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ILMESSAGGEROSARDOAttualità11La sana cucina sardaL’ultimo libro di Neria De Giovanni sui cibi nei romanzi deleddianiEsiste una collana della casa editrice “Il leone Questo libro di Neria De Giovanni propone pagineverde” di Torino che pubblica libri incentrati di romanzi in cui si preparano arrosti,sui rapporti tra la letteratura e la cucina. Basta maccheroni, la prima colazione, il pane cotto alcitare titoli come “In taverna con Shakespeare”, forno, caffè e pasticcini. Ogni brano è“A convito con Dante” o “Alla tavola di Giovanni accompagnato da un commento e il volume èArpino”. La <strong>Sardegna</strong> era assente, fino alla preceduto da una densa introduzione. Tra le altrerecente pubblicazione del libro di Neria De cose l’autrice osserva: “Nessuna scena in cui laGiovanni, che suona “A tavola con Grazia” Deledda descrive una ricetta culinaria, un(“Cibo e cucina nell’opera di Grazia Deledda”). mangiare tipico, è semplicemente adornativa.Sia nei romanzi ambientati in <strong>Sardegna</strong>, sia in Essa, invece, ha almeno due caratteristichequelli le cui vicende si svolgono nella penisola, la fondamentali: è sempre rigorosamette ripresa dallascrittrice nuorese descrive minuziosamente pranzi tradizione popolare sarda; è funzionale alla storiae cene, colazioni frugali e banchetti importanti. La narrata, al particolare momento in cui la ricetta,precisione delle tecniche per la scelta e la cottura la scena culinaria, è stata inserita”.dei cibi va messa in relazione col fatto cheNella novella “Il pane casalingo” (compresa nellal’autrice di “Canne al vento” e di “Cosima” raccolta di racconti brevi “Ferro e fuoco”,amava cucinare prima e dopo il matrimonio, pubblicata nel 1895), la scrittrice usa due terminiquando era una narratrice affermata.sui quali è bene riflettere. Mentre la madre dellaAl riguardo è molto significativo un aneddoto. Deledda prepara il pane assume un atteggiamentoLei stessa ricordava, con una punta di ironia, “quasi sacerdotale”, mentre più avanti spicca ilche quando il messo dell’ambasciata di Svezia vocabolo “arte”. Insomma la preparazione del cibonel novembre 1927 le portò la comunicazione per la famiglia ha una valenza nella quale sidel conferimento del Premio Nobel, le baciò intrecciano religiosità e tecniche apprese dallela mano che odorava di cipolla. Infattigenerazioni precedenti. Cucinare non è sinonimoin quel momento lei aveva appena finitodi fatica e pezienza (anche se queste doti sonodi preparare un gustoso soffritto per il sugo. indispensabili), ma presuppone un’iniziazioneIl maiale sardo da tutelareUn piano per la valorizzazione del suino tipico sardo - Le montagne del Linas la zona d’originedella quale le ragazze di una volta non potevanofare a meno. Dal momento che il loro ruolo, anchequando restavano nubili, non poteva prescinderedalla preparazione dei cibi.Inutile dire che questa cucina povera avevadelle eccezioni, nei giorni festivi e durantebanchetti per nozze e compleanni. Nell’uno enell’altro caso le pietanze erano genuine,basandosi su prodotti della terra e tipi di carne dianimali allevati all’aperto o frutto di cacciagione.Nella parte finale del libro sono riportateparecchie ricette della cucina sarda con tuttigli ingredienti, la preparazione e i tempi dicottura, il grado di difficoltà (facile, media,difficile). Tra queste ci sono pietanze campidanesi,sassaresi, nuoresi e di altre zone dell’isola,per i lettori continentali che vogliono cimentarsicon le ricette della nostra regione.A questo punto sorge spontanea una domanda. Lericette deleddiane, in un’epoca di surgelati e cibi inscatola, sono ancora presenti nelle tavole deisardi? La risposta è in larga misura affermativa.Nei ristoranti e negli agriturismo la riscopertadella cucina tradizionale richiama un buonnumero di clienti. Anche le pietanze “povere”hanno un loro fascino, associate a ricordi di annidifficili. Fave lesse, trippa, sardine, cavoli,interiora di suini e ovini compaiono nel menù ditrattorie e ristoranti per tutte le tasche.(NERIA DE GIOVANNI, A tavola con Grazia, “Il leoneverde edizioni”, pagine 135, euro 10)Giovanni Mameli“Le ricette di casa nostra”a cura di Gian Piero PinnaIl maiale di razza sarda ha le carte in regola.Riconosciuta dal Ministero dell’agricoltura,conapposito decreto tra le razze suine autoctonenazionali, ora ha anche una località di origine certa– Villacidro e le montagne del Linas – dove sonopresenti suini bradi rispondenti alle caratteristichedei progenitori della pura razza sarda. Esemplarinobili e senza contaminazioni, elementi validi per ilriconoscimento di razza. Come hanno potutoaccertare i ricercatori dell’Istituto zootecnico ecaseario che hanno studiato l’allevamento suino inambiente mediterraneo tecnici e genetisti diriconosciuta competenza: Luigi Tacchi,dell’Associazione nazionale allevatori suinie il dottor Sebastiano Porcu dell’Agrische ha supportato con le sue ricerche la praticaper il riconoscimento della storica razza suina sarda.In più la conferma con le testimonianzedi allevatori di lunga esperienza che conduconoallevamenti a Coxia de basciu, Coxia de susu,Villascema, Nardi, Croigas, Pranu e mesue altre aziende nelle montagne del Linas.La razza suina sarda è stata ufficialmentericonosciuta con decreto ministeriale datato 8giugno 2006 (successivamente modificatocon altro decreto del 18 dicembre dello stesso anno).Il maiale sardo è di taglia piccola (peso vivo daadulto intorno ai 70-100 chili); mantello nero,bianco, grigio, fulvo, unito o spezzato;setole folte, talvolta ondulate o arricciatee in corrispondenza della linea dorsale formanouna criniera; testa corta con profilo rettilineoo orecchie piccole dirette in alto e di lato o pendenti;collo corto e robusto; coda lunga con setoleche a volte formano la caratteristica coda cavallina.Con queste caratteristiche morfologiche tipichela razza Sarda è stata inserita tra le razzeautoctone nazionali che finora comprendonoaltre cinque: Cinta senese, Mora romagnola,Nero siciliano, Casertana e Calabrese.I maiali sardi sono animali temprati dalle intemperiee dai disagi della siccità. Secondo gli anzianiallevatori villacidresi, che a loro volta hannoereditato i maiali dai loro nonni e bisnonni, il ceppopiù diffuso nell’isola parte proprio da Villacidro. Èpoco prolifero (una media di cinque suinetti a parto),cresce lentamente, le carni sono sapide e compattecon una giusta proporzione tra il grasso e il magro.A dare un’accelerazione al progetto di valorizzazionedella razza suina sarda ci sta pensando la Provinciadel Medio Campidano col suo presidenteFulvio Tocco nell’ambito di un più vasto programmadi rilancio dell’agricoltura e degli allevamentinel territorio. Anzitutto rispolverando il decretoministeriale che riconosce e salvaguarda questabiodiversità suinicola, tra l’altro tutelatadalla Convenzione sulla Biodiversità siglataa Rio de Janeiro nel 1992. E poi lanciando,nei Comuni della Provincia, un Pianodi valorizzazione del maiale di razza sardacui hanno sinora aderito una ventina di aziende.Per l’identificazione dei soggetti che sarannocertificati negli impianti riconosciuti dalla Provinciaè stato costituito un comitato tecnico-scientifico.Per avviare efficacemente il progetto gli aderentihanno chiesto soprattutto l’intervento per larealizzazione delle recinzioni, per l’acquisto deiriproduttori, dei ricoveri e delle capannine da parto.Con questi piccoli investimenti gli allevatoridiventano promotori e custodi della storicabiodiversità. Intanto, in attesa dell’interessamentodella Regione, si pensa di organizzare la primarassegna del maiale sardo nelle campagnedi Villascema: una vetrina di valorizzazione unicanell’isola. È prevista anche una riunionedei “sartizzajusus” del Medio Campidanoper concordare un piano di lavoroper la valorizzazione dei prodotti trasformati edestinati ad arricchire il “tagliere del suino rustico”.L’obiettivo è quello di coinvolgere tutti gli attoridella filiera suinicola, allevatori, macellatori,trasformatori e distributori, per far risaltareil pregio,la qualità e l’unicità di un prodotto.Un’occasione per salvaguardare e valorizzare ilsuino tipico sardo e conservare la sua biodiversità.Da non perdere.Flavio SiddiPanettone alla crema di mascarponeal corbezzolo(ingredienti per quattro persone):un panettone da mezzo chilo; gr. 400 corbezzoli freschi;gr. 150 di zucchero; n. 3 tuorli d’uovo; gr. 300 dimascarpone; un pizzichino di saleProcedimento: Anche questo dessert, ha avuto unacontaminazione e al panettone tradizionale, è statoaggiunto un ingrediente tutto nostrano: i corbezzoli,che in questo periodo sono già arrivati a pienematurazione. Per realizzare la crema, fate disfare icorbezzoli in una padella tenuta a fuoco vivace insiemeallo zucchero e quando sono ridotti quasi amarmellata, mettete da parte. Quindi, lavorate ilmascarpone insieme ai tuorli d’uovo, siano a fardiventare il composto ben morbido, incorporateci lamarmellata di corbezzoli e conservate in frigorifero.Un’ora prima di servire il dessert, tagliate il panettonea dischi alti due centimetri circa e spalmate ognuno diquesti con la crema di mascarpone e corbezzolo,ricomponete il dolce, dandogli la forma originaria eriponete in frigorifero. Prima di servire, tagliate ilpanettone a fette, come di solito si fa e servite.Riceverete sicuramente i complimenti, per questopanettone marezzato con la crema di mascarpone alcorbezzolo, che non si trova sicuramente neisupermarket.Patate al timo(ingredienti per quattro persone):kg. 1 di patate; un mazzetto di timo fresco; dl. 1 di oliod’oliva extra vergine; gr. 100 di pancetta a listarelle; saleProcedimento: È un piatto molto facile da realizzaree buonissimo da accompagnare alla spiedata di agnelloguttiau. Pelate le patate, tagliatele dandogli la forma dispicchi d’arancia, sistemate in una teglia insieme altimo, alla pancetta e all’olio d’oliva extra vergine,mischiate il tutto per bene e infornate per una mezzoracirca, a forno ben caldo, avendo cura di girare ilcontorno di tanto, in tanto.

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