L'INFERMIERE: VITTIMA O SOPRAVVISSUTO - Counselling-care.it

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13.07.2015 Views

isogni e desideri. La capacità di prendersi cura richiede un faticoso lavoro dielaborazione dei propri vissuti emotivi, fin nelle pieghe più oscure di essi, per impararenon solo a tollerare il carico emotivo del lavoro di cura, ma anche a utilizzare i proprisentimenti per meglio comprendere l’esperienza e trovare direzioni di senso del proprioagire 50 . Winnicott ritiene che la possibilità di imparare ad avere cura di sé siaproporzionale al tasso di “ buona cura” ricevuta nei primi anni di vita 51 . Sentirsi“manipolati” con cura permette al bambino di godere la continuità del proprio essere.Quando invece si provoca un disagio corporeo, s’interrompe la percezione del piacere diessere e si possono procurare esperienze di dolore che rimangono impresse nella carne.Poiché l’essere umano è un’unità inscindibile di corpo e mente, un buon accudimento delcorpo facilita un buon sviluppo cognitivo ed emozionale. Sono tante le emozioni cheaccompagnano il lavoro di cura, emozioni e sentimenti soppressi e sottovalutati che finefanno? Questa negazione o rimozione non ammette spazio ai sentimenti, non dà voce alleemozioni, non attribuisce significato a una parte importante dei compiti professionali e,soprattutto, alle proprie risorse emotive. Può essere molto pericoloso, per il lavoro di cura,essere investiti da sentimenti soffocati o ignorati o mal governati, piuttosto che assumerneconsapevolezza. Non riconoscerli e non nominarli può far credere di tenerli sotto controllo,ma porta certamente a manifestarli in forme non sempre corrette o compatibili con lefunzioni professionali e, soprattutto, con le proprie risorse emotive. 52 Il rischio di un“analfabetismo emotivo”, negato o rimosso con più o meno arroganza, impone i suoi limitie le sue gravi insufficienze proprio in quei contesti in cui sarebbe necessario comprenderele emozioni dell’altro e saper esprimere le proprie, per non restare paralizzati daincomprensibili problemi di comunicazione, o per non liquidarli ai dannidell’interlocutore. 53 Nella relazione di cura la gestione dei sentimenti diventa una dellecose più necessarie, l’operatore va supportato. Abbandonato a se stesso, è spesso privo dirisorse per fronteggiare da solo il rischio dovuto ad un’ emotività mal trattata .50 L. Mortari: “La pratica dell’aver cura” 2006, p.7051 Winnicot, Donald W. “I Bambini e le loro madri” , Raffaello, Cortina, Milano, 1987,p.5.52 V.Iori: “Emozioni e Sentimenti nel lavoro educativo e sociale”, 2003, p.207.53 C. Calmieri, “La cura educativa. Riflessioni ed esperienze tra le pieghe dell’educare” 2000.XXXII

4.2.2. IL BURN-OUTDEFINIZIONE E STORIA DEL TERMINEIl termine “burn-out” fu coniato per la prima volta nel 1974 da Herbert J. Freudenberger inun articolo pubblicato sul Journal of Social Issues dal titolo “ Staff e burn-out”, in cuiveniva descritto l’esaurimento fisico ed emotivo sperimentato dagli operatori di unaistituzione psichiatrica. Qualche anno più tardi Freudenberger definì il burn-out uno “ statodi fatica o di frustrazione nato dalla devozione ad una causa, da uno stile di vita, da unarelazione che ha mancato di produrre la ricompensa attesa”. Nel 1976 Christina Maslachdescrisse il burn-out come “la perdita d’interesse per la gente con cui si lavora” ovvero latendenza a trattare i pazienti in modo distaccato e meccanico quando le richieste di lavorodiventano eccessive. L’anno successivo – in una relazione presentata al Convegno dellaAssociazione Psicologi Americani ed in un articolo dal titolo “ The Burn-out sindrome inthe day care settino”- l’Autrice definì il “burn-out” come una condizione in cui, dopo mesio anni d’impegno generoso, gli operatori si “bruciano”, manifestando un atteggiamento dinervosismo, di irrequietezza o di apatia ed indifferenza fino al cinismo. Il burn-outcominciò così a delinearsi come una risposta emotiva ad uno stress cronico caratterizzatoda tre componenti: “esaurimento emotivo”, “mancata realizzazione personale”, e“depersonalizzazione”. Cherniss, pur condividendo l’idea che il burn-out fosse lo stato diesaurimento emotivo relativo ad un sovraccarico e una malattia da eccesso d’impegno,ritenne che tale definizione fosse parziale e insoddisfacente. Egli definì il burn-out come“una ritirata psicologica dal lavoro in risposta ad un eccessivo stress o insoddisfazione conperdita dell’entusiasmo, dell’interesse e del senso di responsabilità. Il burn-out sarebbe, indefinitiva, un processo transazionale che consiste in stress lavorativo, esaurimentodell’operatore e accomodamento psicologico. Un operatore precedentemente impegnato sidisimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentata. ChernissXXXIII

4.2.2. IL BURN-OUTDEFINIZIONE E STORIA DEL TERMINEIl termine “burn-out” fu coniato per la prima volta nel 1974 da Herbert J. Freudenberger inun articolo pubblicato sul Journal of Social Issues dal t<strong>it</strong>olo “ Staff e burn-out”, in cuiveniva descr<strong>it</strong>to l’esaurimento fisico ed emotivo sperimentato dagli operatori di unaist<strong>it</strong>uzione psichiatrica. Qualche anno più tardi Freudenberger definì il burn-out uno “ statodi fatica o di frustrazione nato dalla devozione ad una causa, da uno stile di v<strong>it</strong>a, da unarelazione che ha mancato di produrre la ricompensa attesa”. Nel 1976 Christina Maslachdescrisse il burn-out come “la perd<strong>it</strong>a d’interesse per la gente con cui si lavora” ovvero latendenza a trattare i pazienti in modo distaccato e meccanico quando le richieste di lavorodiventano eccessive. L’anno successivo – in una relazione presentata al Convegno dellaAssociazione Psicologi Americani ed in un articolo dal t<strong>it</strong>olo “ The Burn-out sindrome inthe day <strong>care</strong> settino”- l’Autrice definì il “burn-out” come una condizione in cui, dopo mesio anni d’impegno generoso, gli operatori si “bruciano”, manifestando un atteggiamento dinervosismo, di irrequietezza o di apatia ed indifferenza fino al cinismo. Il burn-outcominciò così a delinearsi come una risposta emotiva ad uno stress cronico caratterizzatoda tre componenti: “esaurimento emotivo”, “mancata realizzazione personale”, e“depersonalizzazione”. Cherniss, pur condividendo l’idea che il burn-out fosse lo stato diesaurimento emotivo relativo ad un sovraccarico e una malattia da eccesso d’impegno,r<strong>it</strong>enne che tale definizione fosse parziale e insoddisfacente. Egli definì il burn-out come“una r<strong>it</strong>irata psicologica dal lavoro in risposta ad un eccessivo stress o insoddisfazione conperd<strong>it</strong>a dell’entusiasmo, dell’interesse e del senso di responsabil<strong>it</strong>à. Il burn-out sarebbe, indefin<strong>it</strong>iva, un processo transazionale che consiste in stress lavorativo, esaurimentodell’operatore e accomodamento psicologico. Un operatore precedentemente impegnato sidisimpegna dal proprio lavoro in risposta allo stress e alla tensione sperimentata. ChernissXXXIII

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