L'INFERMIERE: VITTIMA O SOPRAVVISSUTO - Counselling-care.it
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esistere: “Senza relazioni di cura la vita umana cesserebbe di fiorire. Senza relazioni dicura nutrite con attenzione, la vita umana non potrebbe realizzarsi nella suapienezza” 15 .La cura in ambito sanitario, in particolare nel nursing prende il termine piùappropriato di relazione d’aiuto e Carl Rogers definisce la relazione d’aiuto: “Unarelazione in cui una dei protagonisti ha lo scopo di promuovere nell’altro la crescita, losviluppo, la maturità e il raggiungimento di un modo di agire più adeguato ed integrato(…); una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o ambedue leparti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto e una maggiorepossibilità di espressione” 16 .La relazione professionale d’aiuto è un rapporto dinamico chesi basa sull’interazione tra due o più persone delle quali una delle due si trova in unasituazione di difficoltà. Chi porge aiuto racchiude in sé interessi e competenze che perentrambe le persone coinvolte hanno anche dei risvolti emozionali. Chi aiuta necessita diun’adeguata preparazione sia dal punto di vista tecnico-cognitivo sia psicologicorelazionale. Terminate queste premesse è opportuno continuare a spiegare il perché si èportati verso una scelta così dispendiosa in termini emotivi come quella dell’infermiere.Non è mai per caso che si valuta l’idea di optare per un lavoro di cura, c’è sempre unamotivazione che ci spinge. Sappiamo bene di avere delle risorse, dell’energia, deisentimenti da investire in un rapporto d’aiuto, oltre ovviamente alle capacità fisiche dioffrire le nostre prestazioni. Allora ci si chiede da dove possa venire tanta volontà.Certamente dai nostri valori, da ciò in cui crediamo, dall’importanza che ha la vita per noie dal ruolo che rivestono le persone nell’ ambito dell’esistenza. E perché scegliere unutenza così particolare, formata da persone sofferenti, anziane o disabili? Tutto ciò hasenz’altro radici profonde che vanno ricercate nella nostra storia personale, nelle vicendefamiliari, negli incontri che abbiamo fatto e che hanno rappresentato per noi qualcosad’importante e significativo. Spesso non è solo una motivazione iniziale di stampopuramente umanitario a spingerci nella scelta ma anche una motivazione, se vogliamo piùrazionale o addirittura casuale. Tali obbiettivi però sono destinati a trasformarsi inqualcosa di più profondo che trasforma la logicità in un rapporto di tipoaffettivo/relazionale. Non basta certo una motivazione puramente razionale per riuscire adaffrontare un lavoro emotivamente così impegnativo. Dobbiamo inoltre renderci conto che15 Groenhout, 2004, p.24.16 G.Artioli, R.Montanari, A.Saffioti: “Counseling e professione infermieristica : teoria,tecnica,casi”;2004 p.57XIV
essere utili agli altri ha il suo “tornaconto” si viene a creare una situazione di reciprocità. “In particolare, ciò che può essere a questo livello fondamentale, per un’interpretazioneingenua e semplicistica, è il livello di consapevolezza relativamente ad un ovviocoinvolgimento e ad un “tornaconto” nell’azione messa in atto. Lungi dal rivelare unaposizione egoistica, coloro che sono in grado di dichiarare che l’azione messa in attorisponde anche a dei bisogni propri mostrano una percezione più completa del proprioagire. (…) si potrà essere tanto più solidali con gli altri, nei termini della reciprocitàsopra descritta, quanto più si darà spazio alle esigenze intime e profonde proprie, chenecessariamente saranno attivate. (…).La posizione di reciprocità vede compresente ilproprio e l’altrui bisogno e spiega l’ambivalenza sempre presente in campo relazionale.Infatti, se il riferimento solo a sé è sintomo di posizione egocentrica, l’altruismo “puro” èanch’esso sospetto, perché tende a nascondere l’altra faccia della medaglia: l’individuo èportato ad attribuire ad “alter” bisogni suoi e a non vedere i propri. 17 Può essererischioso affrontare un lavoro di cura quando si è particolarmente provati dal punto divista emotivo e umano, perché si è portati ad orientare l’azione più verso se stessi, e neltentativo salvifico di aiutare gli altri a risolvere i loro problemi si vuole, in realtà, superare ipropri. Quello che viene definito come un’ atteggiamento di “Oblatività coatta”(compulsive careging) definita in accordo con Bowlby, 1980 18 come un prendersi curaintensamente e spesso eccessivamente, del benessere degli altri, con le problematicheemotive che essa comporta. L’istanza motivazionale a prendersi cura degli altri nell’ipotesidi Bowlby (1980) è legata ad esperienze infantili di dolore, che vengono affrontateoccupandosi del dolore altrui, piuttosto che elaborando la propria sofferenza , oppure all’esperienza infantile di richiesta di cura da parte del genitore, incapace o impossibilitato difornire lui cura al bambino. In una interessante indagine condotta da Phillips (1997) 19 latendenza ad occuparsi degli altri è stata per l’appunto messa in relazione ad esperienzeinfantili di dolore. Un’altra domanda interessante da porsi unita ad una riflessione è comemai il lavoro di cura è spesso prerogativa del sesso femminile? Le donne sono gli attoriprivilegiati dello scenario della cura gratuita nel loro tempo privato familiare; svolgonolavoro di cura nei servizi nel loro tempo pubblico retribuito; chiedono servizi di cura per i17 Bramanti, Donatella : Soggettività e senso nell’agire volontario, 1989,p.160-16218 Bowlby J. Attachment and loss, Vol. III Loss sadness and depression. London: Hogard Press; 1973( Tr. It. Attaccamento e perdita, Vol. III. La perdita, Torino Boringhieri;1983)19 Phillips P. A comparison of the reported early experiencies of a group of student nurses with those ofa group of people outside the helping profession, 1997; 25: p.412-420.XV
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essere utili agli altri ha il suo “tornaconto” si viene a creare una s<strong>it</strong>uazione di reciproc<strong>it</strong>à. “In particolare, ciò che può essere a questo livello fondamentale, per un’interpretazioneingenua e semplicistica, è il livello di consapevolezza relativamente ad un ovviocoinvolgimento e ad un “tornaconto” nell’azione messa in atto. Lungi dal rivelare unaposizione egoistica, coloro che sono in grado di dichiarare che l’azione messa in attorisponde anche a dei bisogni propri mostrano una percezione più completa del proprioagire. (…) si potrà essere tanto più solidali con gli altri, nei termini della reciproc<strong>it</strong>àsopra descr<strong>it</strong>ta, quanto più si darà spazio alle esigenze intime e profonde proprie, chenecessariamente saranno attivate. (…).La posizione di reciproc<strong>it</strong>à vede compresente ilproprio e l’altrui bisogno e spiega l’ambivalenza sempre presente in campo relazionale.Infatti, se il riferimento solo a sé è sintomo di posizione egocentrica, l’altruismo “puro” èanch’esso sospetto, perché tende a nascondere l’altra faccia della medaglia: l’individuo èportato ad attribuire ad “alter” bisogni suoi e a non vedere i propri. 17 Può essererischioso affrontare un lavoro di cura quando si è particolarmente provati dal punto divista emotivo e umano, perché si è portati ad orientare l’azione più verso se stessi, e neltentativo salvifico di aiutare gli altri a risolvere i loro problemi si vuole, in realtà, superare ipropri. Quello che viene defin<strong>it</strong>o come un’ atteggiamento di “Oblativ<strong>it</strong>à coatta”(compulsive <strong>care</strong>ging) defin<strong>it</strong>a in accordo con Bowlby, 1980 18 come un prendersi curaintensamente e spesso eccessivamente, del benessere degli altri, con le problematicheemotive che essa comporta. L’istanza motivazionale a prendersi cura degli altri nell’ipotesidi Bowlby (1980) è legata ad esperienze infantili di dolore, che vengono affrontateoccupandosi del dolore altrui, piuttosto che elaborando la propria sofferenza , oppure all’esperienza infantile di richiesta di cura da parte del gen<strong>it</strong>ore, incapace o impossibil<strong>it</strong>ato difornire lui cura al bambino. In una interessante indagine condotta da Phillips (1997) 19 latendenza ad occuparsi degli altri è stata per l’appunto messa in relazione ad esperienzeinfantili di dolore. Un’altra domanda interessante da porsi un<strong>it</strong>a ad una riflessione è comemai il lavoro di cura è spesso prerogativa del sesso femminile? Le donne sono gli attoriprivilegiati dello scenario della cura gratu<strong>it</strong>a nel loro tempo privato familiare; svolgonolavoro di cura nei servizi nel loro tempo pubblico retribu<strong>it</strong>o; chiedono servizi di cura per i17 Bramanti, Donatella : Soggettiv<strong>it</strong>à e senso nell’agire volontario, 1989,p.160-16218 Bowlby J. Attachment and loss, Vol. III Loss sadness and depression. London: Hogard Press; 1973( Tr. It. Attaccamento e perd<strong>it</strong>a, Vol. III. La perd<strong>it</strong>a, Torino Boringhieri;1983)19 Phillips P. A comparison of the reported early experiencies of a group of student nurses w<strong>it</strong>h those ofa group of people outside the helping profession, 1997; 25: p.412-420.XV