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ILMESSAGGEROSARDOCultura19Apologo della battaglianel mare SardonioLa vicenda del capitano Dorveni è ambientata nell’alto medioevo dei sardiNavigarono, i Sardi nostri progenitori?non si spiega per l’uso cultuale o funerario dellaConquistarono nuove terre, nuovi mondi? barchetta, che pretende l’oggetto sano e distinto; siNell’apologo di Istefane Dorveni (“Il Messaggero adatta, invece, ad un utensile della vita domestica,sardo”, marzo 2009, pagina 21) abbiamo fatto rottosi dopo lungo tempo, che la modestia economicariferimento alla navicella nuragica che porta la flotta della famiglia d’appartenenza non consentiva didei marinai dannati nella risalita del Tirso. La sostituire con un altro nuovo per esser troppo carovicenda del capitano Dorveni è ambientata nell’alto per materia e fattura, mentre ne suggeriva ilmedioevo dei Sardi, quando altrove era giàrestauro, eseguito in modo grosso, senza scrupolo dil’autunno dell’età di mezzo e la scopertafar danno morale o estetico a un ambiente socialedell’America (1492) alle porte. Istefane Dorveni alla buona e contento dell’essenziale”.comanda invece una nave la cui foggia risale al Per dire di alcuni tratti tipici dell’operosità deitempo dei nuraghi. Ce ne possiamo fare un’idea barbaricini, non privi d’un certo istinto estetico,osservando queste imbarcazioni in miniatura. In un Lilliu prende pure a prestito alcuni passagginumero di “Studi Sardi” (volume XVII, 1959-1961, dell’opera di Vico Mossa, “Architettura domestica inpp. 260-269) Giovanni Lilliu incentra il discorso su <strong>Sardegna</strong>”, pubblicata nel 1957. Ma, direte voi“due navicelle di bronzo protosarde”.lettori, cosa c’entra l’architettura domestica, che èDice il professore: “La forma e l’espressioneuna cosa di terra, con il discorso della nave, che èdella testa bovina – non nuova nel simbolismo una dimensione di acque? Il fatto è che la navicelladecorativo delle navicelle – trovano rispondenze votiva al centro della casa è pure al centro del cuorenella figurina del ‘Giogo’ da Abini e nella protome di tenebra dei sardi. Ne svela il rapporto con l’acqua,della navicella di Golgo-Baunei... La barchetta è, sia essa di fiume, come quella solcata dalla nave didunque, di cultura e di età protosarda nuragica, Dorveni, oppure di mare, nostro estremo confine.da ritenersi usata forse come lampada, appesa in Solo mare che porta predatori e furones oppure mareorigine nel vano d’un edifizio e, poi, rottasi, finita, aperto, da cavalcare come puledro selvaggio? Dicecome roba vecchia da rifondere, nel ripostiglio ancora professor Lilliu che “quel mare” fu “ind’un artigiano metallurgico”.origine per i Sardi un veicolo di cultura e di interessiSolo lampada? Cosa da buttare una volta che non e, poi, dopo la sconfitta coloniale, divenne unserve più? Come mai allora Istefane Dorveni, baratro, una frontiera, un carcere che chiuse l’Isolacomandato dai giudici di Arborea di risalire il Tirso in se stessa, lasciando agli abitanti memorie, odi,per porre fine al “rennu” bastardo di Kurtz situato spirito di ribellione e di inutile rivalsa, e speranze,nel Lerron (al confine tra le sorgenti del fiume e soprattutto molte e ancora insoddisfatte speranze”.l’attuale Monte Acuto), utilizza il modello di una Ma dove inizia la sconfitta coloniale?nave risalente a millenni e millenni prima? Ci può Cinquecento e più anni prima di Cristo, i Fenici,risultare ancora di aiuto la scrittura di Lilliu. adoratori del feroce dio Baal, i mercanti cheProsegue il professore: “Il rappezzo, che è antico, gradualmente conquistarono i Sardi, erano pureAd Armungia il Museo Lussu diventa realtàÈ diventato una realtà adArmungia il Museo storico“Emilio e Joyce Lussu”. Sonostati tanti i visitatori arrivatianche dal litorale delSarrabus. Grande la curiositàanche attorno alle numerosemanifestazioni culturali dicontorno che hannocaratterizzato l’estate appenafinita ad Armungia.“Il museo – ha detto ilsindaco Antonio Quartu – sipone l’obiettivo di dialogarecon la storia del Novecentoattraverso il ruolo che Emilio e Joyce Lussuvi hanno avuto, figure chiave della vicendademocratica e antifascista del nostro paese.Attraverso un suggestivo percorso, fatto di immagini,storie, opere e documenti, il museo si proponedi ripercorrerne la vita, le esperienze, il pensieroe il legame che i coniugi Lussu ebbero con personee luoghi della comunità armungese».Il museo è stato aperto all’interno della Casa delSegretario, importante edificio padronale del primoNovecento, recentemente oggetto di un intervento direcupero e valorizzazione. La struttura va adaggiungersi al Museo Etnografico, alla “Bottega delFabbro” e al Nuraghe, che nel loro insiemecostituiscono il Sistema museale di Armungia. Unpercorso fatto di storia all’interno di uno dei Comunipiù piccoli della <strong>Sardegna</strong>dove Emilio Lussu e la suastoria fanno ancora mitoanche tra i giovani.Per tutto il mese di agosto ilComune ha proposto tuttauna serie di appuntamenticulturali che sono riusciti acalamitare anche l’interessedei turisti che hannoaffollato le non lontane costedel Sarrabus. Armungia èquesto, un paese che sispopola, che diventa semprepiù piccolo. Oggi conta pocopiù di 500 abitanti. Ma la sua cultura, le sue tradizionie le sue storie, grazie anche al mito di un personaggiostraordinario come Emilio Lussu, riescono ancora afarlo vivere, pulsare, gioire anche per i tanti turisti cheogni estate arrivano dal litorale.Come detto il museo Lussu è stato ricavatonella Casa del segretario. Alcune sale verrannodedicate alla realizzazione di mostre temporanee,in occasione delle Estati armungesi.Durante questa estate è stato anche presentato il primovolume “Emilio Lussu - Tutte le opere: da Armungia alsardismo 1890-1926” a cura di Gian Giacomo Ortu ePoste italiane, annullo filatelico Museo “Emilio Lussu”.Per l’occasione è stata inaugurata anche una mostrafotografica dal titolo: “1971, Emilio, la sua famiglia,la sua casa, la sua Armungia”. Lia Serrelipadroni di molto Mediterraneo. Il loro dominio eracontrastato dai Greci che pure con Iolao, figlio di unfratello di Ercole, avevano messo piede, dice il mito,in <strong>Sardegna</strong>. Bisogna prestare attenzione allegenealogie e alle loro ripartizioni e attribuzioni.Iolao da cui gli Ilienses (c’è anche Troia di mezzo cheaveva pure nome Ilio) che si stabiliscono nellamontagna, quelli che con spregio i romani, nuoviconquistadores, diranno “insani montes”.E il mare. Qui gli adoratori del Baal imperavano,i Fenici con le loro mercanzie, quelli che poserole radici dell’impero cartaginese.I Fenici venivano contrastati dai Focei, di origineanatolica, colonizzatori della Magna Grecia. Nelmare tempestoso, il crudele popolo fenicio radicò lesue colonne d’Ercole, nel mare sardo che è pure ilmare di Eracle che in fenicio diventa Melqart,l’eroe-nume che governava su tutto il tramonto.Una volta guadagnato l’interno questo Ercole-Melqart si sovrappose gradualmente, con la violenzae con il sonno, chei su sonnu, al dio nuragicoSardus Pater e lo fece diventare punico, gli dette ilnome di Sid. Lo assoggettò al Baal e fece dei sardicarne da macello. Prosperavano i Fenici crudelie nel mare affondavano le navi degli stranieri diretteverso la <strong>Sardegna</strong>. Niente di bottino toccava ai sardinonostante Eracle-Melqart avesse segnato i confinidel mondo intero in quel periglioso pelago.Per uno straniero, varcare il confine era comeaccettare di entrare negli “insani montes”,senza sapere del proprio destino. Ma come si arrivòa tutto questo? Come è che il dominio fenicio duròsecoli e secoli? Ce lo spiega una battaglia navale.Fra il 540 e il 535 a.C., nelle acque di Alalia,davanti alla Corsica, non lontano dalle Bocche diBonifacio, in un mare detto “Sardonio” dagli storici,combatterono una make, una battaglia, le navi deiGreci Focei da una parte e dall’altra Fenici e i loroalleati Etruschi, provenienti dalla città di Cere.Deve essere stato uno scontro terribile e sanguinoso.Dice il greco Erodoto che i Focei ottennerouna “vittoria cadmea” per dire che fu la lorouna vittoria di Pirro, con molte perdite.In realtà la vittoria fu dei Fenici e degli Etruschi.Molti Greci vennero fatti prigionieri, portati a Cere,e qui lapidati, offerti in sacrificio ai Mani Etruschi.L’empia lapidazione provocò l’ira degli dei chepunirono i Ceretani con una misteriosa pestilenzache rendeva storpi uomini e bestie. Furono necessarimolti doni e sacrifici perché Apollo si decidesse aliberare Cere dalla maledizione. Gli altri vincitori, iFenicio-Punici fondarono un impero nel mareSardonio. Divennero padroni assoluti delMediterraneo, almeno fino a quando non vennerosconfitti dai romani che violarono le colonned’Ercole. Evidenzia Giovanni Lilliu nell’introduzionedel bel volume “Mache: la battaglia del MareSardonio” (a cura di Paolo Bernardini, Pier GiorgioSpanu e Raimondo Zucca, catalogo di una mostraall’ Antiquarium Arborense, dall’ottobre 1998all’ottobre 1999), che l’esito di quello scontro “decisele sorti del Mediterraneo occidentale fino allaconclusione della prima Guerra punica nel 241 a.C.”Per ritornare alla navicella votiva e al suo modelloispiratore, chi sa, nella battaglia del mare Sardonioforse ci furono anche legni sardi, nuragici.Avevano fondo piatto e scafo tondo (risalgonocome costruzione al 580 a.C circa) e stavano aicontendenti della make, osserva Fulvia Lo Schiavo,come nella guerra di Troia le armi di Achille stavanoai Greci. Non furono comunque i Sardi a vincere.Dice ancora Lilliu: “La vittoria dei Cartaginesi edegli Etruschi sui Greci nel Mare Sardonio aprì leporte agli uni della conquista della <strong>Sardegna</strong>, aglialtri del dominio sulla Corsica. La libertà, quel benesupremo che l’oracolo delfico aveva vaticinato eternaper gli Iolei di <strong>Sardegna</strong> cessava di esistere per iSardi assoggettati al potere delle armi cartaginesi,restando esclusivamente possesso geloso dello spiritodei Sardi che inauguravano allora quella ‘costanteresistenziale’ indomito anelito del nostro popolo allesoglie del terzo millennio”. La make continua.Natalino Piras

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