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Chierici e laici: le scuole universitarie - Itinerari Medievali

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di un corso di studi che procedeva poi, attraverso la logica e la filosofia, finoalla teologia. Bologna divenne il baricentro di una rete scolastica che siirradiava sul territorio regiona<strong>le</strong> con una dozzina di scuo<strong>le</strong> propedeutiche.Anche <strong>le</strong> sorti del convento domenicano bolognese si <strong>le</strong>garono ben prestoalla qualità del<strong>le</strong> sue scuo<strong>le</strong>. La più decisa vocazione per <strong>le</strong> attivitàintel<strong>le</strong>ttuali che contraddistingueva quest’ordine rispetto a quellofrancescano, accrebbe ben presto la fama dello Studium domenicano che giànel 1248, quasi un secolo prima del vicino Studium francescano, ottenne ilriconoscimento pontificio, ponendosi al vertice di una fitta rete di scuo<strong>le</strong>distribuite nel territorio che, all'inizio del XIV secolo, contavano nella solaItalia circa 130 sedi. Lo Studio domenicano seppe stringere una solida retedi relazioni con la classe dirigente cittadina e fu scelto, per qualche tempo,come sede del<strong>le</strong> stesse scuo<strong>le</strong> pubbliche di diritto. Anche <strong>le</strong> associazionistudentesche dello Studio pubblico ebbero nel convento e nella chiesa diS.Domenico un punto di riferimento stabi<strong>le</strong>: qui spesso tenevano <strong>le</strong> lororiunioni gli studenti e qui si rifugiavano quando i contrasti con <strong>le</strong> autoritàcittadine si facevano particolarmente aspri, e certo questo rapportopreferenzia<strong>le</strong> fu favorito dalla composizione internaziona<strong>le</strong> della comunitàdomenicana, simi<strong>le</strong> in ciò a quella studentesca.Per qualche tempo queste due realtà didattiche – lo Studio domenicano equello francescano – operarono separatamente e si dovette attendere lacreazione presso lo Studio cittadino della Facoltà teologica, costituita solonel 1360, perché qui convergessero <strong>le</strong> espressioni di queste esperienzediverse, cresciute spesso in concorrenza reciproca, senza canali dicomunicazione stabili: monaci cistercensi, benedettini, certosini, fratidomenicani, francescani o agostiniani furono chiamati senza distinzione adinsegnarvi, superando in tal modo divisioni che si erano sempre piùirrigidite nel tempo.2. La nascita dell'universitàL'università ha avuto sua origine nella nostra regione. I numerosi aspetti<strong>le</strong>gati alla nascita di un'istituzione che conta nove secoli di vita e checostituisce su scala planetaria la formula privi<strong>le</strong>giata dell'insegnamentosuperiore e della ricerca richiamano da sempre l’attenzione degli storici; <strong>le</strong>molte questioni dibattute costituiscono oramai un labirinto nel qua<strong>le</strong>conviene addentrarsi.Ci limiteremo a ricordare che la prima università, quella di Bologna, fufondata nell'anno 1088. Si tratta di una data convenziona<strong>le</strong>, scelta più infunzione del<strong>le</strong> esigenze dei giubi<strong>le</strong>i che non basata su di un evento preciso.Tuttavia, una tradizione che risa<strong>le</strong> a parecchi secoli addietro, in particolareal primo storiografo dello Studio bolognese, Odofredo Denari (†1265), cirinvia all'insegnamento di Irnerio – lucerna iuris, secondo la sua definizioneche avrebbe incominciato ad insegnare in <strong>le</strong>gibus, il diritto civi<strong>le</strong> cioè,3


avva<strong>le</strong>ndosi dei testi <strong>le</strong>gali romani trasportati da Ravenna – antica sedeimperia<strong>le</strong> – a Bologna. È peraltro un fatto oramai accreditato che ta<strong>le</strong>innovazione, favorita anche dalla loca<strong>le</strong> scuola di notariato, va situata nelsettantennio compreso fra il 1060 e il 1130. Ciò può bastare per accettare laproposta del 1088 come data convenziona<strong>le</strong> nella qua<strong>le</strong> far ricorrerel'anniversario della nascita dello Studio bolognese e dell'università ingenera<strong>le</strong>. Da quel momento la fama del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> bolognesi andòprogressivamente rafforzandosi e i «suoi dottori» e <strong>le</strong> «sue <strong>le</strong>ggi»acquistarono un’autorevo<strong>le</strong>zza che si irradiò in molti paesi europei. Benpresto la nuova istituzione si diffuse a Parigi, a Oxford e poi, attraversopassaggi successivi, nell'intera Europa. Non solo a Bologna, ma anche inaltre città dell'area mediopadana furono precocemente presenti insegnamentidi livello superiore.Bologna, chiamata fin dal XII secolo «la dotta», fu il laboratorio chesperimentò <strong>le</strong> nuove scuo<strong>le</strong>, che si differenziarono da quel<strong>le</strong> contemporaneeper alcuni aspetti: innanzitutto, lo Studio pubblico bolognese fuun’istituzione scolastica secolarizzata. Dopo secoli in cui la scuola era stataappannaggio esclusivo del mondo ecc<strong>le</strong>siastico, lo Studio bolognese,imperniato dapprima sull’insegnamento del diritto civi<strong>le</strong>, assolse adesigenze che emergevano innanzitutto all’interno della società civi<strong>le</strong>.Altrove, come nel caso di Parigi e di Oxford, la matrice c<strong>le</strong>rica<strong>le</strong> del<strong>le</strong>università fu molto forte ed impresse dei connotati, sul piano organizzativoe didattico, molto accentuati e persistenti; la massima autorità religiosaloca<strong>le</strong>, il vescovo, era anche cancelliere dello Studio. A Bologna ta<strong>le</strong>incarico fu conferito dal papa all’arcidiacono, esautorando di fatto lagerarchia ecc<strong>le</strong>siastica e introducendo il principio che il diritto dipromozione trovasse una sanzione nella sovranità. Da quel momento, nonsolo i pontefici conferirono direttamente del<strong>le</strong> lauree ma in ciò furonoseguiti dagli imperatori e via via da molti sovrani territoriali (è il caso, adesempio, di Alfonso VIII e di Alfonso X di Castiglia) che promossero nuoveuniversità <strong>le</strong>gittimando il conferimento dei gradi accademici sulla base deldiritto rega<strong>le</strong>.In secondo luogo, il baricentro del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> bolognesi fu costituito perlungo tempo dal diritto: quello civi<strong>le</strong> innanzitutto, un ambito verso cuirivolgeva particolare attenzione la scuola di arte notari<strong>le</strong> già attiva nell’XIsecolo, ma che fu fortemente innovato dalla «riscoperta» del diritto romano,del Corpus iuris civilis di Giustiniano, e in particolare, per la loroimportanza, del Codice, cioè il corpo organico del<strong>le</strong> <strong>le</strong>ggi, e del Digesto, laraccolta del<strong>le</strong> opere dei giureconsulti, riordinate ed accresciutecontinuamente grazie ad un comp<strong>le</strong>sso sistema di annotazioni poste amargine del testo (glosse) che servivano sia allo studio del significato deltesto stesso sia alla sua applicazione a casi pratici con i quali giudici eavvocati si sarebbero dovuti confrontare nell’esercizio della loroprofessione. Anche il diritto canonico, che ha nel Decretum la sua fonte4


principa<strong>le</strong> di studio e di insegnamento, è tributario dell’ambiente dei dottoribolognesi, a cominciare da Graziano, il maestro al cui nome è rimasta <strong>le</strong>gatala monumenta<strong>le</strong> compilazione che conta 3.823 canoni, frutto di un lavorocol<strong>le</strong>ttivo che fu sicuramente ordinato e comp<strong>le</strong>tato in ambiente bolognese eda qui diffuso nell’intera Europa. Lo stesso aggiornamento della<strong>le</strong>gislazione prodotta in età successiva al Decretum risente in modopressoché sistematico dell’apporto della scuola bolognese: Bernardo Balbi,Tancredi, Giovanni Teutonico, Giovanni Ga<strong>le</strong>nsis operano tutti nello Studiobolognese. I loro apporti stabiliscono una continuità che lascia supporre chelì si fosse costituito una sorta di laboratorio, di osservatorio permanente, chedoveva assicurare l’aggiornamento della scienza canonistica.Infine, nella definizione giuridica e socia<strong>le</strong> del<strong>le</strong> nuove scuo<strong>le</strong> un ruolofondamenta<strong>le</strong> fu svolto dagli studenti. Studente e università costituisconouna realtà per più versi inscindibi<strong>le</strong>: lo studente è una nuova figura socia<strong>le</strong>che s’afferma mano a mano che si precisa il ruolo del<strong>le</strong> università. Certonon erano mancati gli studenti nei secoli precedenti, ma si trattava ingenera<strong>le</strong> di chierici, la cui personalità giuridica si iscriveva quindi neirapporti gerarchici che regolamentavano il mondo ecc<strong>le</strong>siastico. Le scuo<strong>le</strong>bolognesi di diritto raccoglievano invece un’utenza compostapreva<strong>le</strong>ntemente da studenti <strong>laici</strong>, spesso adulti, come ci mostrano conimmediata efficacia <strong>le</strong> testimonianze iconografiche (per esempio imonumenti funebri dei maestri universitari).Adulti quindi e, generalmente, stranieri: era dunque necessario che essimettessero in atto tutte quel<strong>le</strong> provvidenze che potessero servire a tutelarliper consentir loro di raggiungere il proprio scopo al<strong>le</strong> condizioni menosvantaggiose. I modelli associativi del tempo, innanzitutto <strong>le</strong> corporazioniartigiane, fornirono agli studenti la formula da cui scaturirono dapprima <strong>le</strong>«nazioni» studentesche – che riunivano quanti provenivano da una stessaregione o paese (i Lombardi, gli ing<strong>le</strong>si...) – poi <strong>le</strong> università degli studenti,che riunirono in un unico corpo <strong>le</strong> varie nazioni che si erano via via formate.Le università studentesche, articolate in vari modi durante l’età qui presa inconsiderazione – <strong>le</strong>gisti e artisti (quest’ultima includeva gli studenti difilosofia e medicina), ultramontani e citramontani godevano di una tutelaparticolare riconosciuta loro gia dall’imperatore Federico I, il Barbarossa,nel 1158, confermata in seguito da una consolidata tradizione che li mettevaal riparo dai più frequenti abusi in cui poteva incappare uno straniero.Le università (si badi bene che il termine «università» è servito adindicare, fino al Sei-Settecento, <strong>le</strong> associazioni studentesche, non <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong>,per <strong>le</strong> quali si usava il termine Studium, cioè Studio) si diedero ben prestopropri ordinamenti – statuti, regolamenti – che fissavano <strong>le</strong> condizioni sucui si reggeva il patto consociativo e stabilivano funzioni e compiti del<strong>le</strong>magistrature interne, a cominciare dal rettore che fu, fin verso la fine delCinquecento, e<strong>le</strong>tto dagli studenti all’interno del loro stesso corpo. Anche irapporti con i docenti – nomina dei maestri, loro retribuzione e sorveglianza5


– furono dapprima stabiliti in modo diretto dagli studenti (una traccia diquesto antico privi<strong>le</strong>gio sopravvisse fino al XVIII secolo attraverso <strong>le</strong>«<strong>le</strong>tture dell’università», insegnamenti propedeutici i cui docenti eranonominati su indicazione degli studenti che li sceglievano solitamente fra ineolaureati). Ma in questa materia intervenne ben presto l’autoritàcomuna<strong>le</strong>, preoccupata di stabilire forme di controllo su un’istituzione la cuiimportanza per il prestigio della città e l’economia loca<strong>le</strong> cresceva di giornoin giorno (si pensi ai vantaggi che ne derivavano, ad esempio, per iproprietari di case e pensioni, per i commercianti di vettovaglie, per i libraio stazionari, per citare solo alcune categorie). Dalla meta del XIII secolo inpoi il comune assorbì all’interno del proprio bilancio <strong>le</strong> spese per i salari deimaestri interponendosi progressivamente fra i docenti e gli studenti, dandopoi vita ad una magistratura – Riformatori dello Studio – con competenzespecifiche su ta<strong>le</strong> materia.Si è parlato spesso di «potere studentesco» con riferimento al comp<strong>le</strong>ssodei privi<strong>le</strong>gi riconosciuti al<strong>le</strong> università studentesche, proprio a partire dalmodello associativo bolognese: certo è che gli studenti sperimentarono quila loro forza contrattua<strong>le</strong>, ricorrendo per la prima volta nella storia a formedi sciopero col<strong>le</strong>ttivo – la secessione verso altre città – che mettevano in attoquando i propri diritti erano irrimediabilmente violati. Da queste forme diprotesta degli studenti bolognesi, seguiti talora da qualche maestro,scaturirono molti degli Studi medievali italiani (Vicenza nel 1204, Arezzonel 1215, Padova nel 1222, Firenze e Siena nel 1321, ecc.).Questo particolare ruolo rivestito dagli studenti all’interno dello Studiobolognese non impedì analoghe forme di associazione fra i maestri. ICol<strong>le</strong>gi dei dottori, suddivisi per aree disciplinari (diritto civi<strong>le</strong>, dirittocanonico, medicina e arti, teologia), erano degli organismi a numero chiuso<strong>le</strong> cui funzioni non si limitavano al compito, pur fondamenta<strong>le</strong>, dell’esamedi chi aspirava al dottorato, ma accanto a questa funzione accademicavenivano spesso coinvolti nella vita cittadina come consu<strong>le</strong>nti o conl’affidamento di incarichi e anche come controllori del corretto esercizio dialcune professioni (per esempio i medici nei confronti dei farmacisti).Progressivamente il ruolo dei dottori cittadini all’interno dei col<strong>le</strong>gi dottoralirisultò determinante al punto che essi riuscirono ad instaurare la prassi che<strong>le</strong> cattedre (<strong>le</strong>cturae/<strong>le</strong>tture) <strong>universitarie</strong> divenissero appannaggio esclusivodei dottori originari di Bologna, innescando in tal modo un localismo pococonsono al<strong>le</strong> attività scientifiche e intel<strong>le</strong>ttuali, che si aggravò con il fattoche gli studenti provenivano ormai in larga parte dalla provincia.3. Oltre BolognaL’insegnamento dei maestri bolognesi esercitò una vasta influenza sulterritorio circostante, determinando quel fenomeno di concentrazionedell’offerta di istruzione superiore così tipica della regione emiliana che6


abbiamo già richiamato.Questi Studi si formarono quindi per iniziativa spontanea di maestri estudenti, avallata semmai dal<strong>le</strong> autorità comunali per il prestigio e i vantaggieconomici che ne derivavano alla città. In assenza quindi di un atto forma<strong>le</strong>di fondazione da parte di un’autorità – papa, Imperatore, sovrano – lanascita di questi Studi va ricondotta proprio all’avvio di un’attività didatticada parte di un maestro di prestigio. Per i maestri più famosi – contesi dal<strong>le</strong>varie scuo<strong>le</strong> – furono coniati gli attributi più lusinghieri: lucerna iuris,dominus decretalium, flos Italiae, dominus <strong>le</strong>gum, clarum lumen.L’origine dello Studio modenese viene fatta coincidere con la presenza diPillio da Medicina (seconda meta del XII secolo) e di altri maestri quitrasferitisi da Bologna; quella dello Studio reggiano va fatta risalire altrasferimento in città di Jacopo di Mandra (1188), qui condotto dal comunecon l’obbligo di restarvi per almeno un quadriennio e che fu seguito nelsecolo successivo da altri docenti dal vicino Studio modenese oramai in crisi(Uberto da Bobbio, Guizzardo da Colorno); di Uberto da Bobbio (inizioXIII secolo) e della circolazione dei dottori formatisi presso altri Studi siavvantaggiarono anche <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> piacentine e ravennati.Spesso queste esperienze non superarono l’età comuna<strong>le</strong>, come nel casodel<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> modenesi che, con il passaggio della città sotto il dominioestense, decaddero rapidamente. Occorre attendere il passaggio di Ferraraallo Stato della Chiesa (1598) ed it passaggio della capita<strong>le</strong> del ducatoestense a Modena perché si ponesse nuovamente, sia pure in un contesto bendifferente, il prob<strong>le</strong>ma della rifondazione dello Studio modenese, chematurò solo dopo la meta del XVII secolo.Accanto ad un vita<strong>le</strong> centro di studi che faceva capo alla scuola dellacattedra<strong>le</strong>, anche a Reggio fu il comune che cercò di radicare in cittàun’attività didattica stabi<strong>le</strong>, un rapporto che per un verso facilitòl’insediamento del<strong>le</strong> attività didattiche ma che, <strong>le</strong>gandone la continuità al<strong>le</strong>sorti di un preciso regime politico, risultò, al<strong>le</strong> luci dell’instabilitò di quellostesso regime, un <strong>le</strong>game soffocante. Anche nel caso di Reggio, il succedersidi conflitti interni, del dominio pontificio, dei Gonzaga, dei Visconti e,infine, il definitivo passaggio al dominio estense segnarono in buonasostanza la fine dell’esperienza dello Studio, anche se non mancarono inseguito vari tentativi per riattivarlo che trovarono la forma più compiutasolo nell’età del<strong>le</strong> riforme allorché Francesco III d’Este vi creo (1752) unoStudio genera<strong>le</strong> che, dopo solo vent’anni, trasferì a Modena.Anche a Parma i conflitti tra <strong>le</strong> fazioni cittadine e il succedersi di poterisignorili resero difficoltoso il cammino del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> <strong>universitarie</strong>.L’inserimento negli statuti cittadini (1226) di norme tese a prescrivere lasicurezza persona<strong>le</strong> degli studenti forestieri testimonia il credito che <strong>le</strong>scuo<strong>le</strong> cittadine riscossero anche al di fuori dell’ambito loca<strong>le</strong>. Il comunedifese i docenti e gli scolari dal<strong>le</strong> ingerenze dell’autorità ecc<strong>le</strong>siastica nellalibertà di insegnamento e nella scelta dei maestri. Lo Studio parmense fu7


chiuso una prima volta nel 1328 dall’autorità pontificia, per favorire quellobolognese, e poi nel 1387 da Gian Ga<strong>le</strong>azzo Visconti, che impose iltrasferimento degli studenti a Pavia. Nel 1412 gli Estensi ne favorironoinvece la riapertura.A Piacenza la storia dello Studio può contare su una data certa, il 1248,anno in cui il papa concesse il privi<strong>le</strong>gio di Studio genera<strong>le</strong>; ma al di là diquesto atto forma<strong>le</strong> lo Studio piacentino fu forse quello che, meno deglialtri, ha lasciato traccia di sé avvalorando l’ipotesi che <strong>le</strong> attività didattichenon si siano insediate stabilmente, salvo che nei pochi anni in cui GianGa<strong>le</strong>azzo Visconti vi trasferì lo Studio pavese (1398-1402). In seguito <strong>le</strong>attività didattiche furono intermittenti, <strong>le</strong>gate al<strong>le</strong> condizioni del bilanciodella comunità e ad una debo<strong>le</strong> domanda loca<strong>le</strong>.Diversa l’origine dello Studio ferrarese, nato per impulso di Albertod’Este che aveva ottenuto da papa Bonifacio IX (1391) il privi<strong>le</strong>gio diStudio genera<strong>le</strong>. Esso fu l’espressione di una nuova congiuntura nelmovimento del<strong>le</strong> università, che possiamo riassumere richiamando il <strong>le</strong>gamesempre più stretto che nell’età del<strong>le</strong> signorie e nella prima età modernavenne determinandosi fra <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> <strong>universitarie</strong> e il potere politico edecc<strong>le</strong>siastico. Dopo una falsa partenza, lo Studio ferrarese fu rivitalizzato daLeonello d’Este e divenne, grazie alla presenza di maestri di grandeprestigio, uno dei centri più brillanti degli studi umanistici che furono ilbaricentro del rinnovamento cultura<strong>le</strong> e scientifico del nostro Rinascimento.Se lo studio e l’insegnamento del<strong>le</strong> scienze giuridiche costituirono ilterreno privi<strong>le</strong>giato del<strong>le</strong> università di questa regione nella loro fase diavvio, ben presto l’offerta didattica si differenzio, inglobando discipline<strong>le</strong>tterarie e scientifiche, dalla grammatica alla retorica alla matematica, dallafisica alla medicina all’astronomia e infine, come si è già ricordato, gli stessicorsi teologici. Particolarmente importante fu la scuola medica che sisviluppò a Bologna e che ebbe alcuni maestri noti in tutta Europa, comeTaddeo Alderotti (†1295), studioso di Ga<strong>le</strong>no e di Ippocrate, l’anatomicoGuglielmo da Saliceto, Mondino de’ Liuzzi (†1326) autore di un trattato –Anatomia – che fu in auge per secoli.4. Le scuo<strong>le</strong> pre<strong>universitarie</strong>Abituati ad un sistema di insegnamento che va dall’apprendimentoe<strong>le</strong>mentare fino a quello universitario, riesce diffici<strong>le</strong> parlare di scuo<strong>le</strong>pre<strong>universitarie</strong> in senso proprio per il periodo qui preso in esame,innanzitutto perché non occorreva esibire titoli di studio per avere accessoal<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> dello Studio, ma lo si frequentava quando e come si vo<strong>le</strong>va,naturalmente senza ignorare che l’insegnamento veniva impartito in latino eche questa lingua, che pur si doveva aver appreso, costituiva la linguacomune della comunicazione fra gli stessi studenti e di questi con i maestri.Le scuo<strong>le</strong> ecc<strong>le</strong>siastiche e poi quel<strong>le</strong> comunitative (promosse cioè dal<strong>le</strong>8


comunità cittadine) rappresentavano la possibilità più agevo<strong>le</strong> di perseguirequel livello di apprendimento necessario per affrontare con successol’insegnamento superiore o anche solo per imparare a sostenere il ruolo distudente. Per aiutare gli studenti furono redatti manua<strong>le</strong>tti e prontuari che,simulando <strong>le</strong> circostanze più comuni (per esempio l’arrivo a scuola e lapresentazione al maestro, la <strong>le</strong>ttera da scrivere ai genitori, la spesaquotidiana), li guidavano nei dialoghi in latino.Alcune università (per esempio quella di Bologna) riservavano un certonumero di cattedre ai maestri di grammatica, sopperendo in tal modo al<strong>le</strong>carenze dei propri studenti, anche se nella maggior parte dei centri urbani dimedia dimensione esistevano scuo<strong>le</strong> pubbliche fin dal XIII-XIV secolo. Icentri della Romagna – Cesena, Faenza, Forll, Imola, Rimini – che, come sie visto, erano privi di sedi <strong>universitarie</strong>, avevano però una tradizioneconsolidata nel campo dell’insegnarnento preuniversitario – in particolaredella grammatica latina – e sempre più spesso <strong>le</strong> autorità comunaliprovvidero a stipendiare anche dei docenti che insegnavano quel<strong>le</strong> disciplinetipicamente <strong>universitarie</strong>, come retorica e logica, ma anche i fondamenti deldiritto e della medicina. A Cesena, dove gia nel 1303 troviamo un maestrodi grammatica, nel XV secolo la scuola comuna<strong>le</strong> era talmente affollata chesi dovette stipendiare un secondo maestro; <strong>le</strong>tture di diritto, di filosofia e dimedicina erano gia tenute fin dall’inizio del XVI secolo e il loca<strong>le</strong> Col<strong>le</strong>giodei dottori aveva ottenuto dal papa (Cesena apparteneva allo Stato dellaChiesa) il privi<strong>le</strong>gio di laureare in diritto due studenti ogni anno. Questasorta di Studio in miniatura costituiva un fattore di prestigio nei confrontidel<strong>le</strong> città vicine e alla fine del Settecento, grazie ad un concittadinodivenuto papa, la città ottenne il sospirato privi<strong>le</strong>gio di avere un vero eproprio Studio genera<strong>le</strong>, anche se da 1ì a pochi anni esso fu soppresso daifrancesi. Anche altre città della Romagna cercarono di seguire la stessastrada (Rimini, Ravenna, Forlì) e, pur non raggiungendo pienamentel’obiettivo, contribuirono alla diffusione dell’insegnamento di livello mediosuperiore.5. Università e gesuiti nella prima età modernaAll’inizio dell’età moderna tre erano <strong>le</strong> università attive nella regione:Bologna, Ferrara e Parma. Parma, dopo un’esistenza stentata che siprolungò per tutto il Cinquecento, fu «rifondata» nel 1600 dal ducaRanuccio I Farnese che ne fece un tassello importante della sua costruzionedello Stato confessiona<strong>le</strong>. Bologna e Ferrara conobbero, fino alla meta delSeicento, un periodo di stabilità al qua<strong>le</strong> seguì una lunga fase di declino, omeglio di forte provincializzazione – con effetti più marcati per Ferrara –che si protrasse fino al<strong>le</strong> riforme dell’età francese. La diminuzione dellapopolazione studentesca (frequentanti e laureati) e la suaprovincializzazione sono state interpretate come il segno della decadenza9


del<strong>le</strong> università in età moderna. Svariati fattori, come hanno messo in luce ipiù recenti studi, concorsero a determinare questo fenomeno: la guerra deiTrent’anni, che non incoraggio certo la circolazione degli intel<strong>le</strong>ttuali suscala europea; la politica protezionistica dei sovrani d’antico regime che,con maggiore frequenza imposero ai sudditi l’obbligo di studiare in patria.Nel corso dell’età moderna il numero del<strong>le</strong> università raddoppiò – segnoinequivocabi<strong>le</strong> della vitalità dell’istituzione – con la conseguenteridistribuzione dell’utenza (nel solo Stato della Chiesa ne furono createcinque: Macerata, Urbino, Fermo, Camerino, Cesena; a queste dobbiamoaggiungere, con riferimento al<strong>le</strong> altre compagini territoriali della nostraregione, lo Studio di Modena, aperto nel 1682, e quello di Reggio per ilperiodo 1752-1772); infine <strong>le</strong> discipline più frequentate dagli studenti(grammatica, retorica, logica) entrarono a far parte di un curriculum che, siapur senza alcuna riforma ufficia<strong>le</strong>, poteva essere ed era frequentato al difuori del<strong>le</strong> università, sottraendo in tal modo agli atenei una quotaconsiderevo<strong>le</strong> di studenti.La prima età moderna registra dei mutamenti incisivi anche su altri piani:su quello dell’organizzazione interna e del governo dello Studio, al<strong>le</strong> partigia in campo – Col<strong>le</strong>gi dottorali, magistratura cittadina – si affiancò, aBologna e a Ferrara, il cardina<strong>le</strong> <strong>le</strong>gato, espressione del governo centra<strong>le</strong>, ea Parma lo spesso duca, che riformò gli statuti e divise lo Studio in duesettori, uno dei quali fu assegnato, senza condizioni, ai gesuiti. Lacomponente più debo<strong>le</strong>, quella studentesca, perse ogni capacità contrattua<strong>le</strong>e conservò solo gli emb<strong>le</strong>mi esteriori del suo ruolo originario: esemplare diquesta evoluzione centralizzatrice fu, a Bologna, il passaggio dell’ufficiorettora<strong>le</strong> dagli studenti al cardina<strong>le</strong> <strong>le</strong>gato pro tempore, anticipando il ruolocrescente che lo Stato stava assumendo nel governo del<strong>le</strong> università.Sul piano scientifico e didattico nel<strong>le</strong> università della nostra regione –soprattutto dopo il passaggio di Andrea Alciato che a metà del XVI secoloinsegnò prima a Bologna poi a Ferrara – persero terreno <strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> di dirittoche restarono ancorate ai metodi tradizionali. Un maggior peso ebbero glistudi filologici, <strong>le</strong> scienze esatte e naturali, quel<strong>le</strong> mediche e filosofiche.Particolarmente ragguardevoli furono i progressi della scuola anatomica echirurgica bolognese (Berengario da Carpi, Giulio Cesare Aranzio,Costanzo Varolio), della medicina teorica, che conto a Bolognasull’insegnamento di Girolamo Cardano e di Antonio Fracanzani e a Ferraradi Leoniceno, Antonio Musa Brasavola e Gabrie<strong>le</strong> Falloppio. Le scienzenaturali ottennero un pieno riconoscimento accademico grazie soprattuttoall’opera di Ulisse Aldrovandi, mentre in campo matematico si segnalaronoScipione Dal Ferro, Giovanni Antonio Magini e Bonaventura Cavalieri, chegrazie ai progressi infinitesima<strong>le</strong> favorì tutti i successivi avanzamenti dellascienza matematica. Gli studi umanistici ebbero un notevo<strong>le</strong> sviluppo grazieall’opera di Paolo Bombace, Stefano Salutati, Romolo Amaseo, FrancescoRobortello, Carlo Sigonio a Bologna, e di A<strong>le</strong>ssandro Guarini, Celio10


Calcagnini e Giovanni Battista Pigna a Ferrara.L’e<strong>le</strong>mento nuovo che scompaginò gli equilibri consolidati nel settoredell’insegnamento fu la comparsa sulla scena degli ordini religiosi, primi fratutti i gesuiti, per il rilievo che la loro attività ebbe nel campo del<strong>le</strong>istituzioni scientifiche e didattiche. I gesuiti fondarono numerosi col<strong>le</strong>ginella regione, privi<strong>le</strong>giando nella scelta del<strong>le</strong> sedi i centri della vita politicae cultura<strong>le</strong>. La fase della loro espansione si produsse entro il 1650, anno incui essi contavano proprie sedi a Bagnacavallo, Bologna, Cotignola, Faenza,Ferrara, Forlì, Imola, Rimini, Carpi, Mirandola, Modena, Novellara, ReggioEmilia, Busseto, Guastalla, Parma, Piacenza (cui seguiranno Ravenna,Lugo, Cento); spesso, in una medesima città, avevano più di un col<strong>le</strong>gio.Bologna e Parma erano i due capisaldi di questa rete scolastica, con col<strong>le</strong>gidi pieno esercizio (dove cioè venivano insegnate tutte <strong>le</strong> discipline del lorocorso di studi), convitti per giovani della ricca borghesia e della nobiltà,noviziati per la formazione dei membri più giovani della Compagnia. Inparticolare il Col<strong>le</strong>gio dei nobili di Parma guadagno un consolidato creditosu scala internaziona<strong>le</strong>: esso fu definito il «re di tutti i col<strong>le</strong>gi» e vennescelto per l’educazione degli esponenti di numerose famiglie europee, fra iquali troviamo anche esponenti di spicco della cultura illuministica e delmovimento riformatore come i fratelli Verri, Pietro Beccaria e quel PedroPablo de Aranda che, come ministro del re di Spagna, fu l’arteficedell’espulsione dei gesuiti dai territori spagnoli.Per comprendere l’importanza del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> dei gesuiti va osservato che,all’inizio dell’età moderna, l’insegnamento di grado inferiore e medioattraversò un periodo di crisi profonda: la crescente domanda di istruzionenon poteva essere assorbita dal<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> ecc<strong>le</strong>siastiche e non trovava risposteadeguate da parte dei pubblici poteri. Fra il XV secolo e la meta del XVIIscuo<strong>le</strong> pubbliche furono aperte a spese del<strong>le</strong> comunità in vari centri dellaregione disegnando, come si può vedere dal seguente e<strong>le</strong>nco, una retescolastica che copriva in modo stabi<strong>le</strong> i centri urbani di media dimensione:Castell’Arquato, Guastalla, Bagnolo in Piano, Carpi, Castellarano,Castelnuovo, Correggio, Mirandola, Nonantola, Spilamberto, Argenta,Bagnacavallo, Bondeno, Budrio, Castel Bolognese, Castel San Pietro,Cesena, Codigoro, Comacchio, Crevalcore, Dozza, Faenza, Forlì, Imola,Lagosanto, Massalombarda, Medicina, Ravenna, Rimini, San Giovanni inPersiceto, Sant’Agata Bolognese.Tuttavia, <strong>le</strong> ricorrenti difficoltà finanziarie rendevano intermittenti iprovvedimenti del<strong>le</strong> comunità locali in materia scolastica, e soprattutto ladomanda di istruzione investiva anche i centri minori che solo in pochi casi– come Fanano e Pieve di Cento, ove si insediarono gli scolopi – potevanocontare su scuo<strong>le</strong> di qualità sperimentata. Tutto ciò favorì la diffusione diuna p<strong>le</strong>tora di maestri privati, privi spesso dell’esperienza e dei requisitiappropriati, spesso irrisi dagli osservatori contemporanei, come TommasoGarzoni, di Bagnacavallo, che ne lamentava la sciocca pedanteria, o11


l’umanista imo<strong>le</strong>se Giovanni Antonio Flaminio, che denunciava la presenzadi maestrucoli improvvisati che imbonivano i giovani più sprovveduti,promettendo mirabolanti successi scolastici.Lo Stato trascurò fino al<strong>le</strong> riforme settecentesche i prob<strong>le</strong>mi del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong>pre<strong>universitarie</strong>, lasciando quindi aperta un’ampia possibilità di interventoin materia d’istruzione pubblica; ciò favori il ruolo del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> dei gesuitiche mettevano a disposizione maestri con una solida preparazione cultura<strong>le</strong>,scuo<strong>le</strong> gratuite, uno sperimentato metodo di insegnamento e il vantaggio difar parte di un vero e proprio sistema scolastico articolato in centinaia diistituti che costellavano l’intera Europa e che facevano capo ad un unicocentro direziona<strong>le</strong> (la Curia romana del loro padre genera<strong>le</strong>).L’influenza del<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> dei gesuiti andò ben oltre <strong>le</strong> strutture nel<strong>le</strong> qualiessi insegnavano e divenne progressivamente il modello adottato sia dal<strong>le</strong>scuo<strong>le</strong> ecc<strong>le</strong>siastiche ancora attive – <strong>le</strong> antiche scuo<strong>le</strong> del<strong>le</strong> cattedrali, al<strong>le</strong>quali si stavano affiancando i seminari per la formazione del c<strong>le</strong>ro voluti dalConcilio di Trento – sia dal<strong>le</strong> scuo<strong>le</strong> del<strong>le</strong> comunità cittadine. Con <strong>le</strong>università il loro rapporto fu diverso da caso a caso: a Parma, come si èdetto, essi partecipavano alla conduzione stessa dello Studio, mentre aBologna la loro attività fu ripetutamente osteggiata dai Col<strong>le</strong>gi dottorali che,nel 1640, riuscirono ad ottenere dal papa un provvedimento che nerestringeva la libertà d’azione nel campo dell’insegnamento pubblico. Sitrattò di una scelta che privi<strong>le</strong>giava il mantenimento di antichi privi<strong>le</strong>gi,qua<strong>le</strong> il monopolio dell’insegnamento di determinate discipline. Gli sviluppisuccessivi mostrarono invece quanto fossero importanti <strong>le</strong> innovazioni che igesuiti avevano introdotto sul piano pedagogico e didattico con <strong>le</strong> loroscuo<strong>le</strong> e fu proprio a quei modelli che attinsero a piene mani, nel XVIIIsecolo, i principi riformatori quando venne posto per la prima volta ilprob<strong>le</strong>ma della costruzione della scuola di Stato.12

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