticae l’aderenza farmacologica 117 118 .Per quanto riguarda possibili nuovi meccanismid’azione, l’attenzione si è focalizzata su recettoriFIGURA 1La figura mostra come sia <strong>di</strong>fficile stabilizzare il pazienteschizofrenico con il trattamento con neurolettici.This picture shows how hard can be to reach clinicalstabilization in a schizophrenic patient, treated withneuroleptics (Altamura, 2003).nicotinici, glutamatergici e gabaergici per il trattamentodelle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong>scognitiva e negativadella schizofrenia: in un trial <strong>di</strong> fase 2, è stato riscontratoun miglioramento della sintomatologianegativa dopo somministrazione <strong>di</strong> agonisti nicotiniciin grado <strong>di</strong> stimolare i recettori alfa-7-nicotinici119 . Un altro stu<strong>di</strong>o sperimentale su un campioneristretto, ha evidenziato risultati a supporto dell’ipotesiper cui l’aumento dell’attività GABAergicaa livello della sub unità alfa-2 dei recettori GABAsarebbe in grado <strong>di</strong> migliorare gli aspetti comportamentalie l’attività cerebrale in sede prefrontalein pazienti schizofrenici 120 .Altri, invece, si sono concentrati su composti agonistiattivi su recettori muscarinici (M1 e M4), risultatiefficaci in un breve trial sperimentale vs. placebosu pazienti schizofrenici 121 . Stu<strong>di</strong> versus placebohanno ottenuto risultati positivi con compostiantagonisti dei recettori NK3 e 5-HT2A/2C 122 .Un ruolo del glutammato nella fisiopatologia dellaschizofrenia è stato ipotizzato sulla scorta <strong>di</strong> datirelativi all’utilizzo <strong>di</strong> fencicli<strong>di</strong>na e ketamina e alleloro azioni psicotomimetiche: agendo, infatti, sulrecettore NMDA per il glutammato si possono elicitaresintomi positivi, negativi e cognitivi, sia involontari sani che in pazienti schizofrenici 123 124 .Stu<strong>di</strong> biomolecolari in modelli animali <strong>di</strong> schizofreniae in campioni <strong>di</strong> tessuto cerebrale autopticoprovenienti da pazienti schizofrenici supportanol’ipotesi che una ridotta attività dei recettori postsinapticiNMDA possa essere legata alla schizofrenia125 126 .Relativamente al glutamato, citiamo qui un recen-96


Il percorso clinico-terapeutico della schizofreniate stu<strong>di</strong>o preclinico in vivo su modelli animali <strong>di</strong>psicosi nel quale un nuovo composto (LY404039),agonista dei recettori mGlu2/3, avrebbe mostratoeffetti antipsicotici e ansiolitici interessanti 127 .L’agonismo glutamatergico può risultare peròscarsamente maneggevole per il rischio <strong>di</strong> possibileneurotossicità associata ad una sua iperstimolazione:in tal senso una stimolazione glutamatergicapiù facilmente gestibile potrebbe risultare daagonisti glicinergici, vista la presenza <strong>di</strong> recettoriglicinergici allosterici associati ai recettori glutamatergici.La stimolazione <strong>di</strong> tali siti porterebbe aduna modulazione glutamatergica senza una realeiperattivazione, evitando pertanto il rischio <strong>di</strong> eccitotossicità128 129 .Citiamo inoltre l’idazoxan, antagonista α2 non selettivo,risultato efficace nell’aumentare l’efficaciaantipsicotica <strong>di</strong> flufenazina 130 ; stu<strong>di</strong> più recentiriguardanti la stessa molecola hanno riscontratoil medesimo effetto in modelli animali <strong>di</strong> psicositrattati con <strong>antipsicotico</strong> e idazoxan 131 .Attualmente vi sono numerosi nuovi composti ancoranella fase premarketing con profili <strong>di</strong> azionerecettoriale (o nuove formulazioni) interessanti:asenapina, bifeprunox, iloperidone, nemonapride,norclozapina (metabolita principale della clozapina),paliperidone palmitato (formulazione a lungorilascio) e olanzapina palmitato (formulazione alungo rilascio) 132 .ConclusioniÈ importante riba<strong>di</strong>re come sia giusto oggi considerarei sintomi psicotici come un aspetto dellaschizofrenia, così come la loro biopatogenesi riconducibileall’iperfunzionamento D2. Le altre <strong>di</strong>mensioni,altrettanto importanti per la definizione deldecorso, dell’esito e del trattamento sono problematichelegate ad altri neurome<strong>di</strong>atori (glutamato,istamina, recettori NK1-3, serotonina, glicina, altrisottotipi dopaminergici, aceticolinici, ecc.).Pertanto, il termine <strong>antipsicotico</strong> appare riduttivoed anacronistico perché si riferisce ad un modellosuperato, sia a livello clinico che biopatogenetico,in cui vi era unicamente attenzione sui recettoriD2 e l’azione terapeutica era essenzialmentesecondaria all’antagonismo <strong>di</strong> tali recettori: ciòrendeva anzitutto ragione degli effetti allucinoliticie deliriolitici che però non costituiscono, da soli,i core symptoms della schizofrenia. Ciò oggi puòessere ritenuto valido unicamente per la <strong>di</strong>mensionepsicotica ed in misura molto minore per le altre<strong>di</strong>mensioni coinvolte.Attualmente, nella strategia terapeutica globale,il trattamento a lungo termine appare fondamentaleper una corretta impostazione clinica <strong>di</strong>versada quella degli anni ’60-’70, nella quale l’utilizzodell’<strong>antipsicotico</strong> era centrato sul periodo acuto emaggiore enfasi era posta sul trattamento dell’episo<strong>di</strong>opsicotico. La schizofrenia era, infatti, concepitacome la sommatoria <strong>di</strong> <strong>di</strong>versi episo<strong>di</strong> acuti,prescindendo dai perio<strong>di</strong> intercritici, fondamentaliper prevenire le ricadute. Visione questa attualmenteda ribaltare, ponendo la stabilizzazione ela profilassi delle ricadute (mantenimento) comeobiettivo terapeutico primario, attraverso l’azionesulle varie <strong>di</strong>mensioni psicopatologiche. In questaottica, i nuovi antipsicotici costituiscono un importantepasso avanti per la gestione cronica delpaziente rispetto ai neurolettici.I nuovi composti si possono definire degli “stabilizzatori”nel senso che riducono lo shift dellepolarità produttiva e negativo-anergica, tipica deineurolettici che bloccano la dopamina a livellopre-frontale 96 14 104 , rendendo il paziente più <strong>di</strong>sponibileper integrare terapie non farmacologiche<strong>di</strong> tipo risocializzante, riabilitativo e psicologico.Pertanto, sulla base <strong>di</strong> queste considerazioni, iltermine <strong>antipsicotico</strong>, riferendosi unicamente alla<strong>di</strong>mensione psicotica, appare confondente erisulta, quin<strong>di</strong>, necessario sostituirlo con un’altraterminologia che enfatizzi non l’attività sui solisintomi psicotici ma, più globalmente, sulle <strong>di</strong>mensioninegativa, <strong>di</strong>sorganizzata, impulsivo-aggressiva,depressiva e cognitiva. Pertanto, la definizione<strong>di</strong> questi farmaci potrebbe essere quella<strong>di</strong> “normostabilizzatori multi<strong>di</strong>mensionali” per laloro capacità <strong>di</strong> agire nella fase acuta e nella fase<strong>di</strong> mantenimento, nonché sulle <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mensionipsicopatologiche.Ciò analogamente a quanto si è osservato nel <strong>di</strong>sturbobipolare dove, in passato, il litio era il soloa ridurre le oscillazioni <strong>di</strong> polarità: attualmentelo possono fare gli stabilizzanti dell’umore e glistessi “atipici” 133 . Diversamente dagli stabilizzantidell’umore (ve<strong>di</strong> litio), che non agiscono primariamentesull’ideazione ma sulla componente affettivo-motoria,i nuovi composti agiscono primariamentesul <strong>di</strong>sfunzionamento ideo-affettivo.Sostituendo il termine <strong>antipsicotico</strong> con <strong>quello</strong> <strong>di</strong>“normostabilizzatore multi<strong>di</strong>mensionale” si enfatizzainoltre l’azione sul lungo periodo e, proba-97


A.C. Altamurabilmente, la capacità intrinseca <strong>di</strong> agire, forse, sulprocesso neurodegenerativo <strong>di</strong> base come evidenziatodagli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> neuromorfologia che mostranocome tale processo sia progressivo 134 103 135 136 e chepotrebbe essere forse bloccato o rallentato dall’uso<strong>di</strong> questi nuovi composti.In conclusione, è nozione ormai acquisita che l’approccioal trattamento della schizofrenia non possapiù essere <strong>quello</strong> degli anni ’60 o ’70 137 ma chedebba essere realmente “olistico”, considerandol’interazione geni-ambiente ma anche le capacitàdei farmaci più recenti che agiscono non con modalitàuni<strong>di</strong>mensionali (solo sugli aspetti psicotici) mamulti<strong>di</strong>mensionali, agendo così sulle <strong>di</strong>verse <strong>di</strong>mensioni<strong>di</strong> <strong>di</strong>sfunzionamento a cui sottostanno <strong>di</strong>versimeccanismi neurochimici a livello del SNC 14 .In futuro molecole mirate sugli aspetti <strong>di</strong>mensionalidella schizofrenia porteranno ad una terapia più razionale,mirata sui sintomi prevalenti, che possa sostituireil riduzionismo biopatogenetico e la relativaterapia dei decenni passati. Ciò nel senso <strong>di</strong> considerareche l’eterogeneità clinica e nosografica dellaschizofrenia sottende una multi<strong>di</strong>sfunzionamentoneurochimico 138 che non può più essere ricondottoallo “storico” ed obsoleto “modello dopaminergico”1 ricollegabile fondamentalmente alla <strong>di</strong>mensionedelirante-allucinatoria 139 140 . Questi passiavanti nel trattamento significano e significherannosempre <strong>di</strong> più un reale <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> integrazione deltrattamento, che non dovrà risultare in un puro esercizioculturale, ma dovrà essere calato nella realtàclinica, a partire da prerequisiti <strong>di</strong> miglior stabilizzazionee, in generale, <strong>di</strong> una miglior qualità <strong>di</strong> vitadel paziente affetto da schizofrenia 141 .RingraziamentoSi ringrazia il dott. Filippo Dragogna, il dott. MassimilianoBuoli e la dott.ssa Marta Serati per il prezioso contributoalla stesura <strong>di</strong> questo articolo.Bibliografia1Carlsson A, Lindqvist M. Effect of chlorpromazine orhaloperidol on formation of 3-methoxytyramine andnormetanephrine in mouse brain. Acta PharmacolToxicol 1963;20:140-4.2Delay J, Deniker P, Harl J. Traitment des états d’excitationet d’agitation par une méthode me<strong>di</strong>camenteusederivée de l’hibernotherapie. Ann Med Psychol1952;110:267-73.3Altamura AC, Guercetti G, Invernizzi G. Eterogeneitàetiopatogenetica della schizofrenia: nuove evidenze,possibili modelli teorici ed ipotesi terapeutiche. Rivista<strong>di</strong> Psichiatria 1987;22:1-21.4Bleuler E. Dementia praecox oder <strong>di</strong>e Gruppe derSchizofrenien. In: Aschaffenburg G, e<strong>di</strong>tor. Handbuchder psychiatrie. Vienna: Leipzig 1911-1928.5Arieti S. Some aspects of the psychopathology ofschizophrenia. Am J Psychother 1954;8:396-414.6Cooper B. 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