loro familiari ( Colombo, 1995 ). E’ naturale pensare alla donna come colei che si occupadella cura e biologicamente legata ad essa in quanto madre, essa è naturalmente piùcoinvolta emotivamente. Il motore che spinge una donna alla scelta del lavoro di cura èspesso dovuto alla continu<strong>it</strong>à tra lavoro sociale e lavoro familiare, da ciò deriva il rischio diun grosso coinvolgimento personale, per cui la fusione tra lavoro e v<strong>it</strong>a privata puòdiventare pericoloso perché viene persa di vista la realtà che richiede la scissione dei dueruoli. Altresì la donna senza famiglia, il più delle volte, sceglie il lavoro di cura perché ègeneticamente predisposta ad occuparsi di qualcuno ed è questa motivazione che la spingea canalizzare questo desiderio di famiglia e di matern<strong>it</strong>à nell’espressione della cura. Cosaspinga poi il sesso maschile a tale scelta può non essere facilmente intuibile. Ancoraticome siamo ai falsi pregiudizi, secondo cui l’uomo rappresenta l’ideale di persona forte,autosufficiente e virile, tutto ciò si troverebbe in netto contrasto con il lavoro di cura,inteso sin qui come professione “tutta al femminile”. Senza alcun dubbio, al di là delleconsiderazioni pregiudiziali, le motivazioni che spingono l’uomo a tale scelta d’impegno,sono senz’altro da ricercarsi negli stessi valori che hanno spinto le donne e di cui si èparlato all’inizio: riconoscere la v<strong>it</strong>a dell’altro come un valore e dare importanza allapropria storia personale ricca di vissuti e di incontri significativi. La soggettiv<strong>it</strong>àindividuale, la storia del singolo, i suoi progetti esistenziali si intrecciano inev<strong>it</strong>abilmentecon quelli professionali motivandone il più delle volte scelte e stili 20 . I vissuti esperienziali,presenti in ogni persona con caratteristiche soggettive e oggettive, insieme a fatti spiegatidalle scienze umane, ne condizionano la v<strong>it</strong>a. Le esperienze dell’angoscia, della precarietà,del dolore,del tempo, dell’incertezza, dello smarrimento, della tristezza, della gioia, dellapaura, della sol<strong>it</strong>udine… sono le esperienze più profondamente soggettive econtemporaneamente le più universali. Si s<strong>it</strong>uano ad un livello di conoscenza “vissuta” cheprecede ogni spiegazione razionale.L’ Erlebnis (il vissuto esperienziale) si configura quindi come “chiave di lettura” basilareper superare i lim<strong>it</strong>i dell’oggettivismo nell’indagine dei fatti e delle scelte umane,consentendone una comprensione dall’interno, in quanto vissuti (Husserl, 1981, pp.41).Comprendere la connotazione emotiva che è presente in ogni esperienza di v<strong>it</strong>a ènecessario per intuire quale sia il progetto e la scelta professionale che si è fatti.20 V. Iori Emozioni e sentimenti nel lavoro educativo e sociale, 2003 p. 209XVI
CAPITOLO 4. L’INFERMIERE: “ <strong>VITTIMA</strong> O <strong>SOPRAVVISSUTO</strong>”UN NO AL BURN-OUT DEI SENTIMENTI.L’ infermiere all’ interno del suo ruolo, come già abbiamo detto, è sottoposto ad un caricoemotivo gravoso e affaticante. Il lavoro di cura o specificamente la relazione d’aiutorichiedono un enorme dispendio d’energie emotive e risorse personali. Se viene meno lanostra capac<strong>it</strong>à d’elaborazione e se i sentimenti, piuttosto che la razional<strong>it</strong>à, prendono ilsopravvento, ecco che siamo di fronte, a quello che viene defin<strong>it</strong>o un infermiere “v<strong>it</strong>tima”.Il coinvolgimento emotivo eccessivo può diventare una trappola invece che una risorsa, semal gest<strong>it</strong>o, può travolgerci sino all’inev<strong>it</strong>abile insorgenza del burn-out. Le “nobili”motivazioni, che inizialmente ci hanno portato a scegliere un lavoro di cura, vengono menoe la demotivazione, un<strong>it</strong>a allo scoraggiamento che le accompagna, prendono il posto dellebuone intenzioni. Dobbiamo riuscire con la formazione a vincere ed eliminare la possibil<strong>it</strong>àche queste s<strong>it</strong>uazioni possano insorgere. Certo è la formazione l’unico mezzo che ci èdisponibile, un<strong>it</strong>o alla volontà della consapevolezza. Bisogna impegnarsi affinché questoaccada. La formazione è conoscenza e la conoscenza porta alla cresc<strong>it</strong>a dell’individuocome ent<strong>it</strong>à. L’individuo si riconosce e anche l’infermiere nel suo ruolo impara che è unafigura rilevante all’interno dell’organizzazione san<strong>it</strong>aria. E’ per questo che ha il dir<strong>it</strong>to diessere formato, il dovere di informarsi e di crescere, di diventare appunto “sopravvissuto”,libero di provare emozioni e sentimenti che non lo coinvolgano negativamente, ma che loaiutino ad essere migliore per sè stesso come professionista della cura, ma anche per gliutenti che affronta quotidianamente.XVII
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denso di difficoltà e sarebbe util
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6. ALLEGATI - QUESTIONARIOGentile c
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