L'INFERMIERE: VITTIMA O SOPRAVVISSUTO - Counselling-care.it

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5.5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONELa raccolta dati ha permesso di evidenziare situazioni dalle quali emergono elementi didiscussione piuttosto interessanti che confermano quanto il nostro lavoro sia impegnativodal punto di vista emotivo. E’ importante mettere in evidenza l’elevata adesione alquestionario, dei 221 distribuiti a tutto il personale infermieristico dei Presidi Ospedalieridi Mirandola e Finale Emilia, ne sono stati raccolti 136 per cui ben il 61% dei colleghihanno aderito all’iniziativa. L’adesione allo studio, che ha avuto una durata di 4 mesi(Ottobre 2008 - Gennaio 2009), è stata del tutto volontaria e, come già specificato, non havoluto privilegiare nessuna Unità Operativa in particolare. La scelta della sperimentazioneha coinvolto ogni infermiere in servizio nel periodo suddetto, in quanto il coinvolgimentoemotivo di fronte alla sofferenza, riguarda tutti indistintamente. I dati percentuali riferitialla partecipazione al questionario e la spontaneità all’adesione ci hanno consentito dicapire quanto il problema dell’emotività venga sentito. Persone con un passato, cheinserisce luci ed ombre sul presente; che nutrono sogni, desideri e aspettative; che simuovono nel quotidiano, con il loro bagaglio di frustrazioni, delusioni, orgoglio, voglia di“farcela” e timore di fallire. Infermieri/e che hanno messo a disposizione tutta la loroesperienza e sensibilità per aiutarci a comprendere che cosa si cela sotto la superficie dellaquotidianità e, già dalle prime risposte, affiora la componente emotiva. Alla domanda chechiedeva del perché si è scelto il lavoro di cura, la maggioranza riferisce di essere stataspinta dal desiderio di essere utile a qualcuno, molti, quando sono a contatto con lasofferenza, avvertono compassione, tenerezza, inadeguatezza e malinconia. Un datosignificativo da rilevare è l’elevata presenza di personale di sesso femminile (83% delcampione) che dà sicuramente ragione di queste risposte. La donna ha da sempre unacollocazione di prevalenza nel lavoro di cura, si parla addirittura di “una “divisionesessuale del lavoro di cura” che attribuisce alle donne la responsabilità delle attività dicura”. Il personale maschile, se pur irrisorio (17% del campione), ha infatti privilegiato lostipendio come motivazione alla scelta della professione perché in genere l’uomo ha piùdifficoltà ad esplicitare il proprio disagio interiore, difficilmente abbandona il cliché dipersona forte ed autosufficiente. Nel titolo della tesi viene suddiviso l’infermiere,nell’approccio alla sofferenza, in “vittima” o “sopravvissuto” e dalle risposte successive siavverte con chiarezza questa realtà. L’infermiere “vittima” appare in tutta la sua fragilitàLXXXIV

quando gli viene chiesto “Che riflessioni fai dopo una giornata di lavoro, durante la qualela tua emotività è stata particolarmente messa alla prova?”. Il grafico è rappresentatoappositamente da una serie concentrica di cerchi che vanno da una condizione di massimafreddezza sino ad una di elevato coinvolgimento, con una piccola percentuale che esprime,seppur in modo lieve, un desiderio di riscatto. Partendo dalla situazione di massimafreddezza troviamo che ben 26 componenti del campione non hanno risposto e 8 non sisono mai sentiti messi alla prova, un segnale piuttosto preoccupante in quanto non fanno, onon sono in grado di fare nessuna riflessione di fronte alla sofferenza. E’ un messaggiochiaro di disagio e di distacco, di allontanamento dal problema che sembra non riguardarli,preferiscono “non sapere”, “non porsi alcuna domanda”, si trincerano dietro una cortina digelo nella speranza che possa proteggerli, senza pensare che invece non fa altro cherenderli ancor più indifesi. Questa negazione o rimozione non ammette spazio aisentimenti, non dà voce alle emozioni, non attribuisce significato a una parte importantedei compiti professionali e soprattutto alle proprie risorse emotive. Sempre rimanendonell’ambito di questo schema, un totale di 46 infermieri/e dichiara di utilizzare la propriaprofessionalità per allontanarsi dalle emozioni o preferisce “frasi fatte” quali “sonofortunato! La vita è breve!”. Dobbiamo chiederci se in queste affermazioni ci sia solo unacerta superficialità o se invece sono anch’esse una modalità di fuga. Proseguendonell’analisi 17 colleghi del campione si lasciano condizionare al punto che il lavoro è ingrado di cambiargli la vita, tanto che 40 di loro ritiene che vita familiare e professionesiano interdipendenti e leggiamo dichiarazioni come: “Spero che ciò che ho visto oggi, noncapiti mai alla mia famiglia”, “Nelle situazioni dolorose ripenso spesso i miei figli”. Sigiunge infine a dati allarmanti in cui 41 infermieri/e riferiscono di sentirsi troppo deboliper affrontare la sofferenza quotidiana, o addirittura di sentirsi inutili e si esprimono confrasi come “ Chiudo il “cancello” delle mie emozioni”, “Rifletto sulla sofferenza, e capiscoche è più facile accettare la morte che la sofferenza stessa”. Come non pensare a questopunto ad un elevato tasso di burn-out emotivo, ad un vero e proprio “analfabetismoemozionale” a quello che viene definito un “guaritore ferito”. All’interno della stessadomanda, tra i molti che denunciano una chiara sofferenza interiore, 17 hanno dichiarato dicercare un modo per liberarsi da certi pensieri ritenuti ingombranti anche se non sannoancora come. Vediamo comunque affiorare un fragile tentativo di riscatto, uno stimoloalla riflessione, un segno di speranza, un’ammissione e una volontà di essere aiutati, unoLXXXV

5.5. DISCUSSIONE E CONCLUSIONELa raccolta dati ha permesso di evidenziare s<strong>it</strong>uazioni dalle quali emergono elementi didiscussione piuttosto interessanti che confermano quanto il nostro lavoro sia impegnativodal punto di vista emotivo. E’ importante mettere in evidenza l’elevata adesione alquestionario, dei 221 distribu<strong>it</strong>i a tutto il personale infermieristico dei Presidi Ospedalieridi Mirandola e Finale Emilia, ne sono stati raccolti 136 per cui ben il 61% dei colleghihanno ader<strong>it</strong>o all’iniziativa. L’adesione allo studio, che ha avuto una durata di 4 mesi(Ottobre 2008 - Gennaio 2009), è stata del tutto volontaria e, come già specificato, non havoluto privilegiare nessuna Un<strong>it</strong>à Operativa in particolare. La scelta della sperimentazioneha coinvolto ogni infermiere in servizio nel periodo suddetto, in quanto il coinvolgimentoemotivo di fronte alla sofferenza, riguarda tutti indistintamente. I dati percentuali rifer<strong>it</strong>ialla partecipazione al questionario e la spontane<strong>it</strong>à all’adesione ci hanno consent<strong>it</strong>o dicapire quanto il problema dell’emotiv<strong>it</strong>à venga sent<strong>it</strong>o. Persone con un passato, cheinserisce luci ed ombre sul presente; che nutrono sogni, desideri e aspettative; che simuovono nel quotidiano, con il loro bagaglio di frustrazioni, delusioni, orgoglio, voglia di“farcela” e timore di fallire. Infermieri/e che hanno messo a disposizione tutta la loroesperienza e sensibil<strong>it</strong>à per aiutarci a comprendere che cosa si cela sotto la superficie dellaquotidian<strong>it</strong>à e, già dalle prime risposte, affiora la componente emotiva. Alla domanda chechiedeva del perché si è scelto il lavoro di cura, la maggioranza riferisce di essere stataspinta dal desiderio di essere utile a qualcuno, molti, quando sono a contatto con lasofferenza, avvertono compassione, tenerezza, inadeguatezza e malinconia. Un datosignificativo da rilevare è l’elevata presenza di personale di sesso femminile (83% delcampione) che dà sicuramente ragione di queste risposte. La donna ha da sempre unacollocazione di prevalenza nel lavoro di cura, si parla addir<strong>it</strong>tura di “una “divisionesessuale del lavoro di cura” che attribuisce alle donne la responsabil<strong>it</strong>à delle attiv<strong>it</strong>à dicura”. Il personale maschile, se pur irrisorio (17% del campione), ha infatti privilegiato lostipendio come motivazione alla scelta della professione perché in genere l’uomo ha piùdifficoltà ad esplic<strong>it</strong>are il proprio disagio interiore, difficilmente abbandona il cliché dipersona forte ed autosufficiente. Nel t<strong>it</strong>olo della tesi viene suddiviso l’infermiere,nell’approccio alla sofferenza, in “v<strong>it</strong>tima” o “sopravvissuto” e dalle risposte successive siavverte con chiarezza questa realtà. L’infermiere “v<strong>it</strong>tima” appare in tutta la sua fragil<strong>it</strong>àLXXXIV

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