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LA FLORA ESOTICA LOMBARDA - Comune di Milano

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La Flora<br />

Esotica<br />

Lombarda<br />

E. Banfi, G. Galasso


<strong>LA</strong> <strong>FLORA</strong> <strong>ESOTICA</strong> <strong>LOMBARDA</strong><br />

Nell’anno internazionale della bio<strong>di</strong>versità, Regione Lombar<strong>di</strong>a presenta i risultati <strong>di</strong> un progetto avviato<br />

in collaborazione con il Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> e finalizzato ad aumentare conoscenza e<br />

consapevolezza sul tema delle specie vegetali esotiche in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

I dati <strong>di</strong> base sulla <strong>di</strong>ffusione delle specie, che nel testo e nel CD ROM sono arricchiti da una importante<br />

documentazione fotografica, risultano infatti in<strong>di</strong>spensabili per l’impostazione <strong>di</strong> una strategia <strong>di</strong><br />

contenimento delle specie invasive che possono costituire una seria minaccia alla bio<strong>di</strong>versità ed in<br />

alcuni casi produrre impatti economici, come nel caso delle infestanti, o sanitari, principalmente a causa<br />

della produzione <strong>di</strong> polline allergenico.<br />

Si ritiene dunque, dopo la recente realizzazione della check-list nazionale sulla flora alloctona, che<br />

in<strong>di</strong>vidua la Lombar<strong>di</strong>a come la regione con la più alta percentuale <strong>di</strong> specie alloctone, <strong>di</strong> offrire un<br />

importante contributo sia <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento scientifico per gli addetti ai lavori sia per gli enti gestori<br />

delle aree protette, deputati al controllo ed alle azioni <strong>di</strong> contenimento delle specie invasive negli<br />

ecosistemi delle aree a maggiore naturalità.<br />

Un altro obiettivo del lavoro riguarda la sensibilizzazione del grande pubblico, rispetto ad una <strong>di</strong>namica<br />

in atto che oggi è particolarmente attiva a causa del forte incremento delle reti <strong>di</strong> trasporto e degli<br />

scambi, oltre che agli effetti associati ai cambiamenti climatici. L’archivio fotografico favorisce l’approccio<br />

e l’interesse ad un fenomeno facilmente rilevabile sul territorio.<br />

Infine, questo primo censimento della flora esotica regionale, si affianca e va ad integrare il più generale<br />

progetto della Carta Floristica Regionale, in continuo aggiornamento, nell’ambito del sistema <strong>di</strong><br />

conoscenze sul patrimonio <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

L’Assessore regionale ai Sistemi ver<strong>di</strong> e Paesaggio<br />

Alessandro Colucci


“ Tant’è la forza e la certezza che quell’albero mette<br />

a essere albero, l’ostinazione a essere pesante e duro,<br />

che gli s’esprime persino nelle foglie. ”<br />

Italo Calvino, Il barone rampante<br />

Il rapporto fra natura e cultura è da sempre incarnato nelle opere d’arte e, in particolare, alcuni capolavori<br />

come La primavera o Le nozze <strong>di</strong> Filologia e Mercurio <strong>di</strong> Botticelli ne esaltano, come si evince dal doppio<br />

titolo, il significato filosofico e allegorico.<br />

La flora, inoltre, con il suo linguaggio simbolico ci permette <strong>di</strong> avvicinarci alla natura in modo intimo e<br />

partecipe. L’essere nel mondo dell’uomo ci pone, infatti, in una primaria relazione con l’ambiente e il<br />

paesaggio. Si potrebbe parlare, in tal modo, <strong>di</strong> una geografia culturale oltre che <strong>di</strong> una geografia fisica.<br />

E questa pubblicazione, nello specifico, ci porta alla scoperta <strong>di</strong> un risvolto inaspettato delle nostre terre:<br />

la flora esotica lombarda.<br />

Fin dai nomi <strong>di</strong> questi alberi, felci, erbe e piante acquatiche ritroviamo il rimando a un universo <strong>di</strong><br />

conoscenze, evocazioni, <strong>di</strong> antica saggezza.<br />

Importante riba<strong>di</strong>re, allora, la necessità della conservazione e della tutela <strong>di</strong> queste specie che ci parlano<br />

della storia del pianeta, della relazione fra uomo e natura.<br />

Necessario, soprattutto per le giovani generazioni, trasmettere tale ere<strong>di</strong>tà e sensibilizzare ai problemi<br />

dell’ambiente.<br />

Decisivo promuovere una coscienza ecologica, anche ricordando la drammatica attualità dei recenti<br />

fatti <strong>di</strong> inquinamento ambientale, per ri-costruire una relazione più armonica con l’ambiente.<br />

Ed è così che scienze apparentemente “separate” si possono accostare in quell’idea <strong>di</strong> convergenza<br />

dei saperi scientifici e umanistici volta a realizzare una cultura con<strong>di</strong>visa e <strong>di</strong>ffusa oltre le <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong><br />

genere e <strong>di</strong>sciplina.<br />

Del resto come non richiamare un passaggio da una delle più antiche “cronache” <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> che esaltano<br />

la città per il clima, la fertilità e la crescita demografica? Si tratta <strong>di</strong> Bonvesin de la Riva e del suo<br />

De Magnalibus Me<strong>di</strong>olani: a <strong>Milano</strong> scorrono “acque vive, naturali, mirabilmente adatte a essere bevute…<br />

Il territorio produce in abbondanza, come ciascuno può constatare, biada, vino, legumi, frutta, alberi,<br />

fieno e altri beni”. Siamo intorno al 1288 ma la vocazione <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> è già in<strong>di</strong>viduata. Nel corso dei secoli<br />

si sono aggiunte numerose ricchezze produttive ma il legame con la terra è parte essenziale della storia<br />

e della tra<strong>di</strong>zione locale.<br />

Ripercorrere e censire, dunque, le tracce e la presenza delle specie esotiche lombarde vuol <strong>di</strong>re<br />

raccontare la bio-<strong>di</strong>versità e ri-leggere con nuovo e <strong>di</strong>fferente punto <strong>di</strong> vista un capitolo <strong>di</strong> storia <strong>di</strong><br />

Lombar<strong>di</strong>a nel grande libro della Natura.<br />

Assessore alla Cultura del <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> <strong>Milano</strong><br />

Massimiliano Finazzer Flory


Milioni d’anni <strong>di</strong> evoluzione biologica sul nostro pianeta hanno creato quella <strong>di</strong>versità della vita<br />

dalla quale ha preso forma anche la nostra specie. Una <strong>di</strong>versità fatta <strong>di</strong> numeri (le specie, appunto)<br />

e <strong>di</strong> interazioni (predazione, <strong>di</strong>fesa, competizione, esclusione, intesa, collaborazione, simbiosi) spesso<br />

incre<strong>di</strong>bilmente complesse e articolate, dal livello molecolare a quello ecosistemico. Il tutto, oggi lo<br />

possiamo sostenere senza il timore <strong>di</strong> essere tacciati <strong>di</strong> animismo o <strong>di</strong> connivenza con l’intelligent<br />

design, anche sulla base <strong>di</strong> una “intelligenza” in natura, il cui campo <strong>di</strong> ricerca costituisce uno dei<br />

principali argomenti <strong>di</strong> frontiera della biologia attuale.<br />

Per le piante, nella fattispecie, l’ambiente fisico è stato l’interlocutore <strong>di</strong>retto e imme<strong>di</strong>ato non solo del<br />

loro evolvere, ma pure dei <strong>di</strong>versi, interminabili modelli <strong>di</strong> organizzazione spaziale generati dall’obbligo<br />

<strong>di</strong> convivenza sul terreno. Così, in ogni area del pianeta e in <strong>di</strong>pendenza dai fattori ambientali, la<br />

spartizione dello spazio fra le piante ha dato forma a ciò che siamo usi chiamare vegetazione, vale<br />

a <strong>di</strong>re ai sistemi <strong>di</strong> comunità vegetali (fitocenosi) quale risultato <strong>di</strong> “civile” convivenza tra specie<br />

reciprocamente interagenti. Si è trattato <strong>di</strong> processi lenti e graduali, spesso interrotti e ri<strong>di</strong>rezionati dai<br />

gran<strong>di</strong> eventi naturali (orogenesi, vulcanismo, ingressioni e regressioni marine, glaciazioni ecc.), in tutti i<br />

casi mai paragonabili ai risultati della più recente causa mon<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> mutamenti: l’azione umana.<br />

Sarebbe davvero affascinante ripercorrere evoluzione e spostamenti della nostra specie, a partire dal<br />

continente africano <strong>di</strong> qualche centinaio <strong>di</strong> migliaia d’anni fa, per capire da quando e in che misura<br />

certe piante abbiano imparato a convivere con noi, marcando la nostra storia ed entrando nella nostra<br />

cultura. Sta <strong>di</strong> fatto che a causa <strong>di</strong> Homo sapiens gli equilibri naturali sono progressivamente saltati<br />

senza possibilità, per le piante, <strong>di</strong> riorganizzare in modo stabile le loro comunità naturali e oggi, nell’era<br />

della globalizzazione, pren<strong>di</strong>amo atto che la vegetazione, specialmente quella che ci sta intorno, appare<br />

sempre più globale e omologata, un dominio <strong>di</strong> poche specie ubiquiste, largamente <strong>di</strong>ffuse sul pianeta.<br />

Identificare le comunità originali <strong>di</strong> piante in qualunque territorio civilizzato è ormai una sfida<br />

che vede impegnate, oltre all’esperienza botanica, le <strong>di</strong>fferenti competenze <strong>di</strong>sciplinari invocate<br />

soprattutto nella ricostruzione del passato. La ban<strong>di</strong>era <strong>di</strong> questo sconvolgimento, in sostanza il<br />

degrado della vegetazione autoctona, è portata dall’esotismo che deriva dall’inse<strong>di</strong>amento stabile,<br />

paesaggisticamente determinante, <strong>di</strong> piante provenienti da terre lontane, estranee alla primor<strong>di</strong>alità del<br />

territorio. A un’avanguar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> vegetazione autoctona ormai <strong>di</strong>sorganizzata, indebolita e compromessa,<br />

le aliene rispondono espandendosi e conquistando passo a passo il territorio. Così la gaggìa (Robinia<br />

pseudoacacia) e l’uva turca (Phytolacca americana), entità americane immortalate da Alessandro<br />

Manzoni, assieme al cinese albero del para<strong>di</strong>so (Ailanthus altissima) hanno inesorabilmente trasformato<br />

il paesaggio lombardo a partire dalla seconda metà dell’Ottocento.


Oggi la comparsa e l’affermazione <strong>di</strong> nuove aliene è un fatto sempre più frequente in or<strong>di</strong>ne ai<br />

movimenti umani; molte <strong>di</strong> esse vengono deliberatamente introdotte, ma una gran parte, opportuniste<br />

e clandestine, agisce inattesa e incontrollata. I guai <strong>di</strong> queste comparse sono molteplici, spesso<br />

<strong>di</strong> pesante rilevanza economica e sanitaria; in altri casi non si registrano effetti negativi <strong>di</strong>retti <strong>di</strong><br />

una presenza vegetale aliena, ma bisogna ricordare che essa è un sintomo <strong>di</strong> malattia del territorio,<br />

privato delle sue <strong>di</strong>fese naturali. In ogni area geografica conoscere le specie aliene e <strong>di</strong>stinguerle dalla<br />

base autoctona della sua flora è preliminare sia al monitoraggio della bio<strong>di</strong>versità sia a qualunque<br />

pianificazione ecosostenibile d’uso del suolo e <strong>di</strong> governo del territorio.<br />

La Lombar<strong>di</strong>a, sul terreno nazionale, detiene il primato <strong>di</strong> alienazione floristica con 619 specie esotiche,<br />

tra invasive, naturalizzate e casuali. La loro <strong>di</strong>ffusione, oggi, non è tanto conseguenza <strong>di</strong> storiche<br />

“ineluttabilità”, ma dell’assenza <strong>di</strong> una coscienza in<strong>di</strong>viduale e sociale del problema. Come si è verificato<br />

per la raccolta <strong>di</strong>fferenziata dei rifiuti, se chi vende piante e chi le compra acquistasse coscienza del<br />

fatto che esistono precisi doveri verso l’ambiente e che, per esempio, la vite del Canada, (Parthenocissus<br />

quinquefolia), portata in giro dagli uccelli, produce danni irreversibili a quanto sopravvive dei boschi<br />

<strong>di</strong> pianura, si farebbe un fondamentale salto <strong>di</strong> qualità non soltanto nel rapporto uomo-ambiente,<br />

ma anche nell’evoluzione culturale della nostra specie. Questa in<strong>di</strong>spensabile metànoia si presenta,<br />

se mai dovrà auspicabilmente innescarsi, come un processo a lunga scadenza, a fronte del quale oggi<br />

possiamo solo avviare i primi passi. Come? Da parte nostra, promuovendo un approccio <strong>di</strong>retto alla<br />

conoscenza delle piante aliene; devi conoscere il nemico per poterlo “apprezzare” e combattere. Tale<br />

è l’intento della presente pubblicazione, che ci auguriamo possa contribuire a creare quella coscienza<br />

collettiva <strong>di</strong> cui c’è urgente bisogno.<br />

Enrico Banfi<br />

Gabriele Galasso


PIANTE ALIENE E TERRITORIO<br />

INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

Si contano ormai sulla punta delle <strong>di</strong>ta le aree del pianeta rimaste ancora immuni dai ben noti processi <strong>di</strong><br />

bioglobalizzazione che contrad<strong>di</strong>stinguono la nostra epoca storica. Si tratta <strong>di</strong> trends iniziati da quando<br />

Homo sapiens (ma forse, già prima <strong>di</strong> lui, H. erectus in Asia e H. neanderthalensis in Europa) uscì dal<br />

continente africano per espandersi, un po’ alla volta, su tutto il globo; però, mentre prima della scoperta<br />

dell’America appariva evidente solo nel contorno degli inse<strong>di</strong>amenti umani, dal periodo coloniale, ma<br />

soprattutto, in Occidente, dopo la rivoluzione industriale, il fenomeno si <strong>di</strong>ffuse con estrema rapi<strong>di</strong>tà<br />

fino ad assumere la portata mon<strong>di</strong>ale che conosciamo.<br />

Ancora oggi, per fortuna, esiste un’interfaccia tra il mondo alterato, dove le piante aliene la fanno da<br />

padrone, e il mondo naturale ancora integro, ma il grave problema è che mai come in questi ultimi<br />

100 anni si è assistito a una così marcata situazione <strong>di</strong> regresso, frammentazione e confinamento<br />

dell’ambiente naturale.<br />

Nel quadro del degrado storico, ogni territorio geografico si presenta oggi con un proprio epilogo <strong>di</strong><br />

vicende alle spalle, nel quale si mescolano in vario grado realtà antropogeniche e naturali. La lettura<br />

della situazione, che vede una correlazione positiva tra presenza aliena e degrado ambientale, non<br />

può prescindere da una conoscenza <strong>di</strong> base <strong>di</strong> quella naturalità che identifica ab origine il territorio,<br />

a <strong>di</strong>spetto delle sue trasformazioni. D’altra parte non si può pensare <strong>di</strong> interpretare correttamente<br />

l’alienazione vegetale <strong>di</strong> un territorio senza conoscerne i caratteri originari. Per tale motivo riteniamo<br />

utile spendere qualche parola sui concetti che stanno alla base della conoscenza geobotanica (o<br />

fitogeografica) territoriale, senza i quali il fenomeno alieno non può essere compreso in significato e<br />

portata.<br />

In tutto ciò, punto <strong>di</strong> riferimento fisso è il territorio, un tratto <strong>di</strong> superficie del pianeta, quale potrebbe<br />

essere -guarda caso- la Lombar<strong>di</strong>a, definito sì da confini amministrativi, ma soprattutto da una specifica<br />

combinazione <strong>di</strong> elementi fisici (posizione geografica, orografia, geo-litologia), da cui derivano<br />

specificità climatico-pedologiche in <strong>di</strong>retto rapporto con la vegetazione e con la <strong>di</strong>versità degli habitat.<br />

Prima della comparsa dell’uomo, il territorio è stato teatro dell’inse<strong>di</strong>amento naturale <strong>di</strong> specie vegetali,<br />

per massima parte (viste le <strong>di</strong>mensioni del territorio) pervenute da fuori (speciazione esocora) attraverso<br />

l’espansione dei loro popolamenti e in piccola parte nate nel territorio stesso (speciazione endocora),<br />

anche se non necessariamente rimaste al suo interno. Le poche specie che sono esclusive del territorio<br />

costituiscono l’endemismo e provengono da due origini fondamentalmente <strong>di</strong>verse: speciazione<br />

endocora senza espansione esterna (il caso più comune) oppure speciazione esocora, conquista del<br />

territorio e successiva scomparsa della specie all’esterno del medesimo, che ha quin<strong>di</strong> svolto la funzione<br />

<strong>di</strong> rifugio (endemismo relittuale). In ogni caso, esocorogene, endocorogene ed endemiche formano<br />

nel loro insieme il contingente originale della flora e per questo motivo si definiscono in<strong>di</strong>gene o<br />

autoctone. Per flora -occorre ricordarlo- si intende l’insieme delle piante che crescono spontanee nel<br />

territorio, con esclusione dunque <strong>di</strong> quelle presenti solo in coltura. È a seguito della comparsa dell’uomo<br />

che la flora, in misura significativamente variabile secondo la situazione ambientale, include oggi piante<br />

non in<strong>di</strong>gene, le quali non vi sarebbero senza un intervento umano <strong>di</strong>retto, deliberato o involontario; tali<br />

piante sono tecnicamente definite esotiche da parola latina o alloctone da parola greca, in linguaggio<br />

me<strong>di</strong>atico aliene (dall’inglese alien).<br />

11


INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

Da sempre, dove l’uomo installa i propri inse<strong>di</strong>amenti, le comunità originali <strong>di</strong> piante vengono<br />

sistematicamente demolite, dal taglio/incen<strong>di</strong>o della foresta al pascolo, all’agricoltura, alla<br />

cementificazione, e gli spazi prodottisi sono imme<strong>di</strong>atamente occupati da piante spontanee<br />

opportuniste, spesso classificate come erbacce o infestanti, che si espandono in lungo e in largo<br />

non trovando più la barriera verde originale; poiché causa del degrado è l’uomo, la vegetazione<br />

opportunistica che accompagna i suoi inse<strong>di</strong>amenti è detta sinantropica, intendendo sottolineare<br />

il fatto che si muove insieme a lui. Le piante sinantropiche con<strong>di</strong>vidono <strong>di</strong>verse, importanti strategie<br />

vitali che consentono loro <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>arsi e riprodursi rapidamente sui terreni denudati o <strong>di</strong>sturbati, prima<br />

che questi possano essere riconquistati stabilmente da una vegetazione strutturata. Al contingente<br />

sinantropico appartengono specie sia in<strong>di</strong>gene sia esotiche, le une già <strong>di</strong> casa, le altre provenienti dai<br />

luoghi più <strong>di</strong>sparati del mondo. Ecco tre esempi, rispettivamente, per ciascuna delle due categorie (ci<br />

riferiamo sempre al territorio lombardo): centocchio (Stellaria me<strong>di</strong>a), farinaccio (Chenopo<strong>di</strong>um album),<br />

sambuco (Sambucus nigra); occhi della Madonna (Veronica persica, Asia occidentale), assenzio dei Verlot<br />

(Artemisia verlotiorum, Estremoriente), robinia (Robinia pseudoacacia, Nordamerica).<br />

Va sottolineato che le aliene entrano a far parte della flora del territorio ospite proprio perché dotate<br />

<strong>di</strong> strategia sinantropica; <strong>di</strong>versamente non vi avrebbero accesso in quanto bloccate dalla barriera<br />

vegetazionale interna. Per la maggior parte, esse sono già sinantropiche in patria, ma non mancano<br />

quelle che, improvvisamente, una volta introdotte, sfuggono alla coltivazione svelando un’insospettata<br />

capacità invasiva (robinia, ailanto, buddleja, ciliegio tar<strong>di</strong>vo ecc.). Anche la nostra flora è “colpevole” <strong>di</strong><br />

simili misfatti in altre parti del mondo, basti ricordare, fra i più recenti, i casi del pino marittimo (Pinus<br />

pinaster) in Sudafrica e della ginestra (Spartium junceum) sulle Ande centro-meri<strong>di</strong>onali. In sostanza, il<br />

sinantropismo è con<strong>di</strong>cio sine qua non perché autoctone e alloctone convivano sul territorio.<br />

Per quanto riguarda Asia Minore, Europa e Nordafrica, da almeno 12˙000 anni, con la nascita<br />

dell’agricoltura e degli inse<strong>di</strong>amenti fissi, si verificano trasferimenti <strong>di</strong> piante da un’area geografica<br />

all’altra; si tratta <strong>di</strong> trasferimenti colturali che, inevitabilmente e all’insaputa della parte interessata,<br />

trascinano con sè una coorte <strong>di</strong> specie opportuniste, alcune delle quali estremamente specializzate<br />

nel competere con la coltura. È il noto caso della così detta vegetazione segetale o cerealicola, formata<br />

da piante come il fiordaliso (Cyanus segetum), il papavero (Papaver rhoeas), la camomilla (Matricaria<br />

chamomilla) e la zizania (Lolium temulentum), tutte <strong>di</strong> probabile, antichissima origine anatolica.<br />

Si presume che queste piante siano state involontariamente selezionate laddove ebbe inizio la<br />

domesticazione dei primi cereali e abbiano conseguito la capacità (mimetospermia e sin<strong>di</strong>aspora) <strong>di</strong><br />

farsi trasferire clandestinamente da un luogo all’altro con la coltura. Queste antiche aliene, ormai tanto<br />

assimilate e simbolizzate nella nostra cultura da essere percepite, nel male e nel bene, come in<strong>di</strong>gene,<br />

costituiscono un argomento controcorrente rispetto alle attuali posizioni <strong>di</strong> prevenzione antiglobal.<br />

Esse, infatti, sono state completamente rivalutate in funzione del recupero <strong>di</strong> quell’agrobio<strong>di</strong>versità che<br />

per millenni ha caratterizzato l’economia rurale del nostro settore geografico.<br />

PREVISTE, IMPREVISTE, ARCHEOFITE, NEOFITE<br />

Il quadro della vegetazione sinantropica e dei suoi effetti sull’ambiente, sul paesaggio, sull’economia e<br />

sulla qualità della vita umana rimase sostanzialmente immutato fino agli inizi del secolo XVII. In questo<br />

periodo andavano configurandosi le premesse <strong>di</strong> un cambiamento politico-economico globale, il<br />

primo della storia a segnare un passo epocale nei confronti dell’ambiente (escludendo le deforestazioni<br />

d’epoca preromana, romana, rinascimentale e postrinascimentale, che non compromisero mai la<br />

naturale resilienza della vegetazione). La scoperta dell’America, avvenuta poco più <strong>di</strong> un secolo<br />

prima, aveva stimolato in tutta Europa un fermento <strong>di</strong> rinnovo alla ricerca non solo <strong>di</strong> potenziali terre<br />

promesse, ma anche <strong>di</strong> nuove fonti <strong>di</strong> benessere e <strong>di</strong> miglioramento della vita in<strong>di</strong>viduale e sociale. In<br />

particolare, spingeva in tale <strong>di</strong>rezione il ripetersi quasi cadenzato <strong>di</strong> due antichi flagelli, <strong>di</strong> norma tra loro<br />

connessi: le epidemie <strong>di</strong> piante e animali alla base dell’alimentazione e le carestie. Attraverso impatti<br />

umani tutt’altro che indolori, nacquero dunque le prime colonie, ma sarà soprattutto tra Settecento e<br />

Ottocento che queste raggiungeranno il massimo della <strong>di</strong>ffusione sull’intero globo. Furono proprio le<br />

colonie a garantire la possibilità <strong>di</strong> introdurre in Europa (e viceversa) una quantità incre<strong>di</strong>bile <strong>di</strong> piante<br />

<strong>di</strong> interesse economico, effettivo o potenziale; alcune, per esempio, arrivarono in soccorso <strong>di</strong> catastrofi<br />

agrarie, come la vite americana contro la fillossera, o <strong>di</strong> carestie alimentari, come la patata. Un canale<br />

privilegiato hanno sempre avuto le piante me<strong>di</strong>cinali, con ampia sperimentazione colturale negli orti<br />

botanici; comunque gli orti botanici svolgevano funzione acclimatatoria per tutte le piante <strong>di</strong> cui i<br />

singoli governi pianificavano l’introduzione a fini economici (Visconti, 2008), mentre quelle <strong>di</strong> interesse<br />

ornamentale-floricolturale soggiornavano spesso nelle proprietà <strong>di</strong> appassionati e <strong>di</strong> personaggi<br />

illuminati del mondo culturale dell’epoca. In Lombar<strong>di</strong>a, il conte Luigi Castiglioni, sul finire del ‘700 e<br />

Alessandro Manzoni, nella prima metà dell’‘800, contribuirono attivamente alla <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> essenze<br />

da poco introdotte dal Nordamerica, quali la quercia rossa (Quercus rubra), il “northern pitch pine” (Pinus<br />

rigida) e la già citata robinia.<br />

In ogni modo, il successo acclimatativo e il vantaggio economico sperato sod<strong>di</strong>sfarono le attese in<br />

ben pochi casi sul totale <strong>di</strong> quelli sperimentati, ma tanto bastò per innescare cambiamenti ambientali<br />

<strong>di</strong> portata fino allora sconosciuta. Para<strong>di</strong>gmatici, al riguardo, i casi dell’ailanto (Ailanthus altissima) e<br />

della robinia: con la loro naturalizzazione, a partire dal secolo scorso, hanno cambiato il volto della<br />

vegetazione e del paesaggio in Europa, come in altre parti del mondo; e <strong>di</strong>re che l’ailanto si rivelò ben<br />

presto inutile agli scopi per i quali era stato introdotto.<br />

Finora si è parlato <strong>di</strong> piante introdotte su progetto, ma non bisogna <strong>di</strong>menticare che <strong>di</strong> pari passo aliene<br />

impreviste e incontrollate andarono via via conquistando il territorio: opportuniste capaci <strong>di</strong> sfruttare<br />

i movimenti umani a lunga <strong>di</strong>stanza per trasferirsi da un continente all’altro attraverso il terreno delle<br />

colture, gli imballaggi commerciali, i tessuti, i mangimi per uccelli, le sementi, la risicoltura, il mercato<br />

degli acquari, l’ortofloricoltura ecc. Queste inattese clandestine costituiscono oggi una quota importante<br />

del contingente alieno e provengono da tutto il mondo; la fase significativa del loro incremento non<br />

coincise con le colonie, ma con l’era post-industriale, essenzialmente in or<strong>di</strong>ne alla facilitazione logistica<br />

degli scambi commerciali e degli spostamenti umani sul pianeta. Vi è anche il caso, in vero poco<br />

comune, <strong>di</strong> piante domestiche d’antica data come il riso (Oryza sativa), che tutt’a un tratto, in parte,<br />

imparano a riabilitare qualche carattere tacitato dalla domesticazione, presente nell’antenato selvatico<br />

(O. rufipogon); se il carattere è, appunto, un <strong>di</strong>spositivo chiave dell’auto<strong>di</strong>sseminazione (le spighette si<br />

staccano spontaneamente dalla pianta a maturità), ecco che compaiono in<strong>di</strong>vidui selvatici (ferali) in<br />

grado <strong>di</strong> riprodursi attivamente e infestare la stessa coltura. Conosciuti con il nome <strong>di</strong> “riso crodo”. Si<br />

può <strong>di</strong>re che in questo caso l’aliena viene introdotta in<strong>di</strong>rettamente, attraverso la coltura del domestico.<br />

In conclusione, possiamo contestualizzare la storia delle piante aliene in quattro tappe principali: nascita<br />

dell’agricoltura, scoperta dell’America, periodo delle colonie, rivoluzione industriale. Ma l’elemento<br />

<strong>di</strong>scriminante, in termini <strong>di</strong> risposta ambientale e paesaggistica, sta nella scoperta dell’America; solo<br />

12 13


INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

dopo questo evento la presenza aliena nella vegetazione sinantropica assume il potere <strong>di</strong> mo<strong>di</strong>ficare<br />

drammaticamente bio<strong>di</strong>versità e paesaggio. Per tale motivo si è convenuto <strong>di</strong> sud<strong>di</strong>videre le aliene, dal<br />

punto <strong>di</strong> vista storico, in due categorie: archeofite, introdotte prima del 1492 e neofite, da quell’anno<br />

in poi. Vi è poi una categoria <strong>di</strong> piante delle quali non si è ancora certi della loro origine, se cioè si tratti <strong>di</strong><br />

autoctone o <strong>di</strong> archeofite, che qui chiamiamo amaurogene o alloctone dubbie (inglese cryptogenic,<br />

Carlton, 1996).<br />

IL SUCCESSO DELLE ALIENE<br />

Una pianta esotica, per quanto perfettamente acclimatabile, non ha alcuna possibilità <strong>di</strong> affermarsi<br />

extra patriam se incontra un contesto ambientale sufficientemente integro, cioè se lo spazio<br />

teoricamente <strong>di</strong>sponibile è occupato dalla normale vegetazione autoctona (foresta, bosco, pascolo,<br />

prato naturale ecc.). Tuttavia, anche quando le cose non stanno così perché l’ambiente è degradato,<br />

il successo dell’alloctona non può essere dato per certo. Le barriere eco-biologiche che la specie<br />

deve superare sono infatti numerose (6 le principali secondo Richardson et al., 2000); tra queste la più<br />

importante è la barriera riproduttiva, cioè la capacità della pianta <strong>di</strong> arrivare a riprodursi sessualmente<br />

e/o vegetativamente nella nuova situazione in cui si viene a trovare. Nel caso positivo, si verificano<br />

due possibilità: la specie forma uno o pochi popolamenti locali <strong>di</strong> breve durata per poi scomparire ed<br />

eventualmente ricomparire solo a seguito <strong>di</strong> un nuovo “inoculo” (è il caso più frequente in esotiche<br />

coltivate che possono sfuggire a più riprese senza mai raggiungere un’autonomia <strong>di</strong>ffusiva). Tali aliene<br />

sono definite casuali, ma in questa categoria ricadono pure quelle incapaci <strong>di</strong> riprodursi a tutti gli<br />

effetti (per esempio il pomodoro) e i così detti relitti <strong>di</strong> coltura (spesso bambù), <strong>di</strong> norma cloni che<br />

permangono nel sito <strong>di</strong> coltivazione dove possono estendersi vegetativamente entro i limiti topograficoambientali<br />

loro consentiti, senza mai arrivare a fondare una popolazione. La seconda possibilità prevede<br />

la stabilizzazione dell’esotica, vale a <strong>di</strong>re la sua capacità <strong>di</strong> inserirsi stabilmente nella flora formando<br />

popolazioni che si perpetuano per via sessuale e/o vegetativa. È evidente che l’impatto alieno sulla<br />

bio<strong>di</strong>versità e sul paesaggio è connesso essenzialmente a quest’ultimo caso; qui però, secondo le<br />

accezioni più recenti (Richardson et al., 2000; Pyšek et al., 2004), occorre <strong>di</strong>stinguere le naturalizzate,<br />

che, pur inse<strong>di</strong>andosi nel territorio, non assumono comportamento invasivo in quanto l’incremento<br />

dei loro popolamenti si verifica in prevalenza a margine delle vecchie generazioni e su brevi <strong>di</strong>stanze,<br />

dalle invasive, capaci in breve tempo <strong>di</strong> ricoprire superfici estese sia per via vegetativa sia per seme.<br />

Le invasive perenni (legnose ed erbacee) abbinano spesso le due strategie (per es. Ailanthus altissima,<br />

Solidago gigantea), mentre le annuali affidano tutto alla <strong>di</strong>spersione dei semi (o <strong>di</strong>sseminuli); entrambe<br />

le categorie sono accomunate dalla capacità <strong>di</strong> fondare nuove popolazioni su <strong>di</strong>stanze spesso gran<strong>di</strong>,<br />

in ciò giocando un ruolo essenziale la <strong>di</strong>ffusione per seme. Non che le naturalizzate non possiedano<br />

semi (o <strong>di</strong>sseminuli) adeguatamente attrezzati per il trasporto a <strong>di</strong>stanza (ali, pappi, uncini ecc.), ma<br />

nel loro caso la probabilità che un <strong>di</strong>sseminulo longi<strong>di</strong>sperso riesca a innescare una nuova popolazione<br />

è decisamente inferiore. Ciò è da porsi in relazione a fattori sia endogeni sia esogeni, fra cui la vitalità<br />

del seme, che può essere statisticamente inferiore a quella <strong>di</strong> un’invasiva, oppure i limiti ecologici della<br />

specie; riguardo all’ultimo punto, le naturalizzate sono me<strong>di</strong>amente più esigenti sul piano ecologico,<br />

molte <strong>di</strong> loro essendo legate, per esempio, al degrado boschivo (Lupinus polyphyllus) o a habitat umi<strong>di</strong><br />

particolari (Hypericum mutilum). Per contro, le invasive sono prevalentemente “<strong>di</strong> bocca buona”, cioè ad<br />

ampio spettro ecologico rispetto alla maggioranza dei fattori ambientali (umi<strong>di</strong>tà, aci<strong>di</strong>tà e nutritività<br />

del substrato, humus, granulometria e ossigenazione, luce, temperatura, continentalità) e possono<br />

quin<strong>di</strong> propagarsi con successo negli ambiti più <strong>di</strong>sparati del degrado.<br />

<strong>LA</strong> LOMBARDIA E IL SUO TERRITORIO<br />

La regione Lombar<strong>di</strong>a si estende su un territorio <strong>di</strong> poco più <strong>di</strong> 23˙800 Km 2 e presenta una notevole<br />

eterogeneità territoriale dovuta alle sue caratteristiche geografiche, geolitologiche, morfologiche<br />

e climatiche. Si possono in<strong>di</strong>viduare alcuni settori fondamentali: sistema appenninico, bassa e alta<br />

pianura, fascia collinare pedemontana, sistemi montuosi prealpini e sistemi montuosi alpini esterni e<br />

interni. Questa complessità si traduce in una forte escursione altitu<strong>di</strong>nale (da poco sopra il livello del<br />

mare a oltre 4˙000 m) e in una articolata rete idrografica.<br />

L’Appennino pavese, che costituisce una propaggine settentrionale <strong>di</strong> quello tosco-emiliano, ha una<br />

superficie <strong>di</strong> circa 1˙100 km 2 . Le unità litostratigrafiche che compongono i rilievi dell’Oltrepò sono<br />

prevalentemente <strong>di</strong> origine se<strong>di</strong>mentaria marina: calcareniti, calcari marnosi, marne, argilliti e arenarie<br />

<strong>di</strong>sposte in alternanze stratigrafiche <strong>di</strong>fferenti.<br />

Il settore lombardo della Pianura Padana è caratterizzato dalla ripartizione tra alta e bassa pianura, sulle<br />

quali si sovrappongono le gran<strong>di</strong> valli fluviali del Ticino e dell’Adda, i terrazzi fluvioglaciali e i rilievi<br />

morenici. La bassa pianura alluvionale è composta da se<strong>di</strong>menti fini e presenta una falda acquifera<br />

superficiale, se non subaffiorante. Essa è separata dall’alta pianura dalla fascia dei fontanili. Le vallate dei<br />

fiumi maggiori (Ticino e Adda) sono incise nella pianura e si raccordano al piano generale attraverso<br />

scarpate più o meno ripide che spesso ospitano gli ultimi lembi <strong>di</strong> vegetazione forestale naturale. L’alta<br />

pianura è composta da materiali più grossolani e drenanti; qui la falda acquifera si approfon<strong>di</strong>sce. L’alta<br />

pianura si raccorda al complesso prealpino attraverso i sistemi delle colline moreniche del Verbano,<br />

della Brianza, della Franciacorta e dell’anfiteatro benacense. In tutta la porzione planiziale e collinare<br />

della Lombar<strong>di</strong>a, costituita da substrati sciolti, la reazione del suolo <strong>di</strong>pende dalla litologia del bacino<br />

idrografico a monte: si osserva così un gra<strong>di</strong>ente ovest-est dai substrati a pH basso, facenti capo al<br />

bacino del Ticino, a quelli interme<strong>di</strong> del bacino dell’Adda, fino a quelli a pH elevato della pianura<br />

orientale. Questa è la zona della Lombar<strong>di</strong>a che è stata maggiormente interessata dall’attività umana,<br />

da un lato con il <strong>di</strong>sboscamento e la messa in coltura <strong>di</strong> quasi tutta la superficie <strong>di</strong>sponibile, dall’altro<br />

con lo sviluppo delle gran<strong>di</strong> città e della rete dei trasporti su gomma e su rotaia.<br />

Il sistema prealpino presenta una prima serie <strong>di</strong> rilievi incisi in se<strong>di</strong>menti teneri ed ero<strong>di</strong>bili (flysch),<br />

ben rappresentati soprattutto tra i fiumi Adda e Oglio, in provincia <strong>di</strong> Bergamo; a nord <strong>di</strong> questi, le<br />

Prealpi propriamente dette sono fondamentalmente costituite da formazioni calcareo-marnose, a cui<br />

seguono le formazioni calcareo-dolomitiche, massicce e compatte, che costituiscono i gran<strong>di</strong> e<strong>di</strong>fici<br />

del sistema prealpino (grigne, Pizzo Arera e altri). A ovest del lago <strong>di</strong> Como le formazioni carbonatiche<br />

si riducono fino a scomparire in corrispondenza del Lago Maggiore; qui le Prealpi sono rappresentate<br />

principalmente da rilievi <strong>di</strong> natura silicea.<br />

14 15


INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

Il passaggio dal sistema prealpino a quello alpino esterno è caratterizzato dall’affioramento dei depositi<br />

terrigeni e delle formazioni metamorfiche che costituiscono la dorsale delle Alpi Orobie. Queste<br />

toccano i 3˙000 m <strong>di</strong> quota, con il versante meri<strong>di</strong>onale formato da tre gran<strong>di</strong> assi vallivi principali e<br />

quello settentrionale formato da brevi e ripide valli che si gettano in Valtellina. A nord del solco della<br />

Valtellina si estendono le Alpi propriamente dette. Il tratto lombardo della catena alpina comprende la<br />

propaggine orientale delle Alpi Lepontine e una buona parte delle Alpi Retiche, che culminano con il<br />

massiccio del Bernina (4˙050 m) e con il gruppo dell’Ortles-Cevedale (3˙859 m). L’e<strong>di</strong>ficio alpino interno<br />

è inciso in complessi metamorfici con intercalazioni <strong>di</strong> rocce magmatiche intrusive e <strong>di</strong> pietre ver<strong>di</strong>.<br />

L’estremità nordorientale della regione presenta rocce carbonatiche (principalmente dolomie).<br />

Relativamente al clima, le precipitazioni totali presentano una tendenza all’aumento con la quota,<br />

che viene però interrotta in corrispondenza delle vallate alpine interne, protette dalle correnti umide<br />

me<strong>di</strong>terranee ed atlantiche e che dunque presentano apporti annui <strong>di</strong> precipitazioni molto scarsi. È<br />

possibile poi osservare un aumento dei totali annui in <strong>di</strong>rezione est-ovest, con le zone più piovose<br />

in corrispondenza delle Prealpi occidentali (province <strong>di</strong> Varese, Como, Lecco) e quelle più aride in<br />

corrispondenza della bassa pianura mantovana, della pianura pavese e del settore più interno della<br />

Valtellina. In generale, i climi continentali, tendenzialmente ari<strong>di</strong> e con forti escursioni termiche,<br />

caratterizzano la regione alpina interna; i climi oceanici, umi<strong>di</strong> e miti, caratterizzano la regione prealpina,<br />

mentre l’Appennino presenta generalmente un regime pluviometrico subme<strong>di</strong>terraneo attenuato in<br />

quota. La Pianura Padana è caratterizzata da un regime termico <strong>di</strong> tipo continentale, con marcate<br />

escursioni termiche, e da una <strong>di</strong>stribuzione delle precipitazioni <strong>di</strong> tipo sublitoraneo.<br />

La regione Lombar<strong>di</strong>a, infine, dal punto <strong>di</strong> vista biogeografico, occupa una posizione <strong>di</strong> cerniera tra<br />

territori reciprocamente anche molto <strong>di</strong>fferenti. Tra<strong>di</strong>zionalmente, la Lombar<strong>di</strong>a appartiene alla<br />

regione floristica Me<strong>di</strong>o-europea, qui rappresentata dalle province Alpina e Appenninica. La prima è<br />

a sua volta sud<strong>di</strong>visa nei <strong>di</strong>stretti Alpino propriamente detto, comprendente Alpi e Prealpi Insubrico<br />

comprendente la regione dei gran<strong>di</strong> laghi e Padano. Considerando la latitu<strong>di</strong>ne, la Lombar<strong>di</strong>a è posta all’<br />

estremo meri<strong>di</strong>onale della regione Me<strong>di</strong>o-europea, a contatto con quella Me<strong>di</strong>terranea.<br />

Questa posizione interme<strong>di</strong>a, che dà riscontro a una complessa articolazione, unitamente a millenarie<br />

vicende storiche è responsabile <strong>di</strong> un’elevata <strong>di</strong>versità floristica (3˙220 entità secondo Conti et al., 2005)<br />

e ha a sua volta determinato una grande ricchezza <strong>di</strong> paesaggi naturali e vistose espansioni <strong>di</strong> entità<br />

esotiche sul territorio. gli ambiti territoriali maggiormente interessati all’invasione <strong>di</strong> aliene risultano la<br />

zona insubrica, la Pianura Padana, i fiumi e, in generale, tutte le aree fortemente urbanizzate compresi<br />

gli assi viari.<br />

IL PROBLEMA DELL’INVADENzA ALIENA<br />

Purtroppo i danni provocati dalle esotiche, soprattutto le invasive, sono numerosi e <strong>di</strong> varia natura<br />

(galasso et al., 2008), ma si possono riassumere nelle 2 seguenti categorie (Celesti-grapow et al.,<br />

2010a): socio-economici e ambientali. Per quanto riguarda gli aspetti economico e sanitario il riscontro<br />

è imme<strong>di</strong>ato e <strong>di</strong> rilevanza sociale, in quanto relativo a erbe infestanti (che riducono la produttività e<br />

INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

aumentano i costi <strong>di</strong> gestione <strong>di</strong> seminativi, pascoli, vivai, serre, impianti da legno e <strong>di</strong> piscicoltura), danni<br />

a manufatti antropici (e<strong>di</strong>fici, infrastrutture, monumenti e siti archeologici), intossicazione <strong>di</strong> animali<br />

domestici o da compagnia e danni alla salute umana (piante allergeniche, velenose e causa <strong>di</strong> dermatiti).<br />

Tra le specie maggiormente impattanti ricor<strong>di</strong>amo qui il riso crodo (Oryza sativa), l’ailanto (Ailanthus<br />

altissima), l’ambrosia (Ambrosia artemisiifolia) e il panace <strong>di</strong> Mantagazza (Heracleum mantegazzianum).<br />

Ma anche i danni ambientali possono essere notevoli, comprendendo la competizione con le specie<br />

autoctone (raramente sino all’estinzione <strong>di</strong> elementi locali) con la conseguente riduzione <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità<br />

(anche animale), l’inquinamento genetico e le mo<strong>di</strong>ficazioni delle caratteristiche fisico-chimiche dei<br />

suoli e dei corpi d’acqua. Ricor<strong>di</strong>amo, ad esempio, l’americana forbicina peduncolata (Bidens frondosus),<br />

che ha determinato la scomparsa quasi completa dell’autoctona Bidens tripartitus; le specie del genere<br />

Reynoutria, che colonizzano completamente i margini dei corsi d’acqua, escludendo le altre specie;<br />

l’indaco bastardo (Amorpha fruticosa) e il sicio (Sicyos angulatus), che invadono le aree golenali e<br />

i saliceti <strong>di</strong> ripa; il ciliegio tar<strong>di</strong>vo (Prunus serotina), che si sostituisce completamente ai boschi <strong>di</strong><br />

latifoglie dell’alta pianura, mo<strong>di</strong>ficando anche la chimica del suolo; la vite del Canada (Parthenocissus<br />

quinquefolia), le viti americane (Vitis spp.), il luppolo giapponese (Humulus japonicus) e la pioggia d’oro<br />

maggiore (Solidago gigantea), che colonizzano i boschetti <strong>di</strong> pianura; la lenticchia d’acqua minuscola<br />

(Lemna minuta), le pesti d’acqua (Egeria densa, Elodea canadensis, E. nuttallii, Lagarosiphon major), le<br />

porracchie (Ludwigia hexapetala e L. peploides subsp. montevidensis) e il fior <strong>di</strong> loto (Nelumbo nucifera),<br />

che si sostituiscono alle nostre piante acquatiche.<br />

Numerosi e costosi sono gli interventi sinora effettuati da varie Amministrazioni locali o dagli Enti<br />

gestori delle Aree protette per contrastare l’avanzata <strong>di</strong> queste esotiche, ma spesso i risultati sono scarsi<br />

o <strong>di</strong> breve durata (Alleva, 2008; Caronni, 2008; Longo et al., 2008). Un aspetto sicuramente carente in<br />

Italia è la legislazione (Brundu, 2008). Sebbene in Lombar<strong>di</strong>a vi sia una legge regionale (l.r. 10/2008)<br />

sicuramente all’avanguar<strong>di</strong>a (Secchi et al., 2008) è tuttavia necessario intervenire <strong>di</strong>rettamente sul<br />

mercato florovivaistico e sui protocolli <strong>di</strong> gestione del territorio e dei cantieri.<br />

NUMERI PER <strong>LA</strong> LOMBARDIA<br />

Sino a questi ultimissimi anni è mancato un vero censimento della flora alloctona <strong>di</strong> Lombar<strong>di</strong>a. Oltre ai<br />

principali cataloghi nazionali (Béguinot & Mazza, 1916a, 1916b; Viegi et al., 1974), i principali contributi<br />

a <strong>di</strong>sposizione erano i seguenti: giacomini (1950) e Credaro & Pirola (1988) per l’intera regione, Ugolini<br />

(es. 1921) e Arietti & Crescini (1975, 1980) per il bresciano, Cozzi (es. 1923) e Stucchi (es. 1949b) per il<br />

milanese e il gallaratese, Ciferri et al. (1949) e Pirola (1964b) per le risaie, Pavan Arci<strong>di</strong>aco et al. (1990) per<br />

la città <strong>di</strong> Pavia, Banfi & galasso (1998) per <strong>Milano</strong> e Bonali (2000) per Cremona. Inoltre vi erano svariati<br />

contributi sparsi e numerose segnalazioni floristiche, che ormai riguardano in gran parte le aliene:<br />

quelle italiane pubblicate sull’“Informatore Botanico Italiano”, quelle bresciane su “Natura Bresciana”,<br />

quelle cremonesi su “Pianura”, quelle bergamasche sul “Notiziario Floristico del FAB” e quelle varesine sul<br />

“Bollettino della Società Ticinese <strong>di</strong> Scienze Naturali”. Solo la recente Checklist della flora italiana (Banfi<br />

& galasso, 2005), con le successive integrazioni (Conti et al., 2007), riporta il primo elenco completo<br />

<strong>di</strong> specie naturalizzate, analogamente ai recenti prospetti floristici delle province <strong>di</strong> Varese (Macchi,<br />

2005) e <strong>di</strong> Cremona (giordana, 1995; Bonali et al., 2006a), che riportano anche gran parte delle casuali.<br />

16 17


INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

In seguito, Banfi et al. (2009), all’interno dell’atlante delle piante esotiche d’Italia (Celesti-grapow et<br />

al., 2009b) riportano il primo elenco completo della flora esotica lombarda; rispetto a esso, in questo<br />

volume si riportano oltre 70 specie in più, 619 al posto <strong>di</strong> 545. Infine Banfi et al., (2010), all’interno del<br />

volume sulla flora vascolare esotica d’Italia (Celesti et al., 2010b) descrivono il fenomeno dell’invadenza<br />

aliena in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Stando ai dati presentati in questo volume, le flora esotica lombarda ammonta a 619 entità (307 se si<br />

escludono le casuali) pari a quasi il 20% della flora regionale stabile (quasi il 10% escludendo le casuali)<br />

e oltre il 60% della flora alloctona italiana: 85 archeofite (13.73%) e 534 neofite (86.27%), oltre a 33<br />

amaurogene. Significativo è soprattutto il contingente delle specie che provengono dall’America e<br />

dall’Asia rispetto a quelle <strong>di</strong> altri paesi. Lo status maggiormente rappresentato è quello delle casuali<br />

(50.40%), seguito dalle naturalizzate (31.83%) e dalle invasive (16.96%); trascurabile il dato delle<br />

estinte (0.81%). Come già evidenziato da Lambdon et al. (2008) e Celesti-grapow et al. (2010a), vi è<br />

una relazione <strong>di</strong>retta tra numero <strong>di</strong> specie esotiche, superficie del territorio e densità degli abitanti.<br />

Tuttavia, al <strong>di</strong> sopra <strong>di</strong> un certo valore <strong>di</strong> densità abitativa il numero <strong>di</strong> aliene non cresce più, ma anzi<br />

<strong>di</strong>minuisce; infatti, anche se il censimento non è stato compiuto con uguale dettaglio in tutte le<br />

province, salta subito all’occhio come la provincia più ricca <strong>di</strong> esotiche sia Brescia e non <strong>Milano</strong> o Monza<br />

e Brianza, che hanno una densità abitativa enormemente superiore a tutte le altre. Questo fenomeno ci<br />

ricorda che l’invasione da parte delle esotiche influisce negativamente sulla bio<strong>di</strong>versità soprattutto in<br />

ambienti naturali, seminaturali o leggermente compromessi dalle attività umane, mentre in ambienti<br />

già largamente rimaneggiati la bio<strong>di</strong>versità si azzera quasi completamente a causa della <strong>di</strong>retta azione<br />

antropica; al contrario, in queste situazioni le specie esotiche contribuiscono favorevolmente, assieme<br />

alle poche autoctone ruderali sopravissute, a non deprimerla del tutto. Vale a <strong>di</strong>re che un campo<br />

agricolo a<strong>di</strong>bito a coltura industriale intensiva, un terreno ruderale o un greto <strong>di</strong>sturbato contengono al<br />

loro interno un livello <strong>di</strong> ricchezza e <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità enormemente superiori a un complesso residenziale<br />

o commerciale <strong>di</strong> “ultima generazione”.<br />

Oltre alle specie esotiche italiane qui considerate, occorre tener presente che in Lombar<strong>di</strong>a vi sono<br />

molte altre entità le quali, pur essendo autoctone in una parte del nostro paese, sono comunque<br />

alloctone rispetto al territorio regionale. In alcuni casi è semplice riconoscere il loro status alieno, come<br />

per Cerastium tomentosum L., endemico dell’Appennino centrale, comunemente coltivato nei giar<strong>di</strong>ni<br />

rocciosi e spesso casuale nei pressi dei centri abitati, o per Pinus nigra j.F.Arnold delle Alpi orientali,<br />

introdotto a fini <strong>di</strong> rimboschimento e largamente naturalizzato. In altri casi, invece, è più <strong>di</strong>fficile<br />

riconoscere una esoticità regionale, spesso connessa con le alterne vicende <strong>di</strong> espansione verso nord<br />

e recessione del contingente me<strong>di</strong>terraneo, in relazione alle oscillazioni macroclimatiche. È il caso <strong>di</strong><br />

Sonchus tenerrimus L., che ultimamente si sta affermando nelle gran<strong>di</strong> città (Banfi & galasso, 2008a),<br />

favorito dall’isola <strong>di</strong> calore (Schieroni, 1993), <strong>di</strong> Anisantha <strong>di</strong>andra (Roth) Tutin o dei car<strong>di</strong> Scolymus<br />

hispanicus L. e Silybum marianum (L.) gaertn.<br />

INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

SPECIES EXCLUDENDAE E DUBBIE DEL<strong>LA</strong> <strong>FLORA</strong> <strong>ESOTICA</strong> <strong>LOMBARDA</strong><br />

Alcune vecchie segnalazioni <strong>di</strong> esotiche si sono rivelate erronee oppure si è trattato <strong>di</strong> autoctone o<br />

ad<strong>di</strong>rittura improbabili. Qui <strong>di</strong> seguito le più importanti.<br />

ACALyPHA INDICA L., Euphorbiaceae, acalifa in<strong>di</strong>ana.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Le segnalazioni <strong>di</strong> A. in<strong>di</strong>ca <strong>di</strong> Banfi & galasso (1998) per <strong>Milano</strong> e <strong>di</strong> Tagliaferri (2000) per il <strong>Comune</strong> <strong>di</strong> Comezzano-<br />

Cizzago (BS) sono da riferirsi alla congenere A. australis (Banfi & galasso, 2005; zanotti, 2008).<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 1998, 2005; Tagliaferri, 2000; zanotti, 2008<br />

AMARANTHUS CRUENTUS L. (= A. paniculatus L.), Amaranthaceae, amaranto pannocchiuto.<br />

Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie cultigena, che non naturalizza mai, quasi sempre confusa con altre specie dello stesso genere, in particolare A.<br />

hybridus (ve<strong>di</strong> scheda) o, anche, A. powellii.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Consonni, 1997, 1999; Costea et al., 2001; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Mosyakin & Robertson,<br />

2003; Pignatti, 1982; zucchetti et al., 1986<br />

AMARANTHUS gRAECIzANS L. (= A. blitum L. var. g. (L.) Moq.; A. graecizans L. subsp. sylvestris (Vill.) Brenan; A. sylvestris Vill.;<br />

Blitum g. (L.) Moech; Galliaria g. (L.) Nieuwl.; Glomeraria g. (L.) Cav.), Amaranthaceae, amaranto blito-minore.<br />

Status: Autoctona italiana.<br />

Note: Specie originaria del bacino me<strong>di</strong>terraneo e dunque autoctona in Lombar<strong>di</strong>a e in Italia, esotica altrove in Europa e nel<br />

resto del mondo. In<strong>di</strong>cata erroneamente come neofita da Celesti-grapow et al. (2009a, 2009b).<br />

Bibliografia: Celesti-grapow et al., 2009a, 2009b<br />

AMMANNIA BACCIFERA Rottb. (= A. aegyptiaca Willd.; A. baccifera L. subsp. aegyptiaca (Willd.) Koehne), Lythraceae,<br />

ammannia egizia.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione lombarda (Pavia) per questa specie <strong>di</strong> Koehne (1884, 1903), ripresa da Fiori & Paoletti (1900, 1907) e<br />

da Fenaroli (1960), è da riferirsi al Veneto (Padova): si veda la scheda <strong>di</strong> A. coccinea.<br />

Bibliografia: Fenaroli, 1960; Fiori & Paoletti, 1900, 1907; graham, 1985; Koehne, 1884, 1903<br />

AzOL<strong>LA</strong> CAROLINIANA Willd., Salviniaceae, azolla americana.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Le segnalazioni lombarde per questa specie, a partire dalla prima <strong>di</strong> Bozzi (1888), sono erronee e da ricondurre tutte<br />

(o quasi tutte) ad A. filicuoloides.<br />

Bibliografia: Bozzi, 1888<br />

BIDENS PILOSUS L., Asteraceae, forbicina pelosa.<br />

Status: Neofita, non presente in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> giacomini (1950), sebbene contenuta all’interno <strong>di</strong> un contributo sulla flora lombarda, è relativa<br />

alla sponda piemontese del Verbano.<br />

Bibliografia: giacomini, 1950<br />

BRASSICA jUNCEA (L.) Czern. (= Sinapis j. L.; Brassica j. Coss., comb. superfl.; Raphanus j. (L.) Crantz), Brassicaceae, senape<br />

cinese.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> Tagliaferri (2000) per la periferia <strong>di</strong> Brescia, in base a revisione del campione d’erbario conservato<br />

presso il Museo <strong>di</strong> Scienze Naturali <strong>di</strong> Brescia (HBBS) va riferita a Raphanus raphanistrum L. subsp. landra (Moretti ex DC.)<br />

Bonnier & Layens (zanotti, in verbis 2009).<br />

Bibliografia: Tagliaferri, 2000<br />

CAMELINA SATIVA (L.) Crantz (= Myagrum s. L.), Brassicaceae, dorella coltivata.<br />

Status: Autoctona italiana.<br />

Note: Specie cultigena derivata dalla domesticazione dell’autoctona C. microcarpa Andrz. ex DC. (zohary & Hopf, 2000) e<br />

dunque anch’essa autoctona. In<strong>di</strong>cata erroneamente come amaurogena (alloctona dubbia) da Celesti-grapow et al. (2009b).<br />

Bibliografia: Celesti-grapow et al., 2009a; zohary & Hopf, 2000<br />

18 19


INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

CHAMAESyCE ENgELMANNII (Boiss.) Soják (= Euphorbia e. Boiss.), Euphorbiaceae, euforbia <strong>di</strong> Engelmann.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> Euphorbia e. per il Lago <strong>di</strong> Como (Chiovenda, 1895) in base a Thellung è erronea e da riferirsi a<br />

Chamaesyce maculata (Fiori & Paoletti, 1907).<br />

Bibliografia: Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907<br />

CHAMAESyCE INDICA (Lam.) Croizat (= Anisophyllum hypericifolium auct., non (L.) Haw.; Chamaesyce hypericifolia auct., non<br />

(L.) Millsp.; Euphorbia hypericifolia auct., non L.; Euphorbia i. Lam.), Euphorbiaceae, euforbia in<strong>di</strong>ana.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> Euphorbia i. per il lecchese da parte <strong>di</strong> Pignatti (1955), ripresa da Pignatti (1982) e da Banfi et al.<br />

(2009, sub Chamaesyce hypericifolia), è erronea e da riferirsi a Chamaesyce nutans (Hügin, 1998).<br />

Bibliografia: Banfi et al. (2009); Hügin, 1998; Pignatti, 1955, 1982<br />

CUSCUTA gRONOVII Willd. ex Schult. (= Epithymum g. (Willd. ex Schult.) Nieuwl. & Lunell; Grammica g. (Willd. ex Schult.)<br />

Hadač & Chrtek), Convolvulaceae, cuscuta <strong>di</strong> gronovius.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Segnalata da Peglion (1908) per l’Emilia-Romagna su trifoglio, Pignatti (1982) ne ha esteso l’areale anche alla<br />

Lombar<strong>di</strong>a. Tuttavia le in<strong>di</strong>cazioni per l’Italia <strong>di</strong> questa specie sono erronee e da ricondurre a C. campestris (Campanile &<br />

Traverso, 1923; Campanile, 1926); purtroppo tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della Campanile<br />

sono in<strong>di</strong>cati soltanto nelle note finali della “Flora” <strong>di</strong> Fiori (1928).<br />

Bibliografia: Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Fiori, 1928; Peglion, 1908; Pignatti, 1982<br />

CUSCUTA SCANDENS Brot. (= C. australis R.Br.; C. australis R.Br. subsp. tinei (Inzenga) Feinbrun; C. tinei Inzenga; Grammica<br />

australis (R.Br.) Hadač & Chrtek; Grammica scandens (Brot.) Holub; Grammica scandens (Brot.) Holub subsp. tinaei (Inzenga)<br />

Dostál), Convolvulaceae, cuscuta <strong>di</strong> Tineo.<br />

Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> C. scandens per il bresciano (zucchi, 1979), non più confermata, è da considerarsi dubbia.<br />

Bibliografia: zucchi, 1979<br />

CUSCUTA SUAVEOLENS Ser. (= Cassutha s. (Ser.) Des Moul.; Cuscuta racemosa Mart. var. chiliana Engelm.; Cuscutina s. (Ser.)<br />

Pfeiff.; Engelmannia s. (Ser.) Pfeiff.; Grammica s. (Ser.) Des Moul.), Convolvulaceae, cuscuta cilena.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Segnalata da Cesati et al. (1876) per il Piemonte su erba me<strong>di</strong>ca, Pignatti (1982) ne ha esteso l’areale anche alla<br />

Lombar<strong>di</strong>a. Tuttavia le in<strong>di</strong>cazioni per l’Italia <strong>di</strong> questa specie sono erronee e da ripartire tra C. campestris e C. cesattiana<br />

(Campanile & Traverso, 1923; Campanile, 1926); purtroppo tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori<br />

della Campanile sono in<strong>di</strong>cati soltanto nelle note finali della “Flora” <strong>di</strong> Fiori (1928).<br />

Bibliografia: Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Cesati et al., 1876; Fiori 1928; Pignatti, 1982<br />

ECHINOCHLOA CRUS-PAVONIS (Kunth) Schult. (= Oplismenus c. Kunth), Poaceae, giavone pendulo.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie neotropicale, <strong>di</strong>stinta da E. crusgalli; le sue segnalazioni per l’Italia (Pignatti, 1955; Ciferri & Pignatti, 1955; Pirola,<br />

1964b; Pirola, 1965) sono erronee e da riferirsi a E. crusgalli (Carretero, 1981).<br />

Bibliografia: Carretero, 1981; Ciferri & Pignatti, 1955; Pignatti, 1955; Pirola, 1964b, 1965<br />

ECHINOCHLOA FRUMENTACEA (Roxb.) Link (= Panicum f. Roxb.; Echinochloa colona (L.) Link Frumentacea group), Poaceae,<br />

giavone frumentaceo.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione per l’Italia e la Lombar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> questa specie (Pirola, 1964b), derivata dalla domesticazione in In<strong>di</strong>a <strong>di</strong> E.<br />

colona, è da ritenersi erronea (cfr. Carretero, 1981; Pignatti, 1982).<br />

Bibliografia: Carretero, 1981; Pignatti, 1982; Pirola, 1964b<br />

ECHINOCHLOA MURICATA (P.Beauv.) Fernald subsp. MICROSTACHyA (Wiegand) jauzein (= E. muricata (P.Beauv.) Fernald<br />

var. m. Wiegand), Poaceae, giavone americano.<br />

Status: Neofita, non presente in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Sebbene Banfi (2005), Banfi & galasso (2005) e Banfi et al. (2009) in<strong>di</strong>chino la presenza in Lombar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> questa specie,<br />

essa non è mai stata segnalata. La sua presenza è comunque probabile all’interno delle risaie.<br />

Bibliografia: Banfi, 1985, 2005; Banfi & galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Hoste, 2005<br />

INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

E<strong>LA</strong>EAgNUS MULTI<strong>FLORA</strong> Thunb. (= E. edulis Siebold ex Carrière), Elaeagnaceae, olivagno edule.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Le segnalazioni <strong>di</strong> E. multiflora per la provincia <strong>di</strong> Varese <strong>di</strong> Macchi (2005) e genericamente per la Lombar<strong>di</strong>a (in<br />

comune <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>) <strong>di</strong> Banfi et al. (2009) sono erronee e da ricondurre a E. umbellata.<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009; Barnes & Whiteley, 1997; Macchi, 2005<br />

ELEUSINE INDICA (L.) gaertn. subsp. AFRICANA (Kenn.-O’Byrne) S.M.Phillips (= E. africana Kenn.-O’Byrne), Poaceae,<br />

gramigna africana.<br />

Status: Neofita, non presente in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Sebbene Banfi (2005), Banfi & galasso (2005) e Banfi et al. (2009) in<strong>di</strong>chino la presenza in Lombar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> questa specie,<br />

essa non è mai stata segnalata. La sua presenza è comunque probabile.<br />

Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & galasso, 2005; Banfi et al., 2009<br />

ERIgERON STRIgOSUS Mühl. ex Willd. (= E. annuus (L.) Desf. subsp. s. (Mühl. ex Willd.) Wagenitz), Asteraceae, cespica<br />

setolosa.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Secondo Frey et al. (2003) non ci sono prove della effettiva presenza in Europa <strong>di</strong> E. strigosus e pertanto le varie<br />

segnalazioni, come quella <strong>di</strong> Arietti & Crescini (1980) o <strong>di</strong> Aeschimann et al. (2004), sono da riferirsi a E. annuus.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Frey et al., 2003<br />

gERANIUM SIBIRICUM L., Geraniaceae, geranio <strong>di</strong> Siberia.<br />

Status: Autoctona italiana.<br />

Note: Contrariamente a quanto espresso da <strong>di</strong>versi autori relativamente allo status <strong>di</strong> neofita e sinantropica, concor<strong>di</strong>amo<br />

con Rey (2002) nel ritenere questa specie a tutti gli effetti autoctona quale relitto glaciale.<br />

Bibliografia: Rey, 2002<br />

LEMNA PERPUSIL<strong>LA</strong> Torr., Araceae, lenticchia d’acqua piccolissima.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie endemica del Nordamerica centrale e orientale molto simile a L. aequinoctialis, da escludere dal continente<br />

europeo (Landolt, 1986), sebbene segnalata anche <strong>di</strong> recente, ad esempio da Desfayes (2005) che riprende un dato<br />

bibliografico <strong>di</strong> Casper & Krausch (1980-1981). Le <strong>di</strong>fferenze morfologiche tra queste due specie sono minime, ma la loro<br />

<strong>di</strong>stinzione è ben pronunciata sul piano ecologico (Landolt, 1986; Crawford et al., 2002), allozimico (Crawford et al., 2002) e<br />

del DNA (Les et al., 2002). Le segnalazioni per questa specie sono dunque da ricondurre a L. aequinoctialis.<br />

Bibliografia: Casper & Krausch, 1980-1981; Crawford et al., 2002; Desfayes, 2005; Landolt, 1986; Les et al., 2002<br />

LEPIDIUM RUDERALE L., Brassicaceae, lepi<strong>di</strong>o dei calcinacci, lepi<strong>di</strong>o delle macerie.<br />

Status: Autoctona italiana.<br />

Note: Specie originaria dell’Europa (probabilmente della porzione meri<strong>di</strong>onale) e dunque autoctona in Lombar<strong>di</strong>a e in<br />

Italia, esotica altrove in Europa e nel resto del mondo. In<strong>di</strong>cata erroneamente come neofita da Celesti-grapow et al. (2009a,<br />

2009b).<br />

Bibliografia: Celesti-grapow et al., 2009a, 2009b<br />

MOLLUgO CERVIANA (L.) Ser. (= Pharnaceum c. L.), Molluginaceae, mollugine <strong>di</strong> Cervi.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie osservata inselvatichita soltanto all’interno degli Orti botanici <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> e Pavia (Fiori & Paoletti, 1898; Traverso,<br />

1898; Fiori, 1923) e dunque da escludere dalla flora esotica lombarda.<br />

Bibliografia: Fiori, 1923; Fiori & Paoletti, 1898; Traverso, 1898<br />

MORUS NIgRA L., Moraceae, gelso nero, moro nero.<br />

Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> giordana (1995) per il cremasco (CR) è erronea e da ricondurre a M. alba (giordana, in verbis 2009);<br />

quella <strong>di</strong> zucchetti et al. (1986) è altamente improbabile e quin<strong>di</strong> dubbia.<br />

Bibliografia: giordana, 1995; zucchetti et al., 1986<br />

OENOTHERA PARVI<strong>FLORA</strong> L., Onagraceae, enagra a fiori piccoli.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Non avendo potuto controllare gli exsiccata, la segnalazione <strong>di</strong> Pomi (1994) per Oe. parviflora, assente in Italia<br />

(Soldano, 1993), è qui provvisoriamente ricondotta a Oe. royfraseri.<br />

Bibliografia: Pomi, 1994; Soldano, 1993<br />

20 21


INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI INTRODUzIONE E ASPETTI gENERALI<br />

OENOTHERA ROSEA L’Hér. ex Aiton (= Hartmannia r. (L’Hér. ex Aiton) g.Don; Xylopleurum r. (L’Hér. ex Aiton) Raim.),<br />

Onagraceae, enagra rosea.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> Pignatti (1982) riprende quella <strong>di</strong> Fiori (1925b) ed è da riferirsi all’interno dell’Orto Botanico <strong>di</strong> Pavia,<br />

dunque da escludere dalla flora esotica lombarda.<br />

Bibliografia: Fiori, 1925b; Pignatti, 1982<br />

OPUNTIA DILLENII (Ker gawl.) Haw. (= Cactus d. Ker gawl.), Cactaceae, fico d’In<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Dillenius.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Le segnalazioni <strong>di</strong> questa specie (Arietti, 1965; Crescini, 1968; Bazzoli, 1999) sono da ricondurre a O. engelmannii<br />

(guiggi, in verbis 2009).<br />

Bibliografia: Arietti, 1965; Bazzoli, 1999; Crescini, 1968<br />

OPUNTIA jAMAICENSIS Britton & Harris, Cactaceae, fico d’In<strong>di</strong>a della giamaica.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: La segnalazione <strong>di</strong> questa specie (guiggi, 2008; Banfi et al., 2009) è da ricondurre a O. engelmannii (guiggi, 2010).<br />

Bibliografia: guiggi, 2008, 2010<br />

OPUNTIA MACRORHIzA Engelm. (= O. compressa j.F.Macbr. var. m. (Engelm.) L.D.Benson), Cactaceae, fico d’In<strong>di</strong>a a grosse<br />

ra<strong>di</strong>ci.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie segnalata per errore da guiggi (2008); il dato è da riferirsi a una forma anomala <strong>di</strong> O. humifusa cresciuta su un<br />

substrato particolarmente ricco (guiggi, 2010).<br />

Bibliografia: guiggi, 2008, 2010<br />

OPUNTIA TUNA (L.) Mill. (= Cactus t. L.), Cactaceae, opunzia tuna.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Le segnalazioni <strong>di</strong> questa specie (guarino & Sgorbati, 2004; Banfi & galasso, 2005; guiggi, 2005) sono da ricondurre<br />

non a O. jamaicensis (guiggi, 2008), bensì a O. engelmannii (guiggi, 2010).<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 2005; guarino & Sgorbati, 2004; guiggi, 2005, 2008, 2010<br />

SO<strong>LA</strong>NUM LINNAEANUM Hepper & P.-M.L.jaeger (= Solanum sodomaeum auct., non L.), Solanaceae, pomo <strong>di</strong> Sodoma,<br />

melanzana <strong>di</strong> Sodoma.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Il dato <strong>di</strong> Pignatti (1982) per Pavia non deriva dalle note <strong>di</strong> Sacchi (1951, 1952) su alcuni Solanum spinosi presenti in<br />

Italia, bensì da Fiori (1926a), che riferisce <strong>di</strong> avventiziati entro l’Orto Botanico <strong>di</strong> Pavia. Questo dato non è quin<strong>di</strong> utilizzabile<br />

per la flora esotica lombarda.<br />

Bibliografia: Fiori, 1926a; Pignatti, 1982; Sacchi, 1951, 1952<br />

SyMPHyOTRICHUM <strong>LA</strong>TERIFLORUM (L.) Á.Löve & D.Löve (= Solidago l. L.; Aster l. (L.) Britton; Aster vimineus auct., non Lam.),<br />

Asteraceae, astro ericoide.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a (Banfi et al., 2009) al posto <strong>di</strong> S. pilosum.<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009<br />

SyMPHyOTRICHUM ×SALIgNUM (Willd.) g.L.Nesom (=Aster s. Willd.; S. lanceolatum × novi-belgii), Asteraceae, astro salicino.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Entrambe le segnalazioni bibliografiche per questa entità sono errate. Quella <strong>di</strong> Stucchi (1949b) fa riferimento a<br />

una popolazione che si propaga spontaneamente lontano dai giar<strong>di</strong>ni (caratteristica assente in questo ibrido); inoltre il<br />

relativo campione, raccolto lungo la strada Cuggiono-Bernate e conservato presso l’erbario del Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong><br />

<strong>Milano</strong> (MSNM), porta il nome (scritto a macchina dallo stesso Stucchi) <strong>di</strong> Aster lanceolatus e corrisponde effettivamente a<br />

quest’ultima specie. Anche la segnalazione <strong>di</strong> zucchetti et al. (1986) per il cremonese fa riferimento ad alcune popolazioni<br />

ben naturalizzate e quin<strong>di</strong> anch’esse da riferirsi ad altra specie, probabilmente ancora S. lanceolatum. Questi errori derivano<br />

dalla inadeguatezza delle chiavi <strong>di</strong>cotomiche allora a <strong>di</strong>sposizione.<br />

Bibliografia: Stucchi, 1949b; zucchetti et al., 1986<br />

SyMPHyOTRICHUM ×VERSICOLOR (Willd.) g.L.Nesom (= Aster v. Willd.; S. laeve × novi-belgii), Asteraceae, astro multicolore.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie segnalata per errore da Banfi et al. (2009) e Celesti-grapow et al. (2009a).<br />

Bibliografia: Celesti-grapow et al., 2009a; Banfi et al., 2009<br />

TRISETARIA CANARIENSIS (Parl. ex Webb & Berth.) Pignatti (= Trisetum neglectum (Savi) Roem. & Schult. var. c. Parl. ex Webb<br />

& Berthel.), Poaceae, gramigna delle Canarie.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie osservata inselvatichita soltanto all’interno dell’Orto botanico <strong>di</strong> Pavia (Pignatti, 1955) e dunque da escludere<br />

dalla flora esotica lombarda.<br />

Bibliografia: Pignatti, 1955<br />

VALERIANA PHU L., Valerianaceae (= Caprifoliaceae subfam. Valerianoideae), valeriana turca.<br />

Status: Neofita, segnalata per errore in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie riportata erroneamente da Fiori (1927a; Viegi et al., 1974) per la Lombar<strong>di</strong>a. Infatti, la segnalazione originaria<br />

è <strong>di</strong> Biroli (1808), che la riporta per la valle «Canobbiana» ovvero per la val Cannobina in provincia <strong>di</strong> Verbano-Cusio-<br />

Ossola (VB) in Piemonte. Questo dato è stato in seguito ripreso da Cesati et al. (1879) come «Lombar<strong>di</strong>a» (senza alcuna<br />

specificazione <strong>di</strong> località) e da Arcangeli (1894) come «Valle Canobbiana in Lombar<strong>di</strong>a».<br />

Bibliografia: Arcangeli, 1894; Biroli, 1808; Cesati et al., 1879; Fiori, 1927a; Viegi et al., 1974<br />

XANTHIUM ORIENTALE L. (= X. canadense Mill.; X. macrocarpum DC.), Asteraceae, nappola orientale.<br />

Status: Neofita; segnalazioni dubbie per la Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Il vero X. orientale è conosciuto per il corso della Dordogna in Languedoc (Francia; Wisskirchen, 1995, 1998;<br />

jeanmonod, 1998a, 1998b), mentre non è sicuro che cresca (ancora attualmente) in America (Millspaugh & Sherff, 1919):<br />

potrebbe essersi originato in Europa da piante importate a suo tempo dall‘America. La lectotipificazione <strong>di</strong> jeanmonod<br />

(1998a) precede <strong>di</strong> pochi mesi l’epitificazione <strong>di</strong> Wisskirchen (1998). Si <strong>di</strong>fferenzia da X. italicum per il <strong>di</strong>sseminulo con spine<br />

ricurve e fortemente uncinate all’estremità (<strong>di</strong>ritte e soltanto uncinate all’estremità in italicum), con pelosità essenzialmente<br />

ghiandolosa sul corpo e sulle spine, così pure con qualche pelo allungato (densa ed essenzialmente composta da peli<br />

allungati sul corpo e sui 2/3 delle spine in italicum), <strong>di</strong> forma nettamente allungata, ellissoidale-subcilindrica (da ovoide a<br />

ellissoidale-subcilindrica in italicum). Le segnalazioni lombarde per le province <strong>di</strong> Pavia (Widder, 1923) e Bergamo appaiono<br />

alquanto dubbie.<br />

Bibliografia: jeanmonod, 1998a; jeanmonod D., 1998b; Millspaugh & Sherff, 1919; Widder, 1923; Wisskirken, 1998<br />

22 23


LE NEOFITE DEL<strong>LA</strong> <strong>FLORA</strong> <strong>LOMBARDA</strong> - Parte Speciale<br />

ImpostazIone<br />

delle schede<br />

La parte speciale <strong>di</strong> questo volume è de<strong>di</strong>cata alla presentazione delle singole specie aliene, relativamente alle sole neofite<br />

naturalizzate (incluse le invasive e le estinte), mentre per le neofite casuali, le archeofite e le amaurogene (alloctone dubbie)<br />

si rimanda alle schede sintetiche contenute nel CD-ROM. Ognuna delle 242 schede (per un totale <strong>di</strong> 307 entità) è articolata<br />

nei seguenti campi.<br />

Un primo set <strong>di</strong> dati riguarda l’identità botanica del soggetto, <strong>di</strong> cui viene in<strong>di</strong>cata la famiglia <strong>di</strong> appartenenza, il nome<br />

scientifico (binomio latino, talvolta espresso in forma trinomiale quando vi sia sottospecie <strong>di</strong>stinta dal taxon nominale), il<br />

nome volgare della pianta (adattato al caso ove necessario), il basionimo (combinazione latina originale dell’autore del<br />

taxon; non viene in<strong>di</strong>cato se coincide con il nome in uso) e i sinonimi.<br />

Un secondo set si riferisce al tipo biologico della specie, alla morfologia, alla fenologia, alla corologia, all’ecologia e alla<br />

<strong>di</strong>stribuzione lombarda del taxon. Sarà il caso <strong>di</strong> considerare rapidamente voce per voce.<br />

Tipo (e forma) biologico. È in<strong>di</strong>cato con le sigle <strong>di</strong> Raunkiaer e autori successivi; i casi in oggetto sono i seguenti.<br />

TIPO BIOLOgICO:<br />

Hy = idrofita (acquatica)<br />

P = fanerofita (legnosa superante i 4 m; gemme invernali aeree, perlopiù perulate)<br />

nP = nanofanerofita (legnosa non superante i 4 m; gemme invernali aeree, perlopiù perulate)<br />

C = camefita (base ± legnosa; gemme invernali portate sopra il suolo, mai perulate)<br />

g = geofita (gemme invernali in organi <strong>di</strong> riserva sotterranei)<br />

H = emicriptofita (gemme invernali nascoste a pelo terra o poco sotto, fra i residui fogliari)<br />

T = terofita (annuale)<br />

FORMA BIOLOgICA:<br />

bienn = biennale<br />

bulb = bulbosa<br />

caesp = cespitosa (multiassiale)<br />

frut = fruticosa<br />

lian = lianosa (rampicante)<br />

nat = natante<br />

par = parassita<br />

rad = ra<strong>di</strong>cante<br />

rept = reptante (strisciante)<br />

rhiz = rizomatosa<br />

rosul = rosulata (a rosetta)<br />

scap = scaposa (uniassiale)<br />

succ = succulenta<br />

suffr = suffruticosa<br />

Descrizione. Viene fornito un succinto profilo morfologico della pianta.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura. Nel caso delle felci è riferito alla sporulazione; oltre che <strong>di</strong> importanza intrinseca, il dato può essere<br />

rilevante in relazione alle allergie polliniche.<br />

Area d’origine. Si riferisce all’areale primario della specie, non sempre identificato con certezza, specialmente per le<br />

<strong>di</strong>stribuzioni massimali (corotipi cosmopolita e pantropicale).<br />

Habitat. Descrive il tipo <strong>di</strong> ambiente in cui alligna la specie. Di norma per l’aliena sinantropica non vi è <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> habitat<br />

in patria e fuori patria, se non rispetto alle <strong>di</strong>verse combinazioni floristiche delle vegetazioni secondarie in cui entra, per<br />

altro equipollenti. Le aliene sinantropizzate a seguito dell’introduzione (robinia, ailanto, ciliegio tar<strong>di</strong>vo ecc.) presentano<br />

habitat primario in patria (non sempre identificato con certezza) e habitat secondario nel resto della loro <strong>di</strong>stribuzione; il<br />

comportamento sinantropico acquisito extra patriam, tuttavia, può riversarsi secondariamente anche in patria, a seguito <strong>di</strong><br />

ripetute reintroduzioni (scambi commerciali, ortofloricoli, spostamenti umani ecc.), dove la specie <strong>di</strong>venta sinantropica e<br />

magari pure invasiva, senza esserlo mai stata prima.<br />

Distribuzione nel territorio. Questa voce si riferisce sia alla ripartizione della specie rispetto ai fattori orografico-climatici<br />

del territorio lombardo (fasce altitu<strong>di</strong>nali) sia alla sua effettiva <strong>di</strong>stribuzione topografica. Per quest’ultima si rinvia anche alle<br />

apposite mappe nel CD-ROM e si ricorda che i dati relativi specialmente alle casuali sono senz’altro incompleti.<br />

Il terzo set <strong>di</strong> dati comprende due informazioni <strong>di</strong> carattere storico, cioè il periodo d’ introduzione e la modalità <strong>di</strong><br />

introduzione. Per entrambi i punti le notizie possono essere complete, parziali e incomplete, ipotetiche o inesistenti. Le fonti<br />

storiche e bibliografiche sono numerose, ma si rivelano utili solo per piante che abbiano rivestito o rivestano una qualche<br />

sorta <strong>di</strong> interesse economico, mentre per le aliene introdotte involontariamente, l’unico riferimento utile, quando <strong>di</strong>sponibile,<br />

è la prima segnalazione della specie. Quest’ultima fornisce un’informazione <strong>di</strong> massima sul momento dell’introduzione, ma<br />

non è in grado <strong>di</strong> precisarlo.<br />

Il quarto set riguarda gli aspetti pratici legati al problema dell’aliena e include:<br />

Status. In<strong>di</strong>ca se la specie è casuale o naturalizzata e se, nel secondo caso, è anche invasiva.<br />

Dannosa. Esprime, quando è il caso, gli effetti negativi a breve e lungo termine esercitati dall’aliena in campo ecologico,<br />

economico e sanitario.<br />

Impatto. Particolarmente riferita alle invasive, questa voce evidenzia la portata dell’azione depressiva dell’aliena sulla<br />

bio<strong>di</strong>versità, sulla vegetazione, sul paesaggio e sull’uomo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento. Poiché è improponibile (e impensabile) cancellare una pianta dal territorio quando vi risulti<br />

affermata, occorre accontentarsi <strong>di</strong> trovare il modo per contenerla al meglio. Le esperienze in questo senso, purtroppo,<br />

sono scarse, effettuate su poche specie e prevalentemente all’estero, cioè in situazioni ambientali e antropiche <strong>di</strong>fficilmente<br />

esten<strong>di</strong>bili al nostro territorio. Nel caso della robinia, dell’ailanto e del ciliegio tar<strong>di</strong>vo esiste qualche dato anche italiano,<br />

ma per quasi tutte le altre invasive un suggerimento vale l’altro. In linea teorica, alle invasive erbacee si possono applicare i<br />

medesimi criteri <strong>di</strong> intervento usati in agricoltura contro le infestanti (erbici<strong>di</strong>), ma tali interventi, se e quando hanno senso,<br />

sono eseguibili solo localmente e in via occasionale, e non possono certo intendersi quale soluzione <strong>di</strong> sistema in scala<br />

territoriale. Problemi particolari nascerebbero poi dalle invasive acquatiche, che vivono in habitat dove l’erbici<strong>di</strong>o chimico<br />

è da inter<strong>di</strong>re a priori. Al <strong>di</strong> là dei suggerimenti operativi <strong>di</strong> buon senso derivanti, tutto sommato, da millenni <strong>di</strong> rapporto<br />

<strong>di</strong>retto uomo-erbaccia (estirpazione, eliminazione manuale dei rinnovi, bruciatura dei residui vegetali, pulizia del terreno<br />

ecc.), rimaniamo dell’idea che la soluzione, per quanto a lungo termine, si debba raggiungere unicamente attraverso l’azione<br />

sinergica della prevenzione e del progressivo recupero dell’ambiente. La prevenzione è un fatto essenzialmente economicoculturale,<br />

in quanto presuppone un cambiamento socio-mentale, una “metànoia” nei confronti <strong>di</strong> quella grossa quota <strong>di</strong><br />

piante incriminate che fa capo all’ortofloricoltura. Specie come la vite del Canada (Parthenocissus quinquefolia), per prendere<br />

un caso para<strong>di</strong>gmatico, dovrebbero uscire dalla cultura del verde privato e pubblico e abbandonare una volta per tutte il<br />

mercato; si dovrebbe arrivare a ban<strong>di</strong>re attraverso la legislatura la ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> tutti quei soggetti che sono causa effettiva e<br />

potenziale <strong>di</strong> alienazione e danno al territorio. Ma è evidente che tutto ciò presuppone una lunga strada <strong>di</strong> educazione al<br />

problema e <strong>di</strong> responsabilizzazione comportamentale. Per quanto riguarda il recupero ambientale, la ricostituzione della<br />

vegetazione naturale <strong>di</strong> degrado (Artemisietea vulgaris Lohmeyer, Preising & Tüxen in Tüxen 1950), il ripristino dei prati<br />

(Molinio-Arrhenatheretea Tüxen 1937 em. Tüxen 1970) e il riavvio delle cenosi legnose autoctone (Prunetalia spinosae Tüxen<br />

1952, Alnetea glutinosae Braun-Blanq. & Tüxen ex V.Westh., Dijk & Passchier 1946, Querco-Fagetea Braun-Blanq. & Vlieger in<br />

Vlieger 1937 ecc.) sono l’unico strumento che, alla fine, sia in grado <strong>di</strong> risolvere il problema dell’alloctonia, invasiva e non,<br />

ripristinando il sistema vegetazionale interno a <strong>di</strong>fesa della bio<strong>di</strong>versità e del paesaggio, e a soluzione <strong>di</strong> tutti i problemi<br />

economici e sanitari connessi con l’alienazione vegetale. Tale ripristino dovrà costituire –ciò che oggi non è in alcun modo–<br />

l’interfaccia ottimale <strong>di</strong> collegamento tra superfici industriali, urbane, agricole e sistema viario, includendo la realizzazione del<br />

vecchio sogno <strong>di</strong> un’adeguata rete territoriale <strong>di</strong> corridoi ecologici.<br />

Note. Qui vengono riportate le possibilità <strong>di</strong> confusione con altre specie (anche autoctone), ma è spazio utile anche per altre<br />

osservazioni che riguardano, secondo i casi, la nomenclatura e la sistematica, l’origine della specie, l’aneddotica, la storia e<br />

altro.<br />

Ogni scheda si conclude con la voce Bibliografia, nella quale sono riportati tutti i riferimenti del caso.<br />

ORDINAMENTO DELLE SCHEDE<br />

LE NEOFITE DEL<strong>LA</strong> <strong>FLORA</strong> <strong>LOMBARDA</strong> - Parte Speciale<br />

La successione delle schede è basata sulla sequenza sistematica delle famiglie secondo Haston et al. (2009), che riassume<br />

l’attuale modello filogenetico delle angiosperme (APg III, 2009). generi e specie seguono il normale or<strong>di</strong>ne alfabetico, tranne<br />

qualche eccezione nella quale vengono poste <strong>di</strong> seguito le specie tra loro imparentate. Le felci e le gimnosperme, come <strong>di</strong><br />

consueto, precedono le angiosperme, in base all’or<strong>di</strong>namento delle famiglie secondo Smith et al. (2006) e Soltis et al. (2002).<br />

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azolla<br />

maggIore<br />

Famiglia: Salviniaceae<br />

Nome scientifico: Azolla filiculoides Lam.<br />

Nome volgare: azolla maggiore<br />

Sinonimi: Azolla caroliniana auct., non Willd.<br />

Tipo biologico: Hynat<br />

Descrizione: Piccola felce acquatica liberamente galleggiante, con fusto ramificato provvisto <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci capillari pendenti<br />

nell’acqua e fronde <strong>di</strong> 1-1.5 mm, ver<strong>di</strong>, un po’ glaucescenti e talvolta arrossate, <strong>di</strong>sposte in due file e imbricate, bilobate, con<br />

margine cartilagineo e pagina superiore coperta <strong>di</strong> brevi papille monocellulari. La riproduzione sessuale si realizza attraverso le<br />

tappe <strong>di</strong> tutte le altre pteridofite, ma con adattamenti funzionali specifici per la vita acquatica. La pianta produce microsporocarpi<br />

con molti microsporangi e megasporocarpi con un solo megasporangio. Nei microsporangi si formano le microspore (spore<br />

piccole) circondate da massule spugnose, mentre nei megasporangi si forma una sola megaspora (spora grande) dotata <strong>di</strong><br />

3 galleggianti. Quest’ultima si stacca e galleggia liberamente sull’acqua germinando in un gametofito femminile provvisto<br />

<strong>di</strong> cellula-uovo. Le microspore, a loro volta, germinano in gametofiti maschili produttori <strong>di</strong> spermatozoi<strong>di</strong> che, nuotando<br />

nell’acqua grazie alle ciglia vibratili <strong>di</strong> cui sono dotati, raggiungono le cellule-uovo e le fecondano. A questo punto il ciclo vitale<br />

si chiude con il gametofito femminile fecondato, che sviluppa uno sporofito, cioè la pianta natante sopra descritta.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno (sporificazione).<br />

Area d’origine: America tropicale.<br />

Habitat: Acque stagnanti.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura. Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a fine Ottocento. Coltivata nel 1881 all’Orto Botanico <strong>di</strong> Torino e prima<br />

del 1883 in quello <strong>di</strong> Pavia; da quest’ultimo introdotta deliberatamente nel Ticino presso Pavia nel 1883 da Luigi Bozzi e<br />

giacomo Traverso, dove si è subito naturalizzata (Bozzi, 1888) <strong>di</strong>venendo comune (Cavara, 1894). Azioni analoghe sono<br />

documentate presso altri orti botanici italiani.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, come pianta d’acquario e per idrofloricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Localmente può creare fitte coperture rossastre negli specchi d’acqua, alterandone la naturalità.<br />

Note: La tassonomia e l’identificazione delle specie <strong>di</strong> Azolla sect. Azolla sono molto complicate poiché la maggior parte dei campioni è sterile<br />

e i caratteri <strong>di</strong>acritici sono <strong>di</strong>fficili da osservare: occorre il microscopio ottico per contare le cellule delle papille presenti nella pagina adassiale<br />

(superiore) delle fronde e quello elettronico a scansione per vedere l’ornamentazione della perina delle megaspore. In passato sono stati utilizzati<br />

soprattutto i caratteri vegetativi e il numero dei setti dei glochi<strong>di</strong> delle massule microsporangiali (Svenson, 1944). Tuttavia questi caratteri sono<br />

molto variabili, pure all’interno della stessa specie (cfr. godfrey et al., 1961). Neanche gli isozimi si sono rivelati particolarmente utili (zimmerman<br />

et al., 1989). Solo recentemente Perkins et al. (1985) hanno messo in evidenza l’importanza dell’architettura della perina delle megaspore. Su<br />

questi caratteri si fondano, dunque, le trattazioni moderne del genere, come quella della ‘Flora del Nordamerica’ (Lumpkin, 1993). In Italia (ed<br />

Europa) sono state da sempre segnalate due specie, prima A. caroliniana (Arcangeli, 1882b) e successivamente A. filiculoides (Béguinot & Traverso,<br />

1906), ma spesso o quasi sempre si è fatta confusione tra esse (Fiori, 1943). Ad esempio, Béguinot & Traverso (1906) citano per l’Orto Botanico <strong>di</strong><br />

Pavia A. filiculoides, mentre in precedenza vi era stata segnalata A. caroliniana (Bozzi, 1888); parallelamente, in seguito all’osservazione delle spore,<br />

Savelli (1915) rettifica in A. filiculoides le precedenti determinazioni <strong>di</strong> Arcangeli (1882b) relative alle piante toscane e da allora in Italia si sono<br />

susseguite principalmente segnalazioni <strong>di</strong> quest’ultima specie, senza però fare chiarezza su tutte le precedenti segnalazioni. Di recente in Olanda,<br />

oltre ad A. filiculoides è stata accertata un’altra specie, che non corrisponde ad A. caroliniana bensì ad A. mexicana C.Presl (Pieterse et al., 1977); in<br />

Portogallo, invece, si è trovata soltanto A. filiculoides (Pereira et al., 2001). Per quanto riguarda l’Italia, sulla base <strong>di</strong> quanto emerso in Olanda, ma<br />

senza tener conto dei successivi risultati della microscopia elettronica ed in<strong>di</strong>cando sinonimie non corrette, le segnalazioni <strong>di</strong> A. caroliniana sono<br />

state interpretate come A. mexicana (Lawalrée & jermy, 1993). Tuttavia Marchetti (1994), Bonafede et al.(2001), Marchetti (2004) e Bona et al. (2005)<br />

sollevano dubbi a questa interpretazione: salvo ulteriori sorprese, le popolazioni attuali sono tutte quante da attribuire ad A. filiculoides, mentre in<br />

passato potrebbe esserci stata anche A. mexicana (ma è ancora da <strong>di</strong>mostrare); non è stata mai presente, invece, A. caroliniana.<br />

felce<br />

dI fortune<br />

Famiglia: Dryopteridaceae<br />

Nome scientifico: Cyrtomium fortunei j.Sm.<br />

Nome volgare: felce <strong>di</strong> Fortune<br />

Sinonimi: Aspi<strong>di</strong>um falcatum (L.f.) Sw. var. fortunei (j.Sm.) Makino<br />

Cyrtomium falcatum auct., non (L.f.) C.Presl Phanerophlebia<br />

fortunei (j.Sm.) Copel. Polypo<strong>di</strong>um falcatum auct., non L.f.<br />

Polystichum fortunei (j.Sm.) Nakai<br />

Polystichum falcatum (L.f.) Diels var. fortunei (j.Sm.) Matsum.<br />

Tipo biologico: grhiz<br />

Descrizione: Felce sempreverde, densamente cespugliosa, dotata <strong>di</strong> un rizoma breve, verticale. Fronde <strong>di</strong> 20-60(-125)×10-<br />

25 cm, oblungo-lanceolate, pennate, composte da 12-26 paia <strong>di</strong> pinne ver<strong>di</strong> opache, piuttosto rigide ma non coriacee,<br />

strettamente lanceolate, solitamente falcate, lunghe 5-9 cm e larghe fino a 3.5 cm, al margine intere o denticolato-seghettate;<br />

stipite abbastanza robusto, con palee bruno-rossastre, minore della lamina. Sori sparsi su tutta la pagina abassiale (inferiore)<br />

della pinna, con indusio peltato.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-settembre (sporificazione).<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti ombreggiati e umi<strong>di</strong>; boschi umi<strong>di</strong>, in ambiente naturale<br />

completamente slegato dai luoghi <strong>di</strong> coltivazione.<br />

Distribuzione nel territorio: Dalla pianura alla fascia collinare (50-450 m s.l.m.), nel complesso rara e molto frammentaria.<br />

Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [C. falcatum: Cremona<br />

(NAT), Mantova (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del secolo scorso; segnalata per la prima volta in<br />

Lombar<strong>di</strong>a da Bonali (1996), che l’ha osservata dal 1995.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Non si evidenziano aspetti negativi legati alla presenza della specie.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione delle piante ra<strong>di</strong>cate sui manufatti.<br />

Note: Una congenere altrettanto naturalizzata nel territorio lombardo è C. falcatum (L.f.) C.Presl, (= Polypo<strong>di</strong>um f. L.f.; felce falcata), in passato spesso<br />

confusa con essa, che <strong>di</strong>fferisce per le fronde decisamente coriacee, <strong>di</strong> colore verde lucente, con pinne a margine ondulato o grossolanamente<br />

dentato, segnalata genericamente in Lombar<strong>di</strong>a da Marchetti (2004) e per le province <strong>di</strong> Cremona e Mantova da Bona et al. (2005). È termicamente<br />

più delicata <strong>di</strong> C. fortunei, pertanto può avere successo soltanto nelle fasce più calde della regione. Entrambe sono felci assai <strong>di</strong>ffuse in coltivazione.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Bona et al., 2005; Bonali, 1996; Bonali et al., 2006a; Consonni, 1997; Macchi, 2005; Marchetti, 2004; Peroni<br />

& Peroni, 1997<br />

Bibliografia: Arcangeli, 1882b; Béguinot & Traverso, 1906; Bona et al., 2005; Bonafede et al., 2001; Bozzi, 1888; Cavara, 1894; Fiori, 1943; godfrey et<br />

al., 1961; Lawalrée & jermy, 1993; Lumpkin, 1993; Marchetti, 1994; Pereira et al., 2001; Perkins et al., 1985; Pieterse et al., 1977; Savelli, 1915; Svenson,<br />

1944; zimmerman et al., 1989<br />

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cedro<br />

dell’hImalaya<br />

Famiglia: Pinaceae<br />

Nome scientifico: Cedrus deodara (Roxb.) g.Don<br />

Nome volgare: cedro dell’Himalaya<br />

Basionimo: Pinus deodara Roxb.<br />

Sinonimi: Abies deodara (Roxb.) Lindl.<br />

Cedrus libani A.Rich. subsp. deodara (Roxb.) P.D.Sell<br />

Cedrus libani A.Rich. var. deodara (Roxb.) Hook.f.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero che può raggiungere <strong>di</strong>mensioni imponenti (oltre 40 m d’altezza), con ramificazioni terminali<br />

tendenzialmente pendule. Foglie semprever<strong>di</strong>, singole sui macroblasti (rametti primari normali), in fascetti <strong>di</strong> 15-20 sui<br />

brachiblasti (rametti secondari raccorciati), aghiformi, piuttosto rigide, triangolari in sezione, <strong>di</strong> colore verde scuro, lunghe 2.5-5<br />

cm e larghe 1-1.5 mm, acuminate all’apice. Coni maschili allungati, eretti, fino a 5×1.5 cm, i femminili con breve peduncolo,<br />

ovoi<strong>di</strong> o largamente ellissoidali, arrotondati all’apice, dapprima ver<strong>di</strong> poi brunastri e <strong>di</strong>sgregantesi a maturità, <strong>di</strong> 7-12×5-9 cm.<br />

Semi emiconici, lunghi circa 1 cm, dotati <strong>di</strong> un’ala triangolare con base <strong>di</strong> 1.5 cm e altezza <strong>di</strong> 2 cm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia centrale (regione himalayana occidentale).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, dove cresce soprattutto su manufatti, come muri e vecchi e<strong>di</strong>fici. In ambienti a maggior<br />

naturalità si rinviene soprattuto in boschi a carattere xero-termofilo e su rupi ben esposte.<br />

Distribuzione nel territorio: La presenza <strong>di</strong> piante spontanee, quasi sempre giovanili, è legata agli esemplari maturi coltivati,<br />

non <strong>di</strong> rado monumentali. Tuttavia, sinora è stata rinvenuta naturalizzata in un’unica località del Varesino (grotte <strong>di</strong> Valganna),<br />

su una rupe calcarea nell’ambito <strong>di</strong> cenosi termofile caratterizzate dalla fitogeograficamente significativa presenza del leccio<br />

(Quercus ilex L.) e della felce dolce maggiore (Polypo<strong>di</strong>um cambricum L.). Lecco (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del secolo XIX; in Lombar<strong>di</strong>a segnalata come<br />

naturalizzata da Conti et al. (2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (selvicoltura, sperimentazione forestale).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Trascurabile, sebbene la specie sia in grado <strong>di</strong> colonizzare i manufatti, ra<strong>di</strong>cando nelle fessure e contribuendone in<br />

tal modo al deterioramento.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione della rinnovazione.<br />

Note: In territorio lombardo sembra essere l’unica specie <strong>di</strong> Cedrus Trew capace <strong>di</strong> spontaneizzare, nonostante l’ampia <strong>di</strong>ffusione colturale delle<br />

altre (C. atlantica (Endl.) Manetti ex Carrière, C. libani A.Rich. e, più raramente, C. brevifolia (Hook.f.) Henry). Purtroppo gli esemplari immaturi<br />

<strong>di</strong> queste ultime tre non consentono il riconoscimento sicuro delle specie in quanto i caratteri <strong>di</strong>acritici si evidenziano soltanto negli adulti<br />

sessualmente maturi. Tuttavia C. deodara si <strong>di</strong>stingue agevolmente da loro per le ramificazioni terminali (compreso l’apice) pendule, per le foglie<br />

brachiblastali più lunghe <strong>di</strong> 3 cm e per i coni seminiferi arrotondati (convessi) all’apice, anziché troncati od ombelicati.<br />

Bibliografia: Conti et al., 2007<br />

pIno rosso<br />

amerIcano<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero non più alto <strong>di</strong> 25 m, con chioma irregolare, arrotondata e ritidoma grigio scuro o rosso-brunastro,<br />

profondamente solcato in placche allungate. Il tronco, oltre a sud<strong>di</strong>vidersi nelle normali ramificazioni, è caratterizzato fin<br />

quasi alla base dalla presenza <strong>di</strong> brevi rametti accessori, fitti <strong>di</strong> aghi, simili a scopini. Aghi in fascetti <strong>di</strong> 3, rigi<strong>di</strong>, ritorti, dapprima<br />

giallo-ver<strong>di</strong> o verde tenero, quin<strong>di</strong> verde-grigiastro scuro, lunghi 7-10(-14) cm e spessi 2-2.5 mm, in sezione largamente<br />

semicircolari con 2 fasci conduttori; stomi su entrambe le facce. Coni maschili piccoli, ovoidali, in densi “manicotti” all’apice dei<br />

giovani rami, rosso-violacei, a maturità gialli; coni femminili ovoi<strong>di</strong>, rosa, lunghi circa 1 cm, in gruppetti <strong>di</strong>sposti secondo linee<br />

spirali lungo i rami giovani. Pigne ovoidali-coniche, <strong>di</strong> 4-7×3-4 cm, in gruppi persistenti a lungo anche dopo la maturazione;<br />

squame legnose, con apice ottuso e apofisi romboidale; semi (pinoli) piccoli, con ala allungata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Impianti artificiali nell’area della brughiera a pino silvestre, boschi misti <strong>di</strong> castagno e pino silvestre, boschi misti <strong>di</strong> latifoglie.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale (alta pianura occidentale). Como (CAS), Monza e Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese<br />

(NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1750 e in Italia negli anni 1883-1886 (a Vallombrosa). In Lombar<strong>di</strong>a<br />

introdotta per scopi forestali a inizio del Novecento e già osservata in natura da Fenaroli (1923), Stucchi (1949b), Sartori et al.<br />

(1988) e Sartori (1991); è da considerarsi naturalizzata (Conti et al., 2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, in quanto pianta <strong>di</strong> interesse selvicolturale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Attualmente la specie non determina riscontri negativi, in quanto, sebbene con una contenuta <strong>di</strong>sseminazione, non<br />

mostra tendenza a <strong>di</strong>ffondersi fuori dalle aree d’impianto.<br />

Note: Il persistere sui rami <strong>di</strong> pigne inaperte è comune a molte specie <strong>di</strong> Pinus e rappresenta un’espressione della così detta sindrome pirofitica.<br />

L’incen<strong>di</strong>o è facile e frequente nelle cenosi naturali <strong>di</strong> resinose, esse perciò presentano, in misura più o meno evidente, adattamenti che sono il<br />

risultato della pressione selettiva esercitata dal fuoco attraverso milioni <strong>di</strong> anni. Il fronte <strong>di</strong> calore che precede le fiamme fa esplodere le pigne<br />

ancora chiuse, prima che il fuoco le raggiunga; tutti i pinoli vengono liberati in una sola volta e le turbolenze dell’aria alla fine li convogliano al suolo<br />

a varie <strong>di</strong>stanze. Qui la maggior parte <strong>di</strong> essi supera indenne l’incen<strong>di</strong>o protetta da strati d’aria a temperatura più bassa e la specie ne consegue un<br />

evidente vantaggio <strong>di</strong>spersivo, forse in ottemperanza al vecchio principio: “non tutto il male vien per nuocere”.<br />

Bibliografia: Conti et al., 2007; Fenaroli, 1923; Pepe, 1966; Sartori, 1991; Sartori et al., 1988; Stucchi, 1949b<br />

Famiglia: Pinaceae<br />

Nome scientifico: Pinus rigida Mill.<br />

Nome volgare: pino rosso americano,<br />

pino nordamericano da resina<br />

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strobo<br />

Famiglia: Pinaceae<br />

Nome scientifico: Pinus strobus L.<br />

Nome volgare: strobo, pino <strong>di</strong> Weymouth<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero dalla chioma largamente conica, talora colonnare, negli esemplari vecchi con rami in palchi orizzontali,<br />

tabulari, alto fino a 30(-50) m. Ritidoma grigiastro, dapprima liscio poi regolarmente fessurato in placche subrettangolari.<br />

Foglie aghiformi riunite a 5, verde glauco, lunghe 5-12 cm, sottili e flessuose, in sezione largamente triangolari con un fascio<br />

conduttore al centro; stomi presenti sulla faccia ventrale. Coni maschili ovoi<strong>di</strong>, addensati all’apice dei rametti, <strong>di</strong> colore giallo<br />

solfino all’apertura; i femminili oblunghi, <strong>di</strong> circa 1 cm, su peduncoli <strong>di</strong> 2.5 cm, prima rosei, dopo l’impollinazione verdastri. Coni<br />

seminiferi (pigne) <strong>di</strong> 8-16×2 cm, in gruppi, brunastri, penduli (peduncolo ricurvo); squame coriacee ma non legnose, ottuse<br />

all’apice, con apofisi arrotondata; semi (pinoli) lunghi circa 4 mm, con ala allungata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica nordorientale.<br />

Habitat: Margini delle forestazioni artificiali, boscaglie aperte.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, veramente naturalizzata soltanto nel varesino. Como (CAS), Lecco (CAS),<br />

Monza e Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio dell’Ottocento. In Lombar<strong>di</strong>a introdotta per scopi forestali e<br />

già osservata in natura da Pepe (1966) e zucchetti et al. (1986); è da considerarsi naturalizzata (Conti et al., 2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per la sperimentazione selvicolturale, le forestazioni artificiali, l’industria cartiera<br />

alternativa al pioppo e l’uso ornamentale nel verde pubblico e privato.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante dove si riproduce naturalmente. Invece, al <strong>di</strong> sotto degli impianti artificiali riduce fortemente la<br />

bio<strong>di</strong>versità, mo<strong>di</strong>ficando la chimica del suolo e facendo quasi scomparire il sottobosco.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Evitare gli impianti artificiali.<br />

Bibliografia: Conti et al., 2007; Pepe, 1966; zucchetti et al., 1986<br />

tuIa<br />

orIentale<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero che può raggiungere 20 m d’altezza, in genere non superante i 12 m, con chioma da conica a largamente<br />

ovata, per lo più ramificato dalla base; rametti complanati in fronde appiattite verticalmente. Foglie squamiformi semprever<strong>di</strong>,<br />

<strong>di</strong>sposte su 4 file, appressato-imbricate, le laterali sovrapposte alle facciali, con apice un po’ appuntito, lunghe 1-3 mm, dotate<br />

<strong>di</strong> una ghiandola resinifera al centro. Coni maschili giallognoli, ovoi<strong>di</strong>, lunghi 2-3 mm, i femminili pure ovoi<strong>di</strong>, eretti, verde<br />

glauco, lunghi circa 5 mm, carnosi; coni seminiferi <strong>di</strong> 1.5-2.5×1–2 cm, dapprima glauchi, a maturità brunastri, deiscenti in (4-)6<br />

squame portanti all’apice un dente carnoso ricurvo. Semi ovoi<strong>di</strong> o ellissoi<strong>di</strong>, <strong>di</strong> 5-7×3-4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-aprile.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Russia orientale).<br />

Habitat: Rinvenuta spontanea solo su rupi calcaree, calde e assolate, o su muri.<br />

Distribuzione nel territorio: La specie è naturalizzata in alcune località delle province <strong>di</strong> Varese: Arolo (rupi sul Lago Maggiore),<br />

Caravate (Sasso <strong>di</strong> Poiano), gavirate (Parco Morselli) e Laveno Mombello (Sasso del Ferro e Villa Porro); Lecco: Perledo (muro <strong>di</strong><br />

contenimento presso la foce del torrente Esino); Brescia. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento; in Lombar<strong>di</strong>a per la prima volta osservata naturalizzata da<br />

Danilo Baratelli (Macchi, 2005).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (albero da parchi, giar<strong>di</strong>ni e cimiteri).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: gli esemplari dei popolamenti naturalizzati raggiungono generalmente un’altezza non superiore a 1-2 m. Da stu<strong>di</strong> genetico-molecolari<br />

è risultato che la tuia orientale, all’interno delle Cupressaceae, appartiene a una propria <strong>di</strong>scendenza (monophylum) assieme ad altri tre generi:<br />

Calocedrus Kurz, Microbiota Komar. e Tetraclinis Mast. Il primo include C. decurrens (Torrey) Florin, dei rilievi degli Stati Uniti occidentali, largamente<br />

impiegato in Lombar<strong>di</strong>a, specialmente nel passato, per alberature stradali, parchi e cimiteri. Presenta fronde appiattite verticalmente, come la<br />

tuia orientale, ma si riconosce per il ritidoma desquamante in lunghe placche, per l’altezza assai maggiore della pianta (fino a 45 m), per le foglie<br />

appaiate in pseudoverticilli, lungamente decorrenti e per i coni seminiferi giallo-ver<strong>di</strong> a forma <strong>di</strong> goccia rovesciata, con squame allungate ad apice<br />

poco sporgente. È stato osservato casuale nelle province <strong>di</strong> Como e Cremona.<br />

Bibliografia: Kleih, 2007; Macchi, 2005<br />

Famiglia: Cupressaceae<br />

Nome scientifico: Platycladus orientalis (L.) Franco<br />

Nome volgare: tuia orientale, albero della vita<br />

Basionimo: Thuja orientalis L.<br />

Sinonimi: Biota orientalis (L.) Endl.<br />

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nInfea da<br />

gIardIno<br />

Famiglia: Nymphaeaceae<br />

Nome scientifico: Nymphaea ×marliacea<br />

Wildsmith, pro sp.<br />

Nome volgare: ninfea da giar<strong>di</strong>no<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Erba acquatica perenne con grosso rizoma nodoso, strisciante nel fango, da cui si elevano fino al pelo dell’acqua<br />

i piccioli fogliari e i peduncoli fiorali (riempiti <strong>di</strong> tessuto aerifero), per lunghezze anche <strong>di</strong> oltre 1 m. Lamina fogliare rotonda<br />

con seno basale strettamente acuto e profondo, galleggiante sull’acqua con la faccia abassiale (priva <strong>di</strong> stomi), che è spesso<br />

arrossato-violacea; faccia adassiale (provvista <strong>di</strong> stomi) verde oliva, lucido-satinata, talora purpurea perifericamente. Fiori<br />

spirociclici, isolati, galleggianti, gran<strong>di</strong> (<strong>di</strong>ametro fino a 20 cm), spesso odorosi, con perianzio <strong>di</strong> numerosi segmenti, dei quali i<br />

4-6 prossimali <strong>di</strong> aspetto più o meno sepaloide, gli altri petaloi<strong>di</strong>, largamente ovato-concavi, bianchi, rosa, rossi, violacei, gialli<br />

o sfumati in varie combinazioni <strong>di</strong> colore, secondo la cultivar; stami numerosi, con antere allungate, gialle; ovario semiinfero,<br />

multiovulato. Il frutto, che matura sott’acqua, è un esperi<strong>di</strong>o (come quello degli agrumi), cioè una sorta <strong>di</strong> bacca con endocarpo<br />

carnoso interrotto da setti longitu<strong>di</strong>nali (“spicchi”); semi globosi, <strong>di</strong> 2-3 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Ibrido cultigeno, con progenitori <strong>di</strong> origine americana ed eurasiatica.<br />

Habitat: Acque ferme a bordura <strong>di</strong> stagni, anse lacustri e fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora osservata soltanto all’Oasi le Foppe (Trezzo sull’Adda, MI), Lago <strong>di</strong> Varese (VA) e Lago<br />

Azzurro (MB). Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e Lombar<strong>di</strong>a da garibol<strong>di</strong> (2008) e garibol<strong>di</strong> & Beretta<br />

(2008).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (idrofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì, laddove può venire a contatto con popolamenti autoctoni <strong>di</strong> ninfea nostrana (N. alba L.), sottraendo spazio a<br />

quest’ultima e inquinandola geneticamente.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico, genetico.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Era<strong>di</strong>cazione.<br />

Note: L’origine <strong>di</strong> questo ibrido da giar<strong>di</strong>no, che è in realtà un intricato complesso <strong>di</strong> notocultivar, coinvolge, da un lato, entità nordamericane<br />

quali N. odorata Aiton var. rosea Pursh e N. mexicana zucc., dall’altro l’autoctona N. alba, che ha <strong>di</strong>stribuzione eurasiatico-nordafricana. L’epiteto<br />

specifico è stato scelto in onore <strong>di</strong> joseph Bory Latour-Marliac (1830-1911), ibridatore-selezionatore francese <strong>di</strong> Nymphaeaceae rustiche, i cui<br />

soggetti ispirarono alcuni tra i più bei quadri <strong>di</strong> Claude Monet. È curioso -verrebbe da pensare- che una così attiva e ben riuscita selezione orticola<br />

sia stata possibile proprio su un ceppo <strong>di</strong> piante tanto arcaiche come le ninfee, note per essere tra i fossili viventi più documentati dai moderni<br />

stu<strong>di</strong> in campo evoluzionistico.<br />

Bibliografia: garibol<strong>di</strong>, 2008; garibol<strong>di</strong> & Beretta, 2008<br />

coda<br />

dI lucertola<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1 m, con rizoma lungamente strisciante. Foglie con picciolo <strong>di</strong> 1-10 cm;<br />

lamina ovale con base cordata e apice acuminato, <strong>di</strong> 10-15×5-8 cm. Infiorescenza costituita da una spiga cilindrica, da eretta<br />

a incurvata, opposta alle foglie o terminale; perigonio assente; stami in numero <strong>di</strong> 6-8; carpelli (3-)4, concresciuti alla base. Il<br />

frutto è costituito da 3-4 piccole bacche derivate da un ovario apocarpico (baccario), <strong>di</strong> colore bruno, <strong>di</strong> 1.5-3 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale (costa orientale del Canada e, soprattutto, degli Stati Uniti).<br />

Habitat: Rive dei laghi, in formazioni palustri a elofite.<br />

Distribuzione nel territorio: Presente unicamente nei laghi varesini (Lago <strong>di</strong> Monate e Lago <strong>di</strong> Comabbio). Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombar<strong>di</strong>a tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, segnalata per la<br />

prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Stucchi (1953a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Trascurabile.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Stucchi, 1953a<br />

Famiglia: Saururaceae<br />

Nome scientifico: Saururus cernuus L.<br />

Nome volgare: coda <strong>di</strong> lucertola<br />

32 33


falso<br />

canforo<br />

Famiglia: Lauraceae<br />

Nome scientifico: Cinnamomum glanduliferum (Wall.) Meisn.<br />

Nome volgare: falso canforo<br />

Basionimo: Laurus glandulifera Wall.<br />

Sinonimi: Camphora glandulifera (Wall.) Nees<br />

Cinnamomum camphora auct., non (L.) j.Presl<br />

Cinnamomum cavaleriei H.Lév. / Laurus camphora auct., non L.<br />

Machilus dominii H.Lév. / Machilus mekongensis Diels<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero sempreverde alto fino a 20 m, con chioma larga e maestosa negli esemplari monumentali; ritidoma<br />

grigio-bruno, prima liscio poi profondamente fessurato in verticale, desquamantesi in lamine, rosso-bruno <strong>di</strong> sotto, con aroma<br />

<strong>di</strong> canfora. Foglie alterne, con picciolo robusto <strong>di</strong> 1.5-3(-3.5) cm e lamina ellittica, ovato-ellittica o lanceolata, <strong>di</strong> 6-15×4-6.5<br />

cm, glaucescente sulla faccia abassiale, verde scuro e lucida su quella adassiale, caratteristicamente penninervia o raramente<br />

subtriplinervia, con 4-5 paia <strong>di</strong> nervi secondari; foglie dei rami fioriferi più piccole e più coriacee, da puberule a glabrescenti.<br />

Pannocchie fiorifere ascellari, più brevi della corrispondente foglia, lunghe 4-10 cm; peduncoli fiorali <strong>di</strong> 1-2 mm, glabri; fiori<br />

giallognoli, larghi fino a 3 mm; perianzio pubescente all’interno, con tubo obconico <strong>di</strong> circa 1 mm e lembo <strong>di</strong> 6 lobi largamente<br />

ovati, subeguali, acuti, <strong>di</strong> circa 2×1.7 mm; stami fertili 9 a filamento complanato e antera ovata; stamino<strong>di</strong> 3, strettamente<br />

triangolari; ovario supero, ovoide. Il frutto è una drupa globosa, nera (<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1 cm), accompagnata alla base da una cupola<br />

(accrescimento carnoso del perianzio) <strong>di</strong> colore rosso e ondulata al margine.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Asia sudorientale.<br />

Habitat: Boscaglie degradate <strong>di</strong> clima insubrico.<br />

Distribuzione nel territorio: Fascia collinare del varesino. Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa al principio del XVIII secolo. Segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a<br />

e in Italia da Brusa et al. (2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (vivaistica).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì, in quanto si inserisce nelle formazioni boschive dell’Insubria, dove può arrivare a formare uno strato continuo<br />

sempreverde che impe<strong>di</strong>sce il normale sviluppo della componente autoctona.<br />

Impatto: Forte depressione della bio<strong>di</strong>versità forestale e profonda alterazione del paesaggio (da malacofillo a sclerofillo:<br />

Cerabolini et al., 2008).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Molto <strong>di</strong>fficili, in quanto l’unica prevenzione efficace consiste in un ripristino vegetazionale delle<br />

comunità forestali autoctone, atto a scoraggiare l’intromissione dell’aliena.<br />

Note: La pianta è <strong>di</strong>ffusa efficientemente dagli uccelli frugivori e può contare su potenti “riserve”, in quanto tra<strong>di</strong>zionalmente coltivata nei parchi<br />

e nei giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> tutta la regione lacuale insubrica. Nel passato questa specie era stata confusa con il vero canforo (C. camphora), <strong>di</strong> cui non è<br />

nemmeno certa la presenza colturale nel nostro territorio, che si <strong>di</strong>stingue per la faccia abassiale delle foglie intensamente e persistentemente<br />

glauca anche nel secco e per la nervatura fogliare sempre <strong>di</strong> tre or<strong>di</strong>ni (triplinervia).<br />

Bibliografia: Brusa et al., 2007; Cerabolini et al., 2008<br />

lentIcchIa<br />

d’acqua<br />

mInuscola<br />

Famiglia: Araceae<br />

Nome scientifico: Lemna minuta Kunth<br />

Nome volgare: lenticchia d’acqua minuscola<br />

Sinonimi: Lemna minima Phil. ex Hegelm.,<br />

non Thuill. ex P.Beauv., nom. illeg.<br />

Lemna minuscula Herter, nom. illeg.<br />

Tipo biologico: Hynat<br />

Descrizione: Pianta acquatica natante, consistente in una semplice lamina riempita <strong>di</strong> lacune aerifere (per galleggiare), ovatooblunga,<br />

<strong>di</strong> 0.8-4×0.5-2.5 mm, subacuta alle estremità, con faccia superiore un po’ convessa, solitaria o a gruppi <strong>di</strong> 2-4; sotto<br />

ogni lamina pende una sottile ra<strong>di</strong>chetta avvolta da una guaina, che pesca nell’acqua. È visibile sulla pagina superiore una<br />

sola, debole nervatura, estesa tra il punto corrispondente all’inserzione della ra<strong>di</strong>chetta e l’apice della lamina. Infiorescenza<br />

piccolissima, prodotta al margine della lamina in una cavità sacciforme, costituita da un fiore maschile ridotto a (1-)2 stami<br />

<strong>di</strong>suguali in lunghezza (a volte il più breve mancante) e da un fiore femminile consistente in un ovario, entrambi circondati da<br />

una spata. Il frutto è una microscopica bacca contenente 1 seme provvisto <strong>di</strong> costolature longitu<strong>di</strong>nali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-ottobre.<br />

Area d’origine: America temperata e subtropicale.<br />

Habitat: Ambienti acquatici: risaie, rive, stagni, fossi, bracci morti, palu<strong>di</strong> (canneti e cariceti a gran<strong>di</strong> carici), pozze in palu<strong>di</strong><br />

e acque lente.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale alla montana (0-1˙600 m s.l.m.); la sua <strong>di</strong>ffusione è sicuramente<br />

più ampia <strong>di</strong> quella conosciuta in quanto è quasi sempre confusa con L. minor L. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV),<br />

Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). [L. aequinoctialis: Bergamo (CAS), Cremona<br />

(NAT), Pavia (NAT)] [Landoltia punctata: Brescia (NAT), Pavia (NAT)]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a probabilmente nel secolo scorso. Segnalata per la prima volta<br />

da Desfayes (1993), che l’ha osservata dal 1989; in precedenza è sicuramente stata sempre confusa con l’autoctona L. minor.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Come tutte le lenticchie d’acqua (Araceae subfam. Lemnoideae) prolifera in abbondanza sul pelo dell’acqua,<br />

formando densi ed estesi tappeti monofitici, che riducono la penetrazione della luce e gli scambi gassosi subacquei. Questa<br />

particolare prolificità, che si manifesta soprattutto in acque meso-eutrofiche, deprime la <strong>di</strong>versità della vegetazione autoctona<br />

galleggiante, sottraendo spazio non solo a L. minor L., L. gibba L. e Spirodela polyrhiza (L.) Schleid., ma anche al lamineto<br />

a Nymphaea alba L., Nuphar lutea (L.) Sm. e Nymphoides peltata (S.g.gmel.) Kuntze; fatto, questo, che determina anche<br />

un’alterazione del paesaggio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Rimozione del tappeto verde natante e relativo, perio<strong>di</strong>co monitoraggio.<br />

Note: Nel territorio è naturalizzata anche la lenticchia d’acqua delle risaie (L. aequinoctialis Welw., incl. L. paucicostata Hegelm.), un’altra neofita<br />

circum(sub)tropicale, <strong>di</strong> aspetto molto simile all’autoctona L. minor, ma con lamina subrotondo-subovata <strong>di</strong> colore verde giallastro; segnalata per<br />

la prima volta da Koch (1952) che l’ha raccolta in Lomellina (PV) nel 1951. Da L. minuta si <strong>di</strong>stingue per le <strong>di</strong>mensioni maggiori (2-5 mm), per 3<br />

nervature visibili sulla lamina e per la ra<strong>di</strong>ce ad apice acuto e guaina provvista <strong>di</strong> 2 espansioni alari. L. perpusilla Torr., invece, è specie endemica<br />

del Nordamerica centrale e orientale ed è da escludere dal continente europeo (Landolt, 1986), sebbene segnalata anche <strong>di</strong> recente (es. Desfayes,<br />

2005). Le <strong>di</strong>fferenze morfologiche tra queste ultime due specie sono minime, ma la loro <strong>di</strong>stinzione è ben pronunciata sul piano ecologico (Landolt,<br />

1986; Crawford et al., 2002), allozimico (Crawford et al., 2002) e del DNA (Les et al., 2002). In Lombar<strong>di</strong>a si trova pure Landoltia punctata (g.Mey.) Les<br />

& D.j.Crawford (= Lemna p. g.Mey., = Spirodela p. (g.Mey.) C.H.Thomps., = Lemna oligorrhiza Kurz, = Spirodela o. (Kurz) Hegelm.; lenticchia d’acqua<br />

occidentale), specie tropicale (emisfero australe e Asia orientale) segnalata per la prima volta da Pignatti (1955), riconoscibile per la presenza <strong>di</strong><br />

più ra<strong>di</strong>ci, come in Spirodela. Da quest’ultimo genere, però si <strong>di</strong>stingue per le fronde 1½-2 volte più lunghe che larghe (1-1½ in Spirodela) con<br />

(3-) 5-7 nervi (7-16(-21) in Spirodela) e (1-)2-7(-12) ra<strong>di</strong>ci (7-21 in Spirodela). È una specie altamente polimorfa e Spirodela oligorrhiza non appare<br />

<strong>di</strong>stinta da essa (Landolt, 1986).<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Crawford et al., 2002; Desfayes, 1993, 1997; Desfayes, 2005; Frattini, 2008; giordana, 1995; Koch, 1952; Landolt,<br />

1986; Les et al., 2002; Pignatti, 1955; zanotti, 2000<br />

34 35


lentIcchIetta<br />

d’acqua<br />

Famiglia: Araceae<br />

Nome scientifico: Wolffia arrhiza (L.) Horkel ex Wimm.<br />

Nome volgare: lenticchietta d’acqua<br />

Basionimo: Lemna arrhiza L.<br />

Tipo biologico: Hynat<br />

Descrizione: Pianta acquatica natante ridotta a una lamina ovoide, semiglobosa, della <strong>di</strong>mensione massima <strong>di</strong> 0.5-1.2 mm (è la<br />

più piccola spermatofita della flora europea), piana e verde scuro sulla faccia superiore, convessa e giallastra su quella inferiore,<br />

priva <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>ci. La riproduzione avviene unicamente per via vegetativa, con formazione a catena <strong>di</strong> 1-2 gemme marginali per<br />

lamina.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: Non fiorisce in clima temperato a causa del fotoperiodo (pianta brevi<strong>di</strong>urna); riproduzione<br />

esclusivamente vegetativa.<br />

Area d’origine: Paleotropica.<br />

Habitat: Risaie, canali artificiali, stagni ed acque lente oligotrofe.<br />

Distribuzione nel territorio: Dalla fascia planiziale a quella collinare (0-300 m s.l.m.). Brescia (NAT), Cremona (NAT), Monza<br />

e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia all’inizio del Settecento. Segnalata per la prima volta presso Firenze<br />

(Micheli, 1729), in Lombar<strong>di</strong>a è stata riportata da Arcangeli (1894) a Bernareggio (MI).<br />

Modalità d’introduzione: Imprecisabile, sebbene probabilmente accidentale con il trasferimento <strong>di</strong> piante acquatiche.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante, anche se può formare popolamenti clonali massivi.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Monitoraggio perio<strong>di</strong>co (annuale) per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul<br />

territorio; eventuale raccolta con appositi strumenti (setaccio con maglie <strong>di</strong> 120 μm).<br />

Bibliografia: Arcangeli, 1894; Landolt, 1986; Micheli, 1729<br />

sagIttarIa<br />

amerIcana<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1 m; stoloni presenti. Foglie emerse lunghe 6-50 cm; picciolo triangolare;<br />

lamina sagittata, 1.5-30×2-17 cm, con lobi basali lunghi quanto o poco meno il resto della lamina. Infiorescenza emersa, 4.5-<br />

38×4-23 cm, composta da un racemo <strong>di</strong> 3-9 verticilli <strong>di</strong> fiori unisessuali (i maschili solitamente apicali all’infiorescenza); fiori<br />

con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 3-4 cm; sepali patenti sino a riflessi; petali completamente bianchi. Frutto costituito da una testa <strong>di</strong> acheni <strong>di</strong><br />

forma oblanceolata e rostrati.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: America (dall’Alaska sino all’Ecuador).<br />

Habitat: Specie tipica <strong>di</strong> ambienti palustri (laghi, stagni, canali irrigui in fase <strong>di</strong> interramento, ecc.), dove cresce soprattutto in<br />

prossimità delle rive o in acque poco profonde.<br />

Distribuzione nel territorio: Sembra avere la principale <strong>di</strong>stribuzione nella pianura occidentale (50-300 m s.l.m.), mentre è<br />

più rara a oriente. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Pavia (NAT), Varese (INV). [S. platyphylla: Varese (EST).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombar<strong>di</strong>a tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, naturalizzata almeno<br />

dal 1940 (Stucchi, 1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per idrofloricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Negli ultimi anni ha avuto un’impressionante <strong>di</strong>ffusione, soprattutto nel bacino del Lago <strong>di</strong> Varese, dove ha invaso il<br />

canneto in presenza <strong>di</strong> una falda affiorante. È inoltre infestante all’interno dei canali irrigui.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Dato il tipo <strong>di</strong> ambiente che invade e la presenza frammista ad altre specie, il contenimento <strong>di</strong><br />

questa specie risulta assai problematico. Negli ambienti naturali si suggerisce pertanto un’azione imme<strong>di</strong>ata, era<strong>di</strong>cando ogni<br />

singola nuova popolazione prima che questa si consoli<strong>di</strong> e si espanda nell’area <strong>di</strong> neo-invasione.<br />

Note: Questa specie esotica può essere confusa l’autoctona S. sagittifolia L., oggi <strong>di</strong>venuta assai rara, che si <strong>di</strong>stingue per le foglie emerse più<br />

piccole (5-10×1-2 cm), i fiori più piccoli (<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1.5-2 cm) e per i petali con una macchia rossastra alla base. Segnalata in passato (Stucchi,<br />

1953a) per il territorio lombardo (Lago <strong>di</strong> Comabbio a Varano Borghi, VA) anche S. platyphylla (Engelm.) j.g.Sm. (= Sagittaria graminea Michx.<br />

var. platyphylla Engelm., = Sagittaria mohrii j.g.Sm. ex C.Mohr; sagittaria centroamericana), che si <strong>di</strong>stingue dalle congeneri per le foglie emerse<br />

lanceolate e i fiori minuti (<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 0.8-1.5 cm); la presenza <strong>di</strong> quest’ultima specie non è stata <strong>di</strong> recente confermata ed è quin<strong>di</strong> da considerarsi<br />

estinta in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Bibliografia: Stucchi, 1950, 1953a, 1953b<br />

Famiglia: Alismataceae<br />

Nome scientifico: Sagittaria latifolia Willd.<br />

Nome volgare: sagittaria americana,<br />

sagittaria a foglie larghe<br />

Sinonimi: Sagitta latifolia (Willd.) Nieuwl.<br />

Sagittaria esculenta Howell<br />

Sagittaria hastata Pursh<br />

Sagittaria variabilis Engelm.<br />

36 37


peste<br />

d’acqua<br />

maggIore<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Egeria densa Planch.<br />

Nome volgare: peste d’acqua maggiore<br />

Sinonimi: Anacharis densa (Planch.) Vict.<br />

Elodea densa (Planch.) Casp.<br />

Philotria densa (Planch.) Small<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte <strong>di</strong>stale,<br />

più robusta delle simili Elodea canadensis ed E. nuttallii (ve<strong>di</strong> schede). Foglie <strong>di</strong> 10-40×1.5-4.5 mm, verticillate a 4-6. Fiori<br />

unisessuali (pianta <strong>di</strong>oica: da noi solo in<strong>di</strong>vidui maschili) bianchi, con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1.5-2 cm, con perianzio <strong>di</strong> 6 elementi in 2<br />

verticilli, gli interni bianchi. Frutto non osservato; la propagazione, come per Elodea canadensis ed E. nuttallii, avviene solo per<br />

via vegetativa.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Canali, stagni, anse lacustri, acque ferme.<br />

Distribuzione nel territorio: Prevalentemente in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a nella prima metà del secolo scorso, osservata presso Angera<br />

dal 1947 (Koch, 1950; giacomini, 1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per idrofloricoltura e per acquari.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Apparentemente no.<br />

Impatto: Limitato.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è <strong>di</strong>fficile: per via meccanica si deve<br />

intervenire in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più<br />

corretto puntare su specie in<strong>di</strong>gene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli<br />

acquari che contengono acquatiche aliene non devono essere mai svuotati <strong>di</strong>rettamente nei laghi o nei fiumi,<br />

ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.<br />

Risulta invasiva negli Stati Uniti meri<strong>di</strong>onali, pertanto va tenuta sotto monitoraggio.<br />

Bibliografia: giacomini, 1950; Koch, 1950; Pirola, 1964a; Wolff, 1980<br />

peste<br />

d’acqua<br />

comune<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte <strong>di</strong>stale. Foglie<br />

verticillate a 3(-4), rigidette e un po’ arcuate, oblungo-lineari, lunghe 5-10 mm, con apice da largamente acuto a ottuso,<br />

larghe 1.1 ± 0.03 mm (misura da prendere 0.5 mm al <strong>di</strong> sotto dell’apice). Fiori unisessuali (pianta <strong>di</strong>oica: da noi solo in<strong>di</strong>vidui<br />

femminili), i maschili sessili, in spata oblungo-lineare <strong>di</strong> 1-13 mm, i femminili larghi 4-5.5 mm, su peduncoli capillari <strong>di</strong> 1-2 cm,<br />

con perianzio <strong>di</strong> 6 elementi in 2 verticilli, gli interni bianchi; stimmi 3, bilobi, porporini. Frutto non osservato; la propagazione<br />

avviene solo per via vegetativa.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Acque correnti, stagni, laghi.<br />

Distribuzione nel territorio: Soprattutto in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong><br />

(INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Nella prima metà dell’800 vennero introdotte in Europa delle piante femminili; il professor Agostini<br />

la ebbe a Mantova da Altona nel 1866 e da qui la spedì all’Orto Botanico <strong>di</strong> Padova nel 1867. Da allora si naturalizzò in tutta<br />

Italia: nel 1873 nel veronese, nel 1879 a Mantova dove fu introdotta per «purgare le acque malsane» (Paglia, 1879), nel 1886<br />

nel pavese, dove era coltivata nell’Orto botanico (Bozzi, 1888) e nel 1891 a Padova; in seguito venne osservata nel bresciano<br />

(da dopo il 1892: Ugolini, 1897, 1921), nel Lago <strong>di</strong> garda (1894) e in Val d’A<strong>di</strong>ge (1898); verso il 1900 comparve sul Lago<br />

Maggiore e nel Napoletano, nel 1906 veniva riferita abbondante intorno a Treviso e nel 1909 nel Lago <strong>di</strong> Como, prima del 1920<br />

comparve nel Pisano, nella pianura romagnola e nelle Palu<strong>di</strong> Pontine.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini idrofloricolturali.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica in<strong>di</strong>gena, con<br />

conseguente per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio,<br />

contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10 / 2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è <strong>di</strong>fficile: per via meccanica si deve intervenire<br />

in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie<br />

in<strong>di</strong>gene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono elodea o altre<br />

acquatiche aliene non devono essere mai svuotati <strong>di</strong>rettamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben<br />

esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.<br />

Note: Negli anni ’50 dello scorso secolo era un’inquilina comunissima della pianura lombardo-piemontese, tanto da costringere gli agricoltori a<br />

costosi lavori <strong>di</strong> espurgo dei canali d’irrigazione. già a partire dagli anni ’80, invece, ebbe inizio un regresso causato probabilmente dall’eutrofizzazione<br />

delle acque interne o da un’infezione parassitica, o anche dall’interazione <strong>di</strong> entrambe le cause. Oggi è in ripresa, ma in competizione con la<br />

congenere E. nuttallii, che si <strong>di</strong>fferenzia per le foglie con apice da strettamente acuto ad acuminato, larghe 0.4 ± 0.02 mm (misura da prendere 0.5<br />

mm al <strong>di</strong> sotto dell’apice) (Simpson, 1988). A tutt’oggi non sembrano essere stati mai introdotti cloni maschili della pianta.<br />

Bibliografia: Bozzi, 1888; Paglia, 1879; Simpson, 1988; Ugolini, 1897, 1921; Wolff, 1980<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Elodea canadensis Michx.<br />

Nome volgare: peste d’acqua comune<br />

Sinonimi: Anacharis canadensis (Michx.) Planch.<br />

Udora canadensis (Michx.) Nutt.<br />

38 39


peste<br />

d’acqua<br />

dI nuttall<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Elodea nuttallii (Planch.) H.St.john<br />

Nome volgare: peste d’acqua <strong>di</strong> Nuttall<br />

Basionimo: Anacharis nuttallii Planch.<br />

Sinonimi: Anacharis callitrichoides auct., non Rich.<br />

Elodea callitrichoides auct., non (Rich.) Casp.<br />

Elodea ernstiae auct., non H.St.john<br />

Philotria nuttallii (Planch.) Rydb.<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Erba acquatica con fusti sommersi, ramosi, fogliosi su tutta la lunghezza, in particolare nella parte <strong>di</strong>stale. Foglie<br />

verticillate a 3, sessili, intere, lanceolate, appuntite e ricurve all’estremità, vagamente ritorte, color verde chiaro; sono lunghe<br />

circa 10 mm, con apice da strettamente acuto ad acuminato, larghe 0.4 ± 0.02 mm (misura da prendere 0.5 mm al <strong>di</strong> sotto<br />

dell’apice). Fiori unisessuali (pianta <strong>di</strong>oica) <strong>di</strong> 3-5 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, con perianzio <strong>di</strong> 6 segmenti violetti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Acque correnti, stagni, laghi.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla montagna; è tra le specie esotiche che raggiungono le maggiori<br />

altitu<strong>di</strong>ni (galasso & Banfi, 2009), arrivando sino a 1˙885 m s.l.m. nei Laghetti <strong>di</strong> Bruffione e a 1˙890 m nel Laghetto <strong>di</strong> Mignolo<br />

superiore, entrambi nel gruppo dell’Adamello (BS). Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV),<br />

<strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Desfayes (1995) che la raccolse nel 1989 a<br />

Crone (comune <strong>di</strong> Idro) sul Lago d’Idro (BS); secondo lo stesso autore la precedente segnalazione <strong>di</strong> E. canadensis <strong>di</strong> Béguinot<br />

(1931) per il medesimo lago potrebbe essere ricondotta a E. nuttallii, anche se, secondo noi, nel frattempo potrebbe essere<br />

stata sostituita dalla nuova esotica analogamente a quanto avvenuto in altri corpi d’acqua.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per commercio ortofloricolo (laghetti, acquari ecc.).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica in<strong>di</strong>gena, con<br />

conseguente per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio,<br />

contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10 / 2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è <strong>di</strong>fficile: per via meccanica si deve intervenire<br />

in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie<br />

in<strong>di</strong>gene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono elodea o altre<br />

acquatiche aliene non devono essere mai svuotati <strong>di</strong>rettamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben<br />

esposto al sole, lontano da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.<br />

Note: Si incontrano due fenotipi, spesso conviventi o persino presenti sulla medesima pianta, uno con foglie corte e ricurve, l’altro con foglie<br />

lunghe e piane o ± ritorte. Quest’ultimo in Europa (es. Wolff, 1980; Vanderpoorten et al., 2000) è stato a volte interpretato appartenere a un’altra<br />

specie, E. callitrichoides (= E. ernstiae); tuttavia, indagini morfologiche accurate e analisi del DNA (AFLP) hanno mostrato come questi due fenotipi<br />

siano entrambi espressioni <strong>di</strong> E. nuttallii (Vanderpoorten et al., 2000). Spesso confusa con E. canadensis, che si <strong>di</strong>fferenzia per le foglie con apice da<br />

largamente acuto a ottuso, larghe 1.1 ± 0.03 mm (misura da prendere 0.5 mm al <strong>di</strong> sotto dell’apice) (Simpson, 1988).<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; galasso & Banfi, 2009; Bonali et al., 2006a; Béguinot, 1931; Desfayes, 1995; Simpson, 1988; Vanderpoorten<br />

et al., 2000; Wolff, 1980; zanotti, 2000<br />

peste<br />

d’acqua<br />

arrIccIata<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Erba acquatica con fusti cilindrici (<strong>di</strong>ametro 2-3 mm) sommersi, ramosi. Foglie lineari, traslucide, verde scuro,<br />

lunghe 20-30 mm, con due minute squame nodali, con margine intero, ottuse, fortemente arcuato-ricurve, conferenti un<br />

caratteristico aspetto arricciato alle fronde, le inferiori in file elicoidali, le superiori verticillate a 4 o più. Pianta <strong>di</strong>oica, con<br />

infiorescenze avvolte in spate tubulose, ascellari, sessili, le maschili multiflore, le femminili 1(-3)-flore; fiori con 3 sepali e 3<br />

petali subeguali; i maschili, all’apertura della spata, <strong>di</strong>staccantisi e galleggianti sull’acqua (come in Vallisneria) con 3 stami e 3<br />

stamino<strong>di</strong>; i femminili con ovario sessile all’interno della spata, prolungato all’apice in 3 stili bifi<strong>di</strong>, liberi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Africa tropicale e subtropicale.<br />

Habitat: Canali, acque stagnanti, laghi.<br />

Distribuzione nel territorio: In ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT). [Blyxa japonica: Pavia (NAT).] [Vallisneria americana: Brescia (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a nel 1947 sul Lago Maggiore ad Angera<br />

da Koch (1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per piante d’acquario e da giar<strong>di</strong>naggio palustre.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Localmente può andare incontro ad esplosioni demografiche, a scapito della flora acquatica in<strong>di</strong>gena, con<br />

conseguente per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La lotta per il controllo delle specie acquatiche è <strong>di</strong>fficile: per via meccanica si deve intervenire<br />

in estate, ma il miglior approccio è la prevenzione. Acquistando piante per stagni e acquari, è più corretto puntare su specie<br />

in<strong>di</strong>gene ed è necessario che questo principio si affermi nel pensare comune; gli acquari che contengono acquatiche aliene<br />

non devono essere mai svuotati <strong>di</strong>rettamente nei laghi o nei fiumi, ma su un supporto asciutto e ben esposto al sole, lontano<br />

da possibili convogliamenti verso corpi d’acqua.<br />

Note: Fa parte <strong>di</strong> quel contingente alieno tropicale capace <strong>di</strong> oltrepassare abbondantemente il confine della zona temperata. Alle Hydrocharitaceae<br />

appartengono altre due aliene naturalizzate nel nostro territorio: Blyxa japonica (Miq.) Maxim. ex Asch. & gürke (= Hydrilla j. Miq.; peste d’acqua<br />

giapponese) e Vallisneria americana Michx. (vallisneria americana). La prima, segnalata per le risaie pavesi da Pirola (1964b), si riconosce per le<br />

foglie piane (non arcuate), con margine minutamente denticolato. La seconda, segnalata da Frattini (2008) per la pianura bresciana dove è nota<br />

da oltre un decennio, ma presente anche a <strong>Milano</strong> nel Naviglio della Martesana, è simile all’autoctona Vallisneria spiralis L., ma maggiore: le foglie<br />

possono giungere a 1.1 m.<br />

Bibliografia: Koch, 1950; Frattini, 2008; Pirola, 1964a, 1964b; Stucchi, 1953b; Wolff, 1980<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Lagarosiphon major (Ridl.) Moss<br />

Nome volgare: peste d’acqua arricciata<br />

Basionimo: Lagarosiphon muscoides Harv. var. major Ridl.<br />

40 41


anocchIna<br />

delle rIsaIe<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Najas gracillima<br />

(A.Braun ex Engelm.) Magnus<br />

Nome volgare: ranocchina delle risaie<br />

Basionimo: Najas in<strong>di</strong>ca (Willd.) Cham. var. gracillima<br />

A.Braun ex Engelm.<br />

Sinonimi: Najas japonica Nakai<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, con fusti lunghi fino a 50 cm; interno<strong>di</strong> lunghi 0.2-0.7 mm, privi <strong>di</strong> spinule. Foglie lineari,<br />

opposte o verticillate, da eretto-patenti a decisamente patenti, lunghe 0.5-3 cm; guaina larga 0.5-1.5 mm, con apice troncato,<br />

dotato <strong>di</strong> un brevissimo mucrone (minore <strong>di</strong> 0.3 mm); lamina larga 0.1-0.5 mm, margine con 13-17 denti per lato, apice acuto<br />

con 2-3 denti. Fiori unisessuali, ascellari, in numero <strong>di</strong> 1-3, maschili e femminili sullo stesso in<strong>di</strong>viduo (pianta monoica); i<br />

maschili <strong>di</strong> circa 1.5-2 mm, i femminili <strong>di</strong> 0.5-3 mm. Frutti <strong>di</strong>ritti, affusolati, <strong>di</strong> 2-3.2×0.4-0.7 mm, bruno chiaro; stilo peristente,<br />

inserito lateralmente all’apice del frutto.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Presumibilmente Asia orientale (Cina e giappone).<br />

Habitat: Risaie e relativi canali adacquatori, dove vive sommersa in acque poco profonde.<br />

Distribuzione nel territorio: In pianura, dalla Lomellina al lo<strong>di</strong>giano. Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a (Lomellina) da Koch (1952), che la<br />

vide nel 1951.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì, per la risicoltura.<br />

Impatto: È soprattuto una malerba, che infesta le risaie nel periodo <strong>di</strong> allagamento.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo selettivo in risaia.<br />

Note: Riconoscibile dalle congeneri per la posizione eccentrica dello stilo all’apice del frutto. Sulla base dei soli caratteri vegetativi, questa specie<br />

può essere confusa con alcune congeneri, come N. graminea (ve<strong>di</strong> scheda), che <strong>di</strong>fferisce per la guaina fogliare terminante in due evidenti lacinie<br />

lunghe sino a 2 mm, ma soprattutto l’autoctona N. minor All., assai più robusta e con foglie macroscopicamente dentate (denti poco apprezzabili<br />

in N. gracillima).<br />

Bibliografia: Koch, 1952; Pirola, 1964b; Triest, 1988<br />

ranocchIna<br />

tropIcale<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Najas graminea Delile<br />

Nome volgare: ranocchina tropicale<br />

Sinonimo: Caulinia alagnensis Pollini<br />

Caulinia graminea (Delile) Batt.<br />

Caulinia graminea (Delile) Tzvelev, comb. superfl.<br />

Caulinia microphylla Nocca, non Nocca & Balb., nom. illeg.<br />

Najas alagnensis (Pollini) Pollini<br />

Najas microphylla Rchb.<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, con fusti lunghi fino a 35 cm; interno<strong>di</strong> lunghi 0.4-1.9 mm, privi <strong>di</strong> spinule. Foglie<br />

lineari, opposte o verticillate, da eretto-patenti a decisamente patenti, lunghe 0.8-2 cm; guaina larga 1-1.5 mm, con apice<br />

terminante in due lacinie lunghe sino a 2 mm; lamina larga 0.5-1 mm, con margine portante sino a 40 denti per lato ed apice<br />

acuto 2-3-dentato. Fiori unisessuali, ascellari, in numero <strong>di</strong> 1-2, maschili e femminili sullo stesso in<strong>di</strong>viduo (pianta monoica);<br />

i maschili larghi 2-3 mm, i femminili sino a 3.5 mm. Frutti <strong>di</strong>ritti, fusiformi, <strong>di</strong> 1.7-2.5×0.4-0.6 mm, bruno-verdastri; stilo<br />

persistente, in posizione centrale all’apice del frutto.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia sudorientale (dall’In<strong>di</strong>a alle Filippine).<br />

Habitat: Risaie, canali.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Pollini (1814), che la descrisse come specie nuova<br />

delle risaie lomelline <strong>di</strong> Alagna (PV). In seguito, in Lombar<strong>di</strong>a è stata segnalata da Reichenbach (1831) a <strong>Milano</strong> e da Cesati et<br />

al. (1871) alla Merlata (località alle porte <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>: Banfi & galasso, 1998); le in<strong>di</strong>cazioni per il mantovano <strong>di</strong> Bertoloni (1854) e<br />

<strong>di</strong> Masè (1868), riprese da Paglia (1879), sono entrambe erronee e da ricondurre a N. minor (Parlatore, 1860; Cesati et al., 1871).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Ambientalmente no, ma può costituire un problema per la risicoltura.<br />

Impatto: Debole, in risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo selettivo in risaia.<br />

Note: Appartiene al contingente floristico sudestasiatico, che, assieme a una minore porzione <strong>di</strong> quello nordamericano, caratterizza l’ambiente<br />

<strong>di</strong> risaia.<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 1998; Bertoloni, 1854; Cesati et al., 1871; Ciferri et al. 1949; Masè, 1868; Paglia, 1879; Parlatore, 1860; Pirola, 1964b;<br />

Pollini, 1814; Reichenbach, 1831; Triest, 1988<br />

42 43


falsa<br />

mestolaccIa<br />

Famiglia: Hydrocharitaceae<br />

Nome scientifico: Ottelia alismoides (L.) Pers.<br />

Nome volgare: erba-coltella delle risaie,<br />

falsa mestolaccia<br />

Basionimo: Stratiotes alismoides L.<br />

Sinonimi: Ottelia japonica Miq.<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Pianta erbacea acquatica annuale, alta 20-40 cm, con ra<strong>di</strong>ci fascicolate. Foglie con picciolo <strong>di</strong> 8-13 cm, a sezione<br />

triangolare e lamina ovato-cordata <strong>di</strong> 9-17×7-16 cm, spesso arrossata, a margine intero, con 7-11 nervi longitu<strong>di</strong>nali collegati<br />

da sottili nervature trasversali secondarie. Fiori solitari, emersi su peduncoli <strong>di</strong> 5-40 cm, involucrati da una spata derivante<br />

da due brattee fuse, che presenta ali longitu<strong>di</strong>nali ondulate; perianzio a 3 sepali strettamente triangolari, <strong>di</strong> 10-15×3-4 mm<br />

e 3 petali ovato-subroton<strong>di</strong> <strong>di</strong> 15-20×12-18 mm, bianchi soffusi <strong>di</strong> azzurro; stami 3; ovario supero, triloculare. Il frutto è una<br />

capsula loculicida a tre valve.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Asia sudorientale.<br />

Habitat: Risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: Lomellina. Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1950 in Piemonte e probabilmente giunta prima del<br />

1947 (Fenaroli, 1952; Koch, 1952; Piacco, 1952). In Lombar<strong>di</strong>a segnalata inizialmente da Pirola (1964b), in seguito da Pesce et<br />

al. (1975) e Desfayes (2005).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (con la flora risicola).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Desfayes, 2005; Fenaroli, 1952; Koch, 1952; Pesce et al., 1975; Piacco, 1952; Pirola, 1964b<br />

tulIpano<br />

dI clusIus<br />

Tipo biologico: gbulb<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne con bulbo provvisto <strong>di</strong> tuniche internamente lanose. Foglie 2-5, lineari, <strong>di</strong> circa 30×1<br />

cm, glauche. Scapo unifloro, eccezionalmente bifloro; fiori <strong>di</strong> aspetto stellato, con perianzio <strong>di</strong> 6 segmenti su due verticilli,<br />

ovato-acuti, gradualmente ristretti verso l’apice, bianchi o crema, esternamente rosso carminio sfumato fino al bianco verso i<br />

margini. Androceo <strong>di</strong> 6 stami con filamento allargato alla base e antera basifissa, introrsa; ovario supero, allungato, con stimma<br />

apicale sessile. Frutto a capsula loculicida, trivalve, contenente numerosi semi bruni, appiattiti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno.<br />

Area d’origine: Me<strong>di</strong>o Oriente (Siria, Persia).<br />

Habitat: Vigneti, incolti, margini erbosi, mura.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, nella Lombar<strong>di</strong>a centro-orientale. Bergamo (NAT), Brescia (CAS), <strong>Milano</strong><br />

(CAS), Mantova (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta e coltivata a Firenze nel 1606 (Ugolini, 1921). In Lombar<strong>di</strong>a segnalata da zersi<br />

(1871) per Bergamo, Ugolini (1921) per il bresciano dal 1877, Paglia (1879) per il mantovano, Rodegher & Venanzi (1894)<br />

ancora per Bergamo, nella medesima località in cui è stata nuovamente raccolta nel 2006 da Perico (2006).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale da giar<strong>di</strong>no.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nullo.<br />

Bibliografia: Paglia, 1879; Perico, 2006; Rodegher & Venanzi, 1894; Ugolini, 1921; zersi, 1871<br />

Famiglia: Liliaceae<br />

Nome scientifico: Tulipa clusiana DC.<br />

Nome volgare: tulipano <strong>di</strong> Clusius<br />

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tulIpano<br />

precoce<br />

Famiglia: Liliaceae<br />

Nome scientifico: Tulipa rad<strong>di</strong>i Reboul<br />

Nome volgare: tulipano precoce<br />

Sinonimi: Tulipa praecox Ten., nom. illeg.<br />

Tipo biologico: gbulb<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne con bulbo ricoperto <strong>di</strong> tuniche, che sulla faccia interna (adassiale) presentano una fitta<br />

cotonosità biancastra. Foglie 3-5, da lanceolate a oblanceolate, glauche, le inferiori fino a 35×7 cm. Scapo unifloro, alto fino<br />

a 65 cm; fiore con perianzio <strong>di</strong> 6 segmenti su due verticilli, <strong>di</strong> cui i 3 esterni da ovati a ellittici, lunghi 4-10 cm, i 3 interni ovati,<br />

lunghi non oltre 7 cm; tutti i segmenti <strong>di</strong> un bel rosso aranciato con stria me<strong>di</strong>ana verde all’esterno, nell’insieme delimitanti<br />

all’interno un’area centrale circolare bruno-verdastra, orlata <strong>di</strong> giallo vivo; stami 6 con filamento allargato verso la base e antera<br />

basifissa, introrsa; ovario tricarpellare, supero, espanso apicalmente in uno stimma sessile. Il frutto è una capsula loculicida a 3<br />

valve, con semi appiattiti, impilati in colonne uno sull’altro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Me<strong>di</strong>o Oriente (Siria, Asia minore).<br />

Habitat: Incolti soleggiati, vigneti.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare, nella Lombar<strong>di</strong>a centro-orientale. Bergamo (EST), Brescia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal principio dell’Ottocento. Segnalata per la Lombar<strong>di</strong>a da zersi (1871).<br />

Presente nei vigneti del limitrofo Appennino alessandrino nei pressi <strong>di</strong> Tortona, è da ricercarsi nell’Oltrepo pavese.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale da giar<strong>di</strong>no.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Paesaggistico: rende gradevoli i vigneti condotti coi meto<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zionali (inerbimento, vangatura) nei quali ancora cresce.<br />

Bibliografia: zersi, 1871<br />

gIglIetto<br />

blu<br />

Famiglia: Iridaceae<br />

Nome scientifico: Sisyrinchium montanum greene<br />

Nome volgare: giglietto blu<br />

Sinonimi: Sisyrinchium angustifolium auct., non Mill.<br />

Sisyrinchium bermu<strong>di</strong>anum auct., non L.<br />

Tipo biologico: grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a 50 cm, cespitosa, dotata <strong>di</strong> rizomi sottili. Fusto semplice, alato, largo<br />

1.5-4 mm. Foglie generalmente tutte basali, larghe 2-3 mm e lunghe la metà del fusto ed oltre. Infiorescenze composte<br />

normalmente da un singolo fiore; tepali in numero <strong>di</strong> 6, patenti a stella, appena saldati alla base, ellittici, 6-8×3-5 mm, bluviola<br />

con una macchia gialla alla base. Frutto costituito da una capsula globosa oppure obovoide, 4-7 mm; semi da globosi<br />

ad obconici, 1-1.5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica (tra Canada e Stati Uniti).<br />

Habitat: Luoghi prativi umi<strong>di</strong>.<br />

Distribuzione nel territorio: Altoplaniziale-collinare, nella Lombar<strong>di</strong>a occidentale. <strong>Milano</strong> (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia probabilmente nel XVII secolo; osservata spontanea in germania sin dal<br />

1841 e raccolta per la prima volta in Italia nel 1904 in Piemonte (Mattirolo, 1919). In Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta<br />

da Stucchi (1949b), che riporta un dato del sacerdote Carlo Cozzi del 1943 per la linea del tram tra Samarate e gallarate (VA),<br />

e da giacomini (1950) per <strong>Milano</strong>.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Note: In<strong>di</strong>cata nelle flore italiane e straniere ora come S. “bermu<strong>di</strong>ana” ora come S. angustifolium, si tratta in realtà <strong>di</strong> una specie la cui identità<br />

non corrisponde né all’uno né all’altro binomio; in effetti tutte e tre le entità afferiscono a un gruppo <strong>di</strong>fficile, nel quale i singoli componenti si<br />

<strong>di</strong>fferenziano per caratteri minuti <strong>di</strong> significato sistematico non ancora pienamente chiarito. S. montanum, tuttavia, si <strong>di</strong>stingue agevlmente per il<br />

fusto non ramificato (Ward, 1968; Parent, 1980; Choleva & Henderson, 2002).<br />

Bibliografia: Choleva & Henderson, 2002; giacomini, 1950; Mattirolo, 1919; Parent, 1980; Stucchi, 1949b; Ward, 1968<br />

46 47


gIglIo dI<br />

san gIuseppe<br />

Famiglia: Hemerocallidaceae<br />

(= Xanthorrhoeaceae subfam. Hemerocallidoideae)<br />

Nome scientifico: Hemerocallis fulva (L.) L.<br />

Nome volgare: giglio <strong>di</strong> San giuseppe,<br />

emerocallide comune<br />

Basionimo: Hemerocallis lilioasphodelus L. var. fulva L.<br />

Tipo biologico: grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 50-120 cm, con rizoma sotterraneo sviluppato e ra<strong>di</strong>ci dotate <strong>di</strong> rigonfiamenti<br />

fusiformi, biancastri, lunghi 1-2 cm; scapi fioriferi eretti, robusti, afilli, ramificati in alto. Foglie tutte basali, nastriformi-scanalate,<br />

<strong>di</strong> 30-50×2-3 cm. Infiorescenza terminale, costituita da due ramificazioni cimose, subeguali, per un totale <strong>di</strong> 5-8 fiori inodori;<br />

peduncoli <strong>di</strong> 1 cm; segmenti del perianzio 6 in 2 verticilli, saldati alla base in un breve tubo giallo, fulvo-aranciati, gli esterni<br />

oblungo-lanceolati, larghi circa 2 cm, gli interni obovato-spatolati, larghi 3 cm, con vistose venature anastomosate. Stami 6,<br />

ricurvi verso l’alto come pure lo stilo (pista <strong>di</strong> atterraggio degli impollinatori), con antere dorsifisse, introrse; ovario supero,<br />

triloculare. Il frutto non si forma per motivi <strong>di</strong> sterilità.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Fossi e ripe.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT),<br />

Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia da metà del Cinquecento.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Contenuto.<br />

Note: Il corredo cromosomico triploide (2n = 33) e la conseguente sterilità della pianta, fanno pensare che essa abbia avuto origine in tempi<br />

remoti, in Cina, dall’ibridazione <strong>di</strong> due specie sin qui non identificate. Fu certamente la prima emerocallide esotica ad essere introdotta in Europa,<br />

dove presto sfuggì alla coltivazione grazie a un’elevata efficienza propagativa e alla capacità <strong>di</strong> sostenere la competizione nel contesto delle<br />

comunità vegetazionali in cui si inse<strong>di</strong>a.<br />

agave<br />

comune<br />

Famiglia: Agavaceae<br />

(= Asparagaceae subfam. Agavoideae)<br />

Nome scientifico: Agave americana L.<br />

Nome volgare: agave comune,<br />

agave americana, pitta, zammara, zabbara<br />

Tipo biologico: Pros<br />

Descrizione: Pianta robusta, rizomatosa, con una rosetta principale <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> foglie rigide e carnose, lineari-lesiniformi,<br />

larghe e lunghe fino a 180×30 cm, semicilindrico-concave nel profilo, <strong>di</strong> norma grigie, talvolta verde scuro marginate <strong>di</strong> giallo<br />

(cv. ‘Marginata’); i margini sono armati <strong>di</strong> robuste spine lunghe circa 1 cm e una spina più lunga segna l’apice della foglia.<br />

Possono essere presenti rosette fogliari secondarie più piccole attorno alla rosetta principale. L’infiorescenza, unica, centrale,<br />

è costituita da uno scapo molto robusto, a pieno sviluppo alto fino 5 m, con ramificazioni fiorifere sovrapposte a piramide<br />

su piani orizzontali. Fiori eretti, a 6 tepali giallognoli lunghi 5 cm, profumati e ridondanti <strong>di</strong> nettare; stami 6, lungamente<br />

sporgenti, ovario infero. Il frutto è una capsula obovoide <strong>di</strong> 4 cm contenente semi molto leggeri, neri e appiattiti. La fioritura<br />

avviene intorno ai 20-30 anni <strong>di</strong> vita della pianta; mentre i frutti maturano, la rosetta fogliare secca e muore (apaxantìa), ma,<br />

contrariamente a quanto riporta un luogo comune, la pianta continua benissimo a vivere sviluppando una delle rosette<br />

secondarie, che prende il posto <strong>di</strong> quella morta.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: (giugno-)luglio-agosto(-settembre).<br />

Area d’origine: Mesoamerica.<br />

Habitat: Pareti rocciose verticali, gradoni, pen<strong>di</strong>i ari<strong>di</strong> soleggiati e riparati.<br />

Distribuzione nel territorio: zona dei gran<strong>di</strong> laghi, in clima subme<strong>di</strong>terraneo, soprattutto nel settore orientale: lungo le<br />

coste del Lago <strong>di</strong> garda, più raramente d’Iseo, <strong>di</strong> Como e del Verbano. Brescia (NAT), Como (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT).<br />

[A. salmiana: Brescia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta sicuramente prima del 1747, anno in cui Roncalli Parolino la in<strong>di</strong>ca naturalizzata.<br />

Ugolini (1921) e giacomini (1950) riportano numerose notizie storiche.<br />

Modalità d’introduzione: Acclimatazione sperimentale in orti botanici e successiva <strong>di</strong>ffusione come ornamentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Di rilevanza paesaggistica.<br />

Note: A. salmiana Otto ex Salm-Dyck (= A. ferox K.Koch, = A. salmiana Otto ex Salm-Dyck var. ferox (K.Koch) gentry; agave feroce), del Messico<br />

centrale, raramente presente nei giar<strong>di</strong>ni della stessa area e solo occasionalmente sfuggita alla coltura (Banfi & galasso, 2005) lungo le rupi del<br />

Lago <strong>di</strong> garda, si <strong>di</strong>stingue per il colore verde-bronzo del fogliame, per le foglie più tozze e prossimalmente più allargate e per le spine più lunghe<br />

e robuste.<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 2005; Comolli, 1835; garcía-Mendoza & Lott, 1994; giacomini, 1950; Pollini, 1822a; Roncalli Parolino, 1747; Ugolini,<br />

1921<br />

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yucca<br />

comune<br />

Famiglia: Agavaceae<br />

(= Asparagaceae subfam. Agavoideae)<br />

Nome scientifico: Yucca gloriosa L.<br />

Nome volgare: yucca comune<br />

Tipo biologico: Prosul<br />

Descrizione: Piante formanti rosette fogliari caulescenti, semplici o più spesso ramificate, alte sino a circa 3 m. Foglie 50-<br />

90×3-6 cm, lineari-nastriformi, rigide o flessibili, eretto-patenti, quasi orizzontali, le inferiori spesso un po’ ricurve, con margine<br />

intero o minutamente e sparsamente denticolato, glauche almeno da giovani, spesso <strong>di</strong> un verde-grigio azzurrognolo.<br />

Infiorescenza a pannocchia, 50-120×40-50 cm; asse lungo 1-1.5 m; fiori pendenti; pe<strong>di</strong>celli fino a 2 cm, spesso arcuati;<br />

perianzio monoclamidato, globoso o campanulato, con 6 segmenti bianchi, bianco crema o bianco verdastro, <strong>di</strong> forma<br />

ellittica oppure ovale, 4-5×2-2.5 cm; stami 6 con filamento bianco, ingrossato; ovario supero, triloculare, con stimma a 3 lobi.<br />

Non fruttifica in Europa, per assenza dello specifico impollinatore.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: fioritura principale tra aprile e luglio, secondaria in settembre-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto presso i centri abitati dove è spesso coltivata, ma veramente naturalizzata soltanto<br />

lungo il Lago <strong>di</strong> garda.<br />

Distribuzione nel territorio: Specie termicamente esigente, è coltivata soprattutto nella zona dei gran<strong>di</strong> laghi insubrici,<br />

naturalizzata lungo il Lago <strong>di</strong> garda (65-600 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lo<strong>di</strong> (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS),<br />

Mantova (CAS), Pavia (CAS). [Y. recurvifolia: Brescia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVII secolo; segnalata per la Lombar<strong>di</strong>a da Ugolini (1921).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini ortofloricoli.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: In Toscana sono in corso azioni <strong>di</strong> era<strong>di</strong>camento nelle zone dunali costiere.<br />

Note: In Lombar<strong>di</strong>a si coltivano altre specie <strong>di</strong> yucca, tra cui Y. guatemalensis Baker (= Y. elephantipes Regel, nom. nud.; cfr. garcía-Mendoza & Lott,<br />

1994; jørgensen & León-yánz, 1999; Balick et al., 2000), Y. filamentosa L., Y. recurvifolia Salisb. (yucca a foglie ricurve) e Y. aloifolia L. (yucca a foglie<br />

<strong>di</strong> aloe, yucca baionetta). Solo le ultime due, anch’esse del SE degli Stati Uniti, sono state osservate in natura: Y. recurvifolia naturalizzata alla Rocca<br />

<strong>di</strong> Manerba presso il Lago <strong>di</strong> garda (BS)(Banfi, osservazioni personali), Y. aloifolia casuale nell’area benacense (BS)(giacomini, 1950) e in provincia<br />

<strong>di</strong> Pavia (Ardenghi, in verbis 2009). Y. recurvifolia ha foglie flaccide e ricurve su tutta la lunghezza del fusto, infiorescenza molto aperta e fioritura<br />

principale <strong>di</strong>fferita ai mesi tardoestivo-autunnali; è una specie poco conosciuta, a volte trattata a rango varietale (Yucca gloriosa L. var. recurvifolia<br />

(Salisb.) Engelm.), che potrebbe non essere <strong>di</strong>stinta da Y. gloriosa (Hess & Robbins, 2002) e per la quale sono necessari ulteriori stu<strong>di</strong> sistematici.<br />

Y. aloifolia si <strong>di</strong>stingue per le foglie ver<strong>di</strong>, mai glauche, con margine da scabro a denticolato, rigide, eretto-patenti e per i segmenti del perianzio più<br />

piccoli (3-4×1.2-2.2 cm); quest’ultima, inoltre, è l’unica in grado <strong>di</strong> fruttificare occasionalmente.<br />

Bibliografia: Balick et al., 2000; Banfi & galasso, 2005; giacomini, 1950; Hess & Robbins, 2002; jørgensen & León-yánez, 1999; Ugolini, 1921<br />

palma cInese<br />

o dI zhu shan<br />

Famiglia: Arecaceae<br />

Nome scientifico: Trachycarpus fortunei (Hook.) H.Wendl.<br />

Nome volgare: palma <strong>di</strong> zhu Shan, palma cinese<br />

Basionimo: Chamaerops fortunei Hook.<br />

Sinonimi: Chamaerops excelsa auct., non Thunb.<br />

Trachycarpus excelsus auct., non (Thunb.) H.Wendl.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Palma alta 5-12 m, con tronco eretto, snello ma robusto, <strong>di</strong> 10-20 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, coperto da un copioso<br />

feltro bruno-grigiastro derivante dal <strong>di</strong>ssolvimento delle guaine. Foglie a ventaglio (flabellate), con picciolo <strong>di</strong> 50-100 cm,<br />

minutamente dentellato ai margini e hastula (prolungamento adassiale del picciolo oltre la lamina) arrotondata; lamina<br />

formata da 25-65 segmenti induplicati (ripiegati a V per il lungo), verde scuro opaco <strong>di</strong> sopra, più o meno glaucescenti<br />

inferiormente. Infiorescenze interfogliari <strong>di</strong>sposte a corona all’apice del fusto, ramose, inizialmente eretto-patenti, poi pendule,<br />

con numerosissimi piccoli fiori unisessuali (pianta <strong>di</strong>oica) a perianzio <strong>di</strong> 3 segmenti valvati, gialli, 6 stami (i maschili), 3 carpelli<br />

(i femminili). Il frutto è una drupa reniforme, ombelicata, <strong>di</strong> 6-7 mm, azzurrognolo-pruinosa a maturità, con pericarpo molto<br />

sottile ed endocarpo legnoso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-maggio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (già coltivata, ignota in natura).<br />

Habitat: Margini forestali, boschi e boscaglie.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio, ma veramente naturalizzata soltanto nella zona dei gran<strong>di</strong> laghi,<br />

nella cui porzione occidentale risulta invasiva. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco (INV), Monza<br />

e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta nel 1830 in Inghilterra, successivamente nel resto d’Europa; in Italia dopo il 1850.<br />

Segnalata per la prima volta in natura in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & galasso (2005) e Macchi (2005). Le segnalazioni precedenti,<br />

come ad es. quella <strong>di</strong> Aeschimann et al. (2004)(che riprende i dati <strong>di</strong> Fornaciari, 1983, e Consonni, 1997) si riferiscono soltanto<br />

a in<strong>di</strong>vidui coltivati.<br />

Modalità d’introduzione: Sperimentazione orticola (acclimatazione), quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>ffusione in parchi e giar<strong>di</strong>ni.<br />

Status: Invasiva in provincia <strong>di</strong> Varese, Como e Lecco; naturalizzata o casuale nel resto della regione.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Altera la struttura e la fisionomia delle comunità naturali legnose minacciandone la bio<strong>di</strong>versità.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & galasso, 2005, 2008b; Cerabolini et al., 2008; Consonni 1997; Fornaciari, 1983; Kleih, 2007; Macchi,<br />

2005; Walther et al., 2001<br />

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erba-mIserIa<br />

asIatIca<br />

Famiglia: Commelinaceae<br />

Nome scientifico: Commelina communis L.<br />

Nome volgare: erba-miseria asiatica<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-70 cm, con fusto molle, prostrato o ascendente, zigzagante ai no<strong>di</strong>. Foglie con<br />

guaina più o meno cilindrica e lamina ovato-lanceolata, acuta all’apice e arrotondata alla base, lunga 5-7 cm. Fiori zigomorfi,<br />

avvolti da una spata bratteiforme ripiegata per il lungo a semiluna; sepali ovati, membranosi; 3 petali <strong>di</strong> cui 2 più larghi, azzurro<br />

cielo e 1 ridotto, bianco; stami 6, <strong>di</strong> cui 3 non funzionali (stamino<strong>di</strong>); ovario supero, triloculare, con stilo capitato. Capsula<br />

loculicida, <strong>di</strong> norma con 4 semi rugosi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Asia temperata.<br />

Habitat: Orli boschivi, sentieri, marciapie<strong>di</strong>, margini <strong>di</strong> canaletti e risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutta la pianura, invasiva nella zona delle risaie. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT),<br />

Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (NAT),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento; segnalata in Lombar<strong>di</strong>a in Lomellina da Pirotta (1890)<br />

come già abbondantemente naturalizzata.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Abbassa la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali in cui si inse<strong>di</strong>a, sottraendo spazio alle specie autoctone; inoltre infesta i<br />

margini delle risaie.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo nelle risaie.<br />

Note: Può confondersi con C. virginica L. (erba-miseria americana), originaria del Nordamerica orientale, che tuttavia è perenne, con fusti suberetti<br />

alti fino a 120 cm, guaine fogliari più o meno rigonfie con vistosi peli rossastri alla fauce, lamine ristrette alla base, petali meno marcatamente<br />

<strong>di</strong>suguali e capsule a 3 semi anziché 4. Questa specie, molto più rara è stata osservata casuale qua e là, soprattutto in pianura, per la prima volte<br />

nel pavese nel 1884 o anche prima (Bozzi, 1888).<br />

Bibliografia: Bozzi, 1888; Pirotta, 1890<br />

erba-mIserIa<br />

delle rIsaIe<br />

Tipo biologico: Hrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne con fusti gracili, prostrato-<strong>di</strong>ffusi e ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie prive <strong>di</strong> picciolo, a lamina<br />

lanceolata lunga 3-5 cm, acuta, arrotondata alla base. Infiorescenze pauciflore all’ascella delle foglie superiori, sorrette da brevi<br />

peduncoli; fiori con calice <strong>di</strong> 3 sepali brevi e corolla <strong>di</strong> 3 petali rosa pallido, alternati ai sepali, ovati, subottusi; stami (2-)3; ovario<br />

supero. Il frutto è una capsula loculicida, trigona, lunga 6-7 mm, a 3 loculi ospitanti ciascuno 2 file <strong>di</strong> circa 8 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Asia sudorientale.<br />

Habitat: Risaie, arginelli e sponde fangose.<br />

Distribuzione nel territorio: Lomellina (PV). Pavia (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta nel 1973 in Piemonte (Cook, 1973, sub M. blumei) come<br />

largamente naturalizzata da <strong>di</strong>verso tempo; in Lombar<strong>di</strong>a viene qui segnalata per la prima volta (Maurizio Tabacchi, in verbis<br />

2007).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (con i ceppi asiatici <strong>di</strong> riso).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Solo nel contesto <strong>di</strong> infestazione delle risaie e dei relativi argini.<br />

Impatto: Specie infestante delle risaie, con impatto irrilevante altrove.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo nelle risaie.<br />

Bibliografia: Cook, 1973<br />

Famiglia: Commelinaceae<br />

Nome scientifico: Murdannia keisak (Hassk.) Hand.-Mazz.<br />

Nome volgare: erba-miseria delle risaie<br />

Basionimo: Aneilema keisak Hassk.<br />

Sinonimi: Aneilema blumei auct., non (Hassk.) Bakh.f.<br />

Dichoespermum blumei auct., non Hassk<br />

Murdannia blumei auct., non (Hassk.) Brenan<br />

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erba-mIserIa<br />

sudamerIcana<br />

Famiglia: Commelinaceae<br />

Nome scientifico: Tradescantia fluminensis Vell.<br />

Nome volgare: erba-miseria sudamericana,<br />

tradescanzia sudamericana<br />

Sinonimi: Tradescantia albiflora Kunth<br />

Tipo biologico: Hrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 30-50 cm, con fusti sdraiati ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong> e con rami eretti. Foglie alterne,<br />

complanate, alla base avvolgenti il fusto con una breve guaina; lamina lanceolato-ellittica oppure ovato-lanceolata, 2.5-5×1-2<br />

cm, glabra, con margine cigliato e apice acuto. Fusti portanti 1-2 infiorescenze formanti una falsa ombrella, terminale ma poi<br />

<strong>di</strong>venente opposta alle foglie; pe<strong>di</strong>celli <strong>di</strong> 1-1.5 cm, con peli ghiandolari; sepali <strong>di</strong> 5-7 mm; petali <strong>di</strong> 8-9 mm, bianchi; stami 6,<br />

con filamenti densamente barbati <strong>di</strong> peli bianchi. Frutto costituito da una capsula con 6 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica (Argentina, Brasile e Uruguay).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, margini erbosi.<br />

Distribuzione nel territorio: Nella fascia planiziale, naturalizzata soltanto nelle zone più calde. Brescia (NAT), Monza e<br />

Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (CAS) Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia probabilmente nel Novecento; in Lombar<strong>di</strong>a naturalizzata almeno dal<br />

1961 (Arietti & Crescini, 1980).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: Coltivata a scopo ornamentale, spesso in cultivar a foglie variegate. T. virginiana L. (tradescanzia della Virginia, erba-miseria della Virginia),<br />

altra specie <strong>di</strong>ffusamente coltivata, spesso in cultivar o notocultivar complesse (per es. T. ×andersoniana W.Ludw. & Rohweder, pro sp. = T. virginiana<br />

× T. ohiensis Raf. × T. subaspera Ker gawl.), è segnalata come casuale in Lombar<strong>di</strong>a; si <strong>di</strong>stingue da T. fluminensis per il portamento eretto oppure<br />

ascendente dei fusti, che raramente ra<strong>di</strong>cano ai no<strong>di</strong> e per le <strong>di</strong>mensioni delle foglie (5-25×1-4 cm).<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Banfi & galasso, 1998<br />

eterantera<br />

renIforme<br />

Tipo biologico: Trept, Hrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale o facoltativamente perenne, con fusti vegetativi sommersi a interno<strong>di</strong> allungati oppure<br />

subaerei, procombenti. Scapi fioriferi lunghi 1-9 cm, con internodo <strong>di</strong>stale <strong>di</strong> 0.5-4 cm. Foglie della rosetta basale sommerse,<br />

sessili, da lineari a oblanceolate, <strong>di</strong> 24-37×3-8 mm, sottili; foglie cauline galleggianti o emerse, consistenti, picciolate (picciolo<br />

<strong>di</strong> 2-13 cm), con stipole <strong>di</strong> 1-5 cm e lamina reniforme <strong>di</strong> 10-40×10-50 mm, lunga quanto larga o più breve che larga, ad apice<br />

ottuso. Infiorescenze 2-8-flore, spiciformi, allungantisi in un giorno, <strong>di</strong> norma più brevi della spata, con il fiore terminale a<br />

volte sporgente; spata glabra <strong>di</strong> 0.8-5.5 cm; fiori sboccianti circa tre ore dopo l’alba e appassenti nel primo pomeriggio, con<br />

perianzio bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 5-10 mm e lembo zigomorfo con 6 (3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi<br />

3-6.5 mm, il centrale interno alla base giallo o verde, talora con una macchia bruna in posizione <strong>di</strong>stale; stami 3, <strong>di</strong>suguali,<br />

il centrale nettamente più lungo; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, pubescente. Il frutto è una capsula<br />

loculicida allungata, contenente semi ovoi<strong>di</strong> <strong>di</strong> 0.5-0.9×0.3-0.5 mm, con 8-14 ali longitu<strong>di</strong>nali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: Mesoamerica.<br />

Habitat: Risaie, lanche fluviali, fossi.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Pavia (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nelle risaie del pavese nel 1968 da Pirola (1968).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.<br />

Impatto: Infestante in risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Bibliografia: Horn, 1985, 2002; Pirola, 1968<br />

Famiglia: Pontederiaceae<br />

Nome scientifico: Heteranthera reniformis Ruiz & Pav.<br />

Nome volgare: eterantera reniforme, renella acquatica<br />

Sinonimi: Heterandra reniformis (Ruiz & Pav.) P.Beauv.<br />

Leptanthus reniformis (Ruiz & Pav.) Michx.<br />

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eterantera<br />

deI fanghI<br />

Famiglia: Pontederiaceae<br />

Nome scientifico: Heteranthera limosa (Sw.) Willd.<br />

Nome volgare: eterantera dei fanghi<br />

Basionimo: Pontederia limosa Sw.<br />

Sinonimi: Leptanthus ovalis Michx.<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta annuale erbacea, con fusti vegetativi sommersi, quelli al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> 5 cm d’acqua con interno<strong>di</strong> allungati,<br />

per il resto brevi e condensati. Scapi fioriferi lunghi 2-24 cm, con internodo <strong>di</strong>stale <strong>di</strong> 1-11 cm. Foglie della rosetta basale<br />

sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate, <strong>di</strong> 31-60×3-5 mm, sottili o debolmente ispessite; foglie cauline emerse, consistenti,<br />

picciolate (picciolo <strong>di</strong> 2-13 cm), con stipole <strong>di</strong> 1-6 cm e lamina oblungo-ovata <strong>di</strong> 15-50×4-33 mm, lunga quanto larga o più<br />

lunga, a base tronca o cuneata e apice acuto. Infiorescenze uniflore, con spata glabra <strong>di</strong> 0.9-4.5 cm; fiori sboccianti entro 1<br />

ora dall’alba, a mezzogiorno già appassiti, con perianzio lilla o bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 15-44 mm e lembo <strong>di</strong> 6<br />

(3+3) lobi strettamente ellittici, lunghi 5.2-26.3 mm, ± uguali, non fimbriati e regolarmente spaziati tra loro, i 3 superiori gialli<br />

alla base (il centrale senza espansioni laterali presso la base); stami 3, <strong>di</strong>suguali, due laterali e uno centrale <strong>di</strong> misure <strong>di</strong>fferenti,<br />

coi filamenti <strong>di</strong>ritti; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, glabro. Il frutto è una capsula loculicida allungata<br />

contenente semi ovoi<strong>di</strong> <strong>di</strong> 0.5-0.8×0.2-0.6 mm, provvisti <strong>di</strong> 9-14 ali longitu<strong>di</strong>nali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-novembre.<br />

Area d’origine: America (settentrionale -centro-sud-, centrale e meri<strong>di</strong>onale).<br />

Habitat: Risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: zona delle risaie, dalla Lomellina al milanese. <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Europa e in Italia da Marchioni Ortu & De Martis (1989, sub<br />

H. rotun<strong>di</strong>folia: Soldano, 1992) in Sardegna (raccolta nel 1984), in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & galasso (1998, sub H. rotun<strong>di</strong>folia:<br />

ve<strong>di</strong> nota).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.<br />

Impatto: Infestante in risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Note: A seguito <strong>di</strong> una revisione del genere Heteranthera da parte <strong>di</strong> Horn (1985), Soldano (1986) aveva messo in evidenza che le precedenti<br />

segnalazioni italiane <strong>di</strong> H. limosa erano tutte da ricondurre a H. rotun<strong>di</strong>folia, inclusa quella lombarda per la Lomellina <strong>di</strong> Raynal (1979). Sulla scia<br />

<strong>di</strong> questa nota Banfi & galasso (1998) segnalavano H. rotun<strong>di</strong>folia per le risaie della periferia sud <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. In effetti, a seguito <strong>di</strong> osservazioni <strong>di</strong><br />

campagna più attente è emersa la presenza in Italia anche della vera H. limosa (Soldano, 1992). In base alle nuove chiavi proposte dallo stesso<br />

Soldano (1992) la Heteranthera <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> è stata rideterminata come H. limosa; essa è stata ulteriormente raccolta nel pavese da Desfayes (2005).<br />

La segnalazione <strong>di</strong> H. limosa <strong>di</strong> Danini et al. (2004) per la Provincia <strong>di</strong> Varese, ripresa da Macchi (2005), è invece da ricondurre, in base alla fotografia<br />

pubblicata, a H. rotun<strong>di</strong>folia. La simile H. rotun<strong>di</strong>folia si <strong>di</strong>stingue per la lamina delle foglie picciolate arrotondata od oblunga, a base cordata o<br />

tronca; il perianzio coi 6 lobi <strong>di</strong>seguali, 3 tendenti decisamente verso l’alto (il centrale con due espansioni laterali presso la base), 2 orizzontali e 1 (il<br />

più lungo) <strong>di</strong>retto in basso; i filamenti staminali curvati verso l’apice.<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 1998; Danini et al., 2004; Desfayes, 2005; Horn, 1985, 2002; Macchi, 2005; Marchioni Ortu & De Martis, 1989; Raynal,<br />

1979; Soldano, 1986, 1992<br />

eterantera<br />

soldIna<br />

Famiglia: Pontederiaceae<br />

Nome scientifico: Heteranthera rotun<strong>di</strong>folia (Kunth) griseb.<br />

Nome volgare: eterantera sol<strong>di</strong>na<br />

Basionimo: Heteranthera limosa (Sw.) Willd.<br />

var. rotun<strong>di</strong>folia Kunth<br />

Sinonimi: Heteranthera limosa (Sw.) Willd.<br />

subsp. rotun<strong>di</strong>folia (Kunth) A.galàn<br />

Heteranthera limosa auct., non (Sw.) Willd.<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, con fusti vegetativi sommersi a interno<strong>di</strong> allungati oppure subaerei, procombenti. Scapi<br />

fioriferi lunghi 2-12 cm, con internodo <strong>di</strong>stale <strong>di</strong> 1-6 cm. Foglie della rosetta basale sommerse, sessili, da lineari a oblanceolate,<br />

ispessite, <strong>di</strong> 24-50×2-4 mm; foglie cauline galleggianti o emerse, consistenti, picciolate (picciolo <strong>di</strong> 3-11 cm), con stipole <strong>di</strong><br />

1-5 cm e lamina arrotondata od oblunga <strong>di</strong> 10-50×5-25 mm, tanto lunga quanto larga o (nelle foglie giovani) più lunga, ad<br />

apice ottuso e base cordata o tronca. Infiorescenze uniflore, spata glabra <strong>di</strong> 1-2.8 mm; fiori sboccianti entro un’ora dall’alba e<br />

appassenti a mezzogiorno, con perianzio lilla o bianco, ipocraterimorfo, a tubo lungo 11-29 mm e lembo regolare con 6 (3+3)<br />

lobi strettamente ellittici, lunghi 5.2-18.2 mm, <strong>di</strong>seguali, 3 tendenti decisamente verso l’alto (il centrale con due espansioni<br />

laterali presso la base), 2 orizzontali e 1 (il più lungo) <strong>di</strong>retto in basso; stami 3, <strong>di</strong>suguali, il centrale più lungo, coi filamenti<br />

curvati verso l’apice; ovario incompletamente triloculare, stilo trilobato, glabro. Il frutto è una capsula loculicida allungata,<br />

contenente semi ovoi<strong>di</strong> <strong>di</strong> 0.5-1×0.3-0.6 mm, a 8-15 ali longitu<strong>di</strong>nali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: America (settentrionale, centrale e in parte meri<strong>di</strong>onale).<br />

Habitat: Risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT), Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Europa e in Italia nel novarese da Pruneddu (1968, sub H.<br />

limosa: Soldano, 1986) e Corbetta (1968, sub H. limosa: Soldano, 1986), in Lombar<strong>di</strong>a da Raynal (1979, sub H. limosa: Soldano,<br />

1986), che la raccolse nel 1978.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con il riso.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.<br />

Impatto: Infestante in risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Note: A seguito <strong>di</strong> una revisione del genere Heteranthera da parte <strong>di</strong> Horn (1985), Soldano (1986) aveva messo in evidenza che le precedenti<br />

segnalazioni italiane <strong>di</strong> H. limosa erano tutte da ricondurre a H. rotun<strong>di</strong>folia, inclusa quella lombarda per la Lomellina <strong>di</strong> Raynal (1979). Sulla scia<br />

<strong>di</strong> questa nota Banfi & galasso (1998) segnalavano H. rotun<strong>di</strong>folia per le risaie della periferia sud <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>. In effetti, a seguito <strong>di</strong> osservazioni <strong>di</strong><br />

campagna più attente è emersa la presenza in Italia anche della vera H. limosa (Soldano, 1992). In base alle nuove chiavi proposte dallo stesso<br />

Soldano (1992) la Heteranthera <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> è stata rideterminata come H. limosa. Al contrario, la segnalazione <strong>di</strong> H. limosa <strong>di</strong> Danini et al. (2004) per<br />

la provincia <strong>di</strong> Varese, ripresa da Macchi (2005), è da ricondurre, in base alla fotografia pubblicata, a H. rotun<strong>di</strong>folia. Quest’ultima specie è presente<br />

anche nel lo<strong>di</strong>giano (giordana & Bonali, 2008). La simile H. limosa si <strong>di</strong>stingue per la lamina delle foglie picciolate oblungo-ovata, a base tronca o<br />

cuneata; il perianzio coi 6 lobi ± uguali (il superiore centrale senza espansioni laterali presso la base) e regolarmente spaziati tra loro; i filamenti<br />

staminali <strong>di</strong>ritti.<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 1998; Corbetta, 1968; Danini et al., 2004; giordana & Bonali, 2008; Horn, 1985, 2002; Macchi, 2005; Pruneddu, 1968;<br />

Raynal, 1979; Soldano, 1986, 1992<br />

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pontederIa<br />

Famiglia: Pontederiaceae<br />

Nome scientifico: Pontederia cordata L.<br />

Nome volgare: pontederia<br />

Sinonimi: Narukila cordata (L.) Nieuwl.<br />

Pontederia angustifolia Pursh<br />

Pontederia lanceolata Nutt.<br />

Pontederia lancifolia Muhl.<br />

Unisema cordata (L.) Farw.<br />

Tipo biologico: grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne rizomatosa, con fusti raccorciati, ra<strong>di</strong>cante nel fango. Scapi fioriferi eretti, lunghi fino a<br />

120 cm. Foglie basali sommerse, sessili, lineari; foglie emerse con picciolo lungo fino a 60 cm, caratteristicamente strozzato<br />

sotto la lamina; stipole <strong>di</strong> 7-29 cm; lamina da lanceolata a cordata, <strong>di</strong> 6-22×0.7-12 cm; un’unica foglia abbracciante il fusto<br />

fiorifero. Infiorescenze spiciformi, erette, recanti ciascuna fino a qualche centinaio <strong>di</strong> fiori, lunghe 2-15 cm; spate <strong>di</strong> 5-17 cm;<br />

fiori che si aprono per un solo giorno, con perianzio bilabiato <strong>di</strong> 12-15 mm, lilla, a tubo <strong>di</strong> 3-9 mm e lembo con 6 (3+3) lobi,<br />

<strong>di</strong> cui il centrale interno con una macchia basale gialla bilobata; stami 6 (3+3), i prossimali (esterni) più lunghi; stilo trilobato.<br />

I frutti sono otricelli <strong>di</strong> 4-6×2-3 mm, percorsi longitu<strong>di</strong>nalmente da costolature dentate, ciascuno contenente un solo seme.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Mesoamerica.<br />

Habitat: Rive dei laghi, in formazioni palustri a elofite.<br />

Distribuzione nel territorio: Presente in alcuni piccoli laghi delle prealpi, nelle province <strong>di</strong> Varese (Lago <strong>di</strong> Monate e Lago <strong>di</strong><br />

Comabbio), Lecco e Brescia. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Lombar<strong>di</strong>a tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Segnalata per<br />

la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Stucchi (1953a). Un precedente esperimento <strong>di</strong> introduzione artificiale nelle “lame<br />

d’Iseo”, effettuato nel 1939 da Luigi gran<strong>di</strong>, era andato incontro a fallimento (Arietti, 1942).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante (pesaggisticamente localizzato).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Arietti, 1942; Stucchi, 1953a<br />

gIunco<br />

gracIle<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, densamente cespitosa, alta 5-40 cm, con fusti eretti, lisci, cilindrici o lievemente<br />

compressi, con qualche guaina basale priva <strong>di</strong> lamina e 2-3 foglie complete nel tratto basale del fusto, lunghe all’incirca quanto<br />

il fusto stesso; lamine appiattite, spesso convolute, larghe 0.5-2 mm, con orecchiette basali allungate, ottuse, biancastro-ialine.<br />

Infiorescenza, un’antela povera (5-40 fiori), con rami allungati (3-8 cm), lungamente superata dalle 2 brattee inferiori, simili alle<br />

foglie. Fiori solitari o a 2-3; segmenti perianziali 6, subeguali, strettamente ovati, allungato-acuti all’apice, da verde-giallastri<br />

a brunastri, lunghi 2.5-4 mm; stami 6, lunghi metà del perianzio, con antera e filamento subeguali; ovario supero. Frutto a<br />

capsula largamente ovoidale, da ottusa a troncata all’apice, più breve del perianzio, <strong>di</strong> colore giallo paglierino, poi bruno<br />

chiaro; semi obliquamente ovoi<strong>di</strong>, lunghi 0.3-0.4 mm, con brevi appen<strong>di</strong>ci alle estremità (elaiosomi).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ambienti ± umi<strong>di</strong>, temporaneamente inondati, ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree<br />

abbandonate, basi <strong>di</strong> muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie e scarpate), tagli rasi forestali, schiarite, zone incen<strong>di</strong>ate, cave <strong>di</strong> ghiaia e <strong>di</strong> pietra,<br />

pioppete, boschi ripariali <strong>di</strong> ontani, frassini, salici; soprattutto suoli pesanti, a impasto fine.<br />

Distribuzione nel territorio: È presente su quasi tutto il territorio regionale, dalla fascia planiziale a quella montana (0-1˙500<br />

m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong><br />

(NAT), Pavia (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV). [J. <strong>di</strong>chotomus: Sondrio (NAT), Varese (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia intorno alla fine del XIX secolo. Scoperta nel 1878 sulla sponda<br />

piemontese del Verbano (goiran, 1886); in Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Cozzi (1916) e, in seguito, da Stucchi (1929a) come già<br />

largamente naturalizzato.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È una specie pioniera e particolarmente competitiva sui suoli pesanti (argillosi o limosi) e ± umi<strong>di</strong>, poveri <strong>di</strong><br />

nutrienti, dove può formare popolamenti quasi monofitici. La sua <strong>di</strong>ffusione è favorita da episo<strong>di</strong> ricorrenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo<br />

antropico, come quelli che si verificano nelle aree <strong>di</strong> cava, sui suoli soggetti a frequente calpestamento o laddove si verificano<br />

comunemente movimenti <strong>di</strong> terra. Nel complesso l’impatto esercitato da questa specie riguarda più la bio<strong>di</strong>versità vegetale<br />

che il paesaggio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: In aree protette si dovrebbero preventivamente evitare movimenti <strong>di</strong> terra e limitare l’accesso al<br />

pubblico, salvo lungo percorsi pre<strong>di</strong>sposti, per evitare il costipamento del suolo (dovuto a calpestio).<br />

Note: Recentemente nelle Baragge piemontesi è stato trovato (Filip Verloove, in verbis) J. <strong>di</strong>chotomus Elliott (= J. tenuis Willd. var. <strong>di</strong>chotomus<br />

(Elliott) Alph.Wood; giunco <strong>di</strong>cotomo), entità assai affine, con areale primario ampiamente sovrapposto a quello <strong>di</strong> J. tenuis. L’unico carattere che<br />

contrad<strong>di</strong>stingue con sicurezza questa seconda aliena sta nelle orecchiette guainali dei fusti fioriferi (non <strong>di</strong> quelli giovani o sterili!) ridottissime o<br />

nulle. Sono stati perciò rivisti tutti i campioni dell’erbario del Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> attribuiti a J. tenuis e tutti sono stati confermati,<br />

facendo supporre che l’introduzione in Italia <strong>di</strong> J. <strong>di</strong>chotomus sia molto recente. Tuttavia alcune raccolte dello scorso autunno provenienti dalla<br />

Valtellina (Nicola Ardenghi) e dalla zona militare della Malpensa (guido Brusa) corrispondono alla nuova esotica, ma saranno necessari ulteriori<br />

esami d’erbario e nuove raccolte sparpagliate su tutto il territorio, soprtattutto nella zona delle groane, per decidere dell’effettiva coesistenza dei<br />

due taxa, dei reciproci limiti <strong>di</strong>stributivi e delle eventuali <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> habitat e <strong>di</strong> invasività. Ricor<strong>di</strong>amo, infine, che i semi dei giunchi vengono<br />

caratteristicamente trasportati dalle formiche, le quali, nutrendosi degli elaiosomi, li sparpagliano e li accumulano nei loro ni<strong>di</strong>, dove gli stessi<br />

germinano, una volta abbandonati, producendo gruppi <strong>di</strong> piante a volte densi; sarebbe interessante stabilire se e quanto questo mezzo naturale<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione incida significativamente sull’espansione della specie nel nostro territorio.<br />

Bibliografia: Brooks & Clemants, 2000; Cozzi, 1916; giacomini, 1950; goiran, 1886; Stucchi, 1929a, 1949b<br />

Famiglia: Juncaceae<br />

Nome scientifico: Juncus tenuis Willd.<br />

Nome volgare: giunco gracile<br />

Sinonimi: Juncus macer gray<br />

58 59


falsa carIce<br />

volpIna<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Carex vulpinoidea Michx.<br />

Nome volgare: falsa carice volpina<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: Pianta erbacea graminoide perenne, cespitosa, con fusti alti fino a 1 m; guaine basali bruno scuro. Foglie lineari<br />

con lamina larga 2-4 mm. Spighe oblungo-ovoi<strong>di</strong> in pannocchia ramosa, condensata, allungata e lobata, lunga 5-10 cm,<br />

le inferiori su rami raccorciati e ± <strong>di</strong>stanziati. Brattee da filiformi a lineari, le inferiori superanti la relativa spighetta; glume<br />

femminili ovato-oblunghe, aristate, <strong>di</strong> un pallido color ruggine. Frutti (pseudanteci, più noti come “otricelli”) lunghi 2-2.5 mm,<br />

ovato-orbicolari, bruno grigiastro chiaro, all’apice bruscamente contratti in un becco.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Prati e boschi umi<strong>di</strong>, siti palustri.<br />

Distribuzione nel territorio: Palude Brabbia (VA). Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia alla fine del secolo scorso: segnalata per la prima volta nel Bellunese da<br />

Argenti (1983), dove era presente da un paio <strong>di</strong> anni. In Lombar<strong>di</strong>a è stata segnalata da Aeschimann & Burdet (2004) e Macchi<br />

(2005), ma era presente almeno dal 1985.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Argenti, 1983; Macchi, 2005<br />

zIgolo<br />

cInese<br />

Tipo biologico: grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea graminoide perenne, non cespitosa, leggermente aromatica, con lunghi rizomi striscianti;<br />

fusti alti 10-35(-50) cm, lisci. Foglie con lamina piana <strong>di</strong> 10-30×0.1-0.35 cm. Infiorescenza costituita da una spiga ovoide<br />

<strong>di</strong> 7-12×6-10 mm; brattee 3-4 patenti o un po’ riflesse, piane, <strong>di</strong> 2-20(-30)×0.1-0.3 mm; spighette 40-80, da verde pallido a<br />

bruno rossastro, ovate, <strong>di</strong> 3.5-4.5×1.2-1.3(-1.4) mm; glume con 2(-5) nervi per lato, ellittiche, <strong>di</strong> 1.8-3.2×1-1.6 mm, mucronate<br />

all’apice; stami 2-3; antere 0.8-1.1 mm; stilo 1.8-2.2 mm; stigmi 2, <strong>di</strong> 0.5-1 mm. Acheni bruni, sessili o stipitati, largamente<br />

ellissoidali, <strong>di</strong> 1.5-1.8×0.8-1 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Asia orientale temperata (largamente naturalizzata in America, Nuova zelanda, Australia temperata).<br />

Habitat: Sponde <strong>di</strong> canali irrigui.<br />

Distribuzione nel territorio: A sud <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, al confine con il pavese. <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, in Lombar<strong>di</strong>a raccolta per la prima volta nel 1950 e segnalata da galasso et al. (2006a).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente accidentale nel corteggio della flora risicola.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Specie a lungo confusa con C. brevifolius (Rottb.) Rottb. ex Hassk. (= Kyllinga b. Rottb.), che si <strong>di</strong>stingue per il margine della carena delle<br />

glume (liscio in brevifolioides, denticolato in brevifolius) e per le <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> spighette e acheni (maggiori in brevifolioides). È anch’essa <strong>di</strong> origine<br />

Est-asiatica.<br />

Bibliografia: galasso et al., 2006a<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Cyperus brevifolioides Thieret & Delahouss.<br />

Nome volgare: zigolo cinese<br />

Basionimo: basato su Kyllinga monocephala Rottb.<br />

var. leiolepis Franch. & Sav.<br />

Sinonimi: Cyperus brevifolius (Rottb.) Endl. ex Hassk.<br />

var. leiolepis (Franch. & Sav.) T.Koyama<br />

Kyllinga brevifolioides (Thieret & Delahouss.) g.C.Tucker<br />

Cyperus brevifolius auct., non (Rottb.) Endl. ex Hassk.<br />

Kyllinga brevifolia auct., non Rottb.<br />

Kyllinga gracillima Miq., non Cyperus gracillimus (Chiov.) Kük.<br />

60 61


zIgolo<br />

delle rIsaIe<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Cyperus <strong>di</strong>fformis L.<br />

Nome volgare: zigolo delle risaie<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale <strong>di</strong> 20-60 cm. Fusti eretti, irregolarmente trigoni, lungamente nu<strong>di</strong> in alto, generalmente<br />

solitari. Foglie brevi, piane, sottili (2-4 mm), con guaine generalmente scure. Infiorescenza a 3-8 rami brevi o subnulli: capolini<br />

sferici, con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 10-15 mm, generalmente formanti un fascetto compatto; brattee 2-3, fogliacee; spighe lunghe 3-8<br />

mm, generalmente 10-15flore; glume verdastre, spesso venate <strong>di</strong> nero; stigmi 3.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Difficile da ricostruire a causa dell’ampia <strong>di</strong>stribuzione attuale, presumibilmente l’area risicola dell’Estremoriente<br />

o ad<strong>di</strong>rittura il territorio (Sudest asiatico) <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> Oryza rufipogon griff., l’antenato selvatico del riso.<br />

Habitat: Infestante delle risaie; su sabbie umide perio<strong>di</strong>camente inondate, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutta la pianura. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (INV),<br />

Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presente in Lombar<strong>di</strong>a, nelle risaie pavesi, già nel 1816 (Nocca & Balbis, 1816).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Solo nel contesto <strong>di</strong> infestazione delle risaie.<br />

Impatto: Specie infestante delle risaie, con impatto irrilevante altrove.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Bibliografia: Nocca & Balbis, 1816<br />

zIgolo<br />

ferrugIneo<br />

Tipo biologico: Hcaesp, Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale o perenne, <strong>di</strong> 30-70 cm, con ra<strong>di</strong>ce fibrosa e fusto eretto, trigono. Foglie con guaina<br />

bruna o arrossata e lamina piana larga 4-10 mm. Spighe riunite in gran numero in capolini sferici oppure ovoi<strong>di</strong> <strong>di</strong> 1-2 cm,<br />

questi portati da rami <strong>di</strong> 1-8 cm; brattee 3-6, lunghe 1-3 dm; glume particolarmente sottili (misura trasversale massima 0.4-0.8<br />

mm), rossastro-ferruginee; stigmi 3.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Risaie, fossi, rive, alvei fluviali, aree umide ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong><br />

(INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (NAT). [C. congestus: Pavia (NAT).]<br />

[C. eragrostis: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, già presente in Italia nel Settecento.<br />

Modalità d’introduzione: Presumibilmente con il riso.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Altera la bio<strong>di</strong>versità delle comunità igrofile ripariali e alveali.<br />

Note: In Lombar<strong>di</strong>a sono naturalizzate altre due neofite appartenenti al genere Cyperus. La prima è C. congestus Vahl (= C. rigens auct., non C.Presl,<br />

= Mariscus congestus (Vahl) Roem. & Schult.; zigolo sudafricano), segnalata da Soldano per il vercellese (Soldano, 1977b) e il pavese (Soldano,<br />

1980a) come C. rigens e poi dallo stesso Soldano (2000) rettificata in C. congestus. La seconda è C. eragrostis Lam. (= Chlorocyperus e. (Lam.) Rikli,<br />

= Cyperus vegetus Willd.; zigolo eragrostide), sudamericana, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Soldano (1980a) nel pavese. Entrambe si<br />

<strong>di</strong>stinguono da C. glomeratus per essere brevemente rizomatose, ma mentre la prima ha spighe più sottili (8-20×1.5-2 mm) e 3 stami, la seconda<br />

ha spighe più tozze (10-15×3 mm) e 1 stame. Infine si ricorda che la flora esotica lombarda annovera altre specie <strong>di</strong> questo genere: C. hamulosus<br />

M.Bieb. (zigolo uncinato) e C. involucratus Rottb. (= C. alternifolius auct., non L.; papiro in<strong>di</strong>ano) tra le neofite casuali, C. esculentus L. (zigolo dolce,<br />

bagigi, bacicci, dolcichini, chufa), C. rotundus L. (zigolo infestante) e C. serotinus Rottb. (zigolo tar<strong>di</strong>vo) tra le archeofite.<br />

Bibliografia: Soldano, 1977b, 1980a, 2000<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Cyperus glomeratus L.<br />

Nome volgare: zigolo ferrugineo, zigolo a glomeruli<br />

Sinonimi: Chlorocyperus glomeratus (L.) Palla<br />

Pycreus glomeratus (L.) Hayek<br />

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zIgolo<br />

gIapponese<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Cyperus microiria Steud.<br />

Nome volgare: zigolo giapponese<br />

Sinonimi: Cyperus amuricus auct., non Maxim.<br />

Cyperus iria L. var. acutiglumis Fiori<br />

Cyperus iria L. var. microiria (Steud.) Franch. & Sav.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale <strong>di</strong> 10-20 (-90) cm, con fusti numerosi, fascicolati, avvolti dalle guaine solo nel quartoterzo<br />

inferiore. Foglie con lamina allungata, larga fino a 5 mm. Infiorescenza avvolta alla base da 3-4 brattee superanti i fiori;<br />

rami 3-8 lunghi 3-10 cm; spighe bruno-giallastre <strong>di</strong> circa 10×2 mm, con rachide abbastanza largamente alata; 2 stami, 3<br />

stigmi. Frutto ad achenio.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Risaie, argini, fanghiglie.<br />

Distribuzione nel territorio: Naturalizzata soprattutto nell’area planiziale, invasiva nelle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT),<br />

Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Camperio & Fiori (1910) a Malgrate (LC).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Abbassa la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali golenali in cui si inse<strong>di</strong>a, sottraendo spazio alle specie autoctone;<br />

inoltre è infestante in risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Bibliografia: Camperio & Fiori, 1910; Fiori, 1923a; Koch, 1952; Raynal, 1977; Stucchi, 1969, 1972<br />

zIgolo<br />

pavese<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale <strong>di</strong> 2-20 cm, con fusti eretti, fascicolati, in cespuglietto denso, lungamente nu<strong>di</strong> sotto<br />

l’infiorescenza. Foglie con guaine bruno-nerastre e lamina sottile (4×0.1 cm). Infiorescenze ad antela, contratte, capituliformi<br />

(con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 5-8 mm); brattee 2-3, patenti, molto allungate; spighe con 10-15 fiori regolarmente <strong>di</strong>stichi, lunghe 4-8 mm;<br />

glume aristate, variegate <strong>di</strong> ocra e giallo; stigmi 3. Frutto ad achenio clavato.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: America.<br />

Habitat: Sabbie umide perio<strong>di</strong>camente inondate, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Ticino e il Po. Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima in Europa nel Pavese da Cavara (1899), che la raccolse nel 1895.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente col riso).<br />

Status: Naturalizzata (localmente abbondante nei greti).<br />

Dannosa: Localmente.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce.<br />

Bibliografia: Assini et al., 2005; Cavara, 1899<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Cyperus squarrosus L.<br />

Nome volgare: zigolo pavese<br />

Sinonimi: Chlorocyeprus inflexus (Muhl.) Palla<br />

Cyperus aristatus Rottb.<br />

Cyperus aristatus Rottb. var. bockeleri Cavara<br />

Cyperus aristatus Rottb. var. inflexus (Muhl.) Boeck.<br />

Cyperus aristatus Rottb. var. inflexus (Muhl.) Boeck.<br />

ex Kük., comb. superfl.<br />

Cyperus inflexus Muhl.<br />

Dichostylis aristata (Rottb.) Palla<br />

Mariscus squarrosus (L.) C.B.Clarke<br />

64 65


zIgolo<br />

amerIcano<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Cyperus strigosus L.<br />

Nome volgare: zigolo americano<br />

Sinonimi: Mariscus strigosus (L.) C.B.Clarke<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne <strong>di</strong> 20-30(-100) cm, con fusti cespugliosi, eretti, robusti. Foglie con guaine brunoporporine<br />

e lamina piana <strong>di</strong> 3-6 mm. Infiorescenza ampia con 3-8 rami lunghi 2-10 cm, ciascuno portante all’apice<br />

numerosissime spighette giallo-dorate, <strong>di</strong>stiche; brattee 3-6, fogliacee, le maggiori <strong>di</strong> 10-20 cm; spighe 6-8flore <strong>di</strong> 10×1 mm,<br />

articolate alla base e a maturità staccantisi in toto; 3 stigmi. Frutto ad achenio ellissoidale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Canali <strong>di</strong> risaie, palu<strong>di</strong>, prati umi<strong>di</strong>, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: In ambito planiziale, lungo il Po e nella zona delle risaie. Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong><br />

(CAS), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1896 a garlasco nel pavese (Mattirolo & Fiori, 1917).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con imballi o altro, oppure nell’ambito della risicoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Relativamente.<br />

Impatto: Sembra minacciare la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce.<br />

Bibliografia: Mattirolo & Fiori, 1917<br />

gIunchIna<br />

delle rIsaIe<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, <strong>di</strong> aspetto graminoide, cespitosa, a volte brevemente stolonifera, alta 30-60 cm, con<br />

numerosi fusti sottili, giunchiformi, terminanti all’apice in una spiga ovoide <strong>di</strong> 8-15 mm, bruno chiaro. Foglie ridotte alla sola<br />

guaina basale. glume arrotondate, sottendenti ciascuna un ovario involucrato da 4-8 setole perigoniali (l’omologo dei tepali),<br />

che a maturità eccedono <strong>di</strong> 1.3-1.5 volte la lunghezza del frutto (achenio); stilopo<strong>di</strong>o (allargamento dello stilo nel punto <strong>di</strong><br />

inserzione sull’ovario), alla base, largo circa 3 / 4 della larghezza dell’achenio; stigmi 2 o 3.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Sponde, fanghi umi<strong>di</strong> e alvei nelle risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: groane, zona delle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Pavia (NAT). [E. atropurpurea: Varese (VA).] [E. flavescens: Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Koch (1952) nel 1951 in Piemonte, in Lombar<strong>di</strong>a<br />

da Pirola (1964b).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con i risi americani.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Altre tre specie <strong>di</strong> giunchina si incontrano spesso nelle risaie e in analoghi ambienti umi<strong>di</strong> del nostro territorio. Si tratta <strong>di</strong> E. ovata (Roth)<br />

Roem. & Schult. (= Scirpus o. Roth; giunchina ovata), E. flavescens (Poir.) Urb. (= Scirpus f. Poir, = E. olivacea Torr.; giunchina giallastra) ed E.<br />

atropurpurea (Retz.) j.Presl & C.Presl (= Scirpus a. Retz.; giunchina minore): la prima appartiene al nostro contingente autoctono (circumboreale), la<br />

seconda è nuovamente un’esotica nordamericana e la terza proviene dai tropici (paleo?). E. ovata ed E. atropurpurea si riconoscono per lo stilopo<strong>di</strong>o,<br />

che alla base è largo non più <strong>di</strong> metà dell’achenio e, fra <strong>di</strong> loro, perché la prima ha fusti eretti, spessi circa 1 mm, mentre nella seconda gli stessi<br />

sono capillari (<strong>di</strong>ametro < 0.3 mm) e più o meno incurvati verso il basso, specialmente gli esterni. E. flavescens, poi, si <strong>di</strong>stingue per la base dello<br />

stilopo<strong>di</strong>o larga più o meno quanto l’achenio stesso, ma soprattutto per le guaine fogliari espanse all’apice in un’appen<strong>di</strong>ce bianco-membranosa<br />

assente nelle altre specie.<br />

Bibliografia: Koch, 1952; Pirola, 1964b<br />

Famiglia: Cyperaceae<br />

Nome scientifico: Eleocharis obtusa (Willd.) Schult.<br />

Nome volgare: giunchina delle risaie<br />

Basionimo: Scirpus obtusus Willd.<br />

66 67


forasacco<br />

dI WIlldenoW<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Ceratochloa cathartica (Vahl) Herter<br />

Nome volgare: forasacco <strong>di</strong> Willdenow,<br />

forasacco purgativo<br />

Basionimo: Bromus catharticus Vahl<br />

Sinonimi: Bromus uniolioides Kunth<br />

Bromus uniolioides (Willd.) Raspail, non Kunth<br />

Bromus willdenowii Kunth<br />

Ceratochloa uniolioides (Willd.) P.Beauv.<br />

Ceratochloa willdenowii (Kunth) W.A.Weber<br />

Festuca unioloides Willd.<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: graminacea perenne cespitosa, alta fino a 60 cm, con culmi eretti. Foglie sottili a lamina larga 3-12 mm e<br />

ligula triangolare, allungata (4-6 mm). Pannocchia ampia (10-15 cm), lassa ed inclinata dopo la fioritura; spighette fortemente<br />

latericompresse, lanceolate, <strong>di</strong> circa 35-45×4 mm, con glume e lemmi carenato-compressi, questi ultimi brevemente<br />

appuntiti all’apice o con resta lunga fino a 3 mm; palea lunga circa quanto il lemma. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Siti <strong>di</strong>sturbati, prati, margini erbosi, greti.<br />

Distribuzione nel territorio: Pressoché ovunque, prevalentemente in ambito planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia a Firenze nel 1873, poi presso Messina, Roma e, nel<br />

1903, a genova (Sommier, 1904); in Lombar<strong>di</strong>a raccolta per la prima volta in natura nel 1980 nel bresciano, dove era coltivata<br />

sperimentalmente per foraggio dalla seconda metà degli anni ‘70 del secolo scorso (zanotti, 1988a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta foraggera).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Bibliografia: Banfi & galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; FAB, 2000; Sommier, 1904; Wilhalm, 2000; zanotti, 1988a<br />

panIco<br />

delle<br />

brughIere<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Dichanthelium acuminatum<br />

(Sw.) gould & C.A.Clark<br />

Nome volgare: panico delle brughiere, panico acuminato<br />

Basionimo: Panicum acuminatum Sw.<br />

Sinonimi: Dichanthelium acuminatum (Sw.) gould &<br />

C.A.Clark subsp. implicatum (Scribn.) Freckmann & Lelong<br />

Dichanthelium acuminatum (Sw.) gould & C.A.Clark<br />

var. implicatum (Scribn.) gould & C.A.Clark<br />

Dichanthelium implicatum (Scribn.) Kerguélen<br />

Panicum acuminatum Sw. var. implicatum (Scribn.) Beetle<br />

Panicum acuminatum Sw. var. implicatum (Scribn.)<br />

C.F.Reed, comb. superfl.<br />

Panicum implicatum Scribn.<br />

Tipo biologico: Crosul<br />

Descrizione: graminacea prerenne, alta fino a mezzo metro o poco più, con foglie svernanti riunite in rosetta basale, a lamina<br />

lanceolato-acuminata, spesso involuta ai margini, sulla faccia adassiale provvista <strong>di</strong> peli eretti <strong>di</strong> 3-4 mm, su quella abassiale<br />

con pubescenza appressata. Le foglie del culmo sono lineari, più lunghe <strong>di</strong> quelle della rosetta. Culmi primaverili gracili, eretti<br />

o ascendenti, peloso-papillosi con peli patenti, gli autunnali più robusti, ramosi nella porzione inferiore; ligula lunga 4-5 mm.<br />

Pannocchia <strong>di</strong> 3-6 cm, con rachide cosparso <strong>di</strong> lunghi peli e rami flessuosi ± aggrovigliati o ripiegati verso l’asse; spighette<br />

lunghe 1.5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-novembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica (Canada, Stati Uniti centro-occidentali e nord-orientali).<br />

Habitat: Suoli poveri e aci<strong>di</strong> <strong>di</strong> brughiera, su matrice sabbiosa o argillosa.<br />

Distribuzione nel territorio: Brughiere della Malpensa (VA). Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia molto recentemente, ma in un periodo non precisabile; la specie era già<br />

<strong>di</strong>ffusa in Francia e altrove in Europa. Raccolta per la prima volta in Italia in Piemonte nelle baragge biellesi e vercellesi (Soldano<br />

& Sella, 2000), nei castagneti del vicentino (Busnardo et al., 2002) e nella vauda canavese (Lonati et al., 2006); in Lombar<strong>di</strong>a è<br />

stata segnalata per la prima volta da Banfi (2005) e Banfi & galasso (2005).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale (forse con i mezzi militari americani).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Questa specie presenta una complessa variabilità infraspecifica, da alcuni ripartita in 10 unità <strong>di</strong>stribuite, complessivamente, su tutto il continente<br />

americano (Freckmann & Lelong, 2002, 2003). L’entità presente in Italia è la subsp. implicatum, apparentemente priva <strong>di</strong> valore sistematico.<br />

Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & galasso, 2005; Busnardo et al., 2002; Freckmann & Lelong, 2002, 2003; Lonati et al., 2006; Soldano & Sella, 2000<br />

68 69


sanguInella<br />

cIglIata<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Digitaria ciliaris (Retz.) Koeler<br />

Nome volgare: sanguinella cigliata<br />

Basionimo: Panicum ciliare Retz.<br />

Sinonimi: Digitaria ciliaris (Retz.) Pers., comb. superfl.<br />

Digitaria sanguinalis (L.) Scop. subsp. ciliaris (Retz.) Arcang.<br />

Digitaria sanguinalis (L.) Scop. subsp. ciliaris (Retz.) Domin,<br />

comb. superfl.<br />

Digitaria sanguinalis (L.) Scop. var. ciliaris (Retz.) Parl. Milium<br />

ciliare (Retz.) Moench<br />

Paspalum ciliare (Retz.) DC.<br />

Sanguinaria ciliaris (Retz.) Bubani<br />

Syntherisma ciliaris (Retz.) Schrad.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale, alta 20-50 cm, con culmi gracili, prostrato-<strong>di</strong>ffusi o ascendenti, spesso producenti ra<strong>di</strong>ci<br />

avventizie alla base e pelosi ai no<strong>di</strong>. Foglie generalmente cosparse <strong>di</strong> peli patenti lunghi fino a 1.5 mm; guaine, almeno nella<br />

porzione <strong>di</strong>stale, con peli patenti <strong>di</strong> 1-3 mm, le inferiori compresse, le superiori ± rigonfie; lamina lanceolato-lineare (45-<br />

75×8-12 mm), spesso ondulata e più o meno arrossata, specialmente ai margini; ligula troncato-sfrangiata, lunga (1-)2-3(-3.5)<br />

mm. Infiorescenza <strong>di</strong>gitata, cioè costituita da (3-)4-6(-8) racemi lineari, lunghi 3-8 cm, inseriti tutti circa alla medesima altezza,<br />

all’apice del culmo e dei rami principali. Spighette spesso violacee, lunghe (2.5-)2.8-3.5 mm, lanceolato-acuminate; gluma<br />

inferiore lunga fino a 0.5 mm, triangolare-acuta, la superiore (1 / 2-)2 / 3-3 / 4(-4 / 5) della spighetta; antere lunghe 1.2-1.3<br />

mm. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Certamente tropicale, ma ormai irricostruibile a causa della successiva <strong>di</strong>ffusione indotta dall’uomo su tutti i<br />

territori cal<strong>di</strong> e temperato-cal<strong>di</strong> del pianeta.<br />

Habitat: Margini erbosi umi<strong>di</strong>, brughiere.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuta con certezza soltanto per la provincia <strong>di</strong> Varese. Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa in epoca non definibile a causa della confusione con D. sanguinalis, ma<br />

sicuramente già presente nella seconda metà dell’Ottocento. In Italia la prima segnalazione certa è quella <strong>di</strong> Cook (1973) per<br />

le risaie del vercellese, mentre il primo campione raccolto è del 1889 nel messinese (Wilhalm, 2009). In Lombar<strong>di</strong>a è stata<br />

segnalata per la prima volta da Banfi (2005) e Banfi & galasso (2005) ed è sicuramente presente a Ligurno (VA), dove è stata<br />

raccolta nel 1983 (Wilhalm, 2009), e nelle brughiere <strong>di</strong> Malpensa (VA)(Brusa, in verbis 2010), ma potrebbe essere più <strong>di</strong>ffusa.<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: D. ciliaris è confon<strong>di</strong>bile con l’assai più comune e <strong>di</strong>ffusa D. sanguinalis (L.) Scop. (sanguinella comune), cosmopolita ritenuta autoctona,<br />

sebbene probabilmente da ascrivere al contingente alloctono preromano. Si <strong>di</strong>stingue per i seguenti caratteri: 1) ligula lunga 0.5-1.5 mm, 2)<br />

spighette lunghe non oltre 3(-3.2) mm, da ovato-lanceolate a lanceolate, acute, 3) gluma superiore lunga non più <strong>di</strong> 2 / 3 della spighetta, 4) antere<br />

lunghe 0.7-1 mm (Wilhalm, 2002, 2009; Verloove, 2008b). Infatti, la Digitaria ciliaris sensu Pignatti (1982) corrisponde a Digitaria sanguinalis subsp.<br />

pectiniformis Henrard, che non appare <strong>di</strong>stinta dal tipo della specie (Wilhalm, 2009).<br />

Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & galasso, 2005; Cook, 1973; Pignatti, 1982; Verloove, 2008b; Wilhalm, 2002, 2009<br />

sanguInella<br />

vIolacea<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale alta 20-60 cm, con culmi in cespo lasso, gracili, talora brevemente stoloniferi. guaine<br />

fogliari glabre oppure pelose, nel qual caso specialmente alla fauce; ligula tronca, non superante 1.5 mm; lamine lanceolatolineari,<br />

larghe fino a 6 mm. Infiorescenza con rachide nullo o subnullo e (2-)3-7(-10) racemi <strong>di</strong>gitati, alla fioritura spesso<br />

eretti; infiorescenze secondarie assenti; spighette lunghe (1.2-)1.8-2(-2.1) mm, acute all’apice, con peli sparsi, <strong>di</strong>ritti. Frutto<br />

a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Paleotropica.<br />

Habitat: Incolti ed erbosi umi<strong>di</strong>, ruderati, campi, margini fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Bergamasco lungo il fiume Oglio, ma sicuramente più <strong>di</strong>ffusa. Da ricercare nella zona delle<br />

brughiere. Bergamo (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, non è possibile precisarne la data <strong>di</strong> arrivo in Italia in quanto precedentemente confusa<br />

con D. ischaemum. Inizialmente raccolta nel novarese in Piemonte nel 2004 (Verloove, 2008), è stata raccolta anche a Torre<br />

Pallavicina (Bg) nel 2005 (Verloove et al., in stampa).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Similissima a D. violascens è D. ischaemum (Schreb. ex Schweigg.) Schreb. ex Muhl. (sanguinella sottile), entità nel complesso rara, sebbene<br />

talora comune in scala locale, senza dubbio in parte confusa con la prima. Essa è per tra<strong>di</strong>zione bibliografica un’autoctona della nostra flora, ma<br />

a causa dell’enorme <strong>di</strong>ffusione secondaria (subcosmopolita), nessuno è in grado <strong>di</strong> stabilire quale sia la sua effettiva area d’origine, per altro non<br />

necessariamente inclusiva del nostro territorio. Si <strong>di</strong>stingue per i seguenti caratteri: 1) racemi in numero <strong>di</strong> 2-3(-4), inseriti su un breve asse comune,<br />

alla fioritura sempre patenti, 2) spighette con densi peli verruciformi, alcuni dei quali clavati all’apice, 3) presenza (facoltativa) <strong>di</strong> infiorescenze<br />

secondarie più o meno nascoste nelle guaine inferiori.<br />

Bibliografia: Verloove, 2008; Verloove et al. in stampa<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Digitaria violascens Link<br />

Nome volgare: sanguinella violacea<br />

Sinonimi: Digitaria ischaemum (Schreb. ex Schweigg.)<br />

Muhlenb. var. violascens (Link) Radford<br />

Panicum violascens (Link) Kunth<br />

Syntherisma violascens (Link) Nash<br />

70 71


panIcella<br />

fascIcolata<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Diplachne fascicularis (Lam.) P.Beauv.<br />

Nome volgare: panicella fascicolata<br />

Basionimo: Festuca fascicularis Lam.<br />

Sinonimi: Leptochloa fascicularis (Lam) A.gray<br />

Leptochloa fusca (L.) Kunth subsp. fascicularis (Lam) N.Snow<br />

Tipo biologico: Tcaesp<br />

Descrizione: graminacea annuale, cespitosa, glabra o sparsamente pelosa, alta 60-80(-100) cm, con culmi <strong>di</strong>ritti, a 3-5 no<strong>di</strong>.<br />

Foglie a guaine lasse, più brevi dei corrispondenti interno<strong>di</strong>; lamina robusta, piana, larga fino a 7 mm, tendenzialmente<br />

convoluta da vecchia; ligula acuta, lunga 4-6 mm. Infiorescenza in pannocchia piramidale, costituita da racemi regolarmente<br />

decrescenti in lunghezza verso l’alto; spighette lanceolate, con glume più brevi del complesso dei fiori; lemmi acuti, terminanti<br />

in una resta <strong>di</strong> 0.5-1 mm; antere lunghe 0.3-0.6 mm. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-novembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica (Stati Uniti: dalla British Columbia e dall’Ontario alla Florida e alla California).<br />

Habitat: Sponde e arginelli nelle risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: Lomellina. Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia in Lombar<strong>di</strong>a nel pavese a Pieve del Cairo da Romani<br />

& Tabacchi (2000) e, in seguito, in Piemonte (Tabacchi & Romani, 2002; Soldano, 2006).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (attraverso il commercio <strong>di</strong> sementi <strong>di</strong> riso contaminate).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Soltanto in ambito agricolo.<br />

Impatto: Infestante in risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Note: Molto simile a D. fusca (ve<strong>di</strong> scheda), che si riconosce per essere perenne e presentare antere più lunghe (1.25-2.7 mm).<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2008; Romani & Tabacchi, 2000; Soldano, 2006; Tabacchi & Romani, 2002<br />

panIcella<br />

fosca<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: graminacea perenne, con breve rizoma, glabra o sparsamente pelosa, alta fino a 120 (-150) cm, con culmi <strong>di</strong>ritti,<br />

a 3-5 no<strong>di</strong>. Foglie a guaine lasse, più brevi dei corrispondenti interno<strong>di</strong>; lamina robusta, piana, larga 3-5 mm, tendenzialmente<br />

convoluta da vecchia; ligula acuta, lunga 3-5 mm. Infiorescenza in pannocchia largamente piramidata, costituita da racemi<br />

più o meno flessuosi, gli inferiori lunghi 15 cm, i superiori più brevi (circa 7 cm); spighette lanceolate, con glume più brevi del<br />

complesso dei fiori; lemmi acuti, terminanti all’apice con 2 dentelli frammezzati da un breve mucrone; antere lunghe 1.25-2.7<br />

mm. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-novembre.<br />

Area d’origine: Paleotropica; ora in larga espansione anche verso le zone temperate.<br />

Habitat: Sponde, bordure umide fangose.<br />

Distribuzione nel territorio: Presso Sant’Alessio con Vialone (PV): pochi in<strong>di</strong>vidui in una comunità <strong>di</strong> festuca falascona,<br />

Schedonorus arun<strong>di</strong>naceus (Schreb.) Dumort. Possibile espansione. Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia presumibilmente al principio del secolo corrente. Raccolta in Sicilia (Biviere<br />

<strong>di</strong> gela, CL) nel 2002, in Lombar<strong>di</strong>a nel 2007 (Banfi et al., 2008).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Molto simile a D. fascicularis (ve<strong>di</strong> scheda), che si riconosce per essere annuale e presentare antere più brevi (0.3-0.6 mm). Di questo genere,<br />

sostanzialmente nuovo per l’Italia, occorre ricordare la segnalazione <strong>di</strong> una terza specie, D. uninervia (j.Presl) Paro<strong>di</strong>, da alcuni autori (per es. Snow,<br />

1998, 2003) trattata a rango subspecifico <strong>di</strong> D. fusca, riguardante l’Italia Centrale (Emilia Romagna e Lazio). Essa è originaria dell’area compresa fra il<br />

Sud degli Stati Uniti e l’Argentina e si <strong>di</strong>stingue per essere annuale come D. fascicularis, per l’apice del lemma ottuso o smarginato, con brevissima<br />

(


gIavone<br />

peloso<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Echinochloa oryzicola<br />

(Vasinger) Vasinger<br />

Nome volgare: giavone peloso<br />

Basionimo: Panicum oryzicola Vasinger<br />

Sinonimi: Echinochloa crusgalli (L.) P.Beauv.<br />

var. oryzicola (Vasinger) Ohwi<br />

Echinochloa phyllopogon auct., non (Stapf) Stapf ex Kossenko<br />

Echinochloa phyllopogon (Stapf) Stapf ex Kossenko subsp.<br />

oryzicola (Vasinger) Kossenko<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale, alta 50-l50 cm., con ra<strong>di</strong>ce fibrosa e culmi eretti, robusti. guaina fogliare carenata e<br />

lamina larga 5-12 mm, scabra sul bordo; tra la guaina e la lamina, sul margine, si trovano caratteristici peli patenti allungati.<br />

Infiorescenza ricca, contratta, costituita <strong>di</strong> racemi <strong>di</strong>sposti alternatamente su un asse poco incurvato o quasi eretto, così da<br />

costituire una pannocchia lassamente piramidata; spighette con gluma inferiore lunga fino a 3 / 5 della spighetta, segnata<br />

alla base da 3 nervi cigliati, non visibili nella parte superiore; lemma sterile lungo 4 mm, con 2 serie <strong>di</strong> ciglia su ciascun lato e<br />

glabro al centro, con resta apicale breve o lunga. Il frutto è una cariosside brunastra, lunga 2-2.4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Paleotropica (oggi <strong>di</strong>ffusa dai tropici alle zone temperate <strong>di</strong> tutto il mondo).<br />

Habitat: Specchi <strong>di</strong> risaia.<br />

Distribuzione nel territorio: zona delle risaie nel pavese. Pavia (NAT). [E. colona: <strong>Milano</strong> (NAT).] [E. hispidula: Pavia (NAT),<br />

Varese (CAS).] [E. oryzoides: Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo indeterminato, probabilmente sin dal Cinquecento, insieme alla<br />

coltura del riso. Esiste anche un confusione tra le varie specie, per cui si può soltanto ricordare che Panicum oryzoides (=<br />

Echinocloa oryzoides) è stato descritto nel 1763 da Pietro Arduino su materiale dell’Italia settentrionale, mentre P. phyllopogon<br />

(sempre sinonimo <strong>di</strong> Echinochloa oryzoides) è stato descritto nel 1901 da Stapf su piante raccolte nelle risaie novaresi da<br />

Arcangeli nel 1896 e subito segnalato anche nel pavese (Fiori, 1905a; Farneti, 1911).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, insieme alla coltura del riso, dall’Oriente (In<strong>di</strong>a e Cina tropicale).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Infestante del riso.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Diserbo in risaia.<br />

Note: Questa specie è molto somigliante alle altre congeneri presenti in Lombar<strong>di</strong>a. Tra <strong>di</strong> esse, l’unica veramente comune e ubiquitaria, perciò<br />

rilevante in termini <strong>di</strong> confusione, è il giavone comune (E. crusgalli (L.) P.Beauv.), l’unica autoctona infestante le colture irrigue, le vigne, le risaie,<br />

gli incolti, i ruderati umi<strong>di</strong>, le rive e gli alvei. Si <strong>di</strong>stingue facilmente per le spighette lunghe 2.8-3.4 mm, per la gluma inferiore lunga 1 / 4-1 / 3<br />

del lemma sterile, con 3-5 linee <strong>di</strong> setole in corrispondenza dei nervi e spesso con peli sparsi nello spazio internervale; infine per il lemma sterile<br />

lungo 3-3.5 mm e la cariosside <strong>di</strong> 1.4-1.9 mm. Altri tre giavoni esotici sono noti in Lombar<strong>di</strong>a, il maggiore E. oryzoides (Ard.) Fritsch (= E. phyllopogon<br />

(Stapf ) Stapf ex Kossenko, = E. hostii (M.Bieb.) Link, = Panicum oryzoides Ard.), il meri<strong>di</strong>onale E. colona (L.) Link (= Panicum colonum L.) e il cinese<br />

E. hispidula (Retz.) Nees ex Royle (= E. erecta (Pollacci) Pignatti, = Panicum hispidulum Retz.), i primi due paleotropici, il terzo dell’Estremoriente.<br />

Senza entrare in dettagli <strong>di</strong>agnostici, preciseremo che il giavone maggiore e il giavone cinese sono anch’essi commensali del riso, mentre il giavone<br />

meri<strong>di</strong>onale è pianta dei terreni fangosi in genere, anche se in Lombar<strong>di</strong>a è stato trovato in risaia. Tutte e tre le specie si mostrano rare nella zona<br />

risicola.<br />

Bibliografia: Banfi, 1985; Carretero, 1981; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2002; Farneti, 1911; Fiori, 1905a; Tabacchi et al., , 2006<br />

gramIgna<br />

IndIana<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale cespitosa, alta 10-30(-60) cm, con culmi abbastanza robusti, ma prostrato-<strong>di</strong>ffusi o<br />

ascendenti, ramificati alla base. Foglie generalmente pelose, con lamina larga 2-6(-7) mm, largamente cartilaginea al margine;<br />

ligula lunga 0.5 mm, cigliata. Infiorescenza costituita da (1-)2-8(-10) spighe <strong>di</strong> (1.5-)5-8(-12)×0.4-0.6(-0.8) cm, <strong>di</strong>gitate all’apice<br />

del culmo; spighette <strong>di</strong>sposte su due serie, 3-6flore, lunghe 4.5-6 mm; gluma inferiore lunga 1.5-2.5 mm, la superiore 2-4.5<br />

mm; lemma lungo 2.5-5 mm. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Paleotropica (oggi termocosmopolita).<br />

Habitat: Bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> vie, marciapie<strong>di</strong> nelle superfici meno calpestate, in ambiente luminoso, in estate surriscaldato, arido e ricco<br />

<strong>di</strong> nitrati (escrementi). Nella vegetazione del Sisymbrion officinalis Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 e del Polycarpion<br />

tetraphylli Rivas-Mart. 1975.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla fascia montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona<br />

(INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Settecento. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta da Arcangeli (1882a)<br />

a Sesto Calende (VA), dove era stata raccolta da De Notaris nel 1877 (anno della sua morte) o prima (cfr. anche goiran, 1890b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: In Lombar<strong>di</strong>a si trova naturalizzata un’altra specie del genere Eleusine gaertn., E. tristachya (ve<strong>di</strong> scheda), che si <strong>di</strong>stingue soprattutto per<br />

l’infiorescenza costituita da sole 2(-3) spighe, <strong>di</strong> 1-2x0.8-1.2 cm.<br />

Bibliografia: Arcangeli, 1882a; goiran A., 1890b<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Eleusine in<strong>di</strong>ca (L.) gaertn. subsp. in<strong>di</strong>ca<br />

Nome volgare: gramigna in<strong>di</strong>ana<br />

Basionimo: Cynosurus in<strong>di</strong>cus L.<br />

Sinonimi: Cynodon in<strong>di</strong>cus (L.) Raspail<br />

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gramIgna<br />

a tre spIghe<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Eleusine tristachya (Lam.) Lam.<br />

Nome volgare: gramigna a tre spighe<br />

Basionimo: Cynosurus tristachyos Lam.<br />

Sinonimi: Eleusine in<strong>di</strong>ca (L.) gaertn.<br />

var. tristachya (Lam.) Fiori<br />

Eleusine italica N.Terracc.<br />

Eleusine tristachya (Lam.) Kunth, comb. superfl.<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: graminacea lassamente cespitosa, perenne, alta 14-20 cm, simile a E. in<strong>di</strong>ca (ve<strong>di</strong> scheda), ma con infiorescenza<br />

costituita da 2(-3) spighe <strong>di</strong> 1-2x0.8-1.2 cm; spighette 4-10-flore, lunghe 5-6.5 mm; lemma <strong>di</strong> 2.4-3.6(4) mm. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Afro-sudamericana (possibile trasmigrazione preumana dall’Africa).<br />

Habitat: Incolti calpestati.<br />

Distribuzione nel territorio: Bresciano, sul Lago <strong>di</strong> garda. Brescia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento: descritta nel 1872 come E. italica<br />

per il Lazio e dopo oltre un secolo osservata nuovamente in Liguria nel 1983 (Minuto, 1993a); osservata naturalizzata da<br />

Franco giordana nel 2008 a gargnano (BS) e qui segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: In Lombar<strong>di</strong>a è molto più comune un’altra specie del genere Eleusine gaertn., E. in<strong>di</strong>ca subsp. in<strong>di</strong>ca (ve<strong>di</strong> scheda), anch’essa esotica,<br />

caratterizzata da un numero maggiore <strong>di</strong> spighe, (1-)2-8(-10), che sono più lunghe e slanciate, <strong>di</strong> (1.5-)5-8(-12)×0.4-0.6(-0.8) cm.<br />

Bibliografia: Minuto, 1993a<br />

panIcella<br />

pettInata<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Eragrostis pectinacea (Michx.) Nees<br />

Nome volgare: panicella pettinata<br />

Basionimo: Poa pectinacea Michx.<br />

Sinonimi: Eragrostis caroliniana (Biehler) Scribn.<br />

Eragrostis <strong>di</strong>ffusa Buckley<br />

Eragrostis pectinacea (Michx.) Steud., comb. superfl.<br />

Poa caroliniana Biehler<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale alta 10-25 cm, con culmi gracili, fascicolati, ginocchiato-ascendenti o spesso prostrato<strong>di</strong>ffusi.<br />

Foglie con lamina larga 2-3 mm, sul margine liscia, senza ghiandole; ligula costituita da un anello <strong>di</strong> peli allungati.<br />

Pannocchia ampia con rami capillari, ondulato-flessuosi, scabri, semplici, solo raramente l’inferiore con una breve ramificazione<br />

laterale portante 2-3 spighette; spighette verdastre, spesso violette all’apice, lunghe 5-8 mm e larghe 1.5 mm, recanti (4-)8-<br />

10(-18) fiori, portate da peduncoli lunghi almeno quanto le stesse; lemma liscio, mutico, con nervi laterali evidenti; cariosside<br />

convessa anche sulla faccia ventrale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti calpestati, greti, golene.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong><br />

(INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV). [E. frankii: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT),<br />

<strong>Milano</strong> (NAT).] [E. mexicana subsp. virescens: Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia sin dalla prima metà dell’Ottocento (Ricceri, 1982). Segnalata in<br />

Lombar<strong>di</strong>a da Ricceri (1982) e Banfi (1983a), le prime raccolte sono del 1973 nel mantovano, ma la pianta era sicuramente<br />

presente da molto prima, in precedenza confusa con E. pilosa.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100% lungo il<br />

greto del Po e dei suoi affluenti.<br />

Note: Altre due aliene americane sono degne <strong>di</strong> nota in quanto in attiva espansione sul territorio lombardo: si tratta <strong>di</strong> E. frankii C.A.Mey. ex Steud.<br />

(panicella <strong>di</strong> Frank, segnalata da Banfi, 2005; Banfi & galasso, 2005) ed E. mexicana (Hornem.) Link subsp. virescens (j.Presl) S.D.Koch & Sánchez<br />

Vega (= E. virescens j.Presl; panicella verdasatra, segnalata da Martini & Scholz, 1998). La prima ha spighette bruno verdastro chiaro, non più<br />

lunghe <strong>di</strong> 3(-3.5) mm, con (2-)4-5(-7) fiori, portate da peduncoli più brevi <strong>di</strong> 5 mm in pannocchia aperta ma non ampia, <strong>di</strong> norma lunga meno <strong>di</strong><br />

metà del culmo; la seconda è una pianta alta fino a 70 cm, con spighette verde brunastro, lunghe (2.5-)4-4.5(-7) mm, recanti (3-)5-7(-11) fiori; vi<br />

è tuttavia confusione tra queste due specie. L’autoctona E. pilosa (L.) P.Beauv. (panicella pelosa), <strong>di</strong> origine eurasiatica, può creare confusione per<br />

il portamento e l’aspetto generale, ma si <strong>di</strong>stingue per i rami della pannocchia a loro volta ramificati, i basali riuniti a 3-5, provvisti <strong>di</strong> lunghi peli<br />

ascellari, e per le glume, che nelle spighette immature appaiono <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa lunghezza con l’inferiore pari a 1 / 2-3 / 4 della superiore.<br />

Bibliografia: Banfi, 1983a, 2005; Banfi & galasso, 2005; Martini & Scholz, 1998; Peterson, 2003; Ricceri, 1982; Ryves, 1980<br />

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mulembergIa<br />

dI schreber<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Muhlenbergia schreberi j.F.gmel.<br />

Nome volgare: mulembergia <strong>di</strong> Schreber<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: graminacea perenne alta 20-40 cm, con culmi gracili, prostrati e ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>, quin<strong>di</strong> ± ascendenti e fioriferi,<br />

ramosi, <strong>di</strong> aspetto vagamente bambusoide; no<strong>di</strong> ingrossati, purpurei. Foglie con lamina breve (4 cm), piana, larga 2-4 mm,<br />

glaucescente; ligula costituita da una frangia <strong>di</strong> peli. Pannocchie numerose, contratte, lineari, <strong>di</strong>afane, <strong>di</strong> un verde tenero<br />

argentato, lunghe 5-15 cm: spighette uniflore con glume ru<strong>di</strong>mentali (0.1-0.2 mm), l’inferiore subnulla; lemma lungo 2 mm,<br />

terminante in una resta flessuosa <strong>di</strong> 2-5 mm; peli basali lunghi 1 / 5 del lemma stesso. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Incolti umi<strong>di</strong> e fangosi, dove preferisce l’ombra, margini dei torrenti e dei sentieri boschivi.<br />

Distribuzione nel territorio: Lombar<strong>di</strong>a occidentale, prevalentemente nell’area collinare. Bergamo (NAT), Como (NAT),<br />

Cremona (NAT), Lecco (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Varese (INV). [M. frondosa: Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, comparsa in Canton Ticino nel 1963 presso il Lago <strong>di</strong> Lugano (Becherer, 1965), subito<br />

dopo è stata osservata a Campione d’Italia nel comasco (Becherer, 1966) e, in seguito, nel gallaratese (VA) da Stucchi (1972).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno, se non fisionomico locale: aspetto gradevole, <strong>di</strong> prato umido soffice in tonalità del grigio.<br />

Note: M. frondosa (Poir.) Fernald (= Agrostis frondosa Poir.; mulembergia frondosa), nativa del Canada meri<strong>di</strong>onale e degli Stati Uniti centro-orientali<br />

è pure presente nel nostro territorio (Soldano, 1977a) e si <strong>di</strong>stingue per i culmi eretti, mai ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>, per le foglie con lamina lunga fino a<br />

20 cm, per le glume <strong>di</strong> 2-3 mm, mucronate all’apice e per il lemma <strong>di</strong> 2-3 mm, con resta ridotta ad un breve mucrone e peli basali lunghi 1 / 2<br />

del lemma stesso.<br />

Bibliografia: Becherer, 1965, 1966; Soldano, 1977a; Stucchi, 1972<br />

panIco<br />

deI campI<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale a ciclo estivo-autunnale, con culmi alti 5-200 cm, spessi talora fino a 3 mm, generalmente<br />

prostrato-<strong>di</strong>ffusi, ginocchiato-ascendenti, ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong> prossimali se a contatto fisso con l’acqua, da semplici a provvisti<br />

<strong>di</strong> ramificazioni largamente <strong>di</strong>vergenti in corrispondenza dei no<strong>di</strong> inferiori; no<strong>di</strong> più o meno rigonfi, glabri. Foglie con<br />

guaine compresse, rigonfie, da pelose a glabrescenti, spesso cigliate ai margini e alla fauce; ligula membranosa <strong>di</strong> 0.5-2<br />

mm; lamine <strong>di</strong> 10-65×0.3-2.5 cm, glabre o sparsamente pelose, spesso scabre ai margini, con robusta nervatura centrale<br />

biancastra. Pannocchie lunghe 4-40 cm, <strong>di</strong>ffuse, lasse, con poche ramificazioni alterne od opposte, eretto-patenti o patenti,<br />

scabre, recanti scarse spighette; peduncoli <strong>di</strong> 1-6 mm, acutamente trigoni, scabri, apicalmente <strong>di</strong>latati a coppa, in prevalenza<br />

appressati al lato abassiale dei rami; spighette <strong>di</strong> 1.8-3.8×0.7-1.2 mm, ellissoidali o strettamente ovoi<strong>di</strong>, verde chiaro o rosso<br />

porpora, glabre, da acute ad acuminate; gluma inferiore 0.6-1.2 mm; gluma superiore e lemma inferiore simili, eccedenti <strong>di</strong><br />

0.3-0.6 mm il fiore superiore; fiore inferiore sterile, il superiore <strong>di</strong> 1.4-2.5×0.7-1.1 mm, strettamente ellissoidale, lucido, da<br />

stramineo a nerastro con nervi palli<strong>di</strong>. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-novembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Incolti, bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> vie, scarpate, ruderi, alvei e infestante delle colture sarchiate.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana inferiore. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como<br />

(NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV),<br />

Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa negli anni ’30 del secolo scorso. In Italia viene raccolta per la prima volta<br />

nel 1951 da Koch (1952) nelle risaie piemontesi, anche presso il confine lombardo, e segnalata per la Lombar<strong>di</strong>a da Pignatti<br />

(1957b).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con le lane o, più probabilmente, con la maiscoltura o la risicoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì, solo in campo agricolo.<br />

Impatto: Infestante delle colture sarchiate.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo selettivo nelle colture agrarie.<br />

Note: Le popolazioni presenti sul territorio regionale (e in tutta Italia) sono da riferire al ceppo nominale della specie (subsp. <strong>di</strong>chotomiflorum),<br />

mentre in America vengono <strong>di</strong>stinte altre due varianti: subsp. bartowense (Scribn. & Merr.) Freckmann & Lelong e subsp. puritanorum (Svenson)<br />

Freckmann & Lelong. La prima, <strong>di</strong>ffusa in area tropicale (Florida, Bahamas, Cuba), presenta guaine ispide per peli a base papillosa, la seconda<br />

(paleospiagge della costa atlantica, dalla Nuova Scozia alla Virginia e a Sud del Lago Michigan) spighette acute <strong>di</strong> 1.8-2.2 mm, con la massima<br />

larghezza a metà, su peduncoli spesso maggiori <strong>di</strong> 3 mm e, inoltre, gluma superiore e lemma inferiore submembranacei. Soprattutto quest’ultima<br />

denota precon<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> adattamento climatico ben compatibili con il nostro territorio e, sebbene finora non segnalata, non se ne esclude la<br />

possibilità <strong>di</strong> presenza.<br />

Bibliografia: Fenaroli, 1964; Koch, 1952; Lorenzoni, 1964; Pignatti, 1957b<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Panicum <strong>di</strong>chotomiflorum Michx.<br />

Nome volgare: panico dei campi<br />

Sinonimi: Leptoloma <strong>di</strong>chotomiflorum (Michx.) Smyth<br />

Panicum chloroticum Nees ex Trin.<br />

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panIco dI<br />

phIladelphIa<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Panicum philadelphicum<br />

Bernh. ex Trin.<br />

Nome volgare: panico <strong>di</strong> Philadelphia,<br />

erba-nebbia minore<br />

Sinonimi: Panicum capillare L. var. campestre gatt.,<br />

non Panicum campestre Nees ex Trin.<br />

Panicum gattingeri Nash<br />

Panicum philadelphicum Bernh. ex Trin. subsp. gattingeri<br />

(Nash) Freckmann & Lelong<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale con culmi alti 10-60 cm, generalmente prostrato-<strong>di</strong>ffusi, ramosi, fittamente pelosi ai no<strong>di</strong>.<br />

Foglie con guaina carenata, molto villosa per lunghi peli patenti e lamina verde-glauca, pelosa o glabrescente, larga 6-12<br />

mm; ligula subnulla. Pannocchie numerose, una terminale e <strong>di</strong>verse laterali (queste ultime più piccole), aperte, a contorno<br />

ovoidale o ellissoidale, la terminale <strong>di</strong> norma lunga meno <strong>di</strong> metà del culmo; ramificazioni capillari e fitte, terminanti con una<br />

sola spighetta <strong>di</strong> 1.4-2.4 mm, da acuta a subacuminata all’apice. La pannocchia principale a maturità persiste sulla pianta e le<br />

spighette vengono <strong>di</strong>sperse per progressiva demolizione della sua impalcatura. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: greti, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Lungo il Po e i suoi affluenti; anche in Oltrepo lungo il torrente Versa. Brescia (NAT), Cremona<br />

(NAT), Pavia (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in un periodo imprecisabile a causa della confusione con P. capillare. Raccolta<br />

per la prima volta in Italia nel 1983 in Friuli-Venezia giulia (Melzer, 1985; Melzer & Bregant, 1992), in Lombar<strong>di</strong>a a partire dal<br />

2008 (Verloove et al., 2010 a).<br />

Modalità d’introduzione: Indeterminata.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Attualmente no.<br />

Impatto: Potenzialmente simile a quello <strong>di</strong> P. capillare.<br />

Note: Simile a P. capillare (ve<strong>di</strong> scheda), caratterizzato da una pannocchia lunga almeno la metà dell’intera pianta, che a maturità si rompe alla<br />

base rotolando sul terreno, e da spighette lunghe sino a 4 mm. Darbyshire & Cayouette (1995) riconoscono il rango specifico a P. gattingeri, mentre<br />

Freckmann & Lelong (2002, 2003) lo subor<strong>di</strong>nano a sottospecie <strong>di</strong> P. philadelphicum; tuttavia la revisione <strong>di</strong> Panicum s.s. <strong>di</strong> zuloaga & Morrone<br />

(1996) sinonimizza tra loro queste entità, non riconoscendo valore sistematico a caratteri ritenuti mere fluttuazioni all’interno dei popolamenti.<br />

Bibliografia: Darbyshire & Cayouette, 1995; Freckmann & Lelong, 2002, 2003; Melzer, 1985; Melzer & Bregant, 1992; Verloove et al., 2010 a; zuloaga<br />

& Morrone, 1996<br />

panIco<br />

capIllare<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale a ciclo estivo-autunnale, con culmi alti 20-50 cm, generalmente prostrato-<strong>di</strong>ffusi,<br />

ramosi, fittamente pelosi ai no<strong>di</strong>. Foglie con guaina carenata, molto villosa per lunghi peli patenti e lamina verde-glauca,<br />

subglabra, larga 10-15 mm; ligula subnulla. Pannocchia terminale eretta, aperta, a contorno largamente ovato, <strong>di</strong> norma<br />

lunga metà del culmo o più, <strong>di</strong> aspetto caratteristicamente “nebbioso” per effetto dei numerosissimi rami capillari patenti in<br />

tutte le <strong>di</strong>rezioni, lunghi 5-15 mm, ciascuno portante <strong>di</strong> norma 1 sola spighetta <strong>di</strong> 1.9-4 mm, ± acuminata all’apice; gluma<br />

superiore e lemma lunghi 2 mm. Pannocchie secondarie sono presenti sui getti periferici, a volte seminascoste nelle guaine.<br />

A maturità la pannocchia principale si <strong>di</strong>sarticola facilmente al nodo inferiore e si stacca dalla pianta per lasciarsi rotolare al<br />

vento <strong>di</strong>sseminando le spighette fruttifere. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica meri<strong>di</strong>onale, Isole Bermuda, Messico settentrionale.<br />

Habitat: Incolti, bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> vie, scarpate, alvei ed infestante nei campi <strong>di</strong> mais.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto in pianura e nei fon<strong>di</strong>valle. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV),<br />

Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla metà del Seicento e naturalizzata verso la fine dell’Ottocento,<br />

raccolta nel 1880 nel veronese (goiran, 1898). In Lombar<strong>di</strong>a raccolta nel 1915 nel bresciano da Ugolini (1921).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100% lungo il<br />

greto del Po e dei suoi affluenti.<br />

Note: Simile a P. philadelphicum (ve<strong>di</strong> scheda), caratterizzata da una pannocchia molto più breve, che <strong>di</strong> norma non si <strong>di</strong>stacca a maturità, e da<br />

spighette che raggiungono soltanto 2,4 mm.<br />

Bibliografia: goiran, 1898; Ugolini, 1921<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Panicum capillare L.<br />

Nome volgare: panico capillare, erba-nebbia<br />

Sinonimi: Chasea capillaris (L.) Nieuwl.<br />

Leptoloma capillare (L.) Smyth<br />

Milium capillare (L.) Moench<br />

Panicum bobartii Lam.<br />

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panIco<br />

brasIlIano<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Paspalum <strong>di</strong>latatum Poir.<br />

Nome volgare: panico brasiliano<br />

Sinonimi: Digitaria <strong>di</strong>latata (Poir.) H.j.Coste<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: graminacea perenne cespitosa, con rizoma a interno<strong>di</strong> brevi e culmi <strong>di</strong> 50-150 cm, suberetti o ginocchiati,<br />

paucino<strong>di</strong>, glabri. guaine 2-25 cm, lasse, le basali peloso-papillose in basso, le superiori da glabre a sparsamente pelose; ligula<br />

membranosa, lunga 3-5 mm; è presente una pseudoligula formata da un arco <strong>di</strong> peli lunghi fino a 5 mm. Lamine linearilanceolate,<br />

fino a 40×1 cm, piane, glabre. Infiorescenza terminale costituita da 2-5 racemi sparsamente alterni, <strong>di</strong>vergenti, <strong>di</strong><br />

norma nutanti o penduli e unilaterali; spighette da ovoi<strong>di</strong> a largamente ellissoidali, <strong>di</strong> 2.8-4×1,8-2 mm, con gluma inferiore<br />

subnulla e 2 fiori (l’inferiore sterile); gluma superiore peloso-cigliata sul bordo, lunga 2.8-4 mm; lemma <strong>di</strong> poco più breve.<br />

Cariosside da ovoide a suborbicolare, <strong>di</strong> 1.6-2×1.4-1.6 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica (Argentina, S-Brasile, Paraguay, Uruguay).<br />

Habitat: Stazioni umide soleggiate, nelle pianure alluvionali, su suolo ricco in sostanza organica e nutrienti.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Pisa almeno dal 1860 e da qui <strong>di</strong>ffusasi in Versilia dove è stata<br />

raccolta la prima volta in Italia nel 1914 (Pellegrini, 1937) e, in seguito, nel 1934 (Bonaventura, 1935; Montelucci, 1935, 1936);<br />

segnalata per la prima volta in Italia in Liguria (Bolzon, 1925), probabilmente giunta dal nizzardo ove era già stata segnalata<br />

all’inizio del secolo (goiran, 1909, 1910) oppure dall’Orto Botanico <strong>di</strong> genova (Montelucci, 1936). In Lombar<strong>di</strong>a raccolta per la<br />

prima volta nel 1970 nel bresciano (Arietti & Crescini, 1975).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, presumibilmente con i foraggi.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Bolzon, 1925; Bonaventura, 1935; g oiran, 1909, 1910; Macchi, 2005; Mangili, 2000; Montelucci, 1935; Pellegrini, 1937<br />

panIco<br />

acquatIco<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Paspalum <strong>di</strong>stichum L.<br />

Nome volgare: panico acquatico, panico a due spighe<br />

Sinonimi: Anastrophus paspalodes (Michx) Nash<br />

Digitaria <strong>di</strong>sticha (L.) Fiori & Paol.<br />

Digitaria paspalodes Michx. / Milium <strong>di</strong>stichum (L.) Muhl.<br />

Milium paspalodes (Michx.) Elliott<br />

Paspalum <strong>di</strong>gitaria Poir., nom. illeg.<br />

Paspalum <strong>di</strong>stichum L. subsp. paspalodes (Michx.) Thell.<br />

Paspalum paspalodes (Michx.) Scribn.<br />

Tipo biologico: grhiz<br />

Descrizione: graminacea perenne alta 10-60 cm, con rizoma allungato e stoloni ra<strong>di</strong>canti; culmi eretti o prostrati, deboli.<br />

guaine fogliari cigliate al margine almeno nel tratto <strong>di</strong>stale; lamine piane, larghe 2-6 mm; ligula subnulla (0.5 mm). Due<br />

racemi all’apice del culmo, lunghi 2-7 cm, appaiati, sessili oppure uno solo dei due brevemente peduncolato; spighette<br />

lunghe 2.5-3.5 mm, <strong>di</strong>stiche, ovato-acuminate; base del rachide o del peduncolo pubescente; gluma superiore minutamente<br />

pubescente, l’inferiore squamiforme; lemma con nervo centrale rilevato. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Neotropica.<br />

Habitat: Sponde temporaneamente inondate <strong>di</strong> corsi d’acqua e stagni, lanche fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (CAS), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong><br />

(NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Liguria da Penzig (1889) come già naturalizzata; in Lombar<strong>di</strong>a<br />

presente agli inizi degli anni ’80 del secolo scorso a <strong>Milano</strong> e degli anni ’90 nel bresciano (zanotti, 1992).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Relativamente.<br />

Impatto: Diminuisce la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi spondali in cui si inse<strong>di</strong>a, togliendo spazio alle specie autoctone.<br />

Bibliografia: Arzuffi, 2000; Banfi & galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; giordana, 1995; Penzig, 1889; zanotti, 1992, 2000<br />

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pabbIo<br />

dI faber<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Setaria faberi F.Herm.<br />

Nome volgare: pabbio <strong>di</strong> Faber, pabbio pendulo<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale dal portamento elevato (fino a 150 cm). Foglie a lamina brevemente pubescente sulla<br />

faccia adassiale, larga fino a 1.5 cm; ligula costituita da minuti peli. Pannocchia terminale, spiciforme, reclinata, lunga 10 cm e<br />

più; spighette <strong>di</strong> 2.5-3 mm, lungamente superate dalle setole della pannocchia (rami sterili alla base delle spighette); lemma<br />

fertile con evidenti rughe trasversali, meno accentuate verso l’apice. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (introdotta dalla Cina negli USA e da qui in Europa).<br />

Habitat: Margini dei campi, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura centro-orientale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia raccolta per la prima volta nel bresciano nel 1987 (Banfi, 1989).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, presumibilmente accidentale con le colture.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Banfi, 1989; Bonali et al., 2006a; giordana, 1995<br />

pabbIo<br />

gIgante<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Setaria pycnocoma (Steud.) Henrard ex Nakai<br />

Nome volgare: pabbio gigante<br />

Sinonimi : Panicum viride L. var. giganteum Franch. & Sav.<br />

Panicum viride L. var. majus gau<strong>di</strong>n<br />

Setaria gigantea (Franch. & Sav.) Makino<br />

Setaria italica auct., non (L.) P.Beauv.<br />

Setaria italica (L.) P.Beauv. subsp. pycnocoma (Steud.) de Wet<br />

Setaria pycnocoma (Steud.) Henrickson, com. superfl.<br />

Setaria viri<strong>di</strong>s (L.) P.Beauv. subsp. pycnocoma (Steud.) Tzvelev<br />

? Setaria viri<strong>di</strong>s (L.) P.Beauv. var. major gray<br />

Setaria viri<strong>di</strong>s (L.) P.Beauv. var. major (gau<strong>di</strong>n) Peterm.,<br />

non gray, nom. illeg.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale dal portamento elevato (fino a 150 cm). guaine e lamine fogliari glabre o sparsamente<br />

pelose; ligula <strong>di</strong> peli lunghi 1-1.5 mm; lamina larga fino a 2 cm. Pannocchia terminale spiciforme, lunga fino a 20 cm, con<br />

setole lunghe 2-3.5 volte le spighette; queste ultime lunghe fino a 3 mm; lemma fertile coperto fin quasi all’apice dalla gluma<br />

superiore, liscio. Frutto a cariosside.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Campi, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT),<br />

<strong>Milano</strong> (INV), Pavia (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, in precedenza confusa spesso con S. italica (Melzer & Bregant, 1990; Pol<strong>di</strong>ni et al., 2001),<br />

segnalata per la prima volta in Italia in Friuli-Venezia giulia da Pospichal (1897), in Lombar<strong>di</strong>a a <strong>Milano</strong> da Banfi & galasso<br />

(1998).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente con le sementi da foraggio.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Minimo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Questa specie potrebbe essere il progenitore selvatico <strong>di</strong> S. italica (L.) P.Beauv. oppure un suo feral (Tzvelev, 1976).<br />

Bibliografia: Banfi, 1989; Banfi & galasso, 1998; Melzer & Bregant, 1990; Pol<strong>di</strong>ni et al., 2001; Pospichal, 1897; Tzvelev, 1976; zanotti, 2000<br />

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gramIgna<br />

tenacIssIma<br />

Tipo biologico: Hcaesp<br />

Descrizione: graminacea perenne con culmi alti fino a 1 m e più, eretti, avvolti dalle guaine (spesso fin sotto l’infiorescenza),<br />

formanti densi cespi collegati tra loro da un rizoma strisciante a pelo terra come quello della comune gramigna (Cynodon<br />

dactylon). Foglie del culmo erette, lunghe 20-30 cm e larghe fino a 6 mm, con guaina pelosa al margine; ligula ridotta ad un<br />

ispessimento coriaceo <strong>di</strong> 0.3-0.5 mm; lamina piana, glabra, convoluta all’apice. Pannocchia lineare, compatta, subcilindrica,<br />

<strong>di</strong> 8-20×0.5 cm, spesso sublobata; spighette portate da brevi ramificazioni erette ed appressate al rachide della pannocchia,<br />

subsessili, verdastre; glume lunghe 0.7 e 1.5 mm rispettivamente; lemma lungo 1.7-1.8 mm; cariosside piriforme, <strong>di</strong> 1.5×0.8<br />

mm, finemente rugosa.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia tropicale.<br />

Habitat: Incolti sabbiosi o su terreno a granulometria grossa; non sopporta eccessivo calpestamento.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia almeno dal 1803 e segnalata in natura da Béguinot & Mazza (1916b)<br />

per Liguria e Lombar<strong>di</strong>a. Le prime raccolte in natura sono del 1897 a Napoli, 1907 a genova e 1910 sul Lago d’Iseo (Ugolini,<br />

1917, 1921).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con le lane.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Arietti, 1950; Béguinot & Mazza, 1916b; Ugolini, 1917, 1921<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Sporobolus in<strong>di</strong>cus (L.) R.Br.<br />

Nome volgare: gramigna tenacissima<br />

Basionimo : Agrostis in<strong>di</strong>ca L.<br />

Sinonimi : Agrostis tenacissima L.f.<br />

Axonopus poiretii Roem. & Schult.<br />

Sporobolus poiretii (Roem. & Schult.) Hitch.<br />

Sporobolus tenacissimus (L.f.) j.Presl, comb. superfl.<br />

Sporobolus tenacissimus (L.f.) P.Beauv.<br />

Vilfa in<strong>di</strong>ca (L.) Trin. ex Steud.<br />

Vilfa tenacissima (L.f.) Kunth<br />

gramIgna<br />

a foglIe<br />

guaInantI<br />

Famiglia: Poaceae<br />

Nome scientifico: Sporobolus vaginiflorus<br />

(Torr. ex A.gray) Alph.Wood<br />

Nome volgare: gramigna a foglie guainanti<br />

Basionimo : Vilfa vaginiflora Torr. ex A.gray<br />

Sinonimo: Cryptostachys vaginata Steud.<br />

Muhlenbergia vaginiflora (Torr. ex A.gray) jogan<br />

Sporobolus vaginatus (Steud.) Scribn.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: graminacea annuale alta 20-40 cm, con culmi eretti, fascicolati, gracili. Foglie con guaine caratteristicamente<br />

rigonfie, la superiore spesso includente la parte prossimale dell’infiorescenza principale e le altre avvolgenti completamente<br />

(specialmente a fine stagione) le infiorescenze laterali; ligula breve; lamina larga 2-3 mm, pelosa alla base, convoluta all’apice.<br />

Pannocchia stretta, lunga 2-5 cm, lobata. Spighette uniflore, lunghe 2-3 mm; glume lineari-subaristate, <strong>di</strong>suguali (la superiore<br />

lunga quanto il lemma, l’inferiore la metà o poco più); lemma glabro o tutt’al più scabro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Suoli subari<strong>di</strong> a bassa competizione: pen<strong>di</strong>i, greti asciutti ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Cremona (INV), Lo<strong>di</strong><br />

(NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese (INV). [S. neglectus: Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia segnalata per la prima volta nel goriziano (Cohrs, 1953); in Lombar<strong>di</strong>a segnalata per<br />

la prima volta da zanotti (1996b) che la raccolse nel 1994.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce.<br />

Note: Le infiorescenze incluse nelle guaine portano fiori cleistogami, che non si aprono ma si autoimpollinano producendo normali cariossi<strong>di</strong>.<br />

Questa strategia, che fa parte della così detta sindrome R <strong>di</strong> grime (grime et al. 1988), è con<strong>di</strong>visa da un gran numero <strong>di</strong> piante annuali colonizzatrici<br />

<strong>di</strong> terreni a bassa competizione, come suoli denudati <strong>di</strong> recente, greti ecc. Il vantaggio consiste nel guadagnare tempo sulla riproduzione, in modo<br />

da precedere, con le successive generazioni, la comparsa e la stabilizzazione <strong>di</strong> specie più competitive, bienni e perenni, che finiranno per occupare<br />

stabilmente il suolo. S. neglectus Nash (= S. vaginiflorus (Torr. ex A.gray) Wood var. neglectus (Nash) Scribn.; gramigna minore), pure originario del<br />

Nordamerica, si <strong>di</strong>stingue per le spighette più gran<strong>di</strong> (3-5 mm) e per i lemmi pubescenti. È ugualmente presente nel nostro territorio (Banfi, 2005;<br />

Banfi & galasso, 2005; Bonali et al., 2006a), dove si incontra negli stessi habitat. Entrambe le specie sono attualmente in espansione.<br />

Bibliografia: Banfi, 2005; Banfi & galasso, 2005; Bonali & D’Auria, 2005; Bonali et al., 2006a; Cohrs, 1953; FAB, 2000; grime et al., 1988; Macchi,<br />

2005; zanotti, 1996b<br />

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crespino<br />

<strong>di</strong> Beale<br />

Famiglia: Berberidaceae<br />

Nome scientifico: Berberis bealei Fortune<br />

Nome volgare: crespino <strong>di</strong> Beale, maonia <strong>di</strong> Beale<br />

Sinonimi: Mahonia bealei (Fortune) Carrière<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto alto 1-2 m, con fusto privo <strong>di</strong> spine. Foglie imparipennate, semprever<strong>di</strong>, alterne, lunghe 30-40 cm<br />

o anche più; segmenti 9-15, coriacei, glabri, verde lucente sulla pagina superiore, glauco-opachi inferiormente; segmento<br />

terminale picciolato, <strong>di</strong> 6.5-9.5×4-7 cm, lungo 1-2.5 volte la larghezza, i laterali ovati od ovato-lanceolati, con apice acuminato<br />

e margine provvisto <strong>di</strong> 2-7 gran<strong>di</strong> denti ristretti in una spinula. Infiorescenze racemose, dense, eretto-patenti, fascicolate a 6-9<br />

all’apice dei rami, lunghe 5-17 cm, recanti 70-150 fiori ciascuna; pe<strong>di</strong>celli lunghi 4-6 mm; sepali 6, valvati, gialli, in due verticilli,<br />

gli esterni più brevi, tutti caduchi dopo l’antesi; petali 6, valvati, gialli. Frutto consistente in una bacca blu, pruinosa, oblungoovoide,<br />

lunga 9-12 mm, con 1-10 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: febbraio-aprile.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Boschi termofili a carattere oceanico, con elevata umi<strong>di</strong>tà atmosferica.<br />

Distribuzione nel territorio: Naturalizzata nei pressi del Lago Maggiore ed in particolare nelle località con giar<strong>di</strong>ni e parchi<br />

storici, in cui viene spesso coltivata e da dove sfugge nei boschi a<strong>di</strong>acenti (200-400 m s.l.m.). Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a<br />

da Cerabolini et al. (2008).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Era<strong>di</strong>cazione manuale.<br />

Note: Può essere confusa con specie affini, in particolare B. japonica (Thunb.) R.Br. (= Mahonia japonica (Thunb.) DC.), che <strong>di</strong>fferisce per il segmento<br />

fogliare terminale lungo 2-3.5 volte la larghezza, per le infiorescenze arcuato-pendule, lunghe 10-25 cm e per i peduncoli fiorali lunghi 6-10 mm.<br />

Anche quest’ultima è talvolta coltivata nei giar<strong>di</strong>ni, ma finora non ha fatto comparse in natura. Vettore fondamentale della <strong>di</strong>ffusione della pianta<br />

è l’avifauna frugivora.<br />

Bibliografia: Ahrendt, 1961; Banfi et al., 2009; Cerabolini et al., 2008<br />

maonia<br />

comune<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto alto sino a 2 m, eccezionalmente <strong>di</strong> più; fusti spesso prostrati, ra<strong>di</strong>canti. Foglie semprever<strong>di</strong>, alterne,<br />

lunghe sino a 25 cm, imparipennate, <strong>di</strong> norma con 5-9 segmenti piuttosto coriacei ma flessibili, glabri, verde scuro e lucenti da<br />

adulti, rossastri da giovani; segmento terminale picciolato, 5-9×2.5-4.5 cm, lungo 1.5-2.5 volte la larghezza; segmenti laterali<br />

subsessili, ovato-lanceolati o ellittico-lanceolati, con apice acuto o talvolta ottuso-arrotondato e margine spesso ondulato<br />

con 5-21 piccoli denti spinosi. Infiorescenze racemose, dense, suberette, in gruppi <strong>di</strong> 3-5, lunghe 3-10 cm, ciascuna con 30-60<br />

fiori dall’odore leggero, poco gradevole; sepali 6, valvati, gialli, caduchi dopo l’antesi; petali 6, valvati, gialli, lunghi 6-8 mm,<br />

i 3 interni nettariferi, lievemente più lunghi degli altri; stami 6; ovario supero. Frutto costituito da una bacca blu, pruinosa,<br />

oblungo-ovoide, lunga 6-10 mm, contenente 1-10 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: febbraio-aprile.<br />

Area d’origine: Nordamerica occidentale (costa pacifica).<br />

Habitat: Boschi subacidofili spesso degradati, a carattere mesofilo; termicamente poco esigente. Talvolta anche in impianti <strong>di</strong> conifere.<br />

Distribuzione nel territorio: Presente spora<strong>di</strong>camente in tutto il territorio, soprattutto nella fascia collinare e submontana<br />

(200-550 m s.l.m.); si riscontra in prevalenza nelle aree boschive prossime a giar<strong>di</strong>ni e parchi storici, dove è spesso coltivata<br />

isolata o condotta a siepe. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (CAS), Monza e<br />

Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella prima metà del XIX secolo. Segnalata per la prima volta in<br />

Lombar<strong>di</strong>a da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: L’attuale <strong>di</strong>ffusione della specie e la consistenza numerica delle sue popolazioni spontaneizzate non danno riscontri<br />

negativi in termini <strong>di</strong> impatto.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Era<strong>di</strong>camento manuale con particolare attenzione alla rimozione delle parti ipogee della pianta.<br />

Bibliografia: Ahrendt, 1961; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008, Giordana, 1995<br />

Famiglia: Berberidaceae<br />

Nome scientifico: Mahonia aquifolium (Pursh) Nutt.<br />

Nome volgare: maonia comune<br />

Basionimo: Berberis aquifolium Pursh<br />

88 89


clematide<br />

himalayana<br />

Famiglia: Ranunculaceae<br />

Nome scientifico: Clematis tangutica (Maxim.) Korsh.<br />

Nome volgare: clematide himalayana, clematide gialla<br />

Basionimo: Clematis orientalis L. var. tangutica Maxim.<br />

Tipo biologico: nPlian<br />

Descrizione: Rampicante legnoso con fusti volubili lunghi anche <strong>di</strong>versi metri, oppure (su substrati litici in clima arido)<br />

cespuglio condensato; rami giovani con 6-8 deboli solchi, puberuli quin<strong>di</strong> glabrescenti. Foglie pennate o bipennate, con<br />

picciolo <strong>di</strong> 2-6 cm e lamina a segmenti terminali da ovato-rombici a strettamente ovati, <strong>di</strong> 1-6×0.5-2.8 cm, spesso trilobati.<br />

Fiori solitari, terminali o raramente a 1-3 in cime ascellari, larghi 2-6 cm; perianzio monoclamide con calice <strong>di</strong> 4 sepali gialli,<br />

a volte soffusi <strong>di</strong> porpora; stami numerosi, con filamenti <strong>di</strong> 5-11 mm; ovario apocarpico costituito da numerosi carpelli con<br />

stilo apicale densamente villoso, lungo 0.9-1.5 cm. Il frutto è un acheneto (testa <strong>di</strong> acheni monocarpici), con gli stili accresciuti<br />

fino a 5 cm e piumosi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Asia centro-orientale.<br />

Habitat: Boscaglie umide.<br />

Distribuzione nel territorio: Valtellina, nel bormiese, lungo il Torrente Campello. Sondrio (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a (e, presumibilmente, in Italia) da Meda (2002).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico, ma assai localizzato.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: In alcuni garden center si vende pure C. orientalis L., proveniente dalla stessa area geografica, la quale si <strong>di</strong>stingue per i fiori sempre riuniti in<br />

cime ascellari (mai solitari). Finora non è mai stata osservata fuori coltura.<br />

Bibliografia: Meda, 2002<br />

Fior <strong>di</strong> loto<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne acquatica, alta 1-2 m, con rizoma strisciante nel fango. È riconoscibile per le gran<strong>di</strong><br />

foglie peltate, <strong>di</strong> colore verde-glauco e aspetto ceroso, largamente imbutiformi, larghe 40-80 cm, portate <strong>di</strong>versi decimetri<br />

sopra il pelo dell’acqua da un robusto picciolo lungo più <strong>di</strong> 1 m. I fiori profumati (<strong>di</strong> anice), portati al <strong>di</strong> sopra delle foglie, sono<br />

gran<strong>di</strong>, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 18-35 cm, isolati e sorretti ciascuno da un robusto peduncolo; ricettacolo obconico; perianzio formato<br />

da numerosi segmenti tutti uguali, <strong>di</strong>sposti in una spirale condensata, largamente ovati, concavi, rosa o quasi bianchi; stami<br />

molto numerosi; ovari numerosi, monocarpici, inseriti in alveoli sulla superficie piana del ricettacolo. Il frutto (tecnicamente<br />

pomario) è un cono legnoso rovesciato, con la superficie della base ospitante i singoli pericarpi in cavità simili ai fori <strong>di</strong> un<br />

colino; alla caduta dei <strong>di</strong>sseminuli, il ricettacolo vuoto assomiglia alla testa <strong>di</strong> un innaffiatoio.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Africa e Asia.<br />

Habitat: Acque tranquille permanenti (laghi maggiori e minori, stagni, cave abbandonate ecc.).<br />

Distribuzione nel territorio: Laghi <strong>di</strong> Varese e Comabbio, Palude Brabbia, Laghi <strong>di</strong> Mantova, lungo i fiumi in vecchie lanche<br />

(es. fiume Serio); in pianura, collina e bassa montagna (0-100 m s.l.m.). Brescia (INV), Cremona (NAT), Mantova (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata dall’inizio del secolo XIX all’Orto Botanico <strong>di</strong> Parma e nel 1921 introdotta<br />

deliberatamente nei Laghi <strong>di</strong> Mantova da Maria Pellegreffi (articolo <strong>di</strong> M. G. Fringuellini sul Corriere della Sera del 10 settembre<br />

1976) e qui segnalata da Béguinot (1929). Analogamente, la pianta è stata deliberatamente introdotta in natura nel pisano nel<br />

1917 da Biagio Longo, dove fu poi raccolta nel 1920 da Passerini (1922); espansasi in seguito in Versilia (Montelucci, 1936).<br />

Sempre in Lombar<strong>di</strong>a, era coltivata da prima del 1918 al Lago <strong>di</strong> Comabbio (VA), dove in seguito si è naturalizzata (Stucchi,<br />

1950, 1953b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (idrofloricoltura, sperimentazione alimentare, me<strong>di</strong>cina).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Specie ad alta capacità competitiva e <strong>di</strong> grande adattabilità, fortemente invasiva in ambiente acquatico, dove forma<br />

popolamenti monofitici densi, che sottraggono spazio alla vegetazione in<strong>di</strong>gena, deprimendone la bio<strong>di</strong>versità e alterando<br />

profondamente la fisionomia del paesaggio palustre. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto<br />

<strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Gli interventi <strong>di</strong> contenimento devono prevedere il taglio selettivo prima della fioritura (operazione<br />

che deve essere ripetuta per alcuni anni) o, più drasticamente, l’era<strong>di</strong>cazione totale. Si dovrebbe anche intervenire<br />

preventivamente soprattutto in vicinanza delle zone a rischio, invitando produttori e clienti a rinunciare al giar<strong>di</strong>naggio con<br />

questa pianta, spesso venduta nei garden center, per sostituirla con autoctone del medesimo habitat.<br />

Note: Il genere Nelumbo è il solo rappresentante della sua famiglia, una delle più antiche delle angiosperme, legata nella stessa <strong>di</strong>scendenza<br />

(or<strong>di</strong>ne Nelumbonales) con i platani e le Proteaceae.<br />

Bibliografia: Béguinot, 1929; Montelucci, 1936; Passerini, 1922; Stucchi, 1950, 1953b<br />

Famiglia: Nelumbonaceae<br />

Nome scientifico: Nelumbo nucifera Gaertn.<br />

Nome volgare: fior <strong>di</strong> loto, loto del Giappone<br />

Basionimo: nome basato su Nymphaea nelumbo L.<br />

Sinonimi: Nelumbo speciosa Willd., nom. illeg.<br />

(‘Nelumbium speciosum’)<br />

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platano<br />

comune<br />

Famiglia: Platanaceae<br />

Nome scientifico: Platanus hispanica Mill. ex Münchh.<br />

Nome volgare: platano comune, platano <strong>di</strong> Spagna<br />

Sinonimi: Platanus acerifolia (Aiton) Willd.<br />

Platanus hybrida Brot.<br />

Platanus orientalis auct., non L.<br />

Platanus orientalis L. var. acerifolia Aiton<br />

Platanus occidentalis L. × Platanus orientalis L.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero alto fino a 30 m, longevo (supera i 500 anni), provvisto <strong>di</strong> tronco robusto, con ritidoma staccantesi<br />

in caratteristiche larghe placche grigio-brunastre su fondo biancastro, lisce, dal contorno spesso sinuoso. Foglie alterne,<br />

ricoperte soprattutto abassialmente e da giovani da una pelosità cotonosa, ferruginea, facilmente asportabile; picciolo<br />

con base allargata a imbuto includente la gemma, lungo 3-5 cm; lamina palmato-lobata del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 10-25 cm, a (3-<br />

)5 lobi triangolari-ottusi; lobo centrale all’incirca tanto lungo quanto largo, al margine con 1-3 denti ottusi oppure intero.<br />

Infiorescenze costituite da peduncoli ascellari penduli, uniassiali, recanti <strong>di</strong>versi capolini sessili, unisessuali (pianta monoica),<br />

densi e sferici, <strong>di</strong> cui i 2-3(-5) prossimali femminili e gli 1-2 terminali più piccoli, giallo chiaro, fugaci. Fiori molto piccoli, con<br />

perianzio <strong>di</strong> 4 o 6 segmenti in due verticilli; stami (fiori maschili) 4-6, opposti ai segmenti perianziali esterni; pistilli (fiori<br />

femminili) con ovario supero <strong>di</strong> 3-6 carpelli liberi, contenenti ciascuno 1(-2) ovuli ortotropi, penduli. Le infruttescenze si<br />

<strong>di</strong>sfano a fine inverno, liberando una miriade <strong>di</strong> piccoli acheni affusolati, circondati da peli color ruggine.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno.<br />

Area d’origine: Notospecie osservata per la prima volta in Spagna, nel secolo XVII, come risultato <strong>di</strong> ibridazione spontanea<br />

fra in<strong>di</strong>vidui coltivati <strong>di</strong> P. orientalis L. (SE-europeo-SW-asiatica) e P. occidentalis L. (Nordamerica).<br />

Habitat: Margini stradali, sponde dei fossati, siepi, filari, boscaglie, ruderati, muri e marciapie<strong>di</strong> (plantule).<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT),<br />

Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia presumibilmente nel secolo XVIII (presente in pitture del periodo).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per alberature, parchi ecc.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Limitato.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al Bosco Fontana presso Mantova sono stati praticati interventi sulla quercia rossa e sul platano,<br />

finalizzati a incrementare la necromassa (Cavalli & Mason, 2003).<br />

Note: Platanus deper<strong>di</strong>ta (A.Massal.) Sordelli (= P. aceroides Göpp.) è una paleospecie che nel Terziario (Miocene-Pliocene) era <strong>di</strong>ffusa su tutta l’area<br />

temperata dell’emisfero boreale, per poi sparire completamente nel Pleistocene. È verosimile e probabile che P. occidentalis e P. orientalis siano<br />

derivati da tale ancestro per isolamento geografico, in seguito alla formazione dell’Oceano Atlantico. Dal cospicuo numero <strong>di</strong> reperti fossili (anche<br />

lombar<strong>di</strong>) venuti via via alla luce, appare chiaro che le foglie <strong>di</strong> P. deper<strong>di</strong>ta sono sostanzialmente identiche a quelle <strong>di</strong> P. hispanica. Ciò induce<br />

a pensare che l’ibridazione storica all’origine <strong>di</strong> quest’ultimo (Henry & Flood, 1920; Jones, 1968; Santamour, 1970, 1972; Grimm & Denk, 2008)<br />

abbia ripristinato l’antica specie, sia pure “aggiornata” dalle impercettibili novità genetiche insorte durante l’isolamento evolutivo nelle due entità<br />

parentali. Paradossalmente, dunque, l’alloctona ha ra<strong>di</strong>ci autoctone!<br />

Tutte le segnalazioni lombarde <strong>di</strong> P. orientalis (es. Zersi, 1871; Ugolini, 1899), specie autoctona italiana, sono da riferirsi a P. hispanica.<br />

Bibliografia: Cavalli et al., 2003; Grimm & Denk, 2008; Henry & Flood, 1920; Jones, 1968; Santamour, 1970, 1972; Sordelli, 1896; Ugolini, 1899;<br />

Zersi, 1871<br />

sassiFraga<br />

dei pirenei<br />

Tipo biologico: Hrosul<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, densamente cespitosa con rosette appiattite, semprever<strong>di</strong>, <strong>di</strong> foglie patenti, coriacee,<br />

verde scuro <strong>di</strong> sopra, più o meno violacee <strong>di</strong> sotto, obovato-oblunghe, regolarmente crenate sul bordo e con largo margine<br />

cartilagineo; picciolo largo e appiattito, <strong>di</strong> poco più breve della lamina, densamente cigliato. Infiorescenza a pannocchia<br />

eretta, aperta, lassa, con 5-15 fiori a 5 sepali riflessi e 5 petali <strong>di</strong> 2.5-4×1.5 mm, bianchi, con 2 macchie gialle e numerose<br />

punteggiature cremisi. Il frutto è una capsula a 2 valve con minuti semi portati sull’asse centrale (placentazione assile).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Pirenei centro-occidentali.<br />

Habitat: Vecchie forestazioni <strong>di</strong> pino silvestre, abete bianco e abete rosso, su substrato impietrato.<br />

Distribuzione nel territorio: Valli bergamasche, tra Capo Brembo e Valleve e nella valle <strong>di</strong> Mezzoldo. Bergamo (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in natura in Lombar<strong>di</strong>a da Rota (1853).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Questa specie aliena è affine all’autoctona S. cuneifolia L., che vive negli stessi ambienti e si <strong>di</strong>stingue facilmente per il margine fogliare da<br />

intero a remotamente e largamente dentato e per i petali non punteggiati, ma eventualmente soffusi <strong>di</strong> porpora.<br />

La segnalazione <strong>di</strong> Rota (1853) per la pineta tra Capo Brembo e Valleve, ripresa con dubbio da Pignatti (1982), è confermata da Banfi, che l’ha<br />

osservata naturalizzata in val Mezzoldo (BG) negli anni ‘70 del secolo scorso.<br />

Bibliografia: Pignatti, 1982; Rota, 1853<br />

Famiglia: Saxifragaceae<br />

Nome scientifico: Saxifraga umbrosa L.<br />

Nome volgare: sassifraga dei Pirenei<br />

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Borracina<br />

caucasica<br />

Famiglia: Crassulaceae<br />

Nome scientifico: Phe<strong>di</strong>mus spurius (M.Bieb.) ‘t Hart<br />

Nome volgare: borracina caucasica<br />

Basionimo: Sedum spurium M.Bieb.<br />

Sinonimi: Asterosedum spurium (M.Bieb.) Grulich<br />

Spathulata spuria (M.Bieb.) Á.Löve & D.Löve<br />

Tipo biologico: Chrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, in fioritura alta 20 cm o più; fusti sterili e fertili prostrati, ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie in<br />

genere opposte; lamina obovata oppure ovata, <strong>di</strong> 15-25×6-12 mm, con margine cigliato, base cuneata, apice arrotondato<br />

provvisto <strong>di</strong> alcuni evidenti dentelli. Infiorescenza corimbiforme; fiori subsessili, pentameri; sepali oblunghi con apice ottuso,<br />

lunghi circa 4 mm; petali rosa, purpurei o bianchi, lanceolati, <strong>di</strong> 10-12×2 mm, ad apice acuto o acuminato; stami 10, più corti<br />

dei petali; ovario supero a 5 carpelli saldati alla base. Frutto costituito da 5 follicoli.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia occidentale (Caucaso, Iran e Turchia).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, spesso presso le abitazioni, dove si <strong>di</strong>ffonde su muri e terreni spogli o con bassa copertura<br />

erbacea. Preferisce ambienti moderatamente ari<strong>di</strong> e soleggiati.<br />

Distribuzione nel territorio: In Lombar<strong>di</strong>a è presente allo stato spontaneo soprattutto nella zona collinare. Bergamo (NAT),<br />

Brescia (NAT), Lecco (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo al momento imprecisabile.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da giar<strong>di</strong>no).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Questa specie sembra <strong>di</strong>ffondersi in prevalenza per via vegetativa. Viene comunemente coltivata in numerose cultivar, che <strong>di</strong>fferiscono<br />

principalmente per il colore delle foglie e/o dei fiori.<br />

Borracina<br />

sarmentosa<br />

Tipo biologico: Chrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta alla fioritura circa 15 cm; fusti sterili e fertili prostrati, ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie<br />

verticillate a 3; lamina oblanceolata oppure oblunga, 1.5-2.8×0.3-0.7 cm, margine intero, base bruscamente ristretta, apice<br />

subacuto. Infiorescenza corimbiforme, 3-5 volte ramificata; fiori sessili, <strong>di</strong> solito pentameri; sepali lanceolati oppure oblunghi,<br />

3.5-5 mm, apice ottuso; petali gialli, lanceolati oppure oblunghi, 5-8 mm, apice più o meno lungamente mucronato; stami 10,<br />

più corti dei petali. Frutto costituito da 5 follicoli, con semi ovoi<strong>di</strong> <strong>di</strong> circa 0.5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea, Giappone e nord della Thailan<strong>di</strong>a).<br />

Habitat: Luoghi ari<strong>di</strong> e in genere assolati, spesso presso le abitazioni: muri, argini <strong>di</strong> campi, margini stradali, greti ecc. Di rado<br />

in ambienti a maggior naturalità, come ad esempio in boschi aperti e degradati. Spesso si rinviene spontaneizzata presso<br />

micro<strong>di</strong>scariche, dove probabilmente è stata gettata con altri scarti vegetali da giar<strong>di</strong>no.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusamente presente allo stato spontaneo, anche se mai in modo abbondante, soprattutto in<br />

ambito planiziale e collinare (50-700 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza<br />

e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia dal 1880. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta da Becherer (1976),<br />

che l’ ha raccolta nel 1975 sul Lago <strong>di</strong> Ghirla (VA) e da Arietti & Crescini (1980), che l’ hanno osservata da prima, a partire dal<br />

1972 a Botticino Mattino (BS).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Attualmente irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Estirpazione manuale, evitando <strong>di</strong> lasciare frammenti <strong>di</strong> fusto, in quanto principale veicolo <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>spersione.<br />

Note: Questa specie sembra <strong>di</strong>ffondersi in prevalenza per via vegetativa.<br />

Famiglia: Crassulaceae<br />

Nome scientifico: Sedum sarmentosum Bunge<br />

Nome volgare: borracina sarmentosa<br />

Sinonimi: Sedum lineare auct., non Thunb.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Becherer, 1976; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Macchi, 2005; Zanotti, 1991b<br />

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milleFoglio<br />

d’acqua<br />

Famiglia: Haloragaceae<br />

Nome scientifico: Myriophyllum aquaticum (Vell.) Verdc.<br />

Nome volgare: millefoglio d’acqua<br />

Basionimo: Enydria aquatica Vell.<br />

Sinonimi: Myriophyllum brasilense Cambess.<br />

Myriophyllum proserpinacoides Gillies ex Hook.& Arn.<br />

Tipo biologico: Hyrad<br />

Descrizione: Pianta erbacea acquatica con foglie sia aeree sia sommerse, <strong>di</strong>sposte in verticilli <strong>di</strong> 4-6 lungo il fusto. Foglie<br />

giallo-verde chiaro o verde glauco, pennatifide, le sommerse lunghe 1.5-3.5 cm con 20-30 segmenti filiformi per lamina;<br />

le aeree lunghe 2-5 cm con 6-18 segmenti. Fiori piccoli, unisessuali (pianta monoica), <strong>di</strong>sposti in spiga terminale all’ascella<br />

delle foglie aeree; i superiori maschili con 4 piccoli petali bianchi, caduchi e 4 o 8 stami; gli inferiori femminili, privi <strong>di</strong> corolla,<br />

con ovario a 4 loculi e 4 stimmi sessili o subsessili. Il frutto è uno schizocarpo <strong>di</strong> 4 otricelli separantisi longitu<strong>di</strong>nalmente.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica (Rio delle Amazzoni).<br />

Habitat: Stagni, laghetti, canali.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora naturalizzata soltanto nella pianura bresciana. Brescia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del secolo scorso. Segnalata per la prima volta in<br />

Italia da Minutillo & Moraldo (1994) che la raccolsero nel 1988 e nel 1992 nelle province <strong>di</strong> Latina e Caserta; in Lombar<strong>di</strong>a è<br />

stata rinvenuta nel 2003 da Frattini (Conti et al., 2007; Frattini, 2008).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per piante d’acquario.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Attualmente no.<br />

Impatto: Attualmente irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Poiché in alcuni stati risulta invasiva, va tenuta sotto controllo.<br />

Bibliografia: Conti et al., 2007; Frattini, 2008; Lastrucci et al., 2006; Minutillo & Moraldo, 1994<br />

vite del<br />

canada<br />

Famiglia: Vitaceae<br />

Nome scientifico: Parthenocissus quinquefolia (L.) Planch.<br />

Nome volgare: vite del Canada<br />

Basionimo: Hedera quinquefolia L.<br />

Sinonimi: Ampelopsis hederacea (Ehrh.) DC.<br />

Ampelopsis quinquefolia (L.) Michx.<br />

Cissus quinquefolia (L.) Borkh.<br />

Parthenocissus inserta (A.Kern.) Fritsch<br />

Psedera quinquefolia (L.) Greene<br />

Vitis hederacea Ehrh. / Vitis inserta A.Kern.<br />

Vitis quinquefolia (L.) Lam.<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Arbusto deciduo con fusti striscianti e rampicanti per mezzo <strong>di</strong> viticci (infiorescenze trasformate in organi <strong>di</strong><br />

adesione), lunghi fino a 10(-30!) m; ritidoma bruno-rossastro, non sfibrato in placche; viticci opposti alle foglie, <strong>di</strong>visi in 5-8<br />

ramificazioni più o meno evidentemente terminate da un <strong>di</strong>sco adesivo. Foglie <strong>di</strong>gitate, abassialmente da opaco-glaucescenti<br />

a verde lucido, arrossate d’estate, rosso scuro in autunno, glabre; segmenti in numero <strong>di</strong> (3-)5(-7), brevemente picciolettati e<br />

caduchi, obovato-oblanceolati, il maggiore (centrale) <strong>di</strong> 3-10×2-6 cm, con margine a denti irregolari, acuti; segmenti laterali<br />

minori e spesso asimmetrici. Fiori numerosi in pannocchie subemisferiche, terminali e opposte alle foglie; calice assente;<br />

corolla <strong>di</strong> 5 petali verdastri lunghi circa 3 mm, riflessi. Frutto a bacca nero-blu, pruinosa, subsferica, contenente 1-2 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ruderi, macerie, muri, bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> sentieri, massicciate ferroviarie, boscaglie, boschi ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, prevalentemente planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona<br />

(INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Seicento, nel 1793 comunemente coltivata e consigliata a <strong>Milano</strong><br />

(Anonimo, 1793); nel 1863 naturalizzata nel trevigiano (Saccardo, 1863), nel 1884 sulle mura <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (Omati, 1884), nel 1907<br />

nel bresciano (Ugolini, 1907).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, con finalità orticolturale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Negli ambienti sinantropici determina un abbassamento della bio<strong>di</strong>versità in quanto soppianta rampicanti<br />

autoctone; in ambiente seminaturale/naturale la sua presenza è ancora contenuta, ma ugualmente minacciosa in relazione ai<br />

rischi <strong>di</strong> degrado e <strong>di</strong> sostituzione delle rampicanti autoctone.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: È una pianta che andrebbe eliminata dal mercato florovivaistico, dai parchi e dai giar<strong>di</strong>ni.<br />

Note: Le forme caratterizzate da faccia abassiale verde lucido nei segmenti fogliari, da viticci allungati a 3-5 ramificazioni prive <strong>di</strong> <strong>di</strong>sco adesivo<br />

(solo un ispessimento terminale fatto per agganciare l’interno delle fessure) e da infiorescenze mai terminali, più piccole e più ramificate, vengono<br />

da molti autori (es. Laguna Lumbreras, 2005) identificate con il binomio P. inserta. Può essere che questa entità, simpatrica con P. quinquefolia, in<br />

Nordamerica si mantenga in qualche modo <strong>di</strong>stinta, mentre in Europa, come osserva Webb (1968), almeno una parte delle popolazioni presenta<br />

caratteri promiscui, facendo pensare a un rimescolamento dei due genomi. D’altra parte nessun in<strong>di</strong>viduo con presunti caratteri <strong>di</strong> P. inserta<br />

(soprattutto i viticci senza <strong>di</strong>sco adesivo) presente nel nostro territorio può mai essere ricondotto sod<strong>di</strong>sfacentemente a tale taxon. Per questi<br />

motivi e in accordo con la recente checklist sinonimica della flora degli Stati Uniti (Kartesz, 1998), preferiamo considerare P. inserta sinonimo <strong>di</strong> P.<br />

quinquefolia.<br />

Bibliografia: Anonimo, 1793; Kartesz, 1998; Laguna Lumbreras, 2005; Omati, 1884; Saccardo, 1863; Ugolini, 1907; Webb, 1968<br />

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vite<br />

riparia<br />

Famiglia: Vitaceae<br />

Nome scientifico: Vitis riparia Michx.<br />

Nome volgare: vite riparia, vite selvatica americana<br />

Sinonimi: Vitis cor<strong>di</strong>folia Michx. var. riparia (Michx.)<br />

A.Gray<br />

Vitis vulpina auct., non L.<br />

Vitis vulpina L. subsp. riparia (Michx.) R.T.Clausen<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Liana legnosa, con fusto prostrato-strisciante o rampicante su alberi e arbusti, lungo fino a 35 m e rami provvisti<br />

<strong>di</strong> robusti viticci bifi<strong>di</strong> (infiorescenze trasformate in organi <strong>di</strong> appiglio); ritidoma sfibrato in lunghe placche nastriformi. Foglie<br />

a lamina palmato-3-lobata, da subintera a incisa in 3 cuspi<strong>di</strong> poco profonde, lunga fino a 15 cm o più, verde scuro, opaca<br />

o appena sublucida, piana, liscia o leggermente crispata sulla faccia adassiale, da giovane pubescente su entrambe le facce<br />

(più densamente su quella abassiale), poi solo abassialmente, in particolare lungo le nervature, con vistosi ciuffi <strong>di</strong> peli rigi<strong>di</strong><br />

all’ascella <strong>di</strong> queste ultime; dentatura marginale a profilo triangolare-acuto; cuspi<strong>di</strong> acute, le due laterali <strong>di</strong> norma acuminatosubcaudate;<br />

seno basale a U. Viticci opposti alle foglie, mancanti in successione in corrispondenza <strong>di</strong> ogni quarta foglia.<br />

Infiorescenza a pannocchia lunga 7-12 cm, con profilo strettamente triangolare; fiori prevalentemente unisessuali (pianta<br />

funzionalmente <strong>di</strong>oica); perianzio monoclamide, caduco (a coperchietto), formato da 5 segmenti saldati fra loro nella metà<br />

apicale; stami 5; ovario supero. I frutti sono bacche (“acini”) del <strong>di</strong>ametro massimale <strong>di</strong> 12 mm, nere, fortemente pruinose;<br />

mesocarpo gommoso, ben separato dall’epicarpo; semi (“vinaccioli”) piriformi, a estremità calazale bilobata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Boscaglie planiziali e fluviali degradate, argini ferroviari, <strong>di</strong> norma su suolo piuttosto umido.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV). [V. berlan<strong>di</strong>eri ×riparia : Brescia (INV), Cremona<br />

(INV), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).] [V. riparia ×rupestris: Brescia (NAT), Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1806, ma <strong>di</strong>ffusa dalla seconda metà dell’Ottocento per <strong>di</strong>fendere i<br />

vigneti dalla fillossera. La sua presenza in natura in Italia è stata sempre erroneamente riferita alle congeneri V. vulpina L. e Vitis<br />

vinifera L. subsp. sylvestris (C.C.Gmel.) Beger oppure a generici portainnesti americani. La sua prima corretta identificazione si<br />

deve a Banfi & Galasso (1998) per la città <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (portainnesto per i vitigni contro la fillossera).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È tra le aliene <strong>di</strong> recente <strong>di</strong>ffusione che con<strong>di</strong>zionano la qualità della vegetazione e del paesaggio in ambito<br />

planiziale e golenale. Infatti arriva a rivestire completamente siepi, arbusti, piccoli alberi e cumuli <strong>di</strong> detriti, nonché è in grado<br />

<strong>di</strong> formare fitti ed estesi tappeti sul terreno degli argini, sul suolo umido delle boscaglie o al margine dei campi coltivati.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Era<strong>di</strong>cazione delle piante e dei vigneti abbandonati. Vietare lo spargimento dei residui <strong>di</strong> potatura.<br />

Note: La vite selvatica americana venne introdotta allo scopo <strong>di</strong> risolvere il problema della fillossera (Viteus vitifoliae Fitch 1855), che flagellava la viticoltura<br />

europea. Questo insetto nordamericano, che è presente sin dal 1863 in Francia ed è stato segnalato per la prima volta in Italia nel 1879 a Valmadrera (LC)<br />

e Agrate Brianza (MB), si nutre della linfa della pianta, attaccando sia l’apparato ra<strong>di</strong>cale sia le parti aeree. La vite comune (V. vinifera L.) non viene aggre<strong>di</strong>ta<br />

nelle parti aeree, mentre soccombe a livello ra<strong>di</strong>cale; agli attacchi ra<strong>di</strong>cali sono invece immuni le specie americane, motivo per cui V. riparia fu impiegata<br />

come portainnesto. Alla stessa funzione vengono a<strong>di</strong>biti gli ibri<strong>di</strong> (ottenuti artificialmente in Europa) <strong>di</strong> questa con altre due specie, V. berlan<strong>di</strong>eri Planch. e<br />

V. rupestris Scheele, i quali poi si ritrovano qua e là casuali, naturalizzati o invasivi dopo l’abbandono <strong>di</strong> appezzamenti <strong>di</strong> vigneto, dove sopraffanno l’innesto<br />

sviluppandosi e propagandosi. L’ibrido con V. berlan<strong>di</strong>eri (vite americana ibrida) si riconosce per i ciuffi <strong>di</strong> peli abassiali all’ascella delle nervature fogliari<br />

molto ridotti e scarsi, per la presenza <strong>di</strong> pelosità ragnatelosa specialmente alla base della lamina, per i denti marginali ogivali e per il seno basale chiuso a<br />

lira anziché a forma <strong>di</strong> U; in Lombar<strong>di</strong>a è specie invasiva, a volte maggiormente della pura V. riparia. L’ibrido con V. rupestris è decisamente più variabile e<br />

<strong>di</strong>fficile da riconoscere, presentando come unico carattere evidente, ma statistico, una lamina con seno basale assai poco profondo (a U molto allargata);<br />

inoltre le foglie sono spesso ripiegate lungo la nervatura centrale come in V. rupestris (ve<strong>di</strong> scheda) e presentano spesso piccoli ciuffi <strong>di</strong> peli rigi<strong>di</strong> sulla faccia<br />

abassiale all’ascella nervature come in V. riparia. In Lombar<strong>di</strong>a, segnalata qui per la prima volta in Italia, è specie naturalizzata. Infine l’uva fragola (V. labrusca<br />

L.), cultispecie domesticata in epoca preistorica dagli in<strong>di</strong>geni nordamericani (probabilmente con il coinvolgimento iniziale <strong>di</strong> V. riparia), tra<strong>di</strong>zionalmente<br />

utilizzata per le pergole e, nel Veneto, anche per la produzione locale del “Fragolino”. Non tende a sfuggire e si può trovare qua e là soltanto casuale. Gran<br />

parte delle segnalazioni rinvenibili in letteratura per questo taxon sono da riferirsi a Vitis riparia e ai suoi ibri<strong>di</strong>.<br />

vite<br />

rupestre<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Arbusto ramosissimo con habitus cespuglioso-arrotondato, a volte decombente-strisciante, alto 0.5-2m.<br />

Foglie reniformi (generalmente più larghe che lunghe), intere, me<strong>di</strong>amente minori <strong>di</strong> 7 cm, <strong>di</strong> rado superanti i 10 cm, verde<br />

glauco, lucide con riflessi metallici, caratteristicamente ripiegate a V (specialmente in fase giovanile) lungo la nervatura<br />

centrale; lamina consistente, a volte ispessita e subcoriacea, liscia sulla faccia adassiale, glabra (raramente da giovane con<br />

lanugine sparsa lungo i nervi della faccia abassiale); denti marginali triangolari, i me<strong>di</strong>ani non molto pronunciati, subapicolati;<br />

base piana o cuneata, seno basale assente. Viticci (infiorescenze trasformate in organi <strong>di</strong> appiglio) opposti alle foglie, assenti in<br />

corrispondenza <strong>di</strong> ogni quarta foglia, lunghi meno <strong>di</strong> 11 cm, interi o bifi<strong>di</strong>. Pannocchia lunga 4-7 cm, generalmente globosa,<br />

con fiori in prevalenza unisessuali (pianta funzionalmente <strong>di</strong>oica); perianzio monoclamide, caduco (a coperchietto), formato<br />

da 5 segmenti saldati fra loro nella metà apicale; stami 5; ovario supero. Racemo fruttifero <strong>di</strong> 4-8 cm, lasso, generalmente<br />

con 12-25 bacche (“acini”) fino a 12 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, nere, debolmente pruinose; mesocarpo a maturità gommoso, separato<br />

dall’epicarpo; semi (“vinaccioli”) piriformi a estremità calazale bilobata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Ruderati e margini termofili.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuta soltanto per l’Oltrepo pavese. Pavia (NAT). [V. berlan<strong>di</strong>eri ×rupestris: Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa intorno al 1860 per <strong>di</strong>fendere i vigneti dalla fillossera. Nei rilievi<br />

floristici nazionali sempre trascurata e segnalata per la prima volta da Acosta et al. (2007) per l’Italia centrale. In Lombar<strong>di</strong>a<br />

viene qui segnalata per la prima volta, naturalizzata nel pavese (Nicola Ardenghi, in verbis).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (portainnesto per i vitigni contro la fillossera).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Potenzialmente sì.<br />

Impatto: Questa specie è maggiormente <strong>di</strong>ffusa in ambiente me<strong>di</strong>terraneo, dove presenta capacità invasiva, anche se<br />

apparentemente inferiore all’ibrido con V. riparia. È dunque potenzialmente dannosa per la bio<strong>di</strong>versità e va mantenuta<br />

monitorata anche in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Era<strong>di</strong>cazione delle piante e dei vigneti abbandonati. Vietare lo spargimento dei residui <strong>di</strong><br />

potatura.<br />

Note: Per la fillossera si veda la scheda <strong>di</strong> V. riparia. Oltre agli ibri<strong>di</strong> già citati in quella scheda ricor<strong>di</strong>amo qui quello tra questa specie e V. berlan<strong>di</strong>eri<br />

Planch., molto simile a V. riparia × rupestris ma riconoscibile per i denti ogivali e l’assenza <strong>di</strong> ciuffi <strong>di</strong> peli rigi<strong>di</strong> sulla faccia abassiale all’ascella<br />

nervature; in Lombar<strong>di</strong>a, segnalata qui per la prima volta in Italia, è specie naturalizzata (Nicola Ardenghi, in verbis).<br />

Bibliografia: Acosta et al., 2007; Laguna Lumbreras, 2003, 2004; Moore, 1991<br />

Famiglia: Vitaceae<br />

Nome scientifico: Vitis rupestris Scheele<br />

Nome volgare: vite rupestre<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Galasso et al., 2007a; Laguna Lumbreras, 2003, 2004; Moore, 1991<br />

98 99


indaco<br />

Bastardo<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Amorpha fruticosa L.<br />

Nome volgare: indaco bastardo, amorfa<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto <strong>di</strong> odore fetido, alto 1-2(-6) m, con rami giovani sparsamente pubescenti. Foglie imparipennate a (7-<br />

)13-17 segmenti ellittici <strong>di</strong> 15-40×8-20 mm, pubescenti o subglabri, portati da un piccioletto <strong>di</strong> 2 mm; stipole lineari (3-4<br />

mm), precocemente caduche. Fiori in racemi spiciformi lineari (10-15×1 cm) formati da numerosissimi fiori papilionacei<br />

irregolarmente unilaterali, lunghi circa 6 mm; calice campanulato a 5 denti, lungo 2.5 mm; corolla ridotta al solo vessillo<br />

violaceo-porporino; stami <strong>di</strong>adelfi (1 libero + 9 saldati a tubo per i filamenti), brevemente sporgenti. Legumi punteggiatoghiandolosi,<br />

lunghi 7-9 mm, con 1(-2) semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Greti e alvei fluviali, nelle aree potenzialmente <strong>di</strong> pertinenza dei saliceti arbustivi; cave.<br />

Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po, ma anche lungo i suoi affluenti. Bergamo (INV), Brescia<br />

(INV), Como (CAS), Cremona (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT),<br />

Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1724. In Italia coltivata dal Settecento; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata<br />

almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1879 (Paglia, 1879).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, come soggetto da giar<strong>di</strong>no e per la produzione <strong>di</strong> vimine.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Invadendo le sponde fluviali, determina una cospicua caduta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità poiché e<strong>di</strong>fica comunità <strong>di</strong> poche<br />

specie invasive che vanno a sostituire i saliceti arbustivi; l’indaco bastardo è inoltre in grado <strong>di</strong> eutrofizzare i suoli, in quanto<br />

riccamente dotato <strong>di</strong> noduli ra<strong>di</strong>cali ospitanti batteri simbionti azotofissatori. È specie inclusa nella lista nera delle specie<br />

alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a; è inoltre<br />

inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r. 5/2007.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Evitare la <strong>di</strong>ffusione dei semi e dei piccoli frammenti <strong>di</strong> fusti e ra<strong>di</strong>ci. Nei popolamenti stabilizzati il<br />

taglio è efficace solo se in combinazione con erbici<strong>di</strong> (il cui uso deve essere però autorizzato). Le giovani piante devono essere<br />

era<strong>di</strong>cate e poiché rami e ra<strong>di</strong>ci sono in grado <strong>di</strong> generare nuovi in<strong>di</strong>vidui, tutte le parti della pianta vanno bruciate e non<br />

devono assolutamente essere compostate o mischiate ad altri cascami vegetali.<br />

Note: L’indaco bastardo può essere confuso con i giovani in<strong>di</strong>vidui e i rigetti <strong>di</strong> robinia (Robinia pseudoacacia). Per <strong>di</strong>stinguerlo valgono i seguenti<br />

caratteri: la robinia è spinosa, non ha odori <strong>di</strong> sorta e le infiorescenze sono bianche e pendule; il fusto dell’indaco bastardo è peloso.<br />

Bibliografia: Ciotti & Maspoli, 2006; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Paglia, 1879; Zavagno & D’Auria, 2001<br />

Fagiolino<br />

sotterraneo<br />

Tipo biologico: Tlian<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale con ra<strong>di</strong>ce carnosa e fusti volubili, esili, lunghi fino a 1.5 m. Foglie trifoliolate con picciolo<br />

<strong>di</strong> 10 cm e segmenti lunghi fin oltre 8 cm, da ovati a deltoi<strong>di</strong>, acuti, verde scuro adassialmente, più chiaro sulla faccia abassiale,<br />

con pelosità appressata. Fiori <strong>di</strong> tre tipi: quelli della sommità della pianta casmogami e in parte cleistogami, in racemi ascellari<br />

lunghi fino a 15 cm, papilionacei, purpurei, con vessillo <strong>di</strong> 1.5×0.5 cm, quelli della parte inferiore sotterranei, cleistogami, privi<br />

<strong>di</strong> corolla, in gruppetti compatti. Il frutto prodotto dai fiori superiori è un legume lineare-oblungo, con 3-4 semi; quello dei<br />

fiori inferiori, a sviluppo sotterraneo (come l’arachide), ha forma più o meno globosa ed è indeiscente (tecnicamente una<br />

càmara), con all’interno un solo seme.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Radure e <strong>di</strong>scontinuità nelle boscaglie.<br />

Distribuzione nel territorio: Brianza, attualmente puntiforme nella fascia pedecollinare (190 m s.l.m.). Monza e Brianza (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta molto recentemente: la prima segnalazione italiana e lombarda (Banfi & Galasso,<br />

2007) riguarda campioni raccolti nel 2006.<br />

Modalità d’introduzione: Al momento imprecisabile, sebbene verosimilmente deliberata.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al momento non necessarie, anche se è consigliabile il monitoraggio.<br />

Note: Il genere Amphicarpacea Elliot ex Nutt. comprende presumibilmente (3-)5 specie rampicanti originarie <strong>di</strong> Asia orientale, America<br />

nordorientale e Africa centrale. Le entità americane sono molto simili tra loro e sono state spesso trattate come un’unica specie, all’interno della<br />

quale si <strong>di</strong>stinguono tre linee morfologiche e isozimiche ben <strong>di</strong>stinte, tra loro simpatriche, che riflettono l’adattamento agli habitat ombrosi o<br />

soleggiati qui trattati come specie <strong>di</strong>verse: linea Ia (= morfotipo “comosa”: pubescente, foglioline larghe, <strong>di</strong> ambiente soleggiato), Ib (= morfotipo<br />

“bracteata a foglioline larghe”: sparsamente pubescente, <strong>di</strong> ambiente ombroso) e II (= morfotipo “bracteata a foglioline strette”: sparsamente<br />

pubescente, <strong>di</strong> ambiente soleggiato). La pianta ritrovata in Lombar<strong>di</strong>a corrisponde al morfotipo “comosa”, da chiamarsi appunto Amphicarpaea<br />

comosa.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2007<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Amphicarpaea comosa (L.) G.Don<br />

ex Loudon<br />

Nome volgare: fagiolino sotterraneo<br />

Basionimo: Glycine comosa L.<br />

Sinonimi: Amphicarpaea bracteata auct., non (L.) Fernald<br />

Amphicarpaea bracteata (L.) Fernald var. comosa (L.) Fernald<br />

Amphicarpaea comosa (L.) Nieuwl. & Lunell, comb. superfl.<br />

100 101


glicine<br />

tuBeroso<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Apios americana Me<strong>di</strong>k.<br />

Nome volgare: glicine tuberoso<br />

Basionimo: nome basato su Glycine apios L.<br />

Sinonimi: Apios tuberosa Moench, nom. illeg.<br />

Tipo biologico: Hlian<br />

Descrizione: Pianta erbacea rampicante, perenne, con rizoma sotterraneo orizzontale, tuberiforme; fusto volubile, glabro o<br />

pubescente, lungo 30-120 cm. Foglie imparipennate con (3-)5-9 segmenti lanceolati od ovato-lanceolati, acuti, lunghi 3-10<br />

cm. Racemi multiflori (me<strong>di</strong>amente più <strong>di</strong> 20 fiori), compatti; fiori papilionacei, con calice bilabiato <strong>di</strong> 2-3 mm a denti brevi e<br />

corolla bruno-porporina a vessillo lungo 10-12 mm. Legume <strong>di</strong> 6-12 cm; semi bruno scuro <strong>di</strong> circa 6 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Boschi umi<strong>di</strong> ripariali.<br />

Distribuzione nel territorio: In pianura, lungo il Po e i suoi affluenti. Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova<br />

(NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta e coltivata in Italia sin dal Seicento. Segnalata per la Lombar<strong>di</strong>a da Bertoloni<br />

(1847) e come già <strong>di</strong>ffusa nel mantovano da Paglia (1879) e nel pavese da Cavara (1894).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, ad uso <strong>di</strong> sperimentazione alimentare per i suoi tuberi eduli ed anche come curiosità<br />

da giar<strong>di</strong>no.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Senza rilievo.<br />

Bibliografia: Bertoloni, 1847; Cavara, 1894; Paglia, 1879<br />

spino<br />

<strong>di</strong> giuda<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero alto sino a 20 m, eccezionalmente oltre, con chioma espansa e arrotondata; tronco e rami provvisti <strong>di</strong><br />

robuste spine semplici o ramificate. Foglie decidue, alterne, 1-2-pennate, con rachide lungo 12-18 cm; segmenti in 12-15 paia,<br />

oblunghi, lunghi 2-3 cm, con margine crenulato. Infiorescenze formate da racemi ascellari lunghi 5-7 cm; fiori <strong>di</strong> circa 5 mm,<br />

con calice campanulato a 5 denti e corolla <strong>di</strong> 3-5 piccoli petali verdastri; stami 6-10. Frutto costituito da un lomento (legume<br />

indeiscente con mesocarpo polposo) delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> 30-40×3-4 cm, <strong>di</strong>ritto o un po’ falcato, piatto, <strong>di</strong> colore bruno scuro,<br />

contenente semi ellittici <strong>di</strong> colore bruno-nerastro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Boscaglie e boschi degradati, spesso in prossimità <strong>di</strong> esemplari coltivati. Piuttosto frequente lungo le rive dei corsi<br />

d’acqua, anche se rifugge i ristagni e, nella parte orientale della regione, lungo i binari ferroviari.<br />

Distribuzione nel territorio: In prevalenza nell’area planiziale e collinare (50-400 m s.l.m.), ma con una <strong>di</strong>stribuzione molto<br />

<strong>di</strong>scontinua. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la fine del XVIII secolo; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785<br />

(Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno dal 1884 (Omati, 1884).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (sperimentazione forestale, florovivaistica).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Attualmente la specie non manifesta impatto <strong>di</strong> rilievo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione della rinnovazione.<br />

Note: Viene spesso coltivato nei parchi per il suo portamento maestoso, a volte in cultivar inermi.<br />

Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Omati, 1884<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Gle<strong>di</strong>tsia triacanthos L.<br />

Nome volgare: spino <strong>di</strong> Giuda<br />

102 103


lupino<br />

americano<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Lupinus polyphyllus Lindl.<br />

Nome volgare: lupino americano, lupino da giar<strong>di</strong>no<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne alta sino a 1.5 m. Foglie alterne, palmatopartite; segmenti fogliari in numero <strong>di</strong> 9-17,<br />

4-15×1-3 cm, lanceolati, con <strong>di</strong>ffusa pelosità appressata sulla pagina inferiore ed apice acuto. Fiori riuniti in densi racemi<br />

cilindrici, terminali, lunghi 15-50 cm; calice bilabiato a 5 denti; corolla papilionacea lunga 12-16 mm, <strong>di</strong> colore blu, raramente<br />

porpora, rosa o bianca. Frutto costituito da un legume <strong>di</strong> 2.5-6×0.7-1 cm, con pelosità appressata; semi ovoi<strong>di</strong>.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica occidentale.<br />

Habitat: Radure in boschi <strong>di</strong> latifoglie.<br />

Distribuzione nel territorio: Val Camonica. Brescia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Conti et al.<br />

(2007) in base a osservazioni <strong>di</strong> Silvio Frattini del 2006.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Si suggerisce il monitoraggio.<br />

Bibliografia: Conti et al., 2007<br />

pueraria<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Pueraria lobata (Willd.) Ohwi<br />

Nome volgare: pueraria, kudzu<br />

Basionimo: Dolichos lobatus Willd.<br />

Sinonimi: Dolichos hirsutus Thunb.<br />

Pachyrhizus thunbergianus Siebold & Zucc.<br />

Pueraria hirsuta (Thunb.) C.K.Schneid., non Kurz , nom.illeg.<br />

Pueraria montana (Lour.) Merr. var. lobata (Willd.)<br />

Maesen & S.M.Almeida ex Sanjappa & Pradeep<br />

Pueraria thunbergiana (Siebold & Zucc.) Benth.<br />

Tipo biologico: nPlian<br />

Descrizione: Liana con rizoma sotterranea e fusti che possono raggiungere e superare i 20 m <strong>di</strong> lunghezza. Foglie decidue,<br />

alterne; lamina composta in genere da 3 segmenti <strong>di</strong> cui i laterali a volte lobati, ovato-romboidali, lunghi 10-18 cm, a margine<br />

intero, pubescenti su entrambe le pagine e con apice acuminato. Fiori <strong>di</strong> circa 1.5 cm, riuniti in densi racemi eretti lunghi sino<br />

a 25 cm; calice pubescente; corolla papilionacea, viola-rossastra, con vessillo obovato-subrotondo. Frutto costituito da un<br />

legume lineare-oblungo, <strong>di</strong> 5-13×0.7-1.2 cm, pubescente.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Russia, Cina, Giappone, Penisola Indocinese ecc.) e isole del Pacifico sud-occidentale.<br />

Habitat: Sempre nei pressi <strong>di</strong> abitazioni, oppure lungo strade o ferrovie. Pre<strong>di</strong>lige posizioni ben soleggiate e spesso in luoghi<br />

piuttosto cal<strong>di</strong>.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa su tutto il territorio regionale (150-400 m s.l.m.), ma soprattutto nella parte occidentale.<br />

Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Pavia (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1878 e naturalizzata in Lombar<strong>di</strong>a dal 1940 (Arietti, 1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Specie con un’impressionante capacità <strong>di</strong> accrescimento (sino a 30 m all’anno!), che le consente <strong>di</strong> ricoprire<br />

pressoché uniformemente tutte le superfici che incontra (alberi, e<strong>di</strong>fici ed altri manufatti, terreno ecc.), senza problemi nel<br />

raggiungere altezze considerevoli. È da considerarsi un vero e proprio flagello vegetale! È specie inclusa nella lista nera delle<br />

specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile controllo, in quanto il rizoma sotterraneo si allunga e si ramifica velocemente<br />

mentre i fusti ra<strong>di</strong>cano facilmente ai no<strong>di</strong>. Si consiglia il taglio (almeno 3-4 volte l’anno, ripetuto per alcuni anni), coa<strong>di</strong>uvato<br />

dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> (solo sulla porzione ra<strong>di</strong>cata al suolo). Occorre rimuovere accuratamente le parti tagliate e <strong>di</strong>struggerle.<br />

Evitare nel modo più assoluto ogni azione che possa favorire la propagazione della specie.<br />

Note: P. lobata, (con foglioline trilobate, raramente intere, circa tanto lunghe quanto larghe) è da alcuni autori ridotta a varietà (Maesen, 1985, 2002)<br />

<strong>di</strong> montana (con foglioline prevalentemente intere, spesso più lunghe che larghe) o, ad<strong>di</strong>rittura, sinonimizzata con essa (Ward, 1998). Tuttavia le<br />

sequenze dei microsatelliti separano chiaramente queste entità (Sun et al., 2005), così che è legittimo mantenerle specie <strong>di</strong>stinte.<br />

Bibliografia: Arietti, 1950; Maesen, 1985, 2002; Pappert et al., 2000; Pavan Arci<strong>di</strong>aco et al., 1990; Sun et al., 2005; Ward, 1998<br />

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oBinia<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Robinia pseudoacacia L.<br />

Nome volgare: robinia, gaggìa, acacia<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero deciduo alto 2-25 m oppure arbusto pollonante (ceduato), con sistema ra<strong>di</strong>cale molto esteso in<br />

superficie; ritidoma <strong>di</strong> rami e giovani fusti omogeneo, grigiastro, quello dei tronchi fessurato longitu<strong>di</strong>nalmente in losanghe<br />

lunghe e strette. Foglie composte in me<strong>di</strong>a <strong>di</strong> 13-15 segmenti ellittici, <strong>di</strong> 3-5×1-2 cm, arrotondati all’apice, <strong>di</strong> un verde un<br />

po’ glauco, più chiari <strong>di</strong> sotto; stipole trasformate in spine robuste, nero-brunastre. Fiori molto profumati, in racemi ascellari<br />

penduli, lunghi 10-20 cm; corolla papilionata, lunga 15-20 mm, bianca con vessillo giallo alla base; stami <strong>di</strong>adelfi (1 libero<br />

+ 9 saldati a tubo per i filamenti); ovario supero, stilo sporgente dal tubo degli stami. Il frutto è un legume <strong>di</strong> 5-10×1 cm,<br />

appiattito, glabro, contenente 3-10 semi lenticolari-reniformi, bruni, opachi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale (regione appalachiana).<br />

Habitat: Boschi planiziali e collinari, scarpate, incolti, siepi.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona<br />

(INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1601, in Italia nel 1662 (Orto Botanico <strong>di</strong> Padova). In Lombar<strong>di</strong>a<br />

coltivata almeno dal 1785 all’Orto Botanico <strong>di</strong> Pavia (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789); reintrodotta<br />

(me<strong>di</strong>ante nuovi esemplari americani) e <strong>di</strong>ffusa in Lombar<strong>di</strong>a nel 1787-1789 da parte del conte Luigi Castglioni e,<br />

successivamente, da Alessandro Manzoni; naturalizzata almeno dal 1855 (campione raccolto da F. Sordelli a <strong>Milano</strong> e<br />

conservato nell’Erbario dell’Università <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, MI).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata: inizialmente come soggetto sperimentale <strong>di</strong> provenienza coloniale, poi scambiata<br />

privatamente tra cultori e appassionati (per es. Luigi Castiglioni e Alessandro Manzoni), quin<strong>di</strong>, nella seconda metà<br />

dell’Ottocento, impiegata in modo estensivo per consolidare gli argini delle prime linee ferroviarie in costruzione.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Nei boschi causa per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità in quanto soppianta le specie legnose autoctone. Il contenuto <strong>di</strong> azoto<br />

delle sue foglie è <strong>di</strong> 1.5-2.5 volte maggiore che nelle altre latifoglie (Ziegler, 1958), grazie alla simbiosi con batteri del genere<br />

Rhizobium che fissano l’azoto atmosferico. La caduta delle foglie determina quin<strong>di</strong> un aumento dell’azoto nel suolo e la<br />

comparsa <strong>di</strong> molte specie ammoniacali. A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altre vegetazioni eutrofiche, è la presenza della robinia che crea le<br />

con<strong>di</strong>zioni per un inse<strong>di</strong>amento della flora nitrofila. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong><br />

monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La capacità espansiva della robinia è massimale fintanto che l’uomo ne pratica la gestione<br />

soprattutto attraverso il taglio ripetuto (ceduazione); pertanto, il recupero delle specie native e dei loro assetti naturali nelle<br />

cenosi infestate da robinia (boschetti e boscaglie) può conseguirsi a 25-30 anni dall’ultimo intervento perturbativo. Per evitare<br />

che le piante rigettino, è possibile praticare la cercinatura asportando un anello <strong>di</strong> corteccia largo 15 cm; in questo modo le<br />

ra<strong>di</strong>ci non ricevono più gli elaborati della fotosintesi e nell’anno successivo l’albero può essere abbattuto senza rischio <strong>di</strong><br />

reviviscenze.<br />

Note: La tremenda aggressività della robinia è dovuta all’alta efficienza <strong>di</strong> entrambe le modalità riproduttive della specie: vegetativa e per<br />

seme. La prima svolge ruolo essenziale nei popolamenti gestiti a ceduo o in qualche modo mantenuti giovanili da interventi <strong>di</strong> taglio, incen<strong>di</strong>o,<br />

estirpazione (incompleta), eliminazione parziale e altro; essa determina l’ampliamento progressivo del clone per riempimento degli spazi vuoti e<br />

per espansione periferica esterna. Ecco perché spesso si assiste all’esplosione della robinia nel giro <strong>di</strong> pochi anni in siti <strong>di</strong>sboscati destinati all’e<strong>di</strong>lizia.<br />

La seconda modalità, sommandosi alla prima per poi <strong>di</strong>ventare determinante nell’ambiente <strong>di</strong> fustaia (boscaglie invecchiate), interessa le piante<br />

sessualmente mature e in<strong>di</strong>sturbate rispetto ai cicli <strong>di</strong> fioritura, producendo nuclei <strong>di</strong> fondazione, per lo più irregolarmente <strong>di</strong>stribuiti, dovuti alla<br />

<strong>di</strong>spersione dei semi. Simile a R. viscosa e R. neomexicana, anch’esse presenti nel territorio regionale, per le quali si rimanda alla scheda <strong>di</strong> R. viscosa.<br />

roBinia<br />

vischiosa<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Alberello o albero deciduo, alto fino a 13 m, con crescita dell’anno ghiandoloso-pubescente e rametti appiccicosi,<br />

bruno-nerastri, provvisti <strong>di</strong> piccole spine (derivate dalla trasformazione delle stipole). Foglie imparipennate, composte <strong>di</strong> 6-12<br />

paia <strong>di</strong> segmenti ovato-ellittici, interi, lunghi fino a 5 cm, verde scuro sulla faccia adassiale, più o meno grigio-pubescenti su<br />

quella abassiale. Fiori in densi racemi penduli lunghi circa 8 cm; calice campanulato a 5 denti acuminati; corolla papilionacea,<br />

rosa vivo, alla base del vessillo con due macchie gialle simmetriche (guide del nettare); stami <strong>di</strong>adelfi (1 libero + 9 saldati<br />

a tubo per i filamenti); ovario supero, stilo sporgente dal tubo degli stami. Il frutto è un legume bruno-nerastro, lineare,<br />

appiattito, <strong>di</strong> 5-11×1-1.5 cm, <strong>di</strong> solito densamente ghiandoloso-pubescente, contenente piccoli semi reniformi, bruni.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Boscaglie <strong>di</strong> latifoglie e boschi degradati (robinieti), scarpate.<br />

Distribuzione nel territorio: Presente soprattutto nell’alto milanese e nel basso varesino, ma con penetrazioni sino a Varese<br />

e in Valcuvia; è segnalata anche per la zona del torrente Molgora. Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1791. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Stucchi (1972) come naturalizzata<br />

già da <strong>di</strong>versi anni.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura, vivaistica).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Molto contenuto, rilevabile solo alla fioritura.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al momento non appaiono necessarie.<br />

Note: Questa specie non è in grado <strong>di</strong> competere con la comune robinia (R. pseudoacacia), <strong>di</strong> cui occupa il medesimo habitat, ed è per questo che<br />

si mantiene marginale alle sue formazioni, senza penetrarvi. Da questa si riconosce agevolmente durante la fioritura per il colore dei fiori, negli altri<br />

perio<strong>di</strong> dell’anno per il colore e, soprattutto, l’indumento dei giovani rami.<br />

Le piante della zona del Parco del Molgora presentano alcuni caratteri non tipici <strong>di</strong> R. viscosa, come i legumi con ghiandole sessili, e vanno<br />

ulteriormente stu<strong>di</strong>ate.<br />

In Lombar<strong>di</strong>a è segnalata anche R. neomexicana A.Gray (robinia del Nuovo Messico, gaggìa del Nuovo Messico), osservata casuale nel bresciano<br />

(Guarino, 1995). Anch’essa è caratterizzata dai fiori rosa, ma i suoi rami non sono ghiandolosi.<br />

Bibliografia: Brusa et al. 2008a; Guarino, 1995; Isely & Peabody, 1984; Stucchi, 1972<br />

Famiglia: Fabaceae<br />

Nome scientifico: Robinia viscosa Vent.<br />

Nome volgare: robinia vischiosa, gaggìa vischiosa<br />

Sinonimi: Robinia glutinosa Sims<br />

Bibliografia: Gentile, 1995; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Isely & Peabody, 1984; Klauck, 1988; Mon<strong>di</strong>no & Scotta, 1987; Stucchi, 1949b; Ziegler, 1958<br />

106 107


pero corvino<br />

canadese<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Amelanchier lamarckii F.G.Schroed.<br />

Nome volgare: pero corvino canadese<br />

Basionimo: nome basato su Crataegus racemosa Lam.,<br />

non Amelanchier racemosa Lindl.<br />

Sinonimi: Amelanchier canadensis auct., non (L.) Me<strong>di</strong>k.<br />

Amelanchier gran<strong>di</strong>flora auct., non Rehder<br />

Amelanchier laevis auct., non Wiegand<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Arbusto o piccolo albero alto fino a 10 m. Foglie decidue, alterne; picciolo pubescente; lamina ellittica, <strong>di</strong><br />

4.5-8.5×2-5 cm, alla fogliazione <strong>di</strong> color rosso rame, pubescente sulla faccia abassiale; margine finemente seghettato, base<br />

arrotondata o leggermente cordata, apice da ottuso a brevemente acuminato. Infiorescenza a racemo, lunga 4-12 cm, con<br />

6-10 fiori; pe<strong>di</strong>celli lunghi 1.5-2.5 cm; sepali 5, lunghi 3-5 mm, triangolari-lanceolati; petali 5, bianchi, <strong>di</strong> 9-14×2.5-5 mm; stami<br />

20; pistilli parzialmente fusi tra loro. Il frutto è un pomo globoso, <strong>di</strong> 1-1.5 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, nerastro-porpora, glabro, all’apice<br />

coronato dai sepali persistenti, eretti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale (Canada orientale).<br />

Habitat: Boschi mesofili su suolo acido.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenza contenuta, confinata alla Lombar<strong>di</strong>a occidentale (100-350 m s.l.m.); sinora abbondante<br />

in una sola località (Tradate, VA). Como (NAT), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nella seconda metà del XIX secolo; segnalata per la prima volta in Italia<br />

e in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (2005), in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso, 2006).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Pur essendo sinora confinata a poche stazioni, questa specie sembra in espansione, tanto da potersi profilare per<br />

i prossimi anni come esotica invasiva. Può formare comunità pressoché pure, nelle quali tutte le stratificazioni della cenosi<br />

boschiva sono dominate da questa aliena.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> in caso<br />

<strong>di</strong> ripollonamento; provvedere quin<strong>di</strong> a sottopiantagione. Pronta rimozione del novelleto. Evitare assolutamente la<br />

fruttificazione.<br />

Note: La <strong>di</strong>sseminazione avviene ad opera dell’avifauna frugivora. L’origine <strong>di</strong> A. lamarckii è poco chiara: è possibile che si tratti <strong>di</strong> una notospecie<br />

formatasi dall’ibridazione naturale tra A. canadensis (L.) Me<strong>di</strong>k. e un’entità affine, la quale è in <strong>di</strong>scussione fra A. laevis Wiegand e A. arborea (F.Michx.)<br />

Fernald. Tutti e tre gli ipotetici parentali sono effettivamente molto simili ad A. lamarckii, con la quale vengono facilmente confusi, tuttavia essi non<br />

presentano il caratteristico rossore in fase <strong>di</strong> fogliazione e, inoltre, A. canadensis è pianta stolonifera, A. laevis presenta lunghezza me<strong>di</strong>a dei racemi<br />

superiore a 8 cm, A. arborea raggiunge i 20 m d’altezza e matura frutti rosso porpora anziché nerastri.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Galasso, 2006; Richardson, 1995; Schroeder, 1968, 1972<br />

cotognastro<br />

prostrato<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Cotoneaster horizontalis Decne.<br />

Nome volgare: cotognastro prostrato<br />

Tipo biologico: nPrept<br />

Descrizione: Arbusto alto al massimo 50 cm, con rami patenti e prostrati. Foglie semisemprever<strong>di</strong>, alterne; picciolo lungo<br />

1-3 mm, pubescente; stipole caduche; lamina suborbicolare, raramente obovata, <strong>di</strong> 6-14×4-9 mm; pagina inferiore con<br />

sparsa pubescenza appressata, la superiore glabra; margine intero, apice <strong>di</strong> solito acuto. Fiori generalmente solitari; pe<strong>di</strong>celli<br />

brevissimi o assenti; sepali 5, triangolari, con apice acuto, esternamente pubescenti; petali 5, eretti, rosa, rossi o biancastri,<br />

<strong>di</strong> 3-4×2-3 mm, con apice ottuso; stami 12, più brevi dei petali. Il frutto è un pomo subgloboso, rosso brillante, <strong>di</strong> 5-7 mm,<br />

contenente 2-3 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina e Nepal).<br />

Habitat: Boscaglie prossime alle abitazioni, manufatti murari, margini stradali.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>co in ambito planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco<br />

(NAT), <strong>Milano</strong> (CAS), Pavia (CAS), Varese (NAT). [C. hjelmqvistii: Varese (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Altra specie coltivata e naturalizzata in territorio lombardo (Banfi et al., 2009) è C. hjelmqvistii Flinck & B.Hylmö (cotognastro <strong>di</strong> Hjelmqvist),<br />

con ramificazione irregolare, ascendente, foglie maggiori (lunghe almeno 15 mm) e sepali esternamente glabri (salvo al margine).<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi et al., 2009; Bonali et al., 2006a; Flinck & Hylmö, 1991; Giordana, 1995; Stace, 1997<br />

108 109


cotognastro<br />

salicino<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Cotoneaster salicifolius Franch.<br />

Nome volgare: cotognastro salicino<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto alto 2 m e più, con rami arcuati o eretti. Foglie semprever<strong>di</strong>, alterne; picciolo lungo 4-5 mm, tomentoso;<br />

stipole caduche; lamina ellittico-oblunga oppure ovato-lanceolata, <strong>di</strong> 4-8.5×1.5-2.5 cm, con 12-16 paia <strong>di</strong> nervature laterali;<br />

pagina inferiore grigio-tomentosa, la superiore glabra e verde, debolmente rugosa; margine intero, apice acuto o acuminato.<br />

Infiorescenze formate da cime corimbose <strong>di</strong> 3.5-6×3-4 cm; brattee caduche; peduncoli densamente grigio-tomentosi, 2-4<br />

mm; fiori <strong>di</strong> 5-6 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro; sepali 5, triangolari, densamente tomentosi; petali 5, patenti, ovati o suborbicolari, bianchi,<br />

<strong>di</strong> 2.5-4×3-4 mm, con apice ottuso; stami 20, lunghi quanto i petali o leggermente più lunghi; antere porpora; ovario <strong>di</strong> 5<br />

carpelli liberi sul lato ventrale (adassiale), con 2-3 stili liberi. Il frutto è un pomo da subgloboso a ovoide, rosso scarlatto, <strong>di</strong> 3-7<br />

mm, contenente 2-3 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Rupi, boschi e boscaglie presso le abitazioni, su suolo calcareo sia roccioso sia umifero.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenza rara, sinora segnalata solo nell’area varesina dei Laghi Insubrici (200-500 m s.l.m.).<br />

Varese (NAT). [C. coriaceus: Varese (NAT).] [C. pannosus: Varese (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XX secolo; segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da<br />

Cerabolini et al. (2008).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: <strong>Comune</strong>mente coltivata in parchi e giar<strong>di</strong>ni, spesso insieme ad altre due specie dello stesso genere, entrambe naturalizzate in territorio<br />

regionale (Banfi et al., 2009), caratterizzate anch’esse da portamento eretto-ascendente e foglie tomentose sulla pagina inferiore, ma a contorno<br />

obovato o largamente ellittico. Si tratta <strong>di</strong> C. coriaceus Franch. (= C. lacteus W.W.Sm.; cotognastro coriaceo) e C. pannosus Franch. (cotognastro<br />

pannoso), l’ultima delle quali <strong>di</strong>stinta per le foglie me<strong>di</strong>amente minori <strong>di</strong> 3 cm e per le infiorescenze con, al massimo, 20 fiori.<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009; Cerabolini et al., 2008; Stace, 1997<br />

azzeruolo<br />

americano<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Crataegus submollis Sarg.<br />

Nome volgare: azzeruolo americano<br />

Sinonimi: Crataegus champlainensis auct., non Sarg.<br />

Crataegus coccinea auct., non L.<br />

Crataegus mollis auct., non Scheele<br />

Crataegus noelensis auct., non Sarg.<br />

Crataegus pe<strong>di</strong>cellata auct., non Sarg.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Grosso arbusto o alberello alto fino a 10 m, con chioma espansa e rami villosi da giovani, quin<strong>di</strong> glabri e provvisti<br />

<strong>di</strong> spine robuste. Foglie ovate od ovoidali, lunghe 4-8 cm, con lamina incisa in 4-5 paia <strong>di</strong> lobi poco profon<strong>di</strong>, scabri, seghettati,<br />

sopra pubescenti, sotto feltrosi, alla fine glabri. Fiori in cime multiflore, tomentose e lasse, larghi 2 cm, a 5 petali bianchi e stami<br />

numerosi con antere gialle o purpuree. Il frutto è un pomo da globoso a obovoide o piriforme <strong>di</strong> 1 cm, rosso aranciato, alla<br />

fine cremisi, edule, contenente 3-4 noccioli.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica nordorientale.<br />

Habitat: Boschi degradati, boscaglie, tendenzialmente acidofili.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianalti occidentali (es. Parco delle Pineta <strong>di</strong> Tradate e Appiano Gentile, Parco delle Groane,<br />

Parco <strong>di</strong> Montevecchia e della Valle del Curone). Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Ugolini (1933, sub C. coccinea) in Veneto, ove era<br />

nota selvatica da almeno un quarantennio; in seguito in Piemonte (Soldano, 1977a, sub C. champlaineisis) e in Lombar<strong>di</strong>a<br />

(Banfi & Costalonga, 1984, sub C. cfr. noelensis).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da frutto e da giar<strong>di</strong>no).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: L’esatta identità della specie naturalizzata in Lombar<strong>di</strong>a e in Italia è ancora incerta in quanto appartiene a un gruppo <strong>di</strong> entità americane<br />

molto complicato e ancora allo stu<strong>di</strong>o degli specialisti; per questo appare segnalata con i nomi più <strong>di</strong>versi. Ad esempio, la recente segnalazione<br />

lombarda <strong>di</strong> Costalonga (2009) <strong>di</strong> C. coccinea fa riferimento alla stessa popolazione del Parco delle Groane già chiamata C. cfr. noelensis da Banfi &<br />

Costalonga (1984), C. mollis da Banfi & Galasso (2005) e C. submollis da Banfi et al. (2009), aggiungendo ulteriore confusione. In attesa dell’uscita<br />

del volume della Flora del Nordamerica contenente la trattazione delle Rosaceae, preferiamo attribuire tutte le popolazioni lombarde ad un’unica<br />

specie, appunto C. submollis, analogamente a Soldano (2000).<br />

Bibliografia: Banfi & Costalonga, 1984; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Costalonga, 2009; Soldano, 1977a, 2000; Ugolini, 1933<br />

110 111


kerria<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Kerria japonica (L.) DC.<br />

Nome volgare: kerria<br />

Basionimo: Rubus japonicus L.<br />

Sinonimi: Corchorus japonicus (L.) Houtt.<br />

Corchorus japonicus (L.) Thunb., comb. superfl.<br />

Spiraea japonica (L.) Desv., non L.f., nom. illeg.<br />

Tipo biologico: Pcaesp<br />

Descrizione: Arbusto deciduo con fusti persistentemente ver<strong>di</strong> (frutice), numerosi, arcuati e ricadenti “a fontana”, lunghi fino<br />

a 2 m. Foglie alterne con breve picciolo e lamina <strong>di</strong> 3-10×1-3 cm, da ovata a lanceolata, lungamente acuminata, doppiamente<br />

dentata ai margini, rugosa, con nervature secondarie evidenti, glabra, verde opaco sopra e sotto. Fiori solitari al termine dei<br />

rametti secondari, nel selvatico originale (non presente da noi) regolarmente fertili con corolla <strong>di</strong> 5 petali ovato-suborbicolari,<br />

gialli, contornanti un androceo <strong>di</strong> numerosi stami, nella forma coltivata (‘Flore Pleno’) sterili, con gli stami trasformati in petali<br />

a formare assieme alla corolla un caratteristico “pompon” giallo. Il frutto, presente nella forma originale, è un acheneto, cioè<br />

un “capolino” <strong>di</strong> acheni.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina centrale e occidentale, successivamente trasferita in Giappone e da qui estesa<br />

all’Occidente).<br />

Habitat: Boscaglie, pen<strong>di</strong>i presso le abitazioni.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca e casuale soprattutto nella fascia prealpina, naturalizzata soltanto a Primaluna (LC).<br />

Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (CAS), Monza e Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio del XIX secolo e avventizia dalla seconda metà dell’Ottocento<br />

nel trevigiano (Saccardo, 1869b); in Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Giacomini (1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da giar<strong>di</strong>no).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Giacomini, 1950; Pignatti, 1982; de Visiani & Saccardo, 1869b<br />

spirea<br />

americana<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Arbusto alto sino a 2-3 m. Foglie caduche, alterne; stipole ben sviluppate, triangolari-lesiniformi, precocemente<br />

caduche; picciolo <strong>di</strong> 1-5 cm; lamina ovato-rotondata, lunga 2-10 cm, con 3(-5) lobi, margine doppiamente seghettato, base<br />

<strong>di</strong> norma cordata ed apice acuto. Infiorescenze in cime corimbose emisferiche, larghe circa 5 cm; fiori sino a 1 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro,<br />

con calice <strong>di</strong> 5 sepali glabri o sparsamente pubescenti, persistenti nel frutto; petali 5, subroton<strong>di</strong>, <strong>di</strong> 4 mm, bianchi o ± rosati;<br />

stami 20-40; ovario <strong>di</strong> 1-5 carpelli connati alla base. Frutto costituito da 1-5 follicoli ra<strong>di</strong>ali glabri, rossastri e rigonfi, lunghi il<br />

doppio dei sepali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Boscaglie umide.<br />

Distribuzione nel territorio: Naturalizzata nel comasco (all’Acqua Negra e al Bassone) e nel milanese presso il Ticino; invece<br />

la segnalazione <strong>di</strong> Dübi-Cortivallo (1960) per il varesotto non è più stata riconfermata (Macchi, 2005) ed è da considerare<br />

casuale. Como (NAT), Monza e Brianza (NAT), Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XVIII secolo; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da<br />

Dübi-Cortivallo (1960), che la raccolse nel 1956.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Coltivata come ornamentale da siepe e da giar<strong>di</strong>no, la specie era stata descritta sotto il genere Spiraea (ve<strong>di</strong> schede) per i caratteri morfologici<br />

in gran parte comuni a questo genere; tuttavia recenti stu<strong>di</strong> filogenetici basati sulle sequenziazioni del DNA hanno <strong>di</strong>mostrato che Physocarpus ha<br />

poco da spartire con Spiraea, mentre forma una stirpe (monophylum) assieme a Neillia D.Don, genere <strong>di</strong> rosacee proprio dell’area est-himalayana.<br />

Bibliografia: Dübi-Cortivallo, 1960; Macchi, 2005<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Physocarpus opulifolius (L.) Maxim.<br />

Nome volgare: spirea americana<br />

Basionimo: Spiraea opulifolia L.<br />

Sinonimi: Opulaster opulifolius (L.) Kuntze<br />

Physocarpus riparius Raf.<br />

Physocarpus opulifolius Raf., nom. rej.<br />

112 113


Fragola<br />

matta<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Potentilla in<strong>di</strong>ca (Andrews) Th.Wolf<br />

Nome volgare: fragola matta, falsa fragola<br />

Basionimo: Fragaria in<strong>di</strong>ca Andrews<br />

Sinonimi: Duchesnea in<strong>di</strong>ca (Andrews) Focke<br />

Tipo biologico: Hrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 10-50 cm, con breve rizoma e lunghi stoloni epigei ra<strong>di</strong>canti all’apice. Foglie con<br />

picciolo relativamente allungato, a 3 segmenti lunghi 2-3 cm, sparsamente pelosi, obovati, cuneati alla base e crenati al<br />

margine; stipole presenti, lanceolate. Fiori solitari, raramente superanti le foglie, con calice <strong>di</strong> 5 sepali lunghi 1 cm ed epicalice<br />

a 5 segmenti più larghi e più lunghi dei sepali; petali gialli, <strong>di</strong> 8 mm; stami numerosi; ovari monocarpici, numerosi, inseriti su un<br />

ricettacolo convesso. Frutto costituito dal ricettacolo ingrossato (come nelle fragole), subsferico, rosso corallo esternamente,<br />

bianco-spugnoso all’interno, insipido, ricoperto <strong>di</strong> piccoli acheni facilmente asportabili.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Asia meri<strong>di</strong>onale e orientale.<br />

Habitat: Boscaglie umide, siepi, aiuole, giar<strong>di</strong>ni ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV),<br />

Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Europa nel 1802 e coltivata nell’orto Botanico <strong>di</strong> Torino dal 1815, presto si <strong>di</strong>ffonde<br />

spontaneamente in molte località del Piemonte (sulle colline torinesi nel 1856: Camus, 1905); Caruel (1894) e Rodegher &<br />

Venanzi (1894) la segnalano per la Lombar<strong>di</strong>a nel bergamasco (dove è stata raccolta la prima volta nel 1886), Ugolini (1907)<br />

nel bresciano, Cozzi (1918) nel gallaratese (VA).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per sperimentazione orticola.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Ha effetti negativi sulla bio<strong>di</strong>versità, <strong>di</strong>ffondendosi ai margini dei boschi, nelle boscaglie degradate, presso le siepi,<br />

sulle bordure erbose e determinando un impoverimento floristico nella base erbacea a scapito delle specie autoctone.<br />

Note: Si confonde superficialmente con le comuni fragole selvatiche (Fragaria vesca L., F. moschata (Duchesne) Weston), dalle quali si <strong>di</strong>stingue per<br />

le foglie crenate anziché dentate, per i petali gialli anziché bianchi e per il frutto vistosamente circondato dal calice alla base, con trama spugnosa<br />

e insipida anziché carnosa e saporita.<br />

Bibliografia: Camus, 1905; Caruel, 1894; Cozzi, 1918; Rodegher & Venanzi, 1894; Ugolini, 1907<br />

cinqueFoglio<br />

<strong>di</strong> norvegia<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Potentilla norvegica L.<br />

Nome volgare: cinquefoglio <strong>di</strong> Norvegia<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-40 cm (fino a 70 cm con l’infiorescenza), con fusto eretto, rossastro, ramosissimo,<br />

talvolta provvisto <strong>di</strong> pochi peli ghiandolari. Foglie <strong>di</strong>vise in 3(-5) segmenti, <strong>di</strong> 10-70×7-40 mm, da obovati a oblungo-ellittici,<br />

con 8-12 denti per lato, acuti, molto incisi, a volte fino a rendere la lamina subpennatifida. Infiorescenza cimosa terminale,<br />

irsuta, con fiori a 5 sepali <strong>di</strong> 5 mm, accrescenti fino a 1 cm nel frutto; epicalice <strong>di</strong> 5 segmenti alternati ai sepali e <strong>di</strong> questi più<br />

lunghi nel frutto; corolla a 5 petali gialli, me<strong>di</strong>amente più brevi dei sepali (4-5 mm); stami numerosi come gli ovari, questi<br />

ultimi unicarpellari, inseriti su un ricettacolo convesso, con stili filiformi a base allargata, caduchi. Infruttescenza, un capolino<br />

<strong>di</strong> acheni.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordeuropa e Nordamerica (W-artica).<br />

Habitat: Prati umi<strong>di</strong>, terreni torbosi.<br />

Distribuzione nel territorio: Dall’alta pianura alla fascia montana. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dalla fine del Settecento. Quasi sicuramente l’in<strong>di</strong>cazione <strong>di</strong> Cesati<br />

(1844) per la Lombar<strong>di</strong>a, ripresa dalle flore successive (da Caruel, 1894 a Pignatti, 1982), fa riferimento alle in<strong>di</strong>cazioni <strong>di</strong> Biroli<br />

(1808) per il novarese; dunque le prime segnalazioni per la Lombar<strong>di</strong>a sarebbero quelle <strong>di</strong> Crescini (1987), Macchi & Danini<br />

(1992) e Aeschimann et al. (2004).<br />

Modalità d’introduzione: Presumibilmente accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nullo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Biroli, 1808; Caruel, 1894; Cesati, 1844; Crescini, 1987; Macchi, 2005; Macchi & Danini, 1992; Pignatti, 1982<br />

114 115


lauroceraso<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Prunus laurocerasus L.<br />

Nome volgare: lauroceraso, falso alloro<br />

Sinonimi: Cerasus laurocerasus (L.) Dum.Cours.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Arbusto o piccolo albero alto sino a circa 8 m, con chioma molto espansa nei vecchi esemplari coltivati isolati.<br />

Foglie semprever<strong>di</strong>, alterne; picciolo <strong>di</strong> 8-10 mm; lamina spessa e coriacea, oblunga, obovata oppure ellittica, <strong>di</strong> 5-15(-25)×3-4<br />

cm, glabra, verde scuro lucente sulla faccia adassiale, verde chiaro su quella abassiale, a margine intero o talvolta dentato e<br />

leggermente revoluto. Racemi ascellari e terminali, eretti, cilindrico e compatti, lunghi 5-12 cm; fiori subsessili, <strong>di</strong> circa 8 mm<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, con 5 petali bianchi <strong>di</strong> circa 3 mm e stami numerosi. Frutto costituito da una drupa piriforme, lunga 8-12 mm,<br />

violaceo-nerastra, con nòcciolo globoso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Asia occidentale (Iran, Turchia e Caucaso) ed Europa sudorientale (Balcani).<br />

Habitat: Formazioni boschive <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso tipo, in<strong>di</strong>fferente al tipo <strong>di</strong> substrato; tollera molto bene l’ombreggiamento.<br />

Distribuzione nel territorio: Coltivata su tutto il territorio regionale (50-1000 m s.l.m), si rinviene invasiva o naturalizzata<br />

soprattutto nella fascia collinare e, in subor<strong>di</strong>ne, in quelle planiziale (qui perlopiù casuale) e submontana. Bergamo (NAT),<br />

Brescia (NAT), Como (CAS), Cremona (CAS), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (CAS), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Pavia<br />

(CAS), Sondrio (CAS), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVI secolo; in Lombar<strong>di</strong>a segnalata come aliena già da Cesati (1844).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fine ortofloricolo.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È, tra le esotiche arboreo-arbustive a chioma sempreverde, una delle più invasive; fatto al quale contribuisce un’estrema,<br />

capillare <strong>di</strong>ffusione sul territorio regionale. Occorre tuttavia sottolineare come questa specie fiorisca essenzialmente quando<br />

cresce in esemplari singoli o quando viene mantenuta a siepe alta, con in<strong>di</strong>vidui sufficientemente sviluppati; in tali circostanze<br />

essa è in grado <strong>di</strong> produrre frutti <strong>di</strong> grande attrazione per l’avifauna frugivora, che ne rappresenta il mezzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione<br />

principale. Localmente può formare un denso mantello forestale, che in alcune situazioni raggiunge gli strati <strong>di</strong> copertura<br />

superiori, precludendo la rinnovazione del bosco e reprimendo le specie nemorali. Esercita inoltre un impatto sui processi<br />

biogeochimici del suolo (allelopatia e rallentamento dei processi <strong>di</strong> umificazione), oltre, naturalmente, ad alterare il paesaggio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> in caso<br />

<strong>di</strong> ripollonamento; provvedere quin<strong>di</strong> a sottopiantagione. Pronta rimozione del novellame. Evitare assolutamente la<br />

fruttificazione.<br />

Note: Il lauroceraso è coltivato anche da noi in numerose cultivar, la più deviante delle quali sul piano morfologico è ‘Otto Luyken’, dalle foglie<br />

lanceolate (identiche a quelle <strong>di</strong> Osmanthus decorus (Boiss. & Balansa) Kasapligil) e dall’habitus compatto, alta non più <strong>di</strong> 1 m, anch’essa fertile e<br />

regolarmente fruttifera. Ebbene, <strong>di</strong> tutta la culti<strong>di</strong>versità presente, in natura sembra avere successo unicamente il morfotipo nominale (ferale),<br />

come <strong>di</strong>mostrano le fughe della specie nel nostro territorio.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Berger & Walther, 2006; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; Cesati, 1844; Frattini, 2008;<br />

Giordana, 1995; Ricotti et al., 2002; Ronchetti, 1885; Zanotti, 1991b<br />

ciliegio<br />

tar<strong>di</strong>vo<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Prunus serotina Ehrh.<br />

Nome volgare: ciliegio tar<strong>di</strong>vo, pado americano<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero alto sino a 20(-25) m. Foglie decidue, alterne; lamina obovata, oblunga o più spesso (ob-)lanceolata,<br />

lunga 8-13 cm, glabra, sublucida e subcoriacea, con margine finemente crenato, apice acuminato, superiormente verde scuro,<br />

più chiara inferiormente, con nervature non prominenti. Infiorescenza a racemo cilindrico, eretto; fiori 1-1.5 cm in <strong>di</strong>ametro;<br />

sepali 5, ovato-oblunghi; petali 5, bianchi, lunghi 2.5-4 mm. Frutto costituito da una drupa subsferica <strong>di</strong> 8-10 mm, nera e<br />

lucida a maturità, contenente un nòcciolo legnoso (endocarpo + seme).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica (soprattutto Stati Uniti centro-orientali).<br />

Habitat: Prevalentemente in formazioni forestali, dove costituisce spesso la copertura dominante o codominante. Invade<br />

<strong>di</strong>verse tipologie <strong>di</strong> bosco, nonché arbusteti, incolti e prati non gestiti. Sembra in<strong>di</strong>fferente alle con<strong>di</strong>zioni edafiche, anche se<br />

non ama ristagni d’acqua nel suolo.<br />

Distribuzione nel territorio: Porzione occidentale della regione (100-650 m s.l.m.), in particolare nell’area collinare e nell’alta<br />

pianura. Bergamo (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1922, nel 1951 è già naturalizzata da qualche<br />

decennio (Stucchi, 1952).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per sperimentazione forestale; in secondo luogo ad uso ortofloricolo.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Su scala regionale è l’esotica legnosa che, assieme all’ailanto, mostra la massima aggressività in termini invasivi. Era<br />

stata introdotta in Lombar<strong>di</strong>a all’inizio del XX secolo, in impianti selvicolturali sperimentali nei pressi <strong>di</strong> Gallarate. In meno <strong>di</strong> 30<br />

anni si era espansa fino a raggiungere i boschi fluviali del Ticino. La sua <strong>di</strong>ffusione è affidata agli uccelli frugivori, specialmente<br />

tur<strong>di</strong><strong>di</strong>. Questa specie in una decina d’anni è capace <strong>di</strong> produrre da seme in<strong>di</strong>vidui fruttificanti; alla prima apertura che si crea<br />

in un bosco con tagli, schianti o incen<strong>di</strong>, la presenza <strong>di</strong> qualche seme è sufficiente per inse<strong>di</strong>arne una nuova popolazione,<br />

che nel giro <strong>di</strong> pochi lustri finirà per dominare la vegetazione. Ciò comporta un drastico calo della componente autoctona,<br />

dapprima legnosa poi erbacea, con evidente per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità e degrado del patrimonio forestale. Competitivamente<br />

P. serotina è vincente persino sulla robinia nei siti <strong>di</strong> incontro tra le due specie e, d’altra parte, come Solidago gigantea (ve<strong>di</strong><br />

scheda), è in grado <strong>di</strong> attivare strategie allelopatiche. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong><br />

monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a; è inoltre inserita tra le specie esotiche<br />

a carattere infestante e dannose per la conservazione della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r. 5/2007.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Il contenimento <strong>di</strong> questa temibile esotica risulta tutt’altro che facile (Caronni, 2008), sia per la<br />

frugalità della specie, sia per la facilità con cui la stessa è in grado <strong>di</strong> propagarsi. Anche il taglio dell’albero si mostra una<br />

tecnica poco efficace, poiché dalle ceppaie si originano polloni particolarmente vigorosi, in grado <strong>di</strong> fiorire e fruttificare già<br />

dopo tre o quattro anni. Gli interventi <strong>di</strong> contenimento dovrebbero comunque prevedere il taglio selettivo o la cercinatura,<br />

ripetuti per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvati dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> in caso <strong>di</strong> pollonamento; si dovrebbe quin<strong>di</strong> provvedere<br />

imme<strong>di</strong>atamente alla sottopiantagione. Il novellame deve essere prontamente rimosso e infine occorre prevenire con ogni<br />

mezzo la fruttificazione degli esemplari maturi.<br />

Note: Il ciliegio tar<strong>di</strong>vo era stato introdotto per le pregiate qualità del legno, che in Italia si è rivelato invece <strong>di</strong> scarsa qualità a causa delle pessime<br />

conformazioni dei tronchi, dovute probabilmente alle con<strong>di</strong>zioni ambientali, che <strong>di</strong>fferiscono da quelle in patria. Le foglie allungate ricordano<br />

molto quelle del pesco, fatto per il quale in provincia <strong>di</strong> Varese, dove è particolarmente <strong>di</strong>ffusa, la specie viene chiamata “perzeghin”. È spesso<br />

confuso con il pado nostrano (P. padus L.), pianta autoctona che cresce nei medesimi boschi, sebbene con preferenza per i substrati alluvionali<br />

umi<strong>di</strong> e che si riconosce facilmente per le gemme lunghe più <strong>di</strong> 2.5 mm (minori in P. serotina), per la lamina opaca, <strong>di</strong> consistenza membranosa<br />

come quella del ciliegio, con nervature prominenti sulla faccia abassiale, per i racemi penduli alla fioritura, per i fiori maggiori (petali lunghi fino a<br />

9 mm) e per l’antesi che è anticipata <strong>di</strong> circa 15 giorni rispetto a quella del ciliegio tar<strong>di</strong>vo.<br />

Bibliografia: Caronni, 1993; Caronni, 2008; Folliero, 1985; Fontaneto et al., 2003; Sartori, 1985; Starfinger, 1997; Stucchi, 1952<br />

116 117


osa<br />

polianta<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Rosa multiflora Thunb.<br />

Nome volgare: rosa polianta<br />

Sinonimi: Rosa polyantha Siebold & Zucc.,<br />

non Rössig, nom. illeg.<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Arbusto lianoso che può raggiungere un’altezza <strong>di</strong> circa 10 m utilizzando gli alberi come supporto; fusto con<br />

aculei (comunemente noti come spine) robusti, lunghi sino a 6 mm. Foglie decidue, alterne, lunghe 5-10 cm, composte da<br />

(3-)5-9 foglioline, queste obovate, ovate od oblunghe, <strong>di</strong> 1-5×1-3 cm, con margine seghettato e apice acuto oppure ottuso;<br />

stipole caratteristicamente sfrangiate sul margine. Fiori profumati portati in cime corimbiformi; pe<strong>di</strong>celli lunghi 1.5-2.5 cm;<br />

sepali 5, decidui, lanceolati, con margine intero o con 2 lobi me<strong>di</strong>ani; petali generalmente 5, bianchi, obovati, con apice<br />

smarginato; stili fusi in una colonna emergente. Frutto consistente in un pometo (tra<strong>di</strong>zionalmente noto come cinorro<strong>di</strong>o)<br />

rosso-bruno, subgloboso, <strong>di</strong> 6-8 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, costituito da un involucro carnoso <strong>di</strong> origine ricettacolare (ipanzio) e da una<br />

cavità interna ospitante numerosi pericarpi legnosi, monospermi, immersi in una “imbottitura” <strong>di</strong> peli setoliformi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Giappone).<br />

Habitat: Boschi degradati, in particolare <strong>di</strong> tipo mesofilo; presso gli abitati.<br />

Distribuzione nel territorio: Non molto frequente, ma localmente spesso abbondante ed esuberante, dalla fascia planiziale<br />

sino a quella prealpina (100-550 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (NAT), Monza e Brianza (INV),<br />

<strong>Milano</strong> (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1862. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi<br />

& Costalonga (1984) al Parco delle Groane.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È in grado <strong>di</strong> formare estese coperture monofitiche, ricoprendo il terreno e avvinghiandosi tipicamente ad alberi<br />

e arbusti sino a notevoli altezze. Espleta quin<strong>di</strong> un notevole impatto per quanto riguarda la per<strong>di</strong>ta in bio<strong>di</strong>versità, nonché<br />

produce mo<strong>di</strong>ficazioni paesaggistiche a carico delle formazioni boschive invase.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>, quin<strong>di</strong> provvedere<br />

all’impianto <strong>di</strong> arbusti autoctoni ad elevata capacità ricoprente. Evitare assolutamente la fruttificazione. Pronta rimozione delle<br />

giovani piante in aree <strong>di</strong> neo-invasione.<br />

Note: R. multiflora è facilmente riconoscibile dalle rose autoctone in quanto possiede caratteristiche stipole sfrangiate. Occorre sottolineare come<br />

spesso venga coltivata per le esuberanti e profumate fioriture, che, tra le non rifiorenti, ne fanno una delle rose <strong>di</strong> maggior pregio ornamentale.<br />

Bibliografia: Banfi & Costalonga, 1984; Banfi & Galasso, 1998; Danini et al., 2004; Macchi, 2005<br />

lampone<br />

asiatico<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Arbusto alto 1-2 m; fusti arcuati, con sparse spine esili, setole e caratteristici peli ghiandolari rossi, presenti<br />

anche nell’infiorescenza e sul picciolo fogliare. Foglie caduche, alterne, composte da 3(-5) foglioline, le laterali subsessili, la<br />

terminale (spesso lobata) con peduncolo <strong>di</strong> 2-3 cm; lamina delle foglioline ovale o rombica, <strong>di</strong> 4-8×2-5 cm, apice acuto o<br />

acuminato, base arrotondata o subcordata, margine irregolarmente seghettato, pagina inferiore grigio-tomentosa, pagina<br />

superiore glabra o sparsamente pubescente, <strong>di</strong> colore verde; stipole lineari, <strong>di</strong> 5-8 mm. Infiorescenza composta da racemi<br />

terminali o ascellari, lunghi 6-10 cm; brattee 5-8 mm; pe<strong>di</strong>celli 0.5-1.5 cm; fiori 6-10 mm in <strong>di</strong>ametro; sepali eretti dopo la<br />

fioritura, lanceolati; petali biancastri, obovato-spatolati. Il frutto, subgloboso, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> circa 1 cm, rosso scuro a piena<br />

maturazione e ricoperto <strong>di</strong> peli ghiandolari, è costituito da un’aggregazione <strong>di</strong> piccole drupe (drupeto), ognuna derivante da<br />

un carpello <strong>di</strong> un ovario multicarpellare.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina, Corea e Giappone).<br />

Habitat: Boschi, spesso abbondante in quelli acidofili <strong>di</strong> pino e castagno (es. Terrazzo <strong>di</strong> Brenna, CO) e nelle faggete (es. Monte<br />

Sette Termini, VA). Cresce, come altre specie congeneri, soprattutto dove il bosco è meno fitto. Inoltre si rinviene ai margini<br />

stradali oppure nei pressi <strong>di</strong> vecchie baite, probabilmente come residuo <strong>di</strong> precedenti coltivazioni.<br />

Distribuzione nel territorio: Non molto frequente, ma localmente spesso abbondante ed esuberante, dalla fascia planiziale<br />

sino a quella montana (200-850 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT),<br />

Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1876. In Italia segnalata per il Friuli-Venezia Giulia da Melzer &<br />

Bregant (1992), che la raccolsero nel 1990; in Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta da Aeschimann et al. (2004).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per frutticoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È in grado <strong>di</strong> formare estese coperture monofitiche, ricoprendo il terreno e quin<strong>di</strong> reprimendo la crescita del<br />

sottobosco. Non è ancora nota la competitività <strong>di</strong> questa pianta rispetto alle specie autoctone <strong>di</strong> Rubus presenti sul territorio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>, quin<strong>di</strong> impianto<br />

<strong>di</strong> arbusti autoctoni ad elevata capacità ricoprente. Evitare assolutamente la fruttificazione. Pronta rimozione delle giovani<br />

piante in aree neo-invase.<br />

Note: Può essere confusa con altre specie <strong>di</strong> rovi, dai quali però <strong>di</strong>fferisce vistosamente per la fitta copertura rossastra <strong>di</strong> peli ghiandolari, più lunghi<br />

delle spine, su quasi tutta la pianta. Oltre a ciò, come nelle altre specie della sect. Idaeobatus Focke (tra cui, per esempio, il comune lampone, R.<br />

idaeus L.), il frutto si stacca facilmente dal ricettacolo. Diffusamente coltivata per i frutti commestibili, che però risultano meno sapi<strong>di</strong> <strong>di</strong> quelli <strong>di</strong><br />

R. idaeus e insolitamente glutinosi a causa del rivestimento ghiandolare. In campo orticolo la specie ha assunto un’importanza particolare nella<br />

produzione dei ceppi coltivati <strong>di</strong> lampone, ottenuti in prevalenza dall’ibridazione tra R. phoenicolasius e R. idaeus, ma anche del primo con specie<br />

affini, sia eurasiatiche sia americane.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Melzer & Bregant, 1992<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Rubus phoenicolasius Maxim.<br />

Nome volgare: lampone asiatico<br />

118 119


sorBaria<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Sorbaria sorbifolia (L.) A.Braun<br />

Nome volgare: sorbaria, spirea a foglie <strong>di</strong> sorbo<br />

Basionimo: Spiraea sorbifolia L.<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Arbusto alto sino a 2 m. Foglie decidue, alterne, composte da 11-17 foglioline <strong>di</strong> forma lanceolata oppure ovatolanceolata,<br />

<strong>di</strong> 5-7×2-2.5 cm, con margine doppiamente seghettato, base arrotondata o largamente cuneata, apice acuminato<br />

o mucronato. Infiorescenza composta da una pannocchia <strong>di</strong> 10-12×5-12 cm; pe<strong>di</strong>celli lunghi 5-8 mm; fiori <strong>di</strong> 10-12 mm <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>ametro; sepali 5, persistenti e riflessi nel frutto, triangolari, con apice ottuso o acuto; petali 5, oblunghi oppure obovati, 5-7<br />

mm, <strong>di</strong> colore bianco; stami 40-50, lunghi 1.5-2 volte i petali. Frutto costituto da 5 follicoli cilindrici <strong>di</strong> circa 3 mm, ciascuno<br />

con numerosi semi; pe<strong>di</strong>celli fruttiferi eretti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina, Mongolia, Corea, Russia orientale e Giappone).<br />

Habitat: Boschi e muri, anche in pietra naturale, in posizioni sia assolate sia ombreggiate.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca nella facia collinare-montana (350-550 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del secolo XVIII. Segnalata per la prima volta in natura da<br />

Arcangeli (1882a) per l’Appennino ligure, in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (2005).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È in grado <strong>di</strong> colonizzare i muri, ra<strong>di</strong>cando nelle fessure e contribuendo in tal modo al deterioramento <strong>di</strong> questi<br />

manufatti.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione delle piante ra<strong>di</strong>cate sui muri me<strong>di</strong>ante pulitura meccanica accompagnata<br />

dall’uso localizzato <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici.<br />

Note: Come nel caso <strong>di</strong> altre esotiche arbustive (per es. Buddleja davi<strong>di</strong>i, ve<strong>di</strong> scheda), sembra pre<strong>di</strong>ligere i substrati artificiali (manufatti murari),<br />

fatto che non esclude la possibilità <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento su substrati litici in ambiente naturale e il conseguente rischio <strong>di</strong> interferenza con vegetazioni<br />

casmofitiche rupestri <strong>di</strong> notevole pregio fitogeografico e conservazionistico.<br />

Bibliografia: Arcangeli, 1882a; Banfi & Galasso, 2005<br />

spirea<br />

del giappone<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Arbusto deciduo alto fino a 1-2 m, a portamento eretto. Foglie alterne con lamina da ovata a ovato-lanceolata,<br />

<strong>di</strong> circa 10×4 cm, acuta all’apice e irregolarmente dentata, pubescente sui nervi. Fiori in corimbi larghi fino a 12 cm; pe<strong>di</strong>celli<br />

pubescenti; sepali 5, deflessi; petali 5, rosa, più brevi degli stami; ovario supero, apocarpico (5 carpelli liberi). Il frutto è un<br />

follicolo glabro a deiscenza ventrale, eretto, contenente numerosi, minuti semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Giappone).<br />

Habitat: Sponde, margini viari, cespuglieti, boschi e boscaglie.<br />

Distribuzione nel territorio: Dall’alta pianura alla me<strong>di</strong>a montagna. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Lecco (INV),<br />

Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1870. Segnalata in Italia a Intra (Piemonte, Verbania, VB) da Gola<br />

(1928), in Lombar<strong>di</strong>a da Giacomini (1950) e Stucchi (1952).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Determina un impoverimento floristico delle comunità in cui si inse<strong>di</strong>a, a scapito delle specie autoctone.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Il taglio degli in<strong>di</strong>vidui può risultare efficace soltanto per piccole popolazioni o nelle aree ambientali<br />

sensibili. Un taglio ripetuto permetterà <strong>di</strong> controllare la pianta, ma non <strong>di</strong> eliminarla, per il qual fine è necessaria l’era<strong>di</strong>cazione.<br />

In ogni caso, il taglio va effettuato il più possibile a livello del colletto, per indebolire l’apparato ra<strong>di</strong>cale. Sarebbe opportuno<br />

rinunciare all’impiego orticolturale <strong>di</strong> questa specie per evidenti motivi <strong>di</strong> prevenzione.<br />

Bibliografia: Brusa et al., , 2008b; Giacomini, 1950; Gola, 1928; Stucchi, 1952<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Spiraea japonica L.f.<br />

Nome volgare: spirea del Giappone<br />

Sinonimi: Spiraea callosa Thunb.<br />

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spirea<br />

a Foglie<br />

<strong>di</strong> salice<br />

Famiglia: Rosaceae<br />

Nome scientifico: Spiraea salicifolia L.<br />

Nome volgare: spirea a foglie <strong>di</strong> salice<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Arbusto deciduo alto 1-2 m, con rami eretti, pubescenti da giovani. Foglie alterne con lamina ellittica, <strong>di</strong> circa<br />

4-8×1-2 cm, acuta all’apice, marcatamente e talvolta doppiamente dentata, glabra. Fiori in pannocchie dense, lunghe 4-12<br />

cm, spesso un po’ lobate; pe<strong>di</strong>celli pubescenti; fiori del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 8 mm circa; sepali 5, triangolari-ovati, eretti; petali 5, rosa<br />

o, raramente, bianchi; stami 15-60, circa 2 volte più lunghi dei petali; ovario supero, apocarpico (5 carpelli liberi). Il frutto è un<br />

follicolo a deiscenza ventrale, eretto, contenente numerosi, minuti semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Dall’Europa sudorientale all’Asia nordorientale.<br />

Habitat: Margini <strong>di</strong> strade campestri, boscaglie luminose.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca, dall’alta pianura alla fascia collinare. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Lecco (NAT),<br />

<strong>Milano</strong> (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Settecento. Segnalata in Italia sulla riva piemontese del Verbano da<br />

Gola (1928), in Lombar<strong>di</strong>a da Ugolini (1933), che la osservò nel 1931 e 1932 nelle Groane, e da Tagliaferri (1994) in Val <strong>di</strong> Scalve.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Finora non necessarie, ma data l’espansione minacciosa della congenere S. japonica (ve<strong>di</strong> scheda),<br />

questa specie va parimenti monitorata e, se necessario, contenuta con le stesse modalità operative.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Gola, 1928; Tagliaferri, 1994; Ugolini, 1933<br />

olivagno<br />

pungente<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto intricato, alto sino a 4 m. Sui rametti presenta rade spine. Foglie semprever<strong>di</strong>, alterne; picciolo <strong>di</strong> 5-15<br />

mm; lamina in genere oblunga, <strong>di</strong> 5-10×1.8-3.5 cm, pagina superiore glabra, verde lucente, pagina inferiore brunastroargentea,<br />

con lepidomi (peli a forma <strong>di</strong> squama o scudo appiattito, che riflettono la luce come una superficie argentata) e<br />

nervature scure; base arrotondata, margine caratteristicamente ondulato, apice ottuso o acuto. Fiori riuniti all’ascella delle<br />

foglie, <strong>di</strong> solito in tria<strong>di</strong>; pe<strong>di</strong>celli <strong>di</strong> 5-8 mm; calice biancastro-argenteo, con tubo imbutiforme <strong>di</strong> 6-7 mm e 4 lobi ovati, lunghi<br />

circa la metà del tubo; corolla assente; stami 4, inseriti tra i lobi del calice; stilo lineare, non sporgente. Frutto costituito da una<br />

drupa oblunga, <strong>di</strong> 1.2-1.5 cm, rossa con ammassi <strong>di</strong> lepidomi brunastri, commestibile.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-novembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Giappone e Cina orientale).<br />

Habitat: Ambienti boschivi, soprattutto <strong>di</strong> carattere termofilo. Presente anche nel sottobosco <strong>di</strong> impianti artificiali, soprattutto<br />

<strong>di</strong> conifere.<br />

Distribuzione nel territorio: Frequente e localmente abbondante in tutta l’area collinare, naturalizzata soprattutto in quella<br />

prealpina occidentale presso i Gran<strong>di</strong> Laghi Insubrici e nelle località con giar<strong>di</strong>ni e parchi storici, casuale altrove (100-600 m<br />

s.l.m.). Bergamo (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Fornaciari<br />

& Consonni (1990).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (classica pianta da siepe, <strong>di</strong> moda soprattutto nella prima metà del ‘900).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Specie a rapido accrescimento, è in grado <strong>di</strong> formare folti e impenetrabili popolamenti nel sottobosco, alterandone<br />

le proprietà ecosistemiche e la percezione paesaggistica.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione delle plantule nelle aree <strong>di</strong> neo-invasione. Tollera bene la potatura, pertanto<br />

sono necessari più interventi <strong>di</strong> controllo meccanico; a supporto <strong>di</strong> tale azione <strong>di</strong> contenimento, si rende necessario l’uso<br />

localizzato <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici ai fini <strong>di</strong> una sicura era<strong>di</strong>cazione.<br />

Note: Questa specie è tuttora coltivata per siepi informali, talvolta in cultivar a foglie variegate, che non ricompaiono nel ferale. Le drupe,<br />

commestibili e dal gusto piacevolmente acidulo, maturano in tarda primavera e sono fortemente appetite dall’avifauna, che pertanto costituisce<br />

il principale mezzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione della specie.<br />

Bibliografia: Barnes & Whiteley, 1997; Cerabolini et al., 2008; Fornaciari & Consonni, 1990; Kleih, 2007<br />

Famiglia: Elaeagnaceae<br />

Nome scientifico: Elaeagnus pungens Thunb.<br />

Nome volgare: olivagno pungente<br />

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olivagno<br />

cinese<br />

Famiglia: Elaeagnaceae<br />

Nome scientifico: Elaeagnus umbellata Thunb.<br />

Nome volgare: olivagno cinese, goumi<br />

Sinonimi: Elaeagnus multiflora auct., non Thunb.<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto con rami arcuati, alto sino a 3-4 m, nelle parti giovani ricoperto da lepidomi, peli a forma <strong>di</strong> squama<br />

o scudo appiattito, che riflettono la luce come una superficie argentata. Foglie decidue, alterne; picciolo <strong>di</strong> 3-5 mm; lamina<br />

obovata o ellittico-obovata, <strong>di</strong> 2-8×1-2.5 cm, pagina superiore con sparsi lepidomi da giovane, pagina inferiore argentea,<br />

completamente ricoperta <strong>di</strong> lepidomi; base cuneata, apice ottuso. Fiori fascicolati in numero <strong>di</strong> 1-3(-7); pe<strong>di</strong>celli <strong>di</strong> 3-6 mm<br />

(più lunghi nei frutti); calice biancastro-argenteo, con tubo imbutiforme <strong>di</strong> 5-7 mm e 4 lobi triangolari-ovati, lunghi circa 3<br />

mm; corolla assente; stami 4, inseriti tra i lobi del calice; stilo lineare, non sporgente. Frutto costituito da una drupa globosa, <strong>di</strong><br />

(6-)8-9 mm, rossa con fitte punteggiature argentate (gruppi <strong>di</strong> lepidomi), commestibile.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Asia centro-orientale (dall’Afghanistan sino al Giappone).<br />

Habitat: Ambienti boschivi marginali.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora localizzata nei siti <strong>di</strong> introduzione, in particolare nella parte occidentale della regione<br />

(250-500 m s.l.m.). Rinvenuta ferale unicamente presso il Lago <strong>di</strong> Ganna (VA), casuale altrove. Como (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Macchi<br />

(2005) col nome errato <strong>di</strong> E. multiflora e da Banfi et al. (2009) col nome corretto.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura; frutta minore).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione delle plantule nelle aree <strong>di</strong> neo-inavasione. Tollera bene la potatura, pertanto<br />

sono necessari più interventi <strong>di</strong> controllo meccanico; a supporto <strong>di</strong> tale azione <strong>di</strong> contenimento, si rende necessario l’uso<br />

localizzato <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici ai fini <strong>di</strong> una certa era<strong>di</strong>cazione.<br />

Note: La specie compare su <strong>di</strong>versi cataloghi <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>ta orticola per il frutto commestibile (fresco, per marmellate ecc.), ricco <strong>di</strong> vitamina C come<br />

tutte le eleagnacee. Talvolta viene confusa con specie affini, tra cui E. angustifolia L. (olivagno <strong>di</strong> Boemia) segnalata casuale in Lombar<strong>di</strong>a da Arietti<br />

(1950), alta fino a 7 m, con foglie strettamente ellittico-lanceolate e lepidomi persistenti anche sulla faccia adassiale della lamina, ed E. multiflora<br />

Thunb., dai frutti più gran<strong>di</strong> e decisamente peduncolati. È in genere coltivata presso gli appostamenti fissi <strong>di</strong> caccia (roccoli), per il richiamo<br />

autunnale degli uccelli frugivori.<br />

Le segnalazioni <strong>di</strong> E. multiflora per la provincia <strong>di</strong> Varese <strong>di</strong> Macchi (2005) e genericamente per la Lombar<strong>di</strong>a (in comune <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>) <strong>di</strong> Banfi et al.<br />

(2009) sono erronee e da ricondurre a E. umbellata.<br />

Bibliografia: Arietti, 1950; Banfi et al., 2009; Barnes & Whiteley, 1997; Macchi, 2005<br />

olmo<br />

cigliato<br />

Famiglia: Ulmaceae<br />

Nome scientifico: Ulmus laevis Pall.<br />

Nome volgare: olmo cigliato<br />

Sinonimi: Ulmus ciliata Ehrh., nom. illeg.<br />

Ulmus effusa Willd.<br />

Ulmus pedunculata Foug.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero deciduo alto fino a 35 m, con grande chioma arrotondata; rametti dell’anno mollemente pubescenti o<br />

glabri. Foglie alterne, da suborbicolari a ovate, glabre o pubescenti sulla faccia abassiale, subacuminate all’apice, con margine<br />

a dentatura semplice o doppia, base asimmetrica e 12-19 nervi secondari paralleli per lato. Fiori sorretti da peduncoli lunghi<br />

3-6 volte i fiori stessi (6-18 mm), in cime glomeruliformi condensate, sui rami del secondo anno, sviluppantisi prima delle<br />

foglie; perianzio monoclamide a 4 lobi; stami numerosi, con filamento rosso-violaceo; ovario supero. I frutti sono samare<br />

<strong>di</strong>scoidali <strong>di</strong> 10-12 mm, incise all’apice, cigliate al margine, pendule su lunghi peduncoli; seme in posizione centrale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-aprile.<br />

Area d’origine: Europa centrale, orientale e sudorientale.<br />

Habitat: Boscaglie degradate, margini ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca nelle fasce planiziale e collinare, presso i centri abitati. Bergamo (CAS), Brescia (NAT),<br />

Como (CAS), Cremona (NAT), Lecco (CAS), Monza e Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a e Italia da Comolli (1835) per comasco e<br />

lecchese.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (vivaistica).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Questa specie è essenzialmente coltivata nei parchi urbani e delle ville campestri, ma non è l’unico olmo esotico presente nel territorio<br />

regionale. Molto più frequente, specialmente nelle alberature stradali, è l’olmo siberiano (U. pumila, ve<strong>di</strong> scheda), che si <strong>di</strong>stingue facilmente<br />

per le foglie da ovato-ellittiche a ellittico-lanceolate, con base poco o per nulla asimmetrica e 9-16 nervi secondari per lato; inoltre per le samare<br />

addensate, non cigliate al margine e dotate <strong>di</strong> un peduncolo molto breve (1-2 mm).<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Comolli, 1835; Frattini, 2008; Zanotti, 1991b<br />

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olmo<br />

siBeriano<br />

Famiglia: Ulmaceae<br />

Nome scientifico: Ulmus pumila L.<br />

Nome volgare: olmo siberiano<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero deciduo alto 5-10 m, con ritidoma rugoso. Foglie alterne, semplici, con picciolo pubescente <strong>di</strong> 4 mm<br />

e lamina da ovato-ellittica a ellittico-lanceolata, provvista <strong>di</strong> dentatura marginale semplice, glabra o subglabra, lunga 2.5-8<br />

cm, da acuta ad acuminata, più o meno cordata con lobi basali poco <strong>di</strong>fferenziati e simili fra loro e 9-16 nervi secondari per<br />

lato. Fiori sviluppantisi prima delle foglie, brevemente peduncolati (1-2 mm), in glomeruli, a calice campanulato <strong>di</strong> 4-5 sepali,<br />

corolla nulla, androceo <strong>di</strong> circa 5 stami rossastro-violacei, ovario bicarpellare supero, uniloculare. Il frutto è una samara circolare<br />

od obovata, lunga circa 1 cm, non cigliata al margine, incisa all’apice.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-aprile.<br />

Area d’origine: Asia settentrionale e orientale (Cina, Siberia, Manciuria, Corea).<br />

Habitat: Boschi, boscaglie, siepi, margini stradali.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale, soprattutto presso i centri abitati. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong><br />

(NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1860. Segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per il verde urbano, le alberature stradali e i rimboschimenti (oggi non più proponibili), in<br />

quanto resistente all’agente della grafiosi (Ceratostomella ulmi), che colpisce a ondate l’autoctono olmo campestre (U. minor Mill.).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Potenzialmente sì.<br />

Impatto: Al momento non sembrerebbe una specie pericolosa per la bio<strong>di</strong>versità, ma il suo potenziale per <strong>di</strong>ventarlo è molto<br />

alto, in quanto intensamente utilizzata nei rimboschimenti, anche a fini naturalistici (Gran<strong>di</strong> Foreste <strong>di</strong> Pianura), e in quanto<br />

già invasiva nel Nordamerica.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Interromperne l’utilizzo.<br />

Note: Si confonde con l’olmo comune (Ulmus minor), autoctona con cui probabilmente potrebbe anche ibridarsi; si rendono quin<strong>di</strong> in<strong>di</strong>spensabili<br />

stu<strong>di</strong> che ne permettano il riconoscimento e l’allontanamento. L’altro olmo esotico presente in Lombar<strong>di</strong>a è l’olmo cigliato (Ulmus laevis, ve<strong>di</strong><br />

scheda), che si <strong>di</strong>stingue facilmente per le foglie da suborbicolari a ovate, con base asimmetrica e 12-19 nervi secondari per lato; inoltre per le<br />

samare non addensate, cigliate al margine e dotate <strong>di</strong> un lungo peduncolo (6-18 mm).<br />

Bibliografia: Ansaloni, 1934; Banfi & Galasso, 1998; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Frattini, 2008; Giordana, 1995<br />

luppolo<br />

del giappone<br />

Tipo biologico: Tlian<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale rampicante, alta 1-7 m, con fusti erbacei, scabri, gracili, attorcigliati <strong>di</strong> norma ad altre<br />

piante. Foglie opposte con stipole ovate, picciolo e nervi principali spinulosi, lamina palmato-lobata a contorno circolare, con<br />

5(-7) lobi acuti, <strong>di</strong> colore verde vivo. Infiorescenze unisessuali (pianta <strong>di</strong>oica): le maschili a pannocchia con fiori a perianzio <strong>di</strong><br />

6 segmenti giallo-verdognoli e 6 stami ciondolanti, a filamento molle; le femminili pendule, ovate, con i fiori ridotti a semplici<br />

ovari provvisti <strong>di</strong> 2 stigmi allungati e protrusi, circondati dal perianzio accrescente, inseriti all’ascella <strong>di</strong> brattee verde chiaro. Il<br />

frutto è un achenocono, una sorta <strong>di</strong> “pigna” formata dalle brattee (non accrescenti), ciascuna ascellante un singolo pericarpio<br />

involucrato dal proprio perianzio, con i caratteri <strong>di</strong> un achenio.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Giappone).<br />

Habitat: Boscaglie, siepi, colture estive e lungo i fiumi su suoli ± umi<strong>di</strong>, tendenzialmente ipertrofici e a tessitura fine.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa nell’area planiziale e collinare <strong>di</strong> tutto il territorio (0-600 m s.l.m.), particolarmente<br />

frequente nel milanese, lungo fiumi e canali. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e<br />

Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo; in natura osservata per la prima volta nel 1903 in<br />

Toscana (Fiori, 1905b; Fiori & Paoletti, 1907), in Lombar<strong>di</strong>a nel 1941 (Stucchi, 1949b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È tra le aliene più con<strong>di</strong>zionanti la qualità della vegetazione e del paesaggio in territorio regionale. Infatti arriva<br />

a rivestire completamente siepi, arbusti, piccoli alberi, cumuli <strong>di</strong> detriti e manufatti d’ogni genere (staccionate, reti, muri,<br />

palificazioni ecc.), nonché è in grado <strong>di</strong> formare fitti ed estesi tappeti sul terreno degli argini, sul suolo umido delle boscaglie o<br />

al margine dei campi coltivati, spingendosi anche in modo nocivo all’interno delle colture. Determina dunque pesanti cadute<br />

<strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità, opprimenti banalizzazioni del paesaggio e danni all’agricoltura. È specie inclusa nella lista nera delle specie<br />

alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile controllo in relazione al vigore e all’aggressività. Se ne consiglia il taglio (almeno<br />

3-4 volte all’anno, ripetuto per <strong>di</strong>versi anni), coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> (da applicare solo sulla porzione al suolo).<br />

Occorre rimuovere accuratamente le parti tagliate e <strong>di</strong>struggerle, poiché possono sparpagliare <strong>di</strong>sseminuli. È necessario<br />

comunque pre<strong>di</strong>sporre una copertura stabile <strong>di</strong> vegetazione autoctona, eliminando anche le cause <strong>di</strong> degrado che facilitano<br />

l’ingresso e l’espansione della specie. La ven<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> questa pianta nei centri <strong>di</strong> giar<strong>di</strong>naggio, sebbene non comune perché <strong>di</strong><br />

modesto interesse, deve essere tassativamente vietata per non aggiungere danno al danno.<br />

Note: Potrebbe venire superficialmente confusa con il luppolo nostrano (Humulus lupulus L.), con il quale spesso compete per l’habitat, che si<br />

<strong>di</strong>stingue per essere perenne, robusto, con fusti legnosi e per possedere foglie generalmente trilobate e brattee dell’infiorescenza femminile<br />

ghiandolose (<strong>di</strong> qui l’uso per aromatizzare la birra), accrescenti (saccate) nel frutto.<br />

Bibliografia: Fiori, 1905b; Fiori & Paoletti, 1907; Stucchi C., 1949b<br />

Famiglia: Cannabaceae<br />

Nome scientifico: Humulus japonicus Siebold & Zucc.<br />

Nome volgare: luppolo del Giappone<br />

Sinonimi: Humulus scandens auct., non (Lour.) Merr.<br />

Antidesma scandens auct., non Lour.<br />

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gelso<br />

da carta<br />

Famiglia: Moraceae<br />

Nome scientifico: Broussonetia papyrifera (L.) Vent.<br />

Nome volgare: gelso da carta<br />

Basionimo: Morus papyrifera L.<br />

Sinonimi: Papyrius papyrifera (L.) Kuntze<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero alto sino a 20 m, ma in genere non superante 10 m, con chioma larga, quasi tabulare. Foglie decidue,<br />

alterne, con picciolo <strong>di</strong> 2-8 cm e lamina da ovata a ellittico-ovata, intera o con 3-5 lobi (soprattutto nei turioni e nei giovani<br />

esemplari), delle <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> 6-18×5-9 cm, pubescente sulla pagina inferiore e scabra su quella superiore; base cordata<br />

e asimmetrica, apice acuminato, margine grossolanamente seghettato. Fiori unisessuali, maschili e femminili su in<strong>di</strong>vidui<br />

separati (pianta <strong>di</strong>oica); infiorescenze maschili ad amento lungo 3-8 cm, pendulo, con fiori a calice 4-lobato, senza corolla e 4<br />

stami inflessi nel boccio; infiorescenze femminili a capolino globoso, con i singoli fiori ridotti a un perianzio <strong>di</strong> 4 minuti denti,<br />

contornanti l’ovario. Frutto rosso-aranciato, globoso, <strong>di</strong> 1.5-3 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, pubescente e con sparse setole rigide, costituito<br />

dall’accrescimento dei perianzi fusi, come nel gelso, in un sincarpio carnoso (sorosio).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (dalla Corea fino alla Malesia, incluse alcune isole del Pacifico).<br />

Habitat: Si rinviene soprattuto in ambienti antropizzati, dove cresce in particolare nei ruderati e presso i margini stradali,<br />

<strong>di</strong> solito su suolo ben drenato. Di rado si inserisce in ambiti più naturali, per esempio in boschi termofili o subtermofili,<br />

attestandosi in prevalenza ai loro margini ed eccezionalmente entra anche in contatto con i prati magri.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, <strong>di</strong>ffusa in prevalenza nell’area planiziale e collinare (0-500 m s.l.m.), ma con<br />

una <strong>di</strong>stribuzione largamente <strong>di</strong>scontinua. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV),<br />

Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del secolo XVIII; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal<br />

1793 dal conte Alfonso Castiglioni (Anonimo, 1793; Giacomini, 1950) e naturalizzata almeno dal 1897 (Ugolini, 1897).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (industria cartiera).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Specie a rapido accrescimento, fortemente pollonante, può alterare la bio<strong>di</strong>versità e il paesaggio. È infatti in grado<br />

<strong>di</strong> soffocare la vegetazione soggiacente con le sue fronde esuberanti; inoltre può creare problemi <strong>di</strong> manutenzione stradale.<br />

È specie inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r.<br />

5/2007 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Si consiglia il taglio selettivo (ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>);<br />

se possibile, provvedere ad un ombreggiamento dell’habitat, tramite la piantagione <strong>di</strong> specie arboree o alto-arbustive<br />

in<strong>di</strong>gene a rapido accrescimento. Pronta rimozione delle giovani piante in aree <strong>di</strong> neo-invasione. Da evitare accuratamente<br />

la fruttificazione, che per altro nel nostro territorio è un evento raro perché in genere sussiste una forte separazione spaziale<br />

tra i cloni dei due sessi.<br />

Note: Questa specie era già fonte <strong>di</strong> cellulosa nella sua area d’origine.<br />

Bibliografia: Anonimo, 1793; Giacomini, 1950; Ugolini, 1897<br />

ramié<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne robusta, alta sino a 2.5 m, con fusto poco o per nulla ramificato. Foglie alterne, con<br />

picciolo lungo 2.5-10 cm; lamina da orbicolare ad ampiamente ovata, <strong>di</strong> 7-15×4-13 cm, verde e ruvida sulla pagina superiore,<br />

bianco-can<strong>di</strong>da su quella inferiore per la presenza <strong>di</strong> un denso tomento; base cordata, margine crenulato o dentellato, apice<br />

acuminato o cuspidato. Fiori in glomeruli unisessuali, maschili e femminili su in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>fferenti (pianta <strong>di</strong>oica), larghi circa<br />

2.5 mm, inseriti all’ascella delle foglie; glomeruli maschili pauciflori, con fiori tetrameri, i femminili multiflori, a fiori sempre<br />

tetrameri. Frutto costituito da un achenio ovoide <strong>di</strong> circa 0.6 mm, avvolto dal perianzio, con 2-3 denti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-agosto.<br />

Area d’origine: Asia orientale e sudorientale (dall’In<strong>di</strong>a al Giappone e all’Indonesia).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, spesso residuo <strong>di</strong> coltivazione.<br />

Distribuzione nel territorio: Presente unicamente in ambito planiziale a ovest <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (Cisliano, MI). <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a Roma da Pignatti (1982) e Anzalone (1984), dove era<br />

presente dal 1964; in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (2005).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (industria tessile).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale controllo me<strong>di</strong>ante rimozione <strong>di</strong>retta delle piante (sra<strong>di</strong>camento, sfalcio, erbici<strong>di</strong> ecc.).<br />

Note: Taxon caratterizzato da <strong>di</strong>versità infraspecifica, le cui piante presenti in territorio lombardo sembrano corrispondere al tipo nominale della<br />

specie. Si tratta <strong>di</strong> coltura devoluta alla produzione <strong>di</strong> fibra naturale (ramié), utilizzata soprattutto nel passato e oggi praticamente abbandonata.<br />

Non sembra capace <strong>di</strong> <strong>di</strong>ffondersi attivamente né per via vegetativa né per seme.<br />

Bibliografia: Anzalone, 1984; Banfi & Galasso, 2005; Pignatti, 1982<br />

Famiglia: Urticaceae<br />

Nome scientifico: Boehmeria nivea (L.) Gau<strong>di</strong>ch.<br />

Nome volgare: ramié, ortica argentata<br />

Basionimo: Urtica nivea L.<br />

Sinonimi: Ramium niveum (L.) Small<br />

128 129


quercia<br />

rossa<br />

Famiglia: Fagaceae<br />

Nome scientifico: Quercus rubra L.<br />

Nome volgare: quercia rossa<br />

Sinonimi: Erythrobalanus rubra (L.) O.Schwarz<br />

Quercus borealis F.Michx.<br />

Quercus rubra L. var. borealis (F.Michx.) Farw.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero deciduo a chioma espansa e arrotondata, alto 10-25(-35) m, con tronco robusto; ritidoma relativamente<br />

liscio e uniforme, grigio-brunastro e rami glabri, rossastri. Foglie con picciolo <strong>di</strong> 2-4 cm e lamina a contorno obovatooblanceolato,<br />

<strong>di</strong> 12-17×8-12 cm, profondamente incisa in 3-5 paia <strong>di</strong> lobi triangolari od ovati, acuti, a margine irregolarmente<br />

dentato e apice spesso acuminato; denti e apice più o meno terminati da una seta filiforme lunga fino a 4 mm. Fiori unisessuali<br />

(pianta monoica); i maschili in amenti penduli, giallo-verdognoli, provvisti <strong>di</strong> perianzio a 4-7 lobi e androceo <strong>di</strong> 4-6(-12) stami,<br />

con i ru<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> un ovario; i femminili solitari o a 2-3 in spighe raccorciate, con perianzio a 6 minuti lobi e ovario infero,<br />

triloculare, sormontato da 3 stili. Il frutto è una ghianda con cupola appiattita a baschetto, ricoprente il pericarpio per 1/3 o<br />

meno, quest’ultimo ovoidale, lungo 2-3 cm e largo poco meno, bruno chiaro, più scuro verso l’apice.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Boschi planiziali (alta pianura).<br />

Distribuzione nel territorio: Soprattutto nell’alta pianura. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (CAS), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (CAS), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1724. In Italia è stata introdotta fin dal 1860 e sperimentata a fini<br />

forestali dal 1922; ha subito mostrato una elevata capacità a <strong>di</strong>ffondersi naturalmente e in Lombar<strong>di</strong>a è stata segnalata in<br />

natura da Pepe (1966).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini sperimentali per rimboschimenti e come pianta da parchi, giar<strong>di</strong>ni e alberature<br />

stradali.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Nei boschi planiziali (querco-carpineti), specialmente su base aci<strong>di</strong>ficata, è causa della per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità in<br />

quanto impe<strong>di</strong>sce il normale sviluppo delle specie legnose autoctone. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone<br />

vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a; è inoltre inserita tra<br />

le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r. 5/2007.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al Bosco Fontana presso Mantova sono stati praticati interventi sulla quercia rossa e sul platano,<br />

finalizzati a incrementare la necromassa (Cavalli & Mason, 2003).<br />

Bibliografia: Cavalli & Mason, 2003; Pepe, 1966; Sartori et al., 1988<br />

noce<br />

nero<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero deciduo alto fino a 35 m (40-50 m nel suo habitat originario), con chioma ampia e tronco <strong>di</strong>ritto; ritidoma<br />

grigio più o meno scuro o brunastro, con l’età profondamente inciso in solchi longitu<strong>di</strong>nali stretti e rugosi. Foglie alterne,<br />

imparipennate, lunghe 20-60 cm, con (9-)15-19(-23) segmenti lanceolati od ovato-lanceolati, simmetrici o debolmente<br />

falcati, <strong>di</strong> (3-)6-15×1.5-5.5 cm, a margine seghettato e apice acuminato; segmento terminale ridotto o, spesso, mancante<br />

(quin<strong>di</strong> foglia paripennata). Fiori unisessuali (in pianta monoica), con perianzio monoclamide 3-5-lobato; i maschili in amenti<br />

lunghi 5-10 cm, con 17-50 stami ciascuno; i femminili in racemi terminali pauciflori, con ovario infero e stimma bifido. Il frutto<br />

è una pseudodrupa (pericarpio indeiscente incluso nell’accrescimento carnoso del perianzio, noto come “mallo”) globosa o<br />

subellissoidale, lunga 3-4 cm, con scanalature longitu<strong>di</strong>nali fitte e profonde, separate da superficie fortemente verrucosa.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Boscaglie, margini boschivi degradati, ambienti ruderali freschi.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca in tutta la regione, soprattutto presso i centri abitati, dove è casuale. Veramente<br />

naturalizzata soltanto in Oltrepo pavese lungo il Torrente Versa, nel lecchese al Parco <strong>di</strong> Montevecchia e della Valle del Curone<br />

e lungo il Po nel lo<strong>di</strong>giano. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (CAS),<br />

<strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Pavia (NAT), Sondrio (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla seconda metà del XVIII secolo. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (produzione legnosa).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante (estetico locale).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Il noce nero fornisce legname <strong>di</strong> pregio, ben noto in America, dove tale produzione riveste un’importanza economica <strong>di</strong> primo piano; in<br />

Europa, invece, la sua coltivazione non ha dato i frutti sperati, in quanto se ne ricava un legno <strong>di</strong> qualità inferiore. Un po’ alla volta, perciò, la pianta è<br />

passata dalla selvicoltura produttiva alla parchicoltura, <strong>di</strong>ventando una delle specie symbol delle alberature e dei polmoni ver<strong>di</strong> artificiali.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Giordana, 1995<br />

Famiglia: Juglandaceae<br />

Nome scientifico: Juglans nigra L.<br />

Nome volgare: noce nero, noce americano<br />

130 131


Famiglia: Cucurbitaceae<br />

Nome scientifico: Sicyos angulatus L.<br />

sicio Nome volgare: sicio<br />

acetosella<br />

Tipo biologico: Tlian<br />

Descrizione: Pianta rampicante erbacea, annuale, con fusti lunghi 2-5 m, provvisti <strong>di</strong> cirri ramosi, pubescenti e più o meno<br />

vischiosi. Foglie con lamina cuoriforme lunga 5-7 cm, <strong>di</strong>visa fino a 1/3-2/5 della larghezza in 5 lobi palmati, acuti. Fiori<br />

unisessuali (pianta monoica), i maschili in racemi ascellari, i femminili in capolini pauciflori lungamente peduncolati; calice<br />

profondamente 5-fido con lobi strettamente triangolari; corolla giallastra <strong>di</strong> 5-6 mm, <strong>di</strong>visa come il calice in 5 lobi triangolarisubacuti;<br />

stami (fiori maschili) <strong>di</strong> regola 3; ovario (fiori femminili) infero, con stimma subsessile. Frutto ad achenio <strong>di</strong> 1.5 cm,<br />

ovoide, compresso, coriaceo, giallastro, lanoso e irto <strong>di</strong> setole spinescenti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Argini, greti, sponde fluviali, ambienti golenali (soprattutto nei saliceti e nei pioppeti), boscaglie planiziali e colture estive.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV),<br />

Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal principio del Settecento; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785<br />

(Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1974 nel pavese (Soldano, 1977a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, come curiosità ad uso ortofloricolo.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Negativo, in quanto l’aliena determina un impoverimento floristico delle comunità in cui s’insinua, soprattutto lungo<br />

i fiumi, a scapito delle rampicanti in<strong>di</strong>gene, in particolare Silene baccifera (L.) Durande, sempre più rara e localizzata e Bryonia<br />

<strong>di</strong>oica Jacq., un tempo frequente, oggi complessivamente rarefatta. Nei confronti <strong>di</strong> quest’ultima specie il danno bioecologico<br />

comporta anche una “beffa tassonomica”, con la sostituzione <strong>di</strong> una cucurbitacea da parte <strong>di</strong> un’altra cucurbitacea. Può<br />

inoltre essere dannosa per le colture. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio,<br />

contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Possibile confusione con la citata Bryonia <strong>di</strong>oica, rampicante provvisto <strong>di</strong> viticci e fiori simili a quelli <strong>di</strong> Sicyos angulatus, tuttavia riconoscibile<br />

per i frutti a bacca rosso vivo con riflessi satinati.<br />

Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785; Soldano, 1977a<br />

rizomatosa<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne acaule (cespuglietto cupoliforme), alta 10-30 cm, con rizoma articolato in segmenti<br />

carnosi, lunghi fino a 2 cm, facilmente <strong>di</strong>sarticolabili. Foglie trifogliolate; picciolo <strong>di</strong> 5-30 cm con pelosità breve e appressata<br />

(sericea); segmenti obovato-obcordati, lunghi 1-5 cm, bilobi con incisione me<strong>di</strong>ana stretta, poco profonda e apice arrotondato.<br />

Fiori in cime ombrelliformi <strong>di</strong> poco superanti le foglie; calice <strong>di</strong> 5 brevi lacinie lanceolate; corolla campanulata a 5 petali<br />

obovato-spatolati, ricoprentisi per metà lunghezza, lunghi 10-20 mm, viola vivo (raramente bianchi) con fauce porpora scuro;<br />

stami 10 in due verticilli, inclusi; ovario supero, 5-loculare. Il frutto (<strong>di</strong>fficile da osservare) è una capsula ellissoidale od ovoidale<br />

lunga 8-10 mm, pentagonale in sezione, a deiscenza esplosiva, con numerosi, piccoli semi bruno scuro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Sudamerica (Paraguay).<br />

Habitat: Aiuole, margini erbosi, marciapie<strong>di</strong>, generalmente come coltura residua.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto presso i centri abitati, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT),<br />

Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT),<br />

Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. Segnalata in Lombar<strong>di</strong>a da Fornaciari (1983)<br />

e Galasso (1991).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: A <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> altre entità dello stesso genere, questa specie si <strong>di</strong>ffonde poco nel territorio lombardo, mentre in area me<strong>di</strong>terranea<br />

(specialmente sul versante ligure-tirrenico) <strong>di</strong>venta spesso invasiva e incontrollabile. Può essere confusa con O. corymbosa (ve<strong>di</strong> scheda), che si<br />

riconosce agevolmente per essere bulbosa e presentare pelosità patente sui piccioli fogliari. Le flore ufficiali italiane e lombarde riportano come<br />

occasionali altre due acetoselle esotiche a foglie trifogliolate e fiori rosati, O. purpurata Jacq. (acetosella rossa, segnalata da Arietti & Crescini, 1980;<br />

Pavan Arci<strong>di</strong>aco et al., 1990) e O. purpurea L. (acetosella purpurea, segnalata da Giacomini 1950); entrambe sudafricane (Provincia del Capo),<br />

presentano foglie simili a quelle già descritte (però con picciolo e lamina un po’ più consistenti) e corolle da viola-porpora a carminio con fauce<br />

giallo-verde; la prima presenta più fiori in cime ombrelliformi superanti in altezza il fogliame, mentre la seconda ha infiorescenze ridotte a un<br />

singolo fiore sbocciante in mezzo alle foglie. Se anche queste due specie sono coltivate in Lombar<strong>di</strong>a, non costituiscono alcun rischio in termini<br />

<strong>di</strong> naturalizzazione.<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Fornaciari, 1983; Galasso, 1991; Giacomini, 1950; Pavan Arci<strong>di</strong>aco et al., 1990<br />

Famiglia: Oxalidaceae<br />

Nome scientifico: Oxalis articulata Savigny<br />

Nome volgare: acetosella rizomatosa<br />

Sinonimi: Acetosella articulata (Savigny) Kuntze<br />

Acetosella platensis (A.St.-Hil. ex Nau<strong>di</strong>n) Kuntze<br />

Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze<br />

Oxalis arechavaletae Herter<br />

Oxalis articulata Savigny var. sericea Progel<br />

Oxalis dumicula Arechav.<br />

Oxalis floribunda Lehm. / Oxalis guttata Osten ex Arechav.<br />

Oxalis halophila Arechav.<br />

Oxalis platensis A.St.-Hil. ex Nau<strong>di</strong>n / Oxalis rivalis Arechav.<br />

Oxalis sericea (Progel) Arechav., non L.f., nom.illeg.<br />

Oxalis violacea auct., non L.<br />

132 133


acetosella<br />

corimBosa<br />

Famiglia: Oxalidaceae<br />

Nome scientifico: Oxalis corymbosa DC.<br />

Nome volgare: acetosella corimbosa<br />

Sinonimi: Acetosella debilis auct., non (Kunth) Kuntze<br />

Acetosella martiana (Zucc.) Kuntze<br />

Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze<br />

Ionoxalis martiana (Zucc.) Small Oxalis bipunctata A.St.-Hil.<br />

Oxalis bipunctata Grahm<br />

Oxalis bulbillifera Herter / Oxalis debilis auct., non Kunth<br />

Oxalis debilis Kunth subsp. corymbosa (DC.) O.Bolòs & Vigo<br />

Oxalis debilis Kunth var. corymbosa (DC.) Lourteig<br />

Oxalis macrophylla Kunth<br />

Oxalis martiana Zucc. / Oxalis multibulbosa Turcz.<br />

Oxalis urbica A.St.-Hil. / Oxalis violacea auct., non L.<br />

Tipo biologico: Gbulb<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne acaule, più o meno pubescente per tricomi bianchi, patenti, alta 10-25 cm, con<br />

bulbo sotterraneo <strong>di</strong> 1.5-3 cm a squame lasse, cartacee, trinervie e bulbilli sessili, numerosi. Foglie trifogliolate; picciolo <strong>di</strong><br />

5-30 cm con peli patenti; segmenti obcordati <strong>di</strong> 1-4.5×1.5-6 cm, adassialmente, soprattutto presso il margine, provvisti <strong>di</strong><br />

punteggiature rosso scuro (calli), con apice arrotondato e bilobato, a incisione me<strong>di</strong>ana breve e stretta. Fiori in cime corimbose<br />

8-15flore su peduncolo <strong>di</strong> 10-40 cm o più; pe<strong>di</strong>celli fiorali <strong>di</strong> 0.5-2.5 cm; sepali 5, lanceolati (4-7 mm), con apice segnato da due<br />

calli; petali formanti una corolla campanulata, ma sovrapposti solo nel tratto inferiore, roseo-lilacini con venature più scure<br />

visibili alla fauce; stami 10 in due verticilli; ovario supero a 5 loculi. Frutto (molto raro) a capsula pentagonale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-<strong>di</strong>cembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica (SE-Brasile, Argentina).<br />

Habitat: Aiuole, margini erbosi, incolti, ruderati, marciapie<strong>di</strong>, vasi <strong>di</strong> piante.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque (spesso poco osservata o confusa con O. articulata), soprattutto presso i centri abitati,<br />

nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia<br />

(NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. Segnalata in Lombar<strong>di</strong>a da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata, parzialmente invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo.<br />

Note: L’invasività <strong>di</strong> questa specie si manifesta più che altro in ambito floricolturale, anche se è una comune coinquilina dei vasi su terrazzi e<br />

balconi. È molto simile a Oxalis debilis (non presente in Lombar<strong>di</strong>a), dalla quale si <strong>di</strong>fferenzia soprattutto per la <strong>di</strong>sposizione dei cristalli <strong>di</strong> ossalato<br />

all’interno della lamina fogliare (Lourteig, 2000). Può essere invece confusa con O. articulata (ve<strong>di</strong> scheda), che si riconosce agevolmente per<br />

essere rizomatosa e presentare pelosità appressata sui piccioli fogliari. Tra le acetoselle aliene naturalizzate in Italia vale la pena ricordare ancora<br />

O. pes-caprae L. (= O. cernua Thunb.; acetosella gialla, segnalata in Lombar<strong>di</strong>a da Giacomini, 1950), specie sudafricana (Provincia del Capo), invasiva<br />

nelle colture me<strong>di</strong>terranee (olivo, agrumi, vite) e <strong>di</strong>ffusa negli ambienti ruderali non lontani dalle coste. Con<strong>di</strong>vide con O. corymbosa la presenza<br />

<strong>di</strong> calli rosso scuro sulla lamina fogliare, che in questo caso sono ben visibili come punteggiature sparpagliate; i fiori sono gran<strong>di</strong>, giallo oro,<br />

campanulati, penduli in cime ombrelliformi lungamente sopravanzanti le foglie. È presente saltuariamente lungo il Lago <strong>di</strong> Garda, dove non<br />

sembra però a rischio <strong>di</strong> espansione. Diverse altre specie sono coltivate qua e là nei giar<strong>di</strong>ni o nei vasi; tra queste merita menzione O. bowiei Lindl.,<br />

con bulbi allungati a bottiglietta, rivestiti da una tunica liscia, giallo-bruna e foglie un po’ carnose, a segmenti arrotondati, lunghi fino a 5 cm, verde<br />

chiaro; i fiori, a 3-12 in cime umbelliformi, sono larghi circa 4 cm, campanulato-imbutiformi, cremisi o rosa intenso, con fauce vistosamente gialloverde.<br />

Per il suo vigore <strong>di</strong> crescita e propagazione è un’aliena potenzialmente pericolosa, anche se per fortuna finora non è stata trovata allo stato<br />

spontaneo. Infine, anche O. tetraphylla Cav. (= O. deppei Lodd. ex Sweet; falso quadrifoglio), del Messico, è venduta <strong>di</strong> frequente, ma non appare<br />

così vigorosa come la precedente, cui somiglia per i fiori, e non sembra in grado <strong>di</strong> stabilizzarsi; si riconosce per essere l’unica acetosella con foglie<br />

a quattro segmenti, evocanti il quadrifoglio anche per la presenza sugli stessi <strong>di</strong> una banda a V rosso-scura, con la punta rivolta verso l’apice; è<br />

stata osservata casuale nel pavese.<br />

acetosella<br />

maggiore<br />

Tipo biologico: Gbulb<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, acaule, alta 7-25 cm, con bulbetti sotterranei. Foglie trifogliolate; picciolo lungo 8-25<br />

cm; segmenti quasi perfettamente triangolari (deltoi<strong>di</strong>), <strong>di</strong> 5-6 cm <strong>di</strong> lato, con apice piatto a larga e superficiale incisione<br />

me<strong>di</strong>ana e lobi rotondato-subacuti. Infiorescenza cimosa, umbelliforme, 6-32-flora, con fiori del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1.5-2 cm; calice a<br />

5 lacinie lanceolato-lineari; corolla infun<strong>di</strong>buliforme <strong>di</strong> 5 petali lilla chiaro, con fauce nettamente giallo-verde; stami 10 in due<br />

verticilli, inclusi; ovario supero, 5-loculare. Il frutto (<strong>di</strong>fficilmente osservabile) è una capsula pentagonale allungata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: America centro-meri<strong>di</strong>onale (dal Messico al Perù).<br />

Habitat: Siti erbosi freschi e ombreggiati, anche nei vasi.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura, soprattutto presso i centri abitati. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong><br />

(NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo imprecisabile. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta<br />

da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata, parzialmente invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo.<br />

Note: Vale quanto osservato per O. corymbosa (ve<strong>di</strong> scheda). In coltivazione è <strong>di</strong>ffusa anche la specie sudamericana O. regnellii Miq. (= O. triangularis<br />

auct., non A.St.-Hil.), molto simile a O. latifolia, ma con segmenti fogliari a incisione apicale brevissima, <strong>di</strong> colore nero violaceo sia sopra che sotto,<br />

oppure verde scuro solo <strong>di</strong> sopra, o ancora interamente verde scuro; presenta inoltre una corolla <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori, campanulato-substellata,<br />

lilla pallido o bianca, a fauce leggermente iscurita. Finora non è stata osservata fuori coltura.<br />

Bibliografia: Giordana, 1995<br />

Famiglia: Oxalidaceae<br />

Nome scientifico: Oxalis latifolia Kunth<br />

Nome volgare: acetosella maggiore<br />

Sinonimi: Acetosella violacea auct., non (L.) Kuntze<br />

Acetosella violacea (L.) Kuntze subsp. latifolia (Kunth) Kuntze<br />

Ionoxalis interme<strong>di</strong>a (A.Rich.) Small<br />

Ionoxalis latifolia (Kunth) Rose<br />

Ionoxalis vespertilionis (Zucc.) Rose<br />

Oxalis chiriquensis Woodson / Oxalis interme<strong>di</strong>a A.Rich.<br />

Oxalis lilacina Klotzsch / Oxalis mauritiana Lodd.<br />

Oxalis vespertilionis Zucc.<br />

Oxalis violacea auct., non L.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a; Giacomini, 1950; Giordana, 1995; Lourteig, 2000<br />

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acetosella<br />

<strong>di</strong> <strong>di</strong>llenius<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne <strong>di</strong> breve durata, con fusti esili, cespitosi, alti fino a 20(-30) cm, ascendenti, provvisti<br />

<strong>di</strong> peli unicellulari, spesso ginocchiati ma non ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Stipole presenti, oblunghe, caduche; foglie verde chiaro,<br />

prevalentemente opposte o in verticilli, con picciolo <strong>di</strong> 10-25 mm e lamina <strong>di</strong>visa in 3 segmenti largamente obcordati, <strong>di</strong> 10-<br />

13×7-9 mm, spesso ripiegati in basso verso il picciolo. Infiorescenza (cima) umbellata; peduncoli fiorali lunghi 1-2 cm, patenti<br />

o eretti, allungantisi nel frutto; brattee <strong>di</strong> 0.8-2 mm; calice <strong>di</strong> 5 sepali lanceolati, lunghi 4 mm; petali 5, gialli, obovato-spatolati,<br />

lunghi 4-8 mm; stami 10 in due verticilli; ovario supero, 5-loculare. I frutti sono capsule (deiscenza esplosiva) prismatiche, a<br />

sezione pentagonale, <strong>di</strong> 8-20×2-3 mm, erette all’estremità <strong>di</strong> peduncoli ripiegati verso il basso, con cui si articolano ad angolo<br />

acuto; semi con 8-10 creste trasversali segnate da una linea bianca.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Incolti erbosi, campi, orti, margini, ruderati, marciapie<strong>di</strong> ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona<br />

(NAT), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

[O. stricta: Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong><br />

(NAT), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in un periodo non noto in quanto spesso confusa con O. stricta<br />

(conosciuta in Italia dal Cinquecento). Segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Zucchetti et al. (1986).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Infestante delle colture sarchiate e negli orti.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo nelle colture.<br />

Note: Questa specie è stata spesso confusa, anche sul piano nomenclaturale, con l’acetosella minore, O. stricta L. (= O. fontana Bunge,<br />

= O. europaea Jord.), anch’essa invasiva in Lombar<strong>di</strong>a e proveniente dalla stessa area geografica <strong>di</strong> partenza. Si <strong>di</strong>stingue inequivocabilmente per<br />

i seguenti piccoli, ma consistenti caratteri (Young, 1958; Stace, 1997): 1) stipole assenti (osservare sempre esemplari giovani!); 2) alcuni peli del<br />

fusto settati (pluricellulari); 3) infiorescenza cimosa, non umbellata; 4) peduncoli fruttiferi e capsule in asse (articolazione a 180° o poco meno),<br />

generalmente eretti o patenti, mai riflessi; 5) creste trasversali dei semi senza o con debole linea bianca; 6) presenza facoltativa <strong>di</strong> stoloni sotterranei<br />

biancastri molto fragili; 7) fusti facoltativamente ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Per la corretta applicazione dell’epiteto <strong>di</strong>llenii si veda Watson (1989).<br />

Bibliografia: Conti et al., 2007; Stace, 1997; Watson, 1989; Young, 1958; Zucchetti et al., 1986<br />

Famiglia: Oxalidaceae<br />

Nome scientifico: Oxalis <strong>di</strong>llenii Jacq.<br />

Nome volgare: acetosella <strong>di</strong> Dillenius<br />

Sinonimi: Acetosella stricta auct., non (L.) Kuntze<br />

Oxalis corniculata L. var. <strong>di</strong>llenii (Jacq.) Trel.<br />

Oxalis corniculata L. subsp. navierei (Jord.) Tourlet<br />

Oxalis <strong>di</strong>ffusa Boreau, non Boenn. / Oxalis boreaui P.Fourn.<br />

Oxalis navierei Jord.<br />

Oxalis stricta auct., non L.<br />

Xanthoxalis <strong>di</strong>llenii (Jacq.) Holub<br />

Xanthoxalis stricta auct., non (L.) Small<br />

acaliFa<br />

meri<strong>di</strong>onale<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale alta 20-50 cm, con fusto eretto e rametti pelosi. Foglie con stipole lanceolate, lunghe<br />

1.5-2 mm; picciolo <strong>di</strong> 2-6 cm; lamina da oblungo-ovata a ovato-rombica o anche largamente lanceolata, <strong>di</strong> 3-9×1-5 cm,<br />

pelosa lunga le nervature abassialmente, adassialmente glabra, con base cuneata (raramente ottusa), margine crenato e apice<br />

brevemente acuminato. Fiori unisessuali (pianta monoica) in infiorescenze bisessuali <strong>di</strong> norma ascellari, lunghe 1.5-5 cm, su<br />

peduncoli <strong>di</strong> 0.5-3 cm; brattee femminili 1-2(-4), prossimali, ovate, cordate, accrescenti nel frutto fino a 1.4-2.5×1-2 cm, pelose,<br />

con margine crenato, ciascuna sottendente 1-3 fiori sessili a 3 sepali strettamente ovati, pelosi e ovario triloculare, peloso, con<br />

3 stili lunghi circa 2 mm, sfrangiati in 5-7 lacinie; brattee maschili condensate nella porzione <strong>di</strong>stale, ovate, piccole (0.5 mm),<br />

ognuna sottendente 5-7 fiori su peduncoli <strong>di</strong> 0.5 mm; fiori maschili a 4 sepali <strong>di</strong> circa 0.5 mm e (7-)8 stami. Il frutto è una<br />

capsula triloculare, globosa, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> circa 4 mm, pelosa e tubercolata; semi subovoi<strong>di</strong>, lisci, <strong>di</strong> 1.5-2 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-<strong>di</strong>cembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Margini erbosi, marciapie<strong>di</strong>, zone ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenze spora<strong>di</strong>che in ambito planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e<br />

Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a Genova (Minuto, 1993b). In Lombar<strong>di</strong>a è stata<br />

segnalata per la prima volta da Banfi & Galasso (1998) come A. in<strong>di</strong>ca e con questo nome errato (in seguito rettificato da Banfi<br />

& Galasso, 2005; Zanotti, 2008) in<strong>di</strong>cata anche da Tagliaferri (2000) per il bresciano; la prima raccolta (sia lombarda che italiana)<br />

è del 1985 a Monza (campione conservato nell’erbario del Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, MSNM).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (probabilmente con l’attività vivaistica).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al momento non necessarie.<br />

Note: Si <strong>di</strong>stingue da A virginica (ve<strong>di</strong> scheda) per le brattee femminili intere, solamente crenate.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998, 2005; Minuto, 1993b; Tagliaferri, 2000; Zanotti, 2008<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Acalypha australis L.<br />

Nome volgare: acalifa meri<strong>di</strong>onale<br />

Sinonimi: Acalypha in<strong>di</strong>ca auct., non L.<br />

136 137


acaliFa<br />

della virginia<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-30 cm, con fusto eretto, inferiormente ramificato, spesso arrossato, finemente<br />

peloso. Foglie con picciolo arcuato, lungo 1 cm e lamina ovato-lanceolata <strong>di</strong> 17-30×9-14 mm, a margine dentellato. Fiori<br />

unisessuali (pianta monoica) in brevi spighe bisessuali ascellari, i prossimali femminili, all’ascella <strong>di</strong> una brattea 5-9 lobata a<br />

forma <strong>di</strong> ventaglio, con perianzio monoclamide <strong>di</strong> circa 3 mm <strong>di</strong> larghezza, formato da 4 segmenti verdastri, ovato-acuminati;<br />

fiori <strong>di</strong>stali maschili, numerosi all’ascella <strong>di</strong> piccole brattee, con 8-16 stami. Il frutto è una capsula loculicida a 3 valve, con<br />

numerosi, piccoli semi ovoi<strong>di</strong>.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Colture sarchiate, campi, orti, margini, strade rurali e urbane.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, soprattutto in ambito planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento; nel 1842 compare nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Verona, dove si<br />

inselvatichisce (Parlatore, 1869), anche fuori dell’Orto e in Liguria (Cesati et al., 1872); nel 1890 è segnalata per la prima volta in<br />

Lombar<strong>di</strong>a a Romano <strong>di</strong> Lombar<strong>di</strong>a (BG) e <strong>Milano</strong> (Goiran, 1890a), nel 1896 a Pavia (Traverso, 1897, 1899).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Si <strong>di</strong>stingue da A. australis (ve<strong>di</strong> scheda) per le brattee femminili profondamente <strong>di</strong>vise in 5-9 lobi.<br />

Bibliografia: Cesati et al., 1872; Goiran, 1890a; Parlatore, 1869; Traverso, 1897, 1899<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Acalypha virginica L.<br />

Nome volgare: acalifa della Virginia<br />

euForBia a<br />

semi solcati<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusti prostrati e numerosissimi rami ascendenti o prostrati, glabri, lunghi fino a 15<br />

cm, contenenti un latice bianco. Foglie opposte, usualmente oblungo-lineari, spesso falciformi, lunghe 5-9 mm, fino a 4 volte<br />

più lunghe che larghe, asimmetriche alla base, da debolmente seghettate <strong>di</strong>stalmente a intere, glabre; presenza <strong>di</strong> stipole<br />

laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine <strong>di</strong> 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno<br />

me<strong>di</strong>ante un’appen<strong>di</strong>ce allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale<br />

costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, <strong>di</strong>sposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1<br />

singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.5×1.2-1.8 mm, glabra; un seme<br />

per loculo, ovoide, subquadrangolare, grigio-biancastro o bruno chiaro, con 4-7 solchi trasversali evidenti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti calpestati, marciapie<strong>di</strong>, selciati, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Nella fascia planiziale, sinora conosciuta dal pavese al cremonese. Cremona (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Europa nel 1911 e segnalata in Italia (Piemonte ed Emilia-<br />

Romagna) da Hügin & Starlinger (1998) e Hügin & Hügin (1999), dove è stata raccolta per la prima volta nel 1996; in Lombar<strong>di</strong>a<br />

è conosciuta dal 2009 ed è stata segnalata da Verloove et al. (2010b).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Note: Pianta interamente glabra (incluse le capsule) come C. humifusa, dalla quale può essere facilmente <strong>di</strong>stinta per i semi provvisti <strong>di</strong> 4-7 solchi<br />

trasversali evidenti.<br />

Bibliografia: Hügin, 1998, 1999; Hügin & Hügin, 1999; Hügin & Starlinger, 1998; Verloove et al., 2010b<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Chamaesyce glyptosperma (Engelm.)<br />

Small<br />

Nome volgare: euforbia a semi solcati<br />

Basionimo: Euphorbia glyptosperma Engelm.<br />

138 139


euForBia<br />

sdraiata<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusti prostrati e numerosissimi rami ascendenti o prostrati, glabri, lunghi fino a<br />

15 cm, contenenti un latice bianco. Foglie opposte, da oblunghe a oblanceolate, 4-6(-8.5)×2-3(-5) mm, asimmetriche alla<br />

base, seghettate <strong>di</strong>stalmente, glabre, con apice ottuso o arrotondato; presenza <strong>di</strong> stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un<br />

ricettacolo a coppa provvisto sul margine <strong>di</strong> 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno me<strong>di</strong>ante un’appen<strong>di</strong>ce allargata,<br />

purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero,<br />

triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, <strong>di</strong>sposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno.<br />

Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.5×1.2-1.8 mm, glabra; un seme per loculo, ovoide,<br />

subquadrangolare, grigio-biancastro o bruno chiaro, finemente smerigliato, non solcato.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia.<br />

Habitat: Incolti calpestati, marciapie<strong>di</strong>, selciati, massicciate ferroviarie.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presente in Italia almeno dall’Ottocento; in Lombar<strong>di</strong>a naturalizzata almeno dal 1907 a<br />

Malgrate nel lecchese (Fiori & Paoletti, 1907) e già comune nel 1929 (Stucchi, 1929a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Pianta interamente glabra (incluse le capsule) come C. glyptosperma, dalla quale può essere facilmente <strong>di</strong>stinta per i semi finemente<br />

smerigliati e privi <strong>di</strong> solchi trasversali.<br />

Bibliografia: Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907; Hügin, 1998, 1999; Stucchi, 1929a<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Chamaesyce humifusa (Willd. ex<br />

Schlecht.) Prokh.<br />

Nome volgare: euforbia sdraiata<br />

Basionimo: Euphorbia humifusa Willd. ex Schlecht.<br />

Sinonimi: Anisophyllum humifusum (Willd. ex Schlecht.)<br />

Klotzsch & Garcke<br />

Tithymalus humifusus (Willd. ex Schlecht.) Bubani<br />

euForBia<br />

macchiata<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusto appressato al suolo, ramosissimo, pubescente, contenente un latice bianco;<br />

rami lunghi fino a 30 cm. Foglie opposte, da oblunghe a obovate, raramente falcate, 6-12×2-6 mm, asimmetriche alla base,<br />

seghettate <strong>di</strong>stalmente, pubescenti (maggiormente sulla pagina inferiore), generalmente con una macchia rossa al centro<br />

della faccia adassiale (pagina superiore), con apice ottuso, arrotondato o apiculato; presenza <strong>di</strong> stipole laciniate. Infiorescenza<br />

a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine <strong>di</strong> 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno me<strong>di</strong>ante un’appen<strong>di</strong>ce<br />

allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario<br />

supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, <strong>di</strong>sposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno.<br />

Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.1-1.4×1.2-1.5 mm, regolarmente pelosa su tutta la superficie<br />

per peli appressati; un seme per loculo, ovoide, quadrangolare, grigio o bruno-rossastro, con 3-5 solchi trasversali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti calpestati, marciapie<strong>di</strong>, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona<br />

(INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nell’Ottocento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in<br />

Lombar<strong>di</strong>a, abbondantissima nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Pavia nel 1876 (Chiovenda, 1895) e naturalizzata almeno dal 1895 sul Lago<br />

<strong>di</strong> Como (Chiovenda, 1895 sub E. engelmannii).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali caratteristiche<br />

<strong>di</strong> quell’habitat.<br />

Note: Pianta densamente pelosa come C. nutans e C. prostrata, dalle quali può essere facilmente <strong>di</strong>stinta per le capsule con peli appressati su tutta<br />

la superficie e i semi provvisti <strong>di</strong> 3-5 solchi trasversali. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si <strong>di</strong>stinguono per la presenza <strong>di</strong><br />

peli patenti <strong>di</strong>stribuiti su tutta la superficie della capsula.<br />

La segnalazione <strong>di</strong> Euphorbia engelmannii per il Lago <strong>di</strong> Como (Chiovenda, 1895) in base a Thellung è erronea e da riferirsi a C. maculata (Fiori &<br />

Paoletti, 1907).<br />

Bibliografia: Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Fiori & Paoletti, 1907; Hügin, 1998, 1999<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Chamaesyce maculata (L.) Small<br />

Nome volgare: euforbia macchiata<br />

Basionimo: Euphorbia maculata L.<br />

Sinonimi: Anisophyllum maculatum (L.) Haw.<br />

Chamaesyce engelmannii auct., non (Boiss.) Soják<br />

Euphorbia engelmannii auct., non Boiss.<br />

Tithymalus maculatus (L.) Moench<br />

140 141


euForBia<br />

prostrata<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Chamaesyce prostrata (Aiton) Small<br />

Nome volgare: euforbia prostrata<br />

Basionimo: Euphorbia prostrata Aiton<br />

Sinonimi: Anisophyllum prostratum (Aiton) Haw.<br />

Tithymalus prostratus (Aiton) Samp.<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale con fusto appressato al suolo, ramosissimo, pubescente (<strong>di</strong> solito glabro alla basse),<br />

contenente un latice bianco; rami lunghi fino a 35 cm. Foglie opposte, da ellittiche a oblunghe, 5.6-9×4-6 mm, asimmetriche<br />

alla base, seghettate <strong>di</strong>stalmente, generalmente pubescenti (maggiormente sulla pagina inferiore), con apice ottuso; presenza<br />

<strong>di</strong> stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto sul margine <strong>di</strong> 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti<br />

all’esterno me<strong>di</strong>ante un’appen<strong>di</strong>ce allargata, purpurea, con evidente funzione vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile<br />

centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili, <strong>di</strong>sposti in una serie circolare attorno al primo,<br />

ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e sporgenti (tricocca), 1.2-1.6×1-1.5 mm, con peli<br />

patenti solo sulle carene; un seme per loculo, ovoide, quadrangolare, grigio, con 5-7 solchi trasversali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-ottobre.<br />

Area d’origine: America (probabilmente della regione caraibica).<br />

Habitat: Incolti calpestati, marciapie<strong>di</strong>, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia almeno dal principio dell’Ottocento in alcuni Orti botanici ed in seguito<br />

naturalizzatasi; in Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta da Arietti & Crescini (1980), ma presente già dal 1914 a <strong>Milano</strong><br />

(Zucchetti et al., 1986).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali caratteristiche<br />

<strong>di</strong> quell’habitat.<br />

Note: Pianta densamente pelosa come C. nutans e C. maculata, dalle quali può essere facilmente <strong>di</strong>stinta per le capsule con peli patenti soltanto<br />

sulle carene e i semi provvisti <strong>di</strong> 5-7 solchi trasversali. Le forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si <strong>di</strong>stinguono per la presenza <strong>di</strong><br />

peli patenti <strong>di</strong>stribuiti su tutta la superficie della capsula.<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Hügin, 1998, 1999; Zucchetti et al., 1986<br />

euForBia<br />

delle<br />

Ferrovie<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Chamaesyce nutans (Lag.) Small<br />

Nome volgare: euforbia delle ferrovie<br />

Basionimo: Euphorbia nutans Lag.<br />

Sinonimi: Chamaesyce in<strong>di</strong>ca auct., non (Lam.) Croizat<br />

Chamaesyce maculata auct., non (L.) Small<br />

Chamaesyce preslii (Guss.) Arthur<br />

Euphorbia hypericifolia L. subsp. in<strong>di</strong>ca auct.,<br />

non (Lam.) Pignatti, comb. inval.<br />

Euphorbia in<strong>di</strong>ca auct., non Lam.<br />

Euphorbia maculata auct., non L.<br />

Euphorbia preslii Guss. / Euphorbia trinervis Bertol.<br />

Tithymalus nutans (Lag.) Samp.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale alta 10-40(-55) cm, tomentosa, ramosissima alla base, eretto-ascendente. Foglie<br />

opposte, oblunghe, 13-30(-35)×6-10(-16) mm, asimmetriche, seghettate <strong>di</strong>stalmente, da glabresecnti a sparsamente pelose,<br />

con tre nervature evidenti alla base e spesso con una caratteristica chiazza rossa al centro della faccia adassiale (pagina<br />

superiore), con apice subacuto od ottuso; presenza <strong>di</strong> stipole laciniate. Infiorescenza a ciazio: un ricettacolo a coppa provvisto<br />

sul margine <strong>di</strong> 4-5 ghiandole nettarifere sporgenti all’esterno me<strong>di</strong>ante un’appen<strong>di</strong>ce allargata, rosea, con evidente funzione<br />

vessillare; fiori senza perianzio, uno femminile centrale costituito da un ovario supero, triloculare, con 3 stili, gli altri maschili,<br />

<strong>di</strong>sposti in una serie circolare attorno al primo, ridotti a 1 singolo stame ciascuno. Il frutto è una capsula a 3 loculi convessi e<br />

sporgenti (tricocca), 1.8-2.5×1.8-2.5 mm, glabra; un seme per loculo, subovoide, subquadrangolare, grigio-nerastro o brunonerastro,<br />

irregolarmente rugoso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti calpestati, marciapie<strong>di</strong>, selciati, massicciate ferroviarie, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (INV), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento in alcuni Orti botanici ed in seguito naturalizzatasi; in<br />

Lombar<strong>di</strong>a naturalizzata almeno dal 1825 nel mantovano (Lanfossi, 1825, sub E. maculata).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Nei greti fluviali compete con le specie autoctone deteriorando la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali caratteristiche<br />

<strong>di</strong> quell’habitat.<br />

Note: Pianta ± pelosa come C. nutans e C. prostrata, dalle quali può essere facilmente <strong>di</strong>stinta per le capsule glabre e i semi rugosi, non solcati. Le<br />

forme pubescenti dell’autoctona C. canescens (L.) Prokh. si <strong>di</strong>stinguono per la presenza <strong>di</strong> peli patenti <strong>di</strong>stribuiti su tutta la superficie della capsula.<br />

La segnalazione <strong>di</strong> Euphorbia in<strong>di</strong>ca per il lecchese da parte <strong>di</strong> Pignatti (1955), ripresa da Pignatti (1982) e da Banfi et al. (2009, sub Chamaesyce<br />

hypericifolia), è erronea e da riferirsi a C. nutans (Hügin, 1998). In passato era erroneamente in<strong>di</strong>cata, anche tra gli autori americani, col nome <strong>di</strong><br />

E. maculata.<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009; Benedí & Orell, 1992; Chiovenda, 1895; Hügin, 1998, 1999; Lanfossi, 1825; Pignatti, 1955, 1982<br />

142 143


euforbia<br />

<strong>di</strong> david<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50(-70) cm, con fusti solitari, eretti, spessi fino a 4 mm alla base; ramificazioni<br />

opposte, arcuato-ascendenti, con pelosità in due strati, il superiore <strong>di</strong> peli sparsi, allungati, più o meno patenti, l’inferiore <strong>di</strong><br />

peli brevi, addensati, <strong>di</strong>retti verso il basso; peli, anche quelli delle foglie, ingrossati alla base. Foglie opposte, con picciolo <strong>di</strong><br />

7-15 (-25) mm e lamina <strong>di</strong> 1-10×0.5-3.5 cm, da lanceolata a largamente ellittica, attenuata alla base, da acuta ad acuminata<br />

all’apice, con margine crenato-dentato, densamente e brevemente strigosa su entrambe le facce. Sinflorescenza umbellata,<br />

a profilo piatto o leggermente convesso, costituita da numerose infiorescenze (ciazi); brattee strettamente ellittiche o<br />

lanceolate, con breve picciolo, giallastre alla base; ciazi a involucro subcilindrico <strong>di</strong> 2.5-3×1.3-1.8 mm, con lobi a loro volta<br />

sud<strong>di</strong>visi in 5-7 lacinie lineari terminanti con una piccola ghiandola; ghiandole (nettari) solitarie, <strong>di</strong> 0.9-1.3 mm, a coppa con<br />

fauce oblunga, giallo pallido; fiori maschili a 5-8 in fascetto; fiore femminile su peduncolo lungo fino a 3 mm, eccedente il<br />

ciazio, con ovario glabro o striguloso; stimma trifido a ramificazioni biforcate. Frutto a capsula triloculare, largamente ovoide,<br />

larga 4-4.5 mm, con semi ovoi<strong>di</strong> o triangolari-ovoi<strong>di</strong>, spigolosi, <strong>di</strong> 2.4-3 mm <strong>di</strong> larghezza, grigi o nerastri, irregolarmente<br />

tubercolati, provvisti <strong>di</strong> caruncola reniforme-triangolare, peltata, larga 0.9-1-1 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica e Mesoamerica.<br />

Habitat: Massicciate ferroviarie, margini erbosi asciutti, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora osservata nella porzione occidentale della regione, dalla Brianza all’Oltrepo pavese, nelle<br />

fasce planiziale e collinare. Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta la prima volta in Italia nel 1995 in Friuli-Venezia Giulia e Veneto (Pol<strong>di</strong>ni et al., 1996;<br />

sub E. dentata), in Lombar<strong>di</strong>a conosciuta dal 2004 (Galasso et al., in stampa a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al momento non necessarie.<br />

Note: Descritta come specie endemica <strong>di</strong> alcune montagne argentine (Subils, 1984), oggi è ritenuta originaria dell’America settentrionale e<br />

centrale analogamente all’affine E. dentata (Mayfield, 1997), con la quale è stata da sempre confusa in Italia e in Europa (oltre che in patria).<br />

Da quest’ultima, assente in Italia, si <strong>di</strong>stingue per i peli delle nervature fogliari con pareti rugose (vs. lisce) e base allargata (vs. non allargata), le<br />

lacinie dei lobuli del ciazio con ghiandole apicali (vs. senza ghiandole) e quelle delle bratteole senza ghiandole (vs. ghiandolose), i semi pressoché<br />

iso<strong>di</strong>ametrici (vs. più lunghi che larghi) con spigoli evidenti (rotolano <strong>di</strong>fficilmente sul tavolo) (vs. subcilindrici, che rotolano facilmente) e caruncola<br />

reniforme (vs. umbonata), il fusto con peli a pareti rugose (vs. lisce) in massima parte brevi (2-3-cellulari) (vs. lunghi, 7-10-cellulari) e retrorsi (vs.<br />

flessuosi) frammisti ad alcuni più lunghi (5-6-cellulari) (vs. mascheranti da meno frequenti peli brevi 2-4-cellulari); i caratteri più evidenti sono quelli<br />

dei semi e della pelosità del fusto al <strong>di</strong> sotto dell’infiorescenza.<br />

Bibliografia: Galasso et al., in stampa a, b; Mayfield, 1997; Pol<strong>di</strong>ni et al., 1996; Subils, 1984<br />

Famiglia: Euphorbiaceae<br />

Nome scientifico: Euphorbia davi<strong>di</strong>i Subils<br />

Nome volgare: euforbia <strong>di</strong> David<br />

Sinonimi: Anisophyllum dentatum auct., non (Michx.) Haw.<br />

Euphorbia dentata auct., non Michx.<br />

Euphorbia dentata Michx. var. gracillima Millsp.<br />

Euphorbia dentata Michx. var. lancifolia Farw.<br />

Poinsettia dentata auct., non (Michx.) Klotzsch & Garcke<br />

pepe d’acqua<br />

minore<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, semiacquatica, alta 1.5-3 cm, con fusti gracili, nelle piante sommerse striscianti, a<br />

interno<strong>di</strong> allungati e no<strong>di</strong> ra<strong>di</strong>canti, nelle piante emerse molto raccorciati e densamente cespitosi. Foglie opposte, picciolate,<br />

con lamina lineare-spatolata <strong>di</strong> 2-5×0.7 mm. Fiori isolati, ascellari, su peduncoli <strong>di</strong> 1.5-2.5 mm (lunghi quanto i petali o il<br />

doppio), con 3 piccoli sepali e 3 petali ovato-acuti, lunghi 1-1.5 mm, cioè il doppio o il triplo dei sepali, talora mancanti nei<br />

fiori più <strong>di</strong>rettamente soggetti a sommersione, bianchi o rosei. Il frutto è una capsula setticida contenente caratteristici semi<br />

cilindrico-ricurvi (a banana), con testa reticolata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Asia sudorientale.<br />

Habitat: Risaie.<br />

Distribuzione nel territorio: Zona delle risaie, dalla Lomellina al milanese. <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, già presente e <strong>di</strong>ffusa nelle risaie dell’Italia settentrionale nel 1951 (Cook, 1973).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente con ceppi asiatici <strong>di</strong> riso).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo selettivo in risaia.<br />

Note: Delle altre 5 specie italiane <strong>di</strong> Elatine, tutte autoctone o archeofite (E. hexandra (Lapierre) DC.), solo E. triandra Schkuhr (circumboreale) può<br />

creare confusione con l’aliena, dato che ne con<strong>di</strong>vide sia l’habitat (risaia) sia i principali tratti morfologici; essa è tuttavia <strong>di</strong>stinta per le foglie <strong>di</strong><br />

3-10×1.5-3 mm e per i fiori sessili o brevemente pe<strong>di</strong>cellati (fino a 0.3-0.4 mm nel frutto), con pe<strong>di</strong>cello più breve dei petali.<br />

Bibliografia: Cook, 1973; Desfayes, 2005; Quiner & Tucker, 2007<br />

Famiglia: Elatinaceae<br />

Nome scientifico: Elatine ambigua Wight<br />

Nome volgare: pepe d’acqua minore<br />

144 145


pioppo<br />

ibrido<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero slanciato, a chioma arrotondata, alto fino a 30 m, con tronco <strong>di</strong>ritto e ritidoma liscio, grigiastro, fessurato<br />

longitu<strong>di</strong>nalmente solo nei vecchi esemplari. Foglie alterne, largamente ovato-triangolari a base piatta, lunghe fino a 10 cm,<br />

crenato-seghettate, brevemente cigliate, con 1-2 piccole ghiandole sessili presso l’apice del picciolo (oltre a quelle sui denti<br />

basali della lamina). Fiori anemofili, unisessuali, penduli in amenti peduncolati sviluppantisi prima delle foglie, i maschili e i<br />

femminili su in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>stinti (pianta <strong>di</strong>oica); perianzio assente; ricettacolo a coppa; stami (fiori maschili) 15-25 a filamento<br />

molle; ovario (fiori femminili) bicarpellare. Il frutto è una capsula a 2 o 4 valve, liberante minutissimi semi immersi in una massa<br />

cotonosa <strong>di</strong> fibre che viene trasportata a <strong>di</strong>stanza dal vento.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-aprile.<br />

Area d’origine: Ibrido originatosi spontaneamente in Francia tra l’autoctono P. Nigra L. e l’americano P. deltoides W.Bartram<br />

ex Marshall.<br />

Habitat: Ambienti ruderali su base umida, terreni denudati e smossi.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in pianura e nei fon<strong>di</strong>valle. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, originatasi spontaneamente in Francia verso la metà del Settecento. Segnalata per la prima<br />

volta in Lombar<strong>di</strong>a da Piazzoli Perroni (1957).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pioppicoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico, ma localizzato. Più importante è il contributo allergenico che questo pioppo, in aggiunta<br />

agli altri Populus <strong>di</strong>ffusi sul territorio, fornisce sia attraverso il polline (marzo-aprile) sia attraverso i peli cotonosi dei frutti<br />

(maggio-giugno), provocando fasti<strong>di</strong>ose reazioni nelle persone sensibili.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Il pioppo euroamericano è un complesso <strong>di</strong> notocloni (cultivar clonali contrassegnate da sigle alfanumeriche) derivanti dalla selezione degli<br />

F1 <strong>di</strong> ripetute ibridazioni tra l’autoctono pioppo nero (P. nigra) e P. deltoides (pioppo americano) degli Stati Uniti sudorientali. Quest’ultimo, che è<br />

ugualmente coltivato negli impianti sperimentali, dove si riconosce per le foglie molto gran<strong>di</strong> (fino a 18 cm <strong>di</strong> lunghezza), decisamente deltoi<strong>di</strong> e<br />

per gli stami in numero <strong>di</strong> 30-60, non mostra tendenza a sfuggire ed è stato osservato casuale soltanto una volta nel pavese da Nicola Ardenghi<br />

(in verbis). Il pioppo nero si <strong>di</strong>stingue per le foglie più piccole, a base generalmente cuneata e, soprattutto, per la mancanza delle ghiandole sessili<br />

all’apice del picciolo (presenti, invece, sui denti basali della lamina). La pioppicoltura rappresenta ancora una base dell’industria cartiera, ma la sua<br />

importanza economica raggiunse il massimo nella seconda metà del passato secolo e oggi appare in progressivo declino.<br />

Bibliografia: Piazzoli Perroni, 1957<br />

Famiglia: Salicaceae<br />

Nome scientifico: Populus ×canadensis Moench, pro sp.<br />

Nome volgare: pioppo ibrido,<br />

pioppo euroamericano, pioppo canadese<br />

Sinonimi: Populus deltoides W.Bartram<br />

ex Marshall × Populus nigra L.<br />

violetta<br />

americana<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alla fioritura alta sino a circa 20 cm, acaule, con rizomi ingrossati e carnosi, spessi<br />

più <strong>di</strong> 5 mm. Foglie con stipole lanceolate, brevemente sfrangiate e papillose; lamina triangolare, <strong>di</strong> solito lunga oltre 2 cm,<br />

pressoché glabra, con base cordata o leggermente tronca e apice acuto. Fiori riuniti al centro della rosetta fogliare; sepali<br />

con appen<strong>di</strong>ci allungate (2-6 mm) e apice ottuso; corolla azzurro-violetta, più <strong>di</strong> rado bianca, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> circa 2 cm, con<br />

sperone breve; ovario con stigma capitato. Frutto costituito da una capsula ovato-cilindrica, lunga 1-1.5 cm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Prevalentemente boschi, soprattutto degradati, dove spesso forma cospicue colonie lungo i sentieri, le strade e al<br />

margine del bosco stesso. Inoltre incolti, argini, prati <strong>di</strong> servizio ecc., comunque in situazioni con <strong>di</strong>screto <strong>di</strong>sturbo.<br />

Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutto il territorio regionale (50-600 m s.l.m.), sebbene con maggior frequenza in<br />

pianura. Bergamo (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo. Nel 1905 inselvatichita nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Torino (Trinchieri,<br />

1905; Béguinot & Mazza, 1916a). In Lombar<strong>di</strong>a osservata per la prima volta in natura nel 1927 nel milanese da Stucchi (1929b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricoli.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Il reale impatto <strong>di</strong> questa specie è ancora poco conosciuto, quantunque si possa valutare approssimativamente<br />

come non elevato. Sembrerebbe infatti che il principale aspetto negativo possa essere ricondotto alla concorrenza con le<br />

specie autoctone del genere Viola.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Rimozione manuale, facendo attenzione ad estirpare anche il rizoma.<br />

Note: Abbastanza <strong>di</strong>ffusamente coltivata in parchi e giar<strong>di</strong>ni, in particolare in quelli storici. Si riconosce facilmente dalle specie autoctone del<br />

genere Viola, che spesso vivono assieme, per la presenza <strong>di</strong> un rizoma ingrossato, le foglie praticamente glabre e l’ovario con stimma capitato.<br />

Sebbene il nome Viola obliqua sia prioritario è da considerarsi ambiguo e quin<strong>di</strong> inutilizzabile (Gil-Ad, 1997).<br />

Bibliografia: Béguinot & Mazza, 1916a; Gil-Ad, 1997; Stucchi, 1929b, 1949b; Trinchieri, 1905<br />

Famiglia: Violaceae<br />

Nome scientifico: Viola cucullata Aiton<br />

Nome volgare: violetta americana, mammola americana<br />

Sinonimi: Viola obliqua auct., non Hill<br />

Viola palmata L. var. cucullata (Aiton) A.Gray<br />

Viola papilionacea auct., non Pursh<br />

146 147


iperico<br />

americano<br />

Tipo biologico: Tscap (Hscap)<br />

Descrizione: Pianta erbace annuale (raramente pluriennale), glabra, alta 20-50 cm, con fusto eretto, <strong>di</strong>varicatamente ramoso<br />

nella metà superiore. Foglie opposte, sessili, da ovate a oblunghe o lanceolate, <strong>di</strong> 7-20×3-8 mm, glaucescenti, alla base da<br />

arrotondato-subamplessicauli a largamente cuneate, percorse da 3-5 nervature. Fiori in cima terminale fogliosa, provvisti <strong>di</strong><br />

calice a 5 sepali lanceolato-lineari, acuti e corolla (a volte ridotta o mancante) <strong>di</strong> 5 petali stretti, lunghi fino a 2 mm, gialli con<br />

punteggiature scure; stami 5 o più numerosi, in 5 gruppi irregolari; ovario supero con 3-5 stili liberi e numerosi ovuli. Il frutto<br />

è una capsula setticida.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Siti umi<strong>di</strong> <strong>di</strong> brughiera, su suolo povero, argilloso; sponde <strong>di</strong> canali in risaia.<br />

Distribuzione nel territorio: Groane e zona delle risaie. <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia nel 1834 in Toscana da Pietro Savi, che la descrisse<br />

come una specie nuova; in Italia settentrionale segnalata da Tosco (1953) nel torinese, in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi (1977).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: È l’unica specie aliena naturalizzata <strong>di</strong> Hypericum, nonostante in coltivazione siano largamente <strong>di</strong>ffuse cultivar e notocultivar <strong>di</strong> specie<br />

esotiche da giar<strong>di</strong>no, utilizzate in bordure e tappeti ver<strong>di</strong> (la più nota è H. calycinum L. del SE-Europa e della Turchia, iperico calicino, osservata<br />

casuale nelle province <strong>di</strong> Bergamo, Brescia e Varese). Queste, tuttavia e fortunatamente, non sembrano pre<strong>di</strong>sposte ad affermarsi in ambiente<br />

naturale; d’altra parte H. mutilum, che non ha rilievo alcuno in campo floricolturale, si è naturalizzata per cause del tutto accidentali.<br />

Bibliografia: Banfi, 1977; Tosco, 1953<br />

Famiglia: Hypericaceae<br />

Nome scientifico: Hypericum mutilum L.<br />

Nome volgare: iperico americano<br />

Sinonimi: Sarothra blentinensis Pi.Savi<br />

Sarothra mutila (L.) Y.Kimura<br />

ammannia<br />

arrossata<br />

Famiglia: Lythraceae<br />

Nome scientifico: Ammannia coccinea Rottb.<br />

Nome volgare: ammannia arrossata<br />

Sinonimi: Ammannia auriculata auct., non Willd.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale glabra, alta 10-50 cm, con fusti eretti, tetragoni. Foglie decussate, sessili; lamina<br />

oblungo-lineare, acuta o acuminata, cordato-auricolata alla base (semiamplessicaule), <strong>di</strong> norma più lunga del corrispondente<br />

internodo. Fiori tetrameri in glomeruli ascellari compatti, da sessili (1-)3-flori a lungamente peduncolati 3-5(-14)-flori,<br />

riconducibili a <strong>di</strong>casi raccorciati; pe<strong>di</strong>cello lungo 0-4(-9) mm, robusto; ipanzio subgloboso, largo fino a 5 mm nel frutto e<br />

leggermente eccedente quest’ultimo; epicalice <strong>di</strong> 4 segmenti pressoché uguaglianti i 4 sepali del calice, tutti superanti <strong>di</strong><br />

poco 2 mm; corolla <strong>di</strong> 4 minuti petali rosa-porpora scuro, molto fugaci e spesso assenti; stami 4; ovario semiinfero; stilo<br />

lungo 2-3 mm. Il frutto è un pissi<strong>di</strong>o a deiscenza irregolare o un carcerulo (pissi<strong>di</strong>o indeiscente), <strong>di</strong> 3.5-5 mm; semi numerosi,<br />

minutissimi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Neotropica.<br />

Habitat: Risaie, fanghi, golene.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale, nella zona delle risaie e lungo il Po. Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova<br />

(CAS), Pavia (INV). [A. verticillata: Brescia (EST), Mantova (EST), Pavia (EST).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Italia nelle risaie <strong>di</strong> Vespolate (NO) nel 1957 (Fenaroli, 1960,<br />

sub A. auriculata); in Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Banfi & Galasso (1998) come frequente nelle risaie milanesi.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (con i risi).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì, solo alla produzione risicola.<br />

Impatto: Infestante delle risaie, con scarso <strong>di</strong>sturbo alla bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetazionali (risaie e fanghi golenali).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Note: Specie <strong>di</strong> origine ibridogena (A. auriculata Willd. × A. robusta Heer & Regel: Graham, 1979). Secondo Soldano (1986) tutte le segnalazioni<br />

italiane <strong>di</strong> Ammannia gruppo coccinea, a partire da quella <strong>di</strong> Fenaroli (1960) per A. auriculata, sono da ricondurre, in base ai caratteri messi in luce<br />

dalle revisioni <strong>di</strong> Graham (1979, 1985), ad A. coccinea. È tuttavia opportuno rivedere tutto il materiale d’erbario e compiere accurate osservazioni<br />

<strong>di</strong> campagna poiché non è escluso che si possano ritrovare sia A. auriculata (peduncolo dell’infiorescenza lungo 3-9 mm, filiforme; fiori 3 o più per<br />

glomerulo, con petali rosa-porpora scuro; frutti 2.5 mm o meno) sia A. robusta (infiorescenza sessile; fiori 1-3 per glomerulo, con petali lavanda<br />

chiaro, a volte con venature purpuree; frutti 4-6 mm). A. verticillata (Ard.) Lam. (= Cornelia verticillata Ard.; ammannia a fiori sessili), in<strong>di</strong>cata da<br />

lungo tempo (es. Bertoloni, 1835; Cesati, 1844) anche per le risaie della Lombar<strong>di</strong>a e ancora frequente fin dopo la metà del secolo scorso (Ciferri<br />

et al., 1949; Pirola, 1964b), in realtà sembra estinta dal territorio (Cook, 1973; Banfi & Pirola, 1997); originaria dell’Asia sudoccidentale, si <strong>di</strong>stingue<br />

per lo stilo lungo al massimo 0.5 mm, l’ipanzio e i sepali pubescenti e i segmenti dell’epicalice che superano i sepali. Fenaroli (1960), segnalando<br />

la nuova comparsa in Italia (nel novarese) <strong>di</strong> A. auriculata, riporta anche una vecchia segnalazione <strong>di</strong> Welden per A. baccifera L. (subsp. aegyptiaca<br />

(Willd.) Koehne, entità non <strong>di</strong>stinta dal tipo della specie) per il lago Sant’Orsola presso Pavia, peraltro senza riportare la fonte bibliogarfica del dato.<br />

Si può tuttavia intuire che egli riporti la segnalazione <strong>di</strong> Fiori & Paoletti (1900, 1907), che a sua volta si basa su due lavori dello specialista Koehne<br />

(1884, 1903). In effetti Koehne parla <strong>di</strong> una raccolta <strong>di</strong> Welden <strong>di</strong> detta pianta, non più ritrovata in seguito, nella località <strong>di</strong> cui sopra. Purtroppo<br />

però commette un errore nella trascrizione dei dati dello stesso Welden: il lago Sant’Orsola era già stato in passato località <strong>di</strong> raccolta <strong>di</strong> specie<br />

del genere Ammannia (cfr. Pollini, 1822a, 1824; Bertoloni, 1835), solo che viene sempre citato come una località in “agro patavino” o “Patavia”, cioè<br />

presso Padova, non Pavia! Questa località si trovava alla periferia <strong>di</strong> Padova (Camin) ai tempi del Béguinot e, attualmente, al suo posto sorge il parco<br />

delle Roncajette (Noemi Tornadore, in verbis). Il dato <strong>di</strong> questa specie, quin<strong>di</strong>, non è riferibile alla Lombar<strong>di</strong>a ma al Veneto. Simile ad A. verticillata, si<br />

<strong>di</strong>stingue agevolmente per l’ipanzio e i sepali glabri e per i segmenti dell’epicalice assenti; è stata recentemente trovata in Emilia-Romagna lungo il<br />

Po (Galasso & Morelli, in stampa) ed è da ricercare in Lombar<strong>di</strong>a. Il genere Ammannia L. è morfologicamente affine a Rotala L. (si veda la scheda <strong>di</strong><br />

R. densiflora), dal quale si <strong>di</strong>fferenzia soprattutto per le capsule mature non striate, ma ben separato dal punto <strong>di</strong> vista filogenetico.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Banfi & Pirola, 1997; Bertoloni, 1835; Cesati, 1844; Ciferri et al., 1949; Cook, 1973; Fenaroli, 1960; Fiori & Paoletti,<br />

1900, 1907; Galasso & Morelli, in stampa; Graham, 1979, 1985; Koehne, 1884, 1903; Pirola, 1964b; Pollini, 1822a, 1824; Soldano, 1986; Zanotti, 2010<br />

148 149


otala<br />

asiatica<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale glabra, <strong>di</strong> 5-40 cm, con fusto prostrato-ascendente e foglie decussate, lineari o linearilanceolate,<br />

<strong>di</strong> 5-30×1.5-5 mm, via via ridotte verso l’alto. Fiori singoli all’ascella delle foglie, sessili; calice <strong>di</strong> 1.5-2 mm, con<br />

tubo campanulato e (4-)5 denti; segmenti dell’epicalice generalmente lunghi sino al doppio dei denti calicini, raramente<br />

ru<strong>di</strong>mentali o assenti; corolla <strong>di</strong> (4-)5 petali bianchi o rosei, più o meno bilobi e dentellati al margine, lunghi 0.5-1 mm cioè<br />

almeno il doppio dei denti del calice; stami (3-)5; ovario semiinfero alloggiato in un ipanzio largamente campanulato. Il frutto<br />

è una capsula setticida con numerosi, minuti semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Asia tropicale.<br />

Habitat: Risaie e relativi arginelli fangosi.<br />

Distribuzione nel territorio: Lomellina; casuale nel lecchese. Lecco (CAS), Pavia (NAT). [R. filiformis: Brescia (EST), <strong>Milano</strong><br />

(CAS), Mantova (NAT), Pavia (NAT).] [R. in<strong>di</strong>ca: Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).] [R. ramosior: <strong>Milano</strong> (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia naturalizzata almeno dal 1972 in Piemonte nel vercellese (Cook, 1973, 1979). In<br />

Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Pignatti (1982).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (flora risicola).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì, solo in ambito agricolo.<br />

Impatto: Infestante <strong>di</strong> risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Note: Segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Pignatti (1982) senza precisazione <strong>di</strong> località, è sicuramente presente in Lomellina (PV)<br />

(campioni raccolti nel 2002 e conservati nell’erbario del Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, MSNM). Inoltre è segnalata da Consonni (1997,<br />

1999) per la provincia <strong>di</strong> Lecco nella zona del Monte Legnone (Colico verso Madonna del Pozzo); in questa località è sicuramente da considerarsi<br />

casuale.Sono altre tre le specie <strong>di</strong> questo genere esotico ben noto alla risicoltura lombarda. Si tratta <strong>di</strong> R. ramosior (L.) Koehne (= Ammannia<br />

r. L.; rotala americana), R. filiformis (Bellar<strong>di</strong>) Hiern (= Suffrenia f. Bellar<strong>di</strong>; rotala minore) e R. in<strong>di</strong>ca (Willd.) Koehne (= Peplis i. Willd.; rotala<br />

comune): la prima, <strong>di</strong> provenienza neotropica, si <strong>di</strong>stingue per i fiori tetrameri con calice <strong>di</strong> 2.5-5 mm e segmenti dell’epicalice lunghi 0.5-1(-<br />

2) mm, mentre la seconda (Africa tropicale) e la terza (Asia tropicale) hanno fiori privi <strong>di</strong> epicalice e presentano foglie, rispettivamente, prive<br />

<strong>di</strong> margine cartilagineo lunghe fino a 10 mm con larghezza massima nella metà prossimale e con evidente margine cartilagineo lunghe 4-20<br />

mm con larghezza massima nella metà <strong>di</strong>stale. Sono tutte commensali del riso, introdotte con i movimenti intercontinentali <strong>di</strong> questa coltura.<br />

Il genere Rotala L. è morfologicamente affine ad Ammannia L. (si veda la scheda <strong>di</strong> A. coccinea), dal quale si <strong>di</strong>fferenzia soprattutto per le capsule<br />

mature densamente striate orizzontalmente, ma ben separato dal punto <strong>di</strong> vista filogenetico.<br />

Bibliografia: Consonni, 1997, 1999; Cook, 1973; Cook, 1979; Pignatti, 1982<br />

Famiglia: Lythraceae<br />

Nome scientifico: Rotala densiflora (Roth) Koehne<br />

Nome volgare: rotala asiatica<br />

Basionimo: Ammannia densiflora Roth<br />

Sinonimi: Ditheca densiflora (Roth) Miq.<br />

epilobio<br />

cigliato<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, con rosette fogliari compatte e fusti alti (10-)25-90(-150) cm, ramosi, <strong>di</strong> rado semplici,<br />

densamente ricoperti (tranne inferiormente) <strong>di</strong> peli ghiandolari patenti e tricomi non ghiandolari arricciati. Foglie opposte, le<br />

basali ovato-lanceolate con picciolo <strong>di</strong> 1-3 mm e lamina lunga fino a 15 cm, le cauline sessili, strettamente ovato-lanceolate,<br />

<strong>di</strong> 2.5-6(-7)×0.6-1.5(-2) cm, subglabre, strigulose sui nervi e al margine, con base arrotondata, raramente subcordata, margine<br />

a 20-30 denti per lato e apice da acuto a subacuminato. Infiorescenza terminale, spiciforme, con fiori eretti; calice <strong>di</strong> 4 sepali<br />

carenati, lunghi 2.4-3.5 mm; corolla a 4 petali bianchi o lilacini con venature più scure, profondamente bilobi (in apparenza<br />

doppi), lunghi 3.5-5(-7) mm; stami 8; ovario infero, 4-loculare, con una fila <strong>di</strong> ovuli per loculo; stimma clavato o subcapitato. Il<br />

frutto è una capsula loculicida lineare lunga 4.5-7 cm, sorretta da un peduncolo <strong>di</strong> 0.5-0.8(-1.4) cm, deiscente in 4 valve, con<br />

numerosi semi bruni <strong>di</strong> 0.08-0.1 mm, provvisti <strong>di</strong> un ciuffo caduco <strong>di</strong> lunghi peli bianchi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto(-settembre).<br />

Area d’origine: America.<br />

Habitat: Siti umi<strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbati lungo i corsi d’acqua, margine <strong>di</strong> stagni e acquitrini, erbosi umi<strong>di</strong>.<br />

Distribuzione nel territorio: Lombar<strong>di</strong>a centro-orientale, casuale in pianura, naturalizzata in collina. Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Cremona (CAS), Mantova (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, in Italia segnalata per la prima volta da Brilli Cattarini (1990) senza specificazione <strong>di</strong> località,<br />

conosciuta dal 1936 nelle Valli <strong>di</strong> Fiemme e Fassa (Prosser, 1994). In Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta da Bonali et al. (2006a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (probabilmente con il commercio <strong>di</strong> piante ornamentali).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Con<strong>di</strong>vide l’habitat con E. hirsutum L. ed E. parviflorum Schreb., autoctone a comportamento sinantropico, enormemente più comuni e<br />

<strong>di</strong>ffuse dell’aliena, che si riconoscono subito per lo stigma <strong>di</strong>viso in 4 lobi anziché intero e per l’assenza <strong>di</strong> pelosità ghiandolare, sostituita da villosità<br />

patente; la prima ha foglie semiamplessicauli e fiori gran<strong>di</strong> (petali >1 cm), la seconda foglie attenuate sul nodo e fiori piccoli (petali


porracchia<br />

gigante<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, glabra o sparsamente pelosa, con fusti <strong>di</strong> 20-200 cm, in parte eretti, in parte sdraiati<br />

e flottanti nell’acqua, ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie alterne, da strettamente ellittiche a largamente obovate, lunghe 1-11 cm,<br />

intere, le cauline <strong>di</strong> 5.5-13×0.9-1.8 cm. Fiori singoli, ascellari, su peduncoli che in frutto raggiungono la lunghezza <strong>di</strong> 9 cm,<br />

attinomorfi, con ipanzio privo <strong>di</strong> tubo; calice <strong>di</strong> 5(-6) sepali lunghi (10-)11-19 mm a maturità; corolla <strong>di</strong> 5(-6) petali gialli,<br />

obovato-spatolati, lunghi (15-)20-30 mm; stami 10(-12) ripartiti <strong>di</strong>sugulamente in 2 gruppi, con antere <strong>di</strong> 0.5-2.2 mm; ovario<br />

semiinfero, 4-5-loculare. Il frutto è una capsula riflessa, a deiscenza irregolare, circolare-subpentagonale in sezione, lunga 12-<br />

30 mm, attenuata nel peduncolo, con semi numerosi e minuti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Margini <strong>di</strong> corpi d’acqua stagnante o a lento flusso.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Mantova (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata almeno dal 1934 a Brescia e introdotta sperimentalmente con successo nelle<br />

“lame d’Iseo” nel 1939 da Luigi Gran<strong>di</strong> (Arietti, 1942). L’esatta identità delle popolazioni italiane è stata chiarita da Galasso<br />

(2007a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100%. È specie<br />

inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r.<br />

10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Specie decaploide, comunemente venduta nei garden center, con fiori <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni maggiori rispetto all’esaploide L. gran<strong>di</strong>flora (Zar<strong>di</strong>ni<br />

et al., 1991; Nesom & Kartesz, 2000). È simile a L. peploides subsp. montevidensis (ve<strong>di</strong> scheda), che si <strong>di</strong>stingue per i fusti prostrati (oltre a quelli<br />

flottanti), i sepali <strong>di</strong> 3-12 mm e i petali <strong>di</strong> 7-24 mm non o poco sovrapposti.<br />

Bibliografia: Arietti, 1942; Galasso, 2007a; Nesom & Kartesz, 2000; Zar<strong>di</strong>ni et al., 1991<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Ludwigia hexapetala (Hook. & Arn.)<br />

Zar<strong>di</strong>ni, H.Y.Gu & P.H.Raven<br />

Nome volgare: porracchia gigante<br />

Basionimo: Jussiaea hexapetala Hook. & Arn.<br />

Sinonimi: Ludwigia gran<strong>di</strong>flora auct.,<br />

non (Michx.) Greuter & Burdet<br />

Ludwigia gran<strong>di</strong>flora (Michx.) Greuter & Burdet<br />

subsp. hexapetala (Hook. & Arn.) G.L.Nesom & Kartesz<br />

Ludwigia uruguayensis auct., non (Cambess) H.Hara<br />

porracchia<br />

<strong>di</strong><br />

montevideo<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Ludwigia peploides (Kunth) P.H.Raven<br />

subsp. montevidensis (Spreng.) P.H.Raven<br />

Nome volgare: porracchia <strong>di</strong> Montevideo<br />

Basionimo: Jussiaea montevidensis Spreng.<br />

Sinonimi: Ludwigia gran<strong>di</strong>flora auct. p.p., non (Michx.)<br />

Greuter & Burdet<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne con pelosità patente, più o meno glutinosa nel fresco; fusti lunghi 10-300 cm, tappezzanti<br />

il suolo o flottanti nell’acqua, questi ultimi spesso con pneumatafori bianchi evidenti. Foglie alterne, da oblunghe a rotonde,<br />

lunghe meno <strong>di</strong> 10 cm, subintere, ghiandolose all’apice, le inferiori con picciolo lungo (-5)8-16 mm. Fiori singoli, ascellari, su<br />

peduncoli che in frutto possono raggiungere la lunghezza <strong>di</strong> 9 cm, attinomorfi, con ipanzio privo <strong>di</strong> tubo; calice <strong>di</strong> 5(-6) sepali<br />

lunghi 3-12 mm; corolla <strong>di</strong> 5(-6) petali gialli, obovato-spatolati, lunghi 7-24 mm; stami 10(-12) ripartiti <strong>di</strong>sugulamente in 2<br />

gruppi, con antere <strong>di</strong> 0.5-2.2 mm; ovario semiinfero, 4-5-loculare. Il frutto è una capsula riflessa, a deiscenza irregolare, circolare<br />

in sezione, lunga 25-40 mm, con semi numerosi e minuti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Margini dei corpi d’acqua stagnante o a lento flusso.<br />

Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale. Brescia (NAT), Cremona (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Mantova (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XX secolo. Segnalata in Italia in Emilia-Romagna a partire dal 2001<br />

(Romani & Alessandrini, 2001 sub L. gran<strong>di</strong>flora), in Lombar<strong>di</strong>a dal 2004 (Petraglia & Antoniotti, 2004 sub L. peploides; Assini<br />

et al., 2004 sub L. gran<strong>di</strong>flora) dove è stata raccolta per la prima volta nel 1998. L’esatta identità della sottospecie presente in<br />

Italia è stata chiarita da Galasso (2007a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura acquatica).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce, in alcuni casi con coperture prossime al 100%. È specie<br />

inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r.<br />

10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Simile a L. hexapetala (ve<strong>di</strong> scheda), che si <strong>di</strong>stingue per i fusti ascendenti o eretti (oltre a quelli flottanti), i sepali <strong>di</strong> (10-)11-19 mm e i petali<br />

<strong>di</strong> (15-)20-30 mm largamente sovrapposti.<br />

Bibliografia: Assini et al., 2004; Bonali et al., 2006b; Galasso, 2007a; Petraglia & Antoniotti, 2004; Raven, 1963; Romani & Alessandrini, 2001<br />

152 153


enagra<br />

comune<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 80-150 cm, con fusto semplice o poco ramificato, verde, talvolta rossastro nelle parti<br />

inferiori. Foglie alterne, ellittiche o ellittico-lanceolate, con margine dentato superficialmente e nervo me<strong>di</strong>ano arrossato,<br />

almeno nella parte basale. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza a racemo, con asse dell’infiorescenza, ovario e sepali<br />

totalmente sprovvisti <strong>di</strong> punteggiature o colorazione rossi; brattee brevi; peduncolo <strong>di</strong> 25-40 mm; 4 petali gialli <strong>di</strong> (15-)20-30<br />

mm, decisamente più larghi che lunghi; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere; peluria<br />

ghiandolare ben sviluppata già nelle prime fioriture. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 25-40 mm,<br />

contenente abbondanti, piccoli semi irregolarmente cubici e privi <strong>di</strong> ali o con ali appena rilevate.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Europa e Siberia, non conosciuta in Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Più o meno in tutto il territorio, ma più rara rispetto all’Ottocento in quanto non ha ricevuto<br />

vantaggi dalla crescente antropizzazione e ha sofferto della concorrenza delle congeneri successivamente stabilitesi. Bergamo<br />

(NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente nell’area eurosiberiana da piante introdotte<br />

dall’America. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le <strong>di</strong>verse<br />

specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1807 (Toscana), quelle lombarde al 1837 (<strong>Milano</strong>); la prima segnalazione certa<br />

per la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1993).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Il genere Oenothera sect. Oenothera subsect. Oenothera è americano e tutte le specie presenti in Europa si riconducono <strong>di</strong>rettamente<br />

o in<strong>di</strong>rettamente a un’iniziale introduzione dal Nordamerica <strong>di</strong> due o pochi ceppi, la cui identità tassonomica non è ancora stata ricostruita. I<br />

particolari meccanismi genetici alla base della riproduzione sessuale in queste piante sono basati sul controllo da parte <strong>di</strong> geni letali bilanciati<br />

e sulla formazione <strong>di</strong> anelli cromosomici alla meiosi, grazie ai quali ad ogni generazione vengono eliminati i genomi omozigoti. Si tratta perciò<br />

<strong>di</strong> eterozigoti obbligati e complessi in cui il grado <strong>di</strong> affinità tra i genomi materno e paterno e l’accumulo <strong>di</strong> mutazioni proprio <strong>di</strong> ogni genoma<br />

determinano, attraverso le varie combinazioni gametiche, la comparsa <strong>di</strong> fenotipi morfologicamente <strong>di</strong>stinti, che in alcuni casi si fissano<br />

stabilmente nel tempo generando nuove specie, il tutto secondo un modello <strong>di</strong> speciazione estremamente rapido definito “eterogametico”. Ciò<br />

è appunto quanto si ritiene sia successo a 8 delle 9 entità presenti in Lombar<strong>di</strong>a, formatesi molto probabilmente in Europa, se non (almeno 5) in<br />

Italia o ad<strong>di</strong>rittura in situ, a partire da lontani progenitori importati dal Nordamerica. Paradossalmente esse si possono definire in<strong>di</strong>gene <strong>di</strong> origine<br />

esotica!<br />

Le altre 8 specie lombarde si <strong>di</strong>stinguono per <strong>di</strong>fferenti combinazioni dei caratteri, includenti la punteggiatura rossa, le <strong>di</strong>mensioni dei petali,<br />

l’epoca <strong>di</strong> comparsa dei peli ghiandolari, la colorazione del nervo me<strong>di</strong>ano della foglia ecc. Infine segnaliamo che nel varesino e nel lecchese sono<br />

stati raccolti alcuni campioni <strong>di</strong> una Oenothera a fiore piccolo che non si inquadrano in nessuna delle specie conosciute in Europa.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1993<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera biennis L.<br />

Nome volgare: enagra comune<br />

enagra<br />

<strong>di</strong> bartlett<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera chicaginensis de Vries<br />

ex Renner & Cleland var. bartlettii Soldano<br />

Nome volgare: enagra <strong>di</strong> Bartlett<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 100-180 cm, con fusto ramoso e arrossato. Foglie alterne, ellittico-lanceolate,<br />

dentate, con nervo me<strong>di</strong>ano arrossato, almeno nella parte basale. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza densa; asse<br />

dell’infiorescenza con sparse punteggiature rosse (a metà agosto); sepali ver<strong>di</strong>, talvolta punteggiati <strong>di</strong> rosso (a metà agosto);<br />

4 petali gialli <strong>di</strong> 17-27 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere; totale assenza o<br />

quasi <strong>di</strong> peluria ghiandolare lungo l’ipanzio. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 30-45 mm, contenente<br />

abbondanti, piccoli semi con spigoli acuti o debolmente alati.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica; la varietà si sarebbe originata in Italia centro-settentrionale.<br />

Habitat: Greti fluviali, margini ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia centro-settentrionale da ceppi<br />

americani. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le <strong>di</strong>verse specie:<br />

le prime raccolte in Italia risalgono al 1976 (Toscana), quelle lombarde al 1983 (Valcamonica, BS); la prima segnalazione per<br />

la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1993).<br />

Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (ve<strong>di</strong>: Periodo <strong>di</strong> introduzione).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. In Lombar<strong>di</strong>a si incontrano, casuali, altre tre specie del genere Oenothera L., appartenenti però<br />

ad altra sezione: O. gaura W.L.Wagner & Hoch (= Gaura biennis L.; gaura) nel milanese (Stucchi, 1929b), O. speciosa Nutt. (enagra speciosa) nel<br />

lecchese e bresciano, O. tetragona Roth (enagra tetragona) nel lecchese. Una quarta specie, O. rosea L’Hér. ex Aiton (enagra rosea), è stata osservata<br />

avventizia soltanto all’interno dell’Orto Botanico <strong>di</strong> Pavia (Fiori, 1925b) e non è quin<strong>di</strong> da annoverarsi tra la flora esotica lombarda.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Fiori, 1925b; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1993; Stucchi, 1929b<br />

154 155


enagra<br />

<strong>di</strong> royfraser<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera royfraseri R.R.Gates<br />

Nome volgare: enagra <strong>di</strong> Royfraser<br />

Sinonimi: Oenothera parviflora auct., non L.<br />

Oenothera turoviensis Rostański<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea bienne, simile a O. chicaginensis var. bartlettii (ve<strong>di</strong> scheda), da cui si <strong>di</strong>stingue per le foglie più<br />

strette, per una più densa punteggiatura dell’asse dell’infiorescenza, per i sepali semprever<strong>di</strong>, per i petali <strong>di</strong> 6-12 mm, per i<br />

frutti minori (19-26 mm) e per i semi debolmente alati. La pelosità ghiandolare, assente sull’ipanzio alle prime fioriture, prevale<br />

dalla metà <strong>di</strong> agosto in poi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale (E-Canada).<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT),<br />

<strong>Milano</strong> (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della<br />

confusione tra le <strong>di</strong>verse specie: le prime raccolte in Italia sono lombarde (Valcamonica, BS) e risalgono al 1984; segnalata la<br />

prima volta da Zanotti (1991b).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. Non avendo potuto controllare gli exsiccata, la segnalazione <strong>di</strong> Pomi (1994) per Oe. parviflora,<br />

assente in Italia (Soldano, 1993), è qui ricondotta a Oe. royfraseri.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Pomi, 1994; Soldano, 1993; Zanotti, 1991b<br />

enagra<br />

fallacoide<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea bienne, robusta, con fusto eretto, ramoso, alto 80-150(-200) cm, completamente rosso o<br />

striato <strong>di</strong> rosso. Foglie alterne, sessili, lanceolate, lunghe fino a 15 cm, piane, debolmente dentate al margine, con nervo<br />

me<strong>di</strong>ano arrossato o bianco. Infiorescenza terminale a spiga fogliosa allungata, con asse fittamente punteggiato <strong>di</strong> rosso,<br />

uniformemente rosso nel tratto apicale già all’apertura dei primi bocci; sempre sull’asse, a partire dalla seconda metà <strong>di</strong> luglio,<br />

compaiono peli ghiandolari che si ritrovano anche sui frutti acerbi nella porzione inferiore dell’infiorescenza. Fiori profumati,<br />

ad apertura notturna, attinomorfi, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> (3-)4-6.5 cm, con ipanzio a tubo allungato; calice <strong>di</strong> 4 sepali riflessi all’antesi,<br />

fortemente arrossati, apicolati per una lunghezza <strong>di</strong> 2-7 mm; corolla a 4 petali gialli, largamente obovato-triangolari <strong>di</strong> (15-)20-<br />

32×22-37 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga (15-)20-35<br />

mm, contenente abbondanti, piccoli semi bruni, spigolosi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Italia centro-settentrionale occidentale.<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Porzione occidentale della regione, nelle fasce planiziale e collinare. Lecco (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia centro-settentrionale da ceppi<br />

nordamericani introdotti deliberatamente a fini floricolturali. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono<br />

certe a causa della confusione tra le <strong>di</strong>verse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1927 (Toscana), quelle lombarde al<br />

1975 (Cava Manara, PV); la prima segnalazione per la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1983a).<br />

Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (ve<strong>di</strong>: Periodo <strong>di</strong> introduzione).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.<br />

Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1983a, 1993<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera fallacoides<br />

Soldano & Rostański<br />

Nome volgare: enagra fallacoide<br />

156 157


enagra<br />

<strong>di</strong> oehlkers<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne con fusto semplice o poco ramificato, <strong>di</strong> altezza me<strong>di</strong>o-bassa, superando raramente<br />

i 150 cm. Foglie alterne, le inferiori ellittiche, spesso a margine increspato; le altre ellittico-lanceolate, generalmente con<br />

nervo me<strong>di</strong>ano bianco o incolore. Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza allungata; già dalle prime fioriture è presente<br />

un’accentuata glandolosità; peduncoli lunghi fino a 50-55 mm; 4 petali gialli me<strong>di</strong>o-gran<strong>di</strong>, <strong>di</strong> 35-50 mm; stami 8 in due<br />

verticilli; ovario semiinfero; stilo che si protende al <strong>di</strong> sopra delle antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve,<br />

lunga 10-25 mm, contenente abbondanti, piccoli semi con evidente espansione alare sugli spigoli.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Europa (probabilmente Europa centro-orientale).<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Cremona (NAT), Lecco (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, derivata dall’ibridazione tra Oe. glazioviana e una stirpe <strong>di</strong> Oe. suaveolens oppure<br />

<strong>di</strong>rettamente da Oe. glazioviana. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione<br />

tra le <strong>di</strong>verse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1969 (Toscana), quelle lombarde al 1982 (Lomellina, PV); la prima<br />

segnalazione per la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1980b).<br />

Modalità d’introduzione: Ignota.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1983b, 1993<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera oehlkersil Kappus<br />

Nome volgare: enagra del Sesia<br />

enagra<br />

<strong>di</strong> glaziou<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera glazioviana Micheli<br />

Nome volgare: enagra <strong>di</strong> Glaziou<br />

Sinonimi: Oenothera erythrosepala Borbás<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, simile a Oe. oehlkersi (ve<strong>di</strong> scheda) ma con asse dell’infiorescenza, ovario e frutti<br />

cosparsi <strong>di</strong> minuti ma abbondanti punti rossi, apice dell’asse stesso, calice e, <strong>di</strong> norma, nervo me<strong>di</strong>ano fogliare totalmente<br />

arrossati. I giovani frutti presentano una caratteristica banda rossa sulle facce.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Europa (Inghilterra).<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca in quasi tutto il territorio, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, ottenuta presumibilmente attorno al 1860 dall’incrocio artificiale tra Oe. biennis e una<br />

stirpe americana non identificata. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della<br />

confusione tra le <strong>di</strong>verse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1889 (Piemonte), quelle lombarde al 1956 (Como); la<br />

prima segnalazione per la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1980b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (mercato ortofloricolo).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. A questa specie è sicuramente da ricondurre anche la segnalazione <strong>di</strong> Arietti & Crescini (1980)<br />

<strong>di</strong> Oe. suaveolens per il bresciano (Soldano, 1993); lo stesso potrebbe valere per quella <strong>di</strong> Stucchi (1949b).<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1993; Stucchi, 1949b; Zanotti,<br />

1991b<br />

158 159


enagra<br />

del sesia<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 100-160(-200) cm, con fusto ramoso, leggermente rosseggiante. Foglie alterne,<br />

ellittico-lanceolate, a margine dentato e nervo me<strong>di</strong>ano arrossato. Fiori attinomorfi in infiorescenza con asse minutamente<br />

punteggiato <strong>di</strong> rosso e apice completamente maculato (in genere dalla seconda metà <strong>di</strong> agosto); calice inizialmente verde,<br />

ma arrossato non prima <strong>di</strong> agosto; ipanzio <strong>di</strong> 30-40 mm, inizialmente ricoperto da peli acuminati, sui quali i peli ghiandolari<br />

prendono il sopravvento non prima della seconda metà <strong>di</strong> agosto; 4 petali gialli <strong>di</strong> 18-28 mm; stami 8 in due verticilli; ovario<br />

semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga (35-)40-48 mm,<br />

contenente abbondanti, piccoli semi non o appena alati.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Italia nordoccidentale.<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura occidentale. Lecco (NAT), Pavia (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia nordoccidentale da ceppi<br />

americani. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le <strong>di</strong>verse specie:<br />

le prime raccolte in Italia risalgono al 1975 (Piemonte), quelle lombarde al 1977 (Lomellina, PV) ; la prima segnalazione per la<br />

Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1980b).<br />

Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (ve<strong>di</strong>: Periodo <strong>di</strong> introduzione).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità <strong>di</strong> greto in cui si afferma.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.<br />

Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1980b, 1993<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera sesitensis Soldano<br />

Nome volgare: enagra del Sesia<br />

enagra<br />

<strong>di</strong> stucchi<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 120-220(-300) cm, con fusto verde, ramificato, striato <strong>di</strong> rosso o totalmente soffuso<br />

<strong>di</strong> rossastro. Foglie alterne, ellittico-lanceolate gran<strong>di</strong>, con marcata dentatura marginale e nervo me<strong>di</strong>ano bianco e incolore.<br />

Fiori attinomorfi riuniti in infiorescenza con asse profondamente picchiettato <strong>di</strong> rosso, lungo il quale le brattee me<strong>di</strong>ane<br />

mantengono una buona dentatura marginale, spesso con lembo ondulato; ; 4 petali gialli <strong>di</strong> 20-30 mm; ipanzio lungo 50-70<br />

(-75) mm che all’inizio dell’antesi (metà luglio) manca totalmente o quasi <strong>di</strong> peli ghiandolari (questi prendono il sopravvento<br />

dalla seconda metà <strong>di</strong> agosto); stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero; stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una<br />

capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 23-35(-40) mm, contenente abbondanti, piccoli semi con spigoli <strong>di</strong>stintamente<br />

alati.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Italia nordoccidentale.<br />

Habitat: Incolti, margini stradali, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Pressoché ovunque, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona<br />

(INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia nord-occidentale da ceppi<br />

americani. Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe a causa della confusione tra le <strong>di</strong>verse specie:<br />

le prime raccolte in Italia sono lombarde e risalgono al 1952 (Sesto Calende, VA); la prima segnalazione per la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong><br />

Stucchi (1956, sub O. elata).<br />

Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (ve<strong>di</strong>: Periodo <strong>di</strong> introduzione).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità <strong>di</strong> greto in cui si afferma.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis. La segnalazione <strong>di</strong> Stucchi (1956) per Oe elata, successivamente rettificata in Oe. renneri (Raven,<br />

1968; Stucchi, 1972) è da ricondurre a Oe. stucchii (Soldano, 1980b).<br />

Bibliografia: Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Raven, 1968; Soldano, 1980b, 1993; Stucchi, 1956, 1972<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera stucchii Soldano<br />

Nome volgare: enagra <strong>di</strong> Stucchi<br />

Sinonimi: Oenothera elata auct., non Kunth<br />

Oenothera renneri auct., non H.Scholz<br />

160 161


enagra a<br />

petali larghi<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea bienne, alta 80-150(-200) cm, con fusto ramoso, arrossato nella parte più bassa, superiormente<br />

verde e senza punteggiature rosse lungo l’asse dell’infiorescenza. Foglie alterne, lanceolate, a nervo me<strong>di</strong>ano bianco o incolore,<br />

acuminate e a margine intero o appena ondulato. Pelosità non ghiandolare, abbastanza fitta su fusto, foglie, ovario, frutti,<br />

sepali e ipanzio; i peli ghiandolari si sviluppano e <strong>di</strong>ventano prevalenti dall’inizio <strong>di</strong> agosto, se non più tar<strong>di</strong>. Fiori attinomorfi,<br />

notturni, fortemente odorosi, con 4 petali gialli lunghi 19-32 mm e larghi 26-40 mm; stami 8 in due verticilli; ovario semiinfero;<br />

stilo sempre incluso tra le antere. Il frutto è una capsula lineare loculicida, a 4 valve, lunga 30-45 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Italia.<br />

Habitat: Greti fluviali, margini ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutto il territorio, nelle fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV),<br />

Cremona (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, presumibilmente originatasi spontaneamente in Italia da piante speciate in Europa e<br />

introdotte deliberatamente da noi (piante da giar<strong>di</strong>no). Le date relative alla sua <strong>di</strong>ffusione sul nostro territorio non sono certe<br />

a causa della confusione tra le <strong>di</strong>verse specie: le prime raccolte in Italia risalgono al 1869 (Piemonte), quelle lombarde al 1882<br />

(Revere, MN); la prima segnalazione certa per la Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong> Soldano (1981).<br />

Modalità d’introduzione: Originatasi in loco (ve<strong>di</strong>: Periodo <strong>di</strong> introduzione).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico; inoltre minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità a bassa competizione in cui si afferma.<br />

Note: Si veda quanto scritto per Oenothera biennis.<br />

Famiglia: Onagraceae<br />

Nome scientifico: Oenothera latipetala (Soldano) Soldano<br />

Nome volgare: enagra a petali larghi<br />

Basionimo: Oenothera suaveolens Desf. ex Pers. var.<br />

latipetala Soldano<br />

Bibliografia: Bonali, 2008; Bonali et al., 2006a; Dietrich et al., 1997; Mihulka et al., 2003; Soldano, 1981, 1993, 2010; Zanotti, 2010<br />

sommacco<br />

maggiore<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Alberello caducifoglio o grosso arbusto con stoloni sotterranei e fusti spesso in cerchio, arcuato-ascendenti,<br />

alti 2-10 m; rami ricoperti <strong>di</strong> una fitta pubescenza bruno-rossiccia o purpurea. Foglie alterne, imparipennate, con picciolo<br />

densamente rugginoso-pubescente e lamina raggiungente i 50 cm, composta <strong>di</strong> 11-31 segmenti lunghi fino a 11 cm,<br />

oblungo-lanceolati, seghettati al margine, fittamente pubescenti, ver<strong>di</strong>, viranti al rosso vivo in autunno. Fiori pentameri,<br />

piccoli, verdastri, in pannocchie terminali, erette, piramidali, molto compatte e lobulate, ispido-pubescenti per peli rosso<br />

ruggine e lunghe la metà delle foglie. Frutti a drupa con epicarpo ricoperto <strong>di</strong> lunghi peli purpurei.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Incolti solatii.<br />

Distribuzione nel territorio: Frequentemente coltivata e a volte casuale, naturalizzata nel lecchese e bergamasco. Bergamo<br />

(NAT), Brescia (CAS), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Monza e Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio<br />

(CAS), Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Seicento e avventizia dalla seconda metà dell’Ottocento nel trevigiano<br />

(Saccardo, 1863); in Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Giacomini (1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (commercio ortofloricolo).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Potenzialmente sì.<br />

Impatto: Può formare popolamenti densi, deteriorando la vegetazione locale; la sua notevole e problematica <strong>di</strong>ffusione in<br />

Canton Ticino costituisce una minaccia anche per il nostro territorio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Evitarne l’uso nei giar<strong>di</strong>ni e nei parchi; non utilizzare terriccio contenente ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> sommacco; non<br />

tagliarlo (data la sua notevole capacità pollonifera), ma estirpare i turioni fino a completa eliminazione della pianta.<br />

Note: È specie della lista nera elvetica e va quin<strong>di</strong> tenuta sotto osservazione.<br />

Famiglia: Anacar<strong>di</strong>aceae<br />

Nome scientifico: Rhus typhina L.<br />

Nome volgare: sommacco maggiore<br />

Sinonimi: Datisca hirta L., nom. rej.<br />

Rhus hirta (L.) Sudw.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Bonali et al., 2006a; Banfi & Galasso, 1998; Consonni, 1997, 1999; Giacomini, 1950; Saccardo, 1863<br />

162 163


acero<br />

negundo<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero caducifoglio <strong>di</strong> 5-20 m <strong>di</strong> altezza, poco longevo ma <strong>di</strong> crescita rapida. Ha tronco eretto, con scorza<br />

<strong>di</strong> colore bruno-cenerino e chioma irregolarmente globosa. I giovani rami sono glauco-pruinosi, flessibili ma fragili. Foglie<br />

lunghe 15-25 cm, imparipennate, composte da 3-5(-7) segmenti lanceolati o variamente ellittici, con denti e lobature<br />

irregolari; i 3 segmenti apicali spesso confluenti e connati. Fiori prodotti prima della fogliazione, unisessuali, privi <strong>di</strong> perianzio,<br />

maschili e femminili su in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong>stinti (pianta <strong>di</strong>oica); i maschili riuniti in corimbi, a 8 stami; i femminili con ovario supero,<br />

bicarpellare, in lunghi amenti. Il frutto è un samario costituito da due mericarpi con ala piuttosto stretta e falcata, <strong>di</strong>vergenti<br />

tra loro ad angolo acuto.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Boscaglie (radure e margini), soprattutto lungo le aste fluviali, pioppeti, rimboschimenti, cedui e fustaie abbandonate<br />

<strong>di</strong> robinia, ruderati.<br />

Distribuzione nel territorio: Si rinviene spontaneizzata in tutto il territorio, soprattutto lungo i corsi d’acqua, dalla fascia<br />

collinare alla planiziale (0-500 m s.l.m.); per il resto largamente coltivata in parchi, giar<strong>di</strong>ni e alberature stradali. Bergamo (INV),<br />

Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia<br />

(INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la fine del Settecento. In Lombar<strong>di</strong>a è stata segnalata la prima volta<br />

prima nel 1863 (Anonimo, 1863) come coltivata e da Omati (1884) come naturalizzata.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (orticoltura, vivaicoltura, sperimentazione forestale).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Mo<strong>di</strong>fica sensibilmente il paesaggio naturale e riduce la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi boschive, particolarmente in<br />

ambiente ripariale; ha esigenze ecologiche identiche a quelle <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse latifoglie autoctone dei suoli freschi, particolarmente<br />

<strong>di</strong>ffusi nelle aree alluvionali, dove cresce velocemente e fruttifica in abbondanza. È specie inclusa nella lista nera delle specie<br />

alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a; è inoltre<br />

inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r. 5/2007.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> in caso <strong>di</strong><br />

ripollonamento; provvedere quin<strong>di</strong> a sottopiantagione. Pronta rimozione del novelleto. Evitare circostanze favorevoli alla<br />

fruttificazione, per esempio eliminando per primi gli in<strong>di</strong>vidui femminili.<br />

Bibliografia: Anonimo, 1863; Omati, 1884<br />

Famiglia: Aceraceae<br />

Nome scientifico: Acer negundo L.<br />

Nome volgare: acero negundo, negundo<br />

Sinonimi: Negundo aceroides Moench<br />

Negundo negundo (L.) H.Karst., comb. illeg.<br />

albero<br />

del para<strong>di</strong>so<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero caducifoglio dell’altezza massima <strong>di</strong> 20 m, con ra<strong>di</strong>ci superficiali turionanti, ritidoma liscio, grigiastro e<br />

chioma ombrelliforme, estesa orizzontalmente, negli in<strong>di</strong>vidui monumentali tabulare. Giovani rami e gemme grigio-vellutati,<br />

fortemente ghiandolosi e puzzolenti come le foglie, che sono imparipennate, con rachide lunga 20-50 cm e 13-31 segmenti<br />

lanceolati <strong>di</strong> 5-7×2-4 cm, irregolarmente dentati e asimmetrici alla base. Fiori poligamo-<strong>di</strong>oici (pianta funzionalmente <strong>di</strong>oica),<br />

molto odorosi, in gran<strong>di</strong> pannocchie terminali lunghe 10-20 cm, verdastri, privi <strong>di</strong> calice, con 5 petali subacuminati; <strong>di</strong>sco<br />

nettarifero a 10 lobi; 10 stami nei fiori maschili, 2-3 i quelli bisessuali; ovario (fiori femminili) supero, con stimma 5-lobato. Il<br />

frutto è una samara lanceolata, ritorta, con seme in posizione centrale, rossastra da acerba, poi paglierina.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina temperata).<br />

Habitat: Ruderati, incolti, boscaglie, argini e alvei fluviali, margini stradali e ferroviari, infraspazi urbani, muri, cortili, e<strong>di</strong>fici<br />

abbandonati.<br />

Distribuzione nel territorio: Comunissima in tutto il territorio, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV),<br />

Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia<br />

(INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia verso il 1760 all’Orto Botanico <strong>di</strong> Padova. In Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal<br />

1825 nell’Orto Reale <strong>di</strong> Monza (Rossi, 1826) e naturalizzata almeno dal 1884 sulle mura <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (Omati, 1884) e dal 1897 nel<br />

bresciano (Ugolini, 1897).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (collezioni <strong>di</strong> Orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Pesante sulla bio<strong>di</strong>versità, sul paesaggio e sui manufatti antropici (mura, aree archeologiche, maciapie<strong>di</strong> ecc.). È<br />

specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata<br />

alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a; è inoltre inserita tra le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione<br />

della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r. 5/2007.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio, era<strong>di</strong>cazione, eliminazione delle ra<strong>di</strong>ci isolate e correnti con relativi turioni e gemme;<br />

monitoraggio continuato e prolungato, con interventi ripetuti ad ogni manifestazione pur minimale della pianta. L’uso <strong>di</strong><br />

erbici<strong>di</strong> è <strong>di</strong> scarso aiuto.<br />

Note: Dopo l’introduzione (1760), la pianta rimase per un certo tempo confinata ai giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> appassionati che se ne scambiavano i semi e,<br />

forse, già allora qualche in<strong>di</strong>viduo si era affermato all’esterno. Ma fu la seconda metà dell’Ottocento a decretarne l’invasione, poiché, a causa della<br />

moria del comune baco da seta (Bombyx mori), venne sostituita al gelso e <strong>di</strong>ffusa in tutti i territori delle filande, per l’allevamento <strong>di</strong> Philosamia<br />

cynthia, baco da seta più resistente alle malattie. La sperimentazione si rivelò presto un insuccesso economico e non ebbe seguito, ma bastò per<br />

innescare una delle più mici<strong>di</strong>ali invasioni vegetali dell’occidente. L’ailanto, infatti, in ambito temperato, è forse l’aliena arborea più competitiva e<br />

aggressiva, capace oltretutto <strong>di</strong> alterare allelopaticamente il suolo, impedendo alle legnose autoctone <strong>di</strong> recuperare i legittimi spazi. La sua forza sta<br />

principalmente nel vigore vegetativo ed espansivo, nell’incre<strong>di</strong>bile velocità <strong>di</strong> allungamento ra<strong>di</strong>cale con relativa pollonazione e nell’elevatissima<br />

efficienza <strong>di</strong>sseminativa, sostenuta dai movimenti d’aria. Ricor<strong>di</strong>amo, per quanto attiene il territorio nazionale, il grave caso dell’isola <strong>di</strong> Montecristo,<br />

letteralmente invasa da questa aliena, dove sono stati necessari costosi e faticosi interventi <strong>di</strong> eliminazione, che non hanno risolto completamente<br />

il problema e costringono a un continuo, attento monitoraggio. Il danno bioecologico procurato dall’ailanto è <strong>di</strong> gran lunga superiore a quello della<br />

robinia (ve<strong>di</strong> scheda), perché comporta una pesante alterazione del chimismo del suolo e dei rapporti <strong>di</strong> competizione nelle cenosi legnose, con<br />

vistosa caduta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità e omologazione del paesaggio.<br />

Bibliografia: Giacomini, 1950; Omati, 1884; Rossi, 1826; Ugolini, 1897<br />

Famiglia: Simaroubaceae<br />

Nome scientifico: Ailanthus altissima (Mill.) Swingle<br />

Nome volgare: albero del Para<strong>di</strong>so, ailanto, sommacco<br />

falso, sommacco americano<br />

Basionimo: Toxicodendron altissimum Mill.<br />

Sinonimi: Ailanthus glandulosa Desf.<br />

Pongelion glandulosum (Desf.) Pierre<br />

164 165


ibisco<br />

palustre<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, multiassiale, alta 50-120 cm, con fusti semplici, <strong>di</strong>ritti, cespitosi. Lamina fogliare<br />

subrotonda o largamente ovata, <strong>di</strong> 8-15×4-9 cm, a margine denticolato, spesso inciso in 3 lobi poco profon<strong>di</strong>; pagina inferiore<br />

tomentosa per peli stellati soffici; apice acuminato. Fiori ascellari su peduncoli <strong>di</strong> 4-6 cm; epicalice con circa 11 lacinie lineari;<br />

calice a 5 sepali saldati nella metà prossimale; corolla <strong>di</strong> 5 petali uniformemente rosa, <strong>di</strong> rado bianchi, ricoprentisi ai margini,<br />

lunghi 4-7 cm. Frutto costituito da una capsula a 5 valve, subsferica, larga 1-2 cm; semi reniformi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale (dal Massachusetts al North Carolina e, verso ovest, fino all’In<strong>di</strong>ana).<br />

Habitat: Entità <strong>di</strong> habitat palustre, dove cresce soprattutto al margine dei canali e nel canneto.<br />

Distribuzione nel territorio: In Lombar<strong>di</strong>a è naturalizzata unicamente nelle Valli del Mincio (Laghi <strong>di</strong> Mantova) e alla Palude<br />

Brabbia (VA), in quest’ultima stazione anche nella forma a fiori bianchi; casuale nel bergamasco e bresciano. Bergamo (CAS),<br />

Brescia (CAS), Mantova (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVI. In Lombar<strong>di</strong>a conosciuta già da Cesati (1844) e Bertoloni<br />

(1847) per il mantovano.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante sul piano bioecologico, più consistente su quello estetico e paesaggistico.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: L’entità nominale (subsp. moscheutos), <strong>di</strong>stribuita in Virginia, Georgia, Florida, Alabama, Tennessee e Kentucky negli stessi ambienti umi<strong>di</strong>,<br />

pur essa in ven<strong>di</strong>ta nei nostri garden center in cultivar dai fiori spesso giganti, unicolori o bicolori, si <strong>di</strong>stingue per le foglie superiori mai lobate e<br />

per i petali <strong>di</strong> norma bianchi, macchiati <strong>di</strong> porpora alla base. Sebbene Linneo avesse <strong>di</strong>stinto i due taxa a rango specifico, i termini <strong>di</strong> passaggio fra<br />

l’uno e l’altro sono ampiamente rappresentati in natura nei punti <strong>di</strong> contatto degli areali e la maggior parte degli autori americani è oggi propensa<br />

a ritenere che i due morfotipi siano gli estremi geografici della variazione <strong>di</strong> una sola specie.<br />

Bibliografia: Banfi, 1983; Bertoloni, 1847; Bird, 1997; Cesati, 1844<br />

Famiglia: Malvaceae (= Malvaceae subfam. Malvoideae)<br />

Nome scientifico: Hibiscus moscheutos L. subsp. palustris (L.)<br />

R.T.Clausen<br />

Nome volgare: ibisco palustre<br />

Basionimo: Hibiscus palustris L.<br />

Sinonimi: Hibiscus aquaticus DC.<br />

Hibiscus moscheutos L. subsp. roseus (Thore ex Loisel.) P.Fourn.<br />

Hibiscus roseus Thore ex Loisel.<br />

ibisco<br />

vescicoso<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-40 cm, con fusto gracile, eretto-ascendente. Picciolo fogliare lungo 2-4 cm. Foglie<br />

larghe 3-6 cm, <strong>di</strong>morfe, quelle alla base del fusto orbicolari, le superiori palmate con 3-5 lobi, a loro volta grossolanamente<br />

lobati; pagina superiore della lamina ispida, sparsamente irsuta o glabrescente l’inferiore. Fiori solitari, ascellari; pe<strong>di</strong>celli lunghi<br />

circa. 2.5 cm; epicalice <strong>di</strong> 12 lobi filiformi; calice con 5 lobi triangolari, verdastro, campanulato, membranoso e dopo la fioritura<br />

rigonfio; corolla giallo pallido con centro porpora scuro, <strong>di</strong> 2-3 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro; stami monadelfi (saldati per i filamenti a<br />

formare un tubo che avvolge l’ovario); ovario supero con stilo allungato e stimma capitato. Frutto consistente in una capsula<br />

a 5 valve, oblungo-globosa, larga circa 1 cm, irsuta; semi neri, reniformi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Africa, Asia (temperata e tropicale) ed Europa orientale (dai Balcani alla Russia).<br />

Habitat: Infestante dei campi, soprattutto <strong>di</strong> quelli lasciati temporaneamente incolti, oppure ai margini degli stessi. Pre<strong>di</strong>lige<br />

suolo umido con elevata componente argillosa.<br />

Distribuzione nel territorio: Soprattutto in ambito planiziale, dove è presente in modo molto spora<strong>di</strong>co e incostante, con<br />

popolazioni costituite <strong>di</strong> norma da pochi in<strong>di</strong>vidui. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova<br />

(NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dall’inizio del Cinquecento; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1531 a<br />

Cremona (Bonali, 2009).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: La specie ha un modesto rilievo agroeconomico, perché come infestante è assai contenuta e poco competitiva.<br />

Note: La fioritura è vistosa e intrigante, tuttavia nel suo habitat passa pressoché inosservata.<br />

Bibliografia: Bonali, 2009<br />

Famiglia: Malvaceae (= Malvaceae subfam. Malvoideae)<br />

Nome scientifico: Hibiscus trionum L.<br />

Nome volgare: ibisco vescicoso<br />

Sinonimi: Hibiscus africanus Mill.<br />

Hibiscus hispidus Mill. Hibiscus ternatus Cav.<br />

Hibiscus vesicarius Cav.<br />

Ketmia trionum (L.) Scop.<br />

Trionum annuum Me<strong>di</strong>k.<br />

Trionum trionum (L.) Wooton & Standl., comb. illeg.<br />

166 167


polanisia<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-50 cm, viscoso-appicicaticcia al tatto, con fusto violaceo, eretto, semplice o<br />

ramificato, densamente provvisto <strong>di</strong> peli ghiandolari. Foglie trifogliate con picciolo <strong>di</strong> 3-8 cm e segmenti ellittico-oblunghi<br />

o lanceolati, lunghi 3-7 cm, ottusi, spesso acuminati. Nervi chiari, sporgenti sulla faccia abassiale. Infiorescenza a racemo<br />

terminale allungato, provvisto <strong>di</strong> numerose brattee ellittiche, intere. Fiori su peduncoli eretti <strong>di</strong> 1-2 cm, con 4 sepali caduchi e<br />

4 petali bianco-rosei, spatolato-bifi<strong>di</strong>, lunghi 8-12 mm; stami 12-16; ovario supero, sessile o sorretto da un brevissimo ginoforo.<br />

I frutti sono capsule lineari od oblunghe, appiattite, spesso falcate, lunghe 30-70 mm, con valve reticolate; semi <strong>di</strong>scoidali,<br />

bruno-nerastri.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti, scarpate, greti sabbiosi dei fiumi.<br />

Distribuzione nel territorio: Dalla fascia planiziale a quella collinare (0-500 m s.l.m.), soprattutto lungo il Po e i suoi affluenti.<br />

Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a nel pavese da Pirola (1964a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (giar<strong>di</strong>naggio).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Attualmente irrilevante, sebbene sussista il rischio <strong>di</strong> una certa concorrenza con le specie autoctone nei siti <strong>di</strong><br />

colonizzazione.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Monitoraggio perio<strong>di</strong>co per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio;<br />

rimozione manuale in caso <strong>di</strong> necessità.<br />

Bibliografia: Pirola, 1964a<br />

Famiglia: Cleomaceae<br />

Nome scientifico: Polanisia trachysperma Torr. & A.Gray<br />

Nome volgare: polanisia<br />

Sinonimi: Polanisia dodecandra (L.) DC.<br />

subsp. trachysperma (Torr. & A.Gray) Iltis<br />

Polanisia dodecandra (L.) DC.<br />

var. trachysperma (Torr. & A.Gray) Iltis<br />

borsa del<br />

pastore a<br />

fiori gran<strong>di</strong><br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 75 cm, con pelosità sparsa. Foglie basali in rosetta, con lamina intera, più<br />

o meno lirata o pennatifida; foglie cauline sagittato-amplessicauli. Fiori profumati in racemo terminale nudo, con 4 sepali<br />

eretti, non saccati, 4 petali bianchi, obovato-spatolati, lunghi 4-5 mm (2.5 volte i sepali); stami 6, tetra<strong>di</strong>nami (4 lunghi, 2<br />

brevi); ovario supero, bicarpellare. Il frutto è una siliqua angustisettata (a concamerazioni larghe quanto i semi), <strong>di</strong> forma<br />

triangolare-obcordata, a lati <strong>di</strong>ritti e lobi apicali arrotondati, all’apice profondamente smarginata (stilo lungo 0.25-0.7 mm),<br />

arrotondato-attenuata alla base.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-giugno.<br />

Area d’origine: Penisola Balcanica, Egeo (Albania, Grecia).<br />

Habitat: Incolti ari<strong>di</strong> su base calcarea.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura, soprattutto nella zona del Lago d’Iseo (BG e BS). Bergamo (INV), Brescia (INV), Lecco<br />

(CAS), <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia a fine Ottocento in Friuli-Venezia Giulia; naturalizzata<br />

in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1939 (Arietti, 1974; Arietti & Crescini, 1980).<br />

Modalità d’introduzione: Non conosciuta, probabilmente deliberata per fini ornamentali.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Paesaggistico <strong>di</strong> rilevanza locale (vistosa fioritura bianca).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Finora non necessarie.<br />

Note: Nell’area d’origine, la nicchia primaria della specie è rappresentata da pen<strong>di</strong>i rocciosi calcarei, ma da qui essa si spinge in ambienti secondari<br />

antropogenici, quali incolti e ruderati. È grazie a tale adattabilità che la pianta ha potuto affermarsi nel nostro territorio, inserendosi in habitat<br />

secondari a bassa competizione. Dello stesso genere sono ben note le due specie autoctone C. bursa-pastoris (L.) Me<strong>di</strong>k. e C. rubella Reut., spesso<br />

<strong>di</strong>fficili da <strong>di</strong>stinguere tra loro e a volte poste in sinonimia, ma ben separabili dall’aliena per i fiori inodori, assai meno vistosi (petali <strong>di</strong> 1.5-3 mm,<br />

lunghi non più del doppio dei sepali) e per il frutto decisamente triangolare a base cuneata e lobi apicali da subacuti a ottusi, mai arrotondati, con<br />

smarginatura me<strong>di</strong>ana appena apprezzabile. Sono tutte entità ruderali.<br />

Bibliografia: Arietti, 1974; Arietti & Crescini, 1980<br />

Famiglia: Brassicaceae<br />

Nome scientifico: Capsella gran<strong>di</strong>flora (Fauché & Chaub.)<br />

Boiss.<br />

Nome volgare: borsa del pastore a fiori gran<strong>di</strong><br />

Basionimo: Thlaspi gran<strong>di</strong>florum Fauché & Chaub.<br />

168 169


lappolina<br />

americana<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-25 cm, con fusti cilindrici ramosissimi, striscianti al suolo. Foglie alterne, le inferiori<br />

bipennatosette, lunghe 3-8 cm, perlopiù con 9 segmenti lunghi 2-3 mm, interi, oppure con 1-2 denti sul lato rivolto verso<br />

l’apice; le cauline semplicemente pennatosette e grigio-verdastre. Fiori piccoli, bianchi, riuniti in brevi racemi sessili, poco<br />

appariscenti. Peduncoli lunghi 1.5-3.5 mm; sepali <strong>di</strong> 1 mm; petali <strong>di</strong> 2 mm; stami 6, <strong>di</strong><strong>di</strong>nami (2 lunghi, 4 brevi). Il frutto è una<br />

siliqua rugosa <strong>di</strong> 1.5×2-3 mm, smarginata all’apice, contenente semi reniformi, giallastri o arancioni.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Siti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed e<strong>di</strong>fici, marciapie<strong>di</strong>,<br />

ferrovie e scarpate), tappeti erbosi, parchi, giar<strong>di</strong>ni, viali e cimiteri; generalmente in aree a forte calpestio.<br />

Distribuzione nel territorio: Dalla pianura alla bassa montagna (0-950 m s.l.m.), soprattutto nelle città. Bergamo (NAT),<br />

Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Sondrio (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia alla fine del XVIII secolo, in Lombar<strong>di</strong>a raccolta per la prima volta nel 1914<br />

(campione raccolto da P. Rossi a Mandello Lario (LC) e conservato nell’Erbario dell’Università <strong>di</strong> Pavia, PAV) e segnalata da<br />

Cobau (1916) a <strong>Milano</strong>.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Cobau, 1916<br />

Famiglia: Brassicaceae<br />

Nome scientifico: Lepi<strong>di</strong>um <strong>di</strong>dymum L.<br />

Nome volgare: lappolina americana<br />

Sinonimi: Carara <strong>di</strong>dyma (L.) Britton<br />

Coronopus <strong>di</strong>dymus (L.) Sm.<br />

Senebiera <strong>di</strong>dyma (L.) Pers.<br />

Senebiera pinnatifida DC., nom. illeg.<br />

lepi<strong>di</strong>o<br />

della virginia<br />

Famiglia: Brassicaceae<br />

Nome scientifico: Lepi<strong>di</strong>um virginicum L.<br />

Nome volgare: lepi<strong>di</strong>o della Virginia<br />

Sinonimi: Crucifera virginica (L.) E.H.L.Krause<br />

Iberis virginica (L.) Fisch. & C.A.Mey.<br />

Nasturtium virginicum (L.) Kuntze<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta annuale erbacea, alta 20-50 cm, con fittone sottile e fusto eretto, spesso arrossato alla base, ramoso,<br />

corimboso in alto, peloso per peli riflessi. Foglie alterne, le basali lunghe fino a 8 cm, con lamina lirata, brevemente setolosa;<br />

le cauline più brevi, intere, in genere con 3-7 denti apicali. Fiori in racemi terminali cilindrici; sepali 4, lunghi 0.6-1 mm; petali<br />

4, talora assenti, bianchi, superanti i sepali in lunghezza; stami 6, tetra<strong>di</strong>nami (4 lunghi, 2 brevi); ovario supero, bicarpellare.<br />

I frutti sono silique suborbicolari <strong>di</strong> 2-4×2-4 mm, con stretta ala marginale verso l’apice, che è debolmente retuso, e con 2<br />

logge contenenti ciascuna un seme.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-novembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie<br />

e scarpate, marciapie<strong>di</strong> e luoghi calpestati), lungo i fiumi, incolti e coltivi.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale alla bassa montagna (0-800 m s.l.m.). Bergamo (INV), Brescia<br />

(INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV),<br />

Sondrio (INV), Varese (INV). [L. densiflorum: Bergamo (EST), Brescia (NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia<br />

(NAT), Sondrio (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a metà del XVII secolo (Ugolini, 1923); in Lombar<strong>di</strong>a presente almeno dal<br />

1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) come pianta coltivata e dal 1882 come naturalizzata<br />

presso Cassano d’Adda (Micheletti, 1889).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta officinale).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: In modo limitato.<br />

Impatto: Localizzato, sulla <strong>di</strong>versità delle comunità ruderali e sul relativo paesaggio; unisce capacità competitiva a una<br />

biostrategia <strong>di</strong> tipo ruderale (autoimpollinazione, abbondanza <strong>di</strong> semi per in<strong>di</strong>viduo ecc.), con il risultato <strong>di</strong> formare, per lunghi<br />

tratti <strong>di</strong> superficie e in breve tempo, densi popolamenti quasi monofitici, specialmente in abbondanza <strong>di</strong> nutrienti.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre evitare azioni che ne esaltino la <strong>di</strong>ffusione, come lasciare denudato il suolo, o movimentare<br />

incontrollatamente il terreno, facilitando in entrambi i casi l’inse<strong>di</strong>amento dei semi. Il contenimento si effettua tramite<br />

sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura), eventualmente coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; se possibile,<br />

provvedere al più presto alla semina <strong>di</strong> specie in<strong>di</strong>gene o alla piantumazione <strong>di</strong> arbusti autoctoni ombreggianti.<br />

Note: Nel territorio si rinviene un’altra aliena neofita naturalizzata del genere Lepi<strong>di</strong>um, L. densiflorum Schrad. (= L. neglectum Thell.; lepi<strong>di</strong>o<br />

densifloro), nota in Lombar<strong>di</strong>a dal 1922. Si riconosce per i petali più brevi dei sepali e per i frutti più piccoli (2.5×1.5-2 mm). Dal punto <strong>di</strong> vista<br />

ecologico, anch’essa si rinviene prevalentemente in ambito urbano (e<strong>di</strong>ficati e infrastrutture), ma pure in situazioni ruderali e <strong>di</strong> generico <strong>di</strong>sturbo<br />

antropico, più comunemente in montagna e fino alla quota <strong>di</strong> 1˙750 m s.l.m.<br />

Qua e là, nei pressi dei luoghi <strong>di</strong> coltivazione (aliena casuale), si può trovare anche un’archeofita originaria <strong>di</strong> Asia occidentale e In<strong>di</strong>a, L. sativum L.<br />

(crescione inglese), facilmente riconoscibile per i petali <strong>di</strong> 2-3 mm e i frutti <strong>di</strong> 5-6 mm.<br />

Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Micheletti, 1889; Scopoli; Ugolini, 1922a, 1923<br />

170 171


crescione<br />

austriaco<br />

Famiglia: Brassicaceae<br />

Nome scientifico: Rorippa austriaca (Crantz) Besser<br />

Nome volgare: crescione austriaco<br />

Basionimo: Nasturtium austriacum Crantz<br />

Sinonimi: Brachiolobos austriacus (Crantz) Schur<br />

Camelina austriaca (Crantz) Pers.<br />

Cochlearia austriaca (Crantz) Ledeb.<br />

Myagrum austriacum (Crantz) Jacq.<br />

Ra<strong>di</strong>cula austriaca (Crantz) Small<br />

Rorippa austriaca (Crantz) Spach, comb. superfl.<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, robusta, alta 30-100 cm, con rizoma stolonifero e fusto eretto, ramoso, a volte lignificato<br />

alla base. Foglie intere, ellittiche o lanceolate, irregolarmente dentate o seghettate ai margini, le cauline amplessicauli con<br />

evidenti orecchiette. Infiorescenze terminali a racemo corimbiforme; peduncoli fiorali lunghi 7-15 mm, ascendenti, talvolta<br />

ricurvi all’estremità. Fiori con calice <strong>di</strong> 4 sepali e corolla <strong>di</strong> 4 petali lunghi 2-4 mm, gialli, circa una volta e mezza più lunghi dei<br />

sepali; stami 6, tetra<strong>di</strong>nami (4 lunghi e 2 corti). I frutti sono silique subglobose, 2.5-3.5×1.5-2.5 mm, meno <strong>di</strong> una volta e mezza<br />

più lunghe che larghe, sormontate dallo stilo persistente, lungo 1-2 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-luglio.<br />

Area d’origine: Europa centrale e orientale (esclusa l’Italia).<br />

Habitat: Ambienti ± umi<strong>di</strong>, anche temporaneamente inondati, quali stagni, fossi, rive e solchi nei campi. Si rinviene anche<br />

in ambiente ruderale e semiruderale (sentieri, lungo le strade, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie e<br />

scarpate), oltre che in talune aiuole urbane.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenza spora<strong>di</strong>ca su tutto il territorio regionale, soprattutto dalla fascia planiziale a quella<br />

bassomontana, tra 0 e 700 m s.l.m. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT),<br />

Sondrio (NAT), Varese (NAT). [R. armoracioides Lecco (CAS), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta al principio del XIX secolo; segnalata per la prima volta in Italia presso Parma da<br />

Bertoloni (1854), ma raccolta per la prima volta da Giorgio Jan sempre a Parma, nel 1818 e 1832 (Ugolini, 1922b). In Lombar<strong>di</strong>a<br />

raccolta per la prima volta a Brescia nel 1969 (Arietti & Crescini, 1975).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con le truppe austriache (Béguinot & Mazza, 1916a).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Attualmente irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Monitoraggio perio<strong>di</strong>co per valutare l’evoluzione demografica delle popolazioni sul territorio. Dove<br />

necessario si può procedere all’estirpazione manuale o alla sarchiatura.<br />

Note: Nel territorio si rinviene un’altra aliena neofita naturalizzata del genere Rorippa, R. armoracioides (Tausch) Fuss (= Nasturtium armoracioides<br />

Tausch; crescione a foglie <strong>di</strong> cren), ibrido fissato tra l’esotica Rorippa austriaca e l’autoctona × R. sylvestris (L.) Besser; sebbene sia stata segnalata per<br />

la prima volta già dal Cesati (1844), non si è sicuri della correttezza della sua determinazione e la sua prima raccolta certa in Lombar<strong>di</strong>a è del 1985<br />

(Soldano, 1986). Si riconosce per le foglie fortemente lobate e i frutti più <strong>di</strong> una volta e mezza più lunghi che larghi (lunghi 3-9 mm).<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Béguinot & Mazza, 1916a; Bertoloni, 1854; Cesati, 1844; Soldano, 1986; Ugolini, 1922b<br />

erba<br />

cornacchia<br />

<strong>di</strong> loesel<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-100(-150) cm, a fusto eretto, con rami alterni, ispida per peli riflessi. Foglie<br />

pennatosette, lirate o sinuate, con lobo terminale triangolare-ovato o triangolare - oblungo. Fiori in racemo terminale<br />

allungantesi alla fruttificazione, con 4 sepali eretto-patenti <strong>di</strong> 2.5 mm e 4 petali liberi, gialli, interi e spatolati, lunghi 4-7 mm;<br />

stami 6, tetra<strong>di</strong>nami (4 interni a lungo filamento e due esterni a filamento raccorciato); ovario lineare, supero, con stilo molto<br />

breve e stimma bilobato. I frutti sono silique lineari <strong>di</strong> 15-45×0.7-1 mm, eretto-patenti, portate da pe<strong>di</strong>celli più sottili <strong>di</strong><br />

esse (0.3-0.6 mm), con setto me<strong>di</strong>ano ialino (replo), su cui poggiano in fila verticale i semi, piccoli e brunastri, placentati<br />

alternatamente ai margini dei carpelli.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Europa centrale e orientale.<br />

Habitat: Ruderi, macerie, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Collinare e planiziale, nella porzione centro-orientale del territorio (province <strong>di</strong> Lecco, Bergamo,<br />

Brescia e Mantova). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), Mantova (NAT). [S. volgense: Brescia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in periodo imprecisato.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: Questo genere nel nostro territorio comprende <strong>di</strong>verse specie autoctone, tutte a comportamento sinantropico (ruderi, incolti, margini ecc.),<br />

la più <strong>di</strong>ffusa delle quali è S. officinale (L.) Scop., riconoscibile per i fiori molto piccoli e le silique a forma <strong>di</strong> cono allungato, lunghe non più <strong>di</strong> 16<br />

mm, pubescenti, strettamente appressate all’asse dell’infiorescenza. Di recente, nella pianura bresciana è comparsa un’altra aliena naturalizzata<br />

appartenente a questo genere (Zanotti, 2010); si tratta dell’erba-cornacchia del Volga o senape russa (S. volgense M.Bieb. ex E.Fourn.), simile a S.<br />

loeselii, ma perenne e rizomatosa. Infine, tra le aliene dubbie vi è l’erba-cornacchia orientale (S. orientale L.), con silique lunghe (2.5-)5-12 cm e<br />

portate da pe<strong>di</strong>celli spessi circa quanto queste (ca. 1 mm).<br />

Bibliografia: Zanotti, 2010<br />

Famiglia: Brassicaceae<br />

Nome scientifico: Sisymbrium loeselii L.<br />

Nome volgare: erba-cornacchia <strong>di</strong> Loesel<br />

172 173


poligono<br />

russo<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Liana perenne, non rizomatosa, con fusti legnosi, rampicanti, lunghi 3-10 m. Foglie alterne, provviste <strong>di</strong> fascetti<br />

ascellari, con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 3-8 mm, generalmente<br />

decidua, membranosa, brunastra, da obliqua a troncata all’apice, non fimbriata; lamina opaca, ovato-lanceolata, 3-10×1-5 cm,<br />

acuta all’apice, subcordata alla base, intera o irregolarmente crenata; picciolo <strong>di</strong> 1-4 cm, alla base con una fossetta nettarifera<br />

sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 3-15 cm, ascellari e terminali; tepali 5, bianco-verdastri con ala bianca o<br />

rosati, raramente rosa, i 3 esterni alati e accrescenti nel frutto; stami 6-8. Il frutto è un achenio marrone scuro o nero, trigono,<br />

lungo 2-4 mm, liscio e lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Asia centrale (Sichuan, Tagichistan, Uzbechistan).<br />

Habitat: Boschi e cespuglieti.<br />

Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata in gran parte del territorio (0-500 m s.l.m.). Bergamo<br />

(NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (CAS), Sondrio<br />

(NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, scoperta nel 1883 nel Bukhara (Uzbechistan) e portata nel Giar<strong>di</strong>no botanico <strong>di</strong> San<br />

Pietroburgo, dove ha fiorito e fruttificato nel 1896; da qui i semi sono stati <strong>di</strong>stribuiti in vari Orti botanici europei. Presente<br />

in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1928 come pianta coltivata (campione raccolto da L. Ceroni a Canneto Pavese -PV- e conservato<br />

nell’Erbario <strong>di</strong> Pavia, PAV) e almeno dal 1982 come naturalizzata (Pignatti, 1982).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Data la modesta <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie l’impatto è attualmente trascurabile. Tuttavia, a causa dell’elevato vigore<br />

la pianta è potenzialmente invasiva e va mantenuta sotto controllo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio dalla base e rimozione delle ra<strong>di</strong>ci.<br />

Note: Piante con fiori più piccoli e bianchi o verdastri (a volte leggermente rosati, ma non chiaramente rosa), assi delle infiorescenze maggiormente<br />

papillosi o scabri, margini fogliari maggiormente ondulati e acheni più piccoli sono descritte come F. aubertii; tuttavia rientrano nella normale<br />

variabilità <strong>di</strong> F. baldschuanica.<br />

In Lombar<strong>di</strong>a sono presenti anche due specie del genere Fagopyrum, coltivate per l’alimentazione (utilizzate per la preparazione <strong>di</strong> piatti<br />

tra<strong>di</strong>zionali come i pizzoccheri e la polenta taragna) e raramente osservate casuali. Hanno foglie con base astata, relativamente simili a quelle del<br />

genere Fallopia, ma sono annuali e presentano un achenio lungo 2-3 volte i tepali.<br />

Sono:<br />

• F. esculentum Moench (= Polygonum fagopyrum L.; grano saraceno comune), con acheni nettamente trigoni, a facce e spigoli lisci;<br />

tepali (2.5-)3-5 mm, da bianco-crema a rosa chiaro; infiorescenze panicoliformi, lunghe 1-4 cm, terminali e ascellari, generalmente raggruppate<br />

all’apice del fusto; peduncoli non articolati;<br />

• F. tataricum (L.) Gaertn. (= Polygonum t. L.; grano saraceno siberiano), con acheni debolmente trigoni, a facce irregolarmente rugose e spigoli<br />

spesso sinuato-dentati; tepali 1.5-3 mm, ver<strong>di</strong> con margine biancastro; infiorescenze racemiformi, lunghe 2-10 cm, ascellari, non raggruppate<br />

all’apice del fusto; peduncoli articolati, circa a metà.<br />

Bibliografia: Crescini & Tagliaferri, 1994a; Galasso, 2009; Pignatti, 1982<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Fallopia baldschuanica (Regel) Holub<br />

Nome volgare: poligono russo, velo <strong>di</strong> sposa<br />

Basionimo: Polygonum baldschuanicum Regel<br />

Sinonimi: Fallopia aubertii (L.Henry) Holub<br />

Polygonum aubertii L.Henry<br />

poligono<br />

multifloro<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Liana perenne, rizomatosa, con fusti erbacei, legnosi soltanto alla base, rampicanti (generalmente avvolti verso<br />

destra), lunghi 2-10 m. Foglie alterne, senza fascetti ascellari, con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole,<br />

tipica delle Polygonaceae) lunga 3-5 mm, persistente o decidua, membranosa, brunastra, obliqua all’apice, non fimbriata;<br />

lamina lucida, ovata, 3-15×2-7 cm, acuminata all’apice, cordata alla base, intera; picciolo <strong>di</strong> 1-7 cm, alla base con una fossetta<br />

nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, ampie e ramificate, lunghe 10-20 cm, ascellari e terminali; tepali 5,<br />

bianchi, i 3 esterni alati e accrescenti nel frutto; stami 8. Il frutto è un achenio marrone scuro o nero, trigono, lungo 2.5-3 mm,<br />

liscio e lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: ottobre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Boschi e cespuglieti.<br />

Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata nelle fasce planiziale e collinare (50-500 m s.l.m.).<br />

Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa probabilmente alla fine del XIX secolo; in passato spesso confusa con<br />

Fallopia baldschuanica o Reynoutria japonica. Segnalata per la prima volta in Italia e Lombar<strong>di</strong>a da Galasso et al. (2006b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Data la modesta <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie l’impatto è attualmente trascurabile. Tuttavia, a causa dell’elevato vigore<br />

la pianta è potenzialmente invasiva e va mantenuta sotto controllo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio dalla base e rimozione dei rizomi.<br />

Note: Specie tra<strong>di</strong>zionalmente confusa con F. baldschuanica dalla quale è facilmente riconoscibile, oltre che per la fioritura tar<strong>di</strong>va, per i fusti<br />

legnosi soltanto alla base, la presenza <strong>di</strong> rizomi e per le foglie più gran<strong>di</strong> (lamina fino a 15×7 cm), nettamente cordate alla base, acuminate all’apice<br />

e prive <strong>di</strong> fascetti ascellari. In passato confusa anche con Reynoutria japonica.<br />

Bibliografia: Galasso, 2009; Galasso & Ceffali, 2008; Galasso et al., 2006b<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Fallopia multiflora (Thunb.) Haraldson<br />

Nome volgare: poligono multifloro<br />

Basionimo: Polygonum multiflorum Thunb.<br />

Sinonimi: Fallopia multiflora (Thunb.) Czerep., comb. superfl.<br />

Pleuropterus cordatus Turcz., nom. illeg.<br />

Pleuropterus multiflorus (Thunb.) Nakai<br />

174 175


poligono<br />

filiforme<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, alta fino a 130 cm, eretta, simile a P. virginiana con la quale spesso convive. Foglie<br />

alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 10-20 mm, bruna,<br />

ialina, troncata all’apice, fimbriata; lamina obovata, 5-17.5×2-10 cm, con apice ottuso brevemente acuminato, sessile o con<br />

picciolo lungo fino a 2 cm. Infiorescenze spiciformi, strettamente lineari, lunghe (5-)10-35 cm, terminali e ascellari, con fiori<br />

<strong>di</strong>stanziati; perianzio rosa o rossastro; stili persistenti nel frutto, induriti e ricurvi a uncino. Il frutto è un achenio biconvesso,<br />

marrone, lungo 3.5-4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Margini <strong>di</strong> sentieri boschivi, radure.<br />

Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Como (INV), Monza e Brianza (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nella prima metà del XX secolo;<br />

nell’erbario del Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (MSNM) è conservato un campione <strong>di</strong> una pianta coltivata in Lombar<strong>di</strong>a<br />

risalente al 1935. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Galasso & Brusa (2007), i primi campioni raccolti in<br />

natura sono del 2006, ma, data la sua abbondanza nelle stazioni segnalate, il suo arrivo risale sicuramente a numerosi anni<br />

prima.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Forma popolamenti monofitici o misti con la congenere P. virginiana, lunghi centinaia <strong>di</strong> metri ma soltanto nelle<br />

radure e ai margini dei sentieri boschivi.<br />

Note: Specie morfologicamente e filogeneticamente affine a P. virginiana, con la quale spesso convive (ma i loro areali primari sono completamente<br />

<strong>di</strong>stinti); tuttavia non sono mai stati osservati ibri<strong>di</strong>, forse anche a causa del leggero sfasamento del periodo <strong>di</strong> fioritura. Si <strong>di</strong>stingue da quest’ultima<br />

per le foglie obovate, ottuse all’apice e per i tepali rosa o rossastri.<br />

In commercio si trovano comunemente le cultivar ‘Painter’s Palette’ (variegata <strong>di</strong> crema, verde chiaro e rosso) e ‘Variegata’ (macchiata <strong>di</strong> crema).<br />

Bibliografia: Galasso, 2009; Galasso & Brusa, 2007<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Persicaria filiformis (Thunb.) Nakai<br />

Nome volgare: poligono filiforme<br />

Basionimo: Polygonum filiforme Thunb.<br />

Sinonimi: Antenoron filiforme (Thunb.) Roberty & Vautier<br />

Polygonum virginianum (L.) Raf. var. filiforme (Thunb.) Nakai<br />

Sunania filiformis (Thunb.) Raf.<br />

Tovara filiformis (Thunb.) Nakai<br />

Tovara virginiana (L.) Raf. var. filiformis (Thunb.) Steward<br />

poligono<br />

della virginia<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, alta fino a 130 cm, eretta. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla<br />

fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 10-20 mm, bruna, ialina, troncata all’apice, fimbriata; lamina ovata,<br />

5-17.5×2-10 cm, con apice acuto o acuminato, sessile o con picciolo lungo fino a 2 cm. Infiorescenze spiciformi, strettamente<br />

lineari, lunghe (5-)10-35 cm, terminali e ascellari, con fiori <strong>di</strong>stanziati; perianzio bianco o bianco-verdastro, raramente rosa; stili<br />

persistenti nel frutto, induriti e ricurvi a uncino. Il frutto è un achenio biconvesso, marrone, lungo 3.5-4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Margini <strong>di</strong> sentieri boschivi, radure.<br />

Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Como (INV), Lecco (INV), Monza e Brianza (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nel XX secolo. Segnalata per la<br />

prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (2005); in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso et al., 2006d;<br />

Galasso & Brusa, 2007). I primi campioni raccolti risalgono al 1995.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Forma popolamenti monofitici o misti con la congenere P. filiformis, lunghi centinaia <strong>di</strong> metri ma soltanto nelle<br />

radure e ai margini dei sentieri boschivi.<br />

Note: Specie morfologicamente e filogeneticamente affine a P. filiformis, con la quale spesso convive (ma i loro areali primari sono completamente<br />

<strong>di</strong>stinti); tuttavia non sono mai stati osservati ibri<strong>di</strong>, forse anche a causa del leggero sfasamento del periodo <strong>di</strong> fioritura. Si <strong>di</strong>stingue da quest’ultima<br />

per le foglie ovate, acute all’apice e per i tepali verdastri o bianchi, raramente rosa.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Galasso, 2009; Galasso & Brusa, 2007; Galasso et al., 2006d<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Persicaria virginiana (L.) Gaertn.<br />

Nome volgare: poligono della Virginia<br />

Basionimo: Polygonum virginianum L.<br />

Sinonimi: Antenoron virginianum (L.) Roberty & Vautier<br />

Tovara virginiana (Thunb.) Raf.<br />

176 177


poligono<br />

cespitoso<br />

Tipo biologico: Tcaesp<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-80 cm, densamente cespitosa, con fusti ramificati dalla base, glabri, con rami<br />

decombenti e ascendenti, ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong> basali. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle<br />

stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 5-12 mm, ialina o bruno chiara, troncata all’apice, fimbriata; lamina a forma <strong>di</strong> rombo<br />

allungato, 2-8×1-3 cm, pagina inferiore senza ghiandole e superiore senza macchia nera, subsessile o con breve picciolo<br />

lungo fino a 0.1-0.3(-0.6) cm. Infiorescenze spiciformi, terminali e ascellari, lasse e interrotte, lunghe 1-4(-8) cm; perianzio rosa.<br />

Il frutto è un achenio trigono, lungo 1.6-2.3 mm, marrone scuro o nero, lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Margini <strong>di</strong> sentieri boschivi.<br />

Distribuzione nel territorio: Brianza (150-300 m s.l.m.). Monza e Brianza (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente verso la fine del XX secolo.<br />

Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Galasso (2007), i primi campioni raccolti in natura sono del 2006.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Data la modesta <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile.<br />

Note: Simile alle autoctone P. dubia, P. hydropiper e P. minor, si <strong>di</strong>stingue agevolmente da queste per l’assenza <strong>di</strong> ghiandole sui tepali e per essere<br />

densamente cespitosa e ramificata, con lunghi rami prostrati e ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong> basali.<br />

Bibliografia: Galasso, 2007, 2009<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Persicaria longiseta (Bruijn) Kitag.<br />

Nome volgare: poligono cespitoso<br />

Basionimo: Polygonum longisetum Bruijn<br />

Sinonimi: Persicaria blumei (Meisn. ex Miq.) H.Gross<br />

Persicaria caespitosa (Blume) Nakai<br />

var. longiseta (Bruijn) C.F.Reed<br />

Persicaria longiseta (Bruijn) Moldenke, comb. superfl.<br />

Polygonum blumei Meisn. ex Miq.<br />

Polygonum caespitosum Blume<br />

var. longisetum (Bruijn) Steward<br />

poligono<br />

del nepal<br />

Tipo biologico: Tcaesp<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-40 cm, con fusti prostrato-<strong>di</strong>ffusi e ascendenti, ramosissimi, spesso ra<strong>di</strong>canti alla<br />

base. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-10 mm,<br />

bruna o ialina, cartacea, obliqua all’apice, non fimbriata; lamina triangolare-ovata, 1.5-5×1-4 cm, punteggiata <strong>di</strong> ghiandole<br />

sulla pagina inferiore; foglie inferiori con picciolo lungo fino a 3 cm, alato e auricolato alla base, le superiori subsessili o<br />

abbraccianti il fusto. Infiorescenze capitate, terminali e ascellari, sottese da una brattea fogliacea; perianzio bianco, rosa o<br />

rosso. Il frutto è un achenio biconvesso, lungo 1.5-2 mm, opaco.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Asia.<br />

Habitat: Margini <strong>di</strong> sentieri freschi, greti.<br />

Distribuzione nel territorio: Prealpi occidentali (varesino, 200-300 m s.l.m.). Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato, probabilmente nel XX secolo. Segnalata per la<br />

prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Becherer (1966), che l’ha raccolta nel 1964 sulle rive del Lago <strong>di</strong> Varese; sebbene nel<br />

1972 fosse qui in regresso (Stucchi, 1972) oggi è <strong>di</strong>venuta invasiva in gran parte del varesino.<br />

Modalità d’introduzione: Probabilmente deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Forma popolamenti quasi monofitici, lunghi centinaia <strong>di</strong> metri ma soltanto ai margini dei sentieri boschivi e dei<br />

torrenti.<br />

Note: Raramente è coltivata P. microcephala (D.Don) H.Gross (= Polygonum m. D.Don), perenne, più alta e con foglie più lunghe; in commercio è<br />

<strong>di</strong>ffusa la cultivar ‘Red Dragon’ con foglie rosse. Sinora non ha mostrato tendenza ad avventiziare.<br />

Simile è anche P. capitata (Buch.-Ham. ex D.Don) H.Gross (= Polygonum c. Buch.-Ham. ex D.Don; poligono capitato). È una pianta perenne, legnosa<br />

alla base, con pagina inferiore delle foglie provvista <strong>di</strong> peli ghiandolari e con acheni trigoni, luci<strong>di</strong>; coltivata per ornamento, è naturalizzata sulla riva<br />

piemontese del Lago Maggiore ma non è stata ancora osservata in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Bibliografia: Becherer, 1966; Galasso, 2009; Stucchi, 1972<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Persicaria nepalensis (Meisn.) H.Gross<br />

Nome volgare: poligono del Nepal<br />

Basionimo: Polygonum nepalense Meisn.<br />

178 179


poligono<br />

della<br />

pennsylvania<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Persicaria pensylvanica (L.) M.Gómez<br />

Nome volgare: poligono della Pennsylvania<br />

Basionimo: Polygonum pensylvanicum L.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-200 cm, con fusto ascendente o eretto, glabro o <strong>di</strong>stalmente provvisto <strong>di</strong><br />

pubescenza appressata o peli ghiandolari. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole,<br />

tipica delle Polygonaceae) lunga 5-20 mm, brunastra, troncata all’apice, non fimbriata (o con fimbrie brevissime); lamina<br />

lanceolata, 4-17(-23)×(0.5-)1-4.8 cm, a volte con una chiazza scura a V rovesciata sulla pagina superiore e con ghiandole<br />

sull’inferiore, subsessile o con breve picciolo lungo fino a 0.1-2(-3) cm. Infiorescenze spiciformi, terminali e ascellari, dense,<br />

erette o raramente nutanti, lunghe 0.5-5 cm, con ghiandole stipitate; perianzio da bianco-verdastro a rosato. Il frutto è un<br />

achenio <strong>di</strong>scoidale, raramente trigono, lungo 2.1-3.4 mm, marrone o nero, lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Sabbia umida, ciottoli e pietrisco, sui greti.<br />

Distribuzione nel territorio: In espansione lungo il Ticino, il Po e i principali fiumi (0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Cremona<br />

(NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia (Friuli-Venezia Giulia) da Melzer (1988), in Lombar<strong>di</strong>a<br />

da Banfi & Galasso (2005); in seguito Brusa & Galasso (2006) ne hanno precisato l’areale lombardo. Le prime osservazioni<br />

regionali risalgono al 2002.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Potenzialmente.<br />

Impatto: Deprime la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi in cui si inse<strong>di</strong>a, a scapito delle specie autoctone.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Le uniche azioni proponibili rientrano nel quadro <strong>di</strong> un recupero generale degli ambienti umi<strong>di</strong>.<br />

Note: Specie allotetraploide e morfologicamente variabile, al cui interno gli autori nordamericani hanno spesso accettato 3-4 varietà, che risultano<br />

tuttavia basate su caratteri non costanti (sia fra le popolazioni sia al loro interno) e quin<strong>di</strong> sistematicamente non significative (Hinds & Freeman,<br />

2005). Può essere confusa con l’autoctona P. lapathifolia (L.) Delarbre, dalla quale si <strong>di</strong>stingue agevolmente per i fiori più gran<strong>di</strong>, le infiorescenze<br />

pressoché erette e la presenza <strong>di</strong> evidenti peli ghiandolari (col peduncolo > del <strong>di</strong>ametro della ghiandola) sulla parte superiore del fusto, sui rami<br />

dell’infiorescenza e sui pe<strong>di</strong>celli fiorali; inoltre i tepali esterni hanno nervature non prominenti e non terminanti ad ancora.<br />

In Lombar<strong>di</strong>a è stata osservata come casuale P. orientalis (L.) Spach (= Polygonum o. L.; poligono orientale), coltivata per ornamento e avventizia<br />

presso le abitazioni, che si <strong>di</strong>stingue per le foglie ovate, larghe 3-17 cm, con l’ocrea all’apice espansa in un’ala fogliacea verde. Nel limitrofo Veneto è<br />

presente anche P. bungeana (Turcz.) Nakai (= Polygonum b. Turcz.; poligono <strong>di</strong> Bunge), infestante le colture <strong>di</strong> mais, caratterizzata dal fusto provvisto<br />

<strong>di</strong> spinule ricurve (Galasso & Tomasi, 2007).<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Brusa & Galasso, 2006; Galasso, 2009; Galasso & Tomasi, 2007; Hinds & Freeman, 2005; Melzer, 1988<br />

poligono<br />

<strong>di</strong> boemia<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Reynoutria bohemica Chrtek & Chrtková, pro hybr.<br />

Nome volgare: poligono <strong>di</strong> Boemia<br />

Sinonimo: Fallopia bohemica (Chrtek & Chrtková) J.P.Bailey, pro hybr.<br />

Polygonum bohemicum (Chrtek & Chrtková) Zika & Jacobson, pro hybr.<br />

Reynoutria ×vivax auct., non J.Schmitz & Strank<br />

Fallopia japonica × sachalinensis<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta fino a 2-3(-3.5) m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea<br />

(guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-6(-10) mm, bruna, obliqua all’apice,<br />

non fimbriata; lamina ovata, (15-)20-25(-30)×12-20(-23) cm, leggermente cordata o cordato-troncata alla base e lungamente<br />

acuminata all’apice, non o solo leggermente cuspidato-caudata; nervature della pagina inferiore con peli unicellulari, corti e<br />

rigi<strong>di</strong>, ingrossati alla base; nervature terziarie e quaternarie poco visibili sulla pagina superiore; picciolo <strong>di</strong> 1-3 cm, alla base con<br />

una fossetta nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 4-12 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente<br />

unisessuali (su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi <strong>di</strong> fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianchi<br />

o bianco-verdastri, i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più<br />

brevi e ridotti a stamino<strong>di</strong> (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone scuro, trigono, lungo 2.6-3.2 mm, liscio e lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Sconosciuta, probabilmente orticola (in Europa).<br />

Habitat: Fiumi, margini, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Lombar<strong>di</strong>a occidentale, nelle fasce planiziale e collinare (50-600 m s.l.m.). Monza e Brianza<br />

(INV), <strong>Milano</strong> (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta od originatasi in Europa a fine Ottocento: esiste un campione raccolto in<br />

Inghilterra nel 1872 (Bailey & Conolly, 2000). In Italia è naturalizzata forse già dal 1933, anche se i primi campioni d’erbario visti<br />

sono del 1977; i primi campioni lombar<strong>di</strong> sono del 2006 (Vaccaneo 1933, Padula et al., 2008). Segnalata per la prima volta in<br />

Italia (e in Lombar<strong>di</strong>a) da Garibol<strong>di</strong> et al., (2007) e Padula et al. (2008).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: I popolamenti densi che forma costituiscono ovunque una minaccia per le flore e le vegetazioni in<strong>di</strong>gene,<br />

causando una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio,<br />

contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: È specie <strong>di</strong>fficile da eliminare, in quanto ogni pianta produce rizomi in un raggio <strong>di</strong> 7 m e fino a<br />

una profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 3 m. Bisogna cercare innanzitutto <strong>di</strong> non <strong>di</strong>ffondere i rizomi: piccoli frammenti possono dare vita a nuovi<br />

in<strong>di</strong>vidui. Tutte le parti della pianta devono essere incenerite, in nessun caso compostate. Secondo quanto riportato sul sito<br />

svizzero CPS (http://www.cps-skew.ch/), le strategie per impe<strong>di</strong>re l’espansione dei poligoni comprendono la lotta meccanica<br />

(con tagli mensili per almeno 5 anni consecutivi che indeboliscano i rizomi), il pascolo caprino e ovino, la lotta chimica.<br />

Note: Il genere Reynoutria è estremamente variabile per morfologia e numero cromosomico, originando così una confusione tassonomica e<br />

una <strong>di</strong>fficoltà nel determinare i limiti tra le specie; inoltre l’ibridazione infraspecifica è relativamente comune. Il carattere <strong>di</strong>acritico principale<br />

per il riconoscimento delle specie è quello relativo alla forma delle lamine delle foglie me<strong>di</strong>ane del fusto, che purtroppo solo raramente sono<br />

raccolte e conservate negli erbari. Inoltre può essere presa in considerazione la pelosità della pagina inferiore, mentre quella della superiore e<br />

dei margini non è <strong>di</strong>agnostica. I peli possono essere osservati agevolmente fin verso metà settembre, soprattutto lungo le nervature della metà<br />

inferiore della lamina; in seguito tendono a cadere. Tuttavia, in alcuni casi (probabilmente nelle aree meno piovose o maggiormente soleggiate)<br />

questa caduta è molto precoce, realizzandosi già all’inizio <strong>di</strong> agosto. Questa entità è generalmente considerata un ibrido. In effetti deriva da R.<br />

japonica × sachalinensis e si riproduce prevalentemente per via vegetativa (fusti e rizomi) essendo per lo più sterile; tuttavia ha ormai raggiunto<br />

un comportamento autonomo completamente svincolato dalle specie parentali e maggiormente invadente <strong>di</strong> esse nelle comunità naturali,<br />

mostrando quin<strong>di</strong> le caratteristiche <strong>di</strong> una vera e propria specie.<br />

Bibliografia: Bailey, 2008; Bailey & Conolly, 2000; Barney et al., 2006; Beerling et al., 1994; Garibol<strong>di</strong> et al., 2007; Padula et al., 2008; Vaccaneo, 1933<br />

180 181


poligono<br />

del giappone<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Reynoutria japonica Houtt.<br />

Nome volgare: poligono del Giappone<br />

Sinonimi: Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr.<br />

Polygonum cuspidatum Siebold. & Zucc.<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta 0.7-2(-2.5) m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea<br />

(guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 4-6(-10) mm, bruna, obliqua all’apice, non<br />

fimbriata; lamina ovata, 7-17(-18)×8-12 cm, troncata alla base, evidentemente cuspidato-caudata e lungamente acuminata<br />

all’apice; nervature della pagina inferiore glabre, minutamente scabre per la presenza <strong>di</strong> protuberanze tanto larghe quanto<br />

lunghe; nervature terziarie e quaternarie poco visibili sulla pagina superiore; picciolo <strong>di</strong> 1-3 cm, alla base con una fossetta<br />

nettarifera sul lato esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 4-12 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali<br />

(su una stessa pianta possono essere presenti entrambi i tipi <strong>di</strong> fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianchi o biancoverdastri,<br />

i 3 esterni leggermente alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e<br />

ridotti a stamino<strong>di</strong> (in quelli femminili). Il frutto è un achenio marrone scuro, trigono, lungo 2.3-3.6 mm, liscio e lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Fiumi, margini, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la Lombar<strong>di</strong>a, dalla pianura sino alla fascia montana (0-1˙200 m s.l.m.). Bergamo<br />

(INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT),<br />

Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa (Gran Bretagna) nel 1825 (Bailey & Conolly, 2000); in Italia coltivata<br />

nel 1858 all’Orto botanico <strong>di</strong> Padova e naturalizzata a Torino in Piemonte nel 1891 (Vaccaneo, 1933). In Lombar<strong>di</strong>a è coltivata<br />

almeno dal 1921 e conosciuta in natura almeno dal 1932 (Padula et al., 2008); segnalata per la prima volta da Stucchi (1949b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Il poligono del Giappone è inscritto nella lista delle 100 specie esotiche più invasive e più dannose del mondo (lista<br />

dell’IUCN, Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). I popolamenti densi che forma costituiscono ovunque<br />

una minaccia per le flore e le vegetazioni in<strong>di</strong>gene, causando una per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità. È specie inclusa nella lista nera delle<br />

specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: È specie <strong>di</strong>fficile da eliminare, in quanto ogni pianta produce rizomi in un raggio <strong>di</strong> 7 m e fino a<br />

una profon<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> 3 m. Bisogna cercare innanzitutto <strong>di</strong> non <strong>di</strong>ffondere i rizomi: piccoli frammenti possono dare vita a nuovi<br />

in<strong>di</strong>vidui. Tutte le parti della pianta devono essere incenerite, in nessun caso compostate. Secondo quanto riportato sul sito<br />

svizzero CPS (http://www.cps-skew.ch/), le strategie per impe<strong>di</strong>re l’espansione dei poligoni comprendono la lotta meccanica<br />

(con tagli mensili per almeno 5 anni consecutivi che indeboliscano i rizomi), il pascolo caprino e ovino, la lotta chimica.<br />

Note: Si confonde facilmente anche con le altre specie del genere Reynoutria, dalle quali si <strong>di</strong>stingue per i caratteri delle foglie me<strong>di</strong>ane del<br />

fusto (ve<strong>di</strong> la nota a R. bohemica). Specie fortemente vigorosa e produttiva, tollera la presenza <strong>di</strong> metalli pesanti nel suolo e alte concentrazioni<br />

atmosferiche <strong>di</strong> SO2; i suoi tessuti sono straor<strong>di</strong>nariamente ricchi <strong>di</strong> resveratrolo, una fitoalessina dotata <strong>di</strong> potente attività antiossidante,<br />

antitumorale e car<strong>di</strong>oprotettiva, contenuta in quantità 400 volte superiori a quelle dell’uva e dei sui derivati. Raramente si coltiva R. compacta<br />

(Hook.f.) Nakai (= Polygonum c. Hook.f., = Fallopia japonica (Houtt.) Ronse Decr. var. c. (Hook.f.) J.P.Bailey, = Reynoutria japonica Houtt. var. c. (Hook.f.)<br />

Moldenke, = Reynoutria japonica Houtt. var. c. (Hook.f.) Buchheim, comb. superfl.; poligono compatto), più piccola (alta 0.5-1.3 m), con lamine<br />

fogliari minori e tondeggianti (5-7×5-7 cm), troncate o leggermente cuneate alla base, fiori femminili rossastri e fiori maschili generalmente<br />

biancastri; è stata osservata casuale nel varesino (Padula et al., 2008).<br />

poligono<br />

<strong>di</strong> sakhalin<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, rizomatosa, alta fino oltre 4 m, con fusti eretti e ramificati. Foglie alterne con ocrea<br />

(guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae) lunga 6-12 mm, bruna, obliqua all’apice, non<br />

fimbriata; lamina da strettamente ovata a ellittico-oblunga, 25-35(-40)×(10-)20-25 cm, profondamente cordata alla base<br />

e assottigliata in un apice smussato o brevemente acuto; pagina superiore verde-grigiastro; pagina inferiore verde pallido,<br />

con peli pluricellulari flessuosi lunghi fino a 1 mm, soprattutto lungo le nervature; queste ultime spesso arrossate, quelle<br />

terziarie e quaternarie ben visibili sulla pagina superiore; picciolo <strong>di</strong> 1-4 cm, alla base con una fossetta nettarifera sul lato<br />

esterno. Infiorescenze panicoliformi, lunghe 3-8 cm, ascellari e terminali; fiori funzionalmente unisessuali (su una stessa pianta<br />

possono essere presenti entrambi i tipi <strong>di</strong> fiori o soltanto quelli femminili); tepali 5, bianco-verdastri, i 3 esterni leggermente<br />

alati e accrescenti nel frutto; stami 8, sporgenti dai tepali (nei fiori maschili) o più brevi e ridotti a stamino<strong>di</strong> (in quelli femminili).<br />

Il frutto è un achenio marrone, trigono, lungo 2.8-4.5 mm, liscio e lucido.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Isola <strong>di</strong> Sakhalin, Giappone, Corea).<br />

Habitat: Margini boschivi, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Prealpi occidentali (province <strong>di</strong> Varese e Como). Como (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa al Giar<strong>di</strong>no botanico <strong>di</strong> San Pietroburgo in tre volte successive, nel 1855,<br />

nel 1861 e nel 1864 (Bailey & Conolly, 2000). In Italia raccolta nel 1897 a Castel <strong>di</strong> Guido in comune <strong>di</strong> Roma (presumibilmente<br />

coltivata, Padula et al., 2008) e nel 1903 a Gries in comune <strong>di</strong> Bolzano (in natura, Padula et al., 2008), sicuramente naturalizzata<br />

almeno dal 1969 in Toscana (Campolmi & Lanza, 1990). Segnalata per la prima volta in Italia da Abbà (1983), in Lombar<strong>di</strong>a da<br />

Padula et al. (2008), dove è presente da prima del 2006.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Potenzialmente.<br />

Impatto: Sinora in Italia non si è ancora mostrata invasiva; è comunque inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali<br />

oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Si confonde facilmente con le altre specie del genere Reynoutria, dalle quali si <strong>di</strong>stingue per i caratteri delle foglie me<strong>di</strong>ane del fusto (ve<strong>di</strong><br />

la nota a Reynoutria bohemica).<br />

La segnalazione <strong>di</strong> Macchi per il varesino (2005) corrisponde a R. bohemica (Padula et al., 2008).<br />

Bibliografia: Abbà, 1983; Bailey & Conolly, 2000; Campolmi & Lanza, 1990; Macchi, 2005; Padula et al., 2008<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Reynoutria sachalinensis (F.Schmidt)<br />

Nakai<br />

Nome volgare: poligono <strong>di</strong> Sakhalin, poligono gigante<br />

Basionimo: Polygonum sachalinense F.Schimdt<br />

Sinonimo: Fallopia sachalinensis (F.Schmidt) Ronse Decr.<br />

Polygonum ×vivax J.Schmitz & Strank, nom. inval.<br />

Reynoutria ×vivax J.Schmitz & Strank, nom. inval.<br />

Bibliografia: Bailey, 2008; Bailey & Conolly, 2000; Barney et al., , 2006; Beerling et al., 1994; Frattini, 1988; Padula et al., 2008; Stucchi, 1949b;<br />

Vaccaneo, 1933<br />

182 183


poligono<br />

dell’<br />

himalaya<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Erba perenne, rizomatosa, a volte suffruticosa, alta 70-120(-250) cm. Fusto eretto, robusto, ± ramificato, spesso<br />

marrone-rossastro. Foglie alterne con ocrea (guaina tubolare derivata dalla fusione delle stipole, tipica delle Polygonaceae)<br />

lunga 1-4 cm, bruno-rossastra, membranosa, obliqua all’apice, facilmente lacerabile, non fimbriata; lamina lanceolata,<br />

(7.5-)9-22(-27)×2.8-7.8 cm, auricolata o subcordata alla base, ± ondulata e ciliolata al margine; picciolo <strong>di</strong> 3-20(-35) mm.<br />

Infiorescenze panicolate, ampie, lunghe 4-11 cm, terminali e ascellari, fogliose alla base; tepali 5, gli esterni (2) oblunghi, gli<br />

interni (3) obovati, bianchi o rosa; stigmi (pianta eterostila) con stili evidenti (0.4-1.6 mm). Il frutto è un achenio trigono, lungo<br />

2.1-2.5 mm, marrone, opaco.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-ottobre.<br />

Area d’origine: Himalaya.<br />

Habitat: Margini boschivi e radure.<br />

Distribuzione nel territorio: Coltivata per ornamento e naturalizzata nel varesino. L’unica stazione lombarda sinora<br />

conosciuta è a Ostino (Montegrino Valtravaglia -VA-) a circa 500 m s.l.m. Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Gran Bretagna dal principio del XX secolo (Conolly, 1977). In Italia, coltivata in<br />

Piemonte almeno dal 1964 e qui naturalizzata almeno dal 1983; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Galasso et al. (2006c).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Trascurabile. Nel limitrofo Piemonte (sempre nella zona del Verbano), dove è naturalizzata almeno dal 1983, non<br />

mostra tendenza ad espandersi.<br />

Bibliografia: Abbà, 1990; Conolly, 1977; Galasso, 2009; Galasso et al., 2006c<br />

Famiglia: Polygonaceae<br />

Nome scientifico: Rubrivena polystachya (Wall. ex Meisn.) M.Král<br />

Nome volgare: poligono dell’Himalaya<br />

Basionimo: Polygonum polystachyum Wall. ex Meisn.<br />

Sinonimo: Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.)<br />

Haraldson, comb. superfl.<br />

Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) M.Král, comb. superfl.<br />

Aconogonum polystachyum (Wall. ex Meisn.) Small<br />

Persicaria polystachya (Wall. ex Meisn.) H.Gross, non Opiz, nom. illeg.<br />

Persicaria wallichii Greuter & Burdet<br />

amaranto<br />

bianco<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus albus L.<br />

Nome volgare: amaranto bianco<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-100 cm, con fusto da eretto a prostrato, ramosissimo, bianco-gialliccio, glabro,<br />

subglabro o viscido-pubescente. Foglie obovate o strettamente spatolate, prevalentemente 0.5-1.5×0.5 cm (le prime lunghe<br />

sino a 8 cm), all’apice ottuse e con un breve mucrone subspinescente bianchiccio o giallastro, con margine intero e piano o<br />

increspato; picciolo lungo la metà della lamina o maggiore nelle foglie basali. Pianta monoica con fiori unisessuali in glomeruli<br />

ascellari ver<strong>di</strong>, verde-biancastri o giallastri. Fiori femminili con brattee subulate o lineari-lanceolate, spinescenti, lunghe il<br />

doppio del perianzio, 2-3 mm; tepali 3, tra loro leggermente <strong>di</strong>seguali, strettamente ovati o lineari, lunghi 1-1.5 mm, acuti<br />

all’apice. Frutto a capsula deiscente (pissi<strong>di</strong>o), ovato-ellittico, 1.5 mm, eguagliante o eccedente i tepali, liscio alla base e rugoso<br />

all’apice.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Abitati, stazioni calpestate, massicciate ferroviarie, colture estive su suoli ari<strong>di</strong>.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong><br />

(NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788,<br />

1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1916 a <strong>Milano</strong> (Cobau, 1916).<br />

Modalità d’introduzione: Acclimatazione sperimentale in orti botanici e successiva <strong>di</strong>ffusione accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Minimale.<br />

Bibliografia: Cobau, 1916; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Mosyakin & Robertson, 2003; Scopoli, 1785<br />

184 185


amaranto<br />

blitoide<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus blitoides S.Watson<br />

Nome volgare: amaranto blitoide<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale alta, 20-60(-100) cm, con fusti prostrati o ascendenti, molto ramificati, glabri. Foglie<br />

obovate, ellittiche o spatolate, 1-2(-4)×0.5-1(-1.5) cm, all’apice ottuse o arrotondate e con un breve mucrone, con margine<br />

intero e piano o, raramente, leggermente ondulato, con evidente nervatura marginale bianchiccia; picciolo lungo la metà<br />

della lamina. Pianta monoica con fiori unisessuali in glomeruli ascellari ver<strong>di</strong>. Fiori femminili con brattee strette, lunghe circa<br />

± come il perianzio o leggermente maggiori, 1.5-5 mm; tepali (3-)4-5, tra loro <strong>di</strong>seguali o subeguali, da strettamente ovati a<br />

largamente lineari, lunghi 1.5-3 mm, acuti o acuminati all’apice. Frutto a capsula deiscente (pissi<strong>di</strong>o), largamente ovato, 1.7-2.5<br />

mm, eguagliante i tepali, prevalentemente liscio (leggermente verrucoso o rugoso nelle piante secche).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica centrale e orientale.<br />

Habitat: Abitati, stazioni calpestate, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dalla fine dell’Ottocento: segnalata per la prima volta da Zodda (1954)<br />

a Roseto degli Abruzzi (TE), ma già raccolta nel 1889 a Genova (Anzalone, 1956). In Lombar<strong>di</strong>a osservata per la prima volta nel<br />

1979 nel pavese da Soldano (1980a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Contenuto.<br />

Bibliografia: Anzalone, 1956; Berselli et al., 2002; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Crescini & Tagliaferri, 1994b; Giordana,<br />

1995; Mosyakin & Robertson, 2003; Persico, 1998; Soldano, 1980a; Zodda, 1954<br />

amaranto<br />

prostrato<br />

Tipo biologico: Hscap, Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea pluriennale o annuale, generalmente alta 20-50 cm, con fusto ascendente o prostrato,<br />

ramosissimo, pubescente nella parte superiore, glabrescente a maturità. Foglie ovato-rombiche, ovate o lanceolate, 1-2×0.5-<br />

1 cm, all’apice subacute, ottuse, retuse o leggermente smarginate, mucrunolate, con margine intero e piano o leggermente<br />

ondulato; picciolo lungo la metà della lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali <strong>di</strong>sposti in infiorescenze<br />

piramidali terminali ai rami o anche in glomeruli ascellari, ver<strong>di</strong>, verde-argento o rossastri. Fiori femminili con brattee lineari,<br />

lunghe la metà del perianzio, 0.5-1 mm; tepali 2-3, tra loro uguali o subeguali, strettamente ellittici od oblanceolati, lunghi<br />

1.2-2 mm, largamente acuti all’apice. Frutto a otricello indeiscente, con 2(-3) linee ver<strong>di</strong> evidenti che, passando per l’apice,<br />

lo <strong>di</strong>vidono in due metà o in più spicchi, ellissoidale, 2-3 mm, <strong>di</strong>stintamente più lungo dei tepali, liscio (ondulato o rugoso<br />

nelle piante secche).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Lungo i muri, i marciapie<strong>di</strong>, le massicciate ferroviarie, negli orti ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Cesati (1838); Soldano (1994) riporta dati<br />

ine<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> Cesati del 1830-1840, anni nei quali era già naturalizzata.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No, in quanto competitiva soltanto nelle cenosi erbacee a elevato degrado antropico.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Bibliografia: Cesati, 1838; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Soldano, 1994<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus deflexus L.<br />

Nome volgare: amaranto prostrato<br />

Sinonimo: Albersia deflexa (L.) Fourr.<br />

Albersia prostrata Kunth<br />

Euxolus deflexus (L.) Raf.<br />

Glomeraria deflexa (L.) Cav.<br />

186 187


amaranto<br />

dei campi<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale alta, 30-200(-250) cm, con fusto eretto, verde o raramente rosso-porpora, semplice o<br />

ramoso, glabro o subglabro, a volte in alto leggermente pubescente da giovane. Foglie ovate, ovato-rombiche o lanceolate,<br />

(2-)4-15×(1-)2-6 cm, all’apice acute od ottuse, mucronate, con margine intero; picciolo lungo la metà della lamina o quanto<br />

essa. Pianta monoica con fiori unisessuali <strong>di</strong>sposti in infiorescenze terminali ai rami e ascellari, ver<strong>di</strong>, a volte con sfumature<br />

argentee o porporine, generalmente lasse e con rami <strong>di</strong>varicati e flessuosi. Fiori femminili con brattee da lanceolato-lineari a<br />

subulate, lunghe 1.2-2 volte il perianzio, 2.5-4(-6) mm, spinescenti all’apice; tepali 5, tra loro subeguali o <strong>di</strong>seguali, lanceolati<br />

o lanceolato-lineari, lunghi 1.5-3 mm, acuti o acuminati all’apice, gradualmente ristretti in una punta aristata. Frutto a capsula<br />

deiscente (pissi<strong>di</strong>o), obovato od ovato-allungato, 1.5-2.5 mm, più breve dei tepali, liscio alla base e verrucoso o rugoso<br />

nell’opercolo.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale, Mesoamerica.<br />

Habitat: Ruderi, incolti, greti fluviali e infestante le colture.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (INV), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Italia in periodo imprecisabile, a causa della confusione con le specie simili.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Diserbo nei coltivi.<br />

Note: Il gruppo <strong>di</strong> Amaranthus hybridus comprende <strong>di</strong>verse specie spontanee molto simili tra loro, dalle quali sono derivate <strong>di</strong>verse entità coltivate per<br />

la granella o come ornamentali. Oltre ad A. retroflexus, le entità spontanee sono A. hybridus, A. powellii (incl. A. bouchonii) e A. quitensis Kunth (assente<br />

in Italia), mentre quelle domesticate (tutte con brattee brevi) sono A. caudatus, A. cruentus e A. hypochondriacus, i cui rapporti filogenetici sono stati<br />

messi in luce da Xu & Sun (2001). Le segnalazioni relative alle specie cultigene sono in genere da riferirsi esclusivamente ad avventiziati effimeri,<br />

se non (in particolare per A. cruentus) a errori <strong>di</strong> determinazione (Costea et al., 2001; Mosyakin & Robertson, 2003) e/o <strong>di</strong> applicazione dei nomi. In<br />

particolare si ricorda che all’interno <strong>di</strong> A. hybridus vi è una variabilità continua, priva <strong>di</strong> valore sistematico, tra forme con brattee lunghe il doppio dei<br />

tepali e infiorescenze dense e ramificate (A. hybridus s.s.) e altre con brattee lunghe 1-1.5 volte i tepali e infiorescenze più lasse e meno ramificate<br />

(chiamate A patulus); al contrario, il vero A. cruentus è caratterizzato da un’infiorescenza molto densa e riccamente ramificata, spesso vivacemente<br />

colorata, da brattee strettamente spatolate, lunghe 2-3 mm, cioè quanto il perianzio o poco più, e da semi generalmente chiari (scuri in A. hybridus).<br />

Per la determinazione delle specie è utile la chiave della flora del Nordamerica (Mosyakin & Robertson, 2003).<br />

Bibliografia: Costea et al., 2001; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003; Xu & Sun, 2001<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus hybridus L.<br />

Nome volgare: amaranto dei campi<br />

Sinonimo: Amaranthus chlorostachys Willd.<br />

Amaranthus cruentus auct., non L.<br />

Amaranthus patulus Bertol.<br />

amaranto<br />

<strong>di</strong> powell<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus powellii S.Watson<br />

Nome volgare: amaranto <strong>di</strong> Powell<br />

Sinonimo: Amaranthus bouchonii Thell.<br />

Amaranthus chlorostachys auct., non Willd.<br />

Amarantus chlorostachys Willd. var. powellii (S.Watson) Priszter<br />

Amaranthus hybridus auct., non L.<br />

Amaranthus hypochondriacus auct., non L.<br />

Amarantus hybridus L. subsp. bouchonii (Thell.) O.Bolòs & Vigo<br />

Amarantus hybridus L. subsp. powellii (S.Watson) Karlsson<br />

Amarantus hybridus L. var. bouchonii (Thell.) Lambinon<br />

Amarantus hypochondriacus L. var. powellii (S.Watson) Pedersen<br />

Amarantus powellii S.Watson subsp. bouchonii (Thell.) Costea & Carretero<br />

Amarantus retroflexus L. var. powellii (S.Watson) B.Boivin<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-150(-200) cm, con fusto eretto, verde o raramente rosso-porpora, quasi<br />

semplice o ramoso, soprattutto in alto, da glabro a moderatamente pubescente verso l’apice, glabrescente a maturità. Foglie<br />

ovato-rombiche o largamente lanceolate, 4-8×2-3 cm, occasionalmente maggiori in piante robuste, all’apice cuneate, ottuse<br />

o subsmarginate, mucronate, con margine intero; picciolo generalmente lungo quanto la lamina o maggiore. Pianta monoica<br />

con fiori unisessuali <strong>di</strong>sposti in infiorescenze terminali ai rami (prevalentemente) e ascellari, ver<strong>di</strong> o verde-argento, a volte con<br />

sfumature rossastre, generalmente dense e con rami eretti e rigi<strong>di</strong>. Fiori femminili con brattee da lanceolato a subulato-lineari,<br />

lunghe 2-3(-4) volte il perianzio, 4.5-6(-8) mm, rigide; tepali 3-5, tra loro <strong>di</strong>seguali, gli esterni strettamente ovato-ellittici o<br />

ellittici, lunghi 1.5-3.5 mm, aristati. Il frutto è un pissi<strong>di</strong>o a deiscenza ritardata (A. powellii s.s.) o un otricello indeiscente (nelle<br />

forme chiamate A. bouchonii), subgloboso od ovato-compresso, 2-3 mm, eguagliante i tepali o più breve, liscio o leggermente<br />

verrucoso o rugoso nell’opercolo.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudoccidentale e limitrofo Messico.<br />

Habitat: Ruderi, macerie, greti fluviali e infestante le colture.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Diserbo nei coltivi.<br />

Note: Le popolazioni attribuite al taxon A. bouchonii sarebbero il semplice risultato <strong>di</strong> una mutazione monoallelica (pissi<strong>di</strong>ootricello)<br />

<strong>di</strong> A. powellii, per altro priva <strong>di</strong> valore sistematico (cfr. Carretero, 1990; Wilkin, 1992; Aellen & Akeroyd, 1993; Mosyakin & Robertson, 2003).<br />

Si veda inoltre la nota ad A. hybridus.<br />

Bibliografia: Aellen & Akeroyd, 1993; Aeschimann et al., 2004; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Carretero, 1990; Costea et al., 2001; Costea & Tar<strong>di</strong>f,<br />

2003; Giordana, 1995; Mosyakin & Robertson, 2003; Soldano, 1980a; Wilkin, 1992; Zanotti, 1990<br />

188 189


amaranto<br />

comune<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-150(-200) cm, con fusto eretto, rossastro alla base, semplice o ramoso<br />

superiormente, da densamente a moderatamente pubescente. Foglie ovate od ovato-rombiche, 2-15×1-7 cm, all’apice<br />

acute, ottuse o subsmarginate, mucronate, con margine intero, piano o leggermente ondulato; picciolo lungo la metà della<br />

lamina o quanto essa. Pianta monoica con fiori unisessuali <strong>di</strong>sposti in infiorescenze terminali ai rami e ascellari, ver<strong>di</strong> o verdeargento,<br />

a volte con sfumature rossastre o giallastre, erette o riflesse, generalmente brevi e dense. Fiori femminili con brattee<br />

da lanceolate a subulate, maggiori del perianzio, (2.5-)3.5-5(-6) mm, acuminate all’apice e con nervo me<strong>di</strong>ano sporgente;<br />

tepali 5, tra loro subeguali o <strong>di</strong>seguali, spatolato-obovati o lanceolato-spatolati, lunghi (2-)2.5-3.5(-4) mm, smarginati od<br />

ottusi all’apice, mucronati. Frutto a capsula deiscente (pissi<strong>di</strong>o), largamente obovato o largamente ellittico, 1.5-2.5 mm, più<br />

breve dei tepali o subeguale, liscio o leggermente rugoso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale e centrale.<br />

Habitat: Ruderi e macerie, infestante le colture estive, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal 1532 per un campione dell’Erbario Cibo conservato a Roma; si tratta<br />

della prima segnalazione <strong>di</strong> una specie neofita <strong>di</strong>ffusasi spontaneamente in Italia (Celesti-Grapow et al., 2009b). La prima<br />

segnalazione per la Lombar<strong>di</strong>a è probabilmente quella <strong>di</strong> Nocca & Balbis (1821).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce; inoltre è una temibile infestante delle colture estive.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Diserbo nei coltivi.<br />

Note: Si veda la nota ad A. hybridus.<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus retroflexus L.<br />

Nome volgare: amaranto comune, amaranto ripiegato<br />

Bibliografia: Costea et al., 2001; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Celesti-Grapow et al., 2009b; Mosyakin & Robertson, 2003; Nocca & Balbis, 1821<br />

amaranto<br />

tubercolato<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus tuberculatus (Moq.)<br />

J.D.Sauer<br />

Nome volgare: amaranto tubercolato<br />

Basionimo: Acnida tuberculata Moq.<br />

Sinonimo: Amaranthus ru<strong>di</strong>s J.D.Sauer<br />

Amaranthus tamariscunus auct., non Nutt.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta (10-)100-200(-300) cm, con fusto eretto, verde o rossastro, ramificato. raramente<br />

semplice. Foglie ovate od obovate, oblunghe o ellittiche fino a strettamente lanceolate verso l’apice, 1.5-15×0.5-3 cm,<br />

all’apice ottuse, arrotondate o acute, con margine intero e piano; picciolo lungo da un quarto a metà della lamina. Pianta<br />

<strong>di</strong>oica con fiori unisessuali <strong>di</strong>sposti in infiorescenze terminali ai rami, spiciformi-lineari o panicoliformi, raramente interrotte o<br />

globose. Fiori femminili con brattee lunghe 1-2 mm; tepali assenti (A. tuberculatus s.s.) o 1-2 (nelle forme chiamate A. ru<strong>di</strong>s),<br />

spesso ru<strong>di</strong>mentali, lunghi 1-3 mm. Fiori maschili con brattee lunghe 1-2 mm; tepali 5, tra loro eguali o <strong>di</strong>seguali, gli interni<br />

con nervo me<strong>di</strong>ano prominente o non prominente, a volte formante una spina rigida, lunghi 2-3 mm, ottusi, acuti, acuminati<br />

o leggermente mucrunolati all’apice. Frutto a otricello indeiscente (A. tuberculatus s.s.) o a pissi<strong>di</strong>o deiscente (nelle forme<br />

chiamate A. ru<strong>di</strong>s), obovato o subgloboso, da marrone scuro a marrone rossastro, 1.5-2 mm, quasi liscio o irregolarmente<br />

rugoso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica centrale.<br />

Habitat: Greti fluviali, infestante le colture.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale, soprattutto lungo il Po. Brescia (INV), Cremona (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Mantova (INV),<br />

Pavia (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia nel pavese da Soldano (1982), che l’ha osservata<br />

almeno dal 1975.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Minaccia la bio<strong>di</strong>versità delle comunità in cui si stabilisce, con coperture pari al 100% lungo il greto del Po.<br />

L’abbondantissimo polline prodotto in fioritura potrebbe essere allergenico.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo nei coltivi.<br />

Note: Amaranthus ru<strong>di</strong>s (= A. tamariscinus auct.) è stato <strong>di</strong>stinto da A. tuberculatus per la presenza <strong>di</strong> almeno un segmento perianziale nei fiori<br />

femminili e per i frutti deiscenti. Un recente lavoro <strong>di</strong> Pratt & Clark (2001) mostra come questi caratteri non siano costanti e riduce in sinonimia<br />

le due specie, analogamente alla successiva trattazione della Flora del Nord America (Mosyakin & Robertson, 2003). Probabilmente si tratta del<br />

semplice risultato <strong>di</strong> una mutazione monoallelica o pauciallelica (pissi<strong>di</strong>o ›› otricello; 0 tepali ›› 1-2 tepali), analoga a quella avvenuta in A. powellii<br />

(ve<strong>di</strong> nota).<br />

Si ricorda inoltre che il nome A. tamariscinus, sebbene prioritario, non può essere utilizzato poiché il suo tipo non corrisponde a questa specie, bensì<br />

a un ibrido sterile, probabilmente tra A. tuberculatus e un’altra specie non identificata (Sauer, 1972; Pratt & Clark, 2001).<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Mosyakin & Robertson, 2003; Pratt & Clark, 2001; Sauer, 1972; Soldano, 1982; Zanotti, 1990<br />

190 191


amaranto<br />

verde<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale (pluriennale nelle aree tropicali e subtropicali), generalmente alta 20-100 cm, con fusto<br />

eretto, semplice o ramificato, glabro. Foglie ovato-rombiche od ovate, 1-7×0.5-5 cm, all’apice ottuse, arrotondate o smarginate,<br />

mucronate, con margine intero e piano; picciolo lungo da metà della lamina sino a una volta e mezzo. Pianta monoica con<br />

fiori unisessuali <strong>di</strong>sposti in infiorescenze panicolate terminali ai rami, composte da spighe sottili, ver<strong>di</strong>. Fiori femminili con<br />

brattee ovate o lanceolate, più brevi del perianzio, 1 mm; tepali 3, tra loro subeguali, strettamente ellittici, obovato-ellittici o<br />

spatolati, lunghi 1.2-1.7 mm, arrotondati o subacuti all’apice, a volte mucronati. Frutto a otricello indeiscente, ovato od ovatocompresso,<br />

1-1.6 mm, lungo quanto i tepali o poco maggiore, ± rugoso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Aree urbane e ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale occidentale. Bergamo (CAS), Cremona (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (1998) per la città <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Costea & Tar<strong>di</strong>f, 2003; Mosyakin & Robertson, 2003<br />

Famiglia: Amaranthaceae<br />

Nome scientifico: Amaranthus viri<strong>di</strong>s L.<br />

Nome volgare: amaranto verde<br />

Sinonimo: Albersia caudata (Jacq.) Boiss.<br />

Amaranthus gracilis Desf. ex Poir.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um caudatum Jacq.<br />

Euxolus caudatus (Jacq.) Moq.<br />

Euxolus viri<strong>di</strong>s (L.) Moq. Glomeraria viri<strong>di</strong>s (L.) Cav.<br />

Pyxi<strong>di</strong>um viride (L.) Moq.<br />

erba-cimice<br />

<strong>di</strong> marshall<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-40 cm, densamente pubescente, poi glabra; fusto eretto, con rami lunghi<br />

alla base. Foglie strettamente lanceolate o lineari, lunghe 2-3 cm. Spighe fogliose alla base, <strong>di</strong> norma brevi e dense, talora<br />

allungate e interrotte in gruppetti densi <strong>di</strong> fiori; fiori isolati all’ascella delle brattee; segmenti del perianzio 0-2; stami 1-5; ovario<br />

supero con 2 stigmi. Frutto ad achenio fortemente compresso, ovato-subrotondo, <strong>di</strong> 4-5×3-4 mm, più largo ma più breve<br />

della corrispondente brattea, dotato <strong>di</strong> un’ala marginale larga 1/3-1/2 dell’achenio stesso, membranosa, eroso-smarginata,<br />

cordata alla base.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Regione pontica (Mar Nero settentrionale).<br />

Habitat: Greti fluviali sabbiosi.<br />

Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po. Brescia (CAS), Cremona (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in Italia dal principio del XIX secolo; per la Lombar<strong>di</strong>a riportata da Bertoloni<br />

(1833) in base a campioni provenienti dal corso del Po nelle province <strong>di</strong> Pavia e Mantova.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, attraverso gli spostamenti umani del passato.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Compromette, peggiorandola, la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi <strong>di</strong> greto, a danno della componente autoctona.<br />

Bibliografia: Bertoloni, 1833<br />

Famiglia: Chenopo<strong>di</strong>aceae<br />

Nome scientifico: Corispermum marschallii Steven<br />

Nome volgare: erba-cimice <strong>di</strong> Marshall<br />

Sinonimo: Corispermum volgicum Klokov<br />

192 193


cicloloma<br />

comune<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale con habitus emisferico, alta fino a 80 cm; fusto eretto o ascendente, pubescente e<br />

abbondantemente ramoso. Foglie alterne, lanceolate, lunghe 3-6 cm, sinuato-dentate, caduche alla maturazione dei frutti.<br />

Pannocchia sparsamente fogliosa; stami 5; ovario supero a 2 stigmi; perianzio fruttifero con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 2 mm, a 5 lobi segnati<br />

esternamente da un’ala trasversale che circonda interamente il frutto ed è larga 0.5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Greti fluviali sabbiosi.<br />

Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Po. Brescia (CAS), Cremona (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (CAS),<br />

Mantova (INV), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Italia da Cesati et al. (1874) lungo il Po, senza precisazione <strong>di</strong><br />

località e Regione; Cavara (1894) la definisce comune nel pavese.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, per contaminazione <strong>di</strong> semi.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Con<strong>di</strong>ziona, peggiorandola, la bio<strong>di</strong>versità della vegetazione <strong>di</strong> greto a danno della componente autoctona.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Le uniche azioni proponibili rientrano nel quadro <strong>di</strong> un recupero generale degli ambienti umi<strong>di</strong>.<br />

Bibliografia: Cavara, 1894; Cesati et al., 1874<br />

Famiglia: Chenopo<strong>di</strong>aceae<br />

Nome scientifico: Cycloloma atriplicifolium (Spreng.) J.M.Coult.<br />

Nome volgare: cicloloma comune, spinacetto americano<br />

Basionimo: Salsola atriplicifolia Spreng.<br />

Sinonimo: Chenopo<strong>di</strong>um atriplicifolium (Spreng.)<br />

A.Ludw. ex Asch. & Graebn.<br />

Cycloloma platyphyllum (Michx.) Moq.<br />

Kochia atriplicifolia (Spreng.) Roth<br />

Salsola platyphylla Michx.<br />

farinello<br />

aromatico<br />

Famiglia: Chenopo<strong>di</strong>aceae<br />

Nome scientifico: Dysphania ambrosioides (L.) Mosyakin & Clemants<br />

Nome volgare: farinello aromatico<br />

Basionimo: Chenopo<strong>di</strong>um ambrosioides L.<br />

Sinonimo: Ambrina ambrosioides (L.) Spach<br />

Atriplex ambrosioides (L.) Crantz / Blitum ambrosioides (L.) Beck<br />

Botrys ambrosioides (L.) Nieuwl.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um album L. subsp. ambrosioides (L.) H.J.Coste & A.Reyn.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um ambrosioides L. fo. suffruticosum (Willd.) Aellen<br />

Chenopo<strong>di</strong>um ambrosioides L. subsp. suffruticosum (Willd.) Thell.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) Aellen, comb. superfl.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) Graebn.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um ambrosioides L. var. suffruticosum (Willd.) P.Fourn., comb. superfl.<br />

Chenopo<strong>di</strong>um integrifolium Voroc.Chenopo<strong>di</strong>um suffruticosum Willd.<br />

Orthosporum ambrosioides (L.) Kostel.<br />

Teloxys ambrosioides (L.) W.A.Weber<br />

Vulvaria ambrosioides (L.) Bubani<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale (perennante solo in area me<strong>di</strong>terranea), alta 30-80 cm, dall’odore aromatico gradevole e<br />

marcato, con fusti eretti, molto ramificati, visibilmente striati, spesso arrossati, cosparsi <strong>di</strong> brevi setole e peli ghiandolari sessili.<br />

Foglie lanceolate, <strong>di</strong> 2-8(-12)×0.5-4(-5.5) cm, le maggiori spesso dentate, molto raramente laciniate, <strong>di</strong> norma verde chiaro.<br />

Infiorescenza a pannocchia fogliosa, costituita <strong>di</strong> cime sessili <strong>di</strong>sposte lungo le ramificazioni terminali, accompagnate da<br />

brattee lanceolato-lineari. Perianzio monoclamide <strong>di</strong> 5 segmenti verdastri, saldati al massimo fino a metà lunghezza; stami 5<br />

ad antere gialle; ovario supero con 2-5 stigmi. Il frutto è un achenio globoso involucrato dal perianzio, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 0.5-0.8<br />

mm; semi prevalentemente orizzontali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: America tropicale.<br />

Habitat: Siti ruderali, su substrati ricchi <strong>di</strong> calcare (nelle regioni costiere alofila facoltativa), greti.<br />

Distribuzione nel territorio: Pressoché in tutta la regione, soprattutto in pianura e nei fondovalle. Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta accidentalmente in Europa nel 1619 e naturalizzata dalla fine del Seicento in quasi<br />

tutta Italia; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e<br />

naturalizzata almeno dal 1816 (Nocca & Balbis, 1816).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, in seguito coltivata per uso farmaceutico (proprietà antielmintiche).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Specie molto variabile all’interno della quale sono state riconosciute <strong>di</strong>verse entità; tuttavia Clemants & Mosyakin (2003) non ne riconoscono<br />

l’autonomia. Tutte le specie del genere Dysphania R.Br., recentemente separato da Chenopo<strong>di</strong>um L. su base filogenetica, sono accomunate da<br />

sinapomorfie includenti alcuni metaboliti secondari, gli stessi presenti anche in <strong>di</strong>verse specie <strong>di</strong> Artemisia (Asteraceae) come puro fatto <strong>di</strong><br />

parallelismo evolutivo (omoplasia); sono tali sostanze a esercitare l’azione vermifuga nota in me<strong>di</strong>cina e al contempo a contribuire alla caratteristica<br />

aromaticità <strong>di</strong> queste piante.<br />

Bibliografia: Clemants & Mosyakin, 2003; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Nocca & Balbis, 1816; Scopoli, 1785<br />

194 195


farinello<br />

minore<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta al massimo fino a 40 cm, ad habitus in prevalenza prostrato, con odore simile a<br />

quello <strong>di</strong> D. ambrosioides (ve<strong>di</strong> scheda). Fusti molto ramosi, ricoperti <strong>di</strong> peli pluricellulari bianchi e peli ghiandolari sessili.<br />

Foglie lanceolate, <strong>di</strong> 0.5-2.7×0.3-1.5 cm, sinuate, con 3-4 lobi per lato, verde chiaro. Infiorescenza a pannocchia, costituita <strong>di</strong><br />

glomeruli sessili, ascellari, portati da ramificazioni terminali. Perianzio monoclamide <strong>di</strong> 5 segmenti verdastri, liberi fin quasi<br />

alla base, arrotondati dorsalmente; stami 5 ad antere gialle; ovario supero con 2-5 stimmi. Il frutto è un achenio globoso<br />

scarsamente involucrato dal perianzio, bruno rossastro, lucido, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 0.5-0.8 mm; semi verticali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Australia.<br />

Habitat: Siti ruderali, marciapie<strong>di</strong>.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca in pianura (province <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, Lecco, Bergamo e Brescia). Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi et al. (2009), ma già presente a <strong>Milano</strong><br />

almeno dal 1994 e inizialmente scambiata con D. botrys (Banfi & Galasso, 1998).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: In Lombar<strong>di</strong>a è presente un’altra specie esotica del genere Dysphania, D. multifida (L.) Mosyakin & Clemants (= Chenopo<strong>di</strong>um m. L.; farinello<br />

multifido), sudamericana, che si <strong>di</strong>stingue per i segmenti del perianzio saldati fin quasi all’apice e avvolgenti quasi completamente il frutto e per<br />

le foglie da profondamente pennatifide a pennatosette. È stata osservata casuale quà e là nelle province <strong>di</strong> Pavia (Pollini, 1824), Bergamo e Brescia.<br />

L’autoctona D. botrys (L.) Mosyakin & Clemants, inizialmente confusa con questa specie, si riconosce per le foglie più gran<strong>di</strong> (1.3-4×0.6-2.7 cm),<br />

lirato-sinuate o pennatifide (raramente le superiori intere) e i semi prevalentemente orizzontali.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Banfi et al., 2009; Pollini, 1824; Zanotti, 2010<br />

Famiglia: Chenopo<strong>di</strong>aceae<br />

Nome scientifico: Dysphania pumilio (R.Br.)<br />

Mosyakin & Clemants<br />

Nome volgare: farinello minore<br />

Basionimo: Chenopo<strong>di</strong>um pumilio R.Br.<br />

Sinonimo: Ambrina pumilio (R.Br.) Moq.<br />

Blitum glandulosum Moq.<br />

Blitum pumilio (R.Br.) C.A.Mey.<br />

Teloxys pumilio (R.Br.) W.A.Weber<br />

cremesina<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Robusta erba perenne, alta 1-3 m, completamente glabra, con ra<strong>di</strong>ce verticale ingrossato-carnosa e fusto eretto,<br />

piuttosto succulento, verso l’alto <strong>di</strong>viso in rami largamente <strong>di</strong>varicati o subpatenti, spesso <strong>di</strong> colore rosso-violaceo. Foglie<br />

alterne, semplici, con picciolo <strong>di</strong> 1-2 cm e lamina da ovato-lanceolata a oblungo-lanceolata, <strong>di</strong> 10×3-5 cm. Racemi fioriferi<br />

ascellari, eretti o patenti alla fioritura, penduli nel frutto, lunghi 10-15(-20) cm; perianzio costituito dal solo calice <strong>di</strong> 5 sepali<br />

largamente ovati, lunghi 2.5 mm, bianco-verdognoli in fioritura, quin<strong>di</strong> arrossati; stami 10-20; ovario supero con 10 carpelli<br />

<strong>di</strong>sposti a “spicchi”. Bacca subglobosa, depressa all’apice, nero-lucida, con mesocarpo sugoso, rosso-violaceo scuro, tingente<br />

e numerosi piccoli semi neri, lenticolari, luci<strong>di</strong>.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Orti, incolti, ruderati, margini boschivi, boscaglie luminose ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, in ambito prevalentemente planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV),<br />

Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Seicento. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Nocca & Balbis (1816) nel<br />

pavese, ma naturalizzata già nel 1763 nel milanese (Provasi, 1924).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per l’interesse orticolo del soggetto e per le bacche usate come tintorio e succedaneo<br />

dell’inchiostro.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Diffusa soprattutto ai margini e nelle chiarìe boschive, ne compromette pesantemente la bio<strong>di</strong>versità, abbassando<br />

la qualità del paesaggio.<br />

Note: Questa specie è stata immortalata da Alessandro Manzoni nei “Promessi Sposi” (capitolo 33), quando Renzo, <strong>di</strong> ritorno dal lungo soggiorno<br />

milanese, ritrova la sua vigna in stato <strong>di</strong> totale abbandono e fra le erbacce che dominano la scena spicca, appunto, l’uva turca, descritta alla stregua<br />

<strong>di</strong> una scheda botanica. Dal punto <strong>di</strong> vista tossicologico, l’uva turca è spesso causa <strong>di</strong> avvelenamento per incauti “asparagari” che, allettati dalla<br />

ra<strong>di</strong>ce napiforme, carnosa, can<strong>di</strong>da al taglio, la raccolgono e la consumano con serie conseguenze gastrointestinali.<br />

Bibliografia: Nocca & Balbis, 1816; Provasi, 1924<br />

Famiglia: Phytolaccaceae<br />

Nome scientifico: Phytolacca americana L.<br />

Nome volgare: cremesina, uva turca, uva dei merli<br />

Sinonimo: Phytolacca decandra L.<br />

Phytolacca vulgaris Bubani, nom. illeg.<br />

Phytolacca vulgaris Crantz<br />

196 197


ella <strong>di</strong> notte<br />

comune<br />

Tipo biologico: Gbulb<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne un po’ carnosa, con ra<strong>di</strong>ce ingrossato-bulbosa, alta 40-100 cm; fusto ascendente,<br />

ramosissimo e ingrossato ai no<strong>di</strong>, glabro o scarsamente pubescente. Foglie opposte con picciolo <strong>di</strong> 1-2 cm e lamina ovatolanceolata,<br />

intera, <strong>di</strong> 6-10×3-4 cm, acuminata all’apice, troncata o cordata alla base. Fiori in cime terminali raccorciate, a<br />

pollinazione notturna (apertura serale), più o meno profumati; involucro <strong>di</strong> 5 brattee sepaloi<strong>di</strong>; perianzio monoclamide,<br />

imbutiforme, con tubo <strong>di</strong> 25-35 mm e lembo del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 25 mm, viola, rosso, giallo, bianco o maculato. Frutto, un<br />

antocarpo (pericarpio rivestito dal tubo perianziale) involucrato dal falso calice accresciuto, globoso o ellissoidale, con parete<br />

sottile, coriacea, bruno-nerastra a maturità, segnata da deboli coste longitu<strong>di</strong>nali e rugosità, con 1 seme all’interno.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-ottobre.<br />

Area d’origine: Sudamerica (Perù).<br />

Habitat: Muri, margini dei sentieri, presso i giar<strong>di</strong>ni, greti.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, planiziale; in molti luoghi soltanto casuale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT),<br />

Cremona (CAS), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (CAS), <strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Pavia (CAS), Sondrio (CAS),<br />

Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Cinquecento; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785 (Hortus<br />

regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e ritrovata in natura almeno dal 1923 (Cozzi, 1923).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso floricolo.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: È una specie largamente naturalizzata lungo le coste me<strong>di</strong>terranee, che non tende a <strong>di</strong>ffondersi all’interno, sebbene qua e là possa inse<strong>di</strong>are<br />

qualche piccolo popolamento naturalizzato, per esempio in Lombar<strong>di</strong>a nell’area benacense o in provincia <strong>di</strong> Varese.<br />

Bibliografia: Cozzi, 1923; Giacomini, 1950; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789<br />

Famiglia: Nyctaginaceae<br />

Nome scientifico: Mirabilis jalapa L.<br />

Nome volgare: bella <strong>di</strong> notte comune<br />

Sinonimo: Nyctago jalapa (L.) DC.<br />

bella <strong>di</strong> notte<br />

minore<br />

Tipo biologico: Gbulb<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, glabra, con ra<strong>di</strong>ce napiforme ingrossata, alta 20-60 cm e fusto eretto con abbondanti<br />

ramificazioni <strong>di</strong>cotome. Foglie opposte, ovato-cuoriformi, <strong>di</strong> 5-10×4-8 cm, acute, <strong>di</strong> un verde glaucescente, intere al margine.<br />

Infiorescenze costituite da cime pauciflore, ascellari e terminali; fiori circondati a gruppi <strong>di</strong> 3-5 da un involucro largamente<br />

conico, 5-lobato, membranoso, percorso da venature, largo fino a 2 cm nel frutto. Perianzio monoclamide, imbutiforme, <strong>di</strong><br />

<strong>di</strong>mensioni fino a 12×8 mm, con tubo basale racchiudente l’ovario e lembo <strong>di</strong> 5 lobi rosei o violetti, bilobati all’apice; stami<br />

3-5, sporgenti, con filamento rosso-violaceo tendente a ripiegarsi a U; ovario supero, uniovulato. Il frutto è un antocarpo<br />

(pericarpio ricoperto dalla parete del tubo perianziale) monospermo, finemente tomentoso, con costolature longitu<strong>di</strong>nali.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ruderi, macerie, bor<strong>di</strong> <strong>di</strong> strade urbane e campestri, ferrovie.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Padova nel 1831; in Lombar<strong>di</strong>a osservata a Pavia nel 1882 da<br />

Bozzi (1888) e, prima ancora, da Maestri (1883, sub Oxybaphus glabrifolius).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (interesse ornamentale); le popolazioni lombarde derivano probabimente dalla<br />

<strong>di</strong>spersione casuale delle piante coltivate nell’orto agrario <strong>di</strong> Pavia, dove era stata introdotta volonraiamente o accidentalmente<br />

(Bozzi, 1888).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Limitato ai margini stradali, dove compromette la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi erbacee.<br />

Note: I fiori prodotti nella prima parte della stagione presentano sviluppo normale, con elementi vessillari (perianzio e filamenti staminali) al<br />

massimo della loro visibilità, poi i fiori successivi si fanno via via più piccoli e meno appariscenti. Tutti i tipi <strong>di</strong> fiore sono autoimpollinanti grazie al<br />

ripiegamento degli stami sullo stilo, ma i primi, nella fase iniziale della loro apertura, possono venire impollinati da piccoli insetti. La pianta in questo<br />

modo produce semi <strong>di</strong> due tipi genetici: clonali per autoimpollinazione e ricombinanti grazie alla parziale esoimpollinazione garantita dai fiori<br />

primaverili, salvaguardando così una piccola quota <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità genetica, in<strong>di</strong>spensabile -non si sa mai- per le generazioni del futuro.<br />

Bibliografia: Bozzi, 1888; Maestri, 1883; Viola, 1952<br />

Famiglia: Nyctaginaceae<br />

Nome scientifico: Mirabilis nyctaginea (Michx.) MacMill.<br />

Nome volgare: bella <strong>di</strong> notte minore, allionia comune<br />

Basionimo: Allionia nyctaginea Michx.<br />

Sinonimo: Calymenia nyctaginea (Michx.) Nutt.<br />

Oxybaphus nyctagineus (Michx.) Sweet<br />

198 199


mollugine<br />

verticillata<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-15 cm, con fusto prostrato o ascendente, ramificato e glabro. Foglie a 3-5,<br />

psudoverticillate, con lamina obovato-lanceolata o spatolata, larghe 3-10 mm. Fiori piccoli, pe<strong>di</strong>cellati, in fascetti ascellari;<br />

segmenti del perianzio acuti, con margini scariosi; stami 5; stigmi 3, ovario supero. Frutto a capsula trivalve, con semi privi <strong>di</strong><br />

strofiolo.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: America tropicale.<br />

Habitat: Selciati, marciapie<strong>di</strong>, greti.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata fin dal 1772 nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Torino e dal 1793 in quello <strong>di</strong> Pavia. In Lombar<strong>di</strong>a<br />

segnalata come naturalizzata nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Pavia da Chiovenda (1897) e Traverso (1897).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (orti botanici).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: La sua <strong>di</strong>ffusione pregiu<strong>di</strong>ca la bio<strong>di</strong>versità dei siti <strong>di</strong> greto in cui si inse<strong>di</strong>a.<br />

Bibliografia: Chiovenda, 1897; Traverso, 1897<br />

Famiglia: Molluginaceae<br />

Nome scientifico: Mollugo verticillata L.<br />

Nome volgare: mollugine verticillata<br />

fico d’in<strong>di</strong>a<br />

<strong>di</strong> engelmann<br />

Famiglia: Cactaceae<br />

Nome scientifico: Opuntia engelmannii Salm-Dyck<br />

ex Engelm.<br />

Nome volgare: fico d’In<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Engelmann<br />

Sinonimo: Cactus <strong>di</strong>llenii auct., non Ker Gawl.<br />

Cactus tuna auct. non L.<br />

Opuntia <strong>di</strong>llenii auct., non (Ker Gawl.) Haw.<br />

Opuntia jamaicensis auct., non Britton & Harris<br />

Opuntia tuna auct. non (L.) Mill.<br />

Tipo biologico: nPsucc<br />

Descrizione: Pianta arbustiva alta fino a 60 cm, molto ramosa. Gli articoli sono verde glauco, obovati, attenuati alla base, <strong>di</strong><br />

10-30×8-22 cm, con areole larghe, inter<strong>di</strong>stanziate <strong>di</strong> circa 2.5 cm; glochi<strong>di</strong> giallastri, lunghi fino a 2 cm nella parte apicale del<br />

clado<strong>di</strong>o; spine giallo chiaro, con base sfumata <strong>di</strong> rosso da giovani, subulate, in gruppi da 1 a 5, me<strong>di</strong>amente 2, lunghe 1-4 cm.<br />

Fiori solitari, larghi circa 7 cm, con perianzio formato da numerosi segmenti gialli, gli esterni abassialmente verdastri, imbricati,<br />

gli interni sfumati <strong>di</strong> verde alla fauce; stami numerosi; ovario infero con stilo allungato e stigma <strong>di</strong> colore verde, a lobi ra<strong>di</strong>anti.<br />

Il frutto è un acrosarco (bacca la cui buccia esterna deriva dalla fusione della parete ovarica con quella dell’ipanzio) <strong>di</strong> forma<br />

obovoide, lungo 3.5-4.5 cm, viola scuro e sublucido a maturità; semi numerosi, <strong>di</strong>scoidali, nerastri.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudoccidentale e Mesoamerica settentrionale.<br />

Habitat: Alte rupi, pen<strong>di</strong>i e prati ari<strong>di</strong> con affioramento calcareo o siliceo, muretti in pietra.<br />

Distribuzione nel territorio: Comasco e Bresciano: Val Camonica e laghi prealpini centro-orientali (100-500 m s.l.m.). Brescia<br />

(NAT), Como (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata in Lombar<strong>di</strong>a per la prima volta da Arietti (1965), ma già presente nel bresciano<br />

da oltre quarant’anni (Crescini, 1968).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura, sperimentazione agraria in campo fruttifero).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Paesaggistico, <strong>di</strong> portata locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie, perché la specie è ininfluente sulla bio<strong>di</strong>versità della vegetazione ospitante.<br />

Note: In Guiggi (2008) e Banfi et al. (2009) la specie era stata erroneamente segnalata come O. jamaicensis (Guiggi, 2010); in precedenza come O.<br />

<strong>di</strong>llenii (Arietti, 1965; Crescini, 1968; Bazzoli, 1999) oppure O. tuna (Guarino & Sgorbati, 2004; Banfi & Galasso, 2005; Guiggi, 2005). Tra le entità del<br />

medesimo genere naturalizzate in Italia, questa e O. humifusa (ve<strong>di</strong> scheda) sono le sole ad aver <strong>di</strong>mostrato la loro piena adattabilità al clima lombardo.<br />

In Lombar<strong>di</strong>a si incontrano, casuali, altre sei specie del genere Opuntia (L.) Mill.: O. chlorotica Engelm. & J.M.Bigelow (fico d’In<strong>di</strong>a giallastro), O. ficusin<strong>di</strong>ca<br />

(L.) Mill. (= Cactus f.-i. L.; fico d’In<strong>di</strong>a), O. microdasys (Lehm.) Pfeiff. (= Cactus m. Lehm.; orecchie <strong>di</strong> topolino), O. monacantha Haw. (fico d’In<strong>di</strong>a<br />

sudamericano), O. scheeri F.A.C.Weber (fico d’In<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Scheer) e O. stricta (Haw.) Haw. (= Cactus Haw.; fico d’In<strong>di</strong>a minore).<br />

Bibliografia: Arietti, 1965; Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2009; Bazzoli, 1999; Crescini, 1968; Guarino & Sgorbati, 2004; Guiggi A., 2005, 2008, 2010<br />

200 201


fico d’in<strong>di</strong>a<br />

nano<br />

Tipo biologico: Chsucc<br />

Descrizione: Arbusto nano articolato, prostrato e ricadente, alto meno <strong>di</strong> 30 cm, con ra<strong>di</strong>ci spesso ingrossate. Gli articoli<br />

sono appiattiti, ver<strong>di</strong>, arrossati in inverno, da roton<strong>di</strong> a obovati o ellittici, lunghi normalmente 2.5-12.5 cm, con areole piccole,<br />

larghe 0.15-0.25 cm, interspaziate <strong>di</strong> 1-3 cm; glochi<strong>di</strong> giallastri o brunastri; spine generalmente assenti o in numero <strong>di</strong> 1-5 nella<br />

porzione <strong>di</strong>stale del clado<strong>di</strong>o, bianche ad apice brunastro, lunghe 1.5-2.5 cm. Il fiore (ve<strong>di</strong> scheda <strong>di</strong> O. engelmannii) non è più<br />

largo <strong>di</strong> 6 cm e presenta uno stigma <strong>di</strong> colore bianco. Il frutto è un acrosarco (bacca la cui buccia esterna deriva dalla fusione<br />

della parete ovarica con quella dell’ipanzio) rosso porpora o violaceo, da obovoide a oblungo, lungo 2.5-5 cm; semi nerastri.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Rupi, dossi, affioramenti silicei o calcarei, arene fluviali, prati ari<strong>di</strong>, pen<strong>di</strong>i terrosi, muretti a secco.<br />

Distribuzione nel territorio: Insubria dal Lago Maggiore al Garda, Val Chiavenna, Valtellina e lungo il tratto milanese del<br />

Ticino (100-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia dal principio del Settecento, in Lombar<strong>di</strong>a era già naturalizzata in<br />

Valtellina nel 1825 (Rusconi, 1825).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Debole, sul paesaggio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Si tratta dell’opunzia acquisita da più lungo tempo in territorio lombardo, dove è anche la più estesamente naturalizzata. Come tante altre<br />

aliene che provengono dagli stati nordamericani gravitanti sul lato atlantico del continente, ha <strong>di</strong>mostrato piena acclimatazione, mantenendo la<br />

specifica esigenza <strong>di</strong> un’elevata aerazione del substrato (grado 5 <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersività secondo Landolt). Ciò spiega il successo della pianta sui suoli a<br />

granulometria grossa (sabbia, pietrisco, rupi ecc.) e a tessitura leggera. Infine la specie mostra grande flessibilità anche rispetto al fattore luce. La<br />

segnalazione <strong>di</strong> O. macrorhiza Engelm. (Guiggi, 2008) è da riferire a una forma anomala <strong>di</strong> questa specie, cresciuta su un substrato particolarmente<br />

ricco (Guiggi, 2010).<br />

Bibliografia: Crescini, 1968; Fornaciari, 1967; Guiggi, 2008, 2010; Rusconi, 1825<br />

Famiglia: Cactaceae<br />

Nome scientifico: Opuntia humifusa (Raf.) Raf.<br />

Nome volgare: fico d’In<strong>di</strong>a nano<br />

Basionimo: Cactus humifusus Raf.<br />

Sinonimo: Cactus compressus auct., non Salisb.<br />

Opuntia compressa auct., non J.F.Macbr.<br />

Opuntia vulgaris auct., non Mill.<br />

Opuntia vulgaris Mill. subsp. rafinesquii P.Fourn.<br />

deuzia<br />

comune<br />

Famiglia: Hydrangeaceae<br />

Nome scientifico: Deutzia scabra Thunb.<br />

Nome volgare: deuzia comune<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto alto 1-3 m con chioma espansa. Foglie decidue, opposte; picciolo <strong>di</strong> 3-8 mm; lamina ovata od ovatolanceolata,<br />

<strong>di</strong> 5-8×1-3 cm, scabra per la presenza <strong>di</strong> sparsi peli rigi<strong>di</strong>, stellati su entrambe le pagine, quelli della faccia abassiale<br />

a 3-4 punte; base arrotondata o largamente cuneata, margine serrulato e leggermente revoluto, apice in genere acuminato.<br />

Infiorescenza a pannocchia, terminale; pe<strong>di</strong>celli <strong>di</strong> 3-5 mm; calice con tubo <strong>di</strong> ca. 2.5×2 mm e 5 lobi ovati, <strong>di</strong> circa 1.2×1 mm;<br />

petali 5, bianchi, strettamente ellittici, <strong>di</strong> 0.8-1.5×0.6 cm; stami 10, in due serie, gli esterni con filamenti bidentati all’apice,<br />

gli interni più corti; stili in numero <strong>di</strong> 3-4, più lunghi degli stami; ovario supero, biloculare. Frutto costituito da una capsula<br />

emisferica <strong>di</strong> circa 4 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, con sparsi peli stellati; semi piccoli, numerosi, oblunghi, compressi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Giappone, parte temperata).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti, come ad esempio vecchi muri; più <strong>di</strong> rado in ambienti naturali<br />

<strong>di</strong>sturbati, soprattutto boscaglie degradate <strong>di</strong> tipo generalmente termofilo.<br />

Distribuzione nel territorio: Abbastanza frequente in tutta l’area collinare e soprattutto prealpina (150-600 m s.l.m.);<br />

particolarmente <strong>di</strong>ffusa presso i Gran<strong>di</strong> Laghi Insubrici e nelle aree a<strong>di</strong>acenti a giar<strong>di</strong>ni e parchi storici. Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Cremona (CAS), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX; in Lombar<strong>di</strong>a osservata a partire dal 1943 (Arietti, 1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È in grado <strong>di</strong> colonizzare i muri, ra<strong>di</strong>cando nelle fessure e contribuendo in tal modo al deterioramento <strong>di</strong> questi<br />

manufatti. Negli ambiti seminaturali, al momento, non sembra destare particolari preoccupazioni.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione dai manufatti delle piante ra<strong>di</strong>cate me<strong>di</strong>ante intervento meccanico,<br />

eventualmente abbinato all’impiego locale <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici.<br />

Note: Esiste incertezza sull’esatta identità delle piante naturalizzate nel nostro territorio (Celesti - Grapow et al., 2009a), giacché queste presentano<br />

alcuni caratteri un po’ <strong>di</strong>fferenti da quelli sopra descritti, precisamente i filamenti staminali non o impercettibilmente dentati all’apice e i peli stellati<br />

sulla faccia fogliare abassiale con 4-6 punte. Si tratterebbe, in effetti, <strong>di</strong> D. crenata Siebold & Zucc. (= D. scabra var. crenata (Siebold & Zucc.) Maxim.,<br />

= D. crenata var. typica C.K.Schneid.), la cui congruenza sistematica è tuttora oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione fra gli specialisti. Comunque questo morfotipo<br />

è quello regolarmente venduto nei nostri vivai e garden center sotto il binomio D. scabra. Di rado si osservano esemplari inselvatichiti <strong>di</strong> una<br />

cultivar a fiore pieno (‘Plena’), in uso nei giar<strong>di</strong>ni, che vanno tuttavia interpretati quali relitti a perdere della coltura. Infatti questa variante cultigena<br />

è maschio-sterile (stami trasformati in petali), senza o con scarsissime possibilità <strong>di</strong> produrre semi. In ogni caso, la facilità <strong>di</strong> autoinse<strong>di</strong>amento<br />

della pianta è dovuta all’estrema leggerezza dei semi, che vengono agevolmente trasportati dalle masse d’aria in movimento. Del genere Deutzia<br />

si commerciano altre specie (D. <strong>di</strong>scolor Hemsl. (= D. vilmoriniae Lemoine & Bois), D. gracilis Siebold & Zucc., D. parviflora Bunge, D. purpurascens<br />

(Franch. ex L.Henry) Rehder, ecc.), delle quali finora non ci sono fortunatamente segnalazioni <strong>di</strong> fuga, ma che tuttavia vanno preventivamente<br />

tenute sotto controllo.<br />

Bibliografia: Arietti, 1950; Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Celesti - Grapow et al., 2009a; Jintang et al., 2001; Macchi, 2005; McKean, 1995<br />

202 203


alsamina<br />

himalayana<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 40-120 cm, con fusto ascendente, un po’ traslucido, ra<strong>di</strong>cante ai no<strong>di</strong> inferiori e<br />

spesso arrossato alla base, ramosissimo, ingrossato ai no<strong>di</strong>. Foglie alterne, con picciolo alato, lungo 1-2 cm e lamina ovatolanceolata<br />

<strong>di</strong> 3-7×2-5 cm, lungamente acuminata all’apice, con base cuneata e brevemente decorrente sul picciolo, provvista<br />

<strong>di</strong> 20-40 dentelli per lato terminanti in una ghiandola arrossata. Fiori a 3-8 su racemi ascellari corimbiformi, zigomorfi (3 sepali<br />

<strong>di</strong> cui l’inferiore petaloide, saccato-speronato, 5 petali <strong>di</strong> cui gli inferiori saldati a 2 a 2), roseo-porporini con fauce bianca,<br />

lunghi (sperone compreso) 30-40 mm; sperone leggermente ricurvo o <strong>di</strong>ritto, lungo 12-18 mm. Capsule glabre, <strong>di</strong> 20-25×2<br />

mm, ad apertura esplosiva.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Himalaya.<br />

Habitat: Incolti, greti, bor<strong>di</strong> strade.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio soprattutto nella zona insubrica. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV),<br />

Cremona (NAT), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata nei giar<strong>di</strong>ni dell’Italia settentrionale sin dal 1814 (Chiovenda, 1928) e raccolta<br />

per la prima volta in natura nel 1916 in Piemonte (Mattirolo, 1919). In Lombar<strong>di</strong>a è stata raccolta in natura nel 1932 a <strong>Milano</strong><br />

(Giacomini, 1950).<br />

Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta ornamentale da giar<strong>di</strong>no).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Ha un impatto negativo sulla bio<strong>di</strong>versità che viene compromessa qualitativamente.<br />

Note: Si può confondere con I. glandulifera che, tuttavia, ha foglie opposte o verticillate a 3 (I. balfouri ha foglie alterne).<br />

Bibliografia: Chiovenda, 1928; Giacomini, 1950; Mattirolo, 1919<br />

Famiglia: Balsaminaceae<br />

Nome scientifico: Impatiens balfourii Hook.f.<br />

Nome volgare: balsamina himalayana,<br />

balsamina <strong>di</strong> Balfour<br />

Sinonimo: Impatiens insignis auct., non DC.<br />

Impatiens insubrica Beauverd<br />

Impatiens mathildae Chiov.<br />

balsamina<br />

ghiandolosa<br />

Famiglia: Balsaminaceae<br />

Nome scientifico: Impatiens glandulifera Royle<br />

Nome volgare: balsamina ghiandolosa<br />

Sinonimo: Impatiens roylei Walp., nom. illeg.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 1-2 m, con fusto robusto, fistoloso, un po’ traslucido, semplice o con scarsi rami,<br />

ingrossato ai no<strong>di</strong>. Foglie opposte o in verticilli <strong>di</strong> 3, lanceolate o ellittiche, lunghe fino a 18 cm, con apice acuminato, base<br />

cuneata brevemente decorrente sul picciolo e margine dentato per (18-)25-50 denti mucronati su ogni lato. Fiori zigomorfi (3<br />

sepali <strong>di</strong> cui l’inferiore petaloide, saccato-speronato, 5 petali <strong>di</strong> cui gli inferiori saldati a 2 a 2), roseo-porporini, lunghi 2.5-4 cm,<br />

con sperone <strong>di</strong> 2-7 mm, <strong>di</strong>sposti in racemi ascellari (3-)5-12-flori. Frutto a capsula allungata <strong>di</strong> 1.5-3 cm; apertura esplosiva.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Himalaya.<br />

Habitat: Incolti, margini boschivi, greti, ripe.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutta la Lombar<strong>di</strong>a, in area collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (NAT), Lecco (NAT),<br />

Monza e Brianza (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1909 in Piemonte (Chiovenda, 1917, 1928); in<br />

Lombar<strong>di</strong>a segnalata per la prima volta da Giacomini (1950), in seguito da Soldano (1980a).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso floricolo.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Deprime la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi in cui si inse<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non <strong>di</strong>ffondere né semi né piante; rinunciare all’uso mellifero del fiore. È relativamente facile<br />

da sra<strong>di</strong>care, dato che le ra<strong>di</strong>ci sono poco sviluppate: l’ideale è eseguire il lavoro poco prima della fioritura, per evitare<br />

la <strong>di</strong>sseminazione. Bruciare il materiale tagliato o estirpato contenente infiorescenze oppure consegnarlo ai sevizi <strong>di</strong><br />

incenerimento rifiuti; non depositare in giar<strong>di</strong>no, non gettare nel compost e non mescolare con i rifiuti ver<strong>di</strong>. Se le superfici<br />

da trattare sono estese si possono tagliare le piante raso terra. Seminare specie in<strong>di</strong>gene nei terreni aperti in continuità con<br />

le superfici occupate dall’aliena.<br />

Note: Le foglie opposte e verticillate <strong>di</strong>stinguono agevolmente questa specie dalle altre presenti in Italia, tutte a foglie alterne.<br />

Bibliografia: Chiovenda, 1917, 1928; Da Trieste, 1991; Giacomini, 1950; Pyšek & Hejda, 2006; Pyšek & Prach, 1995; Soldano, 1980a<br />

204 205


alsamina<br />

minore<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-100 cm, con fusto cavo, flaccido, ingrossato ai no<strong>di</strong>. Foglie alterne, ellittiche od<br />

ovato-ellittiche, le superiori in me<strong>di</strong>a più gran<strong>di</strong>, con lamina <strong>di</strong> 4-20×2-9 cm, recanti (13-)20-35 denti mucronati per lato; apice<br />

acuminato e base cuneata, decorrente sul picciolo. Fiori zigomorfi in racemi ascellari 3-10-flori, i primi spesso cleistogami, i<br />

successivi lunghi 6-18 mm; calice a 3 sepali <strong>di</strong> cui l’inferiore petaloide, giallo pallido come i petali, saccato, provvisto <strong>di</strong> uno<br />

sperone <strong>di</strong>ritto, lungo 1-7 mm; corolla <strong>di</strong> 5 petali, i 4 inferiori connati in 2 coppie laterali; stami 5, alterni ai petali, con antere<br />

connate; ovario supero, a 5 loculi. I frutti sono capsule glabre <strong>di</strong> 10-25×2 mm, a deiscenza esplosiva per contrazione elastica<br />

delle valve; semi piccoli, globosi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Boschi, incolti, greti, margini <strong>di</strong> strade.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutta la regione, soprattutto nelle fasce collinare e montana. Bergamo (INV), Brescia (INV),<br />

Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo. Conosciuta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1898 come<br />

pianta naturalizzata (campione raccolto da M. Longa a Sant’Antonio Val<strong>di</strong>sotto -SO- e conservato nell’Erbario <strong>di</strong> Pavia, PAV); in<br />

seguito ivi segnalata da Fiori (1925b) e da Fenaroli & Longa (1926).<br />

Modalità d’introduzione: Volontaria, orticola.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Attualmente in modo limitato.<br />

Impatto: Mo<strong>di</strong>fica la fisionomia della vegetazione marginale, specialmente in ambiente boschivo.<br />

Bibliografia: Credaro & Pirola, 1988; Fenaroli & Longa, 1926; Fiori, 1925b<br />

Famiglia: Balsaminaceae<br />

Nome scientifico: Impatiens parviflora DC.<br />

Nome volgare: balsamina minore<br />

albero <strong>di</strong><br />

sant’andrea<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Piccolo albero raggiungente una dozzina <strong>di</strong> metri d’altezza, con chioma espansa orizzontalmente. Foglie<br />

caduche, alterne; picciolo 0.7-1.5 cm; lamina ellittica od ovato-oblunga, nella pagina inferiore verde glauco; base arrotondata<br />

o cuneata, apice da acuto ad acuminato. Fiori unisessuali sullo stesso in<strong>di</strong>viduo (pianta monoica); i maschili <strong>di</strong> 6-7 mm, riuniti<br />

a 1-3 su pe<strong>di</strong>celli lunghi fino a 6 mm, con calice a 4(-5) lobi, corolla a 4(-5) lobi da rossastri a giallo palli<strong>di</strong> e 16 stami; i femminili<br />

<strong>di</strong> circa 5 mm, subsessili, con calice a 4 lobi, corolla a 4 lobi verdastri o rossastri lunghi 2-3 mm e 4 stili su un ovario supero,<br />

4-12-loculare. Frutto costituito da una bacca brunastro-aranciata, a piena maturazione bluastra e pruinosa, subglobosa, con<br />

<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1-2 cm. Semi bruni, compressi, <strong>di</strong> circa 10×6 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia sudoccidentale, ma con <strong>di</strong>stribuzione incerta.<br />

Habitat: Si rinviene tipicamente in boscaglie pioniere <strong>di</strong> ambienti degradati in prossimità <strong>di</strong> aree antropizzate, dove<br />

occasionalmente può essere anche abbondante. Si tratta comunque <strong>di</strong> una specie termicamente esigente. Impiegata come<br />

richiamo nei roccoli <strong>di</strong> caccia, si rinviene spontaneizzata anche nei <strong>di</strong>ntorni degli stessi.<br />

Distribuzione nel territorio: Relativamente frequente dalla zona planiziale a quella collinare, in minor misura in quella<br />

submontana (100-800 m s.l.m.), a oriente soltanto casuale. Bergamo (CAS), Brescia (CAS), Como (NAT), Lecco (NAT), Monza e<br />

Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVI.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura, sperimentazione forestale, frutto commestibile).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: In modo limitato, per sottrazione competitiva <strong>di</strong> spazio.<br />

Impatto: Trascurabile.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione del novelleto. Controllo ed eventuale era<strong>di</strong>cazione degli esemplari<br />

fruttificanti me<strong>di</strong>ante controllo meccanico (taglio alla base o cercinatura), da ripetersi sui polloni, eventualmente coa<strong>di</strong>uvato<br />

dall’uso localizzato <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici. Evitare assolutamente la fruttificazione.<br />

Note: Il kaki comune, D. kaki Thunb., in Lombar<strong>di</strong>a soltanto coltivato, <strong>di</strong>fferisce per le <strong>di</strong>mensioni <strong>di</strong> gran lunga maggiori del frutto (risultato della<br />

domesticazione), che è <strong>di</strong> comune interesse alimentare, e per quelle dei fiori femminili (>1 cm). D. lotus è spesso impiegato come portainnesto<br />

per D. kaki. Infine, nei parchi si coltiva raramente anche il kaki americano (D. virginiana L.), albero alto fino a 20 m con foglie adassialmente verde<br />

scuro lucido, glabre sulla faccia abassiale (tranne sui nervi), con base più ampia e subcordata e picciolo maggiore <strong>di</strong> 1.8 cm; fiori maschili <strong>di</strong> 8-10<br />

mm, i femminili <strong>di</strong> circa 12 mm con lobi corollini lunghi 7-8 mm, con tubo bianco e lobi gialli; bacca matura arancione, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1-2.5 cm.<br />

Anch’essa non spontaneizza.<br />

Bibliografia: Fiori, 1926a; Fiori & Paoletti, 1902<br />

Famiglia: Ebenaceae<br />

Nome scientifico: Diospyros lotus L.<br />

Nome volgare: albero <strong>di</strong> sant’Andrea, legno santo,<br />

falso guaiaco, falso loto<br />

206 207


pianta<br />

della seta<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta perenne erbacea, alta 100-150 cm, con rizoma strisciante e fusti <strong>di</strong>ffusi, eretti, semplici, glaucescenti.<br />

Foglie opposte, con picciolo <strong>di</strong> 1 cm e lamina ellittica o lanceolata <strong>di</strong> 15-23×5-9 cm, acuminata, alla base arrotondata, grigiotomentosa<br />

sulla faccia abassiale. Ombrelle fiorifere contratte, su peduncoli ascellari <strong>di</strong> 5-10 cm, formate da fiori lunghi 6-8<br />

mm sorretti da pe<strong>di</strong>celli <strong>di</strong> 3-6 cm, con corolla roseo-porporina a 5 lobi riflessi all’antesi e corona interna <strong>di</strong> 5 segmenti liberi,<br />

ognuno provvisto <strong>di</strong> appen<strong>di</strong>ce adassiale centrale ricurva sopra un’antera (5 stami); ovario supero, bicarpellare, con 2 stili<br />

inferiormente liberi, uniti per gli stigmi. Frutti: follicoli fusiformi <strong>di</strong> 8-11×2-3 cm, biancastro-pubescenti, solcati, spinosi; semi<br />

bruni, appiattiti, ovoidali, con un ciuffo <strong>di</strong> lunghi peli argentei all’apice.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Boschi umi<strong>di</strong> ripariali e siepi, più raramente margini dei campi e incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: In pianura, soprattutto lungo il Ticino e spora<strong>di</strong>camente lungo il Po e altri fiumi. Brescia (NAT),<br />

Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dalla prima metà del secolo XVII; in Lombar<strong>di</strong>a segnalata lungo il Ticino<br />

presso Pavia da Fiori & Paoletti (1902).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per la fibra tessile estratta dai fusti quale surrogato della seta (era il periodo delle morie<br />

del baco da seta).<br />

Status: Naturalizzata, localmente abbondante.<br />

Dannosa: Potenzialmente sì.<br />

Impatto: Lungo le sponde del Ticino, nel suo corso inferiore e alla confluenza con il fiume Po, forma popolamenti fitti ed<br />

estesi <strong>di</strong> un certo rilievo.<br />

Note: È una specie da tenere sotto controllo, inserita nella Watch List della Svizzera (http://www.cps-skew.ch/italiano/lista_nera.htm).<br />

Bibliografia: Fiori & Paoletti, 1902<br />

Famiglia: Apocynaceae<br />

Nome scientifico: Asclepias syriaca L.<br />

Nome volgare: pianta della seta, lino d’In<strong>di</strong>a<br />

Sinonimo: Asclepias cornuti Decne., nom. illeg.<br />

buglossa<br />

sempreverde<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 40-80 cm, con fusto ispido per setole <strong>di</strong> 1-2.5 mm. Foglie inferiori svernanti,<br />

provviste <strong>di</strong> picciolo lungo 2-15 cm e lamina ovata <strong>di</strong> 7-20×3-10 cm, intera; foglie superiori sessili e più piccole (lunghe 5-12<br />

cm). Infiorescenza terminale, costituita da cincinni peduncolati inseriti ciascuno all’ascella <strong>di</strong> una brattea; fiori pentameri, con<br />

calice a 5 denti lungo 2.5-5 mm; corolla azzurro chiaro, con tubo <strong>di</strong> 4-5×3.5-4.8 mm e lembo a 5 lobi, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 8-10 mm,<br />

con fauce provvista <strong>di</strong> un’appen<strong>di</strong>ce linguiforme alla base <strong>di</strong> ogni lobo; stami 5, inseriti alternatamente alle appen<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong> poco<br />

più brevi <strong>di</strong> queste; ovario supero a 4 loculi. Il frutto è un microbasario, cioè uno schizocarpo formato da 4 nucule (mericarpi)<br />

ovoi<strong>di</strong>, inserite obliquamente sulla base comune.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Europa sudoccidentale (atlantica).<br />

Habitat: Scarpate ombreggiate.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura comasca; l’unica stazione lombarda sinora conosciuta è sita a 270 m s.l.m. Como (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dal Cinquecento, in natura raccolta con certezza, nel passato, solo sui<br />

Colli Euganei (Veneto) nel 1835 (Bertoloni, 1835) e 1842 (Trevisan, 1842), dove non è stata più ritrovata (Selvi & Bigazzi, 1998);<br />

recentemente osservata in Lombar<strong>di</strong>a, ove appare naturalizzata almeno dal 2003 (Galasso & Selvi, 2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (interesse ornamentale).<br />

Status: Naturalizzata. Nel sito <strong>di</strong> ritrovamento si riproduce regolarmente, ma la sua permanenza è legata alla presenza <strong>di</strong> siepi<br />

ombreggianti; infatti dove queste sono state rimosse la pianta è scomparsa repentinamente.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Finora non necessarie.<br />

Note: Neofita <strong>di</strong> recentissima segnalazione per il territorio lombardo, nel passato già nota per un altro sito dell’Italia settentrionale; non può<br />

essere confusa con boraginacee affini presenti in Lombar<strong>di</strong>a, per la combinazione unica dei caratteri, tra i quali spicca la persistenza invernale<br />

delle foglie basali.<br />

Bibliografia: Bertoloni, 1835; Galasso & Selvi, 2007; Selvi & Bigazzi, 1998; Trevisan, 1842<br />

Famiglia: Boraginaceae<br />

Nome scientifico: Pentaglottis sempervirens (L.)<br />

Tausch ex L.H.Bailey<br />

Nome volgare: buglossa sempreverde<br />

Basionimo: Anchusa sempervirens L.<br />

208 209


cuscuta<br />

dei campi<br />

Famiglia: Convolvulaceae<br />

Nome scientifico: Cuscuta campestris Yunck.<br />

Nome volgare: cuscuta dei campi<br />

Sinonimo: Cuscuta arvensis auct., non Beyr. ex Engelm.<br />

Cuscuta arvensis Beyr. ex Engelm. var. calycina (Engelm.) Engelm.<br />

Cuscuta cesattiana auct., non Bertol. / Cuscuta gronovii auct., non Willd. ex Schult.<br />

Cuscuta pentagona auct., non Engelm.<br />

Cuscuta pentagona Engelm. var. calycina Engelm.<br />

Cuscuta racemosa Mart. var. chiliana auct. p.p., non Engelm<br />

Cuscuta suaveolens auct. p.p., non Ser.<br />

Grammica campestris (Yunk.) Hadač & Chrtek<br />

Tipo biologico: Tpar<br />

Descrizione: Pianta annuale oloparassita, costituita da un intrico <strong>di</strong> fusti capillari giallo-rossastri provvisti <strong>di</strong> austori con i quali<br />

si tiene saldamente ancorata ai tessuti della pianta ospite. Fiori regolari <strong>di</strong> (1.9-)2.1-3.6 mm, bianco crema da freschi, crema<br />

o giallo dorati da secchi, riuniti in glomeruli densi (<strong>di</strong>ametro 10-12 mm); peduncoli brevi; calice giallo, campanulato, più<br />

breve del tubo corollino, a 5 lobi deltoi<strong>di</strong>, spesso a margini sovrapposti; corolla <strong>di</strong> 5 lobi acuti, ovato-triangolari, più o meno<br />

acuminati con l’apice solitamente inflesso, precocemente riflessi, più brevi del tubo o raramente lunghi quanto questo; stami 5,<br />

sporgenti; squame ipostaminali lunghe, fittamente e ± regolarmente fimbriate, mai bifide, sporgenti tra i lobi corollini; ovario<br />

supero, globoso, con 2 sottili stili con stigmi capitati. Capsula indeiscente o irregolarmente deiscente, 1.3-2.8×1.9-3.8 mm,<br />

globoso-depressa, giallastro-pallida, circondata alla base dalla corolla persistente, contenete 4 semi <strong>di</strong> 1.12-1.54×0.9-1.1 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Su numerose specie <strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> generi appartenenti a varie famiglie, tra le quali Asteraceae, Brassicaceae,<br />

Chenopo<strong>di</strong>aceae, Convolvulaceae, Euphorbiaceae, Fabaceae, Polygonaceae, Solanceae, Urticaceae, Verbenaceae.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio, prevalentemente in pianura e nei fon<strong>di</strong>valle. Bergamo (INV), Brescia (INV),<br />

Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dal 1876 (Cesati et al., 1876, sub C. racemosa var. chiliana), segnalata<br />

per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Campanile & Traverso (1923, sub C. pentagona).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (contaminazione delle sementi, probabilmente <strong>di</strong> erba me<strong>di</strong>ca e/o trifoglio).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Solo per le colture.<br />

Impatto: Parassita delle colture erbacee.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Solo in ambito agrario.<br />

Note: Specie a lungo confusa con C. cesattiana, C. gronovii e, in parte, C. suaveolens (= C. racemosa var. chiliana): sebbene Campanile & Traverso<br />

(1923) e Campanile (1926) segnalino l’errore già al principio del secolo scorso, tale confusione è perdurata sino ai nostri giorni poiché i lavori della<br />

Campanile sono in<strong>di</strong>cati soltanto nelle note finali della “Flora” del Fiori (1928). C. gronovii e C. suaveolens sono assenti in Italia; mentre le segnalazioni<br />

della prima sono da ricondurre a C. campestris, quelle della seconda sono da ripartire tra C. campestris e C. cesattiana. Cuscuta cesattiana, invece, è<br />

presente in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a e si <strong>di</strong>stingue da C. campestris per il calice più lungo del tubo corollino, a 5 lobi ovati (che spesso sporgono tra i lobi<br />

della corolla), a margini non sovrapposti; i lobi della corolla largamente ovati, mai acuminati e con l’apice non inflesso, riflessi solo occasionalmente<br />

e solo a inizio fruttificazione, più lunghi del tubo; le squame ipostaminali, irregolarmente fimbriate, con un numero inferiore <strong>di</strong> lacinie, spesso<br />

bifide. La vera C. cesattiana, rara (segnalata per la prima volta in Italia in Piemonte almeno dal 1847 da De Notaris (1849, sub C. polygonorum)<br />

e Bertoloni (1850)), è sicuramente presente nelle province <strong>di</strong> Mantova (Visiani & Saccardo, 1869a; Cesati et al., 1876), Cremona (Caruel, 1886;<br />

Bonali, 1998, 2002a), Pavia (Campanile & Traverso, 1923) e Brescia (Giacomini, 1950; la nomenclatura utilizzata fa capire che Giacomini si riferisce<br />

ai lavori della Campanile e non alle consuete Flore). In passato C. campestris è stata anche male identificata con la congenere C. pentagona (mai<br />

segnalata in Italia e anch’essa <strong>di</strong> origine americana), che solo recentemente è stata definitivamente separata da C. campestris (Costea et al., 2006).<br />

In Lombar<strong>di</strong>a è inoltre presente un’altra specie esotica del genere Cuscuta, archeofita, C. epilinum Weihe (strozzalino), caratterizzata però da stigmi<br />

non clavati, simile all’autoctona C. europaea L. ma da quest’ultima <strong>di</strong>stinguibile per i fusti semplici o quasi e la corolla generalmente pentamera<br />

con lobi lunghi quanto il tubo. Essa è in via <strong>di</strong> estizione poiché legata al lino (e alle sue infestanti), coltura ora rarefatta e localizzata. Infine si fa<br />

presente che la segnalazione <strong>di</strong> C. scandens Brot. (= C. australis R.Br., = C. tinei Inzenga; cuscuta <strong>di</strong> Tineo) per il bresciano (Zucchi, 1979), non più<br />

ritrovata, è da considerarsi dubbia.<br />

<strong>di</strong>condra<br />

Famiglia: Convolvulaceae<br />

Nome scientifico: Dichondra micrantha Urb.<br />

Nome volgare: <strong>di</strong>condra<br />

Tipo biologico: Hrept<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, strisciante e tappezzante, con fusti lunghi fino a 50 cm, ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie con<br />

picciolo <strong>di</strong> 5-50 mm e lamina da orbicolare a reniforme, intera, con pubescenza appressata, larga e lunga 5-30 mm. Fiori<br />

ascellari, solitari; corolla incisa in 5 lobi eretti, lunga 2-2.5 mm, biancastro-verdognola; stami 5, inseriti presso il limite superiore<br />

del tubo corollino, più o meno inclusi. Ovario supero, biloculare, con due stili a stigma capitato. Capsula bilobata, <strong>di</strong>sperma.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale.<br />

Habitat: Tappeti erbosi, luoghi calpestati.<br />

Distribuzione nel territorio: In quasi tutto il territorio, soprattutto nei centri urbani, planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT),<br />

Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta probabilmente nel secolo scorso.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per aiuole e tappeti erbosi perennanti.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

210<br />

Bibliografia: Bertoloni, 1850; Bonali, 1998, 2002a; Campanile, 1926; Campanile & Traverso, 1923; Caruel, 1886; Cesati et al., 1876; Costea et al., 2006;<br />

De Notaris, 1849; Fiori, 1928; Giacomini, 1950; Stucchi, 1929a, 1949b; de Visiani & Saccardo, 1869a; Zucchi, 1979<br />

211


stramonio<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale dall’odore marcato, alta 50-200 cm, con fusto prostrato, suberetto o ascendenteramificato,<br />

pubescente, <strong>di</strong> norma verde (purpureo-violaceo nella var. tatula). Foglie alterne, con picciolo <strong>di</strong> 2-4 cm e lamina<br />

da ampiamente ovata a ellittica, <strong>di</strong> 10-15×6-13 cm, lobato-dentata o sinuato-dentata con grossi denti acuti, a base tronca o<br />

subcordata. Fiori solitari, ascellari, su peduncoli <strong>di</strong> 3-10 mm; calice tubuloso lungo 3-5 cm, spigoloso, con 5 denti <strong>di</strong>suguali<br />

lunghi 5-10 mm; corolla imbutiforme <strong>di</strong> 5-10 cm, a 5 denti subcaudati, can<strong>di</strong>da o soffusa <strong>di</strong> violaceo (var. tatula); stami 5, non<br />

sporgenti, inseriti alla base del tubo corollino; ovario supero, biloculare. Frutto a capsula deiscente in 4 valve, grande poco più<br />

<strong>di</strong> una noce (3-5 cm) e irta <strong>di</strong> aculei lunghi fino a 15 mm; semi neri, appiattiti, <strong>di</strong> 3 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Mesoamerica.<br />

Habitat: Ruderi, macerie, campi abbandonati.<br />

Distribuzione nel territorio: Fascia plano-collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco<br />

(NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla seconda metà del secolo XVI. In Lombar<strong>di</strong>a già presente in natura nel<br />

1763 (Provasi, 1924), segnalata la prima volta da Nocca & Balbis (1816).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (per uso me<strong>di</strong>cinale, successivamente da giar<strong>di</strong>no).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Ecologicamente no, sanitariamente sì (pianta molto velenosa).<br />

Impatto: Esclusivamente estetico.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Estirpazione manuale.<br />

Note: È causa <strong>di</strong> gravi intossicazioni, facilmente letali, dovute ad abusi come il “fai da te” erboristico e nei ragazzi, a volte, persino spinelli che, invece<br />

<strong>di</strong> procurare lo sballo, procurano l’imme<strong>di</strong>ato ricovero ospedaliero.<br />

Arietti & Crescini (1980) e Giordana (1995) segnalano Datura stramonium var. tatula; tuttavia, in base a quanto <strong>di</strong>mostrato da un’analisi genetica<br />

condotta sugli AFLP (Mace et al., 1999), le sud<strong>di</strong>visioni infraspecifiche <strong>di</strong> D. stramonium (var. inermis, var. stramonium e var. tatula) non hanno<br />

significato sistematico.<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Giordana, 1995; Mace et al., 1999; Nocca & Balbis, 1816; Provasi, 1924<br />

Famiglia: Solanaceae<br />

Nome scientifico: Datura stramonium L.<br />

Nome volgare: stramonio<br />

Sinonimo: Datura inermis Juss. ex Jacq.<br />

Datura stramonium L. subsp. tatula (L.) Nyman<br />

Datura stramonium L. var. inermis (Juss. ex Jacq.) Fernald<br />

Datura stramonium L. var. tatula (L.) Torr.<br />

Datura tatula L.<br />

morella<br />

della<br />

carolina<br />

Famiglia: Solanaceae<br />

Nome scientifico: Solanum carolinense L.<br />

Nome volgare: morella della Carolina<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne provvista <strong>di</strong> rizoma strisciante; fusti eretti, alti fino a 1 m, con rada pubescenza <strong>di</strong><br />

peli stellati e sottili spine gialle. Foglie a lamina ovata, lunga 7-12 cm, con 2-5 lobi o larghi denti per lato, giallo-pubescente<br />

per peli stellati, provvista <strong>di</strong> gracili spine gialle lungo le nervature. Infiorescenza racemosa <strong>di</strong> 2-7 fiori a corolla rotata, con 5<br />

denti (contorno pentagonale), <strong>di</strong> 2-3.5 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, bianca o appena soffusa <strong>di</strong> violaceo; stami con antere scarsamente<br />

conniventi. Il frutto è una bacca giallo-aranciata <strong>di</strong> 1-1.5 cm, contenente semi appiattiti, biancastri.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Campi, incolti.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura, dal pavese al bresciano. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong><br />

(NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Europa per l’Orto botanico <strong>di</strong> Montpellier nel 1855 (Thellung, 1911-1912).<br />

In Italia, osservata la prima volta negli anni ’70 del secolo scorso in Toscana a Montignoso (MS) lungo la via Aurelia (Banfi, oss.<br />

pers.) e segnalata per la Lombar<strong>di</strong>a da Zanotti (1993a), che la raccolse dal 1987.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con gli scambi intercontinentali in ambito <strong>di</strong> pratiche agrarie.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Esclusivamente agricolo, nelle colture sarchiate.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo delle colture agrarie.<br />

Note: In Lombar<strong>di</strong>a si incontra <strong>di</strong> frequente il pomodoro, Solanum lycopersicum L. (= Lycopersicon esculentum Mill., nom. cons.;<br />

= Lycopersicon lycopersicum (L.) H.Karst., nom. rej.), che fu domesticato dagli In<strong>di</strong>os messicani a partire da un selvatico riferibile,<br />

presumibilmente, alla specie S. pimpinellifolium L. I primi pomodori coltivati dovevano avere i caratteri <strong>di</strong> quella che oggi è nota come<br />

var. cerasiforme (Alef.) Fosberg (pomodoro ciliegino), variazione a frutto edule forse già spontanea e prelevata <strong>di</strong>rettamente in<br />

natura all’epoca delle prime selezioni colturali; nel DNA del ciliegino, infatti, oltre a una quota <strong>di</strong> ascendenza <strong>di</strong>retta per tutte<br />

le forme coltivate a frutto rosso, si trova la testimonianza <strong>di</strong> iniziali, ripetuti incroci tra domestico e selvatico (Ranc et al., 2008).<br />

Coltivato almeno dal 1531 a Cremona (Bonali, 2009), è in<strong>di</strong>cato come avventizio nella prima metà dell’Ottocento da Cesati (1844).<br />

Gli avventiziati del pomodoro nel nostro territorio sono del tutto occasionali, anche se localmente abbondanti al punto da far<br />

credere a una sorta <strong>di</strong> naturalizzazione della specie lungo i fiumi dovuti all’abbandono accidentale <strong>di</strong> semi fuori coltura (o allo<br />

scarico delle fognature) e concludentisi nel singolo ciclo in<strong>di</strong>viduale o, al massimo, in un ciclo <strong>di</strong> seconda generazione. L’incapacità<br />

del pomodoro <strong>di</strong> sfuggire stabilmente alla coltivazione è intuibile: a) si tratta <strong>di</strong> un domestico che ha perso tutte le prerogative<br />

biologiche <strong>di</strong> “autogestione” presenti nel selvatico, quin<strong>di</strong> incapace <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>arsi nell’ambiente e fondarvi popolazioni; b) derivando<br />

da un progenitore tropicale perenne, è stato forzato a <strong>di</strong>ventare annuale perché solo così sarebbe stato compatibile con la<br />

coltivazione in clima temperato; l’accorciamento del ciclo, però, non ha avuto un riscontro selettivo naturale delle sue capacità<br />

competitive (come avviene in natura quando una specie perenne si trasforma in annuale), per cui la pianta non è in grado <strong>di</strong> eludere<br />

né <strong>di</strong> sostenere la convivenza con la nostra vegetazione spontanea.<br />

Bibliografia: Bonali, 2009; Bonali et al., 2006a; Cesati, 1844; Picco, 2001; Ranc et al., 2008; Thellung, 1911-1912; Zanotti, 1993a<br />

212 213


morella<br />

farinaccio<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, ramosa, con fusti alti fino a 1.2 m, finemente cenerino-pubescenti per corti peli<br />

semplici. Foglie alterne, pelose come i fusti, da ovate a lanceolate, talvolta impercettibilmente lobate, per altro intere al<br />

margine. Fiori in cime umbellate, con corolla stellata a 5 lacinie bianche, acute, larga fino a 2 cm; stami ad antere regolarmente<br />

conniventi. Il frutto è una bacca ovoide, lunga 7-12 mm, purpureo-nerastra e “satinata” a maturità.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-ottobre.<br />

Area d’origine: Sudamerica sudorientale (Brasile, Paraguay, Uruguay, Argentina).<br />

Habitat: Conurbi e suburbi (pianura), margini <strong>di</strong> boscaglie (collina).<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>ca nelle fasce planiziale e collinare, invasiva nel varesino. Bergamo (NAT), Brescia (NAT),<br />

Como (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia nel 1939 in Campania (Fiori, 1940); in seguito riscoperta<br />

da Banfi (1987) per <strong>di</strong>verse regioni. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata la prima volta da Banfi & Galasso (2005) e Macchi (2005).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Questa specie può essere confusa <strong>di</strong> primo acchito con la comune morella (S. nigrum L.), infestante autoctona a sviluppo prevalentemente<br />

tardoestivo, ben <strong>di</strong>stinta per la pelosità mai uniformemente cenerina, per la lamina fogliare subdecorrente da una base tendenzialmente cuneata,<br />

con margini spesso incisi e variamente dentati od ondulati, per le cime fiorifere lasse, corimbose anziché umbellate, per le corolle leggermente<br />

più piccole (<strong>di</strong>ametro eccezionale <strong>di</strong> 18 mm) con lacinie un po’ meno acute e profonde, e per le bacche rotonde o subglobose, perfettamente<br />

nere a maturità.<br />

Bibliografia: Banfi, 1987; Banfi & Galasso, 2005; Bonali et al., 2006a; Fiori, 1940; Macchi, 2005; Zanotti, 2008<br />

Famiglia: Solanaceae<br />

Nome scientifico: Solanum chenopo<strong>di</strong>oides Lam.<br />

Nome volgare: morella farinaccio<br />

Sinonimo: Solanum gracile Dunal, non Sendtn., nom. illeg.<br />

Solanum ottonis Hyl.<br />

Solanum sublobatum Willd. ex Roem. & Schult.<br />

gelsomino<br />

primulino<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Arbusto sempreverde, con fusti ver<strong>di</strong> (frutice), lunghi fino a 5 m; rami dell’anno tetragoni, glabri. Foglie opposte,<br />

trifoliolate, spesso semplici alla base dei rametti; picciolo <strong>di</strong> 0.5-1.5 cm; lamina delle foglie semplici da ellittica a largamente<br />

ovata, talvolta suborbicolare, <strong>di</strong> 3-5×1.5-2.5 cm, subcoriacea; quella dei segmenti delle foglie trifoliolate strettamente ovata,<br />

ovato-lanceolata o strettamente ellittica, cuneata alla base, ottusa e mucronulata all’apice. Il segmento terminale misura 2.5-<br />

6.5×0.5-2.2 cm e alla base decorre in un breve picciolo, mentre i segmenti laterali sono sessili e misurano 1.5-4×0.6-2 cm. Fiori<br />

<strong>di</strong> norma solitari, ascellari, <strong>di</strong> rado terminali, sottesi da brattee fogliacee, obovate o lanceolate; peduncoli <strong>di</strong> 3-8 mm; calice<br />

campanulato a 5-8 lobi; corolla imbutiforme, gialla, larga (<strong>di</strong>am.) fino a 4.5 cm, a 6-8 lobi nel selvatico, doppia nelle piante<br />

coltivate, con tubo <strong>di</strong> 1-1.5 cm. Il frutto è una bacca ellissoidale, verdastra e secca a maturità, con 1-2 semi, lunga 6-8 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: febbraio-maggio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina centro-occidentale: province Guizhou, Sichuan, Yunnan).<br />

Habitat: Boscaglie e scoscen<strong>di</strong>menti presso i laghi insubrici (forre e boschi collinari in patria).<br />

Distribuzione nel territorio: Lago <strong>di</strong> Garda, lungo la Gardesana. Brescia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia al principio del XX secolo, epoca della moda orientalistica in orticoltura.<br />

Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (2005); in seguito ne è stato precisato l’areale (Galasso<br />

& Ceffali, in stampa). Le prime osservazioni risalgono ai primissimi anni del presente secolo.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (importazione orticola).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Lieve rilevanza paesaggistica nel periodo <strong>di</strong> fioritura.<br />

Note: È simile al conterraneo gelsomino <strong>di</strong> San Giuseppe J. nu<strong>di</strong>florum Lindl. (Cina centro-occidentale), da più lungo tempo coltivato in Italia (metà<br />

del XIX secolo), deciduo d’inverno, in fiore da febbraio ad aprile, con fusti sottili, ginestriformi, lungamente ricadenti, angolosi, foglie più piccole e<br />

fiori minori (2-2.5 cm), giallo limone, mai doppi. Questa specie permane negli ex-siti <strong>di</strong> coltivazione (giar<strong>di</strong>ni abbandonati, muretti <strong>di</strong> recinzione<br />

ecc.), ma non tende a naturalizzarsi; osservata casuale qua e là (la prima volta da Giacomini, 1950).<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Chang et al., 1996; Galasso & Ceffali, in stampa; Giacomini, 1950<br />

Famiglia: Oleaceae<br />

Nome scientifico: Jasminum mesnyi Hance<br />

Nome volgare: gelsomino primulino<br />

Sinonimo: Jasminum primulinum Hemsl.<br />

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ligustro<br />

lucido<br />

Famiglia: Oleaceae<br />

Nome scientifico: Ligustrum lucidum W.T.Aiton<br />

Nome volgare: ligustro lucido, ligustro arboreo<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Albero alto sino a 10(-15) m. Foglie opposte, semprever<strong>di</strong>, coriacee; picciolo <strong>di</strong> 1-3 cm; lamina da ovata a ovatolanceolata,<br />

<strong>di</strong> 6-17×3-8 cm, verde scuro lucente sulla pagina superiore, verde più chiaro inferiormente; margine intero, base<br />

arrotondata o talvolta attenuata, apice acuto o acuminato. Infiorescenza in larga pannocchia terminale ai rami, <strong>di</strong> 8-25×5-20<br />

cm; fiori subsessili; calice lungo 1.5-2 mm; corolla <strong>di</strong> 4-5 mm, bianco crema, con tubo lungo circa quanto i lobi, che sono 4.<br />

Frutto rappresentato da una bacca nero-azzurrognola, pruinosa, obovoide, spesso un po’ falcata, <strong>di</strong> 7-10×4-6 mm, con 1-4<br />

semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Boschi a carattere termofilo, quasi sempre in posizioni calde e riparate; <strong>di</strong> rado e soltanto con plantule o giovani<br />

esemplari in altri tipi <strong>di</strong> formazioni forestali. Forma un bosco quasi puro su una rupe calcarea (Sasso Poiano, Caravate, VA), dove<br />

però sembra risentire dell’ari<strong>di</strong>tà edafica estiva.<br />

Distribuzione nel territorio: In Lombar<strong>di</strong>a è presente allo stato naturalizzato soprattutto lungo i principali laghi insubrici<br />

(Verbano, Lario, Benaco) e territori limitrofi, ove è invasiva (150-450 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (INV),<br />

Cremona (CAS), Lecco (INV), <strong>Milano</strong> (CAS), Mantova (CAS), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1794, in Italia presumibilmente un po’ più tar<strong>di</strong> e inizialmente<br />

scambiata come curiosità da giar<strong>di</strong>no fra aristocratici proprietari <strong>di</strong> ville signorili, quin<strong>di</strong> estesa al verde pubblico in parchi e<br />

alberature stradali. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata come naturalizzata da De Carli et al. (1999).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (parchi, giar<strong>di</strong>ni, alberature).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Questa specie è in grado <strong>di</strong> costituire formazioni quasi pure e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong> alterare il tipico paesaggio forestale<br />

lombardo nei luoghi invasi, dove il bosco sarebbe invece dominato da latifoglie decidue. Mo<strong>di</strong>fica inoltre la bio<strong>di</strong>versità del<br />

sottobosco, con riflessi anche sui processi biogeochimici nel suolo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni, nel caso <strong>di</strong> forte infestazione coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong><br />

erbici<strong>di</strong> sui polloni; quin<strong>di</strong> provvedere alla piantagione <strong>di</strong> arbusti in<strong>di</strong>geni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree <strong>di</strong><br />

neo-invasione. Evitare assolutamente la fruttificazione.<br />

Note: Impiegata in parchi e giar<strong>di</strong>ni, viene talvolta utilizzata anche per le alberature stradali. La <strong>di</strong>ffusione è caratteristicamente ornitocora. Può<br />

essere confusa con un altro ligustro coltivato, L. japonicum Thunb., che però si <strong>di</strong>stingue per la taglia (arbusto non superante i 3 m in altezza), per le<br />

foglie da ovate a largamente ellittiche, lunghe al massimo 8 cm e, infine, per la corolla complessivamente più lunga (almeno 6 mm); in Lombar<strong>di</strong>a<br />

non è mai stato trovato in natura.<br />

Bibliografia: Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; De Carli et al., 1999; Frattini, 2008; Green, 1997; Kleih, 2007; Macchi, 2005<br />

ligustro<br />

da siepe<br />

Famiglia: Oleaceae<br />

Nome scientifico: Ligustrum ovalifolium Hassk.<br />

Nome volgare: ligustro da siepe, martello<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto semideciduo alto 2-3 m, glabro in ogni parte, con ritidoma liscio, grigio scuro. Foglie con picciolo<br />

<strong>di</strong> 3-4 mm e lamina ovata, subcoriacea, lunga 3-7 cm, verde scuro con riflessi satinati sulla faccia adassiale, verde chiaro<br />

opaco su quella abassiale, a margine intero e non ondulato, nervo me<strong>di</strong>ano visibile. Fiori numerosi in pannocchie <strong>di</strong> 5-10 cm,<br />

fortemente odorosi; corolla bianco panna, con tubo <strong>di</strong> 5-6 mm (più lungo dei lobi) e lembo a 4 lobi lunghi 2-3 mm; stami 2;<br />

ovario supero. Il frutto è una drupa subglobosa, nera e lucida, <strong>di</strong> 5-7 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Giappone settentrionale e centrale).<br />

Habitat: Siepi abbandonate, margini <strong>di</strong> boscaglie.<br />

Distribuzione nel territorio: È presente in tutto il territorio regionale (50-650 m s.l.m.), anche se con <strong>di</strong>scontinuità. Bergamo<br />

(NAT), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia<br />

(CAS), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1847, in Italia presumibilmente un po’ più tar<strong>di</strong>; in Lombar<strong>di</strong>a<br />

segnalata per la prima volta da Giordana (1995).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata: commercio vivaistico, come soggetto da siepe; <strong>di</strong>ffusa in natura da merli e altri<br />

passeriformi frugivori.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Questo ligustro può formare un denso mantello arbustivo, alterando la bio<strong>di</strong>versità del sottobosco, con riflessi<br />

anche sui processi biogeochimici del suolo. Di minor peso l’impatto sul paesaggio, in quanto la specie forma cespuglieti<br />

complessivamente piuttosto <strong>di</strong>afani.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; provvedere quin<strong>di</strong><br />

alla piantagione <strong>di</strong> arbusti in<strong>di</strong>geni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree <strong>di</strong> neo-invasione. Prevenire in ogni modo<br />

la fruttificazione.<br />

Note: Il ligustro cinese (L. sinense, ve<strong>di</strong> scheda) si <strong>di</strong>stingue per il ritidoma (“corteccia”) grigio chiaro, ma soprattutto per le foglie decidue, sottili,<br />

verde opaco <strong>di</strong> sopra (senza riflessi satinati), da ellittiche a ellittico-oblunghe, con i margini talvolta ondulati, e per i rametti dell’anno ricoperti <strong>di</strong><br />

una densa pubescenza giallo-grigiastra; i fiori presentano tubo corollino meno allungato rispetto al lembo e sono meno intensamente odorosi.<br />

Anche questa specie denota efficiente auto<strong>di</strong>sseminazione sviluppando plantule sia intorno alle piante madri sia a notevole <strong>di</strong>stanza da queste.<br />

Bisogna però osservare che <strong>di</strong>fficilmente viene raggiunta la maturità riproduttiva e solo occasionalmente si arriva alla fondazione <strong>di</strong> piccoli nuclei<br />

popolazionali isolati. Entrambi questi ligustri esotici vengono tuttora confusi con il vero ligustro nostrano (L. vulgare L.), entità eurasiatica propria<br />

dello strato arbustivo delle cenosi boschive meso-termofile, che si riconosce dalle foglie (decidue) ellittiche o lanceolate, lunghe fino a 4 cm, opache.<br />

Infine non possiamo <strong>di</strong>menticare il ligustro lucido (L. lucidum, ve<strong>di</strong> scheda), anch’esso <strong>di</strong> origine Est-asiatica, un inconfon<strong>di</strong>bile grosso arbusto o<br />

alberello sempreverde con tronco <strong>di</strong> tutto rispetto, che può raggiungere 12 m d’altezza in esemplari monumentali: ha foglie coriacee, lunghe 8-12<br />

cm, ovate, lungamente acuminate, lucenti su entrambe le facce, verde scuro sopra, più chiare sotto; sviluppa in piena estate, all’apice dei rami,<br />

gran<strong>di</strong> pannocchie piramidali con numerosissimi fiori bianco-giallognoli, seguiti da drupe obovoi<strong>di</strong>, nero-azzurre in inverno per la presenza <strong>di</strong><br />

pruina sull’epicarpo; si tratta <strong>di</strong> entità naturalizzata in varie parti del territorio nazionale, Lombar<strong>di</strong>a compresa.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; De Carli et al., 1999; Giordana, 1995; Green, 1997; Kleih, 2007<br />

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ligustro<br />

cinese<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto alto, al massimo, 4 m; rametti dell’anno pubescenti. Foglie tardodecidue (la maggior parte cade appena<br />

prima dell’inizio della nuova fogliazione), opposte; picciolo <strong>di</strong> 2-8 mm; lamina da ovata a ellittica, <strong>di</strong> 2-7×1-3 cm, verde opaco;<br />

margine intero, spesso ondulato, base cuneata o pressoché arrotondata, apice ottuso oppure mucronato. Infiorescenza a<br />

pannocchia, solitamente terminale, <strong>di</strong> 4-11×3-8 cm, moderatamente odorosa; pe<strong>di</strong>celli <strong>di</strong> 1-5 mm; calice a 5 denti, lungo<br />

1-1.5 mm; corolla lunga 3.5-5.5 mm, bianca, con tubo leggermente più corto dei lobi, che sono 4. Frutto rappresentato da una<br />

bacca <strong>di</strong> colore nero opaco, subglobosa, <strong>di</strong> 5-8 mm, con 1-4 semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina e Vietnam).<br />

Habitat: Boscaglie e boschi, senza particolari preferenze edafiche, anche se <strong>di</strong> preferenza moderatamente termofili e piuttosto<br />

aperti. Più frequente intorno alle aree antropizzate, ma anche, purtroppo, in siti destinati alla riqualificazione ambientale, dove<br />

è stato erroneamente mescolato alle specie autoctone (al posto <strong>di</strong> L. vulgare). Frequente anche quale invasiva negli impianti<br />

<strong>di</strong> conifere.<br />

Distribuzione nel territorio: È presente in tutto il territorio regionale (50-650 m s.l.m.), anche se con <strong>di</strong>scontinuità. Bergamo<br />

(INV), Brescia (NAT), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT),<br />

Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1852, in Italia presumibilmente un po’ più tar<strong>di</strong>, ma come pianta<br />

da siepe <strong>di</strong>venne <strong>di</strong> moda soltanto attorno alla metà degli anni Sessanta del passato secolo. In Lombar<strong>di</strong>a è stata segnalata<br />

come naturalizzata da Banfi & Galasso (1998).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (florovivaistica).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Questo ligustro può formare un denso mantello arbustivo, alterando la bio<strong>di</strong>versità del sottobosco, con riflessi<br />

anche sui processi biogeochimici del suolo. Di minor peso l’impatto sul paesaggio, in quanto la specie forma cespuglieti<br />

complessivamente piuttosto <strong>di</strong>afani.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; provvedere quin<strong>di</strong><br />

alla piantagione <strong>di</strong> arbusti in<strong>di</strong>geni. Pronta rimozione delle giovani piante in aree <strong>di</strong> neo-invasione. Prevenire in ogni modo<br />

la fruttificazione.<br />

Note: L. ovalifolium (ligustro da siepe, martello), originario del Giappone (ve<strong>di</strong> scheda), è coltivato da più lungo tempo, utilizzato per siepi più <strong>di</strong><br />

ogni altra specie fino agli anni ‘60 dello scorso secolo. Presenta una complessiva maggior robustezza, con foglie subsemprever<strong>di</strong>, un po’ coriacee,<br />

regolarmente ovate, lisce e intere al margine, verde scuro con riflessi “satinati” sulla faccia adassiale, più chiare inferiormente; rametti glabri; fioritura<br />

più tar<strong>di</strong>va (giugno-luglio), fortemente odorosa, fiori con tubo corollino più lungo dei lobi e bacche lucide a maturità. Sebbene localmente<br />

invasiva, ha minore tendenza a sfuggire e si mantiene nelle vicinanze della coltura. Entrambe le specie qui considerate vengono tuttora confuse<br />

con il vero ligustro nostrano, L. vulgare L., entità eurasiatica propria dello strato arbustivo delle cenosi boschive meso-termofile, che si riconosce<br />

dalle foglie (decidue) ellittiche o lanceolate, lunghe fino a 4 cm, opache.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 1998; Bonali et al., 2006a; Cerabolini et al., 2008; Frattini, 2008; Green, 1997<br />

Famiglia: Oleaceae<br />

Nome scientifico: Ligustrum sinense Lour.<br />

Nome volgare: ligustro cinese<br />

Sinonimo: Ligustrum ovalifolium auct., non Hassk.<br />

serenella<br />

Tipo biologico: nPscap<br />

Descrizione: Arbusto deciduo, glabro, alto 2-6 m. Foglie opposte, con picciolo <strong>di</strong> 1-3 cm e lamina ovato-cuoriforme, <strong>di</strong><br />

6-9×5-7 cm, acuminata, verde scuro, opaca. Fiori tubulosi, odorosi, in pannocchie generalmente terminali <strong>di</strong> 10-20 cm; calice<br />

<strong>di</strong> 2 mm, a 4 denti; corolla lilla scuro nel boccio, poi lilla vivo, quin<strong>di</strong> via via sbiadente con l’invecchiamento (rossa, rosa, viola o<br />

bianca nelle cultivar), con tubo <strong>di</strong> 8-10 mm e lembo <strong>di</strong> 4 lobi patenti <strong>di</strong> circa 8×5 mm; stami 2, inclusi nel tubo corollino; ovario<br />

bicarpellare, biloculare, supero, con 2 ovuli per loculo; stilo filiforme, più breve degli stami. Il frutto è una capsula bivalve,<br />

lateralmente compressa, acuminata, <strong>di</strong> 8-12 mm, contenente 4 semi appiattiti, con stretta ala marginale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Balcani.<br />

Habitat: Boscaglie, siepi.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Cremona (CAS), Lecco (CAS), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Pavia (NAT), Sondrio (CAS), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Francia nel XVI secolo, quin<strong>di</strong> in Italia dove è coltivata dalla metà dello stesso<br />

secolo. In Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e naturalizzata almeno<br />

dal 1816 presso Go<strong>di</strong>asco e Fortunago nel pavese (Nocca & Balbis, 1816).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per uso ornamentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: Le naturalizzazioni <strong>di</strong> questa oleacea in Italia sono <strong>di</strong> gran lunga più numerose <strong>di</strong> quelle ufficialmente segnalate, per il fatto che, verificandosi<br />

spesso nei pressi <strong>di</strong> o in continuità con giar<strong>di</strong>ni e orti nei quali la specie è coltivata, vengono scambiate per piante in coltura o resti delle stesse.<br />

Pignatti (1982) ricorda una vecchia segnalazione <strong>di</strong> Nicola Terracciano, ripresa dal Gavioli, relativa alla Basilicata (Muro Lucano, al Pianello),<br />

secondo cui la specie appare inserita in un contesto del tutto naturale, slegato da qualsiasi ambiente secondario o artificiale, con il sospetto che<br />

possa trattarsi <strong>di</strong> presenza autoctona e non <strong>di</strong> naturalizzazione. Fatto che non sarebbe poi tanto inverosimile, tenendo conto delle forti affinità<br />

biogeografiche che legano l’Appennino meri<strong>di</strong>onale alla penisola balcanica e che sono notoriamente testimoniate dagli areali <strong>di</strong> numerose specie<br />

della nostra flora e della nostra fauna.<br />

Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Nocca & Balbis, 1816; Pignatti, 1982<br />

Famiglia: Oleaceae<br />

Nome scientifico: Syringa vulgaris L.<br />

Nome volgare: serenella, lillà, fior <strong>di</strong> maggio<br />

218 219


veronica<br />

filiforme<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta generalmente sino a 20 cm, con fusti prostrati e ra<strong>di</strong>canti, formanti un denso<br />

tappeto. Foglie alterne, brevemente picciolate; lamina subrotonda, 5-13 mm, sparsamente pelosa, margine crenato con<br />

piccoli denti ottusi, base cordata, apice arrotondato. Fiori singoli all’ascella <strong>di</strong> brattee simili alle foglie; alla fioritura pe<strong>di</strong>celli<br />

lunghi almeno il doppio della corrispondente foglia bratteale; calice con 4 lobi; corolla azzurra o lilla-biancastra, rotata, <strong>di</strong> 5-14<br />

mm. Frutto raro, costituito da una capsula obcordata, compressa, più ampia che lunga.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: marzo-maggio.<br />

Area d’origine: Asia occidentale (Iran, Turchia e Caucaso) ed Europa orientale (Russia e Ucraina).<br />

Habitat: Cresce tipicamente in prati regolarmente falciati, in particolare se moderatamente ombreggiati, e su suoli con buona<br />

<strong>di</strong>sponibilità idrica.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenza frammentaria su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale (con<br />

l’esclusione della bassa pianura) e collinare (100-650 m s.l.m.); sembra più frequente nella Lombar<strong>di</strong>a occidentale. Bergamo<br />

(NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a (Monte Resegone nel lecchese e Varese)<br />

da Viola (1955) nel 1954.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Pur essendo localmente piuttosto <strong>di</strong>ffusa e con popolazioni consistenti (invasiva), la sua presenza non sembra<br />

attualmente destare particolari preoccupazioni.<br />

Note: Coltivata come tappezzante e per le attraenti fioriture. Può essere confusa con V. persica (ve<strong>di</strong> scheda), che però è una pianta annuale, con<br />

fusti ascendenti, foglie spesso <strong>di</strong> forma ovale e con denti più incisi e acuti, e pe<strong>di</strong>celli lunghi alla fioritura al massimo poco più della corrispondente<br />

foglia bratteale.<br />

Bibliografia: Viola, 1955<br />

Famiglia: Plantaginaceae<br />

Nome scientifico: Veronica filiformis Sm.<br />

Nome volgare: veronica filiforme<br />

Sinonimo: Veronica tournefortii C.C.Gmel., non Vill., nom. illeg.<br />

occhi della<br />

madonna<br />

Tipo biologico: Trept<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale a fusti lunghi 5-50 cm, prevalentemente decombenti e ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie alterne,<br />

da ovate a subrotonde, <strong>di</strong> 10-20×9-18 mm, con margine piano, crenato-seghettato, da brevemente picciolate a subsessili,<br />

verde chiaro, le superiori ± bruscamente ridotte. Fiori solitari, ascellari, su peduncoli allungantisi fino a 22 mm nel frutto,<br />

superanti le brattee; calice profondamente <strong>di</strong>viso in 4(-5) lacinie ovato-lanceolate lunghe (4-)6-7 mm; corolla debolmente<br />

zigomorfa, <strong>di</strong> 8-12 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, a 4 lobi azzurro-cielo con fauce sbiancata e venature più scure; stami 2, sporgenti e<br />

<strong>di</strong>vergenti; ovario supero. Il frutto è una capsula loculicida bilobata, <strong>di</strong> 4-5×7-10 mm, a lobi molto <strong>di</strong>vergenti separati da<br />

un seno largo e poco profondo, fortemente carenata; stilo <strong>di</strong> 2.5-3 mm, visibilmente sporgente dal seno; semi appiattiti,<br />

largamente ellittici, concavi su una faccia.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: (febbraio)-marzo-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia sudoccidentale.<br />

Habitat: Margini erbosi, incolti, prati <strong>di</strong>sturbati, aiuole, campi, colture (eliofila).<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV),<br />

Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta in Italia da metà del Cinquecento. In Europa osservata per la prima volta in<br />

natura nel 1805: sfuggita alla coltura nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Karlsruhe, si <strong>di</strong>ffuse nella gran parte dei paesi europei nella seconda metà<br />

dell’Ottocento. In Lombar<strong>di</strong>a già citata da Cesati (1844).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (usi floricoli).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Relativamente.<br />

Impatto: Paesaggistico (gradevole), evidente nel periodo <strong>di</strong> massima fioritura. Inoltre con<strong>di</strong>ziona negativamente la<br />

bio<strong>di</strong>versità delle cenosi segetali legate alla vegetazione cerealicola, sottraendo spazio a molte specie della classe Stellarietea<br />

me<strong>di</strong>ae Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950 e degli or<strong>di</strong>ni Centaureetalia cyani Tüxen, Lohmeyer & Preising in Tüxen 1950<br />

(su suoli ricchi in basi) e Chenopo<strong>di</strong>etalia albi Tüxen (1937) 1950 (su suoli poveri <strong>di</strong> basi).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale uso degli erbici<strong>di</strong> comunemente impiegati in agricoltura per l’eliminazione delle<br />

<strong>di</strong>cotiledoni annuali.<br />

Note: Può essere confusa con V. filiformis (ve<strong>di</strong> scheda), che però è una pianta perenne, con fusti prostrati formanti un denso tappeto, foglie<br />

subrotonde con piccoli denti ottusi e pe<strong>di</strong>celli lunghi alla fioritura almeno il doppio della corrispondente foglia bratteale.<br />

Bibliografia: Cesati, 1844<br />

Famiglia: Plantaginaceae<br />

Nome scientifico: Veronica persica Poir.<br />

Nome volgare: occhi della Madonna<br />

Sinonimo: Veronica buxbaumii Ten.,<br />

non F.W.Schmidt, nom. illeg.<br />

220 221


veronica<br />

pellegrina<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-25 cm, con fusti, rami e foglie glabri. Foglie opposte, sessili; le inferiori<br />

oblanceolate, le superiori strettamente oblunghe, 1-2.5×0.2-0.6(-0.8) cm, con margine intero o dentato. Infiorescenze in<br />

racemi terminali e ascellari; brattee simili alle foglie, ma leggermente più piccole; pe<strong>di</strong>celli lunghi meno <strong>di</strong> 2 mm; calice con<br />

4 lobi; corolla in genere bianca, rotata, <strong>di</strong> circa 2 mm. Frutto costituito da una capsula obcordata, fortemente compressa, più<br />

ampia che lunga.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Preferisce suoli umi<strong>di</strong>, in posizioni soleggiate o solo parzialmente ombreggiate. Di solito si rinviene in pozze<br />

temporaneamente umide presso aree boscate, comunque in aree soggette a <strong>di</strong>sturbo antropico e con <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> suolo<br />

nudo. È presente anche come infestante nei giar<strong>di</strong>ni.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenza spora<strong>di</strong>ca su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale (50-400 m<br />

s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia<br />

(NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, naturalizzata in Italia dal Settecento.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Tramite estirpazione manuale o sarchiatura.<br />

Note: Popolazioni con peli ghiandolari sono state rinvenute nel bresciano e cremonese (Zanotti, 2008); esse sono state descritte come var.<br />

xalapensis, ma sono prive <strong>di</strong> valore sistematico.<br />

Bibliografia: Viola, 1955<br />

Famiglia: Plantaginaceae<br />

Nome scientifico: Veronica peregrina L.<br />

Nome volgare: veronica pellegrina<br />

Sinonimo: Veronica chilensis Kunth<br />

Veronica peregrina L. var. xalapensis (Kunth) Pennell<br />

Veronica xalapensis Kunth<br />

buddleja<br />

Famiglia: Scrophulariaceae<br />

Nome scientifico: Buddleja davi<strong>di</strong>i Franch.<br />

Nome volgare: buddleja, buddleia, albero delle farfalle,<br />

lillà dell’estate<br />

Sinonimo: Buddleja variabilis Hemsl.<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Arbusto <strong>di</strong> 1-5 m <strong>di</strong> altezza, con fusti ramosi, piuttosto fragili, pubescenti da giovani e quasi tetragoni; corteccia<br />

bruno-grigiasta sud<strong>di</strong>visa in lunghe fibre longitu<strong>di</strong>nali. Foglie picciolate o subsessili, opposte, lanceolate od ovato-lanceolate,<br />

lunghe 10-25 cm, acute e seghettate, verde scure <strong>di</strong> sopra e bianco-cotonose <strong>di</strong> sotto; le nervature sono infossate <strong>di</strong> sopra<br />

e sporgenti <strong>di</strong> sotto. Fiori numerosissimi, piccoli, tubulosi, lilla o porpora, con fauce arancione, molto profumati e riuniti in<br />

appariscenti grappoli terminali ai rami, stretti (cilindrici), lunghi 10-30 cm e penduli; il calice è bianco-tomentoso e piccolo, <strong>di</strong><br />

2.5 mm. I frutti sono delle piccole capsule contenenti numerosi semi alati.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Rive, vicinanze <strong>di</strong> corsi d’acqua, alluvioni, ghiaie, greti, ambienti ruderali e semiruderali (cave <strong>di</strong> ghiaia, pietra o<br />

marne), arbusteti meso-termofili e boschi ripariali (pioppeti, ontaneti, frassineti umi<strong>di</strong> e saliceti arborei).<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella submontana (0-1˙100 m s.l.m.), soprattutto lungo i<br />

fiumi e intorno ai laghi (Maggiore, Garda ecc.). Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong><br />

(INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (NAT), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel 1896; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1920 e naturalizzata<br />

almeno dal 1931 a Brescia (Fiori, 1935).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (coltivata per ornamento in parchi e giar<strong>di</strong>ni).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È una specie fortemente invasiva, soprattutto su terreni degradati, ari<strong>di</strong> o ben drenati (ambienti fluviali o ruderali<br />

e perturbati dall’uomo), in quanto forma popolamenti densi che soppiantano la vegetazione in<strong>di</strong>gena riducendo così la<br />

bio<strong>di</strong>versità delle comunità preesistenti e mo<strong>di</strong>ficando la fisionomia del paesaggio naturale. L’estrema e capillare <strong>di</strong>ffusione sul<br />

territorio regionale si deve al suo comportamento da pioniera: è, infatti, pianta rustica, che si adatta molto bene ad ogni tipo <strong>di</strong><br />

suolo (pur preferendo quello calcareo), non teme il gelo sopportando temperature fino a -15°, ha un accrescimento rapido e<br />

si propaga vegetativamente grazie a stoloni sotterrranei e sessualmente me<strong>di</strong>ante un’abbondante produzione <strong>di</strong> semi (fino a<br />

3 milioni per pianta), che il vento riesce a trasportare a lunghe <strong>di</strong>stanze. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone<br />

vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a; è inoltre inserita tra<br />

le specie esotiche a carattere infestante e dannose per la conservazione della bio<strong>di</strong>versità riportate nel r.r. 5/2007.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo prima della fioritura, ripetuto per alcuni anni e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>,<br />

soprattutto in caso <strong>di</strong> ripollonamento; quin<strong>di</strong> si deve non lasciare il terreno nudo, ma favorire la vegetazione spontanea con la<br />

semina <strong>di</strong> specie in<strong>di</strong>gene. Visto che sopporta molto bene anche le drastiche potature, che anzi la ringiovaniscono rendendola<br />

così più vigorosa, l’azione <strong>di</strong> contenimento migliore sarebbe quella <strong>di</strong> sra<strong>di</strong>care ogni singola pianta. Si dovrebbe anche<br />

intervenire preventivamente, soprattutto in vicinanza <strong>di</strong> zone sensibili, invitando i giar<strong>di</strong>nieri e la popolazione a rinunciare al<br />

suo uso ornamentale sostituendola con altre specie o cultivar meno invasive, o ad<strong>di</strong>rittura con specie autoctone; in alternativa<br />

si potrebbe suggerire <strong>di</strong> potare la pianta prima della fruttificazione e bruciare la parte tagliata, evitando così la <strong>di</strong>spersione<br />

dei semi.<br />

Note: Nonostante sia nota come l’albero delle farfalle, in realtà è dannosa anche per loro poiché attira e nutre solo quelle cosiddette “generaliste”,<br />

mentre le farfalle “specialiste”, cioè quelle che per il loro ciclo vitale necessitano <strong>di</strong> determinate specie vegetali in<strong>di</strong>gene, non sopravvivono se le<br />

loro piante nutrici si rarefanno in seguito all’invasività della buddleja.<br />

Bibliografia: Fiori, 1935<br />

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vandellia<br />

delle risaie<br />

Famiglia: Linderniaceae<br />

Nome scientifico: Lindernia dubia (L.) Pennell<br />

Nome volgare: vandellia delle risaie, lindernia delle risaie<br />

Basionimo: Gratiola dubia L.<br />

Sinonimo: Capraria gratiolioides L.<br />

Gratiola anagallidea Michx. / Gratiola inaequalis Walter<br />

Ilysanthes attenuata (Muhl. ex Elliott) Small<br />

Ilysanthes dubia (L.) Barnhart<br />

Ilysanthes gratiolioides (L.) Benth.<br />

Ilysanthes inaequalis (Walter) Pennell<br />

Ilysanthes riparia Raf.<br />

Lindernia anagallidea (Michx.) Pennell<br />

Lindernia attenuata Muhl. ex Elliott<br />

Lindernia dubia (L.) Pennell var. anagallidea (Michx.) Cooperr<br />

Lindernia dubia (L.) Pennell var. riparia (Raf.) Fernald<br />

Lindernia gratiolioides (L.) J.Lloyd & Foucaud<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, glabra, alta 5-12 cm, con fusto eretto o prostrato, ramoso specialmente nella parte<br />

superiore. Foglie opposte, da ovate a obovate, <strong>di</strong> 8-25×5-15 mm, attenuate o arrotondate alla base, con margine dentellato.<br />

Fiori solitari all’ascella delle foglie, su peduncoli <strong>di</strong> 5-12 mm, <strong>di</strong> cui gli inferiori più brevi della foglia ascellante; calice<br />

regolarmente <strong>di</strong>viso in 5 lacinie lineari <strong>di</strong> 3-5 mm; corolla lunga 7-8 mm, bianco-rosea, con tubo strettamente campanulato e<br />

lembo bilabiato a labbro superiore minore, piano, eretto, bilobato e labbro inferiore maggiore, patente, a 3 lobi; stami 4, <strong>di</strong> cui<br />

2 sterili (stamino<strong>di</strong>) e speronati alla base; ovario supero. Il frutto è una capsula setticida ovato-appuntita, subeguale al calice o<br />

più breve, contenente numerosi semi a testa foveolata.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica sudorientale.<br />

Habitat: Risaie, greti, fanghi in ambito golenale.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale, nella zona delle risaie e lungo il Po. Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong><br />

(INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, giunta in Francia probabilmente con le navi da commercio nel 1850; in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a<br />

osservata per la prima volta nel 1927 nelle risaie del milanese (Stucchi, 1949a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale (presumibilmente con i risi).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì, ma solo alla produzione risicola.<br />

Impatto: Infestante, che crea soltanto uno scarso <strong>di</strong>sturbo alla bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetazionali <strong>di</strong> risaia.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale <strong>di</strong>serbo in risaia.<br />

Note: Una variante dai peduncoli inferiori maggiori della foglia ascellante, dalle foglie inferiori ovate con base arrotondata o cordata e dalla<br />

capsula superante in lunghezza il calice venne identificata nel 1972 (Cook, 1973) sotto il binomio L. anagallidea (vandellia bellichina), risultando<br />

presente nelle risaie pavesi (oltre che vercellesi); anche questa specie appartiene al contingente floristico nordamericano. Una recente<br />

revisione del complesso <strong>di</strong> L. dubia (Lewis, 2000) riduce L. anagallidea a rango varietale; tuttavia secondo Brent & Wayne (2005), che hanno<br />

esaminato oltre 2200 campioni, esiste un ampio campo <strong>di</strong> variabilità che non sostiene le sud<strong>di</strong>visioni sistematiche <strong>di</strong> L. dubia. Del resto anche<br />

le recenti Standardliste della Germania (Fischer, 1998) e la Flora della Cina (Deyuan et al., 1998) sinonimizzano completamente queste specie.<br />

A fronte dell’entità esotica, ricorderemo L. procumbens (Krocker) Borbás (vandellia comune), autoctona a <strong>di</strong>stribuzione eurasiatica, propria dei<br />

suoli fangosi meso-eutrofici, temporaneamente inondati. Si <strong>di</strong>stingue facilmente per i fiori piccoli (corolla inferiore a 6 mm), provvisti <strong>di</strong> 4 stami<br />

funzionali e può essere anch’essa presente in ambiente <strong>di</strong> risaia.<br />

Bibliografia: Brent & Wayne, 2005; Cook, 1973; Deyuan et al., 1998; Fischer, 1998; Lewis, 2000; Pirola, 1964b; Stucchi, 1949a<br />

stregonia<br />

cigliata<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-70 cm, con fusti eretti, subglabri o puberuli. Foglie opposte, ovato-ellittiche, <strong>di</strong><br />

2-10×1-4 cm, acute, crenato-seghettate. Fiori in verticillastri biflori su spighe compatte, unilaterali, con brattee <strong>di</strong> 4-5(-7) mm,<br />

obovato-orbicolari, cuspidate, intere, leggermente più lunghe dei fiori; calice campanulato a 5 nervi, con 5 denti subeguali,<br />

lungo 1.5-2 mm, pubescente, accrescente nel frutto; corolla bilabiata, lilacina, lunga 3-4 mm, con tubo <strong>di</strong>ritto, labbro superiore<br />

a cappuccio e labbro inferiore trilobato; stami 4, <strong>di</strong>vergenti, con antere nero-purpuree, <strong>di</strong> poco eccedenti in lunghezza il<br />

labbro superiore; ovario supero. Il frutto è un trimario, cioè uno schizocarpo costituito da 4 nucule, nella fattispecie lisce o<br />

rugose esternamente.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia centro-orientale.<br />

Habitat: Incolti ruderali.<br />

Distribuzione nel territorio: Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla fine del Settecento. Segnalata per la prima volta in Italia in Friuli-<br />

Venezia Giulia (Pol<strong>di</strong>ni, 1991), in Lombar<strong>di</strong>a osservata dal 2002 (Macchi, 2005).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (erboristeria).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Macchi, 2005; Pol<strong>di</strong>ni, 1991<br />

Famiglia: Lamiaceae<br />

Nome scientifico: Elsholtzia ciliata (Thunb.) Hyl.<br />

Nome volgare: stregonia cigliata<br />

Basionimo: Sideritis ciliata Thunb.<br />

Sinonimo: Elsholtzia cristata Willd.<br />

Elsholtzia patrinii (Lepech.) Garcke<br />

Mentha patrinii Lepech.<br />

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mimolo<br />

macchiato<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 20-50 cm, glabra (salvo peli ghiandolari sull’infiorescenza), con fusto ascendente,<br />

robusto, internamente cavo. Foglie opposte, le inferiori brevemente picciolate, le superiori sessili, largamente ovate, lunghe<br />

fino a 5 cm, irregolarmente dentate al margine, con apice acuto od ottuso. Fiori in racemi terminali 3-7-flori, ciascuno<br />

all’ascella <strong>di</strong> brattee, su peduncoli <strong>di</strong> 12-25 mm; calice lungo 15-20 mm, a 5 denti <strong>di</strong>suguali, il superiore dei quali più lungo e<br />

più largo degli altri; corolla <strong>di</strong> circa 40×30 mm, giallo vivo, con tubo cilindrico-campanulato e lembo bilabiato, ± punteggiata<br />

<strong>di</strong> rosso alla fauce, che è occlusa da una doppia linea <strong>di</strong> lunghi peli inseriti sul labbro inferiore; stami 4, <strong>di</strong><strong>di</strong>nami, inclusi nel<br />

tubo; ovario supero; stigma brevemente bilobo. Il frutto è una capsula loculicida con numerosi semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica (dall’Alasca al Messico).<br />

Habitat: Boscaglie, forre.<br />

Distribuzione nel territorio: Pavese (Valle della Vernavola in comune <strong>di</strong> Pavia). Pavia (NAT), Varese (CAS). [Mazus miquelii:<br />

Cremona (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, raccolta per la prima volta in Italia in Trentino-Alto A<strong>di</strong>ge nel 1926 (Fiori, 1928, sub M.<br />

luteus), in Lombar<strong>di</strong>a nel 1978 nel pavese (Gar<strong>di</strong>ni Peccenini, 1980).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico, ma assai localizzato.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Note: Della stessa famiglia è stata recentemente segnalata (Zanotti, 1996 sub M. japonicus), come naturalizzata, Mazus miquelii Makino (= M.<br />

japonicus auct., non (Thunb.) Kuntze, = M. reptans N.E.Br.; mazus perenne), introdotta dal Giappone quale tappezzante da giar<strong>di</strong>no. È un’erbacea<br />

perenne dai fusti ascendenti lunghi 10-15 cm, collegati da stoloni lunghi fino a 20 cm, ra<strong>di</strong>canti o no ai no<strong>di</strong>. Si riconosce subito per i fiori<br />

violetti o bianchi punteggiati <strong>di</strong> viola, lunghi 1.5-2 cm, bilabiati, con caratteristico labbro inferiore allargato orizzontalmente, trilobo, a lobo<br />

me<strong>di</strong>ano obovato, più breve dei lobi laterali e labbro superiore eretto, breve. Non è nota un’eventuale potenzialità invasiva <strong>di</strong> questa specie.<br />

In Lombar<strong>di</strong>a si trova ancora, casuale, Mazus pumilus (Burm.f.) Steenis (= Lobelia pumila Burm.f., = Mazus japonicus (Thunb.) Kuntze; mazus<br />

annuale), osservato a Villareale in comune <strong>di</strong> Cassolnovo (PV) (Desfayes, 1997) ed all’interno del Parco Regionale dell’Adda Sud in comune <strong>di</strong><br />

Castiglione d’Adda (LO) (Francesco Zonca, in verbis), oltre che all’interno dell’Orto Botanico <strong>di</strong> Pavia (Peccenini Gar<strong>di</strong>ni, 1985).<br />

Bibliografia: Desfayes, 1997; Fiori, 1928; Gar<strong>di</strong>ni Peccenini, 1980; Peccenini Gar<strong>di</strong>ni, 1985<br />

Famiglia: Phrymaceae<br />

Nome scientifico: Mimulus guttatus DC.<br />

Nome volgare: mimolo macchiato<br />

Sinonimo: Mimulus luteus auct., non L.<br />

paulownia<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero alto sino a 20 m. Foglie maleodoranti, decidue, opposte oppure occasionalmente in verticilli <strong>di</strong> 3; lamina<br />

largamente ovata, lunga fino a 40 cm, sparsamente o densamente pubescente, con margine intero, a volte leggermente<br />

ondulato, apice acuto e base cordata. Infiorescenza formata da un’ampia pannocchia piramidale, eretta (tipo ippocastano),<br />

lunga sino a 50 cm; peduncolo dell’infiorescenza e peduncoli fiorali lunghi 1-2 cm; calice lungo circa 1.5 cm, campanulato, con<br />

5 lobi lunghi da metà a poco più del tubo; corolla profumata, bilabiata e campanulata, ghiandolosa, <strong>di</strong> un vistoso lilla violetto,<br />

lunga 5-7.5 cm. Frutto costituito da una capsula biloculare, ovoide-appuntita, lunga 3-4.5 cm, appiccicoso-ghiandolosa,<br />

contenente semi alati, lunghi 2.5-4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Negli ambienti antropizzati, dove è maggiormente <strong>di</strong>ffusa, cresce soprattutto lungo i margini stradali e nelle<br />

spaccature dei vecchi muri, qualche volta sui vecchi tetti. In ambienti a maggior naturalità si rinviene nelle boscaglie aperte e<br />

sulle rupi. Sembra pre<strong>di</strong>ligere suoli asciutti in posizione calda e soleggiata.<br />

Distribuzione nel territorio: Spora<strong>di</strong>camente <strong>di</strong>ffusa su tutto il territorio regionale (50-800 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Sondrio<br />

(NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia verso la metà del secolo XIX. In Lombar<strong>di</strong>a segnalata da Giacomini (1950).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per parchi, giar<strong>di</strong>ni e alberature stradali.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Attualmente la specie non presenta popolazioni <strong>di</strong> consistenza numerica tale da comportare alterazioni della<br />

bio<strong>di</strong>versità e del paesaggio.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione del novellame. Controllo e possibile era<strong>di</strong>cazione degli esemplari fruttificanti<br />

me<strong>di</strong>ante intervento meccanico (taglio alla base o cercinatura), da ripetersi sui polloni, eventualmente coa<strong>di</strong>uvato dall’uso<br />

localizzato <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici.<br />

Note: È un albero coltivato <strong>di</strong>ffusamente in parchi e giar<strong>di</strong>ni; inoltre come coltura legnosa a rapido accrescimento. La posizione sistematica delle<br />

Paulowniaceae è molto isolata, lontana sia dalle Bignoniaceae, nelle quali una volta erano incluse, sia dalle altre famiglie dell’or<strong>di</strong>ne Lamiales.<br />

Bibliografia: Giacomini, 1950<br />

Famiglia: Paulowniaceae<br />

Nome scientifico: Paulownia tomentosa (Thunb.) Steud.<br />

Nome volgare: paulownia, paulonia<br />

Basionimo: Bignonia tomentosa Thunb.<br />

Sinonimo: Incarvillea tomentosa (Thunb.) Spreng.<br />

Paulownia imperialis Siebold & Zucc., nom. illeg.<br />

Paulownia tomentosa (Thunb.) Britton, comb. superfl.<br />

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catalpa<br />

cinese<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Albero che può raggiungere 15 m d’altezza, con chioma espansa, largamente convessa nei vecchi esemplari.<br />

Foglie decidue, opposte, talvolta in parte verticillate; picciolo <strong>di</strong> 6-18 cm; lamina ampiamente ovata, <strong>di</strong> 25×25 cm, scabra, da<br />

sparsamente pubescente a glabra; margine intero o sinuoso, <strong>di</strong> norma con tre lobi; base cordata; apice acuminato. Fiori in<br />

larghe pannocchie terminali; peduncolo dell’infiorescenza sparsamente pubescente, lungo 12-28 cm; calice bilabiato, lungo<br />

6-8 mm; corolla campanulata, giallo pallido (colore <strong>di</strong> fondo), <strong>di</strong> 2.5×2 cm, bilabiata; labbro superiore con 2 lobi, l’inferiore<br />

trilobo; fauce punteggiata <strong>di</strong> porpora, con due strie giallo scuro; stami <strong>di</strong><strong>di</strong>nami, i due fertili inclusi nella corolla; stilo filiforme,<br />

stigma bilobato. Il frutto è una capsula lineare allungata (“sigaro”), <strong>di</strong> 20-30×0.5-0.7 cm, pendula, con semi ellissoidali, piatti,<br />

<strong>di</strong> 6-8×3 mm circa, contornati da un’ala scariosa, brunastra.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Greto sassoso, in boscaglia con Populus nigra e Salix purpurea.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora rinvenuta spontanea solamente in una stazione planiziale lungo il Fiume Ticino, a ca. 160<br />

m s.l.m. (Cascina Gaggio, Tornavento -VA-). Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in Italia e in Lombar<strong>di</strong>a da<br />

Banfi et al. (2009).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per ornamento.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nell’unica località <strong>di</strong> rinvenimento, la specie sembra un componente naturale della boscaglia ripariale <strong>di</strong><br />

colonizzazione del greto. La rinnovazione è abbondante, in particolare nei tratti scoperti del greto fluviale ciottoloso;<br />

l’accrescimento si mostra veloce e concorrenziale nei confronti delle essenze autoctone. Impatto e potenzialità invasiva<br />

dovranno quin<strong>di</strong> essere monitorati nell’imme<strong>di</strong>ato futuro.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata rimozione del novelleto. Controllo ed eventuale era<strong>di</strong>cazione degli esemplari fruttificanti<br />

me<strong>di</strong>ante taglio alla base o cercinatura, da ripetersi sui polloni, eventualmente coa<strong>di</strong>uvato dall’uso locale <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> sistemici.<br />

Note: Altre due specie <strong>di</strong> Catalpa vengono ampiamente coltivate (spesso in cultivar <strong>di</strong>verse) dalla metà del XVIII secolo in parchi, giar<strong>di</strong>ni,<br />

alberature ecc. e non <strong>di</strong> rado sono state osservate casuali in natura; si tratta <strong>di</strong>:<br />

C. bignonioides Walter (catalpa comune, albero dei sigari), originaria degli USA sudorientali e caratterizzata da foglie puzzolenti, corolla lunga<br />

3-3.5 cm e capsula larga 9 mm o più;<br />

C. speciosa (Warder) Engelm. (= C. bignonioides Walter var. speciosa Warder, = C. bignonioides auct., non Walter; catalpa vistosa, albero dei sigari),<br />

originaria degli USA nordorientali e caratterizzata da foglie non puzzolenti, corolla lunga 4-5 cm e capsula larga 13-18 mm.<br />

Le due specie sono molto simili tra loro anche dal punto <strong>di</strong> vista molecolare e a volte sono state trattate come conspecifiche (Li, 2008);<br />

entrambe si <strong>di</strong>stinguono da C. ovata per la corolla più lunga (> 2.5 cm), dal colore <strong>di</strong> fondo bianco o roseo, e per la capsula più larga (> 7 mm).<br />

I popolamenti esotici casuali rinvenuti in Lombar<strong>di</strong>a e in Italia sono stati sempre confusi e attribuiti esclusivamente a C. bignonioides. In Lombar<strong>di</strong>a<br />

sono presenti entrambe (a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> quanto riportato da Banfi et al., 2009), ma al momento non è possibile precisarne la <strong>di</strong>stribuzione. Dai pochi<br />

dati <strong>di</strong>sponibili sembra che C. speciosa sia la più <strong>di</strong>ffusa (almeno nelle province <strong>di</strong> Cremona, Lo<strong>di</strong> e <strong>Milano</strong>: Banfi & Galasso, osservazioni personali;<br />

Giordana, in verbis), mentre la vera C. bignonioides sarebbe presente almeno in provincia <strong>di</strong> Pavia (Ardenghi, in verbis 2009).<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009; Paclt, 1952<br />

Famiglia: Bignoniaceae<br />

Nome scientifico: Catalpa ovata G.Don<br />

Nome volgare: catalpa cinese, albero dei sigari cinese<br />

campanula<br />

serba<br />

Famiglia: Campanulaceae<br />

Nome scientifico: Campanula poscharskyana Degen<br />

Nome volgare: campanula serba<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne con pubescenza appressata; fusti numerosi, lunghi 15-20(-30) cm, lassi e spesso<br />

sdraiati. Foglie alterne, all’inizio densamente ispido-grigiatre, quin<strong>di</strong> glabrescenti, le basali picciolate, ovato-cordate, a margine<br />

doppiamente dentato, le cauline seghettate o intere, subsessili. Fiori lungamente peduncolati, riuniti in una pannocchia ampia<br />

e lassa; denti calicini 5, lanceolati, setoloso-cigliati, lunghi circa 4 volte il sottostante ovario; corolla largamente imbutiforme,<br />

violetta con fauce più o meno sbiancata, larga 20-25 mm; stami 5; ovario infero; stilo trifido. Il frutto è una capsula poricida<br />

contenente numerosi, minuti semi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-agosto.<br />

Area d’origine: Europa sudorientale (ex-Jugoslavia occidentale).<br />

Habitat: Muri (in patria basi <strong>di</strong> rupi e pareti rocciose).<br />

Distribuzione nel territorio: Comasco (Lezzeno) e lecchese (Cernusco Lombardone). Como (NAT), Lecco (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, immessa recentemente sul mercato floricolo. Segnalata qui per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a<br />

e in Italia (osservata da Graziano Cattaneo nel 2008 e da Silviana Mauri nel 2009).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico-paesaggistico locale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Eventuale era<strong>di</strong>cazione.<br />

Note: Diverse campanule <strong>di</strong> questo gruppo sono vendute nei garden center, la più in voga delle quali, dopo la specie in questione, è C.<br />

portenschlagiana Schult. (campanula dalmata). Quest’ultima, che proviene dalla medesima area geografica, si <strong>di</strong>stingue facilmente per la corolla<br />

campanulata, non svasata, e per i margini fogliari sinuato-crenati anziché dentati o seghettati. Finora è stata osservata casuale a Pavia e Maresso<br />

(Missaglia, LC), ma non sembra essere stata capace <strong>di</strong> affermarsi fuori coltura; segnalata qui per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a e in Italia (osservata<br />

da Nicola Ardenghi e Silviana Mauri nel 2009).<br />

228 229


ambrosia<br />

comune<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Ambrosia artemisiifolia L.<br />

Nome volgare: ambrosia comune<br />

Sinonimo: Ambrosia elatior L.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta sino a 60 cm, eccezionalmente oltre 1 m. Foglie opposte alla base del fusto, nel resto<br />

alterne; picciolo lungo 25-35 mm; lamina largamente triangolare, lanceolata o ellittica, <strong>di</strong> 2.5-5.5(-10)×2-3 cm, 1-2 volte pennata con<br />

lacinie larghe 1-5 mm, sparsamente pelose; base cuneata. Fiori maschili tubulosi, riuniti in capolini unisessuali, composti da 12-20 o<br />

più fiori, raggruppati in racemi terminali eretti; stami singenesii, a <strong>di</strong>spersione pollinica anemofila; capolini femminili uniflori, all’ascella<br />

delle foglie poste imme<strong>di</strong>atamente al <strong>di</strong> sotto dei capolini maschili. Frutto composto da un involucro monospermo, fusiforme, <strong>di</strong><br />

3(-5)×2 mm, con in genere 4-5 tubercoli inseriti all’apice.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ambienti <strong>di</strong>sturbati, a copertura del suolo instabile, come margini stradali, binari ferroviari, <strong>di</strong>scariche, cantieri, aree<br />

abbandonate, campi set-aside e campi incolti (stoppie), post-colture ecc.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la regione, soprattutto in pianura e nei fon<strong>di</strong>valle fino a circa 500 m s.l.m.; in Pianura<br />

Padana localmente infestante e abbondantissima, spesso attorno alle metropoli. A quote crescenti si fa via via più rara, rifugiandosi<br />

in posizioni calde e riparate. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza<br />

(INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV). [A. psilostachya: Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, osservata per la prima volta in Europa nel 1863 a Pfaffendorf presso Beeskow nel Brandeburgo<br />

(Germania) e poi <strong>di</strong>ffusasi in Gran Bretagna, Belgio, Olanda, Francia ecc.; il primo esemplare raccolto in Italia, ad Alba, è del 1902<br />

(Vignolo-Lutati, 1935). Presente in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1940 (Stucchi, 1949b).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente con le colture (trifoglio, me<strong>di</strong>ca, patate ecc.).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Il principale aspetto negativo <strong>di</strong> questa pianta è <strong>di</strong> natura me<strong>di</strong>co-sanitaria e deriva dall’enorme produzione <strong>di</strong> polline, quale<br />

causa molto seria <strong>di</strong> allergie (Dal Bo, 1980). È infatti una specie anemofila che, affidando il polline al vento, ne deve produrre in quantità<br />

elevatissime e caso vuole che questo polline sia uno tra i più allergenici che si conoscano. Le allergie che essa provoca sono particolarmente<br />

fasti<strong>di</strong>ose e inabilitanti e sicuramente in aumento anche per il continuo peggioramento della qualità dell’aria; il problema sanitario è<br />

rilevante anche dal punto <strong>di</strong> vista del numero delle persone coinvolte (nelle zone infestate circa il 10% della popolazione). Inoltre è un<br />

competitore infestante, in grado <strong>di</strong> deprimere la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi erbacee e <strong>di</strong> degradare il paesaggio. Costituisce anche un<br />

gravissimo problema economico: ad esempio, la stima della spesa sanitaria correlata all’allergopatia da ambrosia complessivamente<br />

sostenuta a livello della sola A.S.L. n° 1 della Provincia <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (2006) è risultata per l’anno 2005 pari a € 1˙610˙884.00. Allo stato attuale<br />

A. artemisiifolia non è sicuramente in fase <strong>di</strong> regressione, sia per l’estrema <strong>di</strong>ffusione della specie, sia per l’inefficacia dei meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> lotta<br />

adottati sinora, ma soprattutto per l’inadeguatezza dei controlli <strong>di</strong>retti al rispetto dell’or<strong>di</strong>nanza regionale. È specie inclusa nella lista nera<br />

delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Data l’estrema <strong>di</strong>ffusione della pianta e l’intolleranza al suo polline, la Direzione Generale Sanità della<br />

Regione Lombar<strong>di</strong>a nel 1997 ha istituito un apposito gruppo <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e nel 1999 ha emanato un’or<strong>di</strong>nanza del Governatore (29<br />

marzo 1999, n. 25˙522) contro la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie tramite l’obbligo <strong>di</strong> tre sfalci da effettuarsi nelle terze deca<strong>di</strong> dei mesi<br />

<strong>di</strong> giugno, luglio e agosto. Con un successivo decreto del 2004 (4 maggio 2004, n. 7˙257) ha infine approvato le linee guida per la<br />

prevenzione delle sue allergopatie, che prevedono anche l’adozione <strong>di</strong> Or<strong>di</strong>nanze Sindacali che ne impongano il taglio perio<strong>di</strong>co.<br />

Occorre tuttavia notare come esemplari in fioritura <strong>di</strong> A. artemisiifolia alti soltanto pochi centimetri, sopravissuti allo sfalcio, siano stati<br />

osservati <strong>di</strong> frequente. Ove possibile si rende necessario il mantenimento <strong>di</strong> una copertura vegetale stabile del suolo; in alternativa, si<br />

raccomanda l’uso <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>, ovvero il sovescio estivo delle stoppie nei campi (Alleva, 2008).<br />

Note: Occorre accennare alla presenza sul territorio regionale <strong>di</strong> un altra specie naturalizzata <strong>di</strong> ambrosia, A. psilostachya DC. (= A. coronopifolia<br />

Torr. & A.Gray; ambrosia delle sabbie), che <strong>di</strong>fferentemente da A. artemisifolia, è una pianta erbacea perenne, con foglie semplicemente pennate e<br />

porzione centrale in<strong>di</strong>visa della lamina fogliare larga 5-15 mm (in A. artemisifolia soltanto 1-5 mm). È stata osservata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a<br />

nel 1979 nel pavese da Soldano (1980a) ed è presente lungo il Po nelle province <strong>di</strong> Pavia, Lo<strong>di</strong> e Cremona. Infine si ricorda che A. trifida L. (ambrosia<br />

trifida) è stata osservata casuale in provincia <strong>di</strong> Pavia (Viola, 1953) e <strong>di</strong> Brescia (Zanotti, 1988a).<br />

assenzio<br />

annuale<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Artemisia annua L.<br />

Nome volgare: assenzio annuale<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, glabra e intensamente profumata <strong>di</strong> vermouth. Fusti eretti e striati,<br />

ramosi, spesso arrossati. Foglie 2-3-pennatosette, tenui, lunghe 3-4 cm, <strong>di</strong>vise in lacinie larghe 0.5-0.8 mm, revolute al margine.<br />

Infiorescenza terminale, formata da numerosissimi piccoli capolini (calati<strong>di</strong>) del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 2 mm, subsessili, perlopiù penduli,<br />

con fillari (brattee) paglierini, ver<strong>di</strong> sulla nervatura, provvisti <strong>di</strong> largo margine ialino, <strong>di</strong>sposti in ampia pannocchia fogliosa. Fiori<br />

tutti a corolla tubulosa, con 5 denti regolari, giallognola. I frutti sono minuscoli acheni senza pappo.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Asia (Cina continentale steppica).<br />

Habitat: Sentieri, strade rurali, macerie, basi <strong>di</strong> muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie, scarpate, aree industriali abbandonate, infrastrutture<br />

e<strong>di</strong>lizie, campi, colture, incolti ghiaiosi e sabbiosi.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla pianura alla collina (0-500 m s.l.m.), localmente infestante e abbondantissima.<br />

Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona (INV), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV),<br />

Pavia (INV). [A. scoparia: Cremona (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel Settecento; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius<br />

botanicus ticinensis, 1785; Scopoli, 1785). Raccolta per la prima volta in natura al Viminale (Roma) nel 1890 (Chiovenda, 1897),<br />

in Lombar<strong>di</strong>a è stata segnalata per la prima volta da Ugolini (1933) nel bresciano dove la raccolse già nel 1925 (Bianchini, 1967).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta me<strong>di</strong>cinale ad azione antimalarica).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Deprime la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali invase riducendone la componente autoctona; mo<strong>di</strong>fica la<br />

percezione locale del paesaggio; contribuisce alle pollinosi allergiche del periodo estivo-autunnale.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Falciature <strong>di</strong>stribuite nei mesi <strong>di</strong> agosto, settembre e ottobre, per impe<strong>di</strong>re la fioritura e la<br />

formazione <strong>di</strong> semi; era<strong>di</strong>cazione manuale in caso <strong>di</strong> infestazione circoscritta; erbici<strong>di</strong> mirati per uso locale. Ove possibile<br />

provvedere al più presto a stabilizzare una copertura vegetale del suolo me<strong>di</strong>ante semina o impianto <strong>di</strong> specie autoctone.<br />

Note: L’attuale presenza incontrollata della specie sul territorio nasce da coltivazioni tuttora in esercizio per l’estrazione dell’artemisinina, molecola<br />

<strong>di</strong> interesse me<strong>di</strong>cinale in quanto dotata <strong>di</strong> azione antimalarica. Lungo il Po in provincia <strong>di</strong> Cremona (Isola Pescaroli e Isola Santa Maria) è stata<br />

trovata naturalizzata anche A. scoparia Waldst. & Kit. (assenzio da scope)(Petraglia & Antoniotti, 2004; Bonali et al., 2006a), neofita <strong>di</strong> origine esteuropea,<br />

introdotta in Italia all’inizio dell’Ottocento, simile ad A. annua ma bienne, alta 30-100 cm, con fusti eretti, subglabri e foglie glabre a<br />

segmenti terminali lineari, filiformi o setacei. Le calati<strong>di</strong>, ovoi<strong>di</strong> o subsferiche, non maggiori <strong>di</strong> 2 mm, presentano fillari luci<strong>di</strong> e sono <strong>di</strong>sposte in<br />

racemo o pannocchia piramidale, con fiori profumati, a corolla rossastra.<br />

Bibliografia: Bianchini, 1967; Bonali et al., 2006a; Caramiello et al., 1987; Chiovenda, 1897; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785; Petraglia &<br />

Antoniotti, 2004; Scopoli, 1785; Ugolini, 1933<br />

230<br />

Bibliografia: Alleva, 2008; Arietti & Crescini, 1975; A.S.L. della Provincia <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> N°1, 2006; Dal Bo, 1980; Soldano, 1980a; Stucchi, 1942, 1949b;<br />

Vignolo-Lutati, 1935; Viola, 1953; Zanotti, 1988a<br />

231


assenzio<br />

dei fratelli<br />

verlot<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Artemisia verlotiorum Lamotte<br />

Nome volgare: assenzio dei fratelli Verlot<br />

Sinonimo: Artemisia selengensis auct., non Turcz. ex Besser<br />

Artemisia umbrosa auct., non (Turcz. ex Besser) Turcz. ex DC.<br />

Artemisia vestita Wall.<br />

Artemisia vulgaris L. subsp. verlotiorum (Lamotte) Bonnier<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 50-200 cm, con intenso odore aromatico (vermouth); fusto eretto, ramoso, con lunghi<br />

rizomi o stoloni orizzontali striscianti. Foglie 1-2-pennatosette, verde scuro e glabrescenti <strong>di</strong> sopra, verde-grigiastro chiaro e pelose<br />

inferiormente, con lacinie intere; foglie superiori con segmenti <strong>di</strong> primo or<strong>di</strong>ne interi. Capolini (calati<strong>di</strong>) numerosi, ovoi<strong>di</strong>, subsessili,<br />

più lunghi che larghi, con fillari (brattee) glabrescenti, costituiti da numerosi fiori tubulosi a corolla bruna o rossastra; infiorescenza a<br />

pannocchia strettamente piramidale, fogliosa. I frutti sono acheni lunghi 2-3 mm, bruni, senza pappo.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-novembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Incolti, campi, vigne, sentieri, strade rurali, macerie, zone residenziali, base dei muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie, scarpate,<br />

suoli industriali abbandonati, margini e radure delle boscaglie, boschi ripariali <strong>di</strong>sturbati (pioppeti, ontaneti, frassineti umi<strong>di</strong>,<br />

saliceti), fanghi e alvei fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, da 0 a 600 m s.l.m., soprattutto in pianura, lungo i fiumi, nelle città e, in generale,<br />

negli ambienti coltivati e ruderali con<strong>di</strong>zionati dall’uomo. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco<br />

(INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta a Grenoble e Clermont-Ferrand (Francia) nel 1873, da dove<br />

si è rapidamente <strong>di</strong>ffusa in tutta Europa, Italia inclusa (Pampanini, 1923, 1925, 1933). In Italia raccolta per la prima volta in<br />

Piemonte nel 1906 (Gola, 1910), ma forse già nel 1902 o anche nel 1896 in Veneto (Ugolini, 1923); in Lombar<strong>di</strong>a raccolta nel<br />

1910 (Cozzi, 1922), nel 1929 era già «universalmente <strong>di</strong>ffusa» (Stucchi, 1929a).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, a seguito alle guerre francesi in Cina <strong>di</strong> fine Ottocento.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Forte competitore allelopatico, caratterizzato da esuberanza espansiva (rapido allungamento e frazionamento dei<br />

rizomi), capace in breve tempo <strong>di</strong> stabilizzare popolamenti monofitici densi ed estesi, che impe<strong>di</strong>scono o limitano fortemente<br />

la crescita delle altre specie erbacee. Tale aggressività, massimale sui suoli ricchi a umi<strong>di</strong>tà variabile, da leggeri a pesanti, da<br />

subaci<strong>di</strong> a subalcalini, è favorita da episo<strong>di</strong> ricorrenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo, fra cui incen<strong>di</strong>, scassi e movimenti terra in generale. È perciò<br />

dannosa per le superfici agricole e i seminativi, oltre, ovviamente, ad abbattere la bio<strong>di</strong>versità delle comunità vegetali visitate;<br />

è pure decisamente deleteria sul paesaggio, che banalizza fortemente monotonizzandolo. Infine, anche il polline è causa<br />

<strong>di</strong> guai, rientrando tra i più comuni fattori allergenici dell’aria <strong>di</strong> fine stagione. È specie inclusa nella lista nera delle specie<br />

alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La lotta contro questa aliena è molto <strong>di</strong>fficile, perché eliminarne i rizomi è non soltanto un’impresa<br />

improponibile in termini <strong>di</strong> costi, ma anche il risultato non darebbe garanzie; inoltre l’uso degli erbici<strong>di</strong> in questo caso va<br />

ban<strong>di</strong>to in considerazione dell’estensione dei popolamenti e del fatto che questi sono per lo più compenetrati con le superfici<br />

agricole, urbane e boscate. Si può ipotizzare che tagli ripetuti prima della fioritura possano far progressivamente perdere<br />

vigore ai rizomi e portare lentamente la pianta a esaurimento, ma non esiste esperienza consolidata al riguardo.<br />

Note: Può essere confusa con il falso assenzio (Artemisia vulgaris L.), specie autoctona propria delle comunità <strong>di</strong> erbe perenni in ambiente secondario, che<br />

si <strong>di</strong>stingue per l’assenza quasi totale <strong>di</strong> aroma, per non possedere rizomi o stoloni evidenti (pianta cespitosa) e per le foglie superiori con segmenti <strong>di</strong> 1°<br />

or<strong>di</strong>ne dentati o pennatosetti, visibilmente bianco-tomentosi o cenerino-tomentosi sulla faccia abassiale. Nel territorio è stato rinvenuto anche l’abrotano<br />

(A. abrotanum L.), neofita <strong>di</strong> area me<strong>di</strong>terranea dal caratteristico odore <strong>di</strong> limone, con fusti legnosi ramosissimi (frutice), glabri, foglie completamente<br />

<strong>di</strong>vise in lacinie filiformi e capolini subsferici (2-5 mm), con ricettacolo glabro. Era coltivata nei secoli passati (orti dei semplici) per le proprietà me<strong>di</strong>cinali e<br />

aromatiche e ora si ritrova in territorio lombardo in forma <strong>di</strong> relitto casuale e precario nei pressi <strong>di</strong> orti, coltivi e in aree ruderali.<br />

forbicina<br />

bipennata<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 30-80 cm, con fusto striato, subtetragono, talvolta densamente ramificato, glabro.<br />

Foglie in prevalenza opposte, bipennatosette a contorno ovato, con segmenti laterali profondamente lobati, larghi 5-7 mm,<br />

il terminale lesiniforme e lungo fino a 22 mm; picciolo lungo fino a 10 cm, strettamente alato. Capolini (calati<strong>di</strong>) cilindrici, del<br />

<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 1 cm, con 4-5 fiori periferici ligulati, gialli, gli altri tubulosi con corolla regolare a 5 denti, gialla; involucro lungo<br />

6 mm, con 7-11 fillari (brattee) esterni, più corti degli interni. I frutti maturi sono acheni <strong>di</strong> colore nerastro, compressi, lunghi<br />

circa il doppio dell’involucro del capolino (9 mm), con 2-3(-4) reste apicali retrorsamente setolose, lunghe 3 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Colture, campi, vigneti, incolti, rupi, muri, ripari sotto roccia, bor<strong>di</strong> stradali, marciapie<strong>di</strong>, binari ferroviari e dei tram.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenza ± spora<strong>di</strong>ca su tutto il territorio regionale, soprattutto nella fascia planiziale e collinare<br />

(0-500 m s.l.m.). Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia<br />

(NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT). [B. subalternans: Como (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in coltivazione in Italia agli inizi del XVIII secolo e naturalizzata poco dopo. Già<br />

citata da Pollini (1822b) per il bresciano.<br />

Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta coltivata in Orto botanico) e successiva <strong>di</strong>ffusione accidentale (adesione dei<br />

<strong>di</strong>sseminuli a qualsiasi tipo <strong>di</strong> tessuto o imballaggio).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Estirpazione manuale o sarchiatura. Pre<strong>di</strong>lige le esposizioni calde, apprezzando le isole <strong>di</strong> calore<br />

delle città, per cui non tende a inserirsi nel contesto rurale né in altre situazioni <strong>di</strong>rettamente con<strong>di</strong>zionate dal mesoclima.<br />

Tenendo conto, tuttavia, dell’invasività <strong>di</strong> questa specie in patria (Nordamerica) e del processo <strong>di</strong> riscaldamento globale, che<br />

interessa anche il nostro territorio, è opportuno un perio<strong>di</strong>co monitoraggio.<br />

Note: Una neofita affine, parimenti naturalizzata (rara) in Lombar<strong>di</strong>a, è B. subalternans DC. (= B. bipinnatus auct., non L.; forbicina sudamericana),<br />

che si <strong>di</strong>stingue per lo sviluppo maggiore (fino a 160 cm), le foglie con un profilo strettamente triangolare e i segmenti più stretti quasi lineari<br />

(foglie con profilo largamente triangolare e segmenti larghi in B. bipinnatus), in genere pelosi sulla pagina inferiore anche tra i nervi (in B. bipinnatus<br />

solo al margine e lungo i nervi), le reste degli acheni perfettamente erette (leggermente piegate all’infuori in B. bipinnatus). Allo stato attuale non<br />

crea problemi. Si fa presente che, sebbene Linneo abbia trattato il genere Bidens come femminile, in base all’art. 62.2(a) del Co<strong>di</strong>ce Internazionale<br />

<strong>di</strong> Nomenclatura Botanica (McNeill et al., 2006) deve essere considerato maschile. Vi è stata tuttavia una proposta <strong>di</strong> conservarlo al femminile<br />

(Harriman, 1998), che, anche se inizialmente accolta e raccomandata dal Comitato per le Spermatophyta (Brummitt, 2000), non è stata in seguito<br />

recepita nell’elenco dei nomi generici conservati (McNeill et al., 2006, App. III).<br />

Bibliografia: Brummitt, 2000; Harriman, 1998; McNeill et al., 2006; Pollini, 1822b<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Bidens bipinnatus L.<br />

Nome volgare: forbicina bipennata<br />

232<br />

Bibliografia: Bini Maleci & Bagni Marchi, 1983; Caramiello et al., 1987; Cobau, 1940; Cozzi, 1922; Gola, 1910; Pampanini, 1923, 1925; Pampanini,<br />

1933; Stucchi, 1929a; Ugolini, 1923<br />

233


forbicina<br />

peduncolata<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, con fusto eretto o ascendente, liscio, cavo, ramificato, glabro ed<br />

oscuramente quadrangolare, spesso arrossato. Foglie picciolate, opposte, le basali semplici a contorno lanceolato, le cauline<br />

maggiori e <strong>di</strong>vise in 3 segmenti lanceolati, <strong>di</strong> cui il centrale sorretto da un piccioletto lungo fino a ½ della lamina; il margine<br />

dei segmenti è dentato, l’apice acuto. Capolini (calati<strong>di</strong>) con fillari (brattee) brevi, membranosi, non raggianti, delineanti un<br />

involucro ovato o cilindrico; i fiori hanno tutti corolla tubulosa, con 5 denti, giallo-aranciata. I frutti sono acheni nerastri <strong>di</strong> 6-12<br />

mm, strettamente rettangolari, a base attenuata, appiattiti, con setole erette ai margini e 2 reste apicali, a loro volta provviste<br />

<strong>di</strong> setole retrorse (per l’aggancio al vettore <strong>di</strong> <strong>di</strong>sseminazione).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ambienti umi<strong>di</strong> secondari e <strong>di</strong> degrado, <strong>di</strong> norma su base fangosa, soggetti a inondazioni temporanee: fossi, alvei, sponde<br />

<strong>di</strong> cave e stagni, solchi umi<strong>di</strong> nei campi e nei prati, depressioni nei sentieri, strade rurali e urbane, pioppeti, boschi ripariali.<br />

Distribuzione nel territorio: <strong>Comune</strong> in tutta la regione, dalla fascia planiziale alla collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV),<br />

Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio<br />

(INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVIII secolo, in Lombar<strong>di</strong>a è presente almeno dal 1943 (Stucchi, 1949b).<br />

Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta coltivata in Orto botanico) e successiva <strong>di</strong>ffusione accidentale (adesione dei<br />

<strong>di</strong>sseminuli a qualsiasi tipo <strong>di</strong> tessuto o imballaggio).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Elevata competitività vegetativa e riproduttiva (semi) caratterizzano il successo incon<strong>di</strong>zionato <strong>di</strong> questa aliena nelle aree<br />

umide <strong>di</strong>sturbate ed eutrofizzate. In particolare, i formidabili appigli del <strong>di</strong>sseminulo garantiscono alla pianta una <strong>di</strong>ffusione della<br />

massima efficienza, che si realizza per epizoocoria attraverso il pelo degli animali e gli abiti umani, oltre, naturalmente, a qualsiasi<br />

opportunità <strong>di</strong> trasferimento “non protocollare”, come l’acqua <strong>di</strong> ruscellazione piovana o quella dei corsi d’acqua, sulla quale i<br />

<strong>di</strong>sseminuli galleggiano (idrocoria). Nel complesso la specie con<strong>di</strong>ziona soprattutto la <strong>di</strong>versità floristica delle comunità vegetali<br />

igrofile, mentre è meno determinante sul paesaggio. Il peggior danno, dai più ignorato, la forbicina peduncolata, americana, l’ha<br />

perpetrato nei confronti della forbicina europea (B. tripartitus L.), spodestandola letteralmente dal suo habitat e relegandola a piccoli<br />

popolamenti residui, precari e sparpagliati (Gruberová et al., 2001; Gruberová & Prach, 2003). Il fenomeno ha registrato un’impennata<br />

a partire dagli anni ‘60 del passato secolo, in concomitanza con la fine dell’agroeconomia tra<strong>di</strong>zionale e l’espansione urbanisticoindustriale.<br />

Infine ricor<strong>di</strong>amo che i frutti <strong>di</strong> B. frondosus, analogamente a quelli <strong>di</strong> certe graminacee dei generi Anisantha, Hordeum,<br />

Stipa ecc., possono provocare infezioni dolorose nei cani (specialmente cani da caccia), infilandosi sotto la cute attraverso la pelliccia,<br />

nelle orecchie, nelle narici e anche in gola. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio,<br />

contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Pensare <strong>di</strong> eliminare la pianta con interventi mirati come quelli generalmente suggeriti per le altre<br />

aliene è del tutto illusorio, perché B. frondosus è ormai integrata nelle comunità erbacee d’ambiente umido <strong>di</strong> tutto il territorio,<br />

in buona parte avendo preso il posto <strong>di</strong> B. tripartitus. Non resta che tentare <strong>di</strong> agire nel quadro <strong>di</strong> un recupero generale degli<br />

ambienti umi<strong>di</strong>, dove il miglior intervento proponibile non può che nascere da un insieme <strong>di</strong> azioni volte ad abbassare il<br />

grado <strong>di</strong> eutrofizzazione in <strong>di</strong>rezione delle comunità meso-oligotrofiche; questa nuova con<strong>di</strong>zione abbasserebbe anche la<br />

competitività dell’aliena, risolvendo il problema della sua invasività.<br />

Note: Relativamente al genere grammaticale del genere Bidens si veda la nota a B. bipinnatus.<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Bidens frondosus L.<br />

Nome volgare: forbicina peduncolata<br />

Basionimo: Bidens melanocarpus Wiegand<br />

cotula<br />

neozelandese<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 20 cm, villoso-cenerina, con fusti eretti o decombenti. Foglie alterne,<br />

2-pennatifide. Capolini (calati<strong>di</strong>) terminali e ascellari, peduncolati, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 4-5 mm; involucro con fillari (brattee) in<br />

2 serie; ricettacolo piano, privo <strong>di</strong> pagliette; fiori peduncolati (peduncoli persistenti sul ricettacolo dopo la caduta dei frutti),<br />

i periferici femminili, privi <strong>di</strong> corolla, portati da lunghi peduncoli, gli interni bisessuali o funzionalmente maschili, su brevi<br />

peduncoli, con corolla compresso-tubulosa a 4 denti. Acheni (cipsele) dei fiori femminili compressi, quelli dei fiori bisessuali<br />

piano-convessi; pappo assente.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Australia meri<strong>di</strong>onale, Nuova Zelanda.<br />

Habitat: Lastricati stradali.<br />

Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale, termofila. Cremona (EST).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia probabilmente nel XX secolo. Segnalata in Lombar<strong>di</strong>a per il centro storico<br />

<strong>di</strong> Cremona da Galasso & Bonali (2008) e Bonali (2008); successivamente scomparsa in seguito ad azioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>serbo.<br />

Modalità d’introduzione: Ignota, probabilmente accidentale col commercio della lana.<br />

Status: Estinta.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Note: In or<strong>di</strong>ne temporale è la seconda specie <strong>di</strong> Cotula naturalizzatasi in Italia, la prima essendo C. coronopifolia L. (Sudafrica), ben <strong>di</strong>stinta<br />

per l’altezza maggiore, per le foglie intere o con pochi denti o lobi e per i capolini più gran<strong>di</strong> (5-10 mm). Per fortuna quest’ultima non interessa<br />

nemmeno potenzialmente la Lombar<strong>di</strong>a, in quanto legata in modo significativo agli ambienti umi<strong>di</strong> subsalsi.<br />

Bibliografia: Bonali, 2008; Galasso & Bonali, 2008<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Cotula australis<br />

(Sieber ex Spreng.) Hook.f.<br />

Nome volgare: cotula neozelandese<br />

Basionimo: Anacyclus australis Sieber ex Spreng.<br />

Bibliografia: Giacomini, 1950; Gruberová et al., 2001; Gruberová & Prach, 2003; Stucchi, 1949b<br />

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a<strong>di</strong>cchiella<br />

<strong>di</strong> terrasanta<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Crepis sancta (L.) Bornm.<br />

subsp. nemausensis (Gouan) Babc.<br />

Nome volgare: ra<strong>di</strong>cchiella <strong>di</strong> Terrasanta<br />

Basionimo: Crepis nemausensis Gouan<br />

Sinonimi: Crepis sancta auct., non (L.) Bornm.<br />

Lagoseris sancta (L.) K.Malý<br />

subsp. nemausensis (Gouan) Thell<br />

Trichocrepis nemausensis (Gouan) Bubani<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Erba annuale <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni, alta 5-20(-40) cm. Foglie basali ravvicinate a rosetta, oblanceolato-spatolate,<br />

<strong>di</strong> 2-10×0.5-2 cm, picciolate, con margine dentellato; foglie cauline ridotte, squamiformi. Scapi con 0-2 ramificazioni terminate<br />

da 2-10 capolini (calati<strong>di</strong>) <strong>di</strong>sposti in cime corimbose; questi ultimi con involucro cilindrico <strong>di</strong> 8-11×6-8 mm, formato da fillari<br />

(brattee) in più serie, dei quali, alla fioritura e all’inizio della fruttificazione, gli interni (più gran<strong>di</strong>) larghi (1.2-)1.5-1.8(-2) mm,<br />

più o meno rigonfi in frutto; fiori gialli, tutti ligulati; acheni affusolati, lunghi 5-7 mm, gli esterni con 3 ali longitu<strong>di</strong>nali. A <strong>di</strong> cui<br />

le 2 laterali eccedenti in larghezza lo spessore dell’achenio stesso.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: aprile-maggio.<br />

Area d’origine: Me<strong>di</strong>terraneo-turanica.<br />

Habitat: Vigneti, ruderati, margini stradali assolati.<br />

Distribuzione nel territorio: Fasce planiziale e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (INV), Cremona (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), <strong>Milano</strong><br />

(NAT), Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia alla fine del Settecento; raccolta per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a nel 1897<br />

a Luino (Becherer, 1951).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante, infestante nei vigneti.<br />

Note: L’unica sottospecie <strong>di</strong> Crepis sancta sinora segnalata in Italia è la subsp. nemausensis (= subsp. sancta auct.), come anche evidenziato dalle<br />

integrazioni alla Checklist italiana (Conti et al., 2007).<br />

I caratteri <strong>di</strong>stintivi sono quelli, ad esempio, presenti nella flora dello Zangheri (1976), che riprende Babcock (1947):<br />

subsp. nemausensis: acheni periferici da oblunghi a lanceolati, dorsalmente striati, con ali laterali larghe; brattee involucrali interne all’estremità<br />

larghe (1.2-)1.5-1.8(-2) mm durante la fioritura, poi più o meno rigonfie in frutto; involucro <strong>di</strong> 6-8 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro nel mezzo, in frutto; corolla<br />

<strong>di</strong> 8-12 mm.<br />

subsp. sancta: acheni periferici lineari-lanceolati, dorsalmente lisci, con ali laterali strette; brattee involucrali interne all’estremità larghe (0.8-)<br />

1-1.1(-1.5) mm durante la fioritura, poi <strong>di</strong> rado un po’ rigonfie nel frutto; involucro <strong>di</strong> 4-5 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro nel mezzo, in frutto; corolla <strong>di</strong> 7-13 mm.<br />

Entità me<strong>di</strong>terranea in senso ampio, attualmente è in espansione anche verso nord.<br />

Bibliografia: Babcock, 1947; Banfi & Galasso, 1998, 2005; Becherer, 1951; Bonali & D’Auria, 2005; Bonali et al., 2006a; Conti et al., 2007; Crescini et<br />

al., 1992; Crosato et al., 1988; Tagliaferri & Perico, 2002; Zangheri, 1976; Zanotti, 1993b; Zodda, 1957<br />

cespica<br />

comune<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Erigeron annuus (L.) Desf.<br />

Nome volgare: cespica comune, cespola<br />

Basionimo: Aster annuus L.<br />

Sinonimi: Erigeron annuus (L.) Desf. s<br />

ubsp. septentrionalis (Fernald & Wieg.) Wagenitz<br />

Erigeron annuus (L.) Desf. subsp. strigosus auct., non (Mühl. ex Willd.) Wagenitz<br />

Erigeron annuus (L.) Pers., comb. superfl.<br />

Erigeron ramosus (Walter) Britton, Sterns & Poggenb., non Raf.,<br />

var. septentrionalis Fernald & Wieg.<br />

Erigeron strigosus auct., non Mühl. ex Willd.<br />

Stenactis annua (L.) Cass. ex Less. / Stenactis annua (L.) Nees, comb. superfl.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, ispida per peli patenti, raramente appressati, con fusto eretto,<br />

semplice o ramoso nella parte superiore. Foglie basali in rosetta, obovate, lungamente picciolate, grossolanamente dentate;<br />

foglie cauline sessili, lanceolate o lineari e perlopiù intere, con margine cigliato, progressivamente raccorciate, alterne, verde<br />

chiaro, provviste <strong>di</strong> 3-5 denti per lato, pubescenti su entrambe le facce. Capolini (calati<strong>di</strong>) numerosi, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 15 mm,<br />

terminali ai rami, con involucro a forma <strong>di</strong> coppa, largo 7 mm; fiori periferici ligulati, da bianchi a più o meno soffusi <strong>di</strong><br />

violaceo, lunghi fino a 9 mm, quelli del <strong>di</strong>sco gialli, con corolla tubulosa, regolare, a 5 denti patenti a stella. I frutti sono acheni<br />

subcilindrici provvisti <strong>di</strong> pappo con peli in 2 serie, <strong>di</strong> cui gli esterni più brevi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-novembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Ambienti ruderali e semiruderali (città, sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed e<strong>di</strong>fici,<br />

ferrovie e scarpate), prati e pascoli ari<strong>di</strong>, luoghi pietrosi, greti, margini erbosi <strong>di</strong> boscaglie, campi, colture, incolti, aree<br />

incen<strong>di</strong>ate, pioppeti e ambienti umi<strong>di</strong> in genere.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio regionale (0-1˙200 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale e<br />

collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong><br />

(INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal principio del Settecento e già largamente naturalizzata alla fine del<br />

medesimo secolo; in Lombar<strong>di</strong>a è sicuramente naturalizzata da prima del 1791 (Scannagatta & Maderna, 1793).<br />

Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta ornamentale).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Un’elevata competitività consente a questa specie <strong>di</strong> formare densi popolamenti monofitici, anche molto estesi;<br />

la sua <strong>di</strong>ffusione è favorita da episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo ricorrente, fra cui principalmente i movimenti terra. Nel complesso questa<br />

specie è essenzialmente deleteria sulla bio<strong>di</strong>versità vegetale e sul paesaggio, risultando talora problematica anche in ambito<br />

agrario.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che facilitano la <strong>di</strong>ffusione della specie, come lasciare il<br />

suolo denudato, favorendo la colonizzazione via seme, o movimentazioni del suolo, che possono determinare il trasloco<br />

incontrollato <strong>di</strong> plantule. Si interviene con falciature selettive (da ripetersi 2-3 volte prima della fioritura), accompagnate da<br />

eventuale impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> (soprattutto per i campi coltivati); provvedere imme<strong>di</strong>atamente, ove possibile, alla semina <strong>di</strong><br />

specie in<strong>di</strong>gene erbacee oppure arbustive a fine <strong>di</strong> ombreggiamento.<br />

Note: In base a una recente indagine morfologica e citologica (Frey et al., 2003) Erigeron annuus subsp. septentrionalis rientra nella variabilità<br />

morfologica del tipico E. annuus; spesso nel corso dell’anno si assiste, nello stesso in<strong>di</strong>viduo, a un graduale passaggio dal morfotipo annuus a quello<br />

septentrionalis. Al contrario, E. strigosus (cespica setolosa) merita autonomia a rango <strong>di</strong> specie. E. annuus è triploide e apomittico, mentre E. strigosus<br />

è prevalentemente <strong>di</strong>ploide (raramente tetraploide) e anfimittico. Inoltre, stu<strong>di</strong> sulle sequenze geniche (Noyes, 2000) mostrano che E. annuus ed<br />

E. strigosus hanno ITS <strong>di</strong>versi: E. strigosus appare sister <strong>di</strong> E. tenuis Torr. & A.Gray; entrambi, poi, sono sister <strong>di</strong> E. annuus. Sempre secondo Frey et al.<br />

(2003) non ci sono prove della effettiva presenza in Europa <strong>di</strong> E. strigosus e pertanto le varie segnalazioni, come quella <strong>di</strong> Arietti & Crescini (1980) o<br />

<strong>di</strong> Aeschimann et al. (2004), sono da riferirsi a E. annuus.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Arietti & Crescini, 1980; Frey et al. 2003; Noyes, 2000; Scannagatta & Maderna, 1793<br />

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saeppola <strong>di</strong><br />

buenos aires<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Erigeron bonariensis L.<br />

Nome volgare: saeppola <strong>di</strong> Buenos Aires<br />

Basionimo: Crepis nemausensis Gouan<br />

Sinonimi: Conyza ambigua DC.<br />

Conyza bonariensis (L.) Cronquist<br />

Conyza linifolia (Willd.) Täckh.<br />

Conyzella linifolia (Willd.) Greene<br />

Erigeron ambiguus (DC.) Sch.Bip.<br />

Erigeron crispus Pourr.<br />

Erigeron linifolius Willd.<br />

Leptilon bonariense (L.) Small<br />

Leptilon linifolium (Willd.) Small<br />

Marsea bonariensis (L.) V.M.Ba<strong>di</strong>llo<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 5-60 cm, con fusto eretto, striato, provvisto <strong>di</strong> peli eretti e appressati. Foglie<br />

uninervie, pubescenti per pelosità ispida, con margine da grossolanamente dentato a intero, ver<strong>di</strong>-grigiastre, le inferiori con<br />

breve picciolo, lineari-lanceolate (30-80×10 mm), le superiori amplessicauli, alterne, strettamente lineari (30-50×2-10 mm) e<br />

progressivamente più brevi verso l’alto. Capolini (calati<strong>di</strong>) del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 5-6 mm, più o meno globosi (a botticella), riuniti in<br />

pannocchie o racemi corimbosi all’apice del fusto; involucro formato da fillari (brattee) ispi<strong>di</strong>, imbricati in 2 serie; ricettacolo<br />

piano, con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 3.5 mm. Fiori bianco-giallastri, i periferici femminili, privi <strong>di</strong> corolla. Acheni con pappo giallo-rossastro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-settembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica tropicale (Argentina settentrionale).<br />

Habitat: Campi, colture, vigne, incolti ari<strong>di</strong>, ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate,<br />

base dei muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie e scarpate). È la più termofila delle specie <strong>di</strong> Erigeron presenti in territorio regionale.<br />

Distribuzione nel territorio: Pianura e collina (0-600 m s.l.m.), nelle zone più calde. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lecco<br />

(NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XVIII secolo; in Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1785 (Hortus regius<br />

botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Scopoli, 1785) e naturalizzata almeno dal 1982 (Pignatti, 1982).<br />

Modalità d’introduzione: In Europa sembra essere stata introdotta involontariamente attraverso il commercio della lana<br />

(Sanz Elorza et al., 2004).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Pianta non problematica, pre<strong>di</strong>lige terreni eutrofici, smossi e con buona <strong>di</strong>spersione d’aria, quin<strong>di</strong> ambienti<br />

<strong>di</strong>sturbati (ruderati), sabbie fluviali e coltivi.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Al momento non sembrano necessarie.<br />

Note: Fra le tre saeppole presenti in Lombar<strong>di</strong>a, questa è certamente la meno <strong>di</strong>ffusa a causa delle esigenze termiche, che la vedono <strong>di</strong>stribuita<br />

principalmente nelle regioni me<strong>di</strong>terranee della nostra penisola e nelle isole.<br />

Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Pignatti, 1982; Sanz Elorza et al., 2004; Scopoli, 1785<br />

saeppola<br />

canadese<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta fino a 150 cm, con fittone sottile e fusto eretto, cilindrico, provvisto <strong>di</strong> peli patenti,<br />

ramificato apicalmente nell’infiorescenza. Foglie glabre o provviste <strong>di</strong> corti peli, più o meno dentate, generalmente <strong>di</strong> color<br />

verde tenero o verde-giallo, le basali lineari-subspatolate, in rosetta, con evidente picciolo, le cauline lineari-lanceolate (30×2<br />

mm), uninervie, con ciglia setolose patenti al margine. Capolini (calati<strong>di</strong>) numerosissimi, piccoli (3-5 mm), cilindrico-piriformi,<br />

riuniti in ampia pannocchia piramidata o corimbosa; fillari (brattee) su 3 serie largamente spiralate; fiori periferici femminili,<br />

con ligula breve ma evidente, biancastra o rosata, gli interni regolari, a corolla tubulosa con 5 denti apicali, in quelli centrali<br />

biancastra o giallognola. I frutti sono acheni minuti (1 mm) provvisti <strong>di</strong> un pappo lungo 3 mm, bianco sporco.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti ari<strong>di</strong>, campi, vigne, ambienti ruderali e semiruderali (città, strade, ferrovie, sentieri, macerie, aree abbandonate,<br />

base dei muri ed e<strong>di</strong>fici, scarpate), tagli rasi forestali, schiarite, zone incen<strong>di</strong>ate, cave <strong>di</strong> ghiaia, greti dei fiumi, affioramenti<br />

rocciosi, ambienti sabbiosi e pietraie.<br />

Distribuzione nel territorio: In tutto il territorio regionale (0-1˙200 m s.l.m.), dalla fascia planiziale a quella montana.<br />

Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV),<br />

Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia dalla prima metà del Seicento si è presto naturalizzata; in Lombar<strong>di</strong>a è<br />

naturalizzata almeno dal 1763 (Provasi, 1924).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata all’interno degli Orti botanici, da dove si è <strong>di</strong>ffusa accidentalmente.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: È caratterizzata da un’elevata competitività, che si manifesta in ogni situazione <strong>di</strong> degrado con la formazione<br />

stagionale <strong>di</strong> densi popolamenti, estesi fino a parecchie centinaia <strong>di</strong> metri quadrati. Tale aggressività è negativa specialmente<br />

nei confronti delle colture agrarie e dei pascoli (la specie non è appetita dal bestiame), come pure della bio<strong>di</strong>versità e del<br />

paesaggio. I fiori sono facoltativamente autogami ed entomofili, per cui <strong>di</strong>fficilmente rilasciano polline nell’aria, tuttavia si<br />

è <strong>di</strong>mostrato che lo stesso polline può provocare dermatiti da contatto in soggetti sensibili. Il successo invasivo della pianta<br />

è garantito dall’incre<strong>di</strong>bile numero <strong>di</strong> semi (200.000) prodotti da ogni in<strong>di</strong>viduo <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni me<strong>di</strong>e, i quali viaggiano e si<br />

<strong>di</strong>stribuiscono su ampi spazi con i movimenti d’aria, combinato con la continua esposizione <strong>di</strong> suolo determinata dall’azione<br />

antropica. La saeppola canadese pre<strong>di</strong>lige, infatti, i terreni smossi o a granulometria grossolana, con forte <strong>di</strong>spersione<br />

d’ossigeno.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre evitare azioni promuoventi la <strong>di</strong>ffusione della specie, come l’abbandono <strong>di</strong> suolo nudo,<br />

che ne favorisce l’inse<strong>di</strong>amento, gli incen<strong>di</strong> e i movimenti <strong>di</strong> terra in genere. Si può intervenire meccanicamente (lavorazione<br />

del terreno e sfalcio selettivo da ripetersi più volte prima della fioritura) o con l’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>. Ove possibile, provvedere<br />

imme<strong>di</strong>atamente alla semina <strong>di</strong> specie in<strong>di</strong>gene erbacee, oppure arbustive a fini <strong>di</strong> ombreggiamento.<br />

Bibliografia: Provasi, 1924<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Erigeron canadensis L.<br />

Nome volgare: saeppola canadese<br />

Sinonimi: Aster canadensis (L.) E.H.L.Krause,<br />

non (L.) Kuntze, nom. illeg. Conyza canadensis (L.) Cronquist<br />

Conyzella canadensis (L.) Rupr.<br />

Erigeron myriocephalus Rech.f. & Edelb.<br />

Erigeron paniculatus Lam., nom. illeg. Erigeron pusillus Nutt.<br />

Erigeron ruderalis Salisb., nom. illeg.<br />

Leptilon canadense (L.) Britton & A.Br.<br />

Leptilon pusillum (Nutt.) Britton<br />

Marsea canadensis (L.) V.M.Ba<strong>di</strong>llo<br />

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saeppola<br />

biancastra<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Erigeron sumatrensis Retz.<br />

Nome volgare: saeppola biancastra<br />

Sinonimi: Conyza albida Willd. ex Spreng. [1826]<br />

Conyza altissima Nau<strong>di</strong>n & Debeaux ex Debeaux<br />

Conyza floribunda Kunth<br />

Conyza nau<strong>di</strong>nii Bonnet<br />

Conyza sumatrensis (Retz.) E.Walker<br />

Erigeron albidus (Willd. ex Spreng.) A.Gray<br />

Erigeron floribundus (Kunth) Sch.Bip<br />

Erigeron nau<strong>di</strong>nii (Bonnet) Humbert, comb. superfl.<br />

Erigeron nau<strong>di</strong>nii (Bonnet) P.Fourn.<br />

Erigeron sumatrensis Retz.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale verde-grigiastra o più o meno cenerina, <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni a volte ragguardevoli (fino a 200<br />

cm), con fusto robusto, eretto, ispido, cilindrico, a volte ramoso dalla base. Foglie: le basali in rosetta, le cauline inferiori, che<br />

persistono secche all’antesi, oblanceolato-lineari (15×10 cm), con scarsi dentelli al margine e nervature laterali evidenti; le<br />

cauline superiori lineari-lanceolate, generalmente più piccole, alterne, subintere e pubescenti su entrambe le facce. Capolini<br />

(calati<strong>di</strong>) numerosi, cilindrico-piriformi, > 5 mm, riuniti in ampia pannocchia terminale, piramidata o corimbosa. Fillari<br />

(brattee) in 3 serie, lineari-lanceolati, acuti; fiori tutti tubulosi con corolla a 5 denti, bianco-giallastra, zigomorfa e con un dente<br />

bifido (ru<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> ligula). Frutti ad achenio <strong>di</strong> piccole <strong>di</strong>mensioni, provvisto <strong>di</strong> un pappo bianco sporco, rossastro a maturità.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: America tropicale.<br />

Habitat: Incolti ari<strong>di</strong> e ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed<br />

e<strong>di</strong>fici, ferrovie, scarpate e luoghi calpestati), greti dei fiumi.<br />

Distribuzione nel territorio: Distribuita su tutto il territorio regionale (0-600 m s.l.m.), dalla fascia planiziale a quella collinare.<br />

Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV),<br />

Mantova (INV), Pavia (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, <strong>di</strong>ffusasi in Europa a partire dall’Orto Botanico <strong>di</strong> Collioure in Francia nel 1878, ove era<br />

giunta accidentalmente; segnalata per la prima volta in Italia (Lombar<strong>di</strong>a inclusa) da Anzalone (1964, 1965), che afferma<br />

essere conosciuta dal 1940 se non prima nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Pesaro, in precedenza confusa con altre specie (E. canadensis ed E.<br />

bonariensis).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Ha soprattutto un’influenza negativa sulla <strong>di</strong>versità vegetale e sul paesaggio. Il suo ingresso e la sua <strong>di</strong>ffusione sono<br />

favorite dall’enorme numero <strong>di</strong> semi leggeri prodotti (più <strong>di</strong> 200˙000 per ogni pianta <strong>di</strong> buone <strong>di</strong>mensioni), che sono poi<br />

facilmente <strong>di</strong>spersi dal vento (<strong>di</strong>sseminazione anemocora), ma anche dai ricorrenti episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo antropogeno, come<br />

sfalci e movimenti terra, preferendo, infatti, gli ambienti urbani e ruderali e gli ambienti fluviali, dove il terreno è arido o ben<br />

drenato.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitano la <strong>di</strong>ffusione, come la presenza <strong>di</strong> suolo nudo,<br />

che ne favorisce l’inse<strong>di</strong>amento da seme, e i movimenti <strong>di</strong> terra. Il contenimento può avvenire attraverso azioni meccaniche<br />

(la lavorazione del terreno e lo sfalcio selettivo da ripetere più volte prima della fioritura) coa<strong>di</strong>uvate da azioni chimiche, come<br />

l’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>. Dove possibile si può provvedere imme<strong>di</strong>atamente alla semina con specie in<strong>di</strong>gene o alla piantumazione<br />

<strong>di</strong> arbusti ombreggianti.<br />

Note: È l’Erigeron più alto tra quelli esotici presenti in Lombar<strong>di</strong>a, <strong>di</strong>fferenziandosi dagli altri anche per i capolini più gran<strong>di</strong> e le foglie più larghe<br />

con nervature laterali evidenti. E. bonariensis, anch’esso con fiori tutti tubulosi è, infatti, più basso (10-60 cm) e con capolini più piccoli, mentre E.<br />

canadensis, ha fiori periferici brevemente ligulati; E. annuus ed E. karvinskianus hanno, invece, capolini con ligule lunghe.<br />

cespica<br />

<strong>di</strong> KarvinsKi<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta perenne erbacea, alta 20-40 cm, con fusti prostrati o arcuato-ascendenti, ramosissimi, con ramificazioni<br />

erette. Foglie d’inizio stagione spatolato-subrotonde, in rosette, le successive lanceolate, acute, <strong>di</strong> 15×5 mm, con un dente su<br />

ciascun lato; foglie cauline spatolato-lineari, lunghe 13-22 mm, acute, uninervie. Capolini (calati<strong>di</strong>) numerosi, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong><br />

1.5 cm, con involucro cilindrico; fiori del raggio <strong>di</strong>sposti in più serie, con ligule patenti <strong>di</strong> 6-7 mm, da bianche a roseo-vinose;<br />

fiori del <strong>di</strong>sco a corolla tubulosa, regolare, 5-dentata, gialla. Frutti, acheni provvisti <strong>di</strong> pappo bianco sporco.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica e America tropicale.<br />

Habitat: Rupi umide, muri, ripari sotto roccia, ingressi <strong>di</strong> grotte, parchi, giar<strong>di</strong>ni, viali, monumenti e cimiteri.<br />

Distribuzione nel territorio: Fino alla fascia montana, più rara in pianura. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (INV),<br />

Cremona (CAS), Lecco (INV), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia alla fine del XIX secolo (all’Orto Botanico <strong>di</strong> Napoli almeno dal 1880); in<br />

Lombar<strong>di</strong>a naturalizzata almeno dal 1896 (Lenticchia 1896; Micheletti, 1901).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Influisce negativamente sulla bio<strong>di</strong>versità degli habitat rupestri, inclusi manufatti come muri e muretti umi<strong>di</strong>, dove<br />

la specie si comporta da competitore aggressivo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Taglio selettivo, da effettuarsi prima della fioritura e da ripetersi per alcuni anni, eventualmente<br />

coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>, oppure era<strong>di</strong>cazione completa. Si dovrebbe intervenire in via preventiva soprattutto<br />

attorno alle aree naturalisticamente rilevanti (aree protette), promuovendo una cultura della eliminazione <strong>di</strong> questa specie<br />

nel giar<strong>di</strong>naggio e nel mercato ortofloricolo.<br />

Bibliografia: Lenticchia, 1896; Micheletti, 1901<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Erigeron karvinskianus DC.<br />

Nome volgare: cespica <strong>di</strong> Karvinski, vitta<strong>di</strong>nia<br />

Sinonimi: Erigeron karvinskianus DC.<br />

var. mucronatus (DC.) Asch.<br />

Erigeron karvinskianus DC.<br />

var. mucronatus (DC.) Hieron., comb. superfl.<br />

Erigeron mucronatus DC.<br />

Vitta<strong>di</strong>nia triloba hort., non DC.<br />

Bibliografia: Anzalone, 1964, 1965<br />

240 241


galinsoga<br />

comune<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50 cm, a fusto eretto, striato, ramificato, nella parte superiore con peli semplici,<br />

eretto-patenti o appressati e ra<strong>di</strong> peli ghiandolari. Foglie opposte, semplici, con picciolo <strong>di</strong> 1-2 cm e lamina ovato-rombica<br />

o rombico-lanceolata, scabra, grossolanamente dentata, verde-giallastra, acuminata all’apice, percorsa da 3 nervi evidenti.<br />

Capolini (calati<strong>di</strong>) del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> circa 5 mm, con involucro emisferico, su peduncoli glabri o con rari peli ghiandolari; fiori<br />

periferici 5-6, ligulati, bianchi, tridentati, quelli del <strong>di</strong>sco tubulosi e gialli; i fiori alla base sono involucrati da una squama<br />

(paglietta) lineare, tridentata all’apice. Frutti consistenti in acheni pelosi, con pappo dei fiori tubulosi formato da numerose<br />

scaglie frangiate, più brevi o subeguali alla corolla.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-<strong>di</strong>cembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Colture (mais, patata, vigneti ecc.), campi abbandonati, incolti, margini, aree urbane.<br />

Distribuzione nel territorio: Ovunque, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo (INV), Brescia (INV), Cremona<br />

(NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Pavia (NAT), Sondrio (INV), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, citata per l’Orto Botanico <strong>di</strong> Padova nel 1801 ed in seguito <strong>di</strong>ffusasi rapidamente in tutta la<br />

penisola. Conosciuta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1847 (Rota, 1847).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti Botanici), con successiva <strong>di</strong>ffusione accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Riduce la produttività delle colture agrarie estive e mo<strong>di</strong>fica il paesaggio naturale, determinando un decremento <strong>di</strong><br />

bio<strong>di</strong>versità delle comunità erbacee strutturate. È pianta <strong>di</strong> grande adattabilità e alligna su qualsiasi tipo <strong>di</strong> suolo, in particolare<br />

su quelli profon<strong>di</strong>, più o meno umi<strong>di</strong> e ricchi <strong>di</strong> nutrienti.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Consigliate solo in ambito agrario.<br />

Note: Molto simile a e spesso convivente con G. quadrira<strong>di</strong>ata (ve<strong>di</strong> scheda), <strong>di</strong>stinta per la pubescenza e la pelosità ghiandolare abbondanti, per<br />

i capolini maggiori (6-7 mm) e per le pagliette acute, intere all’apice.<br />

Bibliografia: Camoletto Pasin & Dal Vesco, 1992; Canne, 1977, 1978; Giacomini, 1950; Rota, 1847<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Galinsoga parviflora Cav.<br />

Nome volgare: galinsoga comune<br />

Sinonimi: Galinsoga quinquera<strong>di</strong>ata Ruiz & Pav.<br />

Wiborgia parviflora (Cav.) Kunth<br />

galinsoga<br />

ispida<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 10-50 cm, con fusti eretti, striati, ramificati, pubescenti e con densi peli ghiandolari<br />

nella parte superiore. Foglie opposte, semplici, con picciolo <strong>di</strong> 1-2 cm, con lamina rombico-lanceolata, ruvida, grossolanamente<br />

dentata, verde-giallastra, tutte con apice acuminato e con 3 nervature principali. Capolini (calati<strong>di</strong>) <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro pari a 6-7 mm;<br />

peduncolo ghiandoloso; involucro emisferico; fiori periferici (5-6) ligulati, bianchi, tridentati, quelli del <strong>di</strong>sco tubulosi e gialli;<br />

i fiori sono accompagnati alla base da una squama (paglietta) lineare, intera all’apice. Frutti ad achenio peloso, quelli derivanti<br />

dai fiori tubulosi con un pappo <strong>di</strong> squame sfrangiate, più brevi della corolla o della stessa lunghezza.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-<strong>di</strong>cembre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Colture, ambienti ruderali e semiruderali (sentieri, strade rurali, macerie, aree abbandonate, base dei muri ed e<strong>di</strong>fici,<br />

ferrovie e scarpate), orti, parchi, tappeti erbosi, giar<strong>di</strong>ni, viali e lungo i fiumi.<br />

Distribuzione nel territorio: Ampiamente <strong>di</strong>ffusa nel territorio regionale, dalla fascia planiziale a quella montana. Bergamo<br />

(INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV),<br />

Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia a metà del XIX secolo: coltivata nell’Orto Botanico <strong>di</strong> Firenze nel 1854, in<br />

quello <strong>di</strong> Padova nel 1893 ove si era inselvatichita. In Italia <strong>di</strong>ffusasi in natura (Italia settentrionale) negli anni ‘40 del secolo scorso,<br />

probabilmente in seguito ai movimenti delle truppe tedesche; conosciuta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1945 (Giacomini, 1946).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (Orti Botanici), con successiva <strong>di</strong>ffusione accidentale.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Riduce la produttività delle colture agrarie estive e mo<strong>di</strong>fica il paesaggio naturale, determinando un decremento <strong>di</strong><br />

bio<strong>di</strong>versità delle comunità erbacee strutturate. È pianta <strong>di</strong> grande adattabilità e alligna su qualsiasi tipo <strong>di</strong> suolo, in particolare<br />

su quelli profon<strong>di</strong>, più o meno umi<strong>di</strong> e ricchi <strong>di</strong> nutrienti.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Consigliate solo in ambito agrario.<br />

Note: Molto simile a e spesso convivente con G. parviflora (ve<strong>di</strong> scheda), che possiede peli semplici e appressati nella parte superiore del fusto, non<br />

ha che pochissimi peli ghiandolari, presenta capolini più piccoli (<strong>di</strong>ametro intorno a 5 mm) e pagliette dei fiori con apice tridentato.<br />

Il genere Galinsoga è stato revisionato da Canne (1977, 1978), anche se tali lavori non sono stati presi in considerazione da numerose flore<br />

successive; per un riassunto relativo alle uniche due specie infestanti in tutti i paesi temperati sinora raggiunti si veda Camoletto Pasin & Dal Vesco<br />

(1992). Pertanto, oltre a riaffermare la completa sinonimia tra G. ciliata e G. quadrira<strong>di</strong>ata, con priorità per il secondo binomio, si ricorda che le<br />

<strong>di</strong>verse forme, varietà e ibri<strong>di</strong> descritti e segnalati in Italia e Lombar<strong>di</strong>a (es. Giacomini, 1950; Zanotti, 2003) non sono accettabili. Nella zona d’origine<br />

non sono mai stati osservati veri ibri<strong>di</strong>, ma tutte le forme presumibilmente interme<strong>di</strong>e sono risultate rientrare nell’ampia variabilità del poliploide<br />

G. quadrira<strong>di</strong>ata; anche l’entità descritta da Giacomini (1950) come presunto ibrido col nome <strong>di</strong> G. ×plikeri (tra l’altro priva <strong>di</strong> <strong>di</strong>agnosi latina; il nome<br />

corretto è Galinsoga ×mixta) rientra, in base alla descrizione in italiano, in G. quadrira<strong>di</strong>ata (Canne, 1977).<br />

Bibliografia: Bonali, 2008; Galasso & Bonali, 2008<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Galinsoga quadrira<strong>di</strong>ata Ruiz & Pav.<br />

Nome volgare: galinsoga ispida<br />

Sinonimi: Adventina ciliata Raf.<br />

Galinsoga ×mixta Murr<br />

Galinsoga ×plikeri Giacom., nom. nud.<br />

Galinsoga aristulata E.P.Bicknell<br />

Galinsoga hispida (DC.) Hieron., non Benth., nom. illeg.<br />

Galinsoga hispida Benth.<br />

Galinsoga parviflora Cav. subsp. quadrira<strong>di</strong>ata (Ruiz. & Pav.) Pers<br />

Galinsoga parviflora Cav. var. hispida DC.<br />

Galinsoga parviflora Cav. var. quadrira<strong>di</strong>ata (Ruiz. & Pav.) Poir.<br />

Galinsoga quadrira<strong>di</strong>ata Ruiz & Pav. subsp. hispida (DC.) Thell.<br />

242 243


canapicchio<br />

della<br />

pennsylvania<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Erba annuale, alta 10-40 cm, con fusto eretto, per lo più in<strong>di</strong>viso. Foglie basali spatolato-oblanceolate, le cauline<br />

piane, <strong>di</strong>ritte, <strong>di</strong> 1-4×0.5-1.5 cm, lanceolato-spatolate, sulla faccia adassiale glabrescenti, tomentose su quella abassiale.<br />

Infiorescenza costituita da capolini (calati<strong>di</strong>) in glomeruli sottesi ciascuno da una foglia bratteale, <strong>di</strong>sposti a formare una sorta<br />

<strong>di</strong> spiga terminale più o meno fogliosa, a volte interrotta inferiormente, lunga circa 4 cm, occupante non più <strong>di</strong> 1/4 della<br />

lunghezza dello scapo; capolini <strong>di</strong> 4-5×4-5 mm; fillari (brattee) imbricati, brunastri, gli esterni ovato-lanceolati, acuminati. Fiori<br />

con corolla tubulosa, 5-dentata, rossastro-porporina all’apice, i periferici femminili, gli interni bisessuali. Acheni (cipsele) lisci,<br />

lunghi 0.4-0.9 mm, mucillaginosi da umi<strong>di</strong>; pappo <strong>di</strong> peli saldati in un anello basale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Marciapie<strong>di</strong>, margini <strong>di</strong> aiuole, lastricati stradali.<br />

Distribuzione nel territorio: Fascia planiziale, per ora nel settore occidentale. <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita <strong>di</strong> recente comparsa; raccolta per la prima volta in Italia nel 1989 (nel napoletano<br />

e a Massa), in Lombar<strong>di</strong>a nel centro storico <strong>di</strong> Pavia nel 1993 (Soldano, 2000).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, probabilmente coi flussi turistici.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non necessarie.<br />

Bibliografia: Alessandrini & Galasso, 2008; Soldano, 2000<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Gamochaeta pensylvanica (Willd.)<br />

Cabrera<br />

Nome volgare: canapicchio della Pennsylvania<br />

Basionimo: Gnaphalium pensylvanicum Willd.<br />

Sinonimi: Gnaphalium spathulatum Lam., non Burm.f.<br />

topinambur<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne a fusti eretti, gregari, alti 1-2 m, ispi<strong>di</strong> nella porzione superiore, inseriti su rizomi segnati<br />

da ingrossamenti fusiformi dello spessore <strong>di</strong> circa 3-5 cm. Foglie superiori alterne, le inferiori più o meno opposte; lamina<br />

verde scuro <strong>di</strong> sopra, ispido-biancastra inferiormente, da ovata a ovato-lanceolata, <strong>di</strong> 10-25×7-15 cm, acuminata, finemente<br />

dentata al margine, con base attenuata in un picciolo alato, lungo ¼ della stessa. Calati<strong>di</strong> del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 4-8 cm, erette; fillari<br />

lunghi quanto l’involucro, più o meno <strong>di</strong>varicati, lanceolati, acuminati, cigliati, verde scuro; ricettacolo convesso; fiori ligulati in<br />

numero <strong>di</strong> 12-15, <strong>di</strong> 30-40×6-9 mm; fiori del <strong>di</strong>sco gialli. Acheni <strong>di</strong> 5-6 mm, glabri o peloso-sericei.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Incolti, ripe, greti fluviali.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutto il territorio, soprattutto in pianura con risalite in ambito collinare. Bergamo (INV),<br />

Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia<br />

(INV), Sondrio (INV), Varese (INV). [H. cfr. decapetalus: Cremona (NAT), Pavia (NAT).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta nel secolo XVII. In Lombar<strong>di</strong>a conosciuta almeno dal 1834 come pianta coltivata<br />

(Massara, 1834) e almeno dal 1897 come naturalizzata (Ugolini, 1897).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, quale soggetto <strong>di</strong> sperimentazione alimentare legata all’economia del periodo<br />

coloniale e <strong>di</strong> interesse ortofloricolo.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Deleteria per la bio<strong>di</strong>versità: lungo le sponde fluviali e negli alvei dei fossi forma estese comunità paucispecifiche, che<br />

rimpiazzano le fitocenosi autoctone. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio,<br />

contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Delle numerose entità perenni <strong>di</strong> Helianthus coltivate in Europa (8 specie e almeno 2 ibri<strong>di</strong>), soltanto H. tuberosus, spesso confuso con H.<br />

decapetalus L. e H. pauciflorus Nutt., si è stabilmente inserito nelle comunità naturali (Řehořek, 1997).<br />

H. ×laetiflorus Pers. è l’ibrido (Heiser, 1960) tra H. tuberosus (fiori del <strong>di</strong>sco gialli, foglie superiori alterne) e H. pauciflorus (fiori del <strong>di</strong>sco marroneporpora,<br />

foglie superiori opposte). È il girasolino più comunemente coltivato nei giar<strong>di</strong>ni, almeno in Inghilterra e si <strong>di</strong>stingue da H. tuberosus per<br />

i seguenti caratteri:<br />

H. ×laetiflorus: rizomi senza tuberi rigonfi; fusto raramente superiore ai 2 m; fillari strettamente appressati al ricettacolo<br />

(spesso, almeno in Inghilterrra, gela prima della fioritura);<br />

H. tuberosus: rizomi con tuberi rigonfi; fusto spesso superiore a 2 m; fillari non o solo lassamente appressati al ricettacolo.<br />

H. pauciflorus (= H. rigidus (Cass.) Desf., = Harpalium rigidum Cass.; girasolino rigido) è conosciuto casuale per le province <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> (Stucchi,<br />

1949), Brescia (Giacomini, 1950) e Bergamo, mentre H. ×laetiflorus è stato osservato casuale nel lecchese (Milena Villa, in verbis 2007).<br />

In questi ultimi anni è stata notata un’altra specie <strong>di</strong> Helianthus naturalizzata lungo il Po (province <strong>di</strong> Pavia e Cremona), simile a H. tubersosus ma<br />

caratterizzata da fillari molto più lunghi dell’involucro. La sua identificazione è ancora in corso: potrebbe corrispondere a H. decapetalus (girasolino<br />

a <strong>di</strong>eci petali), ma a <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> questo presenta il fusto ispido e non liscio.<br />

Bibliografia: Giacomini, 1950; Heiser, 1960; Massara, 1834; Řehořek, 1997; Ugolini, 1897<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Helianthus tuberosus L.<br />

Nome volgare: topinambur,<br />

girasolino, tartufo <strong>di</strong> canna<br />

244 245


camomilla<br />

<strong>di</strong> montagna<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Erbacea annuale, alta al massimo 40 cm, con fusto ramificato sin dalla base. Foglie aromatiche, alterne, <strong>di</strong> 10-<br />

65×2-20 mm; lamina lanceolata, tripennatosetta, sud<strong>di</strong>visa in lacinie larghe 1 mm. Infiorescenza formata da una calatide<br />

portata da un peduncolo lungo 2-30 mm; brattee dell’involucro 29-47, in 3 serie, con margine per lo più intero; fiori del raggio<br />

assenti; <strong>di</strong>sco largo 4-10 mm, con 120-500 fiori tubulosi, giallo-verdastri. Frutto costituito da un achenio brunastro, lungo 1-1.5<br />

mm, sormontato da un pappo consistente in una breve coroncina.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-novembre.<br />

Area d’origine: Asia nordorientale (Russia e Giappone) e Nordamerica occidentale (costa Pacifica, dall’Alaska sino al Messico<br />

settentrionale).<br />

Habitat: Ambienti aperti, in genere antropizzati e con presenza <strong>di</strong> suolo nudo e spesso anche soggetti a calpestio (margini<br />

stradali, massicciate, marciapie<strong>di</strong>, campi e giar<strong>di</strong>ni in particolare se abbandonati, rive dei corsi d’acqua ecc.).<br />

Distribuzione nel territorio: Presente soprattutto nella fascia montana (800-1˙600 m s.l.m.), dove localmente può essere<br />

anche piuttosto comune; a quote inferiori e superiori <strong>di</strong>viene spora<strong>di</strong>ca. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Lo<strong>di</strong> (CAS), Monza e<br />

Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia da prima della metà del XIX secolo: coltivata a Padova nel 1842,<br />

osservata selvatica a Trieste nel 1896. Naturalizzata in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1948 (Giacomini, 1950).<br />

Modalità d’introduzione: Volontaria (pianta me<strong>di</strong>cinale).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Colonizzando ambienti già intrinsecamente degradati, l’impatto <strong>di</strong> questa specie è <strong>di</strong> fatto trascurabile, se<br />

esclu<strong>di</strong>amo il danno estetico che può provocare (ad esempio, quando invade marciapie<strong>di</strong> e vialetti nei giar<strong>di</strong>ni).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Utilizzo <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>, sarchiatura.<br />

Note: La camomilla <strong>di</strong> montagna potrebbe essere confusa con la camomilla comune, M. chamomilla L., che <strong>di</strong>fferisce, oltre per l’aroma tipico e<br />

decisamente più gradevole rispetto a quello <strong>di</strong> M. <strong>di</strong>scoidea, soprattutto per la presenza nei capolini dei fiori del raggio (ligulati e <strong>di</strong> colore bianco).<br />

Bibliografia: Giacomini, 1950<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Matricaria <strong>di</strong>scoidea DC.<br />

Nome volgare: camomilla <strong>di</strong> montagna<br />

Sinonimi: Artemisia matricarioides auct., non Less.<br />

Chamomilla suaveolens (Pursh) Rydb.<br />

Matricaria matricarioides auct., non (Less.) Porter<br />

Matricaria suaveolens (Pursh) Buchenau, non L., comb. illeg.<br />

Santolina suaveolens Pursh<br />

rudbecKia<br />

comune<br />

Tipo biologico: Grad<br />

Descrizione: Pianta erbacea ra<strong>di</strong>cigemmata, alta 50-250 cm con rizoma ingrossato, fusiforme. Foglie alterne, le inferiori<br />

a lamina intera o più o meno incisa, le superiori, lunghe 10-20 cm, profondamente incise o completamente <strong>di</strong>vise in 3-5<br />

segmenti pennati, lanceolato-acuminati e più o meno dentati al margine. Calati<strong>di</strong> del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 7-12 cm, lungamente<br />

peduncolate; fiori periferici generalmente 5-8 (in coltura anche molte decine in calati<strong>di</strong> simili a quelle delle dalie), con ligula<br />

gialla; fiori centrali tubulosi, bruni. Frutti ad achenio <strong>di</strong> 5 mm, con pappo costituito da una corona <strong>di</strong> dentelli.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Sponde dei fossi.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT),<br />

<strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia sin dal Seicento e naturalizzata dalla seconda metà dell’Ottocento. In<br />

Lombar<strong>di</strong>a nel 1890 già naturalizzata da tempo lungo l’Olona, da dove è stata portata all’Orto Botanico <strong>di</strong> Brera, e a Treviglio<br />

(BG) (Micheletti, 1890).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per il mercato ortofloricolo.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Estetico, localizzato.<br />

Bibliografia: Micheletti, 1890<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Rudbeckia laciniata L.<br />

Nome volgare: rudbeckia comune<br />

246 247


senecione<br />

sudafricano<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Senecio inaequidens DC.<br />

Nome volgare: senecione sudafricano<br />

Sinonimi: Senecio harveianus auct., non MacOwan<br />

Senecio linifolius auct., non L.<br />

Senecio reclinatus auct., non L.f.<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta 40-60(-100) cm, con fusto eretto, glabro, striato, ramoso dalla base e talora<br />

suffruticoso. Foglie alterne, lineari-lanceolate o ellittico-lanceolate, lunghe 60-70 mm, carenate, intere, ad apice acuto e con<br />

brevi tubercoli cartilaginei puntiformi o dentelli irregolari, come ricorda il nome specifico. Capolini (calati<strong>di</strong>) numerosi, larghi<br />

1.8-2.5 cm, reclinati prima dell’antesi, riuniti in cime corimbose irregolari, con involucro piriforme e fillari (brattee) lanceolati,<br />

gli interni in numero <strong>di</strong> circa 21, brunastri all’apice, gli esterni 10-12, purpurei; fiori gialli, i periferici ligulati, lunghi 14 mm. I<br />

frutti sono acheni cilindrici, pubescenti tra le nervature, provvisti <strong>di</strong> pappo bianco.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-<strong>di</strong>cembre.<br />

Area d’origine: Sudafrica (Lesotho, Port Elisabeth).<br />

Habitat: Incolti sassosi, campi, vigne, ambienti ruderali e semiruderali (strade, sentieri, macerie, aree abbandonate, base dei<br />

muri ed e<strong>di</strong>fici, ferrovie e scarpate, luoghi calpestati), rupi, muri, greti dei fiumi e pascoli.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffuso in tutta la regione, soprattutto nella fascia planiziale tra 0 e 1˙000 m s.l.m. Bergamo<br />

(INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (NAT), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV),<br />

Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, coltivata in Italia a fine Ottocento (es. Orto Botanico <strong>di</strong> Firenze). Osservata per la prima volta<br />

in natura nel 1947 nei bassi Lessini veronesi (Carrara Pantano & Tosco, 1959), giunta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1969 (Arietti &<br />

Crescini, 1975).<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale; secondo Carrara Pantano & Tosco (1959), i semi sarebbero arrivati in Italia attraverso<br />

gli imballaggi <strong>di</strong> merci provenienti dal Sudafrica e destinate alle truppe americane stanziate in Veneto nelle fasi conclusive<br />

della seconda guerra mon<strong>di</strong>ale o nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Ha effetti negativi sui raccolti (vigne), sulla bio<strong>di</strong>versità, riduce il valore dei pascoli ed è tossica per gli animali a<br />

sangue caldo (incluso l’uomo; a volte letale per i cavalli), contenendo alcaloi<strong>di</strong> pirrolizi<strong>di</strong>nici. Tali sostanze possono passare<br />

al latte o persino al miele attraverso il nettare. Mo<strong>di</strong>fica inoltre il paesaggio, rimanendo in fioritura per 6-7 mesi all’anno e<br />

danneggia le infrastrutture, interferendo sul recupero delle aree rurali <strong>di</strong>smesse. Il principale impatto <strong>di</strong> questa specie è legato<br />

alla sua elevata competitività; ha, infatti, un tasso riproduttivo elevato, ogni pianta potendo sviluppare 80-100 infiorescenze e<br />

producendo 30˙000 semi all’anno, capaci <strong>di</strong> rimanere vitali fino a 40 anni; si adatta facilmente a situazioni climatiche <strong>di</strong>fferenti<br />

ed è in<strong>di</strong>fferente al substrato. Tutte queste caratteristiche ne favoriscono la sopravvivenza e l’espansione. La <strong>di</strong>spersione<br />

naturale avviene tramite gli spostamenti d’aria, ma anche ad opera degli uccelli, dei mammiferi domestici e dell’uomo.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitino la <strong>di</strong>ffusione, come lasciare il suolo nudo,<br />

esposto all’inse<strong>di</strong>amento dei semi, o rimuovere il terreno, con il rischio <strong>di</strong> traslocare propaguli da un luogo all’altro. Il miglior<br />

controllo si esercita eliminando la pianta in tempo reale, al momento della sua comparsa. Il contenimento si effettua con<br />

lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) o, meglio, l’era<strong>di</strong>cazione manuale degli in<strong>di</strong>vidui (da ripetersi<br />

per <strong>di</strong>versi anni consecutivi), ma anche l’eventuale impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; quando possibile, provvedere imme<strong>di</strong>atamente alla<br />

semina dei suoli nu<strong>di</strong> con specie in<strong>di</strong>gene a forte ricoprimento (trifoglio, sementi per prato polifita) o alla piantumazione <strong>di</strong><br />

arbusti ombreggianti (controllo biologico). Nei campi coltivati si può procedere con sarchiature e arature.<br />

Note: In Inghilterra, ai fini della lotta biologica, è allo stu<strong>di</strong>o il comportamento <strong>di</strong> un coleottero (Longitarsus jacobaeae, Chrysomelidae, Alticini), che<br />

sembra nutrirsi anche <strong>di</strong> questa pianta.<br />

pioggia d’oro<br />

canadese<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Solidago canadensis L.<br />

Nome volgare: pioggia d’oro canadese<br />

Sinonimi: Aster canadensis (L.) Kuntze<br />

Doria canadensis (L.) Lunell<br />

Solidago altissima L.<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata <strong>di</strong> un rizoma lungamente strisciante; fusti eretti, pubescenti<br />

o talvolta progressivamente pubescenti dalla base. Foglie basali assenti; le inferiori <strong>di</strong> solito avvizzite alla fioritura; le me<strong>di</strong>e<br />

e le superiori progressivamente minori, 3-5(-o più)×1 (circa) cm, sessili, lanceolate; margine seghettato oppure intero nelle<br />

foglie <strong>di</strong>stali, apice acuminato. Infiorescenza formata da calati<strong>di</strong> <strong>di</strong>sposte in una sorta <strong>di</strong> corimbo; peduncoli 3-3.5 mm; brattee<br />

dell’involucro in 3-4 serie, acute oppure ottuse, le esterne lanceolate e le interne lineari-lanceolate; fiori del raggio in genere<br />

8-14, con ligula lunga 0.5-1.5 mm, giallo pallido; fiori del <strong>di</strong>sco in genere 3-6, con corolla <strong>di</strong> circa 2-3 mm. Frutto formato da<br />

un achenio <strong>di</strong> 1-1.5 mm, sormontato da un pappo <strong>di</strong> circa 2 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica centro-orientale.<br />

Habitat: Diffusa in <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> ambienti, sembra avere un’ecologia simile a quella <strong>di</strong> S. gigantea, sebbene appaia meno<br />

tollerante alle con<strong>di</strong>zioni ecologiche estreme sopportate dalla congenere. Talvolta le due specie si rinvengono insieme in<br />

popolamenti misti.<br />

Distribuzione nel territorio: Presenta una <strong>di</strong>stribuzione più ristretta rispetto a S. gigantea (200-800 m s.l.m.), rimanendo<br />

soprattutto ristretta nella fascia collinare. La <strong>di</strong>stribuzione <strong>di</strong> S. canadensis, in particolare nella fascia planiziale dove è presente<br />

in poche stazioni <strong>di</strong> alta pianura, sembra rivelare minore capacità invasiva rispetto alla congenere. Bergamo (NAT), Brescia<br />

(NAT), Como (INV), Lecco (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT), Mantova (NAT), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. Conosciuta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1785 come pianta<br />

coltivata (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e almeno dal 1855-1915 come naturalizzata (Cobau, 1920).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali e melliferi.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Paesaggistico e bioecologico; sebbene in misura inferiore rispetto a S. gigantea, abbassa la bio<strong>di</strong>versità delle cenosi<br />

erbacee <strong>di</strong> cui invade il territorio e altera i caratteri del paesaggio. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone<br />

vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: La <strong>di</strong>spersione <strong>di</strong> S. canadensis e le tecniche per contenerla sono le medesime in<strong>di</strong>cate per S.<br />

gigantea.<br />

Note: S. canadensis è tutt’oggi coltivata sia per la formazione <strong>di</strong> bordure sia per il fiore reciso, anche se meno frequentemente <strong>di</strong> S. gigantea;<br />

quest’ultima ragione è forse correlata alla sua minor <strong>di</strong>ffusione sul territorio regionale. Le due specie vengono spesso confuse, ma sono facilmente<br />

<strong>di</strong>stinte per la <strong>di</strong>fferente pelosità del fusto, per il colore dei fiori (giallo intenso in S. gigantea) e per le <strong>di</strong>mensioni delle calati<strong>di</strong>; inoltre le ramificazioni<br />

dell’infiorescenza in S. canadensis sono più estese, ma più lasse, quin<strong>di</strong> complessivamente meno appariscenti <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong> S. gigantea. Sia pure<br />

raramente, anche da noi viene coltivata qua e là una terza specie, Euthamia graminifolia (L.) Nutt. (= Solidago g. (L.) Salisb., = Chrysocoma g.<br />

L.), sempre del Nordamerica, che è simile alle precedenti ma con foglie lineari lunghe e larghe fino a 15×2 cm, a margine intero e 2-4 nervi<br />

laterali rilevati; si tratta <strong>di</strong> entità naturalizzata in <strong>di</strong>verse parti dell’Europa centrale, con potenzialità <strong>di</strong> “fuga” analoghe alle specie precedenti. Finora,<br />

fortunatamente, è conosciuta soltanto in Piemonte (Soldano & Sella, 1988) e non sembra sfuggire nel nostro territorio.<br />

Bibliografia: Cobau, 1920; Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Soldano & Sella 1988; Stevens et al., 2001; Weber, 2001; Weber & Schmid, 1998<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1975; Bornkamm, 2002; Carrara Pantano & Tosco, 1959; Lafuma et al., 2003<br />

248 249


pioggia<br />

d’oro<br />

maggiore<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Solidago gigantea Aiton<br />

Nome volgare: pioggia d’oro maggiore<br />

Sinonimi: Aster latissimifolius (Mill.) Kuntze var. serotinus Kuntze<br />

Solidago gigantea Aiton subsp. serotina (Kuntze) McNeill<br />

Solidago gigantea Aiton var. serotina (Kuntze) Cronquist<br />

Solidago serotina Aiton, non Retz., nom. illeg.<br />

Solidago serotinoides Á.Löve & D.Löve<br />

Tipo biologico: Grhiz<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata <strong>di</strong> un rizoma lungamente strisciante; fusti eretti, glabri o<br />

con sparsi peli rigi<strong>di</strong> appressati, glaucescenti (soprattutto verso l’apice). Foglie basali assenti; le inferiori <strong>di</strong> solito avvizzite alla<br />

fioritura; le me<strong>di</strong>e e le superiori progressivamente minori, 5.5-7.5×1 (circa) cm, sessili, lanceolate; margine seghettato, apice<br />

acuminato. Infiorescenza formata da calati<strong>di</strong> <strong>di</strong>sposte in una sorta <strong>di</strong> corimbo; peduncoli 1.5-3 mm; brattee dell’involucro in<br />

3-4 serie, acute, le esterne lanceolate e le interne lineari-lanceolate; fiori del raggio in genere 9-15, con ligula lunga 1-3 mm,<br />

giallo intenso; fiori del <strong>di</strong>sco in genere 7-12, con corolla <strong>di</strong> circa 3-3.5 mm. Frutto formato da un achenio <strong>di</strong> circa 1-1.5 mm,<br />

sormontato da un pappo <strong>di</strong> 2-2.5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica nordorientale.<br />

Habitat: È soprattutto presente in ambienti ruderali (margini stradali e <strong>di</strong> sentieri, cantieri abbandonati, <strong>di</strong>scariche ecc.). Pur<br />

tollerando suoli moderatamente ari<strong>di</strong>, preferisce quelli umi<strong>di</strong>, affermandosi anche in quelli con falda d’acqua alta; in queste ultime<br />

situazioni, compare peculiarmente in vegetazioni <strong>di</strong> aree umide, in particolare nelle comunità con Phragmites australis o Filipendula<br />

ulmaria. Sopporta pure un moderato ombreggiamento, penetrando anche in aree boschive degradate, sfruttando le strade <strong>di</strong><br />

accesso. Colonizza campi e prati abbandonati, precedendo la ricolonizzazione del bosco e in particolare della robinia.<br />

Distribuzione nel territorio: Distribuita su tutto il territorio regionale (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale<br />

e collinare. Bergamo (INV), Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong><br />

(INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio (INV), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia all’inizio del secolo XIX. Conosciuta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1891 come<br />

pianta naturalizzata (campione raccolto da O. Balzerini a Cremona e conservato nell’Erbario <strong>di</strong> Pavia, PAV); Cavara (1894) la<br />

segnala naturalizzata, almeno dal 1892.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali e melliferi.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: La sua notevole capacità competitiva la porta a formare densi popolamenti monofitici, anche su superfici <strong>di</strong><br />

parecchie centinaia <strong>di</strong> metri quadrati. Tale aggressività è sostenuta da allelopatia, cioè dalla capacità della pianta <strong>di</strong> annullare<br />

la competizione delle altre inibendone la crescita me<strong>di</strong>ante molecole (della famiglia delle coline) immesse nel suolo<br />

attraverso le ra<strong>di</strong>ci. Questa performance esercita un’influenza negativa soprattutto nelle aree umide, dove la specie si mostra<br />

particolarmente virulenta. Comparsa e <strong>di</strong>ffusione della pianta sono favorite dagli episo<strong>di</strong> ricorrenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>sturbo quali lo sfalcio,<br />

l’incen<strong>di</strong>o o le movimentazioni <strong>di</strong> terreno. Nel complesso questa specie è una minaccia abbastanza seria per la bio<strong>di</strong>versità<br />

delle cenosi autoctone e una causa <strong>di</strong> in<strong>di</strong>scusso degrado paesaggistico. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone<br />

vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitano la <strong>di</strong>ffusione, come la presenza <strong>di</strong> suolo nudo,<br />

che ne favorisce l’inse<strong>di</strong>amento da seme, e i movimenti <strong>di</strong> terra, che possono traslocare parti <strong>di</strong> rizomi. Il contenimento<br />

avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura) e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; se<br />

possibile, provvedere imme<strong>di</strong>atamente alla semina con specie in<strong>di</strong>gene o alla piantumazione <strong>di</strong> arbusti ombreggianti.<br />

Note: Questa specie, introdotta per scopi floricolturali, è ancor oggi largamente coltivata, sia per la formazione <strong>di</strong> bordure che per l’impiego del<br />

fiore reciso. Spesso si fa riferimento alla var. serotina, con foglie completamente glabre, quale unico morfotipo presente sul nostro territorio, mentre<br />

la varietà nominale (var. gigantea), finora mai segnalata, presenterebbe nervature fogliari sparsamente pubescenti. Stu<strong>di</strong> recenti hanno <strong>di</strong>mostrato<br />

che le due variazioni rappresentano solo estremi morfologici <strong>di</strong> un carattere (pelosità) ad espressione popolazionale, del tutto ininfluente sulla<br />

congruità sistematica della specie, confermando la necessità <strong>di</strong> porre in sinonimia i due taxa (Semple & Cook, 2006).<br />

astro<br />

lanceolato<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Symphyotrichum lanceolatum (Willd.)<br />

G.L.Nesom<br />

Nome volgare: astro lanceolato<br />

Basionimo: Aster lanceolatus L.<br />

Sinonimi: Aster tradescantii auct., non L.<br />

Symphyotrichum tradescantii auct., non (L.) G.L.Nesom<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 2 m, dotata <strong>di</strong> un lungo rizoma; fusto eretto, glabrescente. Foglie basali<br />

assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ovato-lanceolata, oblanceolata o lineare-lanceolata, (4-)5-15×(0.3-)1-2(-3.5)<br />

cm (le inferiori scomparse alla fioritura, le superiori solo leggermente ridotte), margine intero o seghettato, base cuneata ±<br />

decorrente, apice acuto o acuminato. Capolini con <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 6-15 mm, inseriti tutt’attorno a ciascun ramo e in genere sino<br />

a un massimo <strong>di</strong> 20; involucro <strong>di</strong> 3.5-5 mm, con squame esterne lunghe ¹/3 - 2/3 <strong>di</strong> quelle interne; fiori del raggio 17-47, con<br />

ligule lunghe 3-8 mm e <strong>di</strong> colore biancastro oppure porpora-bluastro; fiori del <strong>di</strong>sco tubulosi 16-38, <strong>di</strong> colore giallo e con<br />

lobi della corolla eretti o solo talvolta patenti. Frutto costituito da un achenio lungo 0.5-1.5 mm, sormontato da un pappo <strong>di</strong><br />

circa 3-5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica (dal Canada al Messico).<br />

Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e <strong>di</strong> sentieri, cantieri abbandonati, <strong>di</strong>scariche ecc.).<br />

Distribuzione nel territorio: Distribuito pressoché in tutta la Lombar<strong>di</strong>a (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale<br />

e collinare. Bergamo (INV), Brescia (NAT), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong><br />

(INV), Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII. La prima segnalazione lombarda correttamente<br />

determinata è quella <strong>di</strong> Soldano (1980a); in precedenza in<strong>di</strong>cata da Stucchi (1949b) come Aster salignus (ve<strong>di</strong> il capitolo<br />

specie dubbie e da escludere). Probabilmente è da ricondurre a questa specie anche la segnalazione <strong>di</strong> Aster tradescantii <strong>di</strong><br />

Forti (1928) per il porto <strong>di</strong> Bellagio (CO).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Questa specie forma densi popolamenti estesi qualche decina <strong>di</strong> metri quadrati, in cui soppianta tutte le altre<br />

piante erbacee.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Occorre innanzitutto evitare azioni che ne facilitino la <strong>di</strong>ffusione, come lasciare i suoli denudati<br />

favorendone l’inse<strong>di</strong>amento per seme in assenza <strong>di</strong> competizione, o smuovere il terreno che conteneva in precedenza la<br />

pianta, con rischio <strong>di</strong> trasloco <strong>di</strong> frammenti del rizoma. Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3<br />

volte prima della fioritura) e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; se possibile, provvedere imme<strong>di</strong>atamente alla semina con<br />

specie in<strong>di</strong>gene o alla piantumazione <strong>di</strong> arbusti.<br />

Note: Questa specie, come altre congeneri, è <strong>di</strong>ffusamente coltivata in orti e giar<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> tutto il territorio regionale. Rispetto alle altre specie <strong>di</strong> astri<br />

esotici, S. lanceolatum è sicuramente quella più competitiva e invasiva. La sistematica infraspecifica <strong>di</strong> S. lanceolatum è piuttosto complessa nell’area<br />

<strong>di</strong> origine; tuttavia, sembra che le popolazioni spontanee in Lombar<strong>di</strong>a appartengano <strong>di</strong> fatto alla var. lanceolatum. In passato S. lanceolatum era<br />

stato confuso con S. tradescantii (Nordamerica), che si <strong>di</strong>stingue in quanto pianta cespitosa dotata <strong>di</strong> un rizoma corto e circoscritto e, inoltre, per i<br />

fiori del raggio sempre bianchi, a riscontro <strong>di</strong> quelli del <strong>di</strong>sco giallo-palli<strong>di</strong>. Questa specie è inoltre facilmente confon<strong>di</strong>bile con altri Symphyotrichum<br />

spontanei o coltivati in Lombar<strong>di</strong>a. S. novi-belgii (naturalizzata, ve<strong>di</strong> scheda) presenta foglie abbraccianti e capolini <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>mensioni; S.<br />

pilosum (naturalizzata, ve<strong>di</strong> scheda) presenta calati<strong>di</strong> con squame ad apice involuto, formante una caratteristica spinula ialina; S. novae-angliae (L.)<br />

G.L.Nesom (= Aster n.-a. L.; astro del New England, casuale), è facilmente riconoscibile per i peli ghiandolari che ricoprono la parte superiore dei<br />

fusti, i peduncoli fiorali e le squame dei capolini. Più <strong>di</strong>fficoltosa è la <strong>di</strong>stinzione da alcuni ibri<strong>di</strong>, presenti in coltivazione e segnalati per errore come<br />

spontaneizzati, S. ×salignum (Willd.) G. L.Nesompro sp. (= Aster s. Willd., = S. lanceolatum × S. novi-belgii; astro salicino), simile a S. novi-belgii ma<br />

riconoscibile per la base fogliare non amplessicaule, e S. ×versicolor (Willd.) G.L.Nesompro sp. (= Aster v. Willd., = S. laeve (L.) Á.Löve & D.Löve × S.<br />

novi-belgii), caratterizzato da foglie lunghe non più <strong>di</strong> 2(-5) volte la larghezza, a contorno quasi ovato.<br />

Bibliografia: Brouillet et al., 2006; Chmielewski & Semple, 2001a; Forti, 1928; Hoffmann, 1996; Soldano, 1980a; Stucchi, 1949b; Yeo, 2000<br />

Bibliografia: Cavara, 1894; Gabi et al., 2004; Semple & Cook, 2006; Weber, 2001; Weber & Jakobs, 2005; Weber & Schmid, 1998<br />

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astro <strong>di</strong><br />

new yorK<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Symphyotrichum novi-belgii (L.) G.L.Nesom<br />

Nome volgare: astro <strong>di</strong> New York<br />

Basionimo: Aster novi-belgii L.<br />

Sinonimi: Aster laevigatus Lam.<br />

Aster novi-belgii L. subsp. laevigatus (Lam.) Thell.<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1.5 m, dotata <strong>di</strong> rizoma; fusto eretto, glabrescente. Foglie basali assenti<br />

alla fioritura; foglie cauline con lamina ovato-lanceolata, obovato-lanceolata, ellittica o lineare-lanceolata, 4-20×0.4-4 cm (le<br />

inferiori scomparse alla fioritura, le superiori via via ridotte), margine da intero a seghettato, sessili o con picciolo largamente<br />

alato e abbracciante il fusto, apice acuto o acuminato. Capolini portati in racemi con rami <strong>di</strong>varicati o ascendenti; involucro<br />

<strong>di</strong> 6-9 mm, con squame esterne lunghe almeno la metà <strong>di</strong> quelle interne; fiori del raggio 15-35, con ligule lunghe 1-2 cm e<br />

<strong>di</strong> colore blu-viola, <strong>di</strong> rado biancastre; fiori del <strong>di</strong>sco tubulosi 28-68 e <strong>di</strong> colore giallo (poi brunastri). Frutto costituito da un<br />

achenio lungo 2-4 mm, sormontato da un pappo <strong>di</strong> 4-6 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-novembre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e <strong>di</strong> sentieri, cantieri abbandonati, <strong>di</strong>scariche ecc.),<br />

spesso come residuo <strong>di</strong> precedenti coltivazioni. Non sembra avere una notevole capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>spersione in ambienti a maggior<br />

naturalità.<br />

Distribuzione nel territorio: Distribuito pressoché in tutta la Lombar<strong>di</strong>a (50-1˙000 m s.l.m.), soprattutto nelle fasce planiziale<br />

e collinare. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Mantova (NAT), Pavia (CAS), Sondrio (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XVIII.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Data la modesta <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Il contenimento avviene tramite lo sfalcio selettivo (da ripetere 2-3 volte prima della fioritura)<br />

e/o coa<strong>di</strong>uvato dall’impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong>; se possibile, provvedere imme<strong>di</strong>atamente alla semina con specie in<strong>di</strong>gene o alla<br />

piantumazione <strong>di</strong> arbusti ombreggianti.<br />

Note: Questa specie, come altre congeneri, è <strong>di</strong>ffusamente coltivata su tutto il territorio regionale a scopo ornamentale. Nell’area d’origine la<br />

sistematica infraspecifica <strong>di</strong> S. novi-belgii è piuttosto articolata, sebbene le popolazioni spontanee in territorio lombardo sembrino doversi<br />

effettivamente attribuire alla varietà nominale della specie. Aster novi-belgii subsp. laevigatus (= A. laevigatus), segnalato in Lombar<strong>di</strong>a da Fiori<br />

(1927a), Giacomini (1950) e Arietti & Crescini (1980), non si <strong>di</strong>stingue dal tipo della specie (Hoffmann, 1996).<br />

Facilmente confon<strong>di</strong>bile con altri Symphyotrichum: rispetto a S. lanceolatum, l’entità <strong>di</strong> gran lunga più <strong>di</strong>ffusa allo stato spontaneo, presenta foglie<br />

abbraccianti e capolini <strong>di</strong> maggiori <strong>di</strong>mensioni.<br />

Bibliografia: Arietti & Crescini, 1980; Brouillet et al., 2006; Fiori, 1927a; Giacomini, 1950; Hoffmann, 1996; Yeo, 2000<br />

astro<br />

ericoide<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Symphyotrichum pilosum (Willd.) G.L.Nesom<br />

Nome volgare: astro ericoide<br />

Basionimo: Aster pilosus Willd.<br />

Sinonimi: Aster ericoides auct., non L.<br />

Aster ericoides L. var. pilosus (Willd.) Porter<br />

Aster lateriflorus auct., non (L.) Britton<br />

Aster vimineus auct., non Lam.<br />

Solidago lateriflora auct., non L.<br />

Symphyotrichum ericoides auct., non (L.) G.L.Nesom<br />

Symphyotrichum lateriflorum auct., non (L.) Á.Löve & D.Löve<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea perenne, alta sino a circa 1.5-2 m, dotata <strong>di</strong> un rizoma più o meno lungo; fusto eretto, da glabro<br />

a densamente irsuto. Foglie basali assenti alla fioritura; foglie cauline con lamina ellittico-lanceolata, lineare-oblunga, linearelanceolata<br />

o lineare-oblanceolata, 4-10.2×0.5-2.5 cm (le inferiori scomparse alla fioritura e spesso con ciuffetti ascellari <strong>di</strong><br />

piccole foglie; le superiori via via ridotte), margine da intero a seghettato, peduncolate o subsessili (picciolo strettamente<br />

o largamente alato, abbracciante), base da attenuata a cuneata ± abbracciante, apice attenuato e involuto, formante una<br />

spinula ialina. Capolini <strong>di</strong>sposti in infiorescenza piramidale o panicolata, spesso unilaterali; involucro <strong>di</strong> (2.5-)3.5-5.1(-6.5) mm,<br />

con squame ad apice involuto, formante una caratteristica spinula ialina; fiori del raggio (10-)16-28(-38), con ligule lunghe<br />

(4-)5.4-7.5(-11) mm e <strong>di</strong> colore usualmente bianco (raramente rosate o bluastre); fiori del <strong>di</strong>sco tubulosi (13-)17-39(-67), <strong>di</strong><br />

colore giallo chiaro, porpora-rossastri o marroni a maturità. Frutto costituito da un achenio lungo 1-1.5 mm, sormontato da<br />

un pappo <strong>di</strong> 3.5-4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: agosto-ottobre.<br />

Area d’origine: Nordamerica orientale.<br />

Habitat: Si rinviene soprattutto in ambienti ruderali (margini stradali e <strong>di</strong> sentieri, cantieri abbandonati, <strong>di</strong>scariche ecc.).<br />

In habitat a maggior naturalità è presente nelle fasce erbose dei campi oppure in boscaglie degradate. Ha comunque un<br />

carattere sinantropico e pre<strong>di</strong>lige le posizioni ben soleggiate.<br />

Distribuzione nel territorio: Sinora conosciuto per la Lombar<strong>di</strong>a centrale e occidentale, soprattutto nelle fasce planiziale e<br />

collinare. Brescia (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia in periodo imprecisato. In Lombar<strong>di</strong>a conosciuto in natura dall’inizio del<br />

XXI secolo e segnalato per la prima volta da Banfi et al. (2009) sotto il nome erroneo <strong>di</strong> S. lateriflorum.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Data la modesta <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie, l’impatto è attualmente trascurabile.<br />

Note: Specie tra<strong>di</strong>zionalmente confusa con S. ericoides o altre specie simili (Hoffmann, 1996; Chmielewski & Semple, 2001b; Brouillet et al., 2006);<br />

in Lombar<strong>di</strong>a precedentemente confusa con S. lateriflorum.<br />

La cultivar ‘Monte Cassino’, afferente alla var. pringlei (A.Gray) G.L.Nesom, è largamente coltivata e venduta come fiore reciso.<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009; Brouillet et al., 2006; Chmielewski & Semple, 2001b; Hoffmann, 1996; Yeo, 2000<br />

252 253


astro<br />

squamoso<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Symphyotrichum squamatum (Spreng.) G.L.Nesom<br />

Nome volgare: astro squamoso<br />

Basionimo: Conyza squamata Spreng.<br />

Sinonimi: Aster squamatus (Spreng.) Hieron.<br />

Aster subulatus auct., non Michx.<br />

Conyzanthus squamatus (Spreng.) Tamamsch.<br />

Mesoligus subulatus auct., non (Michx.) Raf.<br />

Symphyotrichum subulatum (Michx.) G.L.Nesom<br />

subsp. squamatum (Spreng.) S.D.Sundb.<br />

Symphyotrichum subulatum auct., non (Michx.) G.L.Nesom<br />

Tripolium subulatum auct., non (Michx.) DC.<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta sino a circa 1 m, con fusti eretti e ramificati. Foglie inferiori assenti alla fioritura, <strong>di</strong><br />

forma lanceolato-lineare, fino a 9×1.4 cm, acute; foglie dei rami fiorali ridotte, lineari-lesiniformi, (20-)100-200×1.5-10(-20)<br />

mm. Capolini aventi un <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> circa 8 mm, portati numerosissimi su rami corimbosi; involucro conico, lungo 5-7(-8)<br />

mm; squame lesiniformi, in numero <strong>di</strong> 18-24(-30), con una porzione verde scuro <strong>di</strong> forma ampiamente lanceolata e non<br />

raggiungente la base della squama; fiori del raggio 21-28(-38) in (2-)3 serie, ligulati e <strong>di</strong> colore biancastro (poi violetto); fiori<br />

del <strong>di</strong>sco (3-)7-14, tubulosi e giallastri. Frutto costituito da un achenio lungo 1.5-2.5 mm, sormontato da un pappo roseo <strong>di</strong><br />

4-5 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-ottobre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Sponde erbose, ambienti ruderali, umi<strong>di</strong> almeno nella prima parte della stagione.<br />

Distribuzione nel territorio: Distribuito in quasi tutta la Lombar<strong>di</strong>a (50-800 m s.l.m., soprattutto nelle fascia planiziale.<br />

Bergamo (NAT), Brescia (INV), Como (NAT), Cremona (NAT), Lecco (NAT), Lo<strong>di</strong> (NAT), Monza e Brianza (NAT), <strong>Milano</strong> (NAT),<br />

Mantova (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, conosciuta sin dal 1908 nel giar<strong>di</strong>no dell’Istituto Botanico <strong>di</strong> Panisperma a Roma, dove<br />

mostrava la tendenza a <strong>di</strong>ffondersi nei luoghi più umi<strong>di</strong>; raccolta in natura per la prima volta nel 1927, sempre nel Lazio<br />

(Chiovenda, 1930, 1931; Fiori, 1931). In Lombar<strong>di</strong>a è conosciuta come naturalizzata almeno dal 1985 (Crescini, 1987).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, in Orto botanico.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Scarso.<br />

Note: Entità tetraploide (2n = 20) affine alla <strong>di</strong>ploide S. subulatum, alla quale è a volte subor<strong>di</strong>nata come varietà (Sundberg, 2004; Brouillet et al.,<br />

2006); al contrario, Nesom (1994, 2005) preferisce il rango specifico. Considerata la <strong>di</strong>versità del numero cromosomico, la separazione morfologica<br />

e geografica e la elevata sterilità degli ibri<strong>di</strong> artificiali optiamo per la trattazione <strong>di</strong> Nesom.<br />

Bibliografia: Aeschimann et al., 2004; Banfi & Galasso, 1998; Bonali, 2000; Bonali et al., 2006a; Brouillet et al., 2006; Chiovenda, 1930, 1931;<br />

Consonni, 1997; Crescini, 1987; Fiori, 1931; Frattini, 1993; Guarino, 1995; Nesom, 1994, 2005; Sundberg, 2004; Zanotti, 1991b<br />

nappola<br />

comune<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Xanthium italicum Moretti<br />

Nome volgare: nappola comune<br />

Sinonimi: Xanthium cavanillesii Schouw<br />

Xanthium echinatum Murray subsp. italicum (Moretti) O.Bolòs & Vigo<br />

Xanthium macrocarpum DC. subsp. italicum (Moretti) Nyman<br />

Xanthium nigri Ces., Pass. & Gibelli<br />

Xanthium orientale L. subsp. italicum (Moretti) Greuter<br />

Xanthium saccharatum Wallr.<br />

Xanthium saccharatum Wallr. subsp. italicum (Moretti) Hayek<br />

Xanthium strumarium L. subsp. cavanillesii (Schouw) D.Löve & Dans.<br />

Xanthium strumarium L. subsp. italicum (Moretti) D.Löve<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, abbastanza robusta, alta 30-120 cm, ruvida su fusto e foglie; fusti eretti, ramosissimi alla<br />

base e formanti un cespuglio emisferico, talora arrossati. Foglie con picciolo <strong>di</strong> 5-15 cm e lamina triangolare <strong>di</strong> 7-12×8-12 cm,<br />

palmato-trinervia, dentata e crenata sul bordo, troncato-cuneata alla base. Fiori in infiorescenze particolari (ve<strong>di</strong> scheda <strong>di</strong> X.<br />

spinosum), le maschili <strong>di</strong> 6-8 mm su brevi peduncoli, le femminili biflore, delimitate da un involucro indurito e irto <strong>di</strong> spine<br />

retrorsamente dentellate; spine apicali (becchi) ripiegate a uncino e formanti quasi un semicerchio; tutte le spine con setole e<br />

peli ghiandolari alla base. Frutto (<strong>di</strong>sseminulo) costituito dall’involucro persistente e indurito contenente 2 semi <strong>di</strong> cui 1 solo<br />

normalmente funzionale.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: America.<br />

Habitat: Incolti, ruderi, greti fluviali (spesso su sabbia), infestante le colture estive.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa in tutta la regione, soprattutto nella fascia planiziale. Bergamo (INV), Brescia (INV),<br />

Como (NAT), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia (INV), Sondrio<br />

(NAT), Varese (INV). [X. orientale: Bergamo (DUB), Pavia (DUB).]<br />

Periodo d’introduzione: Neofita (a <strong>di</strong>spetto dell’epiteto specifico), conosciuta in Italia almeno dal 1745.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale: queste piante si <strong>di</strong>ffondono con grande efficienza tele<strong>di</strong>spersiva grazie alla facilità con cui<br />

i loro frutti restano saldamente e, spesso, inosservatamente attaccati al pelo degli animali e ai tessuti in genere (per es. sulla yuta<br />

dei sacchi, sulla lana degli ovini, sul pelo dei cani ecc.). Pertanto, al <strong>di</strong> là del problema <strong>di</strong> dove si sia originata la specie in oggetto, è<br />

ovvio che l’introduzione iniziale degli Xanthium è il risultato <strong>di</strong> contaminazioni casuali e ripetute attraverso gli scambi commerciali<br />

transoceanici, che -lo ricor<strong>di</strong>amo- <strong>di</strong>vennero particolarmente significativi in epoca coloniale, a cavallo tra i secoli XVII e XIX.<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Ha un impatto negativo sulla bio<strong>di</strong>versità, in quanto, <strong>di</strong>ffondendosi ampiamente lungo i greti fluviali, ne determina<br />

un deterioramento floristico a scapito delle specie autoctone; qui infatti essa forma comunità in cui <strong>di</strong>venta dominante<br />

(associazione Polygono-Xanthietum italici)(Pirola & Rossetti, 1974). È inoltre una infestante delle colture estive.<br />

Note: Il genere Xanthium subgen Xanthium è composto da entità prevalentemente autogame, sud<strong>di</strong>visibili in due gruppi principali:<br />

X. strumarium L. s.l. autoctono: <strong>di</strong>sseminulo <strong>di</strong> 12-17×10-14 mm (incluse le spine), con spine <strong>di</strong> 2-3 mm e due becchi brevi (2-3 mm), ± dritti<br />

ed espansi alla base (2 mm); foglie generalmente con 3-5 lobi ben marcati; pianta non o debolmente aromatica;<br />

X. orientale L. s.l. esotico: <strong>di</strong>sseminulo <strong>di</strong> 20-26×15-21 mm (incluse le spine), con spine <strong>di</strong> 4-5 mm e due becchi lunghi (5-6 mm), arcuati e poco<br />

<strong>di</strong>latati alla base; foglie con 3(-5) lobi poco marcati; pianta aromatica.<br />

Questi due gruppi sono alla base <strong>di</strong> numerose razze morfologiche che persistono localmente per lungo tempo; tuttavia, a causa delle attività<br />

umane o per motivi naturali, ogni tanto avviene la fecondazione incrociata tra due razze e i caratteri si rimescolano. I caratteri <strong>di</strong> strumarium e<br />

orientale (incl. X. italicum) sono quelli che persistono maggiormente (Löve & Dansereau, 1959; Wisskirchen, 1995; Jeanmonod, 1998a, 1998b).<br />

Alcuni autori, soprattutto europei, considerano numerose specie; Strother (2006) una sola entità, <strong>di</strong> rango specifico, Löve (1974, 1976) due entità,<br />

<strong>di</strong> rango sottospecifico, Wisskirchen (1995) e Jeanmonod (1998a, 1998b) considerano un numero limitato <strong>di</strong> specie. Noi qui consideriamo solo tre<br />

entità, X. strumarium (autoctono), X. orientale s.s. (esotico) e X. italicum (esotico, prudentemente mantenuto <strong>di</strong>stinto da X. orientale).<br />

Bibliografia: Jeanmonod, 1998a, 1998b; Löve, 1974, 1976; Löve & Dansereau, 1959; Pirola & Rossetti, 1974; Strother, 2006; Widder, 1923; Wisskirken, 1995<br />

254 255


nappola<br />

spinosa<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Pianta erbacea annuale, alta 20-80 cm, con fusti prostrato-ascendenti, spesso pubescenti e portanti spine dorate,<br />

triforcate alla base, lunghe 1-2 cm. Foglie con picciolo <strong>di</strong> 2-4 cm e lamina pennato-partita <strong>di</strong> 3-5×2-3 cm oppure lineare e<br />

intera <strong>di</strong> 6-8×1 cm, grigio-tomentosa sulla faccia abassiale. La pianta è monoica, con infiorescenze a calatide (“capolino”),<br />

le maschili subglobose con fillari (“brattee”) in una sola serie, ricettacolo cilindrico provvisto <strong>di</strong> pagliette e numerosi fiori a<br />

5 stami, questi connati per i filamenti, ma ad antere libere, uncinate all’apice; ovario e stilo ru<strong>di</strong>mentali. Calati<strong>di</strong> femminili<br />

ovoidali, con fillari in 2 serie, gli esterni (prossimali) liberi, piccoli ed erbacei, gli interni (<strong>di</strong>stali) più gran<strong>di</strong>, connati, coriaceospinescenti,<br />

terminati da 2 becchi (raramente 1) legnosi all’apice della calatide; fiori 2, alloggiati ciascuno in una cavità interna<br />

della struttura sopra descritta, nu<strong>di</strong>, ridotti a semplici ovari con lungo stilo sporgente da un’apertura posta alla base dei becchi,<br />

sul loro lato interno. Il frutto, che è anche <strong>di</strong>sseminulo (<strong>di</strong>sseminazione teriocora-antropocora) e consiste dell’intera calatide<br />

femminile, è ellissoidale, <strong>di</strong> 10-12×4-5 mm, con spine uncinate <strong>di</strong> 3 mm, rossastre.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-ottobre.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Incolti ari<strong>di</strong>, ruderi.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale-collinare. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Mantova (CAS), Pavia (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, arrivata in Italia al principio del Settecento. Conosciuta in Lombar<strong>di</strong>a almeno dal 1785<br />

come pianta coltivata (Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789) e dal 1819 in natura (campione raccolto nel<br />

pavese e conservato nell’Erbario <strong>di</strong> Pavia, PAV); Nocca & Balbis (1821) la segnalano per la prima volta.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, con imballi <strong>di</strong> merci o altro (ve<strong>di</strong> anche X. italicum).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Note: In Pianura è rara, mentre è comune in area me<strong>di</strong>terranea.<br />

Bibliografia: Hortus regius botanicus ticinensis, 1785, 1788, 1789; Löve, 1975; Nocca & Balbis, 1821<br />

Famiglia: Asteraceae<br />

Nome scientifico: Xanthium spinosum L.<br />

Nome volgare: nappola spinosa<br />

Sinonimi: Acanthoxanthium spinosum (L.) Fourr.<br />

leycesteria<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Arbusto (frutice) deciduo, eretto-espanso, con fusti lunghi fino a 2 m e oltre, ramificati dalla base; rametti,<br />

piccioli, peduncoli, brattee e calici con pubescenza appressata. Foglie con picciolo <strong>di</strong> 5-12(-15) mm e lamina ovato-lanceolata,<br />

ovato-oblunga o largamente ovata, alla base da largamente cuneata a subcordata, <strong>di</strong> 4-13x2-6 cm, intera, remotamente<br />

denticolata o irregolarmente sinuata al margine, da acuminata a lungamente caudata all’apice, verde scuro sulla faccia<br />

adassiale, pelosa su quella abassiale, specialmente sulla nervatura principale. Racemi terminali e ascellari, formati da 1-molti<br />

verticilli <strong>di</strong> 6 fiori, con peduncolo dell’infiorescenza lungo (8-)10-25(-30) mm; brattee fogliacee vistose, ver<strong>di</strong>, rosa e rossoporpora;<br />

bratteole molto piccole (


caprifoglio<br />

giapponese<br />

Famiglia: Caprifoliaceae<br />

(= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae)<br />

Nome scientifico: Lonicera japonica Thunb.<br />

Nome volgare: caprifoglio giapponese<br />

Sinonimi: Caprifolium japonicum (Thunb.) D.Don,<br />

comb. superfl.<br />

Caprifolium japonicum (Thunb.) Dum.Cours.<br />

Lonicera flexuosa Thunb.<br />

Nintooa japonica (Thunb.) Sweet<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Liana raggiungente un’altezza <strong>di</strong> 6 m e oltre. Foglie opposte, persistenti, subcoriacee; picciolo <strong>di</strong> 3-10 mm; lamina da<br />

ovata a oblunga, <strong>di</strong> 3-9×2-5 cm, <strong>di</strong> un verde più o meno scuro, con margine intero (salvo nelle foglie dei giovani getti, il cui margine<br />

può essere lobato), base da arrotondata a subcordata, apice acuto oppure ottuso. Fiori fortemente profumati, appaiati all’ascella <strong>di</strong><br />

2 foglie ridotte, libere alla base, pentameri, zigomorfi, portati da peduncoli lunghi 3-15 mm; tubo del calice conico; corolla bilabiata<br />

lunga 3-5 cm, pubescente esternamente, bianca o talvolta leggermente rosata, virante al giallo crema dopo la pollinazione, con<br />

labbro superiore a 4 lobi stretti, ricurvi all’in<strong>di</strong>etro e labbro inferiore lineare, intero, ugualmente ricurvo; stami 5, stilo con stigma<br />

capitato, tutti lungamente sporgenti dal tubo corollino; ovario infero. Il frutto è una bacca globosa, nera, lucida, larga 3-4 mm.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-settembre.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Giappone e Cina).<br />

Habitat: Principalmente in boschi degradati, da mesofili a spiccatamente termofili, ma assente in con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> marcata<br />

ari<strong>di</strong>tà. Si rinviene anche in arbusteti, siepi, recinzioni presso le abitazioni ecc. Tollera abbastanza bene l’ombreggiamento,<br />

pur pre<strong>di</strong>ligendo ambienti a luminosità decisa. Può tappezzare il suolo, ma solo dove le con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> luce lo permettono.<br />

Distribuzione nel territorio: Diffusa su tutto il territorio regionale (50-1˙000 m s.l.m.), anche se in maggior misura nell’area<br />

planiziale e collinare, mentre in quella submontana soltanto in stazioni particolarmente calde e riparate. Bergamo (INV),<br />

Brescia (INV), Como (INV), Cremona (INV), Lecco (INV), Lo<strong>di</strong> (INV), Monza e Brianza (INV), <strong>Milano</strong> (INV), Mantova (INV), Pavia<br />

(INV), Sondrio (NAT), Varese (INV).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel XIX secolo. In Lombar<strong>di</strong>a coltivata almeno dal 1886 (campione raccolto<br />

da F. Sordelli a <strong>Milano</strong> e conservato nell’Erbario dell’Università <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>, MI) e naturalizzata almeno dal 1920 a <strong>Milano</strong> (Cobau,<br />

1920), dal 1927 (Fiori, 1927a) a Mandello Lario (LC) e da prima del 1929 (Stucchi, 1929a) a Tornavento (Lonate Pozzolo, VA).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (floricoltura).<br />

Status: Invasiva.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Sempre largamente coltivata come rampicante profumato, L. japonica è tra le specie più invasive attualmente<br />

presenti sul territorio regionale ed anche tra le specie più impattanti. Infatti, è in grado <strong>di</strong> avviluppare interamente arbusti<br />

e piccoli alberi, numerosi tipi <strong>di</strong> supporti artificiali (staccionate, muri ecc.), nonché formare un fitto tappeto che ricopre<br />

completamente il sottobosco. Provoca dunque danni alla bio<strong>di</strong>versità, al paesaggio, ai processi biogeochimi del suolo ed<br />

anche ai manufatti. È specie inclusa nella lista nera delle specie alloctone vegetali oggetto <strong>di</strong> monitoraggio, contenimento o<br />

era<strong>di</strong>cazione, allegata alla l.r. 10/2008 della Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Specie <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficile controllo, in relazione all’incre<strong>di</strong>bile capacità <strong>di</strong> autopropagazione e all’inconsueto<br />

vigore. Nel caso <strong>di</strong> invasioni localizzate sono necessari tagli selettivi (alla base dei fusti nei mesi <strong>di</strong> maggio e settembre, ripetuti<br />

per alcuni anni), mentre per invasioni <strong>di</strong>ffuse tagli più frequenti e impiego <strong>di</strong> erbici<strong>di</strong> (solo sulla porzione al suolo). È necessario<br />

comunque pre<strong>di</strong>sporre una copertura stabile nella vegetazione, rimuovendo anche i fattori <strong>di</strong> degrado che facilitano l’ingresso <strong>di</strong><br />

questa specie. Occorre eliminare accuratamente le parti tagliate e <strong>di</strong>struggerle (si moltiplica facilmente per via vegetativa). Evitare<br />

assolutamente la fruttificazione degli esemplari (i frutti sono appetiti dall’avifauna, che ne facilita la <strong>di</strong>spersione).<br />

Note: Può essere superficialmente confusa con il caprifoglio nostrano (L. caprifolium L.), <strong>di</strong>ffuso, sebbene infrequente e sempre più minacciato, nei<br />

boschi delle fasce planiziale e collinare. Questo però è presto <strong>di</strong>stinto per lo sviluppo decisamente minore (rampicante <strong>di</strong>screto e poco vistoso),<br />

per le foglie da ovato-ellittiche a subrotonde, sottili, decidue, glauche inferiormente, per i fiori in 1-2(-3) verticilli terminali sovrapposti, involucrati<br />

ciascuno da una coppia <strong>di</strong> foglie bratteali connate a formare un collare, per la corolla maggiore e per le bacche pruinose, aranciate a maturità. Va<br />

detto che il gruppo naturale <strong>di</strong> specie afferenti al caprifoglio giapponese (sect. Nintooa (Sweet) Maxim.) è tutto asiatico ad eccezione <strong>di</strong> un’entità<br />

con <strong>di</strong>stribuzione SW-me<strong>di</strong>terraneo-montana, L. biflora Desf., presente anche in Italia; è l’unica che assomiglia veramente a L. japonica.<br />

lonicera<br />

pileata<br />

Tipo biologico: nPcaesp<br />

Descrizione: Piccolo cespuglio alto sino a circa 50 cm, con rami arcuati e ra<strong>di</strong>canti. Foglie semprever<strong>di</strong>, opposte; lamina<br />

lunga generalmente 12-32 mm, da oblunga a lanceolata, verde scuro lucido e coriacea, più chiara inferiormente; apice ottuso,<br />

base cuneata, con nervatura me<strong>di</strong>ana sporgente sulla faccia adassiale (superiore). Fiori attinomorfi, sessili in coppie singole<br />

all’ascella delle foglie; calice a 5 denti, con appen<strong>di</strong>ce basale a forma <strong>di</strong> collare ricoprente il margine del profillo (cupola);<br />

corolla lunga 6-8 mm, imbutiforme, <strong>di</strong> colore giallo pallido, pubescente esternamente, con 5 denti; stami 5, sporgenti;<br />

ovario infero. Frutto costituito da una bacca globosa, violetta, lucente e traslucida (effetto “porcellana”), <strong>di</strong> 5 mm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro,<br />

contenente 2-4 semi appiattiti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Asia orientale (Cina).<br />

Habitat: Sinora rinvenuta spontanea in una forra, tra le fessure <strong>di</strong> una parete calcarea, dove sembra propagarsi soprattutto<br />

vegetativamente.<br />

Distribuzione nel territorio: Coltivata in tutto il territorio regionale, è stata rinvenuta spontanea soltanto lungo il Torrente<br />

San Giulio (loc. Pianella, Cittiglio, VA), a ca. 300 m s.l.m. Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Europa nel Novecento; segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a (e in Italia)<br />

da Banfi et al. (2009), che l’hanno osservata a partire dal 2007.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Finora irrilevante.<br />

Note: La specie si mostra sessualmente autoincompatibile e poiché viene regolarmente propagata per via vegetativa, sul nostro territorio si<br />

mantiene clonale, cioè non fruttifica, a meno che a impollinarsi siano cultivar <strong>di</strong>verse, come <strong>di</strong> fatto non si osserva. Ciò ostacola la sua <strong>di</strong>ffusione<br />

spontanea, facendo presumere che i rischi <strong>di</strong> una vera invasione siano piuttosto remoti. Può essere confusa con la simile L. ligustrina Wall. subsp.<br />

yunnanensis (Franch.) P.S.Hsu & H.J.Wang (= var. yunnanensis Franch., = L. nitida E.H.Wilson; lonicera ligustrina), ugualmente coltivata, che si<br />

<strong>di</strong>stingue solo per le foglie più piccole (lunghe 6-16 mm), a perimetro ovato, con base arrotondata o leggermente cordata e con nervatura me<strong>di</strong>ana<br />

non sporgente sulla faccia adassiale (superiore).<br />

Bibliografia: Banfi et al., 2009; Li, 2000<br />

Famiglia: Caprifoliaceae<br />

(= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae)<br />

Nome scientifico: Lonicera pileata Oliv.<br />

Nome volgare: lonicera pileata<br />

Sinonimi: Caprifolium pileatum (Oliv.) Kuntze<br />

Lonicera ligustrina Wall. var. pileata (Oliv.) Franch.<br />

Bibliografia: Cobau, 1920; Fiori, 1927a; Stucchi, 1929a<br />

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lacrime<br />

d’italia<br />

Famiglia: Caprifoliaceae (= Caprifoliaceae subfam. Caprifolioideae)<br />

Nome scientifico: Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake<br />

Nome volgare: lacrime d’Italia<br />

Basionimo: Vaccinium album L.<br />

Sinonimi: Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake fo. laevigatus (Fernald) G.N.Jones<br />

Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake subsp. laevigatus (Fernald) Hultén<br />

Symphoricarpos albus (L.) S.F.Blake var. laevigatus (Fernald) S.F.Blake<br />

Symphoricarpos racemosus Michx.<br />

Symphoricarpos racemosus Michx. var. laevigatus Fernald<br />

Symphoricarpos rivularis Suksd.<br />

Tipo biologico: Pscap<br />

Descrizione: Arbusto alto sino a circa 1 m, che si propaga tramite rizomi sotterranei. Foglie decidue, opposte; picciolo 3-5<br />

mm; lamina ovale o ellittica, <strong>di</strong> 4-6×3-5 cm, verde scuro, con margine intero o irregolarmente lobato. Fiori in cime abbreviate<br />

all’ascella delle foglie; corolla campanulata, lunga 6 mm, <strong>di</strong> colore roseo. Frutto costituito da una bacca ovoide o sferica, <strong>di</strong><br />

1-1.5 cm <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, bianca; bacche riunite in glomeruli e lungamente persistenti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Nordamerica.<br />

Habitat: Boschi <strong>di</strong>sturbati, presso le abitazioni.<br />

Distribuzione nel territorio: Coltivata su tutto il territorio regionale, è stata rinvenuta spontanea qua e là. Bergamo (NAT),<br />

Brescia (NAT), Como (CAS), Lecco (CAS), Monza e Brianza (NAT), Mantova (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nella seconda metà del XVIII secolo.<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, per floricoltura.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Allo stato attuale della sua <strong>di</strong>ffusione, questa specie non pone particolari problemi.<br />

edera<br />

algerina<br />

Famiglia: Araliaceae<br />

Nome scientifico: Hedera algeriensis Hibberd<br />

Nome volgare: edera algerina<br />

Sinonimi: Hedera canariensis auct., non Willd.<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Liana legnosa con ra<strong>di</strong>ci aggrappanti e fusti lunghi fino a 3 m. Foglie semprever<strong>di</strong>, alterne; lamina ovata,<br />

trilobata o intera, <strong>di</strong> circa 19×20 cm, con minuti peli squamiformi, solitamente rosso-brunastri (meglio visibili sulle giovani<br />

foglie, ma anche sui rametti), verde scuro brillante su entrambe le pagine; base delle foglie giovanili tronca o solo leggermente<br />

cordata. Fiori in ombrelle, spesso riunite in pannocchie racemose; calice a 5 lobi; petali 5, giallo-verdastri; stami 5, prominenti;<br />

stili riuniti in una breve colonna; ovario 5-loculare, con <strong>di</strong>sco apicale nettarifero cupuliforme e stilo al centro. Frutto consistente<br />

in una drupa violaceo-nerastra.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-novembre.<br />

Area d’origine: Nordafrica (costa me<strong>di</strong>terranea algerina e tunisina).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati, soprattutto su manufatti e in formazioni forestali antropogene, dove spesso si abbarbica sugli<br />

alberi; talvolta presso micro<strong>di</strong>scariche abusive <strong>di</strong> materiale vegetale.<br />

Distribuzione nel territorio: Specie termicamente piuttosto esigente, è presente in modo sparso su tutto il territorio<br />

regionale, anche se spesso solo casuale (100-350 m s.l.m.). Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (CAS), <strong>Milano</strong> (NAT) Varese (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in Italia nel secolo XIX. Segnalata per la prima volta in natura in Lombar<strong>di</strong>a da<br />

Conti et al. (2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata asportazione delle piante ra<strong>di</strong>cate sui manufatti.<br />

Note: Considerata un tempo conspecifica <strong>di</strong> H. canariensis Willd., <strong>di</strong>fferisce in effetti da quest’ultima, la quale ha foglie giovanili decisamente cordate e<br />

meno lucide, nonché leggermente più piccole (McAllister, 1988; McAllister & Rutherford, 1997; Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002). H. algeriensis è in<br />

genere coltivata come ricoprente, soprattutto nella cultivar ‘Gloire de Marengo’ (o ‘Souvenir de Marengo’), a foglie variegate <strong>di</strong> bianco.<br />

Bibliografia: Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002; Conti et al., 2007; McAllister, 1988; McAllister & Rutherford, 1997<br />

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edera<br />

irlandese<br />

Famiglia: Araliaceae<br />

Nome scientifico: Hedera hibernica (G.Kirchn.) Bean<br />

Nome volgare: edera irlandese<br />

Basionimo: Hedera helix L. var. hibernica G.Kirchn.<br />

Sinonimi: Hedera helix L.<br />

subsp. hibernica (G.Kirchn.) D.C.McClint.<br />

Tipo biologico: Plian<br />

Descrizione: Liana legnosa aggrappante tramite ra<strong>di</strong>ci aeree, con fusti alti sino a parecchi metri. Foglie coriacee, semprever<strong>di</strong>,<br />

alterne; lamina ovata, <strong>di</strong> norma triloba, occasionalmente con 5(-7) lobi, larghe e lunghe 6-10 cm, con minuti peli stellati<br />

biancastri o talvolta brunastri (maggiormente visibili sulle giovani foglie e sui rametti), verde scuro sublucido sulla faccia<br />

adassiale, un po’più chiaro su quella abassiale; base cordata. Fiori in ombrelle, spesso riunite in pannocchie racemose<br />

terminali; calice 5-lobato; petali 5, giallo-verdastri, acuti; stami 5, prominenti; stili riuniti in una breve colonna; ovario a 5 loculi,<br />

sormontato da un <strong>di</strong>sco nettarifero cupuliforme, con lo stilo al centro. Frutto costituito da una drupa viola-nerastra con scarso<br />

mesocarpo e semi bruno chiaro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: settembre-novembre.<br />

Area d’origine: Europa (coste atlantiche europee, dall’Irlanda attraverso il sud-ovest <strong>di</strong> Inghilterra e Francia, fino alla Spagna).<br />

Habitat: Ambienti antropizzati e boschi, in particolare presso le abitazioni.<br />

Distribuzione nel territorio: Data la confusione, protrattasi fino a poco tempo fa, con la comune edera autoctona (H. helix<br />

L.), la <strong>di</strong>stribuzione regionale dell’aliena è ancora in buona parte sconosciuta. Essa è comunque coltivata in tutto il territorio<br />

regionale, dalle Prealpi sino alle colline dell’Oltrepò ed entro un’escursione altimetrica che dal Fiume Po arriva sino a circa 450<br />

m s.l.m. Como (NAT), <strong>Milano</strong> (CAS), Pavia (NAT), Varese (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, introdotta in un periodo imprecisabile. Segnalata per la prima volta in natura in Lombar<strong>di</strong>a<br />

da Brusa et al. (2007).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (ortofloricoltura).<br />

Status: Naturalizzata e apparentemente prossima a <strong>di</strong>ventare invasiva.<br />

Dannosa: Potenzialmente sì.<br />

Impatto: Apparentemente più aggressiva <strong>di</strong> H. helix, l’edera irlandese sembra occuparne la stessa nicchia ecologica. Nelle<br />

finora poche stazioni osservate in cui le due specie crescono assieme, H. hibernica sembra soverchiare con esuberanza <strong>di</strong><br />

vegetazione la nostra edera, per poi rimpiazzarla; forma inoltre una spessa copertura sul terreno, più compatta <strong>di</strong> quella <strong>di</strong><br />

H. helix.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Imme<strong>di</strong>ata asportazione delle piante, evitando <strong>di</strong> lasciare materiale vegetativo in loco. Trattamento<br />

localizzato con <strong>di</strong>serbanti.<br />

Note: H. hibernica, commercialmente non <strong>di</strong>stinta da H. helix o al più considerata semplice cultivar della stessa, trova largo impiego ornamentale,<br />

soprattutto come tappezzante. Può essere confusa <strong>di</strong> primo acchito con H. helix: la <strong>di</strong>fferenza principale e certa fra i due taxa consiste nei peli<br />

stellati (lente!), i cui raggi in H. hibernica sono <strong>di</strong>sposti parallelamente alla superficie <strong>di</strong> inserzione del pelo (orizzontali), mentre si presentano eretti<br />

o eretto-patenti in H. helix; tale <strong>di</strong>fferenza si riflette macroscopicamente sul tipo <strong>di</strong> pelosità (da osservare su foglie giovani e rametti), che appare<br />

sericea o subsericea nell’edera irlandese, setoloso-ispida nell’edera comune. Inoltre le foglie <strong>di</strong> H. hibernica sono me<strong>di</strong>amente maggiori (3-6 cm in<br />

H. helix) e maggiore è pure la profon<strong>di</strong>tà del seno fogliare prossimale (1-2 cm in H. helix); infine, il reticolo biancastro <strong>di</strong> fondo delle nervature fogliari<br />

che contrad<strong>di</strong>stingue la faccia adassiale in H. helix, è del tutto irrilevante in H. hibernica.<br />

Bibliografia: Ackerfield, 2001; Ackerfield & Wen, 2002; Brusa et al., 2007; Cerabol<strong>di</strong>ni et al., 2008; Clarke et al., 2006; Grivet & Petit, 2002;<br />

McAllister & Rutherford, 1990, 1997<br />

sol<strong>di</strong>nella<br />

delle<br />

mascarene<br />

Tipo biologico: Hrept<br />

Descrizione: Minuta erba perenne, tappezzante, alta 10-30 mm, con fusti sottilissimi, striscianti e ra<strong>di</strong>canti ai no<strong>di</strong>. Foglie con<br />

picciolo <strong>di</strong> spessore inferiore a 1 mm e lamina suborbicolare o reniforme, spesso a base cordata, larga 1 cm, crenata al margine,<br />

con reticolo <strong>di</strong> nervature evidente. Fiori pentameri, subsessili in ombrelle 3-8(-10)-flore, sorrette da peduncoli <strong>di</strong> 2 cm. Il frutto<br />

è una drupa secca (endocarpo legnoso), ellissoidale, fortemente compressa, con coste laterali prominenti.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Presumibilmente paleotropica (isole Mascarene?).<br />

Habitat: Aiuole fresche, prati dei cortili e giar<strong>di</strong>ni interni, specialmente <strong>di</strong> vecchie case e ville in città.<br />

Distribuzione nel territorio: Città <strong>di</strong> <strong>Milano</strong> e <strong>di</strong> Pavia. <strong>Milano</strong> (NAT), Pavia (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta a <strong>Milano</strong> da Cattorini (1952) e successivamente reidentificata<br />

da Viola (1954); è presente in città almeno dagli anni ’20 del secolo scorso.<br />

Modalità d’introduzione: Ignota.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Irrilevante (estetico locale).<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Non sembra sensato intervenire, in quanto la specie si inse<strong>di</strong>a in con<strong>di</strong>zioni più che accettabili<br />

<strong>di</strong> convivenza artificiale, contribuendo positivamente alla a-<strong>di</strong>versità citta<strong>di</strong>na, che è l’unica forma <strong>di</strong> bio<strong>di</strong>versità in ambito<br />

urbano.<br />

Note: Entità termofila, incapace <strong>di</strong> affermarsi fuori dai microclimi protetti delle infrastrutture urbane. Il genere Hydrocotyle, con oltre 75 specie<br />

proprie <strong>di</strong> ambiente umido, era fino a poco tempo fa ascritto alla famiglia delle ombrellifere (Apiaceae) assieme a Trachymene (= Di<strong>di</strong>scus),<br />

Homaloscia<strong>di</strong>um, Neoscia<strong>di</strong>um e pochi altri. Gli stu<strong>di</strong> biomolecolari dell’ultimo decennio hanno confermato definitivamente che questo gruppo<br />

(subfam. Hydrocotyloideae) è invece annidato all’interno delle Araliaceae, dove con<strong>di</strong>vide alcuni caratteri sinapomorfici, tra cui l’endocarpo legnoso,<br />

assente nel frutto delle ombrellifere.<br />

Bibliografia: Cattorini, 1952; Viola, 1954<br />

Famiglia: Araliaceae<br />

Nome scientifico: Hydrocotyle sibthorpioides Lam.<br />

Nome volgare: sol<strong>di</strong>nella delle Mascarene<br />

Sinonimi: Hydrocotyle japonica Makino<br />

Hydrocotyle monticola Hook.f.<br />

Hydrocotyle nitidula A.Rich.<br />

Hydrocotyle rotun<strong>di</strong>folia Roxb.<br />

Hydrocotile yabei Makino<br />

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cerfoglio<br />

bulboso<br />

Tipo biologico: Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea robusta, alta 1-2 m, con ra<strong>di</strong>ce a fittone ingrossato (larga fino a 6 cm) e fusto eretto, fistoloso,<br />

peloso nella porzione inferiore. Foglie a perimetro triangolare, 2-4-pennatosette, con segmenti terminali da lanceolati<br />

a lineari, larghi 0.5-2 mm. Fiori in ombrelle a 15-20 raggi, prive <strong>di</strong> involucro o con poche brattee precocemente caduche;<br />

involucretti presenti, formati da bratteole lanceolato-lineari, acuminate; petali 5, trilobati (lobo me<strong>di</strong>ano inflesso), bianchi;<br />

stami 5, <strong>di</strong>varicati, con filamento ricurvo all’apice; ovario infero, con 2 stili <strong>di</strong>vergenti a base conica (stilopo<strong>di</strong>o). Il frutto è un<br />

polachenario (più noto come <strong>di</strong>achenio), cilindrico-conico, lungo 5-7 mm, costituito da 2 mericarpi percorsi da sottili coste<br />

longitu<strong>di</strong>nali, dorsali e laterali tutte simili tra loro.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-agosto.<br />

Area d’origine: Europa centro-orientale e Asia occidentale.<br />

Habitat: Boscaglie golenali.<br />

Distribuzione nel territorio: Cremonese, lungo il Po. Cremona (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Possibile neofita, la cui introduzione in Italia e Lombar<strong>di</strong>a è <strong>di</strong>fficilmente databile. Segnalata per la<br />

prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Bonali (2002b); la precedente segnalazione <strong>di</strong> Nocca & Balbis (1816) per il Monte Penice (a cavallo<br />

tra le province <strong>di</strong> Pavia e Piacenza) è stata successivamente esclusa da Rota (1847).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata (pianta da orto per la ra<strong>di</strong>ce commestibile).<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Inesistente.<br />

Note: Questa pianta <strong>di</strong> interesse alimentare, con gli stessi usi della carota, era coltivata in Europa fino al secolo XIX, specialmente nel territorio<br />

compreso fra Austria e Ungheria (area pannonica). Oggi tale coltura è stata rilanciata ed è localmente in ripresa. In Italia si coltivava <strong>di</strong> riflesso in<br />

aree limitate del Piemonte, ma l’uso della pianta rimase confinato a tale situazione, fino ad estinguersi lasciando sparse tracce <strong>di</strong> naturalizzazione.<br />

La recente segnalazione lombarda fa presumere che qualcuno ne abbia ripreso la coltura in territorio regionale.<br />

Ricor<strong>di</strong>amo infine che l’habitus, le foglie e le infiorescenze rendono la pianta facilmente confon<strong>di</strong>bile con la cicuta maggiore (Conium maculatum<br />

L.), nota per la pericolosità, che tuttavia si <strong>di</strong>stingue per le macchie porpora violaceo del fusto, confluenti nella metà inferiore e per i frutti<br />

subglobosi, nerastri a maturità.<br />

Bibliografia: Bonali, 2002b; Bonali & D’Auria, 2007; Bonali et al., 2006a; Nocca & Balbis, 1816; Rota, 1847<br />

Famiglia: Apiaceae<br />

Nome scientifico: Chaerophyllum bulbosum L.<br />

Nome volgare: cerfoglio bulboso<br />

Sinonimi: Myrrhis bulbosa (L.) All.<br />

sedanella<br />

americana<br />

Tipo biologico: Tscap<br />

Descrizione: Erba annuale, alta 20-50 cm, a fusti gracili e sottili, ramosi, con rami largamente <strong>di</strong>vergenti. Foglie bitripennatosette<br />

a segmenti lineari, capillari, larghi 1 mm o meno. Fiori in ombrelle composte ridottissime, generalmente a<br />

2(-3) raggi; involucro e involucretti assenti; fiori molto piccoli, con 5 petali bianchi ad apice trilobo (lobo me<strong>di</strong>ano riflesso);<br />

stami 5; ovario infero, con 2 stili <strong>di</strong>vergenti. Frutto (polachenario) costituito da 2 mericarpi globosi.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: maggio-giugno.<br />

Area d’origine: Sudamerica.<br />

Habitat: Aiuole, ruderi, macerie.<br />

Distribuzione nel territorio: Planiziale orientale. Bergamo (CAS), Brescia (NAT), Lecco (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita, segnalata per la prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Perico (2004) nel lecchese.<br />

Modalità d’introduzione: Accidentale, per probabile contaminazione <strong>di</strong> merci.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nullo.<br />

Note: È pianta in<strong>di</strong>vidualmente effimera, che forma popolamenti “mobili” all’interno delle aree da essa colonizzate.<br />

Bibliografia: Perico, 2004<br />

Famiglia: Apiaceae<br />

Nome scientifico: Cyclospermum leptophyllum (Pers.)<br />

Sprague ex Britton & P.Wilson<br />

Nome volgare: sedanella americana<br />

Basionimo: Pimpinella leptophylla Pers.<br />

Sinonimi: Apium leptophyllum (Pers.) F.Muell. ex Benth.<br />

Cyclospermum leptophyllum (Pers.) Sprague, comb. inval.<br />

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panace <strong>di</strong><br />

mantegazza<br />

Tipo biologico: Hscap, Hbienn<br />

Descrizione: Pianta erbacea <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni ragguardevoli, perenne o talora bienne, con fusto robusto, del <strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> 5-10 cm<br />

alla base, <strong>di</strong> norma con larghe macchie violacee, alta fino a 5 m. Foglie lunghe 1-3 m, profondamente e variamente tripartite<br />

oppure completamente <strong>di</strong>vise in 3-7 segmenti lunghi fino 1.3 m, pennato-lobati, pubescenti sulla faccia abassiale; margine<br />

dei segmenti dentellato, con denti maggiori lungamente acuminati. Infiorescenze a ombrella composta, le maggiori fino a<br />

50 cm in <strong>di</strong>ametro, con 50-150 raggi; fiori attinomorfi con calice a 5 piccoli denti e corolla <strong>di</strong> 5 petali bianchi o rosei, trilobati<br />

all’apice (lobo me<strong>di</strong>ano ripiegato), quelli dei fiori esterni ra<strong>di</strong>anti e lunghi fino a 12 mm; stami 5; ovario infero, bicarpellare; stilo<br />

a base ingrossata (stilopo<strong>di</strong>o); stigmi 2, <strong>di</strong>vergenti. Frutti (polachenari a 2 mericarpi) obovati, <strong>di</strong> 6-8×9-11 mm, glabri o villosi;<br />

ogni mericarpio presenta 2 coste laterali largamente alate e 3 coste dorsali poco sporgenti, intercalate da vitte (canali resiniferi)<br />

fortemente rigonfie, larghe fino a 1 mm se non <strong>di</strong> più. Dopo la fioritura e la fruttificazione la pianta muore (apaxantìa).<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: luglio-settembre.<br />

Area d’origine: Caucaso.<br />

Habitat: Rive dei fiumi, scarpate umide, incolti e margini stradali.<br />

Distribuzione nel territorio: Montano-subalpina, casuale in pianura. Giungendo a 2173m s.l.m. sulle pen<strong>di</strong>ci del Monte<br />

Bianco, è la specie esotica rinvenuta a quota più alta in Europa. Bergamo (NAT), Brescia (NAT), Cremona (CAS).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita. Una Fotografia dell’agosto 1899 documenta la prima presenza <strong>di</strong> questa<br />

pianta in Italia, coltivata ai Bagni Nuovi <strong>di</strong> Bormio (SO)(Celesti-Grapow et al., 2009b); Emil Levier e Stephan Sommier ne hanno<br />

portato in Europa i semi dopo un viaggio sulle montagne del Caucaso compiuto nel 1890. Segnalata per la prima volta in<br />

Lombar<strong>di</strong>a da Galasso et al. (2007b).<br />

Modalità d’introduzione: Deliberata, a fini floricolturali.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: Sì.<br />

Impatto: Al momento non risulta dannosa per la bio<strong>di</strong>versità, ma per l’uomo quale nuova, rilevante causa <strong>di</strong><br />

Fotodermatiti producenti piaghe anche gravi sulle parti del corpo venute a contatto con la pianta, dopo esposizione al sole.<br />

Azioni <strong>di</strong> contenimento: Si consiglia l’era<strong>di</strong>cazione dei pochi e piccoli nuclei sinora segnalati in Lombar<strong>di</strong>a.<br />

Note: Appartiene a un gruppo <strong>di</strong> tre specie affini introdotte in Europa a scopo ornamentale e qui <strong>di</strong>ffusesi spontaneamente (Jahodová et al., 2007):<br />

oltre a essa (specie perenne apaxantica originaria del Grande Caucaso occidentale), l’unica sinora segnalata in Italia, vanno ricordate H. sosnowskyi<br />

Manden. (perenne apaxantica originaria del Caucaso centrale e orientale, Transcaucasia e Turchia nordorientale) e H. persicum Desf. ex Fisch.,<br />

C.A.Mey. & Avé-Lall. (perenne pleonantica originaria <strong>di</strong> Turchia, Iran e Iraq).<br />

In Svizzera è inclusa nella Lista Nera (http://www.cps-skew.ch/italiano/lista_nera.htm) perché invasiva e pericolosa per l’uomo; quin<strong>di</strong> si tratta <strong>di</strong><br />

specie da tenere sotto controllo. La <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> questa specie è favorita nelle zone densamente popolate e con gli inverni fred<strong>di</strong> (Pyšek et al.,<br />

1998).<br />

Bibliografia: Celesti-Grapow et al., 2009b; Galasso et al., 2007b; Jahodová et al., 2007; Pyšek et al., 1998, 2007<br />

Famiglia: Apiaceae<br />

Nome scientifico: Heracleum mantegazzianum<br />

Sommier & Levier<br />

Nome volgare: panace <strong>di</strong> Mantegazza<br />

finocchio<br />

acquatico<br />

<strong>di</strong> giava<br />

Tipo biologico: Hscap<br />

Descrizione: Erba perenne <strong>di</strong> 10-80 cm, con ra<strong>di</strong>ci fibrose e fusti decombenti. Piccioli delle foglie basali lunghi 5-10 cm;<br />

lamine a perimetro oblungo-ovato, 1-2 pennate, con segmenti d’ultimo or<strong>di</strong>ne ovati od ovato-rombici, <strong>di</strong> 5-20x5-50 mm,<br />

a margine seghettato; foglie cauline più piccole delle basali, via via ridotte verso l’alto e via via più sessili, fino alle superiori<br />

con lamina inserita <strong>di</strong>rettamente su un’espansione della guaina. Ombrelle fiorifere larghe 3-5 cm, su peduncoli <strong>di</strong> 2-16 cm;<br />

brattee 0(-1); raggi 6-16(-30), lunghi 1-3 cm, subeguali o <strong>di</strong>suguali; bratteole lineari, 2-8, lunghe 2-4 cm, in me<strong>di</strong>a quanto i<br />

raggi; ombrellette con circa 20 fiori su peduncoli <strong>di</strong> 1.5-4 mm; denti calicini <strong>di</strong> circa 0.5 mm; stili patenti <strong>di</strong> 1.2-2 mm. Frutto<br />

subgloboso od ovoide, <strong>di</strong> circa 2x2.5 mm, con coste dorsali e laterali leggermente ispessito-coriacee.<br />

Periodo <strong>di</strong> fioritura: giugno-luglio.<br />

Area d’origine: Asia temperato-calda e tropicale.<br />

Habitat: Fossi, sponde, suoli fangosi umi<strong>di</strong>.<br />

Distribuzione nel territorio: Una sola stazione conosciuta a Casalpoglio, al confine tra le province <strong>di</strong> Brescia e Mantova.<br />

Mantova (NAT).<br />

Periodo d’introduzione: Neofita <strong>di</strong> introduzione recentissima (fine secolo XX-inizio secolo attuale). Segnalata per la<br />

prima volta in Lombar<strong>di</strong>a da Banfi & Galasso (2005), che riportano osservazioni <strong>di</strong> Filippo Prosser del 2003 successivamente<br />

confermate (Banfi et al., 2007).<br />

Modalità d’introduzione: Commercio ortofloricolo.<br />

Status: Naturalizzata.<br />

Dannosa: No.<br />

Impatto: Nessuno, se non fisionomico locale.<br />

Bibliografia: Banfi & Galasso, 2005; Banfi et al., 2007<br />

Famiglia: Apiaceae<br />

Nome scientifico: Oenanthe javanica (Blume) DC.<br />

Nome volgare: finocchio acquatico <strong>di</strong> Giava<br />

Basionimo: Sium javanicum Blume<br />

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contributi<br />

fotografici<br />

Pag. 26 : azolla maggiore Foto <strong>di</strong>: E. Zanotti; G.Ceffali; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 27: felce <strong>di</strong> fortune Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G.Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 28: cedro dell’Himalaya Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 29: pino rosso americano Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; G. Ceffali; V. Arrigoni<br />

Pag.30: strobo Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 31: tuia orientale Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Brusa; G. Ceffali<br />

Pag. 32: ninfea da giar<strong>di</strong>no Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 33: coda <strong>di</strong> lucertola Foto <strong>di</strong>: A. Sessi<br />

Pag.34: falso canforo Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag.35: lenticchia d’acqua minuscola Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; G. Sar<strong>di</strong>; F. Giordana<br />

Pag.36: lenticchietta d’acqua Foto <strong>di</strong>: A. e R. Truzzi<br />

Pag. 37: sagittaria americana Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; L. Garibol<strong>di</strong>; E. Zanotti<br />

Pag. 38: peste d’acqua maggiore Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; E. Zanotti; S. Assini<br />

Pag. 39: peste d’acqua comune Foto <strong>di</strong>: G.Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 40: peste d’acqua <strong>di</strong> Nuttall Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; G. Brusa; G. Brusa<br />

Pag. 41: peste d’acqua arricciata Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; F. Giordana; F. Giordana<br />

Pag. 42: ranocchina delle risaie Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Brusa; Erbario MSNM<br />

Pag. 43: ranocchina tropicale Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM<br />

Pag. 44: falsa mestolaccia Foto <strong>di</strong>: P. Picco; Erbario MSNM; P. Picco<br />

Pag. 45: tulipano <strong>di</strong> Clusius Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; G. Ceffali; A. Marzorati<br />

Pag. 46: tulipano precoce Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali<br />

Pag. 47: giglietto blu Foto <strong>di</strong>: L. Cassanego; Erbario MSNM; L. Cassanego<br />

Pag. 48: giglio <strong>di</strong> San Giuseppe Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 49: agave comune Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; F. Giordana; G. Ceffali<br />

Pag. 50: yucca comune Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi<br />

Pag. 51: palma cinese Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 52: erba-miseria asiatica Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 53: erba-miseria delle risaie Foto <strong>di</strong>: G. Marconi; P. Picco; E. Haug<br />

Pag. 54: erba-miseria sudamericana Foto <strong>di</strong>: S. Peccenini; S. Mauri; S. Peccenini<br />

Pag. 55: eterantera reniforme Foto <strong>di</strong>: G. Galasso; G. Brusa; F. Giordana<br />

Pag. 56: eterantera dei fanghi Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 57: eterantera sol<strong>di</strong>na Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; L. Garibol<strong>di</strong>; S. Assini<br />

Pag. 58: pontederia Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G. Ceffali<br />

Pag. 59: giunco gracile Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; V. Frigati; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 60: falsa carice volpina Foto <strong>di</strong>: C. Argenti<br />

Pag. 61: zigolo cinese Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali<br />

Pag. 62: zigolo delle risaie Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; E. Zanotti; E. Zanotti<br />

Pag. 63: zigolo ferrugineo Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 64: zigolo giapponese Foto <strong>di</strong>: N. Ardenghi<br />

Pag .65: zigolo pavese Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Ceffali; G. Ceffali<br />

Pag. 66: zigolo americano Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 67: giunchina delle risaie Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; E. Zanotti<br />

Pag. 68: forasacco <strong>di</strong> Willdenow Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag .69: panico delle brughiere Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; G. Brusa; G. Brusa<br />

Pag. 70: sanguinella cigliata Foto <strong>di</strong>: G. Galasso<br />

Pag. 71: sanguinella violacea Foto <strong>di</strong>: E. Zanotti<br />

Pag. 72: panicella fascicolata Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM<br />

Pag. 73: panicella fosca Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM<br />

Pag. 74: giavone peloso Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag .75: gramigna in<strong>di</strong>ana Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; S. Mayer<br />

Pag. 76: gramigna a tre spighe Foto <strong>di</strong>: F. Giordana<br />

Pag. 77: panicella pettinata Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 78: mulembergia <strong>di</strong> Schreber Foto <strong>di</strong>: M. Villa<br />

Pag.79: panico dei campi Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 80: panico <strong>di</strong> Philadelphia Foto <strong>di</strong>: E. Zanotti; F. Giordana; E. Zanotti<br />

Pag. 81: panico capillare Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; A. Truzzi; S. Mauri<br />

Pag. 82: panico brasiliano Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag .83: panico acquatico Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; E. Zanotti; A. Truzzi<br />

Pag. 84: pabbio <strong>di</strong> Faber Foto <strong>di</strong>: E. Zanotti<br />

Pag. 85: pabbio gigante Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; L. Garibol<strong>di</strong>; F. Giordana<br />

Pag. 86: gramigna tenacissima Foto <strong>di</strong>: M. Villa<br />

Pag. 87: gramigna a foglie guainanti Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 88 : crespino <strong>di</strong> Beale Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; G. Brusa; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 89: maonia comune Foto <strong>di</strong>: A. e R. Truzzi; G. Brusa; S. Mauri<br />

Pag. 90: clematide himalayana Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; T. Wilhalm; T. Wilhalm<br />

Pag. 91: fior <strong>di</strong> loto Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; L. Garibol<strong>di</strong>; A. Truzzi<br />

Pag.92: platano comune Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 93: sassifraga dei Pirenei Foto <strong>di</strong>: K. Stueber; L. Michels; L. Michels<br />

Pag. 94: borracina caucasica Foto <strong>di</strong>: L.Cassanego; D. Longo; D. Longo<br />

Pag. 95: borracina sarmentosa Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 96: millefoglio d’acqua Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 97: vite del Canada Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 98: vite riparia Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 99: vite rupestre Foto <strong>di</strong>: N. Ardenghi<br />

Pag. 100: indaco bastardo Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

269


CONTRIBUTI FOTOGRAFICI<br />

Pag. 101: fagiolino sotterraneo Foto <strong>di</strong>: G.Cattaneo; L. Garibol<strong>di</strong>; G. Galasso<br />

Pag. 102: glicine tubersoso Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 103: spino <strong>di</strong> Giuda Foto <strong>di</strong>: E. Zanotti; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 104: lupino americano Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; G. Ceffali<br />

Pag. 105: pueraria Foto <strong>di</strong>: S. Gomarasca; S. Mauri; G. Cattaneo<br />

Pag. 106: robinia Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 107: robinia vischiosa Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Brusa; G. Brusa<br />

Pag. 108: pero corvino canadese Foto <strong>di</strong>: A. Mologni; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 109: cotognastro prostrato Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; S. Mauri; F. Giordana<br />

Pag. 110: cotognastro salicino Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 111: azzeruolo americano Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 112: kerria Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 113: spirea americana Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM; R. H. Mohlenbrock;<br />

Pag. 114: fragola matta Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 115: cinquefoglio <strong>di</strong> Norvegia Foto <strong>di</strong>: L. Cassanego<br />

Pag. 116: lauroceraso Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; A. e R. Truzzi<br />

Pag. 117: ciliegio tar<strong>di</strong>vo Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 118: rosa polianta Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 119: lampone asiatico Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Bardelli; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 120: sorbaria Foto <strong>di</strong>: G. Galasso; G. Brusa; G.Brusa<br />

Pag. 121: spirea del Giappone Foto <strong>di</strong>: A. Mologni; G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 122: spirea a foglie <strong>di</strong> salice Foto <strong>di</strong>: V. Frigati; V. Frigati; S. Mauri<br />

Pag. 123: olivagno pungente Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G. Brusa<br />

Pag. 124: olivagno cinese Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; G. Brusa; A. Truzzi<br />

Pag. 125: olmo cigliato Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; G. Ceffali; G. Brusa<br />

Pag. 126: olmo siberiano Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; L. Garibol<strong>di</strong>; Sconosciuto<br />

Pag .127: luppolo del Giappone Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; A e R. Truzzi<br />

Pag. 128: gelso da carta Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri; A. Truzzi<br />

Pag. 129: ramié Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Brusa; G. Ceffali<br />

Pag. 130: quercia rossa Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag .131: noce nero Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G.Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 132: sicio Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 133: acetosella rizomatosa Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Brusa; A e R. Truzzi<br />

Pag.134: acetosella corimbosa Foto <strong>di</strong>: F. Giordana<br />

Pag. 135: acetosella maggiore Foto <strong>di</strong>: G. Trombetti<br />

Pag. 136: acetosella <strong>di</strong> Dillenius Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; F. Gilardelli; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag .137: acalifa meri<strong>di</strong>onale Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 138: acalifa della Virginia Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 139: euforbia a semi solcati Foto <strong>di</strong>: N. Ardenghi<br />

Pag. 140: euforbia sdraiata Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 141: euforbia macchiata Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 142: euforbia prostrata Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; A. Truzzi; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 143: euforbia delle ferrovie Foto <strong>di</strong>: M. Villa; M. Villa; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 144: euforbia <strong>di</strong> David Foto <strong>di</strong>: N. Ardenghi; S. Mauri; N. Ardenghi<br />

Pag .145: pepe d’acqua minore Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali<br />

Pag. 146: pioppo ibrido Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; G. Ceffali; E. Zanotti<br />

Pag. 147: violetta americana Foto <strong>di</strong>: P. Arrigoni; G. Ceffali; G. Ceffali<br />

Pag. 148: iperico americano Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 149: ammannia arrossata Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; F. Giordana; A. Truzzi<br />

Pag .150: rotala asiatica Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM<br />

Pag. 151: epilobio cigliato Foto <strong>di</strong>: F. Prosser<br />

Pag. 152: porracchia gigante Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 153: porracchia <strong>di</strong> Montevideo Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 154: enagra comune Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 155: enagra <strong>di</strong> Bartlett Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 156: enagra <strong>di</strong> Royfraser Foto <strong>di</strong>: E. Zanotti<br />

Pag. 157: enagra fallacoide Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; L.Garibol<strong>di</strong>; L.Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 158: enagra <strong>di</strong> Oehlkers Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 159: enagra <strong>di</strong> Glaziou Foto <strong>di</strong>: Sconosciuto; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 160: enagra del Sesia Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; A. Soldano<br />

Pag. 161: enagra <strong>di</strong> Stucchi Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; L. Cassanego; S. Mauri<br />

Pag. 162: enagra a petali larghi Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Brusa; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 163: sommacco maggiore Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; S. Tomiolo & C. Vavassori<br />

Pag. 164: acero negundo Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 165: albero del Para<strong>di</strong>so Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; A. Truzzi; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 166: ibisco palustre Foto <strong>di</strong>: A. & R. Truzzi; L. Garibol<strong>di</strong>; R. Truzzi<br />

Pag. 167: ibisco vescicoso Foto <strong>di</strong>: A. & R. Truzzi; G. Brusa; G. Ceffali<br />

Pag. 168: polanisia Foto <strong>di</strong>: P. Ferrari; P. Ferrari; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 169: borsa del pastore a fiori gran<strong>di</strong> Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 170: lappolina americana Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; F. Giordana<br />

Pag. 171: lepi<strong>di</strong>o della Virginia Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 172: crescione austriaco Foto <strong>di</strong>: E. Romani; L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 173: erba-cornacchia <strong>di</strong> Loesel Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM<br />

Pag. 174: poligono russo Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; A. Truzzi; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 175: poligono multifloro Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; G. Ceffali<br />

Pag. 176: poligono filiforme Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; G. Ceffali; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 177: poligono della Virginia Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 178: poligono cespitoso Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 179: poligono del Nepal Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 180: poligono della Pennsylvania Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; Sconosciuto; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 181: Poligono <strong>di</strong> Boemia Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; R. Appiani<br />

Pag. 182: poligono del Giappone Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; R. Appiani<br />

Pag. 183: poligono <strong>di</strong> Sakhalin Foto <strong>di</strong>: G. Marconi; G. Brusa; R. Appiani<br />

Pag. 184: poligono dell’Himalaya Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; M. Kleih<br />

CONTRIBUTI FOTOGRAFICI<br />

Pag. 185: amaranto bianco Foto <strong>di</strong>: E. Romani; E. Romani; N. Ardenghi<br />

Pag. 186: amaranto blitoide Foto <strong>di</strong>: N. Ardenghi; N. Ardenghi; E. Zanotti<br />

Pag. 187: amaranto prostrato Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; A. & R. Truzzi<br />

Pag. 188: amaranto dei campi Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 189: amaranto <strong>di</strong> Powell Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 190: amaranto comune Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag. 191: amaranto tubercolato Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi<br />

Pag. 192: amaranto verde Foto <strong>di</strong>: R. Guarino<br />

Pag. 193: erba-cimice <strong>di</strong> Marschall Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi<br />

Pag. 194: cicloloma comune Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag.195: farinello aromatico Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; Sconosciuto<br />

Pag. 196: farinello minore Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 197: cremesina Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 198: bella <strong>di</strong> notte comune Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 199: bella <strong>di</strong> notte minore Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; F. Giordana; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 200: mollugine verticillata Foto <strong>di</strong>: F. Giordana<br />

Pag. 201: fico d’In<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Engelmann Foto <strong>di</strong>: G. Stablum; A. Guiggi; A. Guiggi<br />

Pag. 202: fico d’In<strong>di</strong>a nano Foto <strong>di</strong>: A. Guiggi<br />

Pag. 203: deuzia comune Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 204: balsamina himalayana Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 205: balsamina ghiandolosa Foto <strong>di</strong>: G. Galasso; G. Ceffali; P. Alleva<br />

Pag. 206: balsamina minore Foto <strong>di</strong>: S. Mauri, L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 207: albero <strong>di</strong> sant’Andrea Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 208: pianta della seta Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Ceffali; G. Brusa<br />

Pag. 209: buglossa sempreverde Foto <strong>di</strong>: SP. Arrigoni; G. Ceffali; G. Ceffali<br />

Pag. 210: cuscuta dei campi Foto <strong>di</strong>: M. Villa; S. Mauri; M. Villa<br />

Pag. 211: <strong>di</strong>condra Foto <strong>di</strong>: G. Bedoschi; L. Garibol<strong>di</strong>; G. Bedoschi<br />

Pag. 212: stramonio Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 213: morella della Carolina Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; E. Zanotti<br />

Pag. 214: morella farinaccio Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; G. Brusa; E. Zanotti<br />

Pag. 215: gelsomino primulino Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali<br />

Pag. 216: ligustro lucido Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G. Ceffali<br />

Pag. 217: ligustro da siepe Foto <strong>di</strong>: A. e R. Truzzi; G. Sar<strong>di</strong>; A. e R. Truzzi<br />

Pag. 218: ligustro cinese Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong>, L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 219: serenella Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 220: veronica filiforme Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; P. Arrigoni; P. Arrigoni<br />

Pag. 221: occhi della Madonna Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 222: veronica pellegrina Foto <strong>di</strong>: F. Giordana<br />

Pag. 223: buddleja Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; A. e R. Truzzi<br />

Pag. 224: vandellia delle risaie Foto <strong>di</strong>: A. Truzzi; L. Garibol<strong>di</strong>; A. Truzzi<br />

Pag. 225: stregonia cigliata Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 226: mimolo macchiato Foto <strong>di</strong>: F. Prosser; F. Prosser; L. Michels<br />

Pag. 227: paulownia Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 228: catalpa cinese Foto <strong>di</strong>: G. Brusa<br />

Pag. 229: campanula serba Foto <strong>di</strong>: G. Cattaneo; S. Mauri; S. Mauri<br />

Pag.230: ambrosia comune Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag.231: assenzio annuale Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag.232: assenzio dei fratelli Verlot Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 233: forbicina bipennata Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; F. Giordana; E. Zanotti<br />

Pag. 234: forbicina peduncolata Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 235: cotula neozelandese Foto <strong>di</strong>: G. Galasso<br />

Pag. 236: ra<strong>di</strong>cchiella <strong>di</strong> Terrasanta Foto <strong>di</strong>: A. e R. Truzzi; G. Ceffali; A. e R. Truzzi<br />

Pag. 237: cespica comune Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 238: saeppola <strong>di</strong> Buenos Aires Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 239: saeppola canadese Foto <strong>di</strong>: A. e R. Truzzi; L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 240: saeppola biancastra Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 241: cespica <strong>di</strong> Karvinski Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 242: galinsoga comune Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 243: galinsoga ispida Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; A. Truzzi<br />

Pag. 244: canapicchio della Pennsylvania Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; G. Galasso; F. Giordana<br />

Pag. 245: topinambur Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>, G. Sar<strong>di</strong>, E. Zanotti<br />

Pag. 246: camomilla <strong>di</strong> montagna Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; G. Brusa; G. Brusa<br />

Pag. 247: rudbeckia comune Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali<br />

Pag. 248: senecione sudafricano Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; G. Sar<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 249: pioggia d’oro canadese Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 250: pioggia d’oro maggiore Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong>; S. Mauri<br />

Pag. 251: astro lanceolato Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 252: astro <strong>di</strong> New York Foto <strong>di</strong>: G. Sar<strong>di</strong>; S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 253: astro ericoide Foto <strong>di</strong>: F. Giordana; F. Giordana; M. Villa<br />

Pag. 254: astro squamoso Foto <strong>di</strong>: P. Ferrari; P. Ferrari; F. Giordana<br />

Pag. 255: nappola comune Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; S. Mauri; G. Sar<strong>di</strong><br />

Pag. 256: nappola spinosa Foto <strong>di</strong>: G. Nicolella; A. e M. Marzorati; G.Galasso<br />

Pag. 257: leycesteria Foto <strong>di</strong>: S. Mauri<br />

Pag. 258: caprifoglio giapponese Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; S. Mauri; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 259: lonicera pileata Foto <strong>di</strong>: L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 260: lacrime d’Italia Foto <strong>di</strong>: S. Mauri; G. Ceffali; G. Cattaneo<br />

Pag. 261: edera algerina Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM; G. Ceffali<br />

Pag. 262: edera irlandese Foto <strong>di</strong>: G. Brusa; L. Garibol<strong>di</strong>; G. Brusa<br />

Pag. 263: sol<strong>di</strong>nella delle Mascarene Foto <strong>di</strong>: G. Galasso; L. Garibol<strong>di</strong>; L. Garibol<strong>di</strong><br />

Pag. 264: cerfoglio bulboso Foto <strong>di</strong>: F. Bonali<br />

Pag. 265: sedanella americana Foto <strong>di</strong>: Erbario MSNM; Erbario MSNM; F. Giordana<br />

Pag. 266: panace <strong>di</strong> Mantegazza Foto <strong>di</strong>: A. e M. Marzorati; A. e M. Marzorati; G. Brusa<br />

Pag. 267: finocchio acquatico <strong>di</strong> Giava Foto <strong>di</strong>: G. Ceffali; L. Garibol<strong>di</strong>; G. Ceffalii<br />

270 271


La Flora<br />

Esotica<br />

Lombarda<br />

PROGETTO REALIZZATO GRAZIE A:<br />

Copyright © 2010 Regione Lombar<strong>di</strong>a e Museo Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong><br />

Responsabile del pRogetto<br />

Pietro Lenna<br />

CooR<strong>di</strong>namento e suppoRto teCniCo<br />

Anna Rampa<br />

a CuRa <strong>di</strong><br />

Enrico Banfi, Gabriele Galasso<br />

CooR<strong>di</strong>namento e<strong>di</strong>toRiale<br />

Luca Garibol<strong>di</strong><br />

garibol<strong>di</strong>.luca@tiscali.it<br />

autoRi dei testi<br />

Silvia Assini, Enrico Banfi,<br />

Guido Brusa, Gabriele Galasso,<br />

Luca Garibol<strong>di</strong>, Alessandro Guiggi<br />

dati su pResenza e <strong>di</strong>stRibuzione pRovinCiale<br />

Nicola Ardenghi (Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pavia)<br />

Pierfranco Arrigoni (Valmadrera - Lecco)<br />

Silvia Assini (Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pavia)<br />

Enrico Banfi (Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>),<br />

Innocenzo Bona (Capo <strong>di</strong> Ponte - Brescia)<br />

Fabrizio Bonali (Sesto ed Uniti - Cremona)<br />

Guido Brusa (Università degli Stu<strong>di</strong> dell’Insubria)<br />

Graziano Cattaneo (Verano Brianza - Monza e Brianza)<br />

Giorgio Ceffali (<strong>Milano</strong>)<br />

Alberto Colatore (Vergiate - Varese)<br />

Germano Federici (Seriate - Bergamo)<br />

Franco Fenaroli (Brescia)<br />

Roberto Ferranti (<strong>Milano</strong>)<br />

Silvio Frattini (Brescia)<br />

Gabriele Galasso (Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>),<br />

Luca Garibol<strong>di</strong> (Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong>),<br />

Franco Giordana (Crema - Cremona),<br />

Gruppo Botanico Milanese<br />

Gruppo Flora Alpina Bergamasca<br />

Gruppo Bresciano <strong>di</strong> Ricerca Floristica<br />

Alessandro Guiggi (Castellanza - Varese)<br />

Michael Kleih (Ranco - Varese)<br />

Fabrizio Martini (Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Trieste)<br />

Silviana Mauri (Osnago - Lecco)<br />

Gilberto Parolo (Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pavia)<br />

Mimmo Perico (Torre Boldone - Bergamo)<br />

Filippo Prosser (Musei Civici <strong>di</strong> Rovereto)<br />

Paolo Rovelli (Parco del Molgora)<br />

Francesco Sartori (Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pavia)<br />

Andrea Truzzi (Suzzara - Mantova)<br />

Milena Villa (Rovagnate - Lecco)<br />

Eugenio Zanotti (Orzinuovi - Brescia)<br />

e<strong>di</strong>tato da<br />

Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> <strong>Milano</strong><br />

<strong>Milano</strong>, 2010<br />

CooR<strong>di</strong>namento gRafiCo<br />

Efficere, far sì che.<br />

www.efficere.it<br />

gRafiCa e impaginazione<br />

Francesco Franciosi<br />

si ringrazia: Alice Bonaiti<br />

273


www.regione.lombar<strong>di</strong>a.it<br />

www.comune.milano.it/museostorianaturale

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