denso di difficoltà e sarebbe utile intervenire prima che trascorrano molti anni in cui non siè fatto nulla per migliorare se stessi e la propria v<strong>it</strong>a interiore. Questa ricerca ha permessodi mettere in luce aspetti molto interessanti dell’emotiv<strong>it</strong>à che vanno oltre le semplicicompetenze tecniche. Lo scopo fondamentale era quello di capire se il problema del burnoutemotivo esisteva e se era percep<strong>it</strong>o dagli infermieri di qualunque contesto lavorativo.E’ noto che all’interno di alcuni contesti, come reparti che gestiscono pazienti oncologici ole un<strong>it</strong>à operative di pronto soccorso, siano maggiori le possibil<strong>it</strong>à di burn-out emotivo macredo che ogni operatore san<strong>it</strong>ario ne sia colp<strong>it</strong>o e, a cambiare, siano semplicemente <strong>it</strong>empi d’insorgenza. Inoltre è davvero triste pensare che per potersi tutelare si debba faraffidamento solo sulla propria esperienza lavorativa, r<strong>it</strong>enere che sia il tempo trascorso acontatto con la sofferenza ad insegnarci le corrette strategie di coping e la capac<strong>it</strong>à dielaborazione. Sarebbe di grande interesse che ricerche come questa riuscissero asensibilizzare i responsabili del personale san<strong>it</strong>ario affinché questo fenomeno possa esserecontrollato. Bisognerebbe ev<strong>it</strong>are, attraverso una formazione precoce e costante, che ilburn-out emotivo abbia inizio e riuscire ad arginare il problema prima che si manifesti.Quest’opera di rinnovamento servirebbe prima di tutto al benessere dell’operatore e diconseguenza ne beneficerebbe anche chi necess<strong>it</strong>a delle sue cure.LXXXVIII
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essere utili agli altri ha il suo
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