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L'INFERMIERE: VITTIMA O SOPRAVVISSUTO - Counselling-care.it

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quando gli viene chiesto “Che riflessioni fai dopo una giornata di lavoro, durante la qualela tua emotiv<strong>it</strong>à è stata particolarmente messa alla prova?”. Il grafico è rappresentatoappos<strong>it</strong>amente da una serie concentrica di cerchi che vanno da una condizione di massimafreddezza sino ad una di elevato coinvolgimento, con una piccola percentuale che esprime,seppur in modo lieve, un desiderio di riscatto. Partendo dalla s<strong>it</strong>uazione di massimafreddezza troviamo che ben 26 componenti del campione non hanno risposto e 8 non sisono mai sent<strong>it</strong>i messi alla prova, un segnale piuttosto preoccupante in quanto non fanno, onon sono in grado di fare nessuna riflessione di fronte alla sofferenza. E’ un messaggiochiaro di disagio e di distacco, di allontanamento dal problema che sembra non riguardarli,preferiscono “non sapere”, “non porsi alcuna domanda”, si trincerano dietro una cortina digelo nella speranza che possa proteggerli, senza pensare che invece non fa altro cherenderli ancor più indifesi. Questa negazione o rimozione non ammette spazio aisentimenti, non dà voce alle emozioni, non attribuisce significato a una parte importantedei comp<strong>it</strong>i professionali e soprattutto alle proprie risorse emotive. Sempre rimanendonell’amb<strong>it</strong>o di questo schema, un totale di 46 infermieri/e dichiara di utilizzare la propriaprofessional<strong>it</strong>à per allontanarsi dalle emozioni o preferisce “frasi fatte” quali “sonofortunato! La v<strong>it</strong>a è breve!”. Dobbiamo chiederci se in queste affermazioni ci sia solo unacerta superficial<strong>it</strong>à o se invece sono anch’esse una modal<strong>it</strong>à di fuga. Proseguendonell’analisi 17 colleghi del campione si lasciano condizionare al punto che il lavoro è ingrado di cambiargli la v<strong>it</strong>a, tanto che 40 di loro r<strong>it</strong>iene che v<strong>it</strong>a familiare e professionesiano interdipendenti e leggiamo dichiarazioni come: “Spero che ciò che ho visto oggi, noncap<strong>it</strong>i mai alla mia famiglia”, “Nelle s<strong>it</strong>uazioni dolorose ripenso spesso i miei figli”. Sigiunge infine a dati allarmanti in cui 41 infermieri/e riferiscono di sentirsi troppo deboliper affrontare la sofferenza quotidiana, o addir<strong>it</strong>tura di sentirsi inutili e si esprimono confrasi come “ Chiudo il “cancello” delle mie emozioni”, “Rifletto sulla sofferenza, e capiscoche è più facile accettare la morte che la sofferenza stessa”. Come non pensare a questopunto ad un elevato tasso di burn-out emotivo, ad un vero e proprio “analfabetismoemozionale” a quello che viene defin<strong>it</strong>o un “guar<strong>it</strong>ore fer<strong>it</strong>o”. All’interno della stessadomanda, tra i molti che denunciano una chiara sofferenza interiore, 17 hanno dichiarato dicer<strong>care</strong> un modo per liberarsi da certi pensieri r<strong>it</strong>enuti ingombranti anche se non sannoancora come. Vediamo comunque affiorare un fragile tentativo di riscatto, uno stimoloalla riflessione, un segno di speranza, un’ammissione e una volontà di essere aiutati, unoLXXXV

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