IL SILENZIOIn una relazione di reciproc<strong>it</strong>à come quella della comunicazione, oltre all’ascolto, diventadi grande importanza il silenzio. Il silenzio è ricco di significati e spesso diventa unaesplic<strong>it</strong>a richiesta di aiuto. E’ in grado di spaventarci e ci trova impreparati, il silenzio ci fapaura, tendiamo a riempirlo in ogni modo. Esso va di pari passo con l’ascolto e ne fa parte,bisogna consentire a chi ci è di fronte di avere spazio per i suoi pensieri, di poter trovaretempo e modi per esprimere ciò che sente. La formazione al silenzio ha inizio alla presa dicontatto con se stessi per scoprire ed incontrare la propria interior<strong>it</strong>à “ Le pause di silenzio,in un colloquio, hanno una misteriosa solenn<strong>it</strong>à: concedono alle frasi dette di riposare dalloro significato, e a entrambi gli interlocutori di riascoltare in silenzio e di approfondirenella loro eco, sia che dicano gioia, sia che dicano dolore (…)” 99 . Il silenzio diventaquindi una forma di rispetto verso l’altro, è uno spazio entro il quale si possonoracchiudere molte domande e preparare altrettante risposte. E’ un tempo per se stessi, cimette in contatto con il nostro mondo interno, e ci rende possibile un modo personale eprofondo di vivere il rapporto con noi stessi e gli altri. Il silenzio è paragonabile ad unrifugio in cui noi troviamo il modo per proteggerci dai disturbi ambientali, è un riparosicuro in cui possiamo elaborare i nostri pensieri per poi esternarli con seren<strong>it</strong>à. Cosìinteso, il silenzio appare come una dimensione spir<strong>it</strong>uale della persona e come unacondizione per promuovere l’un<strong>it</strong>à e l’utilizzo di tutte le risorse interiori. 10099 J. Dugger: “Le tecniche di ascolto”, Franco Angeli, Milano, 1999.100 G.Artioli, R.Montanari, A.Saffioti: “ Counseling e professione infermieristica”, 2004, p.51.LVI
4.3.5. COUNSELING: UN AIUTO ALL’INFERMIEREIl counseling psicologico è un intervento d’aiuto specifico e specialistico, offerto da unprofessionista ad un cliente che si trova in una s<strong>it</strong>uazione di confl<strong>it</strong>to o di difficoltà. Iproblemi che presenta possono essere di varia natura e/o collegati alla propria cresc<strong>it</strong>apersonale. Grazie a una relazione basata sull’ascolto e sulla facil<strong>it</strong>azione dellacomunicazione, il counselor aiuta il cliente ad approfondire e a riconoscere la suas<strong>it</strong>uazione, ad affrontare le scelte e i cambiamenti necessari per risolvere il problema eproseguire nella cresc<strong>it</strong>a personale. 101 Il counseling è tuttora insegnato e utilizzato comestrumento nell’attiv<strong>it</strong>à di cura, “ (…) le sue final<strong>it</strong>à appartengono al mandato professionaledell’infermiere in quanto assistere significa sia “stare con” che “esserci”. Care, “occuparsidi”, “prendersi cura”, sinonimi e specificazioni di “assistere”, implica vicinanza,prossim<strong>it</strong>à, alter<strong>it</strong>à, quindi relazional<strong>it</strong>à, contatto, presenza, non abbandono e nonindifferenza “ 102 . L’attiv<strong>it</strong>à di cura che offre l’infermiere, sappiamo che comportadispendio di forze: l’offrirsi inteso spesso come annullamento del sé, comportal’accrescimento di angosce, di domande a cui vorrebbe dare una risposta. I pensieridiventano tanti, chiediamo troppo alle nostre capac<strong>it</strong>à emotive. Ormai è noto, molti di noinon sono pronti ad affrontarsi, perché è con noi stessi che abbiamo a che fare ancor primache con gli altri. La cura richiede che si impegnino molte energie fisiche, cogn<strong>it</strong>ive eaffettive. Per questa ragione c’è chi vede nella cura il rischio di un’ emorragia d’essere, diuna perd<strong>it</strong>a di sé per un eccessiva attenzione all’altro. La buona cura è quella in cui,perentrambi i soggetti della relazione, non c’è perd<strong>it</strong>a di sé ma guadagno d’essere, e questo èpossibile solo se chi ha cura si prende anche cura di sé. 103 Aristotele insegna “…che nonc’è amicizia dell’altro se non c’ è l’amicizia per sé, perché per poter essere capaci divolere il bene dell’altro, si deve amare soprattutto sé stessi”. Solamente avendo cura di sési può coltivare la propria uman<strong>it</strong>à. Anche chi ha cura è vulnerabile, poiché il101 V. Calvo: “Il colloquio di counseling”, 2007, p.11.102 G. Artioli, R.Montanari, A. Saffioti “Counseling e professione infermieristica”, 2004, p.85.103 L.Mortari: “ La pratica dell’aver cura”, 2006, p.80.LVII
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