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L'INFERMIERE: VITTIMA O SOPRAVVISSUTO - Counselling-care.it

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perciò il risultato è di incatenare le donne nella concetto di offerta che si realizza solotac<strong>it</strong>ando il proprio sé per dedicarsi all’altro. 13 Molte simil<strong>it</strong>udini si possono fare con laconcezione di lavoro infermieristico che si aveva sino a non molto tempo fa, quando l’infermiera era vista come colei che doveva donarsi completamente all’altro in una sorta dispinta vocazionale. A rafforzare questa concezione è stato il fiorire di innumerevoli scuolea gestione religiosa, che avevano come presupposto di portare avanti il loro ideale didevozione. Su tali convinzioni che vedevano il “curare” come sinonimo di accettazione,completa sottomissione, totale abnegazione di sé, è ovvio che l’emotiv<strong>it</strong>à del curanteveniva messa in secondo piano se non addir<strong>it</strong>tura annullata. L’ infermiera è messa a duraprova nel rapporto con l’altrui sofferenza: deve sapersi mantenere emotivamente distante,per essere a completa disposizione di chi soffre, non può permettersi momenti diriflessione per sé, di ascolto della propria interior<strong>it</strong>à. E’ il ruolo che ricopre che glieloimpedisce come da sempre le è stato insegnato, è ormai un idea radicata su anni dipregiudizi del ruolo di chi cura, secondo la Kuhse ” la malattia è il nemico, l’infermiera èil soldato (…) le virtù richieste sono dunque affidabil<strong>it</strong>à, lealtà (…) e sacrificio di sé “. Adaccentuare un simile concetto è stata anche la nasc<strong>it</strong>a del mansionario nel 1974 che ha datoforza ai cr<strong>it</strong>eri di esecutiv<strong>it</strong>à, di accettazione del proprio ruolo di inferior<strong>it</strong>à nei confrontidel medico, ma anche nei confronti di se stessa come figura marginale e come taleassoggettata anche alle proprie emozioni. Chi, in un tale contesto ideologico, avrebbepotuto, solo lontanamente, pensare alla propria v<strong>it</strong>a interiore? all’infermiera era chiestosolo di obbedire a un elenco molto sterile e tecnico di atti e regole ben stabil<strong>it</strong>e, che leimpedivano ogni “fantasia lavorativa” pena l’esercizio abusivo della professione medica.Ma l’infermiera non può restare sempre “bloccata” in questa immagine di sé, ad aiutarla ademergere da questa condizione di “subordinazione” emotiva e professionale c’èinnanz<strong>it</strong>utto l’ abrogazione del mansionario e della definizione di professione ausiliariarispetto a quella del medico. Viene riconosciuta all’infermiere una propria autonomia e unproprio amb<strong>it</strong>o di competenza su cui poter decidere, pianifi<strong>care</strong> e valutare l’attiv<strong>it</strong>à svolta.In particolare si dà nuova importanza alla formazione con la nasc<strong>it</strong>a degli ECM. Questaspinta formativa non ha fatto altro che centrare l’interesse anche su problematiche diverseda quelle puramente tecnico-professionali. Cominciano a nascere corsi che si occupano diaiutare l’infermiere ad affrontare se stesso, le proprie emozioni e l’elaborazione dei propri13 Luigina Mortari: La pratica dell’aver cura , Bruno Mondatori 2006, p. 19-20XII

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