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Sentieri della Ricerca 4.indb - Centro di Documentazione Del Boca ...

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I4SENTIERIDELLA RICERCArivista <strong>di</strong> storia contemporanea<strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>OttoliniCeruttiBegozziColombaraGiovanaVenturaAd<strong>di</strong>s SabaFerroBeccaroGiannantoniMichelottiRoman<strong>di</strong>niVecchiaZaccaria<strong>di</strong>cembre 2006EDIZIONI CENTRO STUDI “PIERO GINOCCHI” CRODO


I SENTIERI DELLA RICERCArivista <strong>di</strong> storia contemporaneaEDIZIONI CENTRO STUDI “PIERO GINOCCHI” CRODO


La rivista esce in fascicoli semestraliDirettore Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>E<strong>di</strong>trice: <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> Piero GinocchiVia Pellanda, 15 - 28862 Crodo (VB)Stampa: Tipolitografia Saccardo Carlo & FigliVia Jenghi, 10 - 28877 Ornavasso (VB)e-mail: info@saccardotipografia.191.itN. 4 - 2° Sem. 2006Numero <strong>di</strong> registrazione presso il Tribunale <strong>di</strong> Verbania: 8, in data 9 giugno 2005Poste italiane spaSped. in a.p. D.L. 353/2003 (Conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1Prezzo <strong>di</strong> copertina € 12,00Abbonamento annuale € 20,00Abbonamento sostenitore € 100,00C.C.P. n. 14099287 intestato al <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> Piero Ginocchivia Pellanda, 15 - 28862 Crodo (VB)causale abbonamento: ISDRLa pubblicazione <strong>di</strong> questa rivistaè stata possibile grazie al contributo <strong>di</strong>:Provincia delVerbano Cusio Ossola Comune <strong>di</strong> Crodo Comune <strong>di</strong> Baceno


Sommarioe<strong>di</strong>toriale7 Voltiamo pagina<strong>di</strong> Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>vivere la Resistenza15 Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini89 Fuori legge??? <strong>di</strong> Nino Chiovini.Note su un <strong>di</strong>ario partigiano<strong>di</strong> Gianmaria Ottolini109 <strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memorianelle commemorazioni <strong>della</strong> Resistenza<strong>di</strong> Giovanni A. Cerutti123 La sala storica <strong>di</strong> Domodossola.Storia <strong>di</strong> una mostra «permanente»<strong>di</strong> Mauro Begozzi153 Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientale<strong>di</strong> Filippo Colombara195 Fascismo, afascismo, Resistenza nel Cuneese<strong>di</strong> Mario Giovana203 La questione <strong>della</strong> politica partigiana<strong>di</strong> Davide Ventura225 La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigiane<strong>di</strong> Marina Ad<strong>di</strong>s Saba241 Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossa<strong>di</strong> Giovanni Ferro


261 Che cos’è il premio Omegna.Dialogo fra Massimo Bonfantini e Mauro Begozzi275 Verso i quarant’anni.L’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> Società contemporaneanel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola«P. Fornara»283 La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoce.Un centro-rete per la storia del ’900 nel Verbano Cusio Ossolarassegna bibliografica291 Il mondo e gli uomini <strong>di</strong> Giustizia e Libertànella ricostruzione <strong>di</strong> Mario Giovana<strong>di</strong> Andrea Beccaro295 Giovanni Pesce, garibal<strong>di</strong>no in Spagna<strong>di</strong> Franco Giannantoni303 Schede317 Notizie sugli autori <strong>di</strong> questo numero


Voltiamo pagina<strong>di</strong> Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>1. È con un sollievo in<strong>di</strong>cibile, che non ha paragoni, che abbiamo vistoconcludersi il quinquennio <strong>di</strong> governo <strong>di</strong> Silvio Berlusconi. Dire che l’abbiamovissuto con angoscia e fasti<strong>di</strong>o è riduttivo. Per la prima volta in questodopoguerra, interminabile e non privo <strong>di</strong> turbamenti, il nostro paeseha sfiorato il collasso economico, ha perso rispettabilità all’estero, ha vistostravolgere la Costituzione nata dalla Resistenza, ha rischiato <strong>di</strong> soffocarein un clima <strong>di</strong> volgarità, <strong>di</strong> doppiezze, <strong>di</strong> calunnie, <strong>di</strong> bugie, <strong>di</strong> false promesse,<strong>di</strong> assenza totale <strong>di</strong> valori. Mai era accaduto nella storia d’Italia, cheun presidente del Consiglio definisse «coglioni» tutti gli italiani che nonavrebbero votato per lui.Nel definire del tutto anomalo il progetto politico <strong>di</strong> Berlusconi e <strong>della</strong>destra che lo sostiene, il <strong>di</strong>rettore de «la Repubblica», Ezio Mauro, in<strong>di</strong>cavai quattro elementi car<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> questa devianza: «La cultura populista, ilmonopolio dell’universo televisivo, il conflitto <strong>di</strong> interessi e le leggi ad personam[...]. Se non si vuole parlare <strong>di</strong> regime, ove queste quattro anomaliesussistano, bisogna però convenire che la qualità <strong>della</strong> democrazia ne risultafortemente impoverita» 1 . Ancora più severo Eugenio Scalfari, fondatoredel quoti<strong>di</strong>ano romano. Scriveva il 20 marzo 2006: «Ma chi è, che cosaè <strong>di</strong>ventato il Berlusconi <strong>di</strong> questa campagna elettorale? Una scheggia impazzita<strong>di</strong> un sistema istituzionale volutamente frantumato in cinque anni<strong>di</strong> bracconaggio legalizzato dalla maggioranza parlamentare? Un eversivo<strong>di</strong>sposto a tutto pur <strong>di</strong> non lasciare il potere? Un caso <strong>di</strong> egolatria damanuale psichiatrico?» E concludeva: «Berlusconi è convinto <strong>di</strong> governareper <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>vino» 2 .Non meno intransigente era il giu<strong>di</strong>zio su Silvio Berlusconi espresso daDavid Lane, il giornalista inglese che per anni ha stu<strong>di</strong>ato il personaggioper conto dell’autorevole «The Economist»: «I meto<strong>di</strong> <strong>di</strong> controllo socialesi sono affinati nei settant’anni che separano la Marcia su Roma <strong>di</strong> Mus-7


Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>solini dalla <strong>di</strong>scesa in campo <strong>di</strong> Berlusconi. Eppure, qualsiasi cosa sia statadetta per spiegare e giustificare l’anomalia italiana chiamata Silvio Berlusconi,il suo controllo <strong>di</strong>ttatoriale sui mezzi d’informazione italiani rappresentavauna reale e funesta minaccia per la democrazia. Il paragone traMussolini e Berlusconi potrebbe essere esagerato, senza dubbio, ma quandogli storici riesamineranno in futuro la storia <strong>di</strong> un ricchissimo magnatedei me<strong>di</strong>a con seri problemi giu<strong>di</strong>ziari che si lanciò in politica e conquistòil potere, <strong>di</strong>fficilmente <strong>di</strong>ranno che ha portato onore al suo paese o chei suoi anni <strong>di</strong> governo siano stati un periodo <strong>di</strong> cui gli italiani possano parlarecon orgoglio» 3 .2. Nei cinque anni <strong>di</strong> Berlusconi uno dei bersagli favoriti dalla compagine<strong>di</strong> centro-destra è stata la Resistenza. Si è fatto <strong>di</strong> tutto per denigrarla,per sottostimarne il peso militare, per evidenziarne il ruolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>visione,per cancellarne la memoria o per confinarla tra i miti illusori. Il fatto,del resto, può riempirci <strong>di</strong> amarezza e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>gnazione, ma non stupirci.Una delle colonne portanti <strong>della</strong> Casa delle libertà è una formazione politicache ha le sue ra<strong>di</strong>ci nella storia e nell’ideologia del fascismo. Nonostantele abiure <strong>di</strong> comodo, i congressi <strong>di</strong> presunta rifondazione e i pellegrinaggiin Terrasanta del suo leader, la matrice fascista affiora <strong>di</strong> continuoin Alleanza Nazionale. A sessant’anni dalla fine del secondo conflitto mon<strong>di</strong>alenon si sono mai viste tante svastiche, tante croci celtiche, tanti labarie saluti romani come durante la campagna elettorale per le politiche del9 aprile 2006. Nel corso <strong>della</strong> quale la Casa delle libertà ha imbarcato tuttol’arcipelago <strong>della</strong> destra estrema neofascista, dalla Mussolini a Rauti, daTilgher a Saya, a Fiore.Anche se, fortunatamente, gli obiettivi più ra<strong>di</strong>cali non sono stati raggiuntida questa destra, non si possono tuttavia <strong>di</strong>menticare tutti i tentativiper abrogare la legge Mancino e la XII norma finale <strong>della</strong> Carta costituzionalecontro la ricostruzione del <strong>di</strong>sciolto partito fascista. Così come itentativi per la cancellazione del 25 aprile come festività nazionale: già propostada Almirante nel 1955 ed oggi riproposta dal «Domenicale» <strong>di</strong> dell’Utri.Né va <strong>di</strong>menticato il progetto <strong>di</strong> Alleanza Nazionale per il riconoscimento<strong>della</strong> qualifica <strong>di</strong> «militari belligeranti» per quanti servirono dopol’8 settembre dalla parte <strong>di</strong> Mussolini. Per ben due volte, nel 2003 e nel2005, un gruppo <strong>di</strong> parlamentari <strong>di</strong> AN cercava <strong>di</strong> far approvare una leggeche poneva i neofascisti <strong>di</strong> Salò sullo stesso piano dei partigiani. Il 10 gen-8


Voltiamo paginanaio 2006 il decreto-legge n. 2244 veniva però cancellato dal calendariodel Senato soltanto perchè, in vista dello scioglimento delle Camere per leelezioni del 9 aprile, veniva a mancare il tempo per la <strong>di</strong>scussione.Nel commentare questo <strong>di</strong>segno <strong>di</strong> legge, nel momento in cui più accesaera la polemica fra i due poli, Maurizio Viroli scriveva: «La legge hainoltre un evidente significato <strong>di</strong> scherno: nell’anno in cui l’Italia celebrail sessantesimo anniversario <strong>della</strong> Liberazione, la maggioranza <strong>di</strong> governoapprova una legge che sancisce solennemente che chi ha combattuto perla libertà ha il medesimo valore <strong>di</strong> chi ha combattuto perchè l’Italia rimanesseserva. Le leggi non assegnano soltanto premi o sanzioni, ma esprimonovalori e formano cultura. Il valore che questa legge esprime, e la culturache vuole formare, è che la Resistenza è stata una semplice guerra civilefra bande <strong>di</strong> ugual valore. Un modo davvero ineccepibile <strong>di</strong> celebrarela Liberazione» 4 .Gli episo<strong>di</strong> che abbiamo ricordato fanno parte <strong>della</strong> vasta campagna <strong>di</strong>denigrazione e <strong>di</strong> delegittimazione che è stata condotta dalla maggioranza<strong>di</strong> centro-destra. Ma non sono i soli. Si va dal progetto <strong>di</strong> varare una festache sostituisca quella del 25 aprile, all’attribuire all’attività <strong>di</strong> guerriglia deipartigiani la responsabilità delle stragi naziste 5 ; dal tentativo <strong>di</strong> Berlusconi<strong>di</strong> assolvere Mussolini precisando «che non ha mai ucciso nessuno» mentregli oppositori li mandava graziosamente «in vacanza al confino» 6 , allagara fra pseudostorici nell’enfatizzare le stragi compiute dai partigiani nell’imme<strong>di</strong>atodopoguerra.3. Proprio per celebrare la fine <strong>di</strong> un lungo e fasti<strong>di</strong>oso incubo – Berlusconie i fascisti al governo – de<strong>di</strong>chiamo questo quarto numero <strong>della</strong> rivistaai temi <strong>della</strong> Resistenza e dell’antifascismo. Apre la rassegna lo straor<strong>di</strong>nario«<strong>di</strong>ario partigiano» <strong>di</strong> Nino Chiovini, per la prima volta pubblicatonella sua versione integrale e corredato <strong>di</strong> una lunga nota <strong>di</strong> Gianmaria Ottolini,che ne precisa le vicende, i personaggi, i valori. Segue un articolo <strong>di</strong>Mauro Begozzi su La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola. Storia <strong>di</strong> una mostra permanente.Gianni Cerutti, dal canto suo, interviene sulla data del 25 aprile escrive la storia delle sue celebrazioni. Filippo Colombara partecipa alla rassegnacon un documentatissimo saggio sui riti e i simboli <strong>della</strong> guerra partigiana,mentre Davide Ventura si chiede se la resistenza abbia avuto unasua precisa politica. Marina Ad<strong>di</strong>s Saba de<strong>di</strong>ca, a sua volta, un saggio riparatorealle donne partigiane, il cui apporto alla guerra <strong>di</strong> liberazione è stato9


Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>troppo a lungo trascurato. Di particolare interesse, poi, il saggio <strong>di</strong> MarioGiovana dal titolo Fascismo, afascismo, Resistenza nel Cuneese.<strong>Del</strong> libro ine<strong>di</strong>to <strong>di</strong> Giovanni Ferro, dal titolo La parabola dell’antifascismodemocratico, pubblichiamo un capitolo nel quale il vecchio antifascista(classe 1911), che ha conosciuto i confini <strong>di</strong> Lipari, Ponza, Ventotene,Gioia Tauro, descrive con amarezza la liquidazione del Partito d’Azione, lacaduta del governo Parri, la fallita epurazione dei fascisti, l’occupazione totalitariadello Stato da parte <strong>della</strong> Democrazia Cristiana. Mauro Begozzi eMassimo A. Bonfantini intessono infine un <strong>di</strong>alogo sul Premio letterario<strong>della</strong> Resistenza Città <strong>di</strong> Omegna, giunto quest’anno alla 47 a e<strong>di</strong>zione.4. Il prossimo numero sarà, come <strong>di</strong> consueto, articolato nelle già notesezioni. Ma, ancora una volta, predominerà l’Africa, con articoli sulla cacciatadegli italiani dalla Libia <strong>di</strong> Gheddafi; sull’aggressione all’Etiopia vistadal quoti<strong>di</strong>ano genovese «Il Lavoro»; sul Congo Belga nella memoria deicoloni italiani. Ma il documento più rilevante (e agghiacciante) è costituitodalle fotografie scattate dal soldato Giorgio Vitali mentre Ad<strong>di</strong>s Abebaveniva data alle fiamme per rappresaglia al fallito attentato del 19 febbraio1937 alla vita del viceré Graziani.Il 2006 è stato un anno molto fortunato per gli stu<strong>di</strong> sul colonialismoitaliano. Dal 5 al 7 ottobre si sono svolti a Milano i lavori del convegno internazionale«L’Italia e l’Etiopia. A settant’anni dall’impero fascista», conl’intervento <strong>di</strong> trenta stu<strong>di</strong>osi italiani, etiopici, eritrei ed inglesi, in praticai maggiori specialisti <strong>della</strong> materia. Dal 12 al 14 <strong>di</strong>cembre si è invece tenutoa Tripoli, per iniziativa del Libyan Stu<strong>di</strong>es Centre, <strong>di</strong>retto da MohamedT. Jerary, e <strong>di</strong> alcuni storici italiani, un seminario sui campi <strong>di</strong> concentramentocostruiti e gestiti dagli italiani nella regione desertica <strong>della</strong> Sirtica,dal 1930 al 1934, con un bilancio <strong>di</strong> 40 mila morti. Entrambi i convegnihanno fornito nuovi e decisivi apporti all’indagine sui rispettivi temi.Nel corso del 2006 è stato anche possibile accedere ad un archivio <strong>di</strong>capitale importanza per la storia delle relazioni italo-libiche, <strong>di</strong> cui, ad<strong>di</strong>rittura,non si conosceva l’esistenza. Si tratta dell’archivio <strong>di</strong> proprietà dell’avvocatolibico Anwar Fekini, che comprende, fra i documenti <strong>di</strong> maggiorrilevanza, le Memorie del nonno, Mohamed Fekini, uno degli oppositoritripolitani più coerenti e tenaci all’occupazione italiana <strong>della</strong> Libia;circa cinquecento allegati (soprattutto lettere) alle Memorie, che coprono ilperiodo 1911-1930; e la raccolta <strong>di</strong> poesie dell’ambasciatore Ali Noured-10


Voltiamo pagina<strong>di</strong>ne Fekini, padre dell’avvocato Anwar, dal titolo Ricor<strong>di</strong> <strong>della</strong> resistenza edell’esilio. L’insieme dei documenti comprende più <strong>di</strong> mille pagine e costituisceun unicum che, per alcuni aspetti, ribalta la visione che noi occidentaliabbiamo del popolo libico e <strong>di</strong> quel periodo storico. Da un primo utilizzo<strong>di</strong> questo archivio, ci è stato possibile compilare un volume dal titoloA un passo dalla forca. Il libro, corredato da una cinquantina <strong>di</strong> fotografieine<strong>di</strong>te, apparirà nel febbraio 2007 in quattro versioni, italiana, francese,inglese e araba.Il 2006 è stato anche l’anno <strong>della</strong> pubblicazione, sul quoti<strong>di</strong>ano «la Repubblica»,<strong>di</strong> alcuni articoli su una delle più bestiali stragi consumate inEtiopia dalle truppe del generale Ugo Cavallero. Gli articoli, oltre a suscitaresgomento, provocavano commenti e proposte <strong>di</strong> notevole rilievo. Ilgiurista Antonio Cassese, ad esempio, suggeriva <strong>di</strong> seguire l’esempio <strong>della</strong>Germania, che ha reagito al nazismo scavando a fondo nel proprio passatorecente, facendolo conoscere, attraverso un serratissimo <strong>di</strong>battito frastorici (Historikerstreit) alle più giovani generazioni, erigendo monumentie musei alla memoria. Egli suggeriva inoltre <strong>di</strong> costituire una commissione<strong>di</strong> storici che esaminasse ciò che è accaduto in Etiopia (e nelle altrecolonie italiane, aggiungiamo noi) e preparasse «una documentazione eduna analisi rigorose».In seguito alla proposta <strong>di</strong> Antonio Cassese (apparsa su «la Repubblica»del 23 maggio), noi chiedevamo ospitalità allo stesso giornale per avanzareun ulteriore suggerimento. Quello <strong>di</strong> istituire una Giornata <strong>della</strong> memoriaper i 500 mila africani che l’Italia crispina, giolittiana e fascista hanno sacrificatonel corso delle loro sciagurate campagne <strong>di</strong> conquista. Nello stessogiorno in cui Nello Ajello esponeva la nostra proposta nel suo interventosu la «Repubblica», scrivevamo una lettera al ministro degli Affari EsteriMassimo D’Alema per metterlo al corrente <strong>della</strong> nostra iniziativa.La scelta <strong>di</strong> Massimo D’Alema non era casuale o soltanto dettata dallastima che nutriamo per lui. Per la verità, egli è stato il primo – e unico –capo del Governo italiano che, <strong>di</strong>nanzi al monumento ai martiri <strong>di</strong> SciaraSciat, nel corso del suo viaggio a Tripoli del 1° <strong>di</strong>cembre 1999, ammise inmaniera esplicita la colpa coloniale. Contiamo dunque sulla sua sensibilitàe sulla sua capacità <strong>di</strong> leggere la storia, anche quella che si vorrebbe rimuoveree cancellare a tutti i costi.Nella lettera a D’Alema gli facevamo osservare che gli attuali rapporticon le nostre ex colonie non sono per nulla sereni, a cominciare da quel-11


Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>li con Tripoli, turbati dal mancato risarcimento per i danni <strong>di</strong> guerra. Unaricerca a tutto campo, eseguita con meto<strong>di</strong> scientifici, sui crimini commessiin Africa, non potrebbe che allontanare dal nostro paese il sospetto chesi voglia rimuovere il passato e negarne gli aspetti più deteriori, come stafacendo da tempo il Giappone. Ciò potrebbe anche agevolare la soluzionedel problema del contenzioso, che si trascina da anni.Quanto alla Giornata <strong>della</strong> memoria per i 500 mila africani uccisi, cisembra che essa abbia un valore non soltanto simbolico. Noi siamo convintiche potrebbe avere un influsso non effimero su popolazioni che nonlottano soltanto contro la povertà e l’Aids, ma cercano <strong>di</strong>speratamente ancheuna propria identità. Se questa «giornata» venisse fatta propria del nostroGoverno – scrivevamo nella lettera a Massimo D’Alema – si raggiungerebbeanche l’obiettivo <strong>di</strong> riconoscere ufficialmente le colpe e gli orroridel nostro passato coloniale nella maniera più esplicita, nobile e definitiva.5. UN NUOVO APPELLO. Il nostro «Appello ai lettori», che ha apertoil fascicolo 2 de «I sentieri <strong>della</strong> ricerca», e che li invitava ad abbonarsialla rivista, ha avuto un <strong>di</strong>screto successo: circa 100 abbonamenti, fra iquali alcuni «sostenitori». Se si aggiungono agli altri 100, <strong>di</strong> cui già <strong>di</strong>sponevamo,si copre con questi introiti quasi il costo <strong>di</strong> un numero <strong>della</strong> rivista.È già un buon risultato, e noi siamo grati ai sottoscrittori, ma non èancora sufficiente. Sono necessari altri 200 abbonamenti. Dobbiamo tuttaviasegnalare che due enti pubblici, la Regione Piemonte e la Provincia <strong>di</strong>Verbania, hanno risposto al nostro appello rispettivamente con un contributo<strong>di</strong> 3.500 e 1.000 euro. Confi<strong>di</strong>amo che queste loro sovvenzioni venganoripetute anche nei prossimi anni per assicurare la sopravvivenza allanostra rivista.Vogliamo ricordare, ai nostri lettori, che l’e<strong>di</strong>trice <strong>della</strong> rivista possiedeuno statuto <strong>di</strong> organismo senza fini <strong>di</strong> lucro, e che il <strong>di</strong>rettore e i collaboratoride «I sentieri <strong>della</strong> ricerca» non percepiscono alcun compenso,ma si sentono premiati dal solo privilegio <strong>di</strong> poter fare <strong>della</strong> ricerca storica,con metodo, passione, coerenza, senso <strong>di</strong> responsabilità, e senza con<strong>di</strong>zionamenti.Torino, 15 <strong>di</strong>cembre 200612


Voltiamo paginaNote al testo1«la Repubblica», 8 agosto 2005: Berlusconi e l’anomalia <strong>della</strong> destra italiana.2«la Repubblica», 20 marzo 2006: Capo del governo per <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong>vino.3DAVID LANE, L’ombra del potere, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 351.4«la Stampa», 12 febbraio 2005: La pacificazione non si ottiene senza giustizia.5Il 22 aprile 2003 il portavoce <strong>di</strong> Forza Italia, Sandro Bon<strong>di</strong>, sosteneva che se le popolazioni <strong>di</strong>Marzabotto avevano pagato un «prezzo troppo alto», la colpa era dei partigiani che hanno «ra<strong>di</strong>calizzatolo scontro con i nazisti in ritirata» («l’Unità», 23 aprile 2003). Perio<strong>di</strong>camente, poi,gli autori dell’attentato <strong>di</strong> via Rasella venivano in<strong>di</strong>cati come i veri responsabili dell’ecci<strong>di</strong>o delleFosse Ardeatine, travisando i fatti in maniera indecente.6«Corriere <strong>della</strong> Sera», 12 settembre 2003. Le <strong>di</strong>chiarazioni <strong>di</strong> Berlusconi furono registrate dalsettimanale britannico «The Spectator».7«la Repubblica», 22, 23 e 27 maggio 2006.13


Vivere la ResistenzaIl <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniÈ un romanzo questo? L’autore <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> no. L’autore <strong>di</strong>ce che è necessario, sevogliamo pubblicarlo, premettere qualche parola <strong>di</strong> scusa. Non sappiamo bene<strong>di</strong> che voglia scusarsi. Forse <strong>di</strong> essere più partigiano che romanziere? Ma se fossepiù romanziere sarebbe stato certamente meno partigiano. Forse anche i lettorilo preferiranno così.Fuori legge??? Diario <strong>di</strong> un partigiano nel Verbano*[1] Nell’ottobre dell’anno <strong>di</strong> grazia 1943, sulle montagne del Verbano,tre gruppi <strong>di</strong> persone si erano intestar<strong>di</strong>ti nel proposito <strong>di</strong> voler giocare allaguerra. Gli altri, dopo i primi proclami tedeschi a lettere cubitali con levarie pene <strong>di</strong> morte, erano tornati alle loro case, facendo più o meno, pubblicamente,atto <strong>di</strong> sottomissione ai nuovi e vecchi padroni.I tre gruppi <strong>di</strong> testar<strong>di</strong> erano: quello dei finti boscaioli con <strong>di</strong>mora alLocchio, un’alpe sotto la Marona; quello dei finti cacciatori con <strong>di</strong>mora all’AlpeVel; il gruppo internazionale <strong>di</strong> stanza ad Alpe Aurelio; internazionaleperché costituito da quattro italiani, due sudafricani e cinque inglesi;L’armamento superava <strong>di</strong> poco quello dei defunti «balilla». Chi aveva unfucile da caccia, chi un paio <strong>di</strong> ’91, chi una pistola a tamburo. Naturalmenteil «chi» si riferisce ai gruppi e non agli in<strong>di</strong>vidui. I pugnali erano consideratiarmi da fuoco.La situazione alimentare era costantemente pietosa, prova ne sia che il* Pubblicato a Verbania sul settimanale «Monte Marona» in 36 puntate, con poche interruzioni,dal n. 15 del 6 ottobre 1945 al n. 54 del 10 luglio 1946 e firmato con l’acronimo enneci. Traparentesi quadre il numero delle puntate nonché le integrazioni e le date, del rastrellamento <strong>di</strong>giugno, corrette nella ripubblicazione parziale su «Resistenza unita», n. 6 del giugno 1989; ladata, tra parentesi quadre, del 30 giugno 1944, corregge un evidente errore. I passi in corsivo del<strong>di</strong>ario erano stati anticipati sul n. 12 (21 giugno 1945) in un pezzo, a firma Peppo, de<strong>di</strong>cato alpartigiano «Vola» (Pierino Agrati). Per il resto la trascrizione è integrale.15


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniproblema «stomaco» era quello che destava maggiori preoccupazioni. Erala prima battaglia da vincere e tutti i componenti cooperavano in vasta misuraper vincerla. C’era chi chiedeva viveri alle proprie famiglie e chi raccoglievacastagne, chi sfruttava le conoscenze del posto e chi usava la propriafaccia <strong>di</strong> tolla. Ad Alpe Vel imperversava la mania <strong>della</strong> caccia (Ermanno<strong>di</strong>ceva fruttuosa) ai pennuti e alle lepri, ad Alpe Aurelio la pesca delle trotee le incursioni nei campi <strong>di</strong> fagioli <strong>di</strong> Rugno. Al Locchio, <strong>di</strong>ce Sergio, sitirava la cinghia in modo inquietante.In quei tempi la parola «comitato» aveva un significato astratto quantola parola «mitragliatrici». Qualche rara persona per sentimenti patriotticio per solidarietà umana contribuiva a non far cadere la baracca. Erano iFrancioli, i Civi<strong>di</strong>ni, la Maria Meschia, la Savina…La storia <strong>di</strong>rà ai posteri che la situazione rimase invariata ancora per unmese. I fatti salienti <strong>di</strong> questo periodo furono l’arrivo al Locchio <strong>di</strong> Arca,Selva e Marco, reduci dal rastrellamento subito dalla loro banda sulle montagne<strong>di</strong> Pinerolo.[2] Da Alpe Aurelio se ne andarono i cinque inglesi, i quali non con<strong>di</strong>videvanole nostre bellicose idee. Partirono dopo aver ringraziati i rimastiper il vitto e l’alloggio procurato loro per un mese. Quando in Val Cannobinali lasciai, credo se ne fossero già scordati: non volevano vendere i lorocappotti per pagare la guida che li avrebbe portati in territorio svizzeroe per lasciare qualche soldo per il ritorno a me e a Cornie, un sudafricanoche aveva voluto rimanere.Verso la fine <strong>di</strong> novembre si cominciò finalmente a parlare <strong>di</strong> azioni, soloa parlarne, ma ciò significava un passo innanzi. La situazione alimentareera migliorata benché lasciasse sempre molto a desiderare. I rimasti ed inuovi arrivati avevano più fede e fermi propositi, poi c’erano…le armi.La futura Brigata «Battisti», che dal Locchio si era spostata nel frattempoa Steppio, era forte ormai <strong>di</strong> 15 o 20 uomini tra cui Arca, Marco, Sergio,Selva, Cucciolo e Cochi, i quali facevano assegnamento su <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ecina<strong>di</strong> moschettini e fuciloni mod. 91 non tutti scassati, oltre a qualche pistola.L’internazionale che non era più internazionale, ad Ungiasca venne rinsanguatacon i «complementi», tra cui Tucci, Ugo, Jean. Possedeva sei moschetti,materiale esplosivo (mezzo chilo <strong>di</strong> gelatina per giunta trasudata),bombe a mano italiane e cinque o sei pistole non tutte a tamburo. Tutti16


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniaggeggi recuperati nei giorni imme<strong>di</strong>atamente successivi all’8 Settembre etrasportati faticosamente in valigie dal milanese.Ad Alpe Vel, Ermanno, Dante, Luciano, Togni, Pierino erano invece <strong>di</strong>tendenze conservatrici. Non avevano cambiato località ed il loro primitivoarmamento non si era arricchito che <strong>di</strong> un «novantuno» ottimo per sperticarele noci, <strong>di</strong> una pistola automatica a cui mancavano colpi e caricatoree <strong>di</strong> un revolver a spinetta per duelli con manico <strong>di</strong> madreperla, pezzi <strong>di</strong>ricambio e astuccio <strong>di</strong> legno. Ermanno asseriva che quella pistola fosse untempo quella del conte <strong>di</strong> Bragelonne, ma la mia opinione era quella che ilprimitivo possessore fosse da cercarsi in epoche più remote. Naturalmentecolà, per coerenza conservatrice, era sempre <strong>di</strong> moda la caccia e pare fruttassedavvero poiché anche gli abitanti <strong>di</strong> Steppio scovarono una doppietta.L’arma era costantemente nelle mani <strong>di</strong> Marco perché lui <strong>di</strong>ceva che sapevasparare. Forse è vero. Nelle mie visite a Steppio (perché ora eravamoanche collegati o meglio sapevamo reciprocamente dell’esistenza dei gruppi)sorprendevo sempre Marco col fucile imbracciato, in pose prettamenteLa testata del giornale «Monte Marona»17


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinivenatorie. Facili vittime <strong>della</strong> ferocia <strong>di</strong> Marco, erano i «scurbatt», ovverosiai corvi, primi esseri in camicia nera catturati ed uccisi, i quali servivanoottimamente a variare il monotono e poco sostanzioso rancio costituito dapolenta e salsa che Arca pomposamente chiamava spezzatini. Qualche voltaMarco acchiappava anche altri volatili quali le gazze che lui si ostinava achiamar ghiandaie, fregandosene del mio parere <strong>di</strong> vecchio cercatore <strong>di</strong> ni<strong>di</strong>e <strong>di</strong> cacciatore con la fionda. Per amore <strong>di</strong> verità: Marco un giorno ucciseuna gazza (lui <strong>di</strong>ce ghiandaia) con un colpo <strong>di</strong> pistola alla <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong>circa <strong>di</strong>eci metri, ma la pistola non è il fucile da caccia.Intanto per Intra, oltre ai soliti carabinieri, bighellonavano i primi «Maimorti» e nello stesso tempo Arca e compagni iniziavano le prime scorribandenotturne in città. Fu appunto Arca che inculcò nei compagni la lodevoleabitu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> togliere i pantaloni e le scarpe ai militi catturati e <strong>di</strong>lasciarli in tale stato. Il primo esempio lo <strong>di</strong>ede una sera in compagnia <strong>di</strong>Cucciolo. Rifacendo l’esperimento con Bandera nelle vicinanze dell’o<strong>di</strong>ernaCasa del Popolo, si accorse che i due piccioni «beccati», nella nuova edoriginale <strong>di</strong>visa non avevano proprio caldo. Sorsero allora in lui tutti i buonisentimenti <strong>di</strong> cui era capace e con fraterna sollecitu<strong>di</strong>ne, applicando unalegge fisica, si <strong>di</strong>ede a sfregare le parti del loro corpo che maggiormente risentivano<strong>della</strong> bassa temperatura non senza prima averli legati ad un paloelettrico; ma Arca non sempre era buono.Intanto il numero <strong>di</strong> armi cresceva.[3] Da noi le armi erano sempre quelle, ma in compenso era stata trovatauna fonte <strong>di</strong> viveri preziosissima: il Sanatorio <strong>di</strong> Miazzina. In poco tempola nostra mensa fu invi<strong>di</strong>ata quanto quella <strong>di</strong> Lucullo, ma tra gli sfaman<strong>di</strong>c’eravamo Tucci ed io che ci rivelammo subito formidabili consumatori<strong>di</strong> cibarie a danno dei compagni. Ugo fungeva da cuoco, ma valevaquanto me, ossia poco, e non sono modesto. Peccato che i fascisti mettesserospesso il naso negli affari del Sanatorio, per cui ogni tanto i viveri daquella parte non potevano arrivare, con le conseguenze presumibili.Venne il <strong>di</strong>cembre e con il <strong>di</strong>cembre il primo freddo e la prima neve checi trovò alla Piana, quattro baite scassate nella conca <strong>di</strong> Valganna che avevamoottenuto <strong>di</strong> abitare. Sicuro, ottenuto, perché quelli erano tempi incui si chiedeva la baita, la legna, e a Steppio anche l’acqua delle cisterne. Espesse volte queste cose ci erano negate poiché la gente <strong>di</strong> lassù non pote-18


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniva capire cosa facessimo colà; fossimo stati almeno armati, ma le poche armiche avevamo le dovevamo tenere accuratamente nascoste e dovevamopassare per innocui renitenti, poiché se «quelli del basso» si fossero accorti,ci avrebbero «sbaraccati» alla prima puntata. «Sbaraccare» è un terminepartigiano. Se poi qualche raro alpigiano notava la presenza <strong>di</strong> armi, quellonon voleva aver più a che fare con noi, poiché vedeva già la sua casa, lesue baite in fiamme.Erano ancora i tempi in cui la gente era terrorizzata dai primi proclaminazi-fascisti, erano i tempi in cui non ci capiva e non capiva niente <strong>di</strong> noi econseguentemente era l’epoca in cui noi tutto chiedevamo fuorché l’ospitalitàin case civili: sarebbe stato chieder troppo. Era l’epoca in cui nascondevamole armi anche a duemila metri <strong>di</strong> quota. Prelevamenti, requisizioni,fucilazioni avrebbero destato orrore se qualcuno ne avesse parlato.Non eravamo partigiani nel significato <strong>della</strong> parola. Forse lo eravamoteoricamente.Giunse il Natale che ci portò il bel tempo e una notizia tanto bellaquanto inaspettata: a Busto Arsizio si era costituito un Comitato il qualeci avrebbe fornito armi, viveri e uomini. Dopo il <strong>di</strong>scorsetto che ci fece ilrappresentante <strong>di</strong> questo Comitato, la parola «comitato» ebbe un significatomeno oscuro ma nemmeno chiaro. Eravamo ancora <strong>di</strong>ffidenti e fortunatamentescettici. Avevamo più fiducia nelle valigie che portavano i nostriparenti i quali non si chiamavano «comitato».Il mattino <strong>di</strong> Natale mi trovò arrancante e sudato sulla salita che daCossogno porta ad Alpe Aurelio, nostra nuova e vecchia <strong>di</strong>mora, con lespalle gravate dal peso <strong>di</strong> un gerlo contenente una stufa, un sacco <strong>di</strong> patatee una damigiana <strong>di</strong> vino. Facevo «Babbo Natale»; infatti nella nostra «villa»trovai un albero <strong>di</strong> Natale, ma un albero veramente partigiano: in luogodelle candeline e dei soliti aggeggi, sui suoi rami erano appesi caricatori,bombe a mano, salamini <strong>di</strong> gelatina e simili. In cima troneggiava una letterada casa: sentivamo già la nostalgia delle nostre case!Nei giorni successivi giunsero le prime reclute mandate da quel tal Comitatoe giunsero anche una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> coperte. Belle coperte, vivacementecolorate, pesanti, fin troppo pesanti, ma avevano una proprietà che facevaa pugni con l’uso a cui avrebbero dovuto essere destinate: quella <strong>di</strong> non lasciardormire per il freddo delizioso che attiravano. Sergio Papi si accaparròsubito quella dei colori più sgargianti, perché voleva farsene un cappottoquando sarebbe finita la guerra. Povero Sergio! Ho ancora a casa il tuo19


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinicappotto ma non è fatto con quella coperta e per te la guerra è finita quandoti hanno fucilato in un lager tedesco.La sera del 2 gennaio 1944 Intra vide passare per le sue vie strani in<strong>di</strong>vidui.Forse erano più ri<strong>di</strong>coli che strani. Si vedeva chiaramente che facevanoil possibile per passare per giovinastri in cerca <strong>di</strong> ragazze. Qualcuno eravestito in modo equivoco: scarponi chiodati, pantaloni da sciatore, giacchemilitari… Erano a gruppi <strong>di</strong> due o tre e battevano le vie più frequentatesoffermandosi e gettando occhiate dentro ogni bettola, ogni bar. Quandos’incontravano due <strong>di</strong> questi gruppetti, i componenti si scambiavano parole<strong>di</strong> questo genere: «niente?» «niente». In breve: quegli in<strong>di</strong>vidui eravamonoi, in cerca affannosa <strong>di</strong> armi, naturalmente attaccate a qualche milite. Iodovevo essere molto buffo poiché ogni volta che incontravo altri compagni,partivano da loro irrefrenabili risate. Mi accorsi in seguito che al mioimpermeabile nero <strong>di</strong> tela cerata mancava l’inceratura in un tratto, cosicchéal centro <strong>della</strong> schiena si <strong>di</strong>segnava una macchia bianca sul nero dell’impermeabile.Anche il resto del vestiario destava serie preoccupazioni,<strong>di</strong>cevano gli altri, ma io non ero <strong>di</strong> quel parere, poiché mentre mi trovavocon Marco all’entrata del cinema Impero, uscì il pattugliame <strong>della</strong> GNR enessuno dei componenti mi degnò <strong>di</strong> uno sguardo, cioè ero assolutamentenormale. Marco <strong>di</strong>ce che mi guardavano, ma io non credo a Marco.[4] Qualche giorno dopo partivo alla volta <strong>di</strong> Busto Arsizio con duecompagni: si andava a fare la prima azione! Dovevamo prelevare armi emunizioni dalla casa <strong>di</strong> un tizio che non le avrebbe mollate che davanti allabocca delle pistole. La cosa procedeva bene: il tizio aveva «mollato la merce»costituita <strong>di</strong> tre moschetti, pistole lanciarazzi, bombe a mano e millecolpi <strong>di</strong> fucile. La «merce» la trasportavamo dentro un sacco enorme, per levie <strong>di</strong> Busto verso la casa <strong>di</strong> Luciano, uno dei miei due compagni. Era serae la luna rischiarava madre terra molto ineducatamente. Quando ci trovammoa pochi metri da un pattugliame <strong>di</strong> fascisti, questi non tardaronomolto a capire chi eravamo e così iniziammo il primo fugone, accompagnatida scoppi e da miagolii non rassicuranti. Can<strong>di</strong>do, il secondo compagno,cadde prigioniero e noi due tornammo sul Verbano scornati.Raggiungemmo i compagni che nel frattempo si erano spostati a Pechi,un alpe sopra Intragna, a «un tiro <strong>di</strong> mitragliatore» da Steppio. Noi peròcambiammo subito il nome <strong>di</strong> Pechi in quello più pomposo <strong>di</strong> Pechino, ragionper cui Steppio fu chiamata Sciangai, e Steppio passò alla storia sotto20


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniquesto nome. A Pechino trovai due reclute mandate da Busto: un tizio altoe brutto, con voce cavernosa, che si <strong>di</strong>ceva giornalista; e un ragazzo che<strong>di</strong>mostrava 17 o 18 anni. Cominciavo ad arrabbiarmi poiché pochi giorniprima quelli <strong>di</strong> Busto avevano inviato quassù un ex milite <strong>di</strong> 16 anni. Avevanoforse intenzione <strong>di</strong> costruire un asilo infantile? Il ragazzino <strong>di</strong> 17-18anni si chiamava Carluccio e gli chiedo scusa ora se quel giorno mi arrabbiai.La vita nei giorni successivi procedeva tranquilla per noi ma non per icuochi <strong>di</strong> Sciangai e Pechino, i quali facevano la spola tra le due cucine, percontinui baratti, allo scopo <strong>di</strong> preparare i pasti senza l’ausilio dei sali e deigrassi: ecco perché il rancio aveva sempre forti sapori <strong>di</strong> salsa e <strong>di</strong> da<strong>di</strong>.Un giorno sono segnalati due carabinieri ad Intragna. Parto con Marcoe con la pistola prestatami da Arca. Dobbiamo avere proprio l’aspetto deiboscaioli, se ad Intragna essi rispondono cor<strong>di</strong>almente al nostro deferentesaluto. È proibito affrontarli in paese: li attenderemo nel bosco.Due impeccabili «mani in alto» riducono i due rappresentanti <strong>della</strong> leggealla posizione richiesta. Due «Beretta» nuove sono il premio <strong>della</strong> nostrafatica. Sono felice: in quel momento <strong>di</strong>mentico anche i tre moschettie i mille colpi lasciati a Busto. Marco tiene un <strong>di</strong>scorsetto a quelle due personeche si rivelano ipocritamente vili: uno è il briga<strong>di</strong>ere <strong>di</strong> Premeno. Sapràin seguito chi è la «Battisti»: per ora facciamo loro credere, come al solito,che siamo del gruppo «Beltrami».A Sciangai intanto la famiglia si è ingrossata: sono giunti il pompierecon il suo fardello <strong>di</strong> «balle» da raccontare; «37» con una petulanza da scolaro.Da un paio <strong>di</strong> mesi c’è anche uno studentello giunto quassù col pigiamaed altri attrezzi d’albergo. Ha un viso che sa <strong>di</strong> spavento e <strong>di</strong> allegria etiene molto alla sua nazionalità colombiana. È permanentemente <strong>di</strong> vedettaalla «Casa dei Venti», il posto <strong>di</strong> avvistamento. Nessuno avrebbe riconosciutoin lui l’attuale Gabri.Una sera Arca parte con una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> abitanti delle due città montane,col proposito <strong>di</strong> <strong>di</strong>sarmare il pattugliame dei militi che <strong>di</strong> notte scorazzaper Intra. Eravamo troppo buoni in quei tempi; non si voleva sparare,volevamo soltanto le armi e, soprattutto, volevamo convincere chi giàsi era venduto all’invasore.Quando il pattugliame giunse nei pressi del rione <strong>di</strong> San Giuseppe fuaccolto da un «mani in alto» imperioso sì ma inopportuno. Una dozzina <strong>di</strong>fascisti armati <strong>di</strong> sette mitra non si attiene ai voleri del primo che capita,ma, santa ingenuità, così avvenne, ed avvenne pure che i militi iniziarono21


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniil fuoco contro un mitra e una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> pistole. Arca, visto che il suo mitranon aveva intenzione <strong>di</strong> sparare, si lanciò contro un milite. Conclusione:il milite andò a terra ed Arca si trovò fra le mani un altro mitra. Quellanotte il Verbano ebbe i suoi primi feriti: Mosca tornò col petto forato, assiemead altri due feriti leggeri.[5] La sera seguente trovò riuniti reduci e rimasti nella «Sala Concor<strong>di</strong>a»,una baita con pavimento <strong>di</strong> legno e con stufa che naturalmente affumicavae non riscaldava. Arca, dopo avere illustrato gli errori commessidurante l’azione, ci <strong>di</strong>sse: «Hanno sparato loro per primi. Da oggi in poi,guerra aperta».I ragazzi lo capirono, lo amarono <strong>di</strong> più e tennero fede a ciò che il Comandanteaveva detto. Il primo sangue non li aveva spaventati e fu perquesto che quella sera attaccarono con più ardore la canzone «…scendonoi partigiani verso il cuore <strong>della</strong> città».Cantavamo non perché ci assaliva la nostalgia <strong>della</strong> casa, delle personecare; non per far passare la sera. Cantavamo perché avevamo una fede chenon era ostinazione, per una volontà <strong>di</strong> combattere e punire i malvagi cheavevano fatto male a dei nostri compagni; e questa volontà non era ancoraprovocata dall’o<strong>di</strong>o ma da un sentimento <strong>di</strong> giustizia. Cantavamo contentie sereni.Un giorno a Pechino arrivarono altre due reclute, mandate da Busto:un ragazzo <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciassette anni, esile, alto, ed un uomo sui 35 anni, con dueocchi espressivi; mancava <strong>della</strong> mano destra! Ero arrabbiato con quel «Comitato»che mandava anche invali<strong>di</strong>. Quell’uomo era Guido, «il Monco».Il ragazzo, Franco.Giunse il primo mitragliatore, e quel giorno fu festa citta<strong>di</strong>na; la corvée,partita il giorno precedente, fu accolta, al rientro, da una raffica che sfioròle teste degli uomini. Essi credettero che a Pechino ci fossero i fascisti, poiché,armi automatiche, a quanto risultava loro, noi non ne possedevamo.A Sciangai ora ci guardavano con rispetto.Un giorno ero con Tucci a Cossogno. Ci <strong>di</strong>ssero che a Villa Ompioc’erano i partigiani; avevano visto anche delle mitraglie: torcemmo il nasoincreduli. Ci <strong>di</strong>edero altri particolari, talché mandai Tucci a vedere.Tucci tornò nel pomeriggio con notizie strabilianti. C’era effettivamenteun gruppo <strong>di</strong> partigiani, una quin<strong>di</strong>cina, al comando <strong>di</strong> un certo mag-22


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinigiore Superti e capitano Mario; c’erano anche due mitragliatrici 12,7 equattro mitra. Un armamento da signori! Mi <strong>di</strong>sse, poi, che il comandantedel gruppo avrebbe desiderato parlare con Arca e che quei partigiani mangiavanocarne e fumavano nazionali. Il nostro entusiasmo si raffreddò inseguito, quando ci <strong>di</strong>edero altre notizie e quando ci <strong>di</strong>ssero che le mitraglieerano senza treppiede ed avevano soltanto 400 colpi, cioè 25 secon<strong>di</strong><strong>di</strong> fuoco. Fu mentre Tucci raccontava, che incontrammo in paese due carabinieri.Li attendemmo sul ponte, fuori dall’abitato. Bottino: due moschettie una pistola «Beretta». Fummo felici quel giorno.Alle giornate <strong>di</strong> sole primaverile sopraggiunse il freddo.Cadeva nevischio quel giorno, e lontano, in <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Alpe Pala siu<strong>di</strong>vano colpi sor<strong>di</strong> e raffiche. Ad Alpe Pala c’era un nostro <strong>di</strong>staccamento,Port Arthur. Partii con Tucci, Gabri, Marmellata e Cucciolo in pattuglia.Arca mi aveva prestato il suo mitra. Ero contento <strong>di</strong> avere un mitra,ma mi sembrava ingombrante e pesante. I caricatori che portavo sul pettomi davano fasti<strong>di</strong>o. Avevo tanto desiderato un mitra ed ora che lo avevone trovavo già i <strong>di</strong>fetti.A Port Arthur ci <strong>di</strong>ssero che era stata attaccato il Battaglione «Val d’Ossola»,il gruppo <strong>di</strong> Superti. Un’autocolonna <strong>di</strong> fascisti era giunta nelle primeore del mattino a Rovegro ed aveva attaccato le posizioni <strong>di</strong> Villa Ompio.Ora si u<strong>di</strong>vano più chiaramente i colpi. Si <strong>di</strong>stinguevano lo scoppiodelle bombe a mano, le raffiche scroscianti <strong>della</strong> 12,7, quelle timbrate deimitragliatori. Dalla conca <strong>di</strong> Alpe Ompio salivano delle colonne nerastre<strong>di</strong> fumo: erano le prime baite bruciate, il primo tributo che la gente <strong>della</strong>montagna pagava ai fascisti.C’incamminammo verso Unchio; lì avremmo atteso i fascisti che tornavano.Eravamo sei moschetti ed un mitra: pochi, ma anche sufficienti.Ci appostammo sopra la strada <strong>di</strong> Cossogno poiché ci avevano detto cheanche a Cossogno c’erano i fascisti.Passammo parecchie ore scrutando, chiedendo tabacco a Marmellata,pane a Cucciolo e mandando ogni tanto Gabri a chiedere informazioni aipassanti. Era quasi sera quando decidemmo, arrabbiati, <strong>di</strong> levare l’appostamentoe scendemmo sulla strada. Eravamo appena scesi che sulla strada <strong>di</strong>Rovegro e Santino si profilò una colonna <strong>di</strong> autocarri. Gridai <strong>di</strong> scendereverso il ponte <strong>di</strong> Santino mentre ormai tutti precipitavano in quella <strong>di</strong>rezione.Traversammo <strong>di</strong> corsa Unchio, mentre le poche persone che incontrammoci guardavano stupiti. Nulla, andavamo a sparare.23


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini[6] Giungemmo sopra il ponte un momento prima che una macchinatargata «Polizei» si fermasse sotto <strong>di</strong> noi. Ci abbassammo, temendo <strong>di</strong> esserescoperti. La macchina si rimise in moto e noi ci <strong>di</strong>sponemmo sopra ilciglio <strong>della</strong> strada alla imboccatura del ponte.La colonna sfilava sotto <strong>di</strong> noi: in fondo, dalla piana <strong>di</strong> Santino, scendevail penultimo camion <strong>di</strong>stanziato dai precedenti e dall’ultimo. Avvisaitutti <strong>di</strong> attaccare quello; togliemmo le sicure e ci mettemmo in posizione<strong>di</strong> sparo.Era ormai il crepuscolo, non si <strong>di</strong>stingueva bene il mirino; gli automezzisu cui i fascisti stavano in silenzio, ignari, accendevano i fari. Pensavo cheavrei fatto una raffica <strong>di</strong> tutto il caricatore e slacciai la fibbia delle tasche delporta caricatori per averne a portata <strong>di</strong> mano un altro.Tutti erano calmi, tranquilli: i fascisti e noi. Si stava per uccidere ed essereuccisi. Si può essere tranquilli quando si sta per uccidere. Io pensavo sesparando nella cabina del camion avrei dovuto spostare a ventaglio o no lacanna del mitra. Gli altri non erano preoccupati; vicino a me vedevo i visisereni <strong>di</strong> Gabri e Cucciolo. Per tutti era la prima volta che si sparava.Il camion sbucava dalla curva, imboccava il ponte, lo passava…Alla finedel ponte mirai, premetti il grilletto. Partì una raffica: vi<strong>di</strong> e sentii i vetricadere, anche un fanale era stato colpito. Premetti ancora, niente: si erainceppato il mitra. Non avevo previsto quell’inconveniente. Lo scrollai furiosamente,ma non era quello il rime<strong>di</strong>o.Il camion, su cui si abbattevano i colpi dei compagni, dopo aver sbandato,si era fermato sotto <strong>di</strong> noi. Una bomba a mano lanciata da Carluccioera andata a finire sul cofano, un’altra lanciata da Marmellata, sul tendone.Sotto u<strong>di</strong>vamo voci concitate: «Via, via, via!». Incominciò la reazione avversaria,la reazione dei 14 automezzi, la reazione <strong>di</strong> 250 uomini contro 7.Noi iniziammo la ritirata e Cucciolo continuava a sparare; lo chiamammoed egli sparava. Quando finì il caricatore si decise a seguirci.Su per il prato <strong>di</strong> volata fra rari miagolii: i fascisti sparavano all’impazzata.Ripassammo tra le case, sulla strada <strong>di</strong> Cossogno, nel bosco. Ce l’avevamofatta. Da un milite che in seguito <strong>di</strong>sertò, ebbi i particolari. Avevamofatto 4 morti e 5 feriti. Quel milite era sull’ultimo automezzo, un’autoblinda.Fortunatamente non sparammo su quella: ne avremmo cavato poco.Nei due giorni seguenti i fascisti tornarono con i tedeschi: tornarono inun migliaio e costrinsero la banda a ritirarsi sopra Cicogna, alla Casa dell’Alpino.Le per<strong>di</strong>te furono <strong>di</strong> 4 prigionieri, tra cui la moglie <strong>di</strong> Superti,24


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniuna 12,7 e 48 baite incen<strong>di</strong>ate.Due giorni dopo compivo venti anni. Tucci e Sergio mi regalarono laloro razione <strong>di</strong> sigarette, Marco un pacchetto <strong>di</strong> «Africa». Arca mi regalò lapossibilità <strong>di</strong> prendere un mitra, ma io persi quella occasione.Febbraio 1944. Pechino è un bel posto, innegabilmente più bello <strong>di</strong>Sciangai. All’intorno c’è un bel prato; nel pomeriggio vi <strong>di</strong>stendemmo lecoperte sporche <strong>di</strong> polvere, <strong>di</strong> foglie secche e <strong>di</strong> pidocchi. C’è sempre sole:come faremmo a spidocchiarci se non ci fosse il sole? L’operazione <strong>di</strong> spidocchiaturarichiede molto tempo ma è efficace.A Sciangai invece c’è sempre vento, le stra<strong>di</strong>cciole tra baita e baita sonosature <strong>di</strong> fango, l’ambiente è caliginoso e poi a Sciangai, la gente nonsi spidocchia.A Pechino è in uso il «battesimo» <strong>della</strong> recluta: la recluta, seminuda, riceveparecchie secchie <strong>di</strong> acqua gelata e compie atti <strong>di</strong> sottomissione a chiormai è già «anziano». Si sente «anziano» chi da due-tre mesi trascorre questavita. E se nevicasse come faremmo con le reclute? Penso che troveremmouna soluzione: il battesimo lo debbono fare. Per gli atti <strong>di</strong> sottomissioneil problema sarebbe più facile. Consiste nel procurare turni <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a ecorvé, legna da raccogliere e da spaccare, più del necessario; e con la nevegli anziani sarebbero ancor più esigenti.In cucina siamo sempre alle solite: si vive quasi alla giornata. Il magazzinonon è che una piccola cassapanca tarlata nel cui fondo giacciono sacchetti<strong>di</strong> tela che conterrebbero un quantitativo <strong>di</strong> fagioli, <strong>di</strong> riso, <strong>di</strong> farinagialla, maggiore <strong>di</strong> quello che normalmente contengono.[7] Da Busto riesce a giungere finalmente fino a Laveno un autocarrocon viveri e vestiario per noi. Il carico, meno la parte fregata dal proprietario<strong>della</strong> bettola in cui era stato scaricato, viene trasportato in barca finoa Ghiffa, dove passa sulle nostre spalle. La corvée è piuttosto lunga, ma finalmentepossiamo cambiar la camicia, possiamo mangiare qualche voltail pane bianco, possiamo con<strong>di</strong>re la minestra con l’olio, anche se l’olio haun sapore impossibile, che trasferito alle pentole rimarrà finché si cucineràin quelle pentole.Febbraio 1944. Ora c’è anche un piccolo <strong>di</strong>staccamento <strong>della</strong> «Battisti»a Pian Cavallone. Ciò per eventuale protezione e per collegamento con il25


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniBattaglione Valdossola, che si è attestato tra Alpe Ompio e la Valgrande.Siamo alla metà <strong>di</strong> febbraio: ormai il bel tempo se n’è andato ancora.Talvolta nevica, spesso c’è un vento eccezionale, sempre fa freddo.Siamo sempre tappati nelle baite. Il fumo dei caminetti è inesorabilmentericacciato dal vento che, chissà perché, soffia da tutte le <strong>di</strong>rezioni.Si lacrima e si gioca a carte, si impreca e si puliscono le armi, si tossisce esi prepara la minestra.Solo Filippo fa il bagno tutte le mattine rompendo il ghiaccio che si èformato alla superficie <strong>di</strong> un pozzetto. Solo le vedette si infreddolisconosullo spiazzo dell’albergo Pian Cavallone e alla «Casa dei Venti» <strong>di</strong> Sciangai.Ma freddo ne avremo ancora e più intenso.Febbraio-marzo 1944. Mussolini ha concesso un’amnistia ai <strong>di</strong>sertoried ai renitenti che si presenteranno entro l’8 marzo.Il momento è scelto bene; i «tiepi<strong>di</strong>» chiedono un permesso e non sifaranno più vedere: si sono «presentati». I fascisti hanno promesso, <strong>di</strong>cono,<strong>di</strong> bruciare le loro case se non si presentano; i carabinieri hanno arrestatoi loro padri.Le file si sono assottigliate. Io non sono spiacente; anche Marco è contento,poiché «i più scassati, <strong>di</strong>ce, sono partiti». A Pian Cavallone, Gabri, ilcomandante del <strong>di</strong>staccamento, è rimasto con un solo uomo. Arca è andatoa casa per l’ultima volta; ormai viaggiare senza essere pescati è una cosaseria. Anche Carluccio e Renato mi hanno chiesto <strong>di</strong> andare a casa, a Busto,ma quella è gente che ritorna.Decido <strong>di</strong> spostare Pechino a Pian Cavallone. Iniziamo il trasloco e cominciaa nevicare. Una pentola rotola in valle e non si trova più; è moltograve, ma all’albergo rime<strong>di</strong>eremo con i secchi <strong>di</strong> smalto.Anch’io decido <strong>di</strong> andare a casa poiché sento che potrò ancora andaresoltanto alla fine <strong>della</strong> guerra. Parto senza documenti; a Intra incontro unmio ex compagno <strong>di</strong> scuola: ora è nella GNR. Viaggio con lui fino a Milano.Egli sa che sono un partigiano; una volta eravamo amici, ora ammetteche la Germania ha ancora 40 probabilità su 100 <strong>di</strong> vincere la guerra, manon ammette il male che fanno i fascisti. Poiché egli fa servizio a Varese,gli chiedo notizie <strong>di</strong> conoscenti che facevano parte <strong>della</strong> banda che era alS. Martino prima dello «sbaraccamento». Mi <strong>di</strong>ce che sono stati catturati.Saprò in seguito che non è vero, e questo non è agire da amico; è agire danemico, e forse è più logico così.26


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniA Milano lo lascio: lui è <strong>di</strong>retto a La Spezia per ottenere il passaggio alla«X Mas» o alla «S. Marco», io vado a casa per rivedere i miei.Sul trenino che mi porta a casa riesco a trovare un angolo buio che miprotegga da incontri non richiesti, <strong>di</strong> conoscenti. Talvolta vedo passare militiarmati e penso non sia <strong>di</strong>fficile <strong>di</strong>sarmarli.Al mattino, col buio, riparto.Dal battello rivedo le montagne bianche <strong>di</strong> neve: è nevicato ancora. RiconoscoSciangai, Pechino, Alpe Vel, Pian Cavallone. Sul battello ci sonodei militi: non pensano che i partigiani, dal Cavallone, vedono questo battello;non sanno che vedono loro, che vedono me. Non sanno che lassù holasciato il mio moschetto, la mia pistola, il mio zaino. Non sanno che iosono un partigiano, mi piace pensare a queste cose. Io so chi sono loro, loronon sanno chi sono io. Sorrido al pensiero che tra poco rivedrò Guidoe gli altri, rimetterò la mia su<strong>di</strong>cia giacca a vento ed i miei scarponi slabbratie permeabili.[8] Sotto il rifugio <strong>di</strong> pian Cavallone incontro una corvée <strong>della</strong> legna;ci sono anche Carluccio e Renato: mi <strong>di</strong>cono che hanno portato un mitragliatore.Carluccio è stato preso in una retata a Busto, ma è riuscito a scapparequasi subito. È la terza volta che Carluccio è preso e riesce a scappare.Sono giunte altre reclute: ormai a Pian Cavallone siamo una ventina. Parteanche Sergio, in <strong>di</strong>visa da carabiniere con un compagno in <strong>di</strong>visa da milite,per trasporto <strong>di</strong> armi. Non li rivedremo più tutte e due. Sergio andràin Germania e sarà fucilato in seguito ad un tentativo <strong>di</strong> fuga; dell’altro, <strong>di</strong>Pavia, non avremo più notizie.Marzo 1944. Da parecchi giorni nevica: è un nevicare fitto, sottile,ininterrotto, quasi orizzontale. Il vento fortissimo fischia e fa gemere i pochialberi <strong>di</strong> Pian Cavallone incorniciati <strong>di</strong> ghiaccioli. Il metro e mezzo <strong>di</strong>neve sommerge tutto, i muretti, i massi; la stalla vicina non è che un cumulobianco. È un magnifico, mefistofelico spettacolo <strong>della</strong> natura, ma quisono quasi esaurite le scorte e non c’è legna. Chi ha voluto fare il tentativo<strong>di</strong> uscire, è tornato bianco, è tornato dopo aver percorso venti metri: nonsi può camminare. Se continua ancora qualche giorno a nevicare inizieremoa saltare il pasto. Le interminabili partite a tressette non riescono a far<strong>di</strong>menticare che si ha appetito. Guido gioca molto a tressette: sono affezionatoa Guido. Di notte, nemmeno con <strong>di</strong>eci coperte si riesce a dormi-27


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinire. Il freddo fa gelare il fiato sulle coperte e le sigarette che durante il giornosi sono inumi<strong>di</strong>te. Non fa meraviglia, quin<strong>di</strong>, che in questi giorni nascaun giornale: «Liberi e Forti». Naturalmente il primo e ultimo numerodel giornale, poiché tra qualche giorno cesserà <strong>di</strong> nevicare. Il giornale, adue facciate, è «stampato» a penna su <strong>di</strong> un foglio <strong>di</strong> quaderno, ed è maturatodalla mente del giornalista, il pidocchioso abitante <strong>di</strong> Lainate. La tiraturaè <strong>di</strong> una copia.Il «giornalista» è uno strano in<strong>di</strong>viduo: una volta, <strong>di</strong>ce lui, scriveva su«Il Popolo d’Italia»; ora è terrorizzato dalla Polizei che, <strong>di</strong>ce sempre lui,piantona la sua casa e s’interessa moltissimo <strong>della</strong> sua attività clandestina.L’articolo <strong>di</strong> fondo è naturalmente suo, ed i compagni sorridono leggendolo:anche loro hanno scoperto che non ha un senso. Anche Gabri hascritto un articolo sui «Comitati». L’articolo <strong>di</strong>ceva che quando saremo calatial piano, sarebbero stati quelli dei «Comitati» a raccogliere gli allori ead accaparrarsi i posti migliori. «Ma ricordatevi – <strong>di</strong>ce l’articolo – che noiavremo ancora le armi in mano». (Noto che i «Comitati» non vanno confusicon i CLN; a quel tempo non erano che gruppetti <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui, per laquasi totalità industriali, che finanziariamente ci aiutavano).Anche Gabri talvolta sa essere profetico: non <strong>di</strong>mentichiamo che siamoai primi <strong>di</strong> marzo 1944.Marzo 1944. Ha finito <strong>di</strong> nevicare e sono terminati anche i viveri. Abbiamodue metri <strong>di</strong> neve. Partiamo in cinque per Miazzina: si nuota nellaneve. Giungeremo a Miazzina stanchi e bagnati, dopo sette ore <strong>di</strong> marciainfernale: generalmente ci vuole un’ora a compiere quel percorso. Al Sanatorioriempiamo i nostri zaini e ci rifocilliamo. Le suore ci guardano conpena e comprensione: in questo periodo esse sanno che hanno un compitoimportante per l’esistenza <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> partigiani e raddoppiano laquantità dei rifornimenti, sottraendola in mille mo<strong>di</strong> alla <strong>di</strong>spensa del Sanatorioe al controllo dei fascisti.Giungiamo nel pomeriggio alla «Colma». Il vento, che soffia da stamattina,ha cancellato la pista <strong>di</strong> ieri; anche ora la cancella man mano che proce<strong>di</strong>amo.Gettiamo gli zaini rigonfi nella neve e iniziamo a chiamare i compagniche a Pian Cavallone ci attendono.Finalmente sentono; gri<strong>di</strong>amo loro <strong>di</strong> scendere a prenderci gli zaini.Questa volta siamo quasi spossati: abbiamo accusato la neve alta e la lungasalita. Con noi c’è Dick. È un cagnolino <strong>di</strong> Miazzina, amico <strong>di</strong> Carluc-28


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinicio e questa volta l’ha voluto accompagnare. Il vento fa volare la neve chepunge, e arrossa il viso, toglie il respiro. Ciò non va a genio al piccolo Dick,che non sa come sottrarsi a quel fasti<strong>di</strong>oso ticchettio <strong>di</strong> ghiaccioli cheanche noi tentiamo <strong>di</strong> evitare. Scava fossette nella neve e vi si accuccia, finchéil vento non l’ha coperto <strong>di</strong> bianco, impedendogli la respirazione. Neriesce per costruire altre fosse, uscendone ogni volta più esasperato. Noi ri<strong>di</strong>amo;perché, poi, dobbiamo ridere mentre un essere più debole si adoperaper sottrarsi ad una cosa più forte <strong>della</strong> sua naturale debolezza? Non ègiusto ridere, ma noi ri<strong>di</strong>amo, forse per non pensare al vento che ci flagellae alla stanchezza che ci fa accucciare nella pista <strong>di</strong>etro gli zaini.[9] Giungono gli altri: il primo è Guido. Dice che non tutti potremoavere il cambio, perché solo quattro dei rimasti hanno gli scarponi. Già,non tutti hanno gli scarponi. Da noi è un continuo cambio <strong>di</strong> scarponiperché non sempre gli stessi vadano a pestare la neve. Ognuno ha imparatoil numero del piede <strong>di</strong> ogni compagno a furia <strong>di</strong> cambiare scarpe. Eccoperché iniziamo la costruzione <strong>di</strong> pantofole preparate con i tappeti e conle stuoie dell’albergo. La costruzione procede lentamente, poiché abbiamodue soli aghi per cucire.Quando la neve è gelata si può camminare con quelle pantofole, ma laneve entra egualmente, proprio come se calzassimo gli scarponi. Non importa,poiché le reclute ci danno l’esempio facendo il «battesimo» con laneve anziché con l’acqua, perché acqua non ce n’è.A Pian Cavallone è proibito lavarsi. La poca legna che ci procuriamo segandoi tavoli e le seggiole superflue, è appena sufficiente a sciogliere la neveper ottenere l’acqua necessaria alla cucina. È permesso lavarsi con la solaacqua che ricuperiamo dallo stillici<strong>di</strong>o del tetto. In tal caso, l’acqua vienesfruttata al massimo: è usata per lavarsi i denti, il viso, il collo <strong>di</strong> <strong>di</strong>versiin<strong>di</strong>vidui; per fare la barba e infine per lavare i pie<strong>di</strong>.Marzo 1944. Un gruppo <strong>di</strong> renitenti si è presentato a noi: c’è Guidone,Alfredo, Barba. Vengono mandati all’Alpe Borella, sotto Pizzo Pernice,a costruire un nuovo <strong>di</strong>staccamento.Giungono spesso reclute: è giunto Arturo, è giunto «Mario matt». Arrivanoanche armi; ma in minor misura: parecchi uomini sono ora <strong>di</strong>sarmati.Siamo una trentina e ormai siamo considerati una «banda»: la bandadel Pian Cavallone.29


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniÈ necessario ora fare un ruolino. Il ruolino non è che un quadernettoin cui sono scritte le generalità e l’arma, se è armato, <strong>di</strong> ognuno. Il quadernettoè nascosto in una fessura <strong>di</strong> un muro.Vengono anche fatte le votazioni per nominare i quadri. I miei compagnisono forse più democratici <strong>di</strong> me: desiderano <strong>di</strong>scutere le cose, ogniimposizione li urta, ogni or<strong>di</strong>ne lo vogliono dettato da necessità. Qualcunoperò, vuol fare l’anarchico nei riguar<strong>di</strong> altrui e ciò non è bello. Molti si<strong>di</strong>cono comunisti: sono i più giovani. Desidererebbero che io mi <strong>di</strong>chiarassicomunista. Non lo sono; perché dovrei <strong>di</strong>re <strong>di</strong> esserlo?Guido è comunista, ma non lo <strong>di</strong>ce: a me l’ha detto Brunello un suocompaesano. Spesso a Pian Cavallone si <strong>di</strong>scute <strong>di</strong> politica e <strong>di</strong> partiti politici,ma Guido non prende parte alle <strong>di</strong>scussioni. Perché non parla? Anch’ioa 15 anni <strong>di</strong>scutevo <strong>di</strong> calcio e <strong>di</strong> squadre <strong>di</strong> calcio. Discutere in quelmodo non è la stessa cosa? Io non so che vuole il comunismo, ma anche imiei compagni non lo sanno, anche quelli che si <strong>di</strong>cono comunisti. E Guidoche ha tre bambini e la moglie a casa, tace; Guido che ha una sola mano,quassù lavora più <strong>di</strong> tutti. È un rimprovero il suo silenzio?Marzo 1944. Da parecchio tempo non facciamo azioni. I fascisti si saranno<strong>di</strong>menticati <strong>della</strong> nostra presenza? Ora è quasi una necessità essereinattivi. Qualcuno potrebbe chiedere perché siamo a 1.600 metri <strong>di</strong> altezza.Se me lo chiedesse non saprei rispondergli esaurientemente e scenderei,ma nessuno mai me lo ha chiesto. Me lo chiederò io stesso un giorno. Anchela «Battisti» è più in basso e non fa nulla anche lei; il «Valdossola» è piùin basso ancora e anche lui sta buono. Siamo a corto <strong>di</strong> viveri; nei negozi,senza le carte annonarie non ci danno quasi nulla. Mando Guidone a prelevareun po’ <strong>di</strong> tessere al municipio <strong>di</strong> Cambiasca. Ora abbiamo il pane, lapasta, il burro. I miei compagni si sono arrabbiati con Tucci perché lui hafatto credere loro <strong>di</strong> esser <strong>di</strong>ventato comunista e il giorno ha detto <strong>di</strong> avervoluto fare uno scherzo. Quasi lo o<strong>di</strong>ano perché <strong>di</strong>cono che lui mi influenza.Dicono che le mie decisioni sono in rapporto ai suoi desideri, ma nonè vero. Arca ha chiesto se vogliamo far parte <strong>della</strong> «Banda Battisti». So chei ragazzi non ne vogliono sapere, perché <strong>di</strong>cono che Marco e Mosca fannogli ufficiali ed incolpano Tucci se io non ho ancora preso la decisione <strong>di</strong>non passare con Arca. Tucci è un bambino intelligente; mi è simpatico egli sono affezionato, ma malgrado i suoi 19 anni è ancora un bambino. luinon c’entra in tutte queste cose e gli altri mancano <strong>di</strong> obiettività.30


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniMi spiace, poiché non posso più servirmi <strong>di</strong> lui per sapere ciò che voglionoo desiderano i compagni; ciò che essi pensano. Essi, o meglio, noi nonabbiamo ancora imparato a <strong>di</strong>re ciò che pensiamo, a chiedere ciò che vogliamo,cioè siamo ancora insinceri. E Tucci non è stato, quin<strong>di</strong>, la mia poliziaprivata, ma solo il mezzo <strong>di</strong> interpretazione dei desideri dei compagni.Marzo 1944. È giunto a Pian Cavallone il Maggiore Biancar<strong>di</strong>, accompagnatoda due partigiani del «Valdossola». Dice che è stato mandato dalCLNAI quale ispettore delle bande del Verbano. Non gli ho nemmenochiesto un documento che comprovi ciò che ha detto.[10] Biancar<strong>di</strong>, prima dell’8 settembre, era Maggiore nel SIM. L’ho conosciutonell’ottobre del ’43 a Induno Olona, nel tempo in cui egli avevaattinenze con la banda del S. Martino. Mi <strong>di</strong>cevano che era un uomoin gamba.Il maggiore Biancar<strong>di</strong> desidera che io mangi alla mensa ufficiali. Lamensa ufficiali è il suo piatto e mi spiace che debba essere anche il mio.Preferisco mangiare con i compagni. Anche Superti ha la mensa ufficiali esi fa chiamare «sig. Maggiore».Ieri sera ha mandato una corvée a Miazzina. Fa molto freddo <strong>di</strong> notte,ma non c’era vino, non c’erano sigarette, non c’era thè.I ragazzi hanno comparto il vino, le sigarette ed il thè con i sol<strong>di</strong> chelui aveva dato loro. Ho capito che i miei compagni erano contenti perchéavevano bevuto un paio <strong>di</strong> bicchieri ed avevano fumato qualche «popolare».Biancar<strong>di</strong> mangia con il fiasco del vino davanti a sé, beve il thè alla finedel pasto e fuma le «Nazionali». Anche a me ha offerto un pacchetto <strong>di</strong>«Nazionali»: io l’ho accettato.Il nostro cuoco chiede al «sig. Maggiore» se la minestrina è sufficientementesalata e se desidera altro. Biancar<strong>di</strong> <strong>di</strong>ce che soffre <strong>di</strong> stomaco, ma ilsale è scarsissimo e il cuoco lo sa.Un ragazzo ha <strong>di</strong>sertato dalla «S. Marco»: lo chiamano «Marco». AMarco piace il sig. Bacco. È un bravo ragazzo, ma quando beve no.Anche il <strong>di</strong>staccamento <strong>di</strong> Alpe Vel si è unito a noi. A Vel sono sempreconservatori. È arrivato da Legnano un ragazzo che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere stato conBeltrami e poi con Moscatelli. Si chiama Toni, Antonio Aspes. Toni raccontamolte cose, parla molto e <strong>di</strong>ce che ha due mitra a casa. I miei compagnilo pigliano in giro e lo detestano anche. Toni è una spia. Ora non lo31


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniso, ma lo saprò tra qualche mese, dopo che avrà fatto catturare Franco, Dino,Bruno, Renato. Sarà anche fucilato a Oleggio dai partigiani <strong>della</strong> «Servadei».Da qualche giorno sto pensando che fino a che si sta quassù, mezzosepolti dalla neve, si potrà fare ben poco. Sarà un buon rifugio per renitenti,ma non una base per azioni <strong>di</strong> guerriglia. I quattro fascisti che avevamopossibilità <strong>di</strong> catturare nei paesetti <strong>della</strong> zona, dopo le frequenti esperienzedei loro compagni che tornavano «nu<strong>di</strong> alla meta», si sono rintanati neipresi<strong>di</strong>. Spesso accarezzo l’idea <strong>di</strong> fare un giro <strong>di</strong> sabotaggio e recupero <strong>di</strong>armi, nella zona tra Milano e il Ticino. Guido, Carluccio, Brunello, Tuccie Franco ai quali ho esposto il progetto, sono <strong>di</strong>sposti a porlo in esecuzione.Ne ho parlato anche a quelli del Comitato <strong>di</strong> Busto. Sono <strong>di</strong>sposti a rifornirci<strong>di</strong> viveri, denaro, documenti ed esplosivo.E gli altri che faranno? Qui comincio a <strong>di</strong>ventare egoista. Rispondoa questa domanda <strong>di</strong>cendomi che c’è il maggiore Biancar<strong>di</strong>, ma la rispostanon convince nemmeno me stesso. I compagni mi stanno venendoin o<strong>di</strong>o, poiché loro, involontariamente, ostacolano, con la loro presenza,l’esecuzione del progetto che <strong>di</strong> colpo mi sembra bellissimo.Comincio a sottovalutare la loro capacità, la loro onestà morale. Giungoa pensare che vogliono fare del male a Tucci.Biancar<strong>di</strong> mi ha proposto un’azione da farsi in collaborazione con partigianidel «Valdossola». Si dovrebbero attaccare le Carceri <strong>di</strong> Varese, liberarei detenuti politici (tra cui membri del CLN <strong>di</strong> Milano) e tornare con autocarriin zona. Il piano d’attacco mi sembra puerile, ma non posso criticarel’operato <strong>di</strong> un maggiore. Tra i partecipanti all’azione ci sarebbe anche Toni.L’azione <strong>di</strong> Varese è rimandata per ora.Da Busto mi avvisano che fra qualche giorno, esattamente il 28 marzo,ci porteranno ad Ungiasca i documenti. È tempo <strong>di</strong> decidere: Guido sembrameno entusiasta <strong>della</strong> cosa e gli <strong>di</strong>co che può raggiungerci in seguito.Penso sia meglio che i compagni non sappiano del nostro progetto, edeci<strong>di</strong>amo che ce ne andremo, insalutati, <strong>di</strong> notte. L’in<strong>di</strong>screzione <strong>di</strong> unoci metterebbe i fascisti alle calcagna in zone che non conosciamo.Ancora egoismo forse: partiremo <strong>di</strong> notte, forse per non dare spiegazioniche ci sarebbero noiose e dolorose. Perché non sono sincero con me stesso?Perché non ammetto che voglio partire per procurarmi sod<strong>di</strong>sfazionipersonali che qui non posso procurarmi per mancanza <strong>di</strong> fascisti e <strong>di</strong> materiale?Perché non confesso che sono stufo <strong>di</strong> pestar neve, <strong>di</strong> mangiar po-32


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinico e male, <strong>di</strong> esser <strong>di</strong> esempio agli altri? Perché sono ri<strong>di</strong>ventato egoista equesto spiega la ragione per cui Guido mi ha <strong>di</strong>silluso, mi ha fatto arrabbiare:lui non è egoista.[11] Marzo 1944. Questa notte siamo partiti: Carluccio, Tucci, Francoed io. Armamento: le sole pistole.Fuori dall’albergo ho percorso i primi metri per forza: non credevo <strong>di</strong>essere così affezionato a quelli che lasciavo.A Ungiasca ho trovato quelli <strong>di</strong> Busto i quali hanno cambiato parere;<strong>di</strong>cono che la cosa è troppo pericolosa, che non hanno esplosivo e che, insomma,possiamo tornare.Io non torno, perché tornare lassù significa tornare in<strong>di</strong>etro e in<strong>di</strong>etronon voglio tornare, anche se ho sbagliato, poiché ancora non so bene chesia l’autocritica. Io conosco ancora quella parola grossa che si chiama «orgoglio»e che non è altro che la infantile e deleteria cocciutaggine.Imme<strong>di</strong>atamente deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> stabilirci in quella zona che ha il vantaggio<strong>di</strong> essere a tre quarti d’ora da Intra e Pallanza.«It’s a long way to Tipperary / it’s a long way to go…». Tucci tenta <strong>di</strong>canticchiare per l’ennesima volta questa canzone che ormai mi sta venendoa noia. Sì, effettivamente per raggiungere il nostro accampamento, «it’sa long way» la strada è lunga. Per far sì che nessuno scopra il luogo del nostroaccampamento compiamo lunghi giri prima <strong>di</strong> giungere. «It’s a longway to Tipperary»…e così la nostra <strong>di</strong>mora viene battezzata «Tipperary».La nostra <strong>di</strong>mora è una tenda; quando c’è sole è afosa, quando pioveè inospitale. Nella tenda da poco piantata regna il perfetto caos e si verificanoi più <strong>di</strong>sparati connubi: le scarpe sono avvolte nelle coperte, i pannisporchi accarezzano il pane, le munizioni giocano con la terra, il pacchettodel burro ospita famigliole <strong>di</strong> formiche. Con tutto ciò non ci sembraorrenda, bensì pittoresca e migliore dell’albergo del Cavallone per conciliareil sonno.Tra un paio <strong>di</strong> giorni inizieremo l’attività.Aprile 1944. Oggi abbiamo consegnato ad Ugo il primo moschetto,per il Cavallone. Ugo l’abbiamo trovato ad Ungiasca ed il moschetto a Trobaso,attaccato ad un milite.Ho già visto Guido, Ugo, Arturo, altri. Non mi chiedono nemmenoperché sia sceso. È spiaciuto a loro? Forse sì, perché sento che sono spaesati.33


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniCarluccio ieri mi ha detto che toccava a me scuotere le coperte e preparareil «letto». Me lo son fatto ricordare perché non ne avevo forse voglia<strong>di</strong> farlo?27 aprile 1944. Abbiamo fatto conoscenza con il «Lot». «Lot» non è ilnome <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> un partigiano, ma il nome <strong>di</strong> un oste, padre <strong>di</strong> un partigiano:«Rolando».Il «Lot» abita nell’unica osteria <strong>di</strong> Manegra, un simpatico villaggio sopraOggebbio e lui è l’unico abitante permanente <strong>di</strong> Manegra.A Manegra, siamo venuti per cercare un piccolo deposito <strong>di</strong> armi e munizioni,ma abbiamo perso l’autobus: qualcun altro è giunto prima <strong>di</strong> noie non abbiamo trovato che un centinaio <strong>di</strong> colpi <strong>di</strong> fucile.Ora siamo nell’osteria del «Lot» a mangiare: il «Lot» ci avvisa che a Premeno,a un’ora <strong>di</strong> qui, c’è un presi<strong>di</strong>o <strong>della</strong> GNR. Il presi<strong>di</strong>o non è altroche quattro o cinque militi ed altrettanti carabinieri. Deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> fare ungiretto da quelle parti, per vedere se possiamo trovare qualcosa: siamo incinque e <strong>di</strong>scretamente armati, poiché le ultime scorribande hanno fruttato.Abbiamo tutti due pistole ed io lo «sten» che Gabri, Carluccio e Tito,hanno fregato ad un milite a Trobaso.Manca Franco. È partito in licenza e non è più tornato: Toni Aspes l’hafatto catturare a Laveno.Abbiamo pulito la caserma. Tutti sono stati buoni ed hanno subitomollato le loro preziose cianfrusaglie. Il briga<strong>di</strong>ere, che ha già ricevuto unproiettile nel collo, da due partigiani <strong>della</strong> «Battisti», e dal quale per la secondavolta ritiro la pistola, ci ha detto che c’è ancora un milite in paese.[12] Ci sparpagliamo qua e là, sguardando nei caffè, per recuperare anchel’ultimo moschetto. Alla stazione, sento che Tucci <strong>di</strong>ce: - È qui. - Subitodopo uno sparo. Un compagno corre in<strong>di</strong>etro <strong>di</strong>cendomi concitatamente:- Hanno preso Tucci.Mi getto sull’entrata del caffè…Tucci ha una mano bucata, io ho un occhio nero per un colpo <strong>di</strong> pistolache mi hanno sparato a bruciapelo. Lo «sten» ha ucciso un carabiniere eun milite. Un terzo è fuggito. Il briga<strong>di</strong>ere è un porco, poiché ci ha dettoche mancava soltanto un milite. Che sperava da questa bugia?Guardo i due cadaveri: il milite giace <strong>di</strong> fianco, con la testa spaccata da34


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniuna raffica e con la mano che stringe ancora il pugnale. Il carabiniere, supino,ha gli occhi aperti, occhi azzurri <strong>di</strong> una fissità intensa. Il suo viso ècomposto ad un ghigno che sa <strong>di</strong> o<strong>di</strong>o e <strong>di</strong> riso. Dal suo petto escono rivoletti<strong>di</strong> sangue.Li guardo e <strong>di</strong>co a Tucci: - Poveri Cristi! L’han voluto loro!Rastrelliamo le armi: Tucci smoccola stranamente, poiché non trova lasua pistola, una «Gabilondos» 7,65. È ancora eccitato per il corpo a corpoche ha dovuto sostenere contro i tre. Rivoltiamo i morti, ma la pistolanon si trova…Tucci ha ricevuto una lezione: ha imparato a sue spese che un ragazzinoche ancora sa <strong>di</strong> latte, non intima la resa, con una 7,65 a 25 centimetri <strong>di</strong><strong>di</strong>stanza dai loro petti. Quelli non potevano altro che saltargli addosso.28 aprile 1944. Questa mattina ci ha svegliati un ronzio caratteristico,raffiche e colpi sor<strong>di</strong>. Appena fuori abbiamo guardato il cielo: tre «Stukas»volteggiavano ad occidente e scendevano in picchiata ad ogni passaggiosulla Valgrande. Spezzonavano e mitragliavano: il «Valdossola» era <strong>di</strong> nuovoattaccato. Scen<strong>di</strong>amo sotto Ungiasca e raggiungiamo il versante sinistro<strong>della</strong> valle del S. Bernar<strong>di</strong>no, <strong>di</strong>rimpetto a Rovegro.Primavera 1944: un gruppo <strong>di</strong> giovani partigiani in Valle Intrasca che <strong>di</strong>edero vita alla «Cesare Battisti»35


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniA Rovegro c’è un concentramento <strong>di</strong> automezzi; con il binocolo <strong>di</strong>stinguiamogli attaccanti: sono tedeschi, e militi <strong>della</strong> legione «Muti».Siamo soltanto in tre: Tucci, Carluccio ed io. Tucci è febbricitante perla ferita <strong>di</strong> ieri a Premeno e poi non abbiamo che lo «Sten» e le pistole.I tedeschi e i fascisti sono sparsi tra i boschi ed i prati, attorno al paese.Ci <strong>di</strong>vertiamo ad offenderli in gergo poco decoroso: quelli ci sentono,sbinocolano, ma non ci riescono a vedere, poiché, immobili, siamo confusicol terreno.Due fascisti, un ufficiale e un milite, si <strong>di</strong>rigono, sulla carrozzabile versoponte Casletto. Scendo in <strong>di</strong>rezione del fondo valle e da trecento metrisparo una raffichetta all’in<strong>di</strong>rizzo dei due. I colpi <strong>di</strong> un’arma che fallisceil bersaglio, anche a cinquanta metri, non possono essere troppo pericolosia trecento, ma quelli devono essere molto prudenti, poiché percorronoun centinaio <strong>di</strong> metri carponi, al riparo <strong>di</strong> un muretto e altrettanti adottima natura. Sento sopra <strong>di</strong> me le risa fragorose dei due compagni; no,quelli non sono coraggiosi ed hanno fatto una pessima figura innanzi ai loroavversari. Esprimiamo, ad alta voce, il nostro giu<strong>di</strong>zio nei loro riguar<strong>di</strong>,ma quelli continuano quanto mai guar<strong>di</strong>nghi.29 aprile 1944. Stamattina sono giunti dal Cavallone, Guido, Brunelloe Guidone, con fucili e mitragliatore. Se stamattina riattaccheranno tenteremo<strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re che i fascisti passino sulla carrozzabile Rovegro- ponteCasletto.Mi <strong>di</strong>cono che Biancar<strong>di</strong>, in seguito all’attacco <strong>di</strong> ieri in Valgrande, sisia ritirato sul monte Marona. Pare sia molto preoccupato, eccessivamentepreoccupato. Qualcuno mormora che sia venuto quassù per cercarsi un«buco». Io penso che in seguito alla caccia che gli è stata data per mesi aMilano, abbia i nervi molto scossi, e ciò è comprensibile.Maggio 1944. Biancar<strong>di</strong> è partito: pare sia partito definitivamente. Datempo aveva già rinunciato alla sua qualifica <strong>di</strong> ispettore, poiché né Arcané Superti gra<strong>di</strong>vano la sua intromissione.Al Cavallone ora la situazione non è molto chiara: manca il comandantea quei cinquanta uomini, con tutte le conseguenze presumibili.Arca ha spostato i quaranta uomini <strong>della</strong> «Battisti», al rifugio del Vadaaa cavaliere tra la Val Cannobina e la Val Intrasca.Superti ha <strong>di</strong>sposto tutti i suoi <strong>di</strong>staccamenti in Valgrande, scaglionan-36


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinidoli lungo il fondo valle. Il «Valdossola» conta ormai 150 uomini.Le foglie sono spuntate: chi non è partigiano non può capire quantoamiamo le foglie. Non può capire il piacere che proviamo vedendole crescere.Le foglie nascondono tutto: noi, le nostre abitazioni, la nostra vita, lenostre intenzioni. Per questo, amiamo le foglie che acque e sole han fattocrescere. Più acqua che sole: gli acquazzoni si avvicendano a ritmo veloce.Nella tenda rischiavamo <strong>di</strong> marcire, per cui abbiamo cambiato <strong>di</strong>mora: oraabitiamo in una casa, nella frazione La Nava, sotto Ungiasca; è una casettarustica, isolata. La famiglia, ora, si è accresciuta <strong>di</strong> Guidone e <strong>di</strong> una recluta.La recluta, però, ha sulle spalle quattro anni <strong>di</strong> «naia» negli alpini dell’«Intra»,e le campagne <strong>di</strong> Francia, Albania, Balcania e due decorazioni. Èconosciuto in tutta la zona, da anni, con il suggestivo nome <strong>di</strong> «Bagat», edanche da noi si chiama così. Gli ho mandato un biglietto a Intra, un giorno,fissandogli un appuntamento a Miazzina, una sera. Quella sera lo trovaiin mezzo a una piazzetta <strong>di</strong> Miazzina, con le mani in tasca e con l’ariaannoiata e assente. Lo salutai: - Ciao «Bagat».- Ma io non ti conosco.- Sono quello del biglietto: ti conoscevo <strong>di</strong> vista e sono stato a scuolacon te nelle elementari.- Ah!- Allora, vuoi stare con me?- Sì.- Quando verrai allora con noi?- Ci posso stare fin d’adesso.- Ma come, non vuoi andare ad avvisare i tuoi, non vuoi prendere qualcosa,cambiarti il vestito?- No, non è necessario.- Sei autista, vero?- Sì.- Stasera si dovrebbe scendere verso Intra con un paio <strong>di</strong> camioncini.Vuoi guidarne tu uno?- E perché no?…Hai un’arma per me?- Fu così che «Bagat», nel primo giorno <strong>di</strong> partigiano, partecipò alla suaprima azione.[13] Abbiamo fatto atto <strong>di</strong> sottomissione a Superti. Ora facciamo partedel Battaglione «Valdossola». Siamo però staccati dal resto <strong>della</strong> forma-37


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinizione, poiché gravitiamo sempre sulla zona <strong>di</strong> Miazzina ed abbiamo compiti<strong>di</strong> rifornimento viveri, <strong>di</strong>sturbo e pattuglia.Avevo chiesto, in proposito, il parere <strong>di</strong> Arca, ed anche lui <strong>di</strong>ceva chestava per unire la «Battisti» al «Valdossola», poiché vedeva in Superti l’uomoche, nella zona, desse maggior affidamento.Sono andato al comando del «Valdossola», in Valgrande. Da poco sonostati effettuati, dagli alleati, due «lanci Standard»; poca cosa: un centinaio<strong>di</strong> Sten, munizioni, esplosivo, viveri e vestiario.Ho ottenuto due Sten, granate a mano e bombe incen<strong>di</strong>arie. Ora incinque abbiamo tre armi automatiche e parecchie pistole: moschetti nonne vogliamo. I moschetti e la guar<strong>di</strong>a sono le cose che non ci piacciono.Personalmente, penso che la guar<strong>di</strong>a non serve quando nessuno <strong>di</strong>sturba.E ne servirebbero <strong>di</strong> più quando c’è qualcosa. Ma queste idee sono personalie incontrano pochi proseliti fuori dalla nostra squadra. Tuttavia noi,imperterriti, continuiamo ad andare a dormire non sapendo come e da chipotremo essere svegliati.A viveri ora stiamo bene: il Comitato <strong>di</strong> Busto continua a rifornircimentre pare che a Pian Cavallone abbiano tagliato i viveri, perché è ungruppo troppo «rosso» per loro.Al Cavallone, Guido è stato nominato comandante con votazioni quasiunanimi, e si è mostrato subito molto energico.Nella nostra zona è <strong>di</strong>slocata un’altra squadra del «Valdossola», <strong>di</strong> unaquin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> uomini, al comando <strong>di</strong> due fratelli: Cesare e Sandro. LaDiarchia non dev’essere un ottimo sistema <strong>di</strong> governo, poiché spesso i duefratelli <strong>di</strong>scutono «animatamente» tra loro.In quella squadra ci sono tre o quattro ragazzi sui <strong>di</strong>ciotto anni, moltoin gamba: prima appartenevano alle formazioni <strong>di</strong> Moscatelli, poi furonocatturati e si arruolarono nella GNR per non essere fucilati. Hanno <strong>di</strong>sertatoqualche giorno fa, dopo aver <strong>di</strong>sarmato i trenta uomini del presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong>Fondotoce, salendo carichi <strong>di</strong> armi. Il nome <strong>di</strong> battaglia per alcuni <strong>di</strong> loroè il vero nome: Porta, Filotto, Travaglino. Gianni è il più in gamba <strong>di</strong> loro:il resto non vale molto.21 maggio 1944. Stamattina alle otto, Carletto, un ragazzo <strong>di</strong> Ungiasca,ci ha svegliati bruscamente <strong>di</strong>cendoci che i fascisti, da ieri sera alle 23,sono a Miazzina ed hanno già attaccato Pian Cavallone.Deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> tender loro un’imboscata sulla strada <strong>di</strong> Miazzina, quan-38


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinido torneranno. Altre notizie, attinte dagli abitanti, ci informano che i fascisti(ar<strong>di</strong>ti <strong>della</strong> Legione «Tagliamento») sono giunti con automezzi sinoa Cambiasca ed hanno proseguito a pie<strong>di</strong>.Ci appostiamo, sopra una curva, sulla strada ed atten<strong>di</strong>amo. Siamo incinque: Bagat, Tucci, Guidone, Carluccio ed io; 3 sten, un mitragliatore,un moschetto. Verso mezzogiorno salgono due «Spa 38» con i soli autisti.Li lasciamo passare.Ad un certo punto io e Bagat, che per necessità igieniche, siamo in untratto scoperto, siamo scoperti da due militi, che da un muretto sopra alSanatorio, guardano in basso.Torniamo dagli altri e deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> appostarci più in basso. Camminiamotra le felci, a qualche metro sopra la strada: ci abbassiamo a tempo pernon essere scorti dai militi che scendono sui due «Spa 38». Gli automezziscendono a motore spento, i militi canticchiano una canzone popolare.Siamo accucciati tra le felci, a qualche metro sopra <strong>di</strong> loro. All’intornoc’è soltanto terreno scoperto: una scarpata lunga, spoglia <strong>di</strong> alberi. Bagat,che <strong>di</strong> fianco a me, stringe nervosamente l’arma, mi sussurra che non possiamosparare: lo so. Ci faremmo accoppare tutti.Ci appostiamo ed atten<strong>di</strong>amo ancora qualche ora, ma inutilmente: tuttii fascisti hanno lasciato Miazzina.Saliamo lungo la strada. A Miazzina incontriamo i partigiani reduci dalcombattimento <strong>di</strong> Pian Cavallone: da parte nostra nessuna per<strong>di</strong>ta, nemmenoun ferito. Li hanno attaccati stamattina alle sette, quasi <strong>di</strong> sorpresa,favoriti dalla nebbia. L’unica «arma pesante», il mitragliatore, si è subitoinceppato e non ha più sparato. I nostri hanno resistito un po’ alla «Colma»e all’Albergo e in seguito hanno dovuto ritirarsi al «Toden». Di lì hannovisto bruciare l’Albergo.«Nord», un ragazzo <strong>di</strong> Vicenza, piangeva vedendolo bruciare, e tuttihanno stretto i pugni.Ad<strong>di</strong>o, Albergo del Pian Cavallone! Hai finito <strong>di</strong> ospitare i cenciosi soldati<strong>di</strong> un esercito senza capo, senza Stato Maggiore, senza artiglierie, senza<strong>di</strong>rettive, spesso senza pane, senza armi. Ti amavamo perché ricor<strong>di</strong>amoquando ci riparavi dal freddo, dalla tormenta. Ti amavamo perché lì,abbiamo indurito i muscoli, abbiamo trovato un senso <strong>della</strong> vita. Ora nonsei altro che macerie e muri arrostiti dal fuoco, anneriti dal fumo, come cene sono a Milano, a Berlino, a Londra, a Cassino, dovunque sono passatele <strong>di</strong>visioni vittoriose o le <strong>di</strong>sor<strong>di</strong>nate colonne in ritirata; dovunque è pas-39


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinisata la guerra che vince sul vinto e sul vincitore: su gli uomini e sulle cose.La guerra perde soltanto <strong>di</strong> fronte a chi la o<strong>di</strong>a, a noi. Dinanzi a Guido chepreferiva starsene a casa a pescare, davanti a Bagat, che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere salitoperché non vuole andare in guerra, innanzi a Gabri che avrebbe volutofrequentare il Politecnico.[14] Maggio 1944. Due militari <strong>della</strong> «Luftwaffe» hanno <strong>di</strong>sertato. Ancheloro non vogliono più combattere la guerra. Sono partiti da Oleggiocon un autocarro e dopo averlo <strong>di</strong>strutto, si sono presentati a noi. Si chiamanoKarl e Ludwig, <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> essere austriaci.Karl è biondo, alto, secco; ha un viso affilato, occhi <strong>di</strong> colore indefinibile.Il suo sguardo, sempre intelligente, talvolta è tagliente, quasi cattivo,talvolta chiaro e scanzonato come quello <strong>di</strong> un monello. È loquace e siesprime in un italiano stentato e buffo.Ludwig è l’opposto: piccolo, tozzo, taciturno, capelli ed occhi castani,viso quadrato e sguardo impenetrabile. Non si sa affatto esprimere in italiano.Forse la sua intelligenza è chiusa quanto il suo carattere.Sono eccellenti bevitori e Karl ha subito fraternizzato con Bagat. Fannoparte <strong>della</strong> nostra squadra ed io <strong>di</strong>ffido un po’ <strong>di</strong> loro.Dopo la puntata nemica al Pian Cavallone, Guido ha portato un forte<strong>di</strong>staccamento ad Alpe Cavallotti. È denominato <strong>di</strong>staccamento «Bolgia».Il nome calza alla perfezione, poiché gli elementi più attivi, più «cal<strong>di</strong>», sonoin tale <strong>di</strong>staccamento. I ragazzi <strong>di</strong> lassù sono un po’ arrabbiati con noi,poiché non abbiamo fatto l’imboscata. Forse non credono nemmeno chenon abbiamo potuto farla soltanto perché non abbiamo avuto fortuna.Molto arrabbiati, ed a ragione, sono con la squadra <strong>di</strong> Sandro e Cesare,i quali, in allarme dalla sera precedente alla puntata, non hanno avvisatoPian Cavallone. Nemmeno noi hanno avvertito: si trattava <strong>di</strong> venti minuti<strong>di</strong> strada…Da parecchio non facciamo altro che azioni <strong>di</strong> prelevamento viveri:quasi ogni notte non dormiamo e quasi ogni notte giungono a Miazzinacarichi <strong>di</strong> viveri. Al mattino, regolarmente, prima <strong>di</strong> andare a dormire, facciamouna visita alla solita «Trattoria Visconti». La faremo fino a che Karle Ludwig non avranno finito il denaro che hanno.Miazzina, la domenica sembra un paese in giorno <strong>di</strong> fiera: lunghe teorie<strong>di</strong> persone salgono da Intra, da Pallanza, dai paesi sottostanti per vederequegli in<strong>di</strong>vidui che ora la propaganda fascista non chiama più «sban-40


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinidati» né «elementi antinazionali», ma semplicemente «ribelli», «fuori legge»ed anche «partigiani». Sì, ribelli; ribelli alle loro imposizioni, fuori dallaloro legge, partigiani <strong>di</strong> ciò che è giusto. E la popolazione, la buona gentedel Verbano comincia a capirlo. Per questo, nei paesi ci offrono ospitalità,viveri, protezione. Per questo la gente ci viene a trovare e ci fa dono<strong>della</strong> sua solidarietà.Che ne pensano intanto, i fascisti laggiù? Chiari segni in<strong>di</strong>cano che, seriamentesi preoccupano del «fenomeno ribellistico». Già nell’aprile il prefetto<strong>di</strong> Novara ci aveva assicurato impunità ed esenzione da obblighi militari,se ci fossimo presentati e ci aveva proposto un «modus viven<strong>di</strong>» tranoi e i fascisti, proposte che naturalmente abbiamo respinto.Sentono già la nostra forza e la nostra superiorità morale: dopo ottomesi dalla nascita del partigiano su queste montagne, non un’azione condottada loro, ha ottenuto risultati sod<strong>di</strong>sfacenti. Non un partigiano è cadutoancora, in azioni belliche. Invece a loro, qualche morticino è scappatoe parecchie azioni si sono risolte a nostro favore, con risultati eccellenti.[15] Qualche giorno fa abbiamo anche effettuato un cambio <strong>di</strong> prigionieri.Durante il cambio è avvenuto un significativo colpo <strong>di</strong> scena: un militeche doveva essere cambiato, nella caserma <strong>della</strong> GNR <strong>di</strong> Intra, davantia un suo ufficiale, ha <strong>di</strong>chiarato che rifiutava il cambio e che sarebbe rimastocon noi, anche dopo le esortazioni e le minacce dell’ufficiale.Ora, l’ex milite Camillo Bassi è <strong>di</strong>ventato un ottimo partigiano.Salgono, nei giorni <strong>di</strong> festa, i parenti, gli amici, i conoscenti dei partigiani;salgono gli sconosciuti che vogliono bene ai partigiani ed i partigianiscendono dai loro <strong>di</strong>staccamenti. Si ritrovano; per Miazzina è un ininterrottochiamarsi, salutarsi. Sale qualcuno con la fisarmonica ed al «Caffè Pinotta»si balla. Balli simpatici, fatti <strong>di</strong> rumori stridenti degli scarponi chiodati,che si confondono col suono <strong>della</strong> fisarmonica, con il chiacchierio allegro.Gli uomini offrono «un bicchiere» ai partigiani; il bicchiere <strong>di</strong>ventamolti bicchieri, l’atmosfera si scalda, i partigiani intonano i primi canti.Prima titubanti, poi decisamente; anche i «borghesi» si uniscono ai cori.Fa bene questa comunione <strong>di</strong> popolo e partigiani e non è falsa fratellanza:le ragazze portano abbondanti merende; la «Pinotta», la buona mastodonticaPinotta (ormai il suo caffè è chiamato «Distretto», poiché tuttele reclute attendono in quel luogo, la «bassa <strong>di</strong> passaggio») mette a <strong>di</strong>spo-41


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinisizione il suo caffè e la sua cucina; il Fer<strong>di</strong>nando e il Sassi procurano postiper dormire, tutti ci vogliono aiutare.Capiterà anche qualche spia, fra tanta gente: gli arresti <strong>di</strong> persone venutea trovarci, ne sono la prova. Due ragazze sono già state in<strong>di</strong>viduate edabbiamo tagliato loro i capelli: c’è chi <strong>di</strong>ce che avremmo dovuto fucilarle.Il taglio dei capelli è poco, ma pensiamo che la fucilazione sia troppo.Anche il <strong>di</strong>staccamento <strong>di</strong> Alpe Vel, comandato da Gabri, «corre per gliin<strong>di</strong>pendenti». Ha preso possesso <strong>di</strong> una villetta sopra Caprezzo ed ha iniziatola nostra stessa attività. La villetta è stata denominata «Condor» e lasquadra, «pattuglia Condor». Gabri, sceso tra i conservatori <strong>di</strong> Alpe Vel, finalmenteha rivoluzionato il <strong>di</strong>staccamento.Gabri mi chiama «maestro» e <strong>di</strong>ce che seguirà sempre il mio esempio,ma <strong>di</strong>ce che io sono Cimabue e lui per conseguenza vuol <strong>di</strong>ventare Giotto.Auguri, compagno Gabri.Seguendo il mio esempio, anche lui è andato in Valgrande per il rito<strong>di</strong> sottomissione a Superti e si è portato via tre mitra, senza caricatori. Oragironzola per la zona con i suoi inseparabili calzoncini <strong>di</strong> velluto e con unmitra scarico. Gli chiedo per quale ragione si porti a passeggio quel mitra,ma lui evade sempre la risposta. Sul calcio <strong>di</strong> quel mitra c’è una iscrizione:«X.Y. (il nome <strong>di</strong> un sottufficiale <strong>della</strong> GNR) Viva la Vita». Ironia <strong>della</strong>sorte! Ora è in fondo al Rio Valgrande…[16] Era stato catturato il 28 maggio a Fondotoce con tutto il presi<strong>di</strong>o,dai partigiani del «Valdossola». Scesero <strong>di</strong> notte, una trentina, al comandodel Cap. Mario, ed applicarono una mina che esplose scassando l’e<strong>di</strong>ficio.La successiva sparatoria li costrinse ad arrendersi, meno qualcuno checadde nel breve combattimento. (Furono catturati un ufficiale, 42 militi,2 spie e materiale bellico).Appena Guido ebbe il comando <strong>della</strong> banda, passò anch’egli alle <strong>di</strong>pendenze<strong>di</strong> Superti. Aveva capito che da sola, la banda avrebbe incontrato rilevanti<strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne militare e morale.Superti appena la banda si unì al «Valdossola» mandò un altro comandante.L’atto non fu certo democratico ma era nel suo costume.Il nuovo comandante è un tenente degli alpini, sulla trentina. Si mostra,se non molto intelligente, volenteroso e coraggioso. Se dal lato tecnicoaccusa qualche lacuna, non così dal lato morale. Si chiama «Rolando»42


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinied è il figlio dell’oste <strong>di</strong> Manegra, il «Lot».In seguito a queste ultime «annessioni», il battaglione «Valdossola»(Comandante Superti) è costituito su quattro «bande»: 1ª banda «AntonioGramsci» (c.te: cap. Mario); 2ª banda (c.te Rizzato), tutte e due <strong>di</strong>slocatein Valgrande; 3ª banda «Cesare Battisti» (c.te: Arca), <strong>di</strong>slocata in Valle Intrasca- Vadàa; 4ª banda «Giovane Italia» (c.te: Rolando) <strong>di</strong>slocata a PianCavallone - Miazzina.La forza, <strong>di</strong> 300 uomini, alla fine <strong>di</strong> maggio è <strong>di</strong>stribuita all’incirca così:90 alla prima banda, 90 alla seconda, 60 alla terza, 60 alla quarta.La nostra squadra, quella <strong>di</strong> Gabri e quella <strong>di</strong> Sandro e Cesare sono passatetutte alle <strong>di</strong>pendenze <strong>di</strong> Rolando, ma con larga libertà <strong>di</strong> azione ed autonomia.4 giugno 1944. Bagat ha fermato un milite <strong>della</strong> «San Marco», in licenza.Il milite ha avuto l’accortezza <strong>di</strong> lasciare l’arma (un mitra) nella caserma<strong>della</strong> GNR <strong>di</strong> Intra, prima <strong>di</strong> godersi la meritata licenza, al paesello. Bagatgli ha detto che domattina, giorno in cui egli deve rientrare, andrà a prendereil mitra e glielo consegnerà, pena gravi rappresaglie. Non so quali potrebberoessere le rappresaglie.L’appuntamento è fissato per le 5,30 al ponte Vigne, a Intra.Ormai possiamo permetterci <strong>di</strong> fare brevi passeggiate nei sobborghi <strong>di</strong>Intra e Pallanza. La nostra zona d’influenza <strong>di</strong>venta sempre più vasta. I piccolipresi<strong>di</strong> nemici sono stati ritirati: a Fondotoce, dopo l’incursione <strong>della</strong>I banda, non hanno più rimesso il presi<strong>di</strong>o. Nella zona non rimangono chei presi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Pallanza, Intra, Oggebbio, Cannobio e quelli <strong>della</strong> Val Cannobina.In Val Cannobina sono comparse le prime pattuglie <strong>della</strong> «Battisti»:hanno attaccato il presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Cavaglio e automezzi tedeschi.Nella zona, ormai non si avventurano più piccoli reparti avversari.5 giugno 1944. Scendo verso Intra con Bagat, per ritirare il mitra del«sanmarchino». Sopra Comero, sentiamo rumore <strong>di</strong> passi: nessuna pattuglianostra è fuori. Ci spostiamo sui bor<strong>di</strong> <strong>della</strong> strada e lasciamo che glialtri avanzino… Al nostro «Chi va là» si affrettano a <strong>di</strong>re che sono dei nostrie che hanno un fascista prigioniero. Si presentano: sono appartenentia quella squadretta che opera clandestinamente a Intra ed ora, poiché sonostati riconosciuti, riparano da noi. Sono «Sascia», «Ru<strong>di</strong>» e «Fausto». Ilfascista, catturato stanotte con uno stratagemma, è uno dei più pericolosi43


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini<strong>della</strong> zona. L’accoglienza che facciamo al fascista non è delle più cor<strong>di</strong>ali.Salutiamo i compagni proseguiamo. A Trobaso an<strong>di</strong>amo a chiamare Guidoneche ieri sera è andato a casa. Giungiamo sul luogo dell’appuntamentocon un’ora d’anticipo e perlustriamo attentamente: meglio non fidarsi.Alle 5,30 il milite non è ancor giunto: Bagat minaccia terribili rappresaglie;inganniamo l’attesa cogliendo ciliegie da un albero vicino.Alle 6 arriva il milite con il mitra e quattro caricatori.Tornando passiamo a 100 metri dalla sentinella che passeggia sul ponte<strong>della</strong> Rimessa. Per qualche minuto Bagat lo tiene sotto la mira del suomitra. Gli <strong>di</strong>co <strong>di</strong> non sparare: non sarebbe onesto sparargli in tali con<strong>di</strong>zioni,poi, osservo, non si potrebbe nemmeno recuperare il suo mitra, causail posto <strong>di</strong> blocco, vicino. Per la verità, questa seconda ragione determinala salvezza del milite.Forse lui non saprà mai che in quei momenti ha rischiato <strong>di</strong> morire eche io con una osservazione <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne morale (poco convincente) e conun’altra <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne tecnico (molto più convincente) gli ho salvato la vita.6 giugno 1944. Questa sera si deve andare ad Arizzano per ritirare scarpeed altra merce. Si andrebbe in macchina.Da tre notti non dormo e Bagat da quattro. Una abbondante libagionea Cambiasca, ci ha messo addosso una sonnolenza invincibile; cosicché noidue e Carluccio restiamo a terra. Partono, verso sera, una decina, tra cuiTucci, Karl, Porta, Jean, Filotto, Gianni. Al ritorno vogliono passare peril lungolago <strong>di</strong> Intra. Sportivamente sarà una bella cosa, ma militarmentenon ha senso. A un centinaio <strong>di</strong> metri dall’Imbarcadero, da una via laterale,sbuca un automezzo. Karl, che è al volante, blocca la macchina a 15 metridall’automezzo e accende gli abbaglianti. È un’autoblinda.Un attimo e poi i nostri cominciano a sparare. Qualche secondo e cominciaa cantare una mitragliatrice…Jean è colpito da una ventina <strong>di</strong> schegge <strong>di</strong> bomba a mano; Karl ha unproiettile nel fianco destro; Filotto ha un mignolo spaccato da un colpo:il <strong>di</strong>to è attaccato al palmo soltanto per un po’ <strong>di</strong> pelle. Uno strattone e il<strong>di</strong>to è staccato.[17] I feriti si ritrovano al Sanatorio <strong>di</strong> Miazzina; vengono me<strong>di</strong>cati,poi vanno alla «Trattoria Visconti» a ristorarsi col vermouth, con parec-44


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinichio vermouth!Tutti sono rientrati, meno uno: Gianni.Dalle prime notizie appren<strong>di</strong>amo che sul luogo dello scontro, stamattinac’era un cadavere con la testa spaccata: Gianni.Nel tentativo <strong>di</strong> portarsi sotto l’autoblinda per lanciare una «Sipe», èstato raggiunto da una raffica <strong>di</strong> mitraglia. È il primo partigiano caduto interra verbanese.«Raccolli Semplice, “Gianni”, <strong>di</strong> S. Maurizio d’Opaglio, classe 1924»,una raffica e due tratti <strong>di</strong> penna ti hanno cancellato dai ruolini <strong>della</strong> IVBanda. Sotto, si legge un’annotazione: «Caduto in combattimento a Intra,il 13 giugno 1944». Ad<strong>di</strong>o, Gianni.- Pronto? Caserma <strong>della</strong> milizia?- Sì. Con chi parlo?- Con un partigiano.- Tanto piacere.- Per me no invece. Desidererei parlare con il vostro Comandante.- Sono io.- Voi avete il cadavere <strong>di</strong> un nostro compagno, Raccolli Semplice. Avreste<strong>di</strong>fficoltà se noi provvedessimo a ritirarlo e portarlo a Miazzina?- Sì, non si può.- Ma a voi non costa niente, non chie<strong>di</strong>amo che una cosa umana, possibilissima…- Ripeto che non possiamo. Ora sospendo la comunicazione perché…- Se non ci lasciate il cadavere vi impicchiamo tutti i vostri prigionierisugli alberi dell’ «Allea……» ma il «comandante» ha interrotto la comunicazione.Questa, la conversazione tra me e il comandante <strong>della</strong> GNR <strong>di</strong> Intra.Non ci vogliono dare Gianni. Povero Gianni! Ti manderemo dei fiori,ti ricorderemo sempre.I fascisti hanno emesso un nuovo bando <strong>di</strong> chiamata per le classi 1921e 1926. Le reclute, in questi giorni, si presentano a <strong>di</strong>ecine, da noi. È uncontinuo arrivo <strong>di</strong> squadre <strong>di</strong> ragazzi a Ponte Casletto, a Miazzina, al Vadàa.Al 10 giugno il «Valdossola» è costituito <strong>di</strong> 400 uomini: 110 la I Banda,130 la II, 80 la III, 80 la IV, ma tutti ci credono migliaia.L’altro giorno a Caprezzo è giunto un camion con una mitragliatrice45


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniBreda ’37 e una ventina <strong>di</strong> uomini al comando <strong>di</strong> un ufficiale degli alpini:Mario, Mario Flaim. Quel gruppo si è unito alla «Giovane Italia».12 giugno 1944. Da qualche tempo il comando <strong>di</strong> battaglione ci avevainformati <strong>di</strong> un probabile lungo rastrellamento, che avrebbe dovuto averinizio il 2 giugno, poi rimandato <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci giorni: il 12 giugno; ma noi alsolito non cre<strong>di</strong>amo a informazioni del genere, anche se sono giunte dalnostro migliore informatore, un ufficiale che presta servizio in un comandofascista. Stanotte, verso le ventitre, da Ungiasca, abbiamo visto una fila<strong>di</strong> luci che avanzavano da Baveno verso Fondotoce. Non abbiamo volutomettere in relazione i due fatti: siamo molto ottimisti noi partigiani e<strong>di</strong> rastrellamenti e le puntate finora ci hanno lasciati in<strong>di</strong>fferenti. Forse perchéabbiamo subito soltanto attacchi <strong>di</strong> poca entità.Stamattina abbiamo u<strong>di</strong>to i primi colpi e le prime raffiche verso la Valgrande.Quattro partigiani che si trovavano in pattuglia tra Ponte Caslettoed Ungiasca, dopo una piccola sparatoria hanno riparato ad Ungiasca. Diconoche i tedeschi sono già a Ponte Casletto e sparano con l’81 su Cicogna;pare che non tutte le mine dei tre ponti, abbiano funzionato. Per tuttala giornata nessuna staffetta è giunta dalla Valgrande, siamo isolati dalComando.[18] Verso sera Gabri, con una quin<strong>di</strong>cina <strong>di</strong> uomini scende in <strong>di</strong>rezione<strong>di</strong> Rovegro. I tedeschi hanno due prigionieri e intendono fucilarli. Alponte, tra Cossogno e Rovegro odono qualche raffica: i due partigiani sonostati fucilati. Nello stesso tempo la pattuglia è scoperta e fatta segno alfuoco <strong>di</strong> armi automatiche: si ritira con un ferito.Domani mattina, forse attaccheranno noi.[13 giugno 1944] Nemmeno oggi siamo stati attaccati, mentre in Valgrandeda stamattina si combatte.Oggi, con il 105 hanno bombardato la casa dell’Alpino e Cicogna. ACicogna non ci sono nostri <strong>di</strong>staccamenti, eppure la bombardano. Moltecase sono state colpite: qualcuna brucia.Oggi hanno usato anche gli aerei.Chissà per quali motivi, cominciamo a pensare che il rastrellamento siridurrà ad un attacco a fondo contro la Valgrande: non «sentiamo» assolutamenteil rastrellamento. Da Rolando è giunto l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> trasferirci a46


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniPian Cavallone. Le <strong>di</strong>sposizioni per la IV Banda, in caso <strong>di</strong> attacco, sonoquelle <strong>di</strong> resistere fino all’esaurimento <strong>di</strong> munizioni sulla linea <strong>di</strong> ripiegamentoAlpe Cavallotti, Pian Cavallone, Monte Marona. Esaurite le munizionila IV banda dovrebbe ripiegare sulla III, la «Battisti», ed infine portarsiin Val Pogallo e congiungersi con la prima e la seconda banda provenientidalla Valgrande. <strong>Del</strong>la mia squadra Bagat, Karl, Ludwig e Guidonestanno scorazzando nella zona <strong>di</strong> Intra e Pallanza.Cesare e Sandro hanno intenzioni meno bellicose: intendono nasconderele armi e imboscarsi. Qualche uomo <strong>della</strong> squadra però non vuol mollarele armi. Le intenzioni sono giunte all’orecchio <strong>di</strong> Rolando e staseragiungendo a Miazzina ho trovato Guido con tutto il «Bolgia». Mi ha fattoleggere un biglietto che conteneva l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> <strong>di</strong>sarmare tutte e due le squadreperché i componenti non intendevano concorrere alla <strong>di</strong>fesa.L’or<strong>di</strong>ne era firmato da Rolando e doveva essere eseguito da Guido.Faccio presente che non ho mai dato or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> imboscare le armi e cheio stesso, lo vede, sono armato. Non intendo che la mia squadra sia confusacon l’altra e tanto meno intendo essere <strong>di</strong>sarmato. Dico infine a Guidoche domani mattina salirò a Cavallone con il resto <strong>della</strong> squadra e parleròcon Rolando <strong>della</strong> faccenda. Guido mi è ostile.14 giugno 1944. Stamattina Tucci ed io avevamo appuntamento conCarluccio alla Nava, per poi salire al Cavallone: quando ci siamo svegliati,ho sentito sopra, sulla strada <strong>di</strong> Ungiasca il caratteristico rombo <strong>di</strong> motori:nel <strong>di</strong>rigermi verso Ungiasca ho incontrato Franca, la sorella <strong>di</strong> Bagat, contre<strong>di</strong>ci reclute. Mi ha detto che da Ungiasca i tedeschi stavano scendendo,forse per rastrellare i boschi.[19] Abbiamo raggiunto Tucci e verso le <strong>di</strong>eci, con Franca, sono partitoper trovare Carluccio; dopo un centinaio <strong>di</strong> metri qualche raffica ci haavvertito che i tedeschi erano vicini, assai vicini. Siamo tornati e abbiamoconsigliato le reclute a ritornare. Abbiamo in<strong>di</strong>cato loro la strada, ma solouno <strong>di</strong> loro si salverà, gli altri saranno catturati e fucilati.Anche Franca è scesa a Intra; noi due deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> raggiungere il Cavallonesenza Carluccio. Vuotiamo gli zaini tenendoci solo il sapone, ildentifricio, lo spazzolino da denti, l’asciugatoio e qualche pacchetto <strong>di</strong> «tabacco<strong>di</strong> prima». Il resto, anche il riso e la farina gialla che poco prima ciaveva dato Franca, lo lasciamo nel bosco sotto un albero, coperto da un47


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinitelo da tenda. Piove: una pioggerella insistente e fine. Al santuario Monscenùtraversiamo la strada e saliamo lungo il pen<strong>di</strong>o ripido e spoglio.Una macchina sta salendo. Ad un certo punto sentiamo raffiche, scoppi<strong>di</strong> bombe a mano, colpi; venti secon<strong>di</strong> <strong>di</strong> fuoco, forse trenta, forse un minuto:il caratteristico fuoco delle imboscate. Poi voci concitate che si perdononel bosco: mi sembra <strong>di</strong> u<strong>di</strong>re la voce <strong>di</strong> Gabri: – Da questa parte.Infine silenzio. Saliamo più veloci, poiché siamo visibili da Cambiasca, arriviamosulla cresta e finalmente entriamo nel bosco. Nel fogliame intravedouna testa, chiamo: sono nostri compagni. Ci <strong>di</strong>cono <strong>di</strong> abbassarci, poichéda Alpe Pala i tedeschi stanno sbinoccolando.Ora sentiamo una violenta sparatoria verso Pizzo Pernice. Ad Alpe Cavallotti<strong>di</strong>stinguiamo col binocolo una mitragliatrice, dei tedeschi attornoad essa e la villa, il «Bolgia», che brucia. La mitragliatrice sgrana lunghe raffichein <strong>di</strong>rezione <strong>della</strong> «Colma». Mezz’ora dopo la mitragliatrice tace perriprendere in seguito, ma dalla «Colma» verso il Cavallone, poi dal Cavalloneverso il Toden. Me ne sto muto a guardare pensando che lassù si sparaed io che dovevo andarci, non ci sono andato; forse qualcuno è già mortoe io sto mangiando il pane e la sar<strong>di</strong>na che mi hanno offerto i compagni.Forse lassù i compagni arrancano stremati, affamati, molli d’acqua e <strong>di</strong> sudore,sotto i colpi, verso il Toden ed io, a duecento metri dai tedeschi chescrutano, non mi posso muovere. Da parecchio tempo le mitragliatrici avversariesparano sempre dal Cavallone e non avanzano; sparano lunghe erabbiose raffiche <strong>di</strong> 15-20 colpi. Ora si sente un’altra mitraglia: raffiche alunghi intervalli <strong>di</strong> due-tre colpi, timbrate, la nostra «Breda 37». La «GiovaneItalia» resiste al Toden. Man mano che scende la sera, tacciono le mitragliatrici,i mitragliatori, i fucili…Ci avvoltoliamo nella coperta, puntando i pie<strong>di</strong> contro un albero pernon scivolare in basso, mentre la pioggia continua a cadere.15 giugno 1944. Verso le <strong>di</strong>eci u<strong>di</strong>amo una forte detonazione: pensoa qualche ponte saltato, a qualche mina esplosa, ma dopo qualche secondosopra la mia testa, sento un intenso rumore che sa <strong>di</strong> batter d’ali e<strong>di</strong> fischio, <strong>di</strong> tormenta e <strong>di</strong> cascata d’acqua. Man mano il rumore si perde,poi verso la cappelletta del Cavallone, una nuvoletta sospesa nell’aria,infine una colonna nerastra che sale violentemente dal terreno, seguita daun boato.È il cannone, il 149, che da Intra spara verso il Cavallone.48


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini[20] Il cannoneggiamento continua per parecchie ore: i colpi battonoil Cavallone, la cappelletta, battono insistentemente la cresta del Toden,la Marona.Anche un mortaio da 81 spara da Alpe Pala su Alpe Vel.16 giugno 1944. Il rastrellamento è iniziato cinque giorni fa: non c’èpiù niente da mangiare, sono finiti i cannoneggiamenti, le raffiche ed i colpisi fanno sempre più ra<strong>di</strong>. Soltanto dal Vadàa, dallo Zeda si sente ancorasparare.Sulla strada, a Cambiasca, il via vai dei camion è sempre intenso, piùdei primi giorni. Si succhiano le foglie lucide d’acqua quando si ha sete.Abbiamo fame. Io non so resistere alla fame, o meglio la fame mi fascordare il pericolo. Ho convinto gli altri a scendere verso Cambiasca incerca <strong>di</strong> viveri. Partiamo a notte fonda, passiamo la strada, scen<strong>di</strong>amo nelbuio inciampando, imbrigliandoci tra i roveti, spesso sbagliando strada,bestemmiando sordamente.Sopra Cambiasca entriamo nell’abitazione <strong>della</strong> moglie <strong>di</strong> un partigiano:nemmeno qui c’è da mangiare. Quella donna ci <strong>di</strong>ce che i fascisti hanmesso posti <strong>di</strong> blocco dappertutto, che staranno nella zona una quin<strong>di</strong>cina<strong>di</strong> giorni e che tutto il giorno girano per i boschi facendo passare ognibaita, ogni cespuglio.Qualcuno è scoraggiato, tutti sono <strong>di</strong> umor nero. Salgo <strong>di</strong>versi ciliegi incerca <strong>di</strong> frutti, nel buio, con le mani, ma le ciliege sono già state colte. Neracimolo una ventina: non mi compensano nemmeno delle energie sprecatearrampicandomi. Propongo agli altri <strong>di</strong> scendere verso Intra ma nessunoraccoglie la proposta. Gli altri infine decidono <strong>di</strong> imboscarsi in una vallettae <strong>di</strong> attendere la fine del rastrellamento: la proposta non è molto geniale.Convinco Tucci a seguirmi e partiamo. Evitiamo Cambiasca e puntiamoverso le ultime case <strong>di</strong> Trobaso: ci togliamo le scarpe.Vicino alla chiesa sento il chiacchierìo dell’acqua <strong>di</strong> una fontana: ho sete.Propongo a Tucci <strong>di</strong> andare a bere ma lui <strong>di</strong>ce che facilmente nei pressivi sarà una sentinella. A malincuore, dopo una sommessa <strong>di</strong>scussione, milascio convincere e passiamo la strada trenta-quaranta metri sopra: c’è laluna e vicino alla fontana c’è una sentinella.Sul ponte <strong>di</strong> Possaccio togliamo le sicure agli «Sten» e traversiamo senzaesser visti, non sapendo <strong>di</strong> essere passati poco prima sotto la casa in cuidormono i fascisti del vicino posto <strong>di</strong> blocco.49


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniSopra Possaccio ci fermiamo a fumare l’ultimo tabacco; talvolta le sigarettecalmano la fame, anche se sono infumabili.Proseguiamo: evitiamo, per strana intuizione, un altro posto <strong>di</strong> bloccoa Vignone, poi scen<strong>di</strong>amo. Ormai sono a casa mia: <strong>di</strong> questa zona conoscoogni prato, ho in mente l’esistenza <strong>di</strong> ogni muretto, <strong>di</strong> ogni filo spinato.Traversiamo Zoverallo, poi quasi <strong>di</strong> corsa tra i prati verso il luogo in cui[so che] troveremo pane, vino, risotto. Giungiamo all’alba [all’abitazione<strong>di</strong> mia nonna, ai bor<strong>di</strong> <strong>della</strong> provinciale per Premeno].19 giugno 1944. Da una settimana siamo in rastrellamento. Il giorno16 anche la «Battisti» è stata attaccata.Sulla strada <strong>di</strong> Premeno il traffico dei rastrellatori è ininterrotto.Passano i militi <strong>della</strong> «Muti», <strong>della</strong> «S.S. italiana», <strong>della</strong> «Leonessa» esuberanti<strong>di</strong> o<strong>di</strong>o e cantano: non sono i nostri canti popolari nostalgici e solenni,non sono le canzonette allegre e melanconiche. Sono canti fred<strong>di</strong>,duri, scan<strong>di</strong>ti: inni che si possono cantare soltanto con la mascella contrattae con una ruga verticale al centro <strong>della</strong> fronte; inni che si possono sentiresolo con l’arma tra le mani, non a tracolla.Quelli, resi allegri dalla facile guerra, cantano perché o<strong>di</strong>ano e pocoperché amano: non saprebbero cantare una vecchia canzone che parla <strong>della</strong>mamma, <strong>della</strong> morosa, del paese, del compagno che ti muore accanto,mentre seduto per terra nella baita, la schiena gelata vorrebbe un po’ delcaldo delle tue gambe arrostite dal fuoco <strong>di</strong> quattro pezzi <strong>di</strong> faggio, mentrela tua arma giace <strong>di</strong>menticata a una spanna <strong>di</strong>etro <strong>di</strong> te. A noi piace cantarecosì, ma «noi» pensiamo che i nostri avversari sono dei perfetti imbecillise non sono delinquenti.[21] Passano reparti tedeschi e non cantano. Sono gli «Alpenjager» iquali forse pensano che la caccia al camoscio, seppur fatta in Italia, è sempre<strong>di</strong>vertente. Salgono i cecoslovacchi, lentamente, gravati dal peso deglizaini e <strong>di</strong> qualcosa dentro <strong>di</strong> loro, accompagnandosi ai muli dai cui fianchipendono le cassette <strong>di</strong> munizioni e le mitraglie: tra loro e i muli non c’è<strong>di</strong>fferenza; servono tutti e due, a forza e incoscientemente, i tedeschi. Passanoi georgiani e non sanno pensare al loro tra<strong>di</strong>mento: mangiano e sparanoagli or<strong>di</strong>ni degli ufficiali tedeschi. Passano le S.S., ma il loro cervelloè la «machinenpistole».Passano i 17.000 e salgono a sparare contro i 400 che ormai non sono50


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinipiù 400. Sparano perché il loro capo ha detto <strong>di</strong> sparare, ci ammazzano anchese siamo feriti, anche se siamo <strong>di</strong>sarmati, anche se ci arren<strong>di</strong>amo, anchese siamo già morti, perché il loro capo lo ha detto. Sparano perché tirandoil grilletto la loro arma spara ed il loro <strong>di</strong>to che preme il grilletto, leloro braccia che sostengono l’arma, il loro corpo imbottito <strong>di</strong> munizioni, illoro occhio che mira, il loro cervello che imprime ai rispettivi nervi il comando<strong>di</strong> sostenere, <strong>di</strong> mirare, <strong>di</strong> sparare, fanno parte dell’arma. Le armidei nostri avversari sono fatte <strong>di</strong> legno, carne ed acciaio.20 giugno 1944. Oggi abbiamo salutato «Diciassette». È una partigiana<strong>di</strong> 17 anni.È scesa con parecchie reclute dal comando <strong>della</strong> «Battisti», al Vadàa, lasera prima dell’attacco ed è rimasta imboscata qualche giorno con gli altria Carpiano. Dice che nella zona circola Bagat con un altro compagno.Ha qualche notizia <strong>della</strong> «Battisti»: mi <strong>di</strong>ce il nome <strong>di</strong> qualche caduto chenon conosco e poi mi informa che Marco con un gruppetto è nella chiesa<strong>di</strong> S. Martino.Stasera andremo a trovarli così ci sgranchiremo le gambe e ci rimetteremo<strong>di</strong> buon umore; qui sembra <strong>di</strong> essere in prigione e la minima contrarietàrende irascibili.Divento irascibile perché Tucci si lamenta dall’inizio del rastrellamentoper le sue gengive infiammate, <strong>di</strong>vento irascibile ogni volta che sento l’alitofetente <strong>della</strong> sua bocca scassata; Tucci <strong>di</strong>venta irascibile perché io lo <strong>di</strong>ventoe talvolta ci detestiamo, quasi ci o<strong>di</strong>amo. Cerchiamo <strong>di</strong> allontanare lanoia leggendo ogni cosa, guardando dal finestrino, ascoltando ogni rumore:passa ancora quell’o<strong>di</strong>oso porta-or<strong>di</strong>ni tedesco, in motocicletta. Quelloci esaspera con la frequenza del suo transito. Scompare <strong>di</strong>etro gli alberi,alla nostra vista e sale mentre il rombo del motore va affievolendosi versoAntoliva; ma questa volta poco sopra Antoliva lo sentiamo arrestarsi…e non riprende…Verso sera scendono i cecoslovacchi con i loro muli. I soldati, mentrescendono con passo stanco, cantano una nenia triste. Un soldato, su <strong>di</strong> unacarretta, accompagna il canto con la fisarmonica.In testa alla colonna c’è un ufficiale, ma non canta: forse è annoiato <strong>di</strong>quel canto e gioca col suo frustino che si abbatte sui rami <strong>di</strong> un sambucofacendo cadere parecchie foglie. Riderei se frustasse il tronco dell’albero,con l’intento <strong>di</strong> farlo cadere ed è, in fondo, la stessa cosa: frustando i rami51


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinifa cadere le foglie, ma non tutte. La pianta probabilmente soffrirà, ma unaltro anno nasceranno altre foglie. Un atto inutile compie.Tengo l’ufficiale sotto la mira dello «Sten»: potrei accopparlo e lui nonlo sa. Per questo forse fa cadere le foglie, e fa soffrire la pianta.21 giugno 1944. Bisogna saper camminare <strong>di</strong> notte: significa vedere,sfruttare l’oscurità e camminare senza far rumore anche con gli scarponichiodati: tutte cose che il partigiano ha imparato. Servono moltissimo inquesto rastrellamento che non accenna a finire; han servito ieri sera per andarea trovare Marco, Trentasette e Marmellata a S. Martino; servono anchestasera per andare a ritrovarli. Passiamo da Zoverallo, brancolando traprati e sentieri verso S. Martino. Sotto la chiesa sentiamo chiamare, qualchemetro sopra <strong>di</strong> noi, il mio nome. Ci fermiamo sorpresi, teniamo prontigli «Sten» e scrutiamo nel buio, ma non ve<strong>di</strong>amo nulla. La voce ripeteancora più forte il mio nome; questa volta la riconosco: è quella <strong>di</strong> Bagat.Con Bagat c’è anche Travaglini. Raccontano che ieri han «fatto fuori» untedesco e una moto nei pressi <strong>di</strong> Antoliva e li hanno fatti scomparire nellavalle attigua. Chie<strong>di</strong>amo a quale ora è avvenuto: verso le 15. Era la motoche avevamo sentito fermarsi. Anche a Bagat dava fasti<strong>di</strong>o… Ieri i tedeschi,in collaborazione con i fascisti, hanno fucilato 43 partigiani a Fondotoce.Proseguiamo con loro e bussiamo alla porta <strong>della</strong> casa <strong>di</strong> Trentasette, ilfiglio del sagrestano <strong>di</strong> S. Martino.C’è Arca. Ci sono anche Pompiere e Leone.Quelli <strong>di</strong> stasera sono incontri che non si <strong>di</strong>menticano.Arca racconta la sua o<strong>di</strong>ssea, <strong>di</strong>ce dell’imboscata ai tedeschi a Colle Biogna,<strong>di</strong>ce <strong>di</strong> Lupo fucilato a Falmenta, <strong>di</strong> otto partigiani fucilati ad Aurano,parla dei morti, forse Brambilla, Cucciolo, Brambillino, altri conosciuti,reclute ignote…Arca parla <strong>di</strong> Lupo.Erano in un bosco nascosti, mentre i nemici passavano spesso a pochimetri. Da parecchi giorni non mangiavano. Lupo <strong>di</strong>sse che andava a cercareda mangiare; uscì dal bosco, sul prato, verso le baite. Dietro a sé udìun «Ah!» <strong>di</strong> sod<strong>di</strong>sfazione: si voltò e vide parecchi tedeschi che gli puntavanole armi. All’ufficiale che gli chiese perché era venuto in montagna, rispose:«Perché non potevo vedere i fascisti». Al cimitero <strong>di</strong> Falmenta chieseuna sigaretta. Un colpo <strong>di</strong> pistola gli lasciò in gola la prima boccata d fumo:perché aveva fame è morto.52


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini[22] Arca è triste. Conta i morti: sono troppi. Li ricorda vivi. Ricorda labattaglia coi tedeschi a colle Biogna, i giorni passati nel bosco ad incideregli alberi, a succhiare le foglie, a confezionare sigari con le foglie secche.Arca vorrebbe presentarsi ai tedeschi per essere cambiato con i prigionieriche ancora non hanno fucilato. Gli gri<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> no perché la sua mortenon avrebbe senso e la sua vita ha ancora senso.«Ascolta, Arca. La tua vita ha più senso <strong>di</strong> prima, poiché ora ci sono imorti nuovi. La tua e la nostra lotta ha ancora un senso perché c’è Pompiere,c’è Marco, c’è Trentasette, ci sono i rimasti e ci saranno quelli che siuniranno ai rimasti».In questi giorni impariamo che i nemici sono più delinquenti che imbecillie tali li tratteremo. Abbiamo capito che siamo piccini <strong>di</strong> fronte a loro,ma anche valiamo qualcosa se ad attaccarci sono venuti una <strong>di</strong>visioneBrandeburghese, le legioni «Muti», «S.S. italiana», «Leonessa», «Tagliamento»,e se hanno sprecato tempo e morti al Cavallone, in Valgrande, alVadàa, prima <strong>di</strong> sfondare.Chiedo ad Arca <strong>di</strong> passare nella «Battisti» con tutta la squadra. Il comandanteArca ha accettato. Da stasera siamo la Volante <strong>della</strong> «Battisti».22 giugno 1944. Questa notte un falso allarme ci ha costretti a passarlasotto un castagno.Al mattino abbiamo salutati gli altri, e Bagat ha condotto Travaglini,Tucci e me in una villa in cui sono imboscati parecchi partigiani.La villa è circondata da un vasto parco; agli angoli del parco abbiamoincontrato le reclute che montavano la guar<strong>di</strong>a.Povere reclute! Avevano ancora in tasca i sol<strong>di</strong> <strong>di</strong> casa e ci chiamavanotutti «signor comandante», quando è capitato loro addosso questo rastrellamento.Quando sarà finito, chi <strong>di</strong> loro sarà ancora vivo, non sarà più «recluta»,«coniglio»: sarà un anziano.Intanto fanno la guar<strong>di</strong>a, infreddolite, paurose o incoscienti: non capisconoancora nulla, non sanno <strong>di</strong>stinguere i rumori sospetti da quelli innocenti,non sanno trovare una posizione adatta, camminano pesantemente,con fracasso. Pendono dalle nostre labbra senza obbiettare, anche se gli sior<strong>di</strong>nasse la cosa più strampalata. In questi giorni, se possono accodarsi adun anziano, gli si appiccicano ostinatamente ed han sempre paura <strong>di</strong> perderlo:mai accusano fame, stanchezza, paura, per timore che li si pianti.Entrando nel parco si ha l’impressione <strong>di</strong> giungere nei pressi <strong>di</strong> un no-53


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniNino Chiovini (al centro)stro <strong>di</strong>staccamento: coperte al sole, armi e giberne appoggiate ai muri, cautoscalpiccio <strong>di</strong> partigiani affaccendati.I «parecchi partigiani» <strong>di</strong> Bagat, sono 32, quasi tutti <strong>della</strong> «Giovane Italia»e qualcuno <strong>della</strong> Valgrande: quasi tutti «conigli»; i pochi anziani spadroneggianoindecentemente. Oggi, però, spadroneggiamo noi su tutti:quelli anziani <strong>di</strong> fronte a noi sono reclute. Bagat oggi è indaffarato a «farliscattare», come in piazza a Miazzina; ma no, Bagat, siamo in rastrellamento!È arrabbiato perché han lasciato fuggire un milite catturato duegiorni fa. Loro stanno ad ascoltare i suoi rimbrotti con espressione sconsolata:qualcuno, meno recluta, azzarda inutili <strong>di</strong>fese.54


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniAn<strong>di</strong>amo a sentire la ra<strong>di</strong>o nella vicina villa <strong>di</strong>sabitata <strong>di</strong> un gerarca fascista,poi mangiamo il rancio preparato dalla gente del luogo. Da una settimana,questa gente procura da mangiare per una trentina <strong>di</strong> partigiani.È buona la gente del Verbano. Quanti partigiani possono ringraziarlase sono ancora vivi, se sono sfamati! Gli altri bombardano, accoppano,incen<strong>di</strong>ano, «perquisiscono» le case, le cascine: la gente è sempre più solidalecon noi. E questa gente, quasi non sa che cosa sia la patria. Perché ciaiuta allora?[23] È strano che questa zona, e quella sottostante, fino al lago, non siastata rastrellata, benché ormai sia satura <strong>di</strong> partigiani: ogni giorno, poi negiungono altri.È strano perché intanto rastrellano con zelo e pazienza, ogni cespuglio,ogni baita, ogni ruscello, dalla Valdossola all’Intrasca, dalla Val Vigezzo aCannero, dallo Zeda a Intra, tralasciando solo la zona da Premeno al lago,da Possaccio ad Oggebbio. Gli avversari, forse, attendono che tutti i rimastisi concentrino in questa zona? Sarebbe la miglior tattica per loro.È un rastrellamento imponente questo, per uomini e mezzi impiegatie per estensione. Dopo aver circondata e isolata la zona, bloccando la Valdossola,la Vigezzo, la Cannobina e il lago, hanno attaccato una dopo l’altra,le nostre posizioni, e dopo avere infranta la nostra resistenza si sonodati e si danno tuttora a rastrellare con implacabile meticolosità, passandoper le armi ogni partigiano o renitente catturato. Tutte le strade e tuttii sentieri sono bloccati. Ogni mezzo <strong>di</strong> locomozione è fermo, nessuna imbarcazionepuò staccarsi dalla riva del lago.Ogni partigiano è stanco <strong>di</strong> saltare il pasto, <strong>di</strong> dormire sotto la pioggia,<strong>di</strong> pensare sempre alla possibilità <strong>della</strong> cattura e conseguente fucilazione. Ilrastrellamento non è soltanto una operazione militare, ma anche un’operazionemorale e psicologica.Rastrellamento, tedeschi, fascisti, fame, fucilazione sono parole, parole,parole agli occhi altrui. Ma chi l’ha provato non <strong>di</strong>ce soltanto che sonoparole: sa che sono fatti concreti, realtà vissute. È inutile descrivere lo statopsichico <strong>di</strong> chi subisce il rastrellamento: tanto nessuno lo capirebbe e tutti<strong>di</strong>rebbero che si esagera.24 giugno 1944. Oggi è il mio onomastico e domani sarà domenica,ma festa sarà per noi quando terminerà il rastrellamento.55


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniSiamo in [sistemati nella portineria <strong>di</strong>] una villa, cinquanta metri soprail lago, nei <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Intra. Noi quattro, Pompiere, Marmellata, Marco eLeone. Mangiamo da capitalisti e siamo quasi <strong>di</strong> buon umore. Soltanto sogniamole bettole dei paesi, le cantate a squarciagola, la gente. Sogniamole ragazze da guardare, con cui parlare dal ciglio <strong>di</strong> una strada o tra le casedel paese. Invece, ancora sonni leggeri, orecchie tese, fiato sospeso, notizie<strong>di</strong> morti e <strong>di</strong> fucilazioni, umore vicendevolmente opprimente: tuttoper il rastrellamento.Una signora ci ha gettato, attraverso il muro <strong>di</strong> cinta, un biglietto ed unpacchetto <strong>di</strong> sigarette: è la signora Giar<strong>di</strong>ni [Tranquillini].Il biglietto è del comandante e <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> tenerci pronti per la partenza,poiché è imminente la fine <strong>di</strong> questa autoreclusione. Tiriamo il fiato.27 giugno 1944 [29 giugno 1944] Questa notte siamo partiti: i tedeschie i fascisti se ne sono andati. Non ne siamo ben convinti e camminiamocon misure <strong>di</strong> sicurezza. Proce<strong>di</strong>amo nel buio, su per la mulattiera versoPian Nava. Ad ogni bivio raccogliamo reduci e reclute e continuiamoin silenzio sotto la pioggia sottile. Abbiamo cominciato a raccoglierli fuoridalla villa. A Pian Nava usciamo, circospetti, sulla provinciale, poi giùverso Esio. Siamo più <strong>di</strong> cinquanta. La colonna continua nella notte caliginosaverso La Rocca, un’alpe sopra Scareno, luogo <strong>di</strong> raccolta dei resti<strong>della</strong> Battisti.[24] Con Bagat e Tucci mi fermo ad Esio. An<strong>di</strong>amo da don Aurelio achiedere da dormire: ci offre coperte, lanterna e foglie secche. Quello è unuomo in gamba.Entriamo nella cascina e prepariamo il giaciglio; stavolta ci leviamo anchele scarpe e le calze: vogliamo rifarci delle ultime notti passate sul cemento.Siamo contenti, <strong>di</strong> una gioia fanciullesca: sogniamo l’arrivo <strong>di</strong> domania Miazzina e gli incontri con i compagni superstiti. Solo i morti, iprimi molti morti ci tolgono per qualche attimo il buon umore, ma anchea quelli ci stiamo abituando. Non potrebbe essere toccata a me? A Bagat?Domani non potrebbe capitare a Tucci? I morti sono nostri compagniche ora sono a riposo, ma sono sempre nostri compagni. Per questo non cimettono addosso malinconia e paura: malinconici e paurosi non potremmopiù fare i partigiani. Si è più malinconici sentendo il latrato <strong>di</strong> un canedei tedeschi, che vicino a <strong>di</strong>eci compagni morti e in mezzo a una spara-56


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinitoria. Domani sera scenderemo a fare un prelevamento <strong>di</strong> viveri. I rastrellatorisono ancora a Intra, ma la Battisti ha fame e noi abbiamo anche voglia<strong>di</strong> ricominciare.24 giugno 1944 [30 giugno 1944] Stamattina, appena alzati, senzanemmeno accomodare lo stomaco, ci siamo incamminati verso il fondo<strong>della</strong> valle Intrasca.Sulla strada, abbiamo trovato le prime postazioni per le mitraglie fattedai fascisti; poi, man mano procedevamo, col solito passo squinternato, resoun po’ più elegante dal desiderio frettoloso <strong>di</strong> giungere a Miazzina, altrepostazioni, altre piazzuole, altri muretti a secco: non riusciamo a capire sei nostri avversari abbon<strong>di</strong>no <strong>di</strong> umorismo o manchino <strong>di</strong> senso <strong>della</strong> misura.Sapevano o non sapevano «quelli», che, dall’Ossola a Cannobio, da Intraalla Val Vigezzo, eravamo soltanto due mitraglie e 600 colpi, due mitragliatori,200 moschetti, 100 sten e un centinaio <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong>sarmati?Camminando postillando ogni postazione con una risata, un mottoumoristico, non sempre lusinghiero per le capacità strategiche e militaridei nostri avversari.A Cambiasca an<strong>di</strong>amo a ritrovare i nostri conoscenti: ci accolgono confestosità mista a timore, raccomandandoci <strong>di</strong> stare ancora attenti e <strong>di</strong> nongironzolare troppo. Dietro la prima curva, sulla strada <strong>di</strong> Miazzina, si sonogià perdute tutte le loro raccomandazioni.Capitiamo in piazza a Miazzina, mentre dal lato opposto sbuca ungruppetto <strong>di</strong> «reduci»: contentezza, abbracci rumorosi, pochi passi e siamoalla Trattoria Visconti per meglio assaporare la gioia. All’angolo <strong>di</strong> una casavedo Piero: me l’avevano dato per fucilato a Fondotoce. Anche lui mi credevafucilato, a Fondotoce: ci guar<strong>di</strong>amo con stupore, poi, reciprocamenteconstatiamo con effusione, a Miazzina, la nostra ottima salute.Nuovi incontri: Gabri, Guido il Monco, Ermanno, Luciano, Aldo, Arturo.Nuovi saluti affettuosi, sinceri: ogni parola significa qualcosa, ogniesclamazione esterna un sentimento, ogni pausa è necessaria. Non c’è postoper un briciolo <strong>di</strong> retorica.Guido ha un braccio rotto da un colpo <strong>di</strong> «Sten»: il braccio monco. Èstato ferito a Pizzo Pernice.[25] Gabri mi racconta dell’imboscata sopra Comero, fatta con la suasquadra e con Mario Flaim, il pomeriggio del 14: era la sparatoria intensa57


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniu<strong>di</strong>ta mentre con Tucci salivo verso Alpe Pala. Han fatto fuori una macchinacon quattro ufficiali, tra cui il Comandante <strong>della</strong> «Leonessa».Si incrociano i racconti, le domande, le risposte che spesso <strong>di</strong>cono <strong>di</strong>morti, <strong>di</strong> fucilati, <strong>di</strong> feriti.Sappiamo <strong>della</strong> lunga e dura <strong>di</strong>fesa al Cavallotti, al Pizzo Pernice, al Cavallone,al Toden, alla Marona. Anche Rolando, il comandante <strong>della</strong> «GiovaneItalia», forse è morto sotto la Marona.Tutto il giorno giungono superstiti. Molti sono segnati in viso, dai <strong>di</strong>sagi,dalle marce forzate, dalla fame. Parecchi, per quattro, cinque, ancheotto giorni, non hanno mangiato e camminano, spesso appoggiandosi adun bastone, con andatura da ubriachi. Hanno le guance infossate, un palloreda candela e anche gli occhi cattivi.Tutti saremo più cattivi, dopo i racconti sentiti, dopo quello che abbiamoprovato, dopo i morti che stanno tra noi e i nostri avversari. La Maronaè un cimitero: parecchi cadaveri, nu<strong>di</strong>, non hanno ferite <strong>di</strong> proiettili,ma soltanto la testa fracassata, il petto sfondato, la schiena schiantata egiacciono ai pie<strong>di</strong> dei salti <strong>di</strong> roccia.Dalla Valgrande le notizie sono rade, tisiche, frammentarie: da quel pocoche riusciamo a sapere, pare che le per<strong>di</strong>te siano molto forti: Superti eMario sono vivi.L’incontro con Carluccio è ancora più espansivo: è stato quasi semprealla Nava. Dopo quattro giorni che non mangiava, un pomeriggio è salitoa Miazzina, satura <strong>di</strong> tedeschi, per cercare viveri; al ritorno gli han bucatola giacca in due punti e una scarpa. Carluccio è un ragazzo fortunato.Karl e Ludwig giungono insieme, verso sera, smoccolando comicamentein esotico e in in<strong>di</strong>geno: erano andati a finire a Trarego, sopra Cannero.Poi c’era il Lago…[26] Ludwig non è un pauroso, Karl ancor meno: con noi han sempre<strong>di</strong>mostrato <strong>di</strong> essere molto coraggiosi. Tutti e due han fatto la guerra; Karlha fatto due anni <strong>di</strong> Russia. Sono ancora scossi: istintivamente hanno percorsoore e ore <strong>di</strong> strada pur <strong>di</strong> salvarsi: <strong>di</strong>cono che il rastrellamento è unabrutta cosa. Altri che han provato la guerra, quella fatta con i carri armati,con le artiglierie, con l’aviazione, <strong>di</strong>cono che è fatta anche <strong>di</strong> cose che sichiamano reparti <strong>di</strong> sussistenza, turni <strong>di</strong> riposo, armi e munizioni a sufficienza,campi <strong>di</strong> concentramento per prigionieri, leggi internazionali. Pensiamoche i prigionieri siano una bella istituzione: peccato che «quelli lag-58


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinigiù» non ne vogliono sapere.<strong>Del</strong>la nostra squadra manca ancora Guidone, ma ha già avvisato che sitrova a Trobaso e che ci raggiungerà domani.Verso sera scen<strong>di</strong>amo per prelevare i viveri.Primi giorni <strong>di</strong> luglio 1944. Da parecchi giorni facciamo la spola, colsolito camioncino del Di Orazio, tra i <strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Intra e Ponte Scareno,dove le corvée <strong>della</strong> «Battisti» scaricano i viveri e li portano a La Rocca. Siamogià riusciti a portare <strong>di</strong>versi carichi <strong>di</strong> viveri.Karl e Bagat, naturalmente, si contendono il volante <strong>della</strong> macchina.Karl è un ottimo autista. Anche Bagat sa guidar bene, forse meglio <strong>di</strong> Karl.Peccato che si scor<strong>di</strong> che la macchina ha un motore: lo «arrostisce». «Arrostire»è un termine partigiano, da poco entrato in uso: significa rompere,accoppare, fregare, rovinare e parecchie altre cose.Soffriamo quando sentiamo il motore che canta stonato e ansima, quasiche il motore fosse una persona. Ma Bagat continua imperterrito a premerel’acceleratore finché la macchina si ferma dopo pietosi sussulti. La colpa,naturalmente, è del carburatore «ingolfato» o delle candele sporche.Ora siamo <strong>di</strong> nuovo al completo: anche Guidone è rientrato. Ha passatoun rastrellamento a Trobaso; i primi giorni in casa, finché non arrivaronoi fascisti a perquisirla. Dopo qualche minuto riuscì a raggiungere unacamera già perquisita e si cacciò <strong>di</strong>etro la porta, con la pistola in pugno,senza sicura. Si aprì la porta: chi l’aveva aperta <strong>di</strong>ede un’occhiata all’internochiedendo agli altri se quella camera fosse già perquisita e posando lamano sulla maniglia interna: Guidone vide una mano il cui anulare portavauna fede, e un pezzo <strong>di</strong> manica con il grado <strong>di</strong> sottotenente. Trattenneil fiato, pronto a sparare: la porta si richiuse.Siamo a La Rocca. È un’alpe sotto la strada del Vadàa, a <strong>di</strong>eci minuti daScareno. A La Rocca ritroviamo altri vecchi compagni <strong>della</strong> «Battisti»: Mosca,Italo, Nando, Peo. Non tutti, perché parecchi «sono andati a riposo».Sono già accertati 19 caduti, ma la «Battisti» contava 90 uomini all’iniziodel rastrellamento, e solo una quarantina sono i superstiti. <strong>Del</strong>le reclute,solo pochissime sono rientrate.Stringiamo amicizia con nuovi compagni, i più interessanti.«Ghiffa», il cuoco, è un ex alpino, commilitone <strong>di</strong> Bagat e sa cucinarea meraviglia. Il «Maresciallo», è un carabiniere siciliano, catturato dal59


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini«Valdossola» a Mergozzo e venuto a finire da noi, causa il rastrellamento. Èbrutto come un fascista, burocratico ed intransigente quanto un funzionariodei ministeri. Qui ha le mansioni <strong>di</strong> magazziniere e pretende il buono<strong>di</strong> prelevamento firmato da Mosca, anche per un fiammifero. Con noi, peròè <strong>di</strong>verso: potremmo prelevare anche lui senza buono. È pauroso e noiabbiamo scoperto il suo debole: gli abbiamo promesso una pistola. Eccoperché non ci servono i «buoni».«Dieci» è l’unico che abbia ottenuto un beneficio dal rastrellamento. Èun ex milite <strong>di</strong> 34 anni, alto e grosso, con una nera barba retorica e una cicatriceverticale su <strong>di</strong> una guancia: ha <strong>di</strong>sertato in aprile, portandosi con séparecchie armi. A Traffiume, in Cannobina, ha puntato il moschetto controun milite, intimandogli la resa: il milite, armato <strong>di</strong> mitra, era a 100 metri.Ora «Dieci» ha un mitra, rastrellato in rastrellamento.[27] Gigi è un milanese, ufficiale dei carristi. Trapela allegria da tutti ipori: come Mosca. Provoca, incessantemente, <strong>di</strong>scussioni politiche tra comunistie anticomunisti; poi, interviene burlescamente, trasformando la<strong>di</strong>scussione in comici duelli umoristici tra lui e i partigiani posati e seri. Gigimi ha pregato <strong>di</strong> condurlo con noi alla prossima azione.Dalla Svizzera sono giunti otto prigionieri russi. Non sanno <strong>di</strong>eci parole<strong>di</strong> italiano: con loro siamo costretti a parlare in tedesco. Sono quasi tuttiucraini e russi bianchi: catturati sul fronte orientale, furono condotti a lavorarenelle miniere <strong>di</strong> salgemma, in Francia; riuscirono ad evadere, e attraversoil Reno ripararono in Isvizzera. Uno <strong>di</strong> loro è già stato ferito duranteuno scontro a Intra.Bagat è <strong>di</strong> umor nero. La Rocca non gli piace, perché <strong>di</strong>ce che gli uniciluoghi per sdraiarsi senza il timore <strong>di</strong> rotolare in valle, sono i sentieri, eanche quelli sono scarsi. Le conseguenze del suo cattivo umore le subisconoi «conigli» e Tucci. Già, Bagat e Tucci non vanno d’accordo. Bagat sta<strong>di</strong>ventando permaloso, e Tucci noioso.Nella vita civile può essere quasi impossibile il caso che parecchi in<strong>di</strong>viduiappartenenti a <strong>di</strong>sparate categorie sociali, dotate <strong>di</strong> <strong>di</strong>sparata educazione,riescano a comprendersi a tal punto da costituire un gruppo <strong>di</strong> personeaffiatate. E anche se esistesse affiatamento, non giungerebbe mai a sfiorarel’amicizia.A La Rocca, abitazione <strong>di</strong> gente per la quale il proprio mondo è soltantose stessa con le proprie armi, le munizioni, i paesi d’attorno, la voglia <strong>di</strong>60


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinimangiare e <strong>di</strong> dormire, questo avviene. Non avviene soltanto a La Rocca:in parecchi altri luoghi come La Rocca avviene. Ma La Rocca è il caso piùesteso e meno verosimile per chi non appartiene al mondo nostro.Tra i gruppetti che fanno parte <strong>della</strong> gente che abita provvisoriamentea La Rocca, ho scovato quello <strong>di</strong> Jimmy. È sudafricano e l’italiano lo parlacome lo parleranno i russi tra un mese. È studente in me<strong>di</strong>cina e nonha mai gridato viva l’Unione del Sud Africa. È un uomo pacifico e ancheegoista talvolta: forse perché è così pacifico. <strong>Del</strong>la guerra se ne frega più cheo<strong>di</strong>arla. Se ne frega a tal punto da fare le azioni per puro senso sportivo equesto non credo che sia una contrad<strong>di</strong>zione.Anche «Dottore» è studente in me<strong>di</strong>cina, ma non è sudafricano e il suosenso sportivo non è molto sviluppato. Ha voglia <strong>di</strong> laurearsi e i fascisti sonquelli che glielo impe<strong>di</strong>scono. Perché è a La Rocca glielo impe<strong>di</strong>scono. Anchea Peo che stu<strong>di</strong>a lettere e o<strong>di</strong>a ogni violenza, lo impe<strong>di</strong>scono. Anche aEzio e Felice che però sono «matricole» e ancora sono ragazzi con la mentalitàdelle «matricole».Anche Oddo e Paolo che sono due impiegati, han dovuto piantare il lavoro.Naturalmente anche loro, come Ezio e Felice, ce l’hanno coi fascistiperché sono i fascisti che li han fatti andare in montagna. Un giorno, forsea guerra finita, penseranno che i fascisti eran quelli che volevano la guerrae allora o<strong>di</strong>eranno la guerra come la o<strong>di</strong>a Peo adesso.Ci sono anche Renzo e Achille: né studenti, né operai, né impiegatisono. Il loro mondo, prima, non era nemmeno sfiorato dai loro amici <strong>di</strong>adesso. Il ladro, han <strong>di</strong>chiarato che facevano prima <strong>di</strong> venire in montagna.Molti possono <strong>di</strong>re che la <strong>di</strong>chiarazione è cinica. Io penso che sia stata sinceraprima <strong>di</strong> essere cinica.Questi due non sono venuti in montagna per fede o per necessità politica.Chissà perché. Può anche non interessarmi. So che ci sono e sparanoe sono onesti. Non so fino a quando saranno onesti, ma Arca <strong>di</strong>ce cheRenzo sarà onesto per sempre. E questo fa bene perché son queste cose chefan credere nel mondo degli uomini.Son tutti questi uomini e ragazzi, studenti, ladri, lavoratori italiani eno, che vivono insieme: parlano, dormono, sparano e si radono la barbainsieme.[28] Siamo tornati a Miazzina: fatichiamo a starci lontani più <strong>di</strong> tregiorni. A Miazzina, gli uomini <strong>di</strong> Guido il Monco sono occupati a perqui-61


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinisire le ville. Avevano chiesto indumenti e viveri ai proprietari delle ville, perloro e per i feriti; e ne avevano bisogno sul serio. Chi ci comprendeva li hadati, e chi non ha voluto, si è visto perquisire le abitazioni e sequestrare parecchiindumenti. I ragazzi han fatto bene.Qualcuno, purtroppo, ha ecceduto e sono nati commenti poco favorevoliverso i partigiani, ma era un pretesto per parlar male <strong>di</strong> noi da parte <strong>di</strong>chi non ci potrà mai soffrire e capire. Se non ci comprendono adesso chesiamo ridotti a un terzo…Soltanto ora, man mano passano i giorni, sappiamo valutare le per<strong>di</strong>tesubite. In Valgrande sono rimasti appena in cinquanta; altrettanti a Miazzina;e una quarantina a La Rocca. Un mese fa eravamo 400 vivi; ora nonsiamo che 150, ma più che vivi: per i morti.Gli avversari ci avevano attaccati con l’intenzione <strong>di</strong> pulire definitivamentela zona: hanno ottenuto buoni risultati, pensando alle nostre per<strong>di</strong>te,ma pensando all’imponenza del loro numero e dei loro mezzi, i risultati<strong>di</strong>ventano ri<strong>di</strong>coli. Poi, quante sono le loro per<strong>di</strong>te?Hanno commesso parecchi errori. Anche noi abbiamo commesso ungrave errore: quello <strong>di</strong> resistere. Avremmo dovuto buttarci subito a ridossodel lago e avremmo evitato parecchi morti. Impareremo per la prossima eimparerà anche chi ha dato l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> resistere.Una constatazione <strong>di</strong> cui noi stessi ci stupiamo è quella <strong>di</strong> vedere conquale velocità ci siamo ricostituiti. Ormai le bande sono in pie<strong>di</strong> ancorae tra poco ricominceremo con i fascisti: fino al prossimo rastrellamento:poi, loro ancora; e dopo, ancora noi. Finché una delle due parti farà l’ultimorastrellamento. Una nostra canzone <strong>di</strong>ce che i partigiani «…attendonoil momento <strong>della</strong> calata al piano…». Anche i fascisti cantano «…all’ertaimboscati, che gli M son tornati…», ma la cantano soltanto loro, mentrequell’altra la cantano anche le ragazze, gli uomini e i bambini.E loro lo sanno. Per questo cantano:Le donne non ci vogliono più bene,perché portiamo la camicia neraci hanno detto che siamo da catene,ci hanno detto che siamo da galera.L’amore coi fascisti non conviene….È un programma la canzone. Dentro c’è lo stile che non sarà mai stile;c’è l’argomento che necessariamente è volgare; c’è la cocciutaggine o la62


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinistupi<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> chi si sente in torto e continua imperterrito a sbagliare; c’è, soprattuttola confessione che a loro fa male più <strong>di</strong> ogni cosa: «Le donne nonci vogliono più bene…». Le donne, gli uomini, tutta la gente non vuol benea loro.Essi se ne sono accorti e hanno alzato le spalle, han fatto la canzone.Poi, la loro in<strong>di</strong>fferenza si è trasformata in animosità, in o<strong>di</strong>o. O<strong>di</strong>o contro<strong>di</strong> noi e contro la gente: ora è naturale che i fascisti si <strong>di</strong>vertano a incen<strong>di</strong>are,a fucilare e a trattar male. Per loro che oramai non sanno controllarsi, èuna necessità. Non sanno accontentarsi <strong>di</strong> cantare la canzone attraverso unpaese deserto, dalle cui case gli abitanti, ansiosi e paurosi per se stessi e pernoi, lanciano, per le finestre socchiuse, sguar<strong>di</strong> malevoli e imprecano a fior<strong>di</strong> labbro: debbono bruciare, <strong>di</strong>struggere, massacrare. È il lor senso <strong>della</strong>vita? Noi <strong>di</strong>ciamo che è il loro senso <strong>della</strong> morte. E non lo <strong>di</strong>ciamo soltantoperché abbiamo il senso dell’umorismo.Ho saputo che mio padre è stato arrestato: l’han portato a S.Vittore. DaS.Vittore, <strong>di</strong> regola, si esce per andare in Germania o al muro.Ad arrestarlo è stato Toni Aspes: perché due figli <strong>di</strong> mio padre sono partigiani.Mi chiedo, perché l’hanno arrestato? Dico che sbagliano, che nonè giusto. Vorrei parlare con quelli che l’hanno arrestato per spiegare checommettono un errore e che mio padre non c’entra con i figli.L’ira fa più male quando è impotente, <strong>di</strong>venta sorda e chiede uno sfogo:due sottufficiali, catturati in questi giorni, sono andati a finire sotto terra.Bagat pensa che sarebbero sotto terra anche senza mio padre a S. Vittore:per i morti nu<strong>di</strong>, ancora insepolti e pieni <strong>di</strong> vermi. A chi li ha uccisi,noi non avevamo arrestato il padre.21 luglio 1944. Di nuovo a La Rocca. È un ottimo luogo <strong>di</strong> riposo dopol’azione. Ci si ritrova, si chiacchiera, si dorme sul fieno tepido e durodell’anno passato, si mangiano ciliegie.Oggi c’è anche il cioccolato: è il frutto <strong>di</strong> una scorribanda alla «Nestlè»<strong>di</strong> Intra, l’altra notte. Si doveva scendere con tre camioncini, poi nonce n’era che uno e allora Guidone ha proposto il tram Intra - Premeno. AlComandante è piaciuta la proposta e ci ha fatto sopra un piano complicatoma red<strong>di</strong>tizio. Siamo scesi e siamo tornati a Premeno col tram carico<strong>di</strong> quintali <strong>di</strong> zucchero e <strong>di</strong> cioccolato puro: il cioccolato era destinato aitedeschi. Qualcuno <strong>di</strong>ce che anche prima del rastrellamento <strong>di</strong> giugno, la63


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini«Battisti» era scesa alla Nestlè ed era salita col cioccolato dei tedeschi: buonaparte è poi tornata nelle loro mani.[29] È giunta una staffetta con un biglietto <strong>di</strong> Arca. Marco lo legge e assumeun’espressione non nuova: quella intrisa <strong>di</strong> imprecazioni anche nonpronunciate. Tra noi si capisce che significa una simile espressione: qualcosava male. Marco mi passa il biglietto. Leggo le prime righe. «Con unaprobabilità su mille, Gigi è vivo…».Erano rimasti a Intra per recuperare delle armi in case <strong>di</strong> fascisti; duranteil ricupero <strong>di</strong> uno «Sten», Gigi è stato colpito, mentre parlava condue donne parenti <strong>di</strong> un milite, a pochi metri, dal milite che, avvisato, siera appostato <strong>di</strong>etro a una finestra. Quando Arca e Koki sono passati conla macchina per raccoglierlo, sono stati accolti da una raffica che ha bucatouna gomma.Poco dopo giunge da Intra la conferma che fa sfumare anche la millesimaprobabilità.Qualche notte fa, Gigi era sceso con noi per un prelevamento. Avevamocaricato <strong>di</strong> merce due carri trainati dai cavalli e durante il ritorno c’erastata una gara tra i due equipaggi: il «Giorgio», montato da Guidone, Tuccie Carluccio; e il «Casimiro», montato da Gigi, Bagat e me. Al ponte <strong>di</strong>Scareno era giunto primo il nostro «Casimiro» con <strong>di</strong>eci minuti <strong>di</strong> vantaggio.Gigi si era <strong>di</strong>vertito anche più <strong>di</strong> noi.Se quella notte Gigi non fosse stato con noi, adesso sarei meno triste.23 luglio 1944. Da oggi la «Volante» cambia base: da Miazzina a Premeno.Ci spiace lasciare Miazzina, ma è necessario: saremmo troppo decentratidal Comando.A Miazzina lasciamo i nostri bei ricor<strong>di</strong>; lasciamo anche Bagat e Guidonedopo un ennesimo litigio con Tucci. A loro spiace lasciarmi e Gabriè contento perché passeranno alla sua «Volante».Siamo rimasti in quattro: noi tre e Wla<strong>di</strong>mir.Wla<strong>di</strong>mir è russo: <strong>di</strong> Isium, in Ucraina. A La Rocca l’avevo chiesto adArca. Si era meravigliato Arca: «Non sa due parole <strong>di</strong> italiano, poi non loconosci e non sai se vale».Quando gli ho comunicato la notizia del trasferimento, Wla<strong>di</strong>mir si èmostrato sod<strong>di</strong>sfattissimo. Più ancora quando gli ho detto che il suo ’91poteva lasciarlo, che tanto non avrebbe servito. Wla<strong>di</strong>mir ha una spiccata64


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniantipatia per i fucili e altrettanta simpatia per l’ «automatic», il mitra. Maper ora ha soltanto una pistola 6.35.Mentre transitiamo da Ramello, un uomo ci avvisa che sopra Scareno,verso Colle, ci sono i tedeschi ed è in corso una sparatoria.Deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> portarci sulla strada <strong>di</strong> Premeno per fare un’imboscataquando torneranno.Ci fermiamo mezz’ora per prendere un bagno in un bacino idroelettricotra Ramello e Vignone: è presto ancora e i tedeschi scenderanno più tar<strong>di</strong>.Wla<strong>di</strong>mir è contento <strong>di</strong> poter nuotare un po’. Mentre ci asciughiamo alsole, mi narra, coi suoi trenta vocaboli <strong>di</strong> italiano, la sua fuga da un campo<strong>di</strong> concentramento <strong>della</strong> Francia, in Svizzera attraverso il Reno.Ha <strong>di</strong>ciannove anni Wla<strong>di</strong>mir e un viso ridente come un cespo <strong>di</strong> primule.I suoi grossi lineamenti non giungono a cancellare la sua espressionefanciullesca e simpatica. Gli ho scoperto una emotività eccezionale eun’anima semplice come una baita. Wla<strong>di</strong>mir è dotato <strong>di</strong> una intelligenzaeccezionale, non altrettanto <strong>di</strong> buon senso: agisce sempre d’istinto.Ad Arizzano chie<strong>di</strong>amo alla gente quanti automezzi tedeschi sono saliti.«Nessuno», rispondono. «Come nessuno?». «Stanotte sono saliti i tedeschi?».«No, no».In<strong>di</strong>rizziamo improperi all’uomo dell’informazione che ci ha fatto allungarela strada e tiriamo avanti verso Premeno.A Bée, uno sfollato ci offre pancetta e vino. Ci se<strong>di</strong>amo davanti a uncaffè affollatissimo e posiamo a terra zaino e armi. Siamo ai primi bocconiquando cinque camionette <strong>di</strong> tedeschi giungono improvvisamente a trentametri da noi.Facciamo appena in tempo a riprendere le nostre armi e a tener <strong>di</strong>etroalla gente che fugge con terrore: qualche secondo dopo, le camionette sifermano davanti al caffè; scende un ufficiale, non vede i nostri zaini, chiedequalcosa poi risale e la colonna riparte. Non ci hanno visti ed è poco possibile,oppure han fatto finta <strong>di</strong> non vederci.[30] Da stamattina siamo in cerca <strong>della</strong> «Battisti». Tutto il giorno camminiamo.Capisco ora perché spesso i fascisti perdono le nostre tracce e<strong>di</strong>cono che siamo come fantasmi. Finalmente a Colle incontriamo Nico,Marco Balilla e Mauro <strong>della</strong> «Perotti», con un motocarro carico <strong>di</strong> marsalae <strong>di</strong> vino. La «Perotti» è una banda che si è costituita quin<strong>di</strong>ci giorni faal comando <strong>di</strong> Pippo, monarchico. Anche loro non ne sanno niente <strong>della</strong>65


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini«Battisti». Alleggeriamo il carico del motocarro <strong>di</strong> qualche litro e ripartiamocon un fiasco che passa da mano a mano finché vuoto, lo man<strong>di</strong>amo afracassarsi sul tetto <strong>di</strong> una baita.A La Rocca finalmente troviamo Palin. Non è un partigiano, ma fa lostesso: Palin <strong>di</strong>ce che la Battisti è tutta a Scareno, a casa sua.Palin, nella «Battisti» è conosciuto anche dalle reclute. È un abitante <strong>di</strong>Scareno e per noi è staffetta, guida, albergatore, portaferiti, becchino, tutto.È una istituzione da premio Nobel.Li ritroviamo fuori <strong>della</strong> casa <strong>di</strong> Palin, sotto un pergolato, attorno adArca, in allegra conversazione. Non tutti: Lanzi, Victor e Domo sono mortinel combattimento <strong>di</strong> ieri; Peo e Bobi sono all’infermeria e Strozza è ancorasu, alle baite <strong>di</strong> Scarnisca con un polmone bucato.Wla<strong>di</strong>mir si è rattristato: è morto Victor, il conta<strong>di</strong>no russo, dopo aversparato tutti i colpi che aveva.Sulla strada del Vadàa è avvenuto questo: questa strada comincia a perdersangue sul serio.Luglio-agosto 1944. Premeno è un bel paese, ma non è ancora Miazzina.Forse, tra qualche mese, anche Premeno <strong>di</strong>venterà Miazzina.La gente ci guarda <strong>di</strong> traverso, sospettosa, paurosa. Ci chiama «fascistirossi» e teme che mettiamo a soqquadro il paese.In questi giorni parecchi si sono già ricreduti. Si attendevano <strong>di</strong> vedercigirare per il paese con lo sguardo fiero, l’arma imbracciata senza sicura.Invece si sono accorti che camminiamo come loro e non chie<strong>di</strong>amo i documentialla gente.Abitiamo una villetta fuori del paese tra chiazze <strong>di</strong> prato e boschetti.L’abbiamo battezzata col vecchio nome «Tipperary». A fianco <strong>della</strong> portaprincipale c’è un’iscrizione in inglese: «Home, sweet home». Anche per noi.Da parecchi giorni, nelle prime ore del mattino ci appostiamo nelle vicinanze<strong>di</strong> Intra, lungo la strada <strong>di</strong> Premeno, per proteggere il passaggio <strong>di</strong>eventuali carichi favolosi <strong>di</strong> armi, che dovrebbero giungere dal Milanese,con degli autocarri. Naturalmente abbiamo posto esili speranze sull’arrivo<strong>di</strong> queste armi: e ogni notte bestemmiamo per le belle ore rubate al sonno.Stamattina più ferocemente del solito, poiché ci siamo alzati alle tre.Abbiamo oltrepassato da poco Antoliva, quando sentiamo rumore <strong>di</strong>autocarri. Ci buttiamo lungo la strada poi attraverso i prati, ma solo per66


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniscrupolo <strong>di</strong> coscienza senza entusiasmo. Sbuchiamo <strong>di</strong> nuovo sulla stradaa venti metri da due autocarri che stanno salendo. Riconosco Carletto chescende e mi corre incontro. Carletto è una vecchia conoscenza.Gli chiedo se ci sono delle armi e mi risponde affermativamente. Guardoi carichi, son coperti da teloni sotto i quali s’indovina qualcosa <strong>di</strong> ossuto.- Ci sono i mitragliatori?- No, ci sono le 12,7.Il telone forma <strong>di</strong>versi campanili <strong>di</strong> buon augurio.- Son quelle alte sotto il telone?- No, quelle sono le 20 millimetri. Le 12.7 sono sull’altro autocarro.- Hai detto 20 millimetri?- Sì, ce ne sono sette.- Munizioni?.- Fin che ne vuoi.Adesso siamo contenti anche noi, quasi come Carletto e i suoi amici.Carletto mi racconta le <strong>di</strong>verse avventure <strong>di</strong> viaggio. Dice che han fregatoquella roba in uno stabilimento dell’Isotta Fraschini a Cavaria, vicinoa Gallarate.Le bande s’ingrossano <strong>di</strong> nuovo. Ma più lentamente.Sono avvenute parecchie scissioni dal battaglione «Valdossola».La «Giovane Italia» si è unita ai <strong>di</strong>ssidenti <strong>della</strong> Valgrande ed ha costituitola 85ª Brigata Garibal<strong>di</strong> «Valgrande Martire», al comando <strong>di</strong> Galli,un gappista milanese. Il «Valdossola» ora Brigata «Valdossola» è rimastocon pochissimi uomini.La «Perotti» è in val Cannobina: qualche giorno fa ha catturato 18 tedeschi.Anche la «Battisti» si è staccata da Superti ed è <strong>di</strong>ventata battaglioneautonomo; una sessantina <strong>di</strong> ragazzi, ma che sparano e che han visto lamorte a un palmo. E sanno perché sparano.[31] Abbiamo un vice comandante del battaglione e il vice comandanteè Nemo.Nemo ha fatto il bel colpo delle armi a Cavaria con Carletto. È ingegnere,era capitano d’aviazione, ha fatto un sacco <strong>di</strong> cose utili, ma lui nonlo <strong>di</strong>ce perché parla poco: solo quando è necessario. È un uomo con mo-67


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chioviniglie e un bambino e quando parla fa allargare il cuore e fa riflettere: perchéparla quando è necessario. E non gli manca coraggio e buon senso.Agosto 1944. Di notte i fascisti, a Intra, si chiudono in caserma.Di nottei partigiani scorazzano in<strong>di</strong>sturbati per le vie <strong>di</strong> Intra.Talvolta rischiamo <strong>di</strong> spararci tra noi e le pattuglie <strong>della</strong> «Valgrande».L’altra notte, dopo aver atteso parecchie ore un immaginario pattugliame<strong>di</strong> militi, colmi <strong>di</strong> rugiada e <strong>di</strong> sonno, siamo andati alla Nestlè con uncarretto a cavallo. Ci siamo portati a Premeno cinque quintali <strong>di</strong> cioccolato.La Volante, in seguito all’accentuata attività, richiede, al Comando Brigata,una recluta per la sua base Tipperary (Premeno-Sweet Home), concompiti <strong>di</strong> cuoco, piantone ecc. Nemo chiede a una recluta: «Tu come tichiami?», poi «Agrati Pierino. Tu andrai alla ‘Volante’ e ti chiamerai Vola».La notte passata ci siamo <strong>di</strong>vertiti a gettar ciottoli nel giar<strong>di</strong>no <strong>di</strong> villaCaramora: nella villa ci sono i militi <strong>della</strong> PAI. Abbiamo gettato i sassiper provocare un’ipotetica sentinella. Poiché non c’è stata nessuna reazione,siamo tutti d’accordo nel giurare che non c’è sentinella. Stanotte scenderemoper sorprenderli nel sonno e <strong>di</strong>sarmarli: c’è una <strong>di</strong>ecina <strong>di</strong> mitra ealtrettante pistole nella villa Caramora.Leo, per l’ennesima volta è rimasto fregato: alla vigilia <strong>di</strong> ogni azionefa sempre la conta con Mosca e chi vince parte per l’azione. Mosca bara equesta volta l’ha lasciato vincere, perché sapeva che l’azione non era per lanotte passata. Leo è in gamba e quasi mi pento <strong>di</strong> averlo chiamato coniglioil giorno in cui è salito; ma quando si è presentato, i capelli bion<strong>di</strong> e il visoavrebbero stonato accanto alla canna <strong>di</strong> un’arma. Ora, che non è passatoun mese, non stonano e Leo ha imparato a sorridere come noi. Stanottesorrideva e parlava sommessamente: come noi.Per l’ennesima notte passiamo il ponte e siamo a Intra. Sette siamo: Nemoe Sascia, Tucci e Carluccio, Marco, Wla<strong>di</strong>mir ed io. Né Leo né Moscaquesta notte han potuto venire e stanotte è la volta buona: nove mitrae nove pistole, se va bene.Appoggiamo al muro <strong>di</strong> cinta del giar<strong>di</strong>netto che cinge la villa, una scalettaa pioli che abbiamo con noi: saliamo.Ora siamo tutti e sette seduti in cima al muro, con le gambe ciondoloniverso l’interno. Ritiriamo la scala e l’appoggiamo dentro il giar<strong>di</strong>no. Scen<strong>di</strong>amoe cominciamo ad avanzare verso la porta <strong>della</strong> villa. Ci sono quin<strong>di</strong>cimetri dal muro alla villa. Ora si ode soltanto il sommesso macinare del-68


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinile nostre scarpe sulla ghiaia.Marco fa violentemente segno <strong>di</strong> abbassarci. Ci accucciamo ognunodove ci ha sorpreso il segno <strong>di</strong> Marco. Sentiamo armare un mitra, ma nonve<strong>di</strong>amo dove. Forse in mezzo alle piante davanti a noi.Un colpo, una raffica e poi silenzio. C’è la sentinella allora. E ha sparatoanche. Noi avremmo giurato che non c’era.Sono <strong>di</strong>steso sul terreno, piantato su un gomito e il palmo <strong>della</strong> manomi sostiene la testa. Mi guardo attorno: Sascia e Carluccio sono <strong>di</strong>etro <strong>di</strong>me che occhieggiano dal tronco <strong>di</strong> un albero. Tucci, è in mezzo al giar<strong>di</strong>no<strong>di</strong>etro a esili frasche <strong>di</strong> piselli. Ai miei lati ho i pie<strong>di</strong> <strong>di</strong> Marco e <strong>di</strong> Nemo.Più in là, nell’ombra <strong>di</strong> un cespuglio, indovino Wla<strong>di</strong>mir.Riattaccano a sparare: ora non si capisce più niente. Si vedono fiammellevibranti alle finestre e si odono raffiche lunghe, una sopra all’altra.Anche una mitraglia si sente, ma si <strong>di</strong>stingue appena tra il crepitare <strong>di</strong> quelplotone <strong>di</strong> mitra. Da <strong>di</strong>eci metri sparano e aspetto da un attimo all’altro,attendo il pugno caldo <strong>di</strong> una pallottola.Marco si volta e vede che sto guardando avanti, imbambolato. Si arrabbia:«Giù quella testa, patacca». Metto la guancia contro terra aspettandosempre il colpo addosso. Come mai non è ancora arrivato?Durante una pausa Nemo si volta e mi chiede, sorridendo tranquillamente:«Che facciamo?» «Usciamo» rispondo. «Da che parte?» «Lì, dall’angolo».Giungiamo d’un balzo al muro: sono con Nemo e Wla<strong>di</strong>mir; gli altristanno salendo dalla parte <strong>della</strong> scala. I due mi spingono su per il muro,poi afferro Nemo per le braccia e lo tiro su. Ora c’è Wla<strong>di</strong>mir: è pesante.Gli altri ricominciano a sparare e io non riesco ad issarlo. Wla<strong>di</strong>mir, convoce concitata mi sussurra: «Fare presto, fare presto». Tra un momento ricadremotutti e due nel giar<strong>di</strong>no e le pallottole schioccano contro il muro.Finalmente dall’altra parte gettano la scala: Wla<strong>di</strong>mir vi appoggia il piedecon precipitazione e d’un colpo è in cima.Saltiamo giù, traversiamo la strada e dall’angolo cominciamo a rafficare:siamo arrabbiatissimi benché per stranissimo caso nessuno <strong>di</strong> noi siastato colpito da quelle raffiche.Per finire, tutti i nostri mitra si inceppano: furibon<strong>di</strong> imprechiamo sordamente.Ma le nostre rade raffiche sono bastate a far tacere gli altri.Ripassiamo il ponte con andatura triste. Wla<strong>di</strong>mir mi <strong>di</strong>ce: «Io crederetutti morire, la dentro» «Anch’io, Wla<strong>di</strong>mir».[32] Il sole è già alto sopra le montagne <strong>di</strong> Laveno, quando arriviamo69


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinia Premeno, a Tipperary. C’è aperto e fuori, sull’uscio un partigiano sta lavandole stoviglie.Si capisce alla prima occhiata che è una recluta. Già, forse è la reclutache abbiamo chiesto al Comando.- Come ti chiami?- Vola.- Ti han mandato da Pian Cavallo?- Sì.- Pulisci i nostri mitra e prepara da mangiare per quando ci sveglieremo.Ci va a genio: non è come le altre reclute che vogliono sapere un sacco<strong>di</strong> cose e si danno delle arie. Quando ci alziamo il pasto è pronto e i mitrasono puliti. Il viso <strong>di</strong> Vola non men<strong>di</strong>ca neppure un nostro sguardo <strong>di</strong>approvazione.1° settembre 1944 - occupazione <strong>di</strong> Cannobio. Or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> operazioni:«La “Volante”, stanotte scenderà sulla strada nazionale tra Ghiffa ed Oggebbioe provvederà ad interrompere le comunicazioni fonotelegrafiche traIntra e Cannobio e tratti interme<strong>di</strong>. Si incontrerà a Cannero, alle ore 8,con il Distaccamento 109 e rimarrà in attesa <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni. Arca».Scen<strong>di</strong>amo verso il lago, sollazzati dalle bestemmie, in perfetto ucraino,<strong>di</strong> Wla<strong>di</strong>mir, all’in<strong>di</strong>rizzo <strong>della</strong> «strada italiana», per la verità un sentieroscosceso e sassoso. Vola ci segue in silenzio, con la sua unica arma: unapistola calibro 6,35. Arriviamo alla «nazionale» ed ora si tratta <strong>di</strong> tagliare ifili del telefono e del telegrafo: quali saranno <strong>della</strong> ventina <strong>di</strong> fili che ve<strong>di</strong>amosopra le nostre teste? Deci<strong>di</strong>amo <strong>di</strong> tagliarli tutti in attesa <strong>di</strong> future delucidazioni.Tutti nicchiano: nessuno vuol salire perché costa fatica saliresui pali; perché bisogna tagliare i fili con una semplice accetta, e poi c’è lacorrente elettrica che a Vola in special modo non è simpatica.Vola stesso si offre e taglia i fili <strong>di</strong> una ventina <strong>di</strong> pali. Da quel giornoabbiamo compreso il suo spirito <strong>di</strong> sacrificio.Giungiamo a Cannero e incontratici con gli altri atten<strong>di</strong>amo gli or<strong>di</strong>niche non arrivano mai. Non è conveniente mandare avanti una pattugliache potrebbe essere scoperta mentre l’azione dovrebbe aver carattere <strong>di</strong> sorpresa.Ci vuole un borghese che vada a prendere contatto con il grosso chescende dalla Cannobina. Ancora Vola si offre <strong>di</strong>cendo che ha «i documentia posto». Prende l’aspetto <strong>di</strong> un boscaiolo attaccandosi una roncola alla70


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinicintura e parte in bicicletta. Rientra dopo aver portato a termine l’incarico.Qualche mese più tar<strong>di</strong> mi confesserà <strong>di</strong> non aver avuto affatto in quellacircostanza i documenti in regola.3 settembre 1944. A Cannobio c’era un presi<strong>di</strong>o tedesco e uno fascista:a Ponte Valmara un presi<strong>di</strong>o <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Frontiera.Oggi ci sono i partigiani <strong>della</strong> «Battisti» e <strong>della</strong> «Perotti». Stamattina si èarreso anche il presi<strong>di</strong>o fascista <strong>di</strong> Cannobio che ancora resisteva, sperandonell’arrivo <strong>di</strong> rinforzi. L’occupazione ci è costata solo un morto e qualcheferito. Circa 100 prigionieri, tra cui 70 tedeschi, 4 mitragliatrici, 4 mortaida 45 e una ventina <strong>di</strong> mitragliatori. Anche la flotta abbiamo: due battelli<strong>della</strong> Soc. <strong>di</strong> Navigazione e due «mas».I tedeschi si sono arresi quasi senza sparare, forse perché va bene l’offensivadegli inglesi sul fronte italiano. Sono stati accompagnati alla frontierasvizzera.I fascisti no, la popolazione ha voluto che restassero a Cannobio persempre. Anche noi l’abbiamo voluto. A Cannobio tutta la popolazione èper le strade e si accalca intorno ai partigiani: le reclute sono raggianti, magli anziani ostentano parecchia in<strong>di</strong>fferenza e preferiscono gironzolare perle camerate delle caserme in cerca <strong>di</strong> colpi <strong>di</strong> mitra e <strong>di</strong> pistola, preferisconoscovare una bettola tranquilla per bere e per mangiare. Questo cercanogli anziani. Stamattina s’è iniziata la mania <strong>di</strong> arruolarsi e i primi arruolatisban<strong>di</strong>erano già i ’91 e li sparano per vedere se funzionano. Bestemmiareci fa, questa gente.Nella caserma dei militi ho rimesso a nuovo Wla<strong>di</strong>mir con un paio <strong>di</strong>pantaloni grigio verde, fasce nere e una camicia nera <strong>di</strong> flanella. Di vecchios’è tenuto soltanto le scarpe ed il baschetto blu scuro, quasi nero: non cimancava che quello per rassomigliare a un fascista. Wla<strong>di</strong>mir mi ringraziacon effusione russa per i vestiti che gli ho procurato e io sghignazzo vedendolovestito in quel modo.A mezzo del pomeriggio ballonzola qua e là una confusa notizia che aCannero siamo attaccati: è meglio andare a vedere. Arca che ha già scovatouna motocicletta mi fa salire e partiamo. Dietro a noi c’è Dieci con un’altramoto e poi una macchina.Curve, con la moto a 45 gra<strong>di</strong> e l’aria che ricaccia in gola il respiro e falacrimare: questo significa andare in moto con Arca.Arriviamo a Cannero. È vero: un camioncino <strong>di</strong> militi <strong>della</strong> brigata ne-71


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinira <strong>di</strong> Intra, un reparto <strong>di</strong> nuova costituzione, è giunto davanti al nostro posto<strong>di</strong> blocco, <strong>di</strong> sorpresa. I militi si sono accorti a duecento metri dei partigiani,un attimo prima che una 12,7 e una 20 millimetri aprissero il fuoco.Ora il camioncino è lì in mezzo alla strada, sforacchiato e inservibile. I militisono scappati verso Intra. Ripren<strong>di</strong>amo l’inseguimento con le due motoe la macchina, lasciando a terra Wla<strong>di</strong>mir che bestemmia paurosamente,ma le balestre <strong>della</strong> macchina toccano terra per il sovraccarico.Credo che Arca vada troppo in fretta: nelle curve mi scordo dei fascisti.Anche nei rettilinei. Ora la macchina ci ha sorpassati. Poi il fracasso dellenostre raffiche copre quello delle macchine. Abbiamo raggiunto i fascisti.Arca ha bloccato la moto, scen<strong>di</strong>amo, corriamo innanzi: ve<strong>di</strong>amo quelli<strong>della</strong> macchina che tornano verso <strong>di</strong> noi per mettersi al coperto, poichéqualche fascista ha fatto in tempo ad asserragliarsi in una villa vicina ed orapiovono raffiche sulla strada. Anche un fascista morto ve<strong>di</strong>amo: a settantametri da noi, <strong>di</strong>steso sull’asfalto. Mi fa meno impressione dell’ultima voltache ne ho veduti e non ci ripenserò che per ricordare l’azione <strong>di</strong> oggi.Ormai, un fascista morto, per me, non è che un uomo senza vita, è unnemico <strong>di</strong> meno. È un’unità che allarga lo spazio che separa i nemici da noi.Oggi non ho tempo <strong>di</strong> pensare ad un uomo cadavere; oggi, sono contentoperché i fascisti scappano e noi li inseguiamo.Sono saturo <strong>di</strong> euforia gioiosa perché oggi il rastrellamento lo facciamonoi e loro provano quello che abbiamo provato noi, <strong>di</strong>eci volte tanto, perchéla gente li attende ad ogni cantonata per segnalarceli.So che questa non è la parte migliore dei sentimenti <strong>di</strong> un partigiano,ma chi <strong>di</strong> noi sa <strong>di</strong>menticare i compagni morti nei mo<strong>di</strong> più inumani?[seconda parte]Lo ritrovo (Vola) qualche giorno dopo Natale a Scareno: viene dallaSvizzera. Per un po’ <strong>di</strong> tempo conduciamo una vita grama, nella più completainazione in mezzo alla neve tra una puntata e l’altra. Un giorno, mi<strong>di</strong>ce: «Peppo, mi sembra che non hai più voglia <strong>di</strong> far niente». Ha colpitonel segno e il rimprovero ha servito: si ricostituisce la «Volante Cucciolo» ericominciamo le nostre scorribande.[33] 14 gennaio 1945.Un’ora fa ho detto a Vola che oggi commisero ifascisti e li ho chiamati anche «poveri <strong>di</strong>avoli».72


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniVola stava scopando: oggi vuol fare pulizia generale nella nostra casetta.Senza smettere <strong>di</strong> scopare mi ha risposto che sì, non avrebbe mai volutocambiarsi con un fascista, nemmeno per mezz’ora, ma che oggi li commiseravapiù del solito.- Hai ragione, continuava, oggi sono davvero «poveri <strong>di</strong>avoli». E adessonon starmi tra i pie<strong>di</strong>, vai fuori che sto lavorando.Vola ha parlato come nei giorni in cui è contento. Oggi è contento <strong>di</strong>vivere: per la valanga <strong>di</strong> sole che erompe dal <strong>di</strong> fuori, attraverso la finestrae fa guardare con simpatia le cose più banali <strong>della</strong> nostra casa: anche le stovigliesporche e i tizzoni spenti nel camino, su cui la vivida luminosità inaspettatafa pesare l’inutilità <strong>della</strong> sua funzione in questa giornata <strong>di</strong>versa.Sono uscito per finire <strong>di</strong> impicciare Vola e perché ci eravamo già dettotutto; ho socchiuso gli occhi perché il chiaro accecante del sole e <strong>della</strong> neveera prepotente e li ho riaperti gradatamente. Poi ho esaminato la pista,tracciata nella neve fresca dagli altri che erano scesi in paese: volevo giungereal muretto <strong>di</strong>stante <strong>di</strong>eci metri e la pista passava a tre metri. Ho datouna occhiata alle mie pantofole, poi le ho tolte e mi sono buttato avantinella pista con le pantofole in mano. I pie<strong>di</strong> provavano scottature gelategradevoli e dolorose. Provai ad immaginarmi il lavoro dei pie<strong>di</strong> che schiacciavanola neve, la scavavano, la gettavano in<strong>di</strong>etro nello sforzo violento <strong>di</strong>avanzare celermente e immaginai le reazioni dell’anima esasperata dei pie<strong>di</strong>,allo sforzo e al freddo. Così mi trovai contento <strong>di</strong> pestare la neve coipie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>. All’ultimo tratto, quando dovetti lasciare la pista, pensai chequesta voluttà innaturale poteva anche cessare, che sarebbe stato tempo.Mi sdraiai sul muretto tiepido <strong>di</strong> sole precoce, usando le pantofole per cuscino.Mentre ascoltavo le varie instabili impressioni che ricevevo dai pie<strong>di</strong>ubriacati dal gelo tenero <strong>della</strong> neve fresca, pensai che la nostra casettaera il luogo più bello abitato dai partigiani. Era vero perché non ne conoscevoaltri migliori.L’aveva scovata Carluccio, uno degli ultimi giorni d’ottobre. Un giorno<strong>di</strong> pioggia da rastrellamento: e con i tedeschi alle costole. Lui Carluccio, eTucci. Girovagando tra le pinete <strong>di</strong> Sasso Corbè, si erano affacciati ad unabalconata <strong>di</strong> terreno e la casetta era lì, a quattro passi.I rigagnoli <strong>di</strong> acqua ghiaccia, dalla fronte scendevano sui loro nasi gocciolanti.Anche i mitra erano intrisi <strong>di</strong> acqua.E quando il mitra e il naso gocciolano, ci si esaspera, gli occhi si riem-73


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinipiono <strong>di</strong> rabbia e si mandano alla malora anche i tedeschi. Era chiusa la casetta,ma Carluccio sa trovare il modo <strong>di</strong> entrare in una casa chiusa: sa faremille cose, Carluccio. L’ho visto riparare armi, ra<strong>di</strong>o, orologi, impiantielettrici. L’ho visto fare il falegname, il meccanico, l’infermiere, l’autista.Dice che nessuno gli ha insegnato. Lui osserva tutto, fino alla curiositàspinta, poi ci prova e riesce, perché è un artigiano nato.E non ha faticato per aprire la casetta. Ci son entrati e ci son rimasti: a<strong>di</strong>spetto dei tedeschi a due palmi. Poi anche Cesco ci andò a stare; in seguitoli raggiunsi anch’io; infine, quando tornò dalla Svizzera, anche Vola:l’ultimo giorno dell’anno. Poi, Tucci andò al Comando e restammo inquattro. L’abbiamo chiamato «Rifugio»: è in fondo alla balconata <strong>di</strong> terreno,tra gli abeti più alti e non visibile da nessun punto. Nemmeno dalla cima<strong>di</strong> Sasso Corbè. Non è una casa, ma nemmeno una baita: è una casettaminuscola, quasi un rifugio alpino, con stufa economica, acqua potabile ecamino. E un portichetto per metterci la legna tagliata. C’è anche un «water»,ma i nostri pie<strong>di</strong> poggiano sulla neve.La neve ha raggiunto l’altezza del davanzale dell’unica finestra e ci pensanole frequenti nevicate a tenercela aggrappata.Dentro, colmiamo il vuoto del tempo e dello stomaco, giocandoci icolpi <strong>di</strong> mitra a «scala quaranta» o al «poker»: con estrema prudenza, perchéi colpi <strong>di</strong> mitra non sono denari. Anche a «dama», giochiamo; con ungioco costruito da Vola.Vola è volonteroso, pieno <strong>di</strong> buon senso e spirito <strong>di</strong> sacrificio: lo ve<strong>di</strong>amoogni giorno da ogni minimo atto. Vola dorme quasi sempre vicino ame, che dormo male e son pieno <strong>di</strong> scabbia. Per convenzione dovrebberodormire a turno vicino a me, ma Cesco e Carluccio mancano spesso ai patti.La neve e questa vita statica, ci fan <strong>di</strong>ventare sempre più indolenti. NonVola, Cesco più <strong>di</strong> noi due. Una sera ci eravamo appena coricati: Cesco,che aveva la candela un palmo <strong>di</strong>etro la testa, non voleva spegnerla poiché<strong>di</strong>ceva <strong>di</strong> essere stato poco prima coi pie<strong>di</strong> sulla neve.Nemmeno delle puntate ci curiamo. Talvolta, quando scen<strong>di</strong>amo a Premeno,la gente ci informa che i fascisti sono appena partiti: la gente non sadove abitiamo. Soltanto una volta abbiamo lasciato il «rifugio»: perché la«Confinaria» era a cento metri da noi. Vita grama e borghese. Vita da borghesiin decadenza. E triste.74


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovini[34] Vita trascinata con indolenza, accumulando ari<strong>di</strong> e monotoni minutisu minuti. Ecco perché basta il sole tepido a cambiare il nostro umoree farci accorgere che sa essere bello anche il mondo.Ci si dovrebbe vergognare riflettendo che il nostro umore è subor<strong>di</strong>natoalle con<strong>di</strong>zioni atmosferiche, eppure per noi e per me è un fattore importante,come sono importanti il vino e le patate che porteranno oggiCarluccio e Cesco da Premeno, e forse il tabacco e il liquido antiscabbia,perché oggi Cesco dovrebbe incontrare sua madre.Sono così importanti queste cose, che quando Cesco e Carluccio sarannoall’ultimo tornante <strong>della</strong> salita, chiederò se hanno tutte queste cose.So che non mi risponderanno finché non mi avranno raggiunto e liavrò <strong>di</strong> nuovo interpellati, perché loro han camminato, han portato lo zaino,hanno le scarpe fra<strong>di</strong>ce, mentre io sono sdraiato sul muretto.Lo sanno loro <strong>di</strong> godere una certa superiorità e anche in questo modola fanno pesare. Così stasera si sentiranno al sicuro da ogni altro lavoro, anchequello <strong>di</strong> badare al fuoco: esattamente come farei io.So come si è creata questa meticolosa computazione del lavoro <strong>di</strong> ognuno.Cesco, l’ultimo arrivato nella «Volante», doveva subire nei primi tempil’autorità <strong>di</strong> noi, che ci atteggiavamo ad anzianissimi. Lentamente è riuscitoa emanciparsi da questa <strong>di</strong>pendenza. Quando ci siamo accorti che i nostrior<strong>di</strong>ni perentori non raggiungevano più l’effetto, era troppo tar<strong>di</strong>: Cescosi considerava ormai un anziano. Aveva ragione e anziano lo consideriamo.Cesco prese atto con rapi<strong>di</strong>tà violenta del nostro riconoscimento epretese <strong>di</strong> riguadagnare il non lavoro perduto ingiustamente. Il lavoro chelui non voleva eseguire, non avevamo intenzione <strong>di</strong> farlo noi, così si giunseai giorni in cui si cominciò a <strong>di</strong>re: «Se tu fai questo, io faccio quest’altro».Le conseguenze non potevano essere che quelle a cui siamo giunti.Fortunatamente Vola è un uomo anche quando noi facciamo i bambini eciò che non vogliamo fare noi, lo sbriga lui: queste cocenti lezioni, che valgonopiù <strong>di</strong> ogni <strong>di</strong>scorso sono gli unici argomenti che qualche volta fannotornare uomini.Naturalmente la colpa <strong>di</strong> questo stato <strong>di</strong> cose è più nostra che <strong>di</strong> Cesco,sopratutto perché il giorno in cui è entrato a far parte <strong>della</strong> «Volante»,non era una recluta.Cesco, frequentava la mia stessa scuola e faceva parte <strong>della</strong> squadra <strong>di</strong>pallacanestro <strong>di</strong> cui facevo parte io. Quando i fascisti chiamarono la clas-75


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinise del ’25, Cesco piantò la scuola e raggiunse la banda <strong>di</strong> Beltrami in ValStrona; questo avvenne nel <strong>di</strong>cembre 1943.Fu assegnato al plotone <strong>di</strong> Rutto e in seguito ad un rastrellamento si ritrovòcol suo plotone a Villa Ompio tra i ragazzi del «Valdossola». Fu unamarcia infernale e tra i canaloni <strong>della</strong> Valgrande parecchi più anziani <strong>di</strong> luisi accasciarono senza forza e colmi <strong>di</strong> gelo, aspettando la morte nel torporesvuotante da cui niente li poteva scuotere.Cesco imparò a serrare i denti per non crepare così senza senso, imparòa vedere i compagni morti prima che il loro cuore cessasse <strong>di</strong> battere, imparòa gettarsi selvaggiamente su una capra e a <strong>di</strong>vorarne cinque minuti appressola carne tepida e dolciastra.A Villa Ompio, due giorni dopo, giunsero i fascisti. Cesco era con quelladozzina <strong>di</strong> partigiani che tennero duro e costrinsero i fascisti a ritirarsi ea tornare il giorno dopo, e quello dopo ancora, in un migliaio, compresi itedeschi. In Valgrande, dove il «Valdossola» aveva emigrato terminò <strong>di</strong> maturargliaddosso una secca pleurite: Cesco tornò a casa sua una sera, ubriaco<strong>di</strong> febbre. Cominciò per lui la vita tra ospedale militare e documenti falsi,fu arrestato e poi rilasciato, <strong>di</strong>sarmò qualche fascista, fece un paio <strong>di</strong> sparatorie,guarì completamente, infine si trovò stufo <strong>di</strong> non essere in montagna.Dieci giorni dopo aver perduto Cannobio e Cannero giungevo a PianCavallo da Finero con la «Volante» rimessa a nuovo e appesantita.Era il tempo dell’occupazione dell’Ossola: reclute, macchine e munizionia iosa e molte cose che non andavano più e che facevano bestemmiarei più anziani. Dopo un giorno a Domodossola dove avevo scoperto menseufficiali, e cinque o sei giorni in Val Vigezzo e Cannobina, dove gli «ufficiali»<strong>della</strong> brigata «Perotti» fumavano sigarette svizzere e si facevano chiamare«signor tenente», racimolai la vecchia «Volante», andai a scovare Dieci,Sergio e Trentasette convalescenti per ferite, aggiunsi Lino, Marmellata,il russo Costatin e ci incamminammo contenti verso Premeno. Quandogiungemmo a Pian Cavallo, sulla porta <strong>di</strong> entrata dell’albergo c’era Cesco,in pie<strong>di</strong> contro lo stipite.[35] Non mi meravigliai <strong>di</strong> trovarlo a Piancavallo. Da tempo avevo imparatoa meravigliarmi soltanto quando un partigiano si metteva con i fascisti.Di Cesco (anzi Gastone, poiché ancora lo conoscevo soltanto col suovero nome) non avevo saputo più nulla dal ’43 e da un paio d’anni nonlo vedevo.76


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniCi sorridemmo dandoci la voce, poi: «Cosa fai qui?»Lui rispose con gesti vaghi e buffi, un’elegante alzata <strong>di</strong> spalle <strong>di</strong> tutta lapersona: braccia, testa, orecchie, torso.Parlammo un po’, chiedendo io notizie <strong>di</strong> antichi compagni. Gastoneaveva conservato la sua voce lenta strascicata, come un torrente delle Langhe:anche in piena sempre pigro. Anche arrabbiato Gastone non l’avevomai visto accelerare il gettito delle sue parole o mutare tono <strong>di</strong> voce.Aveva ancora il viso infantile, le efeli<strong>di</strong> sulle guance e più fitte vicinoal naso, ancora la peluria chiara sotto le basette, come l’ultima volta chel’avevo visto; solo gli occhi grigio azzurri erano quelli <strong>di</strong> un uomo. Tenevain testa, <strong>di</strong> sbieco, una bustina da aviere: ultimo tocco alla sua scanzonatacompostezza.Terminò <strong>di</strong> raccontarmi succintamente la sua vita dall’8 settembre allasera precedente quando è giunto a Pian Cavallo. Poi lo piantai per andarein cucina a smaltire la fame.Più tar<strong>di</strong> ripensai a Gastone e per quella parte <strong>di</strong> lui che conoscevo,mi accorsi <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>carlo bene. Tornai dritto da Gastone e gli chiesi, senzapreamboli, se voleva venire in «Volante». Mi rispose, senza pensarci troppo,che ci stava a venire in «Volante».- Qual è il tuo nome <strong>di</strong> battaglia?- Cesco.Allora mi infilai nella camera del Comando del Battaglione e trovaiquello che cercavo: un signore <strong>della</strong> nostra età con la giacca a vento nuovapulita, che si presentò con un nome <strong>di</strong> battaglia i<strong>di</strong>ota come un fascistaconvinto. I compagni mi avevano avvertito che quello era appena «rientrato»dalla Svizzera e che doveva essere stato ufficiale del «Regno».Andai da lui perché era l’aiutante maggiore del battaglione, così mi avevanodetto. Quel grado fino a quei giorni era stato sempre estraneo alla nostravita: giuro che se l’era fabbricato lui prima <strong>di</strong> «uscire» in Italia. All’aiutantemaggiore <strong>di</strong>ssi che avevamo bisogno <strong>di</strong> un uomo, una recluta: - L’abbiamogià trovato e ci sta a venire, avrà <strong>di</strong>ciotto anni. Cesco si chiama, èvenuto su ieri sera - e calcai su quel è venuto su ieri sera, pronunciandolocon tono irrisorio e in<strong>di</strong>fferente nel medesimo tempo. Si trattava, come gliavevo detto, <strong>di</strong> una recluta. Quello <strong>di</strong>sse subito, con<strong>di</strong>scendente, che potevoprendermelo e io chiesi <strong>di</strong> nuovo il suo nome <strong>di</strong> battaglia, ma questavolta lo pronunciò con una punta d’esitazione.E scendemmo, finalmente, verso Premeno su <strong>di</strong> un camion carico <strong>di</strong>77


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinilegna: la «Volante» con i suoi mitra Hotckiss e Mauser, satura <strong>di</strong> colpi dasparare e d’allegria nuova, inspiegabile; e Cesco serio, tra facce ignote, impacciatoda un fucile modello ’91, nuovo ma lungo e antiestetico, perciòinammissibile accanto al suo esatto corpo d’atleta.Un mattino, qualche giorno dopo, stavo con Vola, Carluccio e Wla<strong>di</strong>mir,<strong>di</strong>etro un muretto in pen<strong>di</strong>o, ad aspettare.L’alba era, e noi aspettavamo che fosse sufficientemente chiaro per <strong>di</strong>stinguerele sentinelle del posto <strong>di</strong> blocco fascista sottostante. Ogni tantopuntavo il Mauser <strong>di</strong> Vola ma le figure dei militi erano ancora confuse, seppuresempre meno. Due erano le sentinelle che passeggiavano tra i murettia secco sul ponte, forse per scaldarsi, perché anche noi eravamo intorpi<strong>di</strong>ti.Uno canticchiava un antico motivo «bada bimba a quel che fai, l’amoreva e non ritorna più».Poi una detonazione a destra cambiò il sapore <strong>di</strong> quell’alba: l’Hotckiss<strong>della</strong> pattuglia <strong>di</strong> Dieci cominciava a sparare sul posto <strong>di</strong> blocco attiguo alnostro. Vedemmo i militi buttarsi rapidamente al coperto.I colpi susseguenti tardavano a farsi sentire.- Deve essersi inceppato il mitragliatore - proclamò Carluccio. Dovevaessere proprio così.Intanto non avevo perso <strong>di</strong> vista il milite che prima cantava; l’avevo vistorimanere qualche secondo immobile nella positura in cui la detonazionel’aveva sorpreso, poi s’era buttato con irruenza <strong>di</strong>etro il muretto piùvicino. Non udendo altri spari, sporse la testa, poi il collo, si vedevano lespalle: cominciai a mirare.La canna del Mauser tendeva a scivolare lungo la superficie obliqua delmuretto; poi si fermò in un’incavatura proprio quando la mia inquieta impazienzastava <strong>di</strong>ventando dolorosa ed ero sul punto <strong>di</strong> erompere in un’ondata<strong>di</strong> imprecazioni. Quando la tacca <strong>di</strong> mira e il mirino si trovarono alposto giusto, la sentinella rassicurata, sporgeva fino alla cintola, con gliavambracci poggiati sul muretto. Rettificai per bene la mira e premetti.[36] Le fasti<strong>di</strong>ose sensazioni del rinculo e dell’assordamento mi colseroin un’esplosione <strong>di</strong> gioia: il milite s’era accasciato, si <strong>di</strong>stinguevano nettamentela testa e le braccia penzoloni al <strong>di</strong> qua del muretto.Dio, che tiro! L’avevo preso! Mi alzai, mi volsi verso i compagni e piùcon gli occhi che con la voce urlai che l’avevo beccato.78


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniSentii la voce tranquilla <strong>di</strong> Vola: «L’ha preso, <strong>di</strong>’» e dentro non c’era meraviglia,solo una gaia inflessione, una debole ghignata uniforme in tuttequelle parole.Wla<strong>di</strong>mir vociava: «Bene, preso uno fascista» e sgranava, inebriato, insensateraffiche <strong>di</strong> mitra. Anche Dieci, finalmente riattaccò a sparare, e anchei fascisti si decisero a rispondere. Ricaricai velocemente e mirai sul secondomilite che scappava lungo la strada. Sparai e tutti e quattro lo vedemmopiroettare sull’asfalto, poi trascinarsi lentamente verso un muroche l’avrebbe defilato. Il terzo colpo batté a meno <strong>di</strong> un metro, sull’asfalto,provocando una manciata schizzante <strong>di</strong> scintille giallo-viola; infine il militescomparve <strong>di</strong>etro il muro.Nuova esplosione gioiosa, mentre imprecavo a Wla<strong>di</strong>mir che scialacquavaraffiche come un fascista.Ora rispondevano astiosamente da tutti i posti <strong>di</strong> blocco circostanti.Si u<strong>di</strong>vano ancora, tra il fuoco delle altre armi, le cupe pigre raffiche dell’Hotckiss<strong>di</strong> Dieci.Fischiarono attorno a noi le prime pallottole meglio in<strong>di</strong>rizzate, poi<strong>di</strong>ssi <strong>di</strong> ritirarci ché non ne avremmo fatto più niente; ormai i fascisti sparavanocon mezza testa fuori dai ripari, o <strong>di</strong>etro le feritoie con mitra mitragliatorie mitraglie.Percorremmo spe<strong>di</strong>tamente il primo tratto scoperto, tra un vicendevolevociare festoso e rumorose risate.Ero contento, felice per i tiri, felice <strong>di</strong> averne fatto fuori uno e mezzo,contento <strong>della</strong> beffa riuscita, del milite che prima cantava e poi s’era accasciato,dell’altro ch’era rotolato sull’asfalto. Venti minuti dopo i fascistisparavano ancora col medesimo ritmo col quale avevano cominciato. Sparavanoancora quando c’incontrammo in un prato con la pattuglia <strong>di</strong> Dieci,che inveiva contro il mitragliatore inceppato dopo il primo colpo: c’eravoluto qualche minuto per rimetterlo a posto. In fondo, però, erano contentiquelli <strong>di</strong> Dieci, perché dopo una raffica, avevano visto aprirsi un largostrappo nella tenda sotto cui speravano si trovasse qualche milite.Ora, forse per sempre, tutte le volte che l’afosa sonnolenza <strong>di</strong> i<strong>di</strong>oti perio<strong>di</strong>come questo, invade me e il mio mondo, non sono entusiasta <strong>di</strong> quell’azione.Sarei sempre capace <strong>di</strong> ripeterla, perché debbo fare così, perché«loro» ci hanno costretti a sparare in quelle con<strong>di</strong>zioni, perché così significalottare contro chi ci ha costretti a sparare in quelle con<strong>di</strong>zioni, ma non79


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinisarei entusiasta. Specialmente la faccenda del terzo colpo sparato contro unuomo già colpito non mi va più. Forse, allora, è stata la foga, o non ho avutoil tempo <strong>di</strong> pensarci o deve essere stato il mio senso sportivo che soffocavala razionalità, perché mi accorgo che per molti mesi, sparare era il miosport preferito. Ma quel terzo colpo era inutile, ingiusto, insensato.Sento il dovere <strong>di</strong> sparare anche su <strong>della</strong> gente che, ignara, sta canticchiandoe pensando cose lontane dalla lotta, ma non sono entusiasta <strong>di</strong>questo dovere. Forse è anche pigrizia, forse paura, forse perché ora, soltantoadesso, in mezzo a rastrellamenti e puntate che cominciano e finisconosenza data, sento il desiderio <strong>di</strong> essere lasciato in pace.Voglio essere lasciato in pace, libero <strong>di</strong> camminare senza armi e <strong>di</strong> girareper le vie <strong>della</strong> città mia, <strong>di</strong> andare al cinema con i pantaloni stirati sene ho voglia e con le scarpette leggere <strong>di</strong> pelle con la suola <strong>di</strong> gomma; io eCesco e Carluccio e Vola, perché anche loro desiderano tutte queste cose efanno <strong>di</strong> tutto per <strong>di</strong>menticare che i tedeschi e i fascisti sono gente <strong>di</strong>versada noi. Perché non capiscono i fascisti <strong>di</strong> piantare tutto il loro peso <strong>di</strong> arminei loro fortini, e perché i tedeschi non vanno a casa loro, ognuno a casasua, ognuno pensare ai fatti suoi, e perché non pensano come noi? Perchésono <strong>di</strong>versi da noi? Perché, Dio?…Teste <strong>di</strong> rapa!E noi dobbiamo sparare soltanto perché loro non capiscono e soltantoloro, fascisti e tedeschi <strong>di</strong> tutto il mondo, sono l’ostacolo alla tranquillitànostra e <strong>di</strong> tutto il mondo: noi costretti a fare la guerra contro quelliche fanno la guerra.enneci25 febbraio 1945: Volante «Cucciolo» a Trarego **La Volante, a Trarego, è caduta senza retorica.I Caduti <strong>di</strong> Trarego e tutti i nostri Caduti ci hanno insegnato.La loro morte ci ha insegnato la vita e la viaLa Volante è tornata da un appostamento. È a Premeno. A Premeno arrivaun biglietto <strong>di</strong> Arca. Un biglietto, un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci parole: «La Volantedeve raggiungere Scareno nel più breve tempo possibile».** «Monte Marona», n. 34, 20 febbraio 1946. Pubblicato anonimo.80


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniLa Volante parte da Premeno. Parte <strong>di</strong> malavoglia: è appena tornata daun «giro» e vorrebbe stare un po’ a Premeno. Invece deve andare a Scareno.E Scareno non le è simpatico: ma parte, la Volante. E quasi, non canta. Siporta con sé un paio <strong>di</strong> bottiglie <strong>di</strong> cognac e qualche vasetto <strong>di</strong> marmellata,arrivato giusto allora. La Volante beve gli ultimi bicchieri al «Riposo», poisaluta «mamma Luisina». Esio, Aurano, poi Scareno. E su, al Comando.Arca è contento <strong>di</strong> rivedere la Volante: È sempre contento quando la ritrova.La saluta tutta e tende la mano a tutta. E tutta la Volante lo saluta;ed è contenta <strong>di</strong> salutarlo.Parla, Arca. Dice che in Cannobina la squadra <strong>di</strong> Dieci, è stata attaccata.Ci sono dei morti: uno, forse, è Dario. Dario era buono e anche un uomo.Un uomo <strong>di</strong> 18 anni: un bambino a vederlo, un uomo a conoscerlo.Arca <strong>di</strong>ce che bisogna far qualcosa contro quelli che hanno accoppatoDario e il resto: contro la «Confinaria».Prima <strong>di</strong> partire, la Volante ha già vuotato una bottiglia <strong>di</strong> cognac ed hasuperato la malinconia <strong>di</strong> Scareno.Gigetto e Jubal si tirano le loro barbe: barbe <strong>di</strong> quattro peli bion<strong>di</strong> e castani,barbe forzate. Vola <strong>di</strong>verte e Cesco <strong>di</strong>ce a Vola che arrivano i «mongoli»:Soltanto la Volante sa cosa voglia <strong>di</strong>re «arrivano i mongoli» e soltantolei ride.Poi, parte la Volante. Sugli scalini intona la sua canzone:... squadra dell’allegria;tra noi partigiani non c’è malinconia.Volante «Cucciolo» contenta e malinconica.Nove uomini contenti e malinconici .È contento il Vola <strong>di</strong> essere accanto a Gino, Cesco accanto a Carluccio,Ermanno accanto a Gigetto, uno accanto all’altro. E la Volante fa i primipassi cantando, e uno allacciato all’altro.E beve, beve anche l’altra bottiglia <strong>di</strong> cognac.Gigetto <strong>di</strong>ce che è ora <strong>di</strong> andare a dormire.Forse è meglio fermarsi alle prossime baite. Tutti faticano e camminanonel buio senza luna: contenti e malinconici. Malinconici perché devonoandare in Cannobina. Andare in Cannobina significa andare tra genteche non tutta ci vuol bene, gente che non tutta sta zitta, significa mangiarpoco e soprattutto significa lasciare la zona bella, la zona che vede In-81


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinitra, Pallanza e tutti i paesi che piacciono alla Volante.Alle prime baite la Volante si ferma, entra in una e mette le armi al riparodel fieno. Poi dorme, malinconica e contenta. Nella Volante tutti si voglionobene. Bene sul serio. E dormono uno accanto all’altro, abbracciati.Così, dormono. Perché si vogliono bene.La Volante oggi ha camminato, si è fermata, ha mandato una corvée aTrarego per prendere viveri. Qualcuno ha fatto il bagno, qualcuno ha dormito,qualcuno ha preparato da mangiare. La corvée è tornata con pane,carne, vino e una notizia: una pattuglia <strong>di</strong> fascisti sale tutte le sere a Trarego:5-10 fascisti, ora <strong>di</strong> arrivo, abitu<strong>di</strong>ni, itinerario e ora <strong>di</strong> partenza. C’ètutto. La Volante mangia, parte col buio, giunge a Trarego, lo lascia sopra<strong>di</strong> sé e si apposta sulla strada. Passa il tempo e i fascisti non passano. Lasquadra <strong>di</strong> Dieci resta com’è: con i suoi morti. I fascisti restano come sono:senza morti freschi. La Volante torna, cerca una baita col fieno, per dormire.Perché sono le due <strong>di</strong> notte.Al mattino, esce dalla baita la Volante: Si scolla <strong>di</strong> dosso le briciole <strong>di</strong>fieno e sale su per il prato giallo sciatto <strong>di</strong> gelo vecchio: per cuocere la carne,sale. A metà pen<strong>di</strong>o vede uomini, uomini armati, cappello alpino. Uncolpo <strong>di</strong> binocolo: «Confinaria». A 150 metri. Tutti i sentieri sono pieni <strong>di</strong>«Confinaria». Fascisti per tutta la montagna. Baite che bruciano e fascistiper tutta la montagna. E la Volante è nove uomini.La Volante tiene consiglio: tra le baite a 200 metri dai fascisti. Poi hadeciso. Deciso che cosa?Sa che è in trappola e vuole uscirne. Non si scalda e non perde tempo.Non smania e scherza ancora, ma pensa. Che cosa pensa? Ha deciso <strong>di</strong>non farsi pescare. Cerca un angolo morto per passare le ore che mancanoal buio. Scende sparsa, sperando <strong>di</strong> essere defilata. Forse è defilata: se nessunala vede. Come si fa ad essere defilati quando non c’è che prato quasiuguale chiazzato <strong>di</strong> neve e fascisti dappertutto? Fascisti sopra, su ogni sentiero,fascisti ai lati, fascisti sotto, a Trarego, a Oggiono.Ha trovato un angolo morto, la Volante: un catino, un imbuto <strong>di</strong> terreno,una conchetta, qualcosa per non lasciarsi vedere da tutte le posizioni.Nel catino la Volante parla. Parla, racconta e ride. Cesco racconta e gli altriridono, Jubal racconta e gli altri ridono, Gigetto racconta e gli altri non ridono:perché parla <strong>di</strong> Fondotoce. Poi, parla Ermanno, poi <strong>di</strong> nuovo Cesco,poi qualcuno ancora e gli altri ridono, meno quello <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>a che non sente.La volante ride, non si dà pensiero. Vede i fascisti e non si scalda. Vede82


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino Chiovinile baite bruciare e allora si arrabbia: si chiede perché i fascisti incen<strong>di</strong>ano lebaite. Che colpa hanno le baite? Poi, torna contenta <strong>di</strong> nuovo. Contenta <strong>di</strong>essere tutta assieme, uno accanto all’altro. Poi verso sera c’è Vola <strong>di</strong> guar<strong>di</strong>ae Vola <strong>di</strong>ce che un reparto <strong>di</strong> 43 uomini scende verso il catino.La Volante tiene consiglio e decide. Scendere in valle, e con la notte risalirel’altro versante, passando tra i loro presi<strong>di</strong>.Brutto è decidere, poi si scherza ancora. Fuori dal catino, la Volanteimbocca il sentiero appena segnato, scende verso la valle passando sotto ilroccione. Una raffica scuote il silenzio dei sassi che rotolano pianamente: ela Volante si ferma. Guarda e vede una fila <strong>di</strong> uomini in cima al roccione:sente altre raffiche e si butta lungo il pen<strong>di</strong>o pelato.Le raffiche infittiscono, passano accanto alla Volante, fischiano tra laVolante. E la Volante passa accanto alle raffiche, passa nelle raffiche, simuove tra le raffiche.Poi, la Volante si muove nel suo destino.Il destino <strong>di</strong> Ermanno che, sotto il roccione, spara finché avrà colpi. Ildestino dei vivi che il caso lascia vivi. Il destino degli altri che si fermanoal muretto. Un muretto a secco, dove comincia il prato. Dietro il muretto,uno accanto all’altro. E i colpi, uno accanto all’altro. E arrivano uno accantoall’altro. E colpiscono quelli <strong>della</strong> Volante: uno accanto all’altro.Poi, Cesco <strong>di</strong>ce che sono tutti morti e feriti e che la piantino <strong>di</strong> sparare.Lo <strong>di</strong>ce ad un ufficiale: «Disgraziato, piantala <strong>di</strong> sparare: son tutti morti eferiti». Ed è ferito anche lui. E <strong>di</strong>ce proprio «<strong>di</strong>sgraziato».La «Confinaria» smette <strong>di</strong> sparare <strong>di</strong> lontano. Si avvicina e spara da vicino.Da due metri, spara. Sui morti e sui feriti. Raffiche lunghe, senzasenso, per dritto, per traverso. Calci <strong>di</strong> mitra che spaccano le ossa già rottedalle raffiche.Sette morti. E la Volante eran nove. Due borghesi, e fanno nove. Perchédue borghesi?Nove morti.Nove morti e 348 ferite. Nove morti massacrati. La Volante morta: unoaccanto all’altro, come la Volante viva.83


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniLa vita <strong>di</strong> Nino Chiovini e i suoi scrittiNato nel 1923 a Biganzolo, oggi frazione <strong>di</strong> Verbania, si <strong>di</strong>ploma peritochimico nel 1942. Trasferitosi con la famiglia paterna a Cuggiono, nel Milanese,entra in contatto con un gruppo <strong>di</strong> giovani che si raccolgono intorno alprete antifascista don Giuseppe Albeni; nel frattempo lavora come tecnico allasocietà SIO <strong>di</strong> Milano.Dopo l’8 settembre entra attivamente nella Resistenza dando vita sulle collinedel Verbano, con giovani del luogo e <strong>di</strong> Busto Arsizio, al nucleo originario<strong>della</strong> futura formazione partigiana Giovane Italia, ufficialmente costituitasinel febbraio 1944. La formazione ha vita travagliata, con cambio frequente<strong>di</strong> comandanti tra cui lo stesso Chiovini (Peppo), il maggiore Biancar<strong>di</strong>, inviatodal CLN <strong>di</strong> Varese e che si allontanerà senza dar più notizia <strong>di</strong> sé dopoappena due mesi, a fine aprile, l’operaio comunista lombardo Alfredo Laba<strong>di</strong>ni(Guido il Monco), il tenente degli alpini Gaetano Garzoli (Rolando) a cuisi affianca successivamente il tenente Mario Flaim; entrambi i tenenti morirannosul Monte Marona il 17 giugno durante il rastrellamento <strong>della</strong> Valgrande.L’ambito operativo <strong>della</strong> formazione è <strong>di</strong>rettamente sovrastante Verbania,dalla bassa Valle Intrasca (Ungiasca, Miazzina) sino al Pian Cavallone, sededel comando, collocandosi tra l’area <strong>di</strong> azione del Valdossola <strong>di</strong> Superti, a ovest(Ompio, Valgrande, alture <strong>di</strong> Premosello) e quella <strong>della</strong> Cesare Battisti <strong>di</strong> ArmandoCalzavara (Arca) a est (alpeggi <strong>di</strong> Intragna, Premeno, Colle, Vadàa).Chiovini, con l’arrivo <strong>di</strong> Biancar<strong>di</strong>, si stacca operativamente dal grosso <strong>della</strong>formazione, dando vita ad una volante che agisce a ridosso <strong>di</strong> Verbania «restandosempre però agli or<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> Banda».Dopo il grande rastrellamento <strong>di</strong> giugno, mentre gli altri sopravvissuti <strong>della</strong>Giovane Italia danno vita, con i superstiti <strong>della</strong> Valdossola guidati da MarioMuneghina, alla 85 a Brigata Garibal<strong>di</strong> «Valgrande Martire», Peppo con isuoi confluisce nella Cesare Battisti dando vita alla Volante Cucciolo che opereràattivamente nel Verbano, da Intra al confine svizzero, sino al 25 febbraio1945 quando sarà sopraffatta a Trarego.Sopravvissuto all’ecci<strong>di</strong>o, Chiovini comanderà la volante Martiri <strong>di</strong> Traregoche parteciperà attivamente agli ultimi mesi <strong>della</strong> Resistenza contribuendoalla liberazione <strong>di</strong> Verbania e <strong>di</strong> Cannobio.84


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniVolantino <strong>della</strong> Repubblica sociale italiana.85


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniNel dopoguerra, trasferitosi definitivamente a Verbania, lavora come tecnicoalla Rho<strong>di</strong>atoce; il suo impegno continua aderendo nel 1946 al PCI e ricoprendo,tra il 1951 e il 1960 gli incarichi <strong>di</strong> consigliere e assessore al Comune<strong>di</strong> Verbania. Partecipa attivamente alle lotte operaie <strong>della</strong> Rho<strong>di</strong>atoce(poi Montefibre) e agli inizi degli anni settanta aderisce, con il partigiano GinoVermicelli, al gruppo verbanese de Il manifesto. Nel frattempo intensifica lasua opera <strong>di</strong> ricercatore e scrittore <strong>della</strong> Resistenza locale in contatto e in collaborazionecon l’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza P. Fornara <strong>di</strong> Novara e il ComitatoUnitario per la Resistenza <strong>di</strong> Verbania; lavoro che, con successive integrazionie rie<strong>di</strong>zioni, dà luogo a quello che è ancor oggi il principale testo sullaResistenza nel Verbano e sul rastrellamento <strong>della</strong> Valgrande: I giorni <strong>della</strong>semina (1974), opera idealmente completata dagli altri due testi Valgrandepartigiana e <strong>di</strong>ntorni (1980) e Classe III a B. Cleonice Tomassetti. Vitae morte (1981).L’inizio <strong>della</strong> collaborazione con l’e<strong>di</strong>tore Vangelista <strong>di</strong> Milano in occasione<strong>della</strong> nuova e<strong>di</strong>zione, ampliata, de I giorni <strong>della</strong> semina (1979) proiettaChiovini fuori dell’ambito e<strong>di</strong>toriale locale e lo stimola a nuovi terreni <strong>di</strong> ricerca:in particolare la ricerca storico-etnografica su quella che lui stesso definiva«civiltà rurale montana» a riconoscimento del debito <strong>di</strong> tutti quei montanari,donne e uomini, che «pagando un prezzo liberamente accettato, si schierarono,ognuna nella misura in cui le era possibile o le veniva richiesto, dallaparte <strong>di</strong> chi si stava battendo per la libertà e per la pace» (Mal <strong>di</strong> Valgrande)e, nel contempo, alla ricerca delle proprie ra<strong>di</strong>ci famigliari, nel cuore <strong>della</strong> ValleIntrasca. Escono così in successione: Cronache <strong>di</strong> terra lepontina (1987), Apie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong> (1988), Mal <strong>di</strong> Valgrande (1991) e, postumo, dopo la sua mortel’anno avanti, Le ceneri <strong>della</strong> fatica (1992).Una bibliografia provvisoria degli scrittiIo <strong>di</strong> politica non me ne voglio interessare in «Monte Marona», n. 7, 23 maggio 1945 (firmatoPeppo)… e tu a che partito sei iscritto? in «Monte Marona», n. 9, 7 giugno 1945 (firmato Peppo)Vola in «Monte Marona», n. 12, 21 giugno 1945 (firmato Peppo)Fuori Legge??? Diario <strong>di</strong> un partigiano nel Verbano, 36 puntate in «Monte Marona», dal n.15 del 6 ottobre 1945 al n. 54 del 10 luglio del 1946 (firmato Enneci); rie<strong>di</strong>zione parzialedelle puntate 17-23 (dal 12 giugno al 29 giugno 19444) in «Resistenza Unita», n.6, giugno198925 Febbraio. Volante «Cucciolo» a Trarego in «Monte Marona», n. 34, 20 febbraio 1946 (nonfirmato)86


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniVerbano, giugno quarantaquattro, Comitato <strong>della</strong> Resistenza, Verbania 1966, pp. 71I giorni <strong>della</strong> semina 1943- 1945, Comitato per la Resistenza nel Verbano, Comune <strong>di</strong> Verbania1974, pp. 140 (rie<strong>di</strong>zioni: Vangelista, Milano 1979 e 1995, pp. 155; Tararà, Verbania2005, pp. 159)Nino Chiovini sulle trattative e sulla liberazione dell’Ossola in «Resistenza Unita», n. 3, marzo1974 (lettera firmata)Fondotoce fra passato e presente in «Resistenza Unita» , supplemento al n. 5, maggio 1979Sulle sponde del Ticino nell’inverno del ’43, in «Resistenza Unita», n. 1, gennaio 1980Due giorni prima avevo compiuto do<strong>di</strong>ci anni in «Resistenza Unita», n. 6, giugno 1980 (ripubblicatoin Mal <strong>di</strong> Valgrande)Val Grande partigiana e <strong>di</strong>ntorni. 4 storie <strong>di</strong> protagonisti, Margaroli, Verbania 1980, pp. 123(rie<strong>di</strong>zione: Comune <strong>di</strong> Verbania - Comitato <strong>della</strong> Resistenza, Verbania 2002, pp. 126)Classe III a B. Cleonice Tomassetti. Vita e morte, Comitato per la Resistenza nel Verbano, Comune<strong>di</strong> Verbania, 1981, p. 66 (rie<strong>di</strong>zione parziale in «Resistenza Unita», n. 6, giugno1992)Il ’44 sulle sponde del Lago Maggiore in «Novara», n. 1/81, Camera <strong>di</strong> commercio <strong>di</strong> Novara,1981Note sul battaglione partigiano Taurinense in Jugoslavia in «Novara», n. 2/81, Camera <strong>di</strong>commercio <strong>di</strong> Novara, 1981Quando stava per sorgere l’alba <strong>di</strong> un mondo nuovo. Nel Verbano in «Resistenza Unita», nn.4/5, aprile-maggio 1981Partigiani e «sfrusitt» nell’Alto Novarese in «Ieri Novara Oggi», n. 5, Novara 1981, pp. 117-140Precisazione, in «Resistenza Unita», n. 11, novembre 1981 (a proposito <strong>della</strong> manifestazione<strong>di</strong> Pala <strong>di</strong> Miazzina)La <strong>di</strong>visione «Garibal<strong>di</strong>» in Jugoslavia in «Resistenza Unita» , n. 12, <strong>di</strong>cembre 1981E. LIGUORI, Quando la morte non ti vuole, Alberti, Verbania 1981 (curatore e prefatore N.Chiovini)Partigiani all’estero in «Resistenza Unita», nn. 4/5, aprile-maggio 1982Per non gridare alle pietre in «Resistenza Unita», n. 6, giugno 1982 (firmato n.c.)In biblioteca. Quando la morte non ti vuole in «Resistenza Unita», n. 9, settembre 1982A Trarego per la libertà, Comune <strong>di</strong> Verbania 1982 (ristampa 1995)Il Verbano tra fascismo antifascismo e resistenza, Comune <strong>di</strong> Verbania, 1983, pp. 22 (<strong>di</strong>spensaper L’Università <strong>della</strong> terza età)Storie d’anteguerra in Val Grande in «Verbanus n. 4», Alberti, Verbania 1983 (ripubblicatoin Mal <strong>di</strong> Valgrande)Un altro modo <strong>di</strong> scrivere <strong>di</strong> Resistenza. Ancora su Viva Babeuf! <strong>di</strong> Gino Vermicelli, in «IlVCO», n. 10 del 19 maggio 1984, p. 9Mario Flaim: sulle montagne del Verbano un testimone <strong>della</strong> fede e <strong>della</strong> libertà in «Il Verbano»,9 giugno 1984, tratto dall’ine<strong>di</strong>to Piccola Storia partigiana <strong>della</strong> Banda <strong>di</strong> Pian Cavallone(cap. VI-VIII) pubblicato con la presentazione, e intercalato dai commenti, <strong>di</strong> G.CacciamiOtto giorni <strong>di</strong> libertà a Cannobio in «Il Verbano», 6 ottobre 1984Andare a sachìtt in «Novara», n.1/84, Camera <strong>di</strong> commercio <strong>di</strong> Novara, 1984 (ripubblicatoin Mal <strong>di</strong> Valgrande)G. SCOTTI, Gli alpini dell’Intra in Jugoslavia: Piero Zavattaro Ar<strong>di</strong>zzi e i suoi uomini in quin<strong>di</strong>cimesi <strong>di</strong> guerra partigiana in Montenegro e in Bosnia (schede biografiche e note <strong>di</strong> N.Chiovini), Comitato per la Resistenza nel Verbano, Verbania 1984, pp. 11387


Il <strong>di</strong>ario partigiano <strong>di</strong> Nino ChioviniI corti <strong>di</strong> Velina in «Novara», n.4/85, Camera commercio <strong>di</strong> Novara, 1985 (rie<strong>di</strong>zione: Alberti,Verbania 1986; ripubblicato in Mal <strong>di</strong> Valgrande)A Verbania Borghese si arrende in «Resistenza Unita», nn. 4/5, aprile-maggio 19858 settembre 1943 nella Francia meri<strong>di</strong>onale. In quei giorni ad Albertville in «Resistenza Unita»,nn. 1/2, gennaio-febbraio 1986, NovaraDi nome vipera in «Eco Risveglio Ossolano», 20 febbraio 1986Dialetti delle valli Anzasca e Intrasca. Stu<strong>di</strong>o ine<strong>di</strong>to del XIX secolo <strong>di</strong> Giuseppe Belli e <strong>di</strong> altriautori, in «Novara», n. 2/86 e 4/86, Camera <strong>di</strong> commercio <strong>di</strong> Novara, 1986Cronache <strong>di</strong> terra lepontina. Malesco e Cossogno: una contesa <strong>di</strong> cinque secoli, Vangelista, Milano1987, pp. 202La liberazione <strong>di</strong> Cannobio nei documenti dell’Archivio Centrale dello Stato in «Novara», n.2/87, Camera <strong>di</strong> commercio <strong>di</strong> Novara, 1987 (con A. Mignemi)Giugno 1944. Rastrellamento in Valgrande. Cronaca <strong>di</strong> una sconfitta in «Resistenza Unita»,n. 6, giugno 1987Appunti <strong>di</strong> storia sociale <strong>della</strong> Val Grande, relazione al Convegno Val Grande ultimo para<strong>di</strong>so,Verbania 19 settembre 1987Ricordo <strong>di</strong> Dionigi Superti. Un partigiano vero e saggio in «Resistenza Unita», n. 3, marzo1988Spigolando in biblioteca. Le aquile delle montagne nere in «Resistenza Unita», n. 7, luglio1988A pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>. Una storia <strong>di</strong> Vallintrasca, Vangelista, Milano 1988, pp. 186 (rie<strong>di</strong>zione: Tararà,Verbania 2004)Ungiasca perduta in «Verbanus n. 9», Alberti, Verbania 1988Medaglia <strong>di</strong> Bronzo a Gastone Lubatti. Ma perché non d’oro? in «Resistenza Unita», n. 11,novembre 1988Ad<strong>di</strong>o alle armi, in «Le Rive» n. 1/89, pp. 56-58, Domodossola 1989 (ripubblicato in Mal<strong>di</strong> Valgrande)Cuggiono: un paese nella Resistenza in «Resistenza Unita», n. 10, ottobre 1989, <strong>di</strong>sponibilein rete: www.anpimagenta.it/pagine/agg/anni/06/25_01_06/chiovini.htmGiuseppe Bosco «Bagat» in «Resistenza Unita», n. 10, ottobre 1989Incisioni rupestri nell’area Verbano-Cusio in «Bollettino Storico per la Provincia <strong>di</strong> Novara»,n. 1/90, pp. 143-152 (con A. Biganzoli)Gran<strong>di</strong>ccioli: montagna fra i laghi in «Le Rive», n. 1/90, pp. 54 -55Intra, Pallanza e il retroterra montano, intervento al convegno «Comuni, Province e <strong>di</strong>segnodel territorio», Verbania 23-24 marzo 1990, trascrizione a c. A. Mignemi, <strong>di</strong>sponibilec/o ISRN, non pubblicatoVerbania minore in «Le Rive», n. 3-4/90, pp. 54-77La storia del Lin in «Le Rive», n. 5/90, pp. 41-44Impressioni e ricor<strong>di</strong>. Da Cannobio a Domodossola in «Resistenza Unita», n. 10, ottobre1990Il borgo <strong>di</strong> Sant’Ambrogio in «Le Rive» n. 2/91Da Villa Caccia Piatti a Villa Pos: due secoli <strong>di</strong> storia in «Le Rive», n. 5/91Mal <strong>di</strong> Valgrande, Vangelista, Milano 1991, pp. 141 (rie<strong>di</strong>zione: Tararà, Verbania 2002)Le ceneri <strong>della</strong> fatica, Vangelista, Milano, 1992, pp. 256La volpe in «Verbanus n.18», Verbania 1997, pp. 354-368, <strong>di</strong>sponibile in rete: www.thuler.net/phorum/read.php?1,1617,1620(rie<strong>di</strong>to in: Istituto Cobianchi, Memoria <strong>di</strong> Trarego,Verbania 2003, pp. 154-164; nuova ed. Tararà, Verbania 2006)88


Fuori legge??? <strong>di</strong> Nino Chiovini.Note su un <strong>di</strong>ario partigiano<strong>di</strong> Gianmaria Ottolini«Monte Marona»I primi contributi <strong>di</strong> Chiovini compaiono nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerrasul settimanale «Monte Marona» 1 . Questa testata partigiana era stata precedutada tre numeri del foglio ciclostilato «Valgrande Martire» comparso,a partire dal 21 aprile del 1945, quale portavoce dell’omonima formazionegaribal<strong>di</strong>na. Dal 5 maggio, per iniziativa <strong>di</strong> Armando Calzavara (Arca), inqualità <strong>di</strong> comandante <strong>della</strong> Divisione «Mario Flaim» che dal marzo 1945raggruppava unitariamente tutte le formazioni del Verbano 2 , il n. 4 del settimanaleesce a stampa con la nuova testata (quattro pagine fitte in formato<strong>di</strong> quoti<strong>di</strong>ano) quale organo ufficiale appunto <strong>della</strong> Divisione «MarioFlaim» e prosegue in questa veste sino alla fine <strong>di</strong> giugno.Finito il periodo ‘insurrezionale’, con la smobilitazione, il giornale interrompele pubblicazioni per riprenderle il 6 ottobre del 1945 (anno I, n.15)quale Settimanale dell’Anpi del Verbano-Cusio-Ossola. Arca ne è semprel’animatore, oltreché ufficialmente il <strong>di</strong>rettore responsabile; le tematichelocali <strong>di</strong> tipo sociale e politico si affiancano a quelle partigiane e l’orientamentoè abbastanza esplicitamente vicino a quello dei partiti <strong>di</strong> sinistra.Questo provoca alcuni malumori <strong>di</strong> cui si fa portavoce Enzo Plazzotta(Selva) 3 che, da Genova, manda due lettere ad Arca riven<strong>di</strong>cando, a nomedello spirito libertario e pluralistico <strong>della</strong> Cesare Battisti, un giornale menolocalistico, più battagliero, meno allineato e più libero, denso <strong>di</strong> «polemicamorale» nonché maggiormente attento alla qualità <strong>di</strong> scrittura 4 . Nellaseconda lettera, del 15 novembre, Selva in<strong>di</strong>ca quale riferimento, con ledovute <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> mezzi <strong>di</strong>sponibili, «Il Politecnico» <strong>di</strong> Vittorini ed invitaArca «a prendere le re<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> <strong>di</strong>ssidenza in seno al giornale» controle «limitazioni <strong>della</strong> mentalità <strong>di</strong> partito e <strong>di</strong> PC in particolare» ponendoun aut aut:89


Gianmaria Ottolinio Monte Marona giornale <strong>di</strong> sinistra (e in questo caso io <strong>di</strong>co arrivato, che può anchefacilmente tramutarsi in finito) oppure Monte Marona giornale <strong>di</strong> giovani liberi … unaonesta anarchia giornalistica.Questo è il problema e bisogna «decidersi a decidere» 5 .Il <strong>di</strong>lemma è chiaro e il giornale, contrariamente agli auspici <strong>di</strong> Plazzotta,si orienta più chiaramente verso la prima strada, come viene implicitamentepreannunciato nel n. 27 del 29 <strong>di</strong>cembre annunciando l’integrazione<strong>della</strong> testata «Monte Marona» con il titolo «il progresso» 6 ; la scelta è evidentementecon<strong>di</strong>visa da Arca che pur apprezzava le osservazioni e i suggerimenti<strong>di</strong> Selva sulla qualità del giornale. Così avvenne infatti, dal n. 28del 5 gennaio, con il nuovo titolo sovraimpresso su quello precedente e, afianco <strong>della</strong> nuova testata, la <strong>di</strong>citura esplicativa:Quelli <strong>della</strong> Marona, i nostri morti, appartengono a quel numero <strong>di</strong> uomini coscienti<strong>di</strong> usare la propria vita per il PROGRESSO SOCIALELe pubblicazioni terminano con il n. 66 dell’inizio dell’ottobre 1946:con l’allontanarsi <strong>di</strong> Calzavara dal territorio del Verbano 7 evidentementevenne a mancare il centro propulsore dell’iniziativa e<strong>di</strong>toriale.I primi due contributi <strong>di</strong> Chiovini, a firma Peppo, compaiono sul n. 7 esul n. 9 (23 maggio e 7 giugno 1945); sono entrambi 8 articoli <strong>di</strong> riflessionepolitica contro il qualunquismo <strong>di</strong> chi considera i partiti tutti ugualmentecorrotti, ma anche contro i numerosi nuovi iscritti che affollano le rinateformazioni politiche non per scelta morale, ma per carrierismo.Il successivo articolo, sempre a firma Peppo, compare il 21 giugno edè de<strong>di</strong>cato al partigiano Pierino Agrati (Vola) 9 ; vi sono, evidentemente, riportatialcuni spezzoni del <strong>di</strong>ario partigiano 10 datati tra l’agosto 1944 e il25 febbraio 1945 ed incentrati sulla figura del commilitone caduto a Trarego.Il pezzo si conclude con una amara riflessione su un presente che nonrende giustizia al sacrificio dei caduti e che chiama i compagni sopravvissutia reagire.Oggi sono stato al cimitero <strong>di</strong> S. Maurizio a ritrovarvi: te, Gino, Cesco, Lanzi, Victor.Sono sicuro che non siete contenti dei vostri compagni vivi poiché questa bella Italiaper la quale siete caduti non vive, ma vegeta ed è fatta vegetare. Tu, Vola, così intransigente,così uomo con i tuoi 25 anni al confronto dei nostri venti, così onesto, così coraggiosamenteonesto, <strong>di</strong>llo ai tuoi compagni <strong>di</strong> gloria che noi vivi non siamo poi così90


Note su un <strong>di</strong>ario partigianocolpevoli <strong>di</strong> questo stato <strong>di</strong> cose. Lo saremo se non reagiremo; aiutaci e illuminaci tusulla vera strada da seguire 11 .Probabilmente in questo passo conclusivo ritroviamo, anticipate daChiovini, le motivazioni profonde che hanno spinto Arca e i suoi collaboratoria non accontentarsi <strong>di</strong> un «Monte Marona» commemorativo e <strong>di</strong> denunciapiù morale che politica.Fuori legge???Il 6 ottobre 1945, quando «Monte Marona», con il n. 15, riprende vitaquale organo dell’Anpi del VCO, inizia anche la pubblicazione <strong>di</strong> Fuorilegge??? che dalla terza puntata, sul n.17, porta il sottotitolo <strong>di</strong> Diario<strong>di</strong> un partigiano nel Verbano. Il <strong>di</strong>ario nella prima puntata compare firmatocon l’acronimo emmeci (più che un depistaggio sembrerebbe un refuso)e, dalla seconda, in modo più esplicito, con enneci. La pubblicazione proseguiràregolarmente tutte le settimane, con poche eccezioni perlopiù inconnessione a numeri speciali de<strong>di</strong>cati a particolari ricorrenze (25 febbraioper Trarego, 25 aprile), per 36 puntate fino al n. 54 del 10 luglio del 1946quando, nonostante la <strong>di</strong>citura continua, del seguito non si ha più traccia.L’arco temporale degli eventi narrati va dall’ottobre del 1943, con la costituzionedei primi informali gruppi partigiani nel retroterra collinare <strong>di</strong>Verbania, al febbraio del 1945 con le ultime azioni <strong>della</strong> Volante Cuccioloche precedono l’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Trarego. Non si tratta <strong>di</strong> una cronaca: l’andamentocronologico è infatti molto irregolare (solo in alcuni passaggi precisatonella data del giorno, perlopiù viene in<strong>di</strong>cato il mese) e alcuni saltitemporali lasciano il lettore incerto sul succedersi degli eventi. È appuntoun <strong>di</strong>ario in cui si intrecciano la <strong>di</strong>mensione narrativa e quella interiore,riflessiva. Di qui un certo riserbo <strong>di</strong> Chiovini nella pubblicazione <strong>di</strong> cui,oltre all’acronimo <strong>della</strong> firma, fanno fede le presentazioni e<strong>di</strong>toriali volutedall’autore, sia in quella originaria («L’autore <strong>di</strong>ce che è necessario, se vogliamopubblicarlo, premettere qualche parola <strong>di</strong> scusa»), che nella rie<strong>di</strong>zioneparziale del 1989 su «Resistenza unita»:Nino Chiovini scrisse queste annotazioni […]imme<strong>di</strong>atamente dopo la Liberazione.Come avverte lo stesso autore, a <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> quasi mezzo secolo il <strong>di</strong>ario va letto comeun documento manifestamente frutto <strong>di</strong> impressioni imme<strong>di</strong>ate, con<strong>di</strong>zionate da accesisentimenti, che risentono dell’atmosfera cruda e magica appena trascorsa 12 .91


Gianmaria OttoliniCon ogni probabilità il materiale originario <strong>di</strong> appunti e annotazioniera più ampio e non è stato interamente utilizzato per la stesura <strong>di</strong> Fuorilegge??? come fa fede, ad esempio, oltre all’anticipo dei pezzi su Vola, unlungo articolo pubblicato su «Resistenza unita» nell’ottobre del 1990 13 .Nel <strong>di</strong>ario pubblicato si saltava infatti dal 3 settembre con la liberazione <strong>di</strong>Cannobio al 14 gennaio; <strong>della</strong> liberazione dell’Ossola e <strong>della</strong> successiva ritiratanon si parlava se non per un breve cenno nel passo successivo de<strong>di</strong>catoalla recluta Lubatti (Cesco). Nell’articolo <strong>di</strong> cinquantaquattro anni dopoquel periodo, così come è stato vissuto dalla Volante Cucciolo - in occasione<strong>della</strong> liberazione ossolana ampliatasi in un Plotone esploratori 14 -, vieneraccontato dettagliatamente probabilmente sulla base del materiale del<strong>di</strong>ario allora non utilizzato. Certo lo stile è più <strong>di</strong>staccato, ma alcune modalità,in particolare quella <strong>di</strong> centrare il racconto non tanto sulle vicendema sui luoghi e sui personaggi, richiamano <strong>di</strong>rettamente le modalità del<strong>di</strong>ario. Perché non fu pubblicato allora? Forse perché del personaggio car<strong>di</strong>ne<strong>di</strong> quelle pagine, il partigiano ucraino Wla<strong>di</strong>mir 15 aveva perso le traccee non ne conosceva il destino 16 , oppure per non esplicitare un giu<strong>di</strong>ziocritico 17 sulla esperienza ossolana?Allo stesso modo la vicenda <strong>di</strong> Trarego, alle cui soglie si interrompequanto abbiamo del <strong>di</strong>ario, aveva già trovato una sua narrazione nel n. 34<strong>di</strong> «Monte Marona» ad un anno dall’ecci<strong>di</strong>o; lo scritto 18 era anonimo ma èevidente la mano <strong>di</strong> Chiovini, magari coa<strong>di</strong>uvato dall’altro sopravvissuto,Carlo Castiglioni (Carluccio). E soprattutto troverà una sua compiuta realizzazionenello struggente racconto La volpe, pubblicato postumo, ma lacui prima stesura è <strong>di</strong> poco successiva alla pubblicazione <strong>di</strong> Fuori legge???,come afferma nella nota che ne accompagnava il testo.Se ben ricordo, scrissi queste pagine […] tra il 1948 e il 1950, quando avevo in menteogni particolare <strong>della</strong> vicenda descritta. Le correzioni […] sono del 19 settembre1989. Si tratta <strong>di</strong> correzioni esclusivamente formali, tendenti a perseguire una relativacorrettezza del testo, e per esigenze stilistiche. Al contrario, mi pare giusto che la sostanza– con le sue sequenze, i ritmi, le osservazioni, i monologhi, i <strong>di</strong>aloghi – sia lasciataintatta, in quanto legata alle spinte emotive, al livello culturale, alla vita <strong>di</strong> queltempo lontano. Oggi non scriverei più quelle pagine. O le scriverei in modo alquanto<strong>di</strong>verso. Per questa ragione, insieme al desiderio <strong>di</strong> non partecipare dolorose vicendeche mi concernono, finché vivrò mai renderò pubblico questo scritto. … Biganzolo,20 settembre 1989 19 .92


Note su un <strong>di</strong>ario partigianoUn’ultima osservazione relativa al titolo del <strong>di</strong>ario: una prima <strong>di</strong>sattentalettura potrebbe farcelo intendere come fuorilegge quale riven<strong>di</strong>cazionespavalda <strong>di</strong> una (giusta) rivolta e ribellione; ma le due parole separatee l’enfasi sui tre punti interrogativi 20 mi sembrano orientare decisamenteverso una domanda retorica con evidente risposta negativa: «siamo noifuori dalla legge (morale e civile) o non piuttosto coloro che, in tempi tremen<strong>di</strong><strong>di</strong> ribaltamento dei valori, hanno cercato <strong>di</strong> salvaguardarla?» A questointerrogativo il <strong>di</strong>ario vuole dare una risposta.La narrazione«Non è un romanzo questo», <strong>di</strong>ce l’autore; eppure la freschezza e l’ironia<strong>della</strong> narrazione, grazie anche alla contiguità degli eventi, ci dà una sorta<strong>di</strong> ‘ripresa in <strong>di</strong>retta’ con un alternarsi <strong>di</strong> sequenze dal ritmo irregolare,alcune più <strong>di</strong>staccate, altre con forte centramento soggettivo. I temi che sialternano sono quelli <strong>della</strong> la lotta per la sopravvivenza stessa <strong>della</strong> formazione(contro la fame, contro il freddo e la neve del primo inverno, il reperimento<strong>di</strong> armi che garantissero un minimo <strong>di</strong> operatività …), il contattostretto con la natura dei luoghi e il variare delle stagioni (lo spettacolo <strong>della</strong>neve che tutto sommerge, il piacere del sole invernale, la sintonia, l’amoretra le foglie e i partigiani …), il succedersi degli scontri con il nemico chepassano dalle scaramucce iniziali finalizzate al reperimento delle armi allatrage<strong>di</strong>a del rastrellamento <strong>di</strong> giugno dopo il quale tutto cambia, le necessitàorganizzative e <strong>di</strong> comando dei raggruppamenti.Direi però che il cadenzarsi <strong>della</strong> narrazione non è dato tanto dalle vicendemilitari (che pur ci sono) né dalle fasi politico-organizzative abbastanzatravagliate delle formazioni, ma dalla successione dei luoghi <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento<strong>della</strong> banda; ad ogni località pare corrispondere una precisa fase<strong>di</strong> sviluppo dell’esperienza partigiana in una stretta sinbiosi fra il terrenoche ospita, le stesse mura che accolgono e la vita interna, le relazioni umane,<strong>della</strong> formazione dove i tempi del riposo e dell’attesa (quelli stessi incui Nino ha probabilmente incominciato a raccogliere i suoi appunti peril <strong>di</strong>ario), sono centrali per il costituirsi dello spirito e <strong>della</strong> fisionomia delraggruppamento; questi i luoghi che soprattutto mi sembrano cadenzare,in fasi <strong>di</strong>stinte, il percorso narrativo:le Alpi del Locchio, <strong>di</strong> Vel ed Aurelio, e in successione Steppio, Pechi, Palache assumono nomi in co<strong>di</strong>ce (Pechino, Sciangai, Port Arthur) più per93


Gianmaria Ottoliniun gioco fantastico ed autoironico che per necessità <strong>di</strong> sicurezza: è la fasecostitutiva <strong>di</strong> uomini ed armamenti, dove ci si incomincia a conoscere e apadroneggiare il territorio e ad impostare le scelte, in<strong>di</strong>viduali e collettive,nonché a saggiare le prime reazioni del nemico ;l’albergo del Pian Cavallone, ospizio dei «soldati <strong>di</strong> un esercito <strong>di</strong> senza capi»:la fase eroico libertaria dove la prima generazione <strong>di</strong> partigiani ha «induritoi muscoli e ritrovato un senso <strong>della</strong> vita» preparando, tramite coloroche riusciranno a sopravvivere al grande rastrellamento, l’ossatura dellesuccessive e più organizzate formazioni;il primo Tiperary, dapprima una tenda poi un rustico nella zona <strong>di</strong> Ungiasca,più a ridosso a Verbania, dove il piccolo gruppo aggregato a Chiovinisperimenta le modalità <strong>di</strong> collegamento fra i <strong>di</strong>versi <strong>di</strong>staccamenti e <strong>di</strong> rapideazioni proprie <strong>di</strong> una «volante»;i nascon<strong>di</strong>gli che si succedono durante il rastrellamento <strong>di</strong> giugno (il boscoin cui si passa la notte puntando i pie<strong>di</strong> su <strong>di</strong> un albero, la casa <strong>della</strong> nonnaa fianco <strong>della</strong> statale per Premeno, la portineria <strong>di</strong> una villa) quando sipassa dall’amarezza dall’esser tagliati fuori dai combattimenti, alla progressivaconsapevolezza delle <strong>di</strong>mensioni <strong>della</strong> trage<strong>di</strong>a che si sta realizzando eche segnerà una linea netta <strong>di</strong> demarcazione nella guerra: «In questi giorniimpariamo che i nemici sono più delinquenti che imbecilli e tali li tratteremo»;la Rocca, nel luglio 1944, un alpeggio dai prati scoscesi sopra Scareno dove«gli unici luoghi per sdraiarsi senza il timore <strong>di</strong> rotolare in valle sono i sentieri,e anche quelli sono scarsi»: luogo e fase <strong>di</strong> raccolta e <strong>di</strong> riorganizzazionein cui convergono provenienze ed esperienze le più <strong>di</strong>sparate: sopravvissutial rastrellamento o provenienti dalla Svizzera, militari e civili, italiani estranieri (russi, ucraini ed anche un sudafricano), delle età e dei ceti più <strong>di</strong>versi<strong>di</strong>sparati («uomini e ragazzi, studenti, ladri, lavoratori»);infine la casetta fra le pinete <strong>di</strong> Sasso Corbè, «il luogo più bello abitato daipartigiani» – <strong>di</strong>ce Chiovini – dove, nell’inverno del 1944-45, la costituitaVolante Cucciolo, spostatasi sopra Premeno, si inse<strong>di</strong>a: centro operativo e<strong>di</strong> riposo <strong>di</strong> un gruppo, <strong>di</strong> una squadra, affiatata e coesa, <strong>di</strong> professionisti<strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> movimento.Le <strong>di</strong>verse fasi corrispondono anche a <strong>di</strong>versi rapporti con la popolazionelocale; curiosità e sospetto da parte degli alpigiani che incontrano le primebande in formazione; solidarietà e con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> momenti comuni <strong>di</strong>allegria con gli abitanti <strong>di</strong> Miazzina; l’aiuto silenzioso e solidale <strong>di</strong> alimen-94


Note su un <strong>di</strong>ario partigianoti, necessari a sopravvivere durante il rastrellamento, da parte <strong>della</strong> «buonagente del Verbano»; più <strong>di</strong>fficile, almeno inizialmente, il rapporto conquelli <strong>di</strong> Premeno dove:La gente ci guarda <strong>di</strong> traverso, sospettosa, paurosa. Ci chiama ‘fascisti rossi’ e teme chemettiamo a soqquadro il paese.In questi giorni parecchi si sono già ricreduti. Si attendevano <strong>di</strong> vederci girare per ilpaese con lo sguardo fiero, l’arma imbracciata senza sicura. Invece si sono accorti checamminiamo come loro e non chie<strong>di</strong>amo i documenti alla gente.In controcanto ai luoghi <strong>di</strong> inse<strong>di</strong>amento la trama narrativa fa emergerein successione alcuni personaggi intorno a cui si <strong>di</strong>panano gli eventi:Marco 21 con cui, anche se <strong>della</strong> formazione ‘concorrente’ <strong>della</strong> Cesare Battisti,c’è sin dall’inizio un profondo legame <strong>di</strong> stima e collaborazione e, inpiù occasioni, <strong>di</strong> sfottò reciproco; Tucci 22 che pur avendo un solo anno inmeno «è ancora un bambino» e con cui Peppo stringe un legame profondo,da fratello maggiore, vivendo fianco a fianco molte delle vicissitu<strong>di</strong>ni;Guido il Monco 23 , operaio comunista, che lo sostituirà al comando <strong>della</strong>Giovane Italia e che Chiovini rispetta ma con cui non riesce ad entrare insintonia; Arca, il comandante <strong>della</strong> Battisti, che Chiovini apprezza sia peril modo <strong>di</strong> concepire la guerra partigiana che per le modalità, per nulla daufficiale, con cui si rapporta ai suoi partigiani; Bagat 24 , già alpino decorato,esperto <strong>di</strong> armi, dalle decisioni fulminee, autista che «arrostisce» i motorie «che <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> essere salito perché non vuole andare in guerra»; Vola,puntiglioso e caparbio, che, sia pur arrivato come recluta addetta ai lavoripesanti, si <strong>di</strong>mostra come il più maturo fra i partigiani <strong>della</strong> Volante Cucciolo;Cesco 25 che «con il viso infantile, le efeli<strong>di</strong> sulle guance … e la vocelenta strascicata» ha l’aria spavalda <strong>di</strong> chi ha già un curricolo partigiano <strong>di</strong>tutto rispetto e non vuol certo lasciarsi trattare da recluta. E, naturalmente,altri ancora.Il <strong>di</strong>arioUn <strong>di</strong>ario «frutto <strong>di</strong> impressioni imme<strong>di</strong>ate, con<strong>di</strong>zionate da accesi sentimenti»<strong>di</strong>rà Chiovini; certo, in alcuni passaggi anche questo 26 , ma a mepare che la <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>aristica più evidente sia altra, <strong>di</strong> riflessione e <strong>di</strong>alogointeriore che emerge quando, tra un momento narrativo e l’altro, magaria ridosso <strong>di</strong> un combattimento o <strong>di</strong> un momento scherzoso <strong>di</strong> svago,95


Gianmaria Ottolinila sequenza si interrompe <strong>di</strong> colpo per lasciar spazio a domande ed a considerazionipiù profonde, esistenziali e morali prima ancora che politiche.In alcuni casi la <strong>di</strong>mensione è corale laddove Peppo dà voce, magari perinterposta persona, ai sentimenti collettivi come quando, dalle lacrime <strong>di</strong>Nord <strong>di</strong> fronte al rogo dell’Albergo del Pian Cavallone, emerge un ad<strong>di</strong>ocollettivo <strong>di</strong> rimpianto non rassegnato, oppure quando le molteplici personalitàe le <strong>di</strong>sparate motivazioni dei sopravvissuti al rastrellamento, concentratisialla Rocca, si fondono in una volontà comune <strong>di</strong> ricostituzione.Ma sono soprattutto le domande, le considerazioni personali, talvolta idubbi quelli che emergono.Le responsabilità che chi comanda porta nei confronti del suo gruppo<strong>di</strong> uomini, <strong>di</strong> come mantenerlo coeso, <strong>di</strong> come anche un legame <strong>di</strong> amiciziaprivilegiato, quello con Tucci, possa incrinare il rapporto <strong>di</strong> fiduciacon gli altri; <strong>di</strong> come fare in modo che un gruppo solidale e coeso sia ancheaperto e franco nello scambiarsi le reciproche opinioni, valutazioni edesideri. Quanto vi deve essere <strong>di</strong> <strong>di</strong>scussione democratica e <strong>di</strong> con<strong>di</strong>visionedegli or<strong>di</strong>ni senza che questo degeneri in in<strong>di</strong>vidualismo. E soprattuttoil carico <strong>di</strong> responsabilità <strong>di</strong> chi porta altri a rischiare la vita e deve, <strong>di</strong> voltain volta, in<strong>di</strong>viduare il giusto <strong>di</strong>scrimine fra avventatezza ed atten<strong>di</strong>smo.Chi siamo noi e chi sono loro. Solo la consapevolezza continua <strong>della</strong><strong>di</strong>fferenza ra<strong>di</strong>cale con il nemico può impe<strong>di</strong>re che la logica <strong>della</strong> guerraci renda uguali. Loro bruciano le baite e noi siamo aiutati dalla popolazione;loro se la prendono con chi non c’entra, paesani o famigliari; lorofanno scempio dei cadaveri. La loro è una logica <strong>di</strong> morte, i loro corpi sono<strong>di</strong>ventati un’appen<strong>di</strong>ce delle loro armi. La nostra è una logica <strong>di</strong> vita.Non solo nel combattimento ma nei comportamenti quoti<strong>di</strong>ani, nel modo<strong>di</strong> camminare fra la gente, nel cantare. Il tema <strong>della</strong> ra<strong>di</strong>cale <strong>di</strong>fferenzafra i canti partigiani e quelli fascisti torna più volte; i loro non sono «i nostricanti popolari nostalgici e solenni, non sono le canzonette allegre e melanconiche»ma «canti fred<strong>di</strong>, duri, scan<strong>di</strong>ti»; loro «cantano perché o<strong>di</strong>ano»e, mentre con il passare dei mesi le canzoni partigiane <strong>di</strong>ventano semprepiù canzoni <strong>di</strong> speranza, le loro si incupiscono, piene <strong>di</strong> <strong>di</strong>sprezzo, <strong>di</strong>rancore e <strong>di</strong> animosità.Ma la domanda centrale e ricorrente è soprattutto una: come far guerrain o<strong>di</strong>o alla guerra, senza lasciarsi plasmare dalla logica e dalla cultura delcombattimento. Perché «la guerra perde soltanto <strong>di</strong> fronte a chi la o<strong>di</strong>a».A Chiovini non basta la certezza <strong>di</strong> essere dalla parte giusta; è consapevo-96


Note su un <strong>di</strong>ario partigianole <strong>della</strong> «sottile linea rossa» 27 che passa tra l’essere nella guerra e l’essere inguerra. Non basta aver scelto <strong>di</strong> esser dalla parte giusta del fronte ed interrogarsisulle ragioni profonde <strong>della</strong> propria scelta; l’interrogativo va ripostoquoti<strong>di</strong>anamente sul qui ed ora, in<strong>di</strong>viduando, in ogni specifica situazione,il limite che questa scelta pone fra azioni legittime e azioni giuste,con momenti anche forti <strong>di</strong> autocritica quando ci si accorge che lo spirito<strong>di</strong> battaglia ha preso il sopravvento. Limite che non solo la giusta avversioneper i nazifascisti può spingerci a superare («So che questa non è la partemigliore dei sentimenti <strong>di</strong> un partigiano») ma anche la «foga», un eccesso<strong>di</strong> «senso sportivo» («mi accorgo che per molti mesi, sparare era il miosport preferito») che può «soffocare la razionalità».Oggi, quando in nome <strong>della</strong> «esportazione <strong>della</strong> democrazia» e <strong>della</strong>«lotta al terrorismo» si giustificano massicci bombardamenti a città e qualsiasi«effetto collaterale» sulle popolazioni civili è considerato un legittimoinconveniente, possiamo leggere che, nel cuore <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale,la più sanguinosa <strong>della</strong> storia dell’umanità, un partigiano, Peppo, aridosso <strong>di</strong> un combattimento contro il moloch nazifascista, si interroga se,in quella particolare occasione, non fosse stato più giusto sparare due colpiinvece <strong>di</strong> tre, pur se «costretti a fare la guerra contro quelli che fanno laguerra».Il partigiano PeppoSe provassimo a chiedere ad un citta<strong>di</strong>no o a uno studente <strong>di</strong> Verbania<strong>di</strong> citare il nome <strong>di</strong> un partigiano <strong>della</strong> zona, senz’altro la maggior parte farebbeil nome <strong>di</strong> Nino Chiovini 28 . Eppure nulla, che io sappia, è stato maiscritto <strong>di</strong> specifico su Chiovini partigiano. Anche nel convegno a lui de<strong>di</strong>cato29 questa <strong>di</strong>mensione è rimasta assente. Il perché è evidente: Nino neisuoi libri, anche quelli de<strong>di</strong>cati alla Resistenza, non parla praticamente mai<strong>di</strong> sé e del <strong>di</strong>ario partigiano si era persa <strong>di</strong> fatto memoria.La lettura oggi del suo <strong>di</strong>ario ci permette così <strong>di</strong> aprire un capitolo cheandrà senz’altro ripreso ed approfon<strong>di</strong>to.La scelta <strong>di</strong> campo <strong>di</strong> Nino, dopo l’8 settembre è chiara e decisa; Peppoè tra i primi a «salire in montagna» nell’area del Verbano. Porta con sé, oltreal deciso antifascismo, precedentemente maturato a Cuggiono 30 , un caratteredeciso e determinato unito ad una passione sportiva per l’escursionismomontano e la roccia: una miscela che, unita alla conoscenza del ter-97


Gianmaria Ottoliniritorio, ne fa in modo del tutto naturale il comandante <strong>della</strong> costituendaGiovane Italia. Siamo nella fase eroica e libertaria <strong>di</strong> «un esercito senza capo,senza Stato Maggiore, senza artiglierie, senza <strong>di</strong>rettive, spesso senza pane,senza armi». Accetta il ruolo che gli viene democraticamente assegnatotramite elezioni, ma non è certo quella la sua aspirazione. E <strong>di</strong> buon gradosi ritrae quando altri saranno in<strong>di</strong>cati al suo posto.Si rende conto delle necessità organizzative e militari <strong>della</strong> Resistenzama, fedele allo spirito <strong>di</strong> ribellione, fa fatica ad accettare le modalità d’essere<strong>di</strong> buona parte dei comandanti delle formazioni. Quelli <strong>di</strong> provenienzamilitare che riportano lo spirito <strong>di</strong> superiorità <strong>di</strong> Ufficiali del Regno neiconfronti delle truppe, si fanno chiamare «signor tenente» e, anche quandoil cibo praticamente manca, ci tengono a dar vita alla «mensa ufficiali».Quelli <strong>di</strong> provenienza e fede comunista, che Chiovini rispetta, ma per iquali la principale, se non unica virtù, sembra essere l’in<strong>di</strong>scussa obbe<strong>di</strong>enzaai propri capi politici.Se non un libertario, Peppo è e rimane uno spirito in<strong>di</strong>pendente. Vuolcapire e <strong>di</strong>scutere le scelte e, se prevale il <strong>di</strong>ssenso, preferisce andarsene perconto suo, con il suo piccolo gruppo 31 . Non rifiuta la gerarchia <strong>di</strong> comando,ma, ponderatamente, preferisce scegliersi i propri superiori. E quando,alla fine del rastrellamento, la sua formazione <strong>della</strong> Giovane Italia, fondendosicon il gruppo <strong>di</strong> Muneghina, prende un orientamento con cui non sisente più in sintonia, preferisce passare alla Cesare Battisti <strong>di</strong> Arca.È lui stesso, spontaneamente, un capo ma la sua <strong>di</strong>mensione è quella<strong>della</strong> squadra, <strong>di</strong> un piccolo gruppo preparato e coeso, <strong>della</strong> «volante» chesi muove velocemente su tutto il territorio, all’interno <strong>della</strong> quale non solo«ci si capisce al volo» ma dove «tutti si vogliono bene. Bene sul serio. Edormono uno accanto all’altro». Compito del capo è allora anche la massimaattenzione alle relazioni interne, a prevenire <strong>di</strong>ssapori e tensioni. Pur <strong>di</strong>salvaguardare questa sintonia è <strong>di</strong>sposto, sia pur a malincuore, a rinunciareal contributo <strong>di</strong> un partigiano esperto e valoroso come Bagat che lui stessoaveva cercato ed «arruolato». Allo stesso modo quando intuisce che unpartigiano ha le qualità personali, oltreché professionali, per entrare a farparte del proprio gruppo, si dà subito da fare, magari con carte false, perfarlo trasferire. La prima volante, alloggiata in tenda, collegata alla Bandadel Pian Cavallone, la Volante Cucciolo dopo il rastrellamento, il Plotoneesploratori durante la Repubblica dell’Ossola, la Volante Martiri <strong>di</strong> Traregodopo l’ecci<strong>di</strong>o del 25 febbraio: questa è la modalità <strong>di</strong> guerra partigiana98


Note su un <strong>di</strong>ario partigianoche Chiovini concepisce e mette in pratica.Non è solo questione <strong>di</strong> stile <strong>di</strong> comando e <strong>di</strong> modo <strong>di</strong> concepire l’esserpartigiano. La modalità <strong>della</strong> volante è innanzitutto una scelta politica.Peppo, ce lo <strong>di</strong>ce esplicitamente, non è comunista, anche perché, afferma«Io non so che vuole il comunismo» 32 e le <strong>di</strong>scussioni animate ed approssimativeche sente al Pian Cavallone gli ricordano quando «anch’io a 15 anni<strong>di</strong>scutevo <strong>di</strong> calcio e <strong>di</strong> squadre <strong>di</strong> calcio»: una questione <strong>di</strong> tifo. Ma haben chiara la linea <strong>di</strong> <strong>di</strong>scrimine che passa attraverso la Resistenza: ci sonoi ‘conservatori’, quelli che aspettano e vogliono presi<strong>di</strong>are il loro piccoloterritorio, l’atten<strong>di</strong>smo insomma che trova proseliti fra le fila partigianee che spesso è sostenuto dall’esterno dai Comitati («gruppetti <strong>di</strong> in<strong>di</strong>vidui,per la quasi totalità industriali, che ‘finanziariamente’ ci aiutavano»), eci sono i partigiani, come Peppo e i suoi, che pensano che al nazifascismonon si debba dar tregua.La volante è allora non solo un corpo coeso, ma un gruppo <strong>di</strong> professionistidell’azione <strong>di</strong> movimento che ubbi<strong>di</strong>sce con scrupolo alle missioniche le vengono affidate, e che, in mancanza <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ni, sa trovarsi da solai propri obbiettivi. E quando in un momento <strong>di</strong> ozio, poco dopo il Natale1944, Vola lo rimprovera: «Peppo, mi sembra che non hai più voglia <strong>di</strong>far niente» imme<strong>di</strong>atamente la volante si rimette all’opera «e ricominciamole nostre scorribande». Anche l’accettazione <strong>di</strong> una forma benevola e<strong>di</strong>ronica <strong>di</strong> nonnismo fra reclute («conigli») ed anziani che impone corvéee lavori pesanti ai nuovi arrivati, ha una funzione precisa: i tempi <strong>di</strong> formazionee addestramento all’interno <strong>di</strong> un gruppo partigiano non possonoche esser brevissimi, bisogna quanto prima esser pronti a qualsiasi evenienza.È bene, per le reclute e per la squadra, capire subito se qualcunonon è adatto a quella vita.Infine, <strong>di</strong>rei, un partigiano critico; dal <strong>di</strong>ario non emerge in manieraesplicita, ma tra le righe si capisce che non sono pochi gli aspetti chePeppo, all’interno <strong>della</strong> Resistenza, non con<strong>di</strong>vide, come possiamo trovareconferma nei suoi scritti successivi.I con<strong>di</strong>zionamenti dall’esterno delle scelte partigiane che talora si traduconoin imposizioni dall’alto <strong>di</strong> comandanti inidonei o comunque nonin sintonia con la «banda» che devono <strong>di</strong>rigere. L’applicazione meccanica<strong>della</strong> logica militare alle formazioni partigiane sia a livello organizzativoe relazionale che, e questo è l’aspetto più tragico, nella concezione <strong>della</strong>guerra partigiana quale «eroica <strong>di</strong>fesa ad oltranza» delle proprie posizioni99


Gianmaria Ottolinisul terreno. Chiovini riconosce in pieno il valore, il rigore morale, lo spirito<strong>di</strong> sacrificio e l’eroismo del tenente Rolando e <strong>di</strong> Mario Flaim, comeconfermerà in più occasioni nei suoi scritti. La loro <strong>di</strong>fesa ad oltranza delterreno fino al Pizzo Marona può essere anche giustificata dalla volontà <strong>di</strong>«proteggere la ritirata del Valdossola» 33 ma la strategia complessiva duranteil rastrellamento non è certo con<strong>di</strong>visa. Lo si legge fra le righe nel <strong>di</strong>ario ese ne trova conferma in un passo <strong>di</strong> un’ine<strong>di</strong>ta Piccola Storia Partigiana <strong>della</strong>Banda <strong>di</strong> Pian Cavallone pubblicata parzialmente nel 1984, ma probabilmentescritta anni prima come revisione e approfon<strong>di</strong>mento <strong>della</strong> primaparte del <strong>di</strong>ario.Le scarse e imprecise notizie sul ‘Valdossola’ sono state portate dai feriti e dai loro accompagnatoriin transito per luoghi più adatti, ancora euforici per la tenuta del primogiorno <strong>di</strong> combattimento. Ma non è soltanto la scarsità e l’imprecisione delle notizieche inducono Rolando a scegliere questa forsennata tattica <strong>di</strong>fensiva, che neppure Supertipretendeva nelle sue in<strong>di</strong>cazioni coor<strong>di</strong>natrici. Egli si rifà ai canoni <strong>della</strong> guerrad’Albania, combattuta dall’esercito italiano, fino all’epilogo, in <strong>di</strong>fensiva, sulle montagnedell’Epiro e del Tomori. Naturalmente attribuisce decisiva importanza al terreno,alle possibilità <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa sulle montagne; <strong>di</strong> casa, nella fattispecie. E Flaim che gli è accantonon batte ciglio, anzi approva. Fors’anche perché la scelta <strong>di</strong> Rolando offre quellepossibilità <strong>di</strong> espiazione e <strong>di</strong> riscatto dalle colpe altrui, da cui egli sembra attratto 34 .Ed infine, ma non ultima, la sottovalutazione del rapporto con la popolazionelocale. Nel <strong>di</strong>ario l’importanza <strong>di</strong> un rapporto <strong>di</strong> collaborazione,come abbiamo già sottolineato, è espressa prevalentemente in positivo.<strong>Del</strong> rapporto problematico, dopo il rastrellamento, <strong>della</strong> Giovane Italia– unitasi al gruppo del capitano Mario e localmente <strong>di</strong>retta dal capitanoGalli – con la popolazione <strong>di</strong> Miazzina, nel <strong>di</strong>ario vi è solo un cennoun po’ forzosamente giustificatorio 35 e in contrasto con quanto, del caloree <strong>della</strong> con<strong>di</strong>visione <strong>di</strong> quegli abitanti, era stato affermato relativamenteal periodo precedente. La denuncia del tragico errore <strong>di</strong> impostazione <strong>di</strong>una logica <strong>di</strong> occupazione e vessazione sui residenti, con le sue conseguenzepolitiche, verrà invece espressa a chiare lettere in una lezione-conferenzadel marzo 1983 36 .In<strong>di</strong>pendenza <strong>di</strong> giu<strong>di</strong>zio e spirito critico che Chiovini continuerà adesprimere quando <strong>della</strong> Resistenza del Verbano si farà attento e scrupolosostorico; si possono ricordare la rivalutazione <strong>di</strong> Dionigi Superti 37 colpito,dopo l’esperienza ossolana, dall’ostracismo e dalla condanna <strong>di</strong> fatto100


Note su un <strong>di</strong>ario partigianodel CLN e la demitizzazione <strong>della</strong> figura <strong>di</strong> Cleonice Tomassetti 38 , l’unicadonna tra i fucilati <strong>di</strong> Fondotoce, che la vulgata partigiana aveva tramandatonello stereotipo <strong>di</strong> una maestra, moglie <strong>di</strong> un partigiano, in attesa<strong>di</strong> un figlio e operante come staffetta partigiana 39 . Chiovini le restituiscela sua identità <strong>di</strong> popolana dallo spirito ribelle e determinato, non piegatadalle numerose sopraffazioni e sofferenze che la vita le ha dolorosamenteconsegnato.Lo scrittore Nino ChioviniPer chi conosce l’opera <strong>di</strong> Chiovini la lettura del <strong>di</strong>ario penso possa costituire,come lo è stato per me, una sorpresa. In genere si <strong>di</strong>stinguono nettamentele opere sulla Resistenza da quelle etno-storiche, non solo per il temae per la loro successione temporale, ma per una evidente maturazionestilistica dello scrittore che riesce progressivamente ad unire il rigore del ricercatore40 ad una crescente capacità narrativa. La lettura del <strong>di</strong>ario, <strong>di</strong> untesto che pur nella sua incompiutezza, rivela una notevole capacità <strong>di</strong> scritturadensa <strong>di</strong> ironia e freschezza narrativa – aggiungendovi magari la riletturadel racconto La Volpe, postumo ma, come abbiamo visto, risalente allafine degli anni quaranta – mi sembra rimescolare le carte. Penso sia del tuttolecito sostenere che Chiovini avesse già allora la dote dello scrittore, delnarratore ed è semmai quella del ricercatore che, con gli anni, viene a maturaresotto la spinta <strong>di</strong> un preciso impegno etico, civile e politico.L’impegno non solo a ricostruire con rigore gli eventi <strong>della</strong> sua terra,quelli a cui aveva partecipato e quelli che avevano segnato le generazioniche lo avevano preceduto, ma soprattutto a saldare un debito personale ecollettivo insieme.In quella terra del Verbano, la terra dei suoi avi, la secolare civiltà <strong>della</strong>fatica, tra il 1943 e il 1945, si incontrò con chi, per rifiuto e per scelta, èsalito in montagna, spesso sapendo e capendo poco, soprattutto all’inizio,<strong>di</strong> quel mondo. Si creò allora una crescente convergenza, non priva <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni,tra i due mon<strong>di</strong> che Nino analizza con rigore nell’introduzionea Val Grande partigiana e <strong>di</strong>ntorni e che titola significativamente Guerriglianel mondo dei vinti 41 . Ed è grazie a quella convergenza che poté arrivareil tanto sognato giorno <strong>della</strong> liberazione. E si tirano le somme: ci si accorge che queidue protagonisti hanno equamente <strong>di</strong>viso il peso <strong>della</strong> lotta. La popolazione montana,101


Gianmaria Ottoliniche ha pagato anche con il sangue, ha sopportato il maggior peso materiale, il peso <strong>di</strong>grosse <strong>di</strong>struzioni; i partigiani hanno contribuito in grande misura a riempire <strong>di</strong> nomile lapi<strong>di</strong> che ricordano i caduti <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> liberazione 42 .Questa convergenza <strong>di</strong> intenti si ruppe nel dopoguerra e chi vinse alloranon seppe (o non poté) saldare il debito con le popolazioni montane.Se guar<strong>di</strong>amo allo sviluppo cronologico degli scritti <strong>di</strong> Chiovini 43 possiamo<strong>di</strong>stinguere tre fasi. La prima include gli scritti dell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra,basati sulla <strong>di</strong>retta esperienza (<strong>di</strong>ario, commemorazioni, raccontoLa volpe), caratterizzati da un forte centramento soggettivo e da una tensioneemozionale che riesce comunque spesso a <strong>di</strong>stanziarsi grazie ad unaefficace espressività narrativa. Dopo una pausa quasi ventennale, sono seguitiscritti <strong>di</strong> ricerca sulla resistenza centrati non più sulla propria esperienza(che viene messa tra parentesi), ma su una rigorosa indagine (documentie testimonianze) e dalla ricerca <strong>di</strong> un nuovo stile, non più letterario,ma rigoroso e concreto nello stesso tempo, Si tratta <strong>della</strong> rigorosa «cronaca<strong>di</strong> una sconfitta» e, soprattutto, <strong>della</strong> ricostruzione del conflitto, internoalla Resistenza, «fra le forze progressive e l’atten<strong>di</strong>smo» che a quella sconfittaha contribuito 44 . Alla fine viene la impegnativa ricerca delle ultimesue opere, sulla civiltà rurale montana dove al rigore <strong>della</strong> documentazioned’archivio e alla ricerca etnografica e linguistica (cultura materiale, terminologie,toponimi, fonti orali, iconografia ecc.) si aggiunge una personaleletterarietà storico-narrativa emotivamente partecipe.Rivedendo l’itinerario complessivo mi sembra allora <strong>di</strong> poter affermarel’unitarietà stilistica <strong>di</strong> Chiovini, sia pur all’interno <strong>di</strong> un percorso in cuile <strong>di</strong>verse modalità <strong>di</strong> utilizzo <strong>della</strong> scrittura vengono sperimentate, messealla prova, per convergere, nelle ultime opere, in una loro completa e contemporaneautilizzazione. E, ancor maggiormente, la unitarietà etico-politica<strong>di</strong> tutta la sua opera: Chiovini si è fatto portavoce <strong>di</strong> un doppio debitoche tutti noi, abitanti vecchi e nuovi <strong>di</strong> queste terre, abbiamo ere<strong>di</strong>tato:il debito verso i caduti <strong>della</strong> guerra partigiana, la «semente <strong>di</strong> sangue» chenon abbiamo saputo far fruttificare in questa Italia «che vegeta» e ildebitoverso le popolazioni montane che affiancarono e sostennero le bande e nemantennero viva memoria.Scrive nell’introduzione <strong>di</strong> Mal <strong>di</strong> Valgrande:I conta<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> montagna che ebbero rapporti con la Val Grande ne conservano una102


Note su un <strong>di</strong>ario partigianoparticolare memoria, da me valutata più profonda rispetto a quella <strong>di</strong> chi praticò altrearee montane per analoghe necessità. … Quella memoria poggia sugl’in<strong>di</strong>menticati ricor<strong>di</strong>delle tragiche vicende vissute nel corso degli ultimi due anni <strong>della</strong> seconda guerramon<strong>di</strong>ale, quando quelle persone, pagando un prezzo liberamente accettato, si schierarono,ognuna nella misura in cui le era possibile o le veniva richiesto, dalla parte <strong>di</strong>chi si stava battendo per la libertà e per la pace. Fu un’esperienza che si trasformò inpatrimonio culturale che andò ad accrescere quello che faceva leva sugli ancestrali sentimenti<strong>di</strong> libertà e <strong>di</strong> autonomia e che, nel dopoguerra, trovò espressione sulle lapi<strong>di</strong>e nell’intitolazione <strong>di</strong> vie e piazze dei loro piccoli centri abitati 45 .Diversamente da altri cultori <strong>di</strong> storia locale Chiovini non è un cultore<strong>della</strong> nostalgia che, idealizzando il passato, ne ignora le sofferenze e pertantoil nostro debito. Il nostro mondo è uscito dalla fatica quoti<strong>di</strong>ana <strong>della</strong>sopravvivenza. È indubbiamente meglio la pace o<strong>di</strong>erna <strong>della</strong> guerra. Ilmondo rurale montano dell’anteguerra – e ancor più negli anni <strong>di</strong> guerra –era «un mondo imperfetto e crudele». La popolazione montana, allo stessomodo dei partigiani, aveva però chiari e «vivi gli obiettivi, gli scopi, il senso<strong>della</strong> vita, il suo fine» 46 .Noi che viviamo nella pace, nella libertà, in una società che ha superatola lotta per la sussistenza, figli <strong>della</strong> società <strong>della</strong> complessità e dell’incertezza,spesso non sappiamo che senso dare al nostro futuro e alle fatiche, perlopiùimmateriali, del nostro tempo (la noia, la confusione, la solitu<strong>di</strong>ne.)La riscoperta del duplice debito ci può dare un senso ed una bussola.Questo mi sembra il messaggio unitario dell’intera opera <strong>di</strong> Nino Chiovini.Superando le delusioni e «valutando serenamente il mondo o<strong>di</strong>erno».* * *Quando Peppo chiese <strong>di</strong> poter aggregare Wla<strong>di</strong>mir 47 alla propria volante,Arca gli rispose «Non sa due parole <strong>di</strong> italiano, poi non lo conosci e nonsai se vale». Nonostante le vicissitu<strong>di</strong>ni già trascorse, il suo viso <strong>di</strong>ciannovenneera «ridente come un cespo <strong>di</strong> primule», pronto a vivere con entusiasmoe un po’ <strong>di</strong> incoscienza quei mesi dal luglio all’ottobre del 1944, ignarodelle delusioni che il rientro in patria gli avrebbe procurato.Ogni anno, immancabilmente in occasione dell’8 maggio, Wla<strong>di</strong>mirmi scrive esaltando la remota vittoria sul fascismo: un modo per sopravviverealle delusioni. Regolarmente gli rispondo offrendogli banali notiziepersonali. Per pudore, per pigrizia mentale persino, per timore <strong>di</strong> esserefrainteso in particolare.103


Gianmaria OttoliniNon perché sia troppo tar<strong>di</strong> e impossibile per la nostra generazione saperserenamente valutare il mondo o<strong>di</strong>erno, sapendolo fare in relazione alleesperienze passate – quelle negative (che sono le più) soprattutto – a cominciaredalla lontana lotta <strong>di</strong> liberazione, per concludere con i rapporti persona-personae persone-natura, in cui s’annidano vecchi e nuovi fascismi.E trarne le logiche conseguenze 48 .Note al testo1La denominazione richiama la vetta dove il 17 giugno 1944 si svolse uno dei combattimentipiù sanguinosi del rastrellamento <strong>della</strong> Valgrande e dove caddero numerosi partigiani tra cui idue comandanti Gaetano Garzoli e Mario Flaim. Gli originali del settimanale sono stati consultatipresso l’archivio <strong>della</strong> Casa <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong> Fondotoce e la Biblioteca Civica Ceretti<strong>di</strong> Verbania.2«si ad<strong>di</strong>viene […] alla abrogazione <strong>della</strong> <strong>di</strong>fferenziazione <strong>di</strong> colore <strong>di</strong> tutte le formazioni […] ealla costituzione <strong>della</strong> 1 a Divisione Ossola ‘Mario Flaim’, al comando <strong>di</strong> ‘Arca’, con Commissario<strong>di</strong> guerra Mario (Muneghina)» in Diario storico 1 a Divisione Ossola «Mario Flaim», a cura <strong>di</strong>G. Biancar<strong>di</strong>, Comune <strong>di</strong> Verbania, 1995, p. 20.3Con Giuseppe Perozzi (Marco) è stato, sin dalla sua costituzione, a fianco <strong>di</strong> Arca nella <strong>di</strong>rezione<strong>della</strong> Cesare Battisti. Plazzotta nel dopoguerra si affermerà come scultore.4Lettera dell’8 novembre 1945: «Io non credo che si educhi il popolo verbanese con […] pezzi[…] che si ritrovano facilmente su qualsiasi giornaletto <strong>di</strong> provincia o <strong>di</strong> periferia citta<strong>di</strong>na.[…].Sarò un sognatore sterile forse, ma, cre<strong>di</strong>mi, come sarebbe bello un Monte Marona unpo’ più bersaglieresco! […] un giornale che scotti in mano, dove ci si butta dentro articoli incandescenti,scritti dopo una chiavata (o durante) o in barca, o anche in redazione, se si riescea <strong>di</strong>menticare che è tale. […] Ma fatene magari due <strong>di</strong> pagine <strong>di</strong> cronaca, quella che interessala popolazione locale … Ma le altre due pagine che siano dense […] <strong>di</strong> Voi, del Vostro spirito,<strong>della</strong> vostra polemica (quella MORALE). Diventate un po’ pre<strong>di</strong>catori e non conferenzieri!».E. PLAZZOTTA (Selva), Da Pinerolo al Verbano, Alberti, Verbania 1995, p. 81.5Ivi, p. 85.6«Una novità al prossimo numero! Al titolo MONTE MARONA sarà aggiunto il titolo IL PROGRES-SO del Verbano – Cusio – Ossola. Perché? Un giorno del Giugno 1944, una trentina <strong>di</strong> partigiani,al comando <strong>di</strong> Mario Flaim, combatté sul Monte Marona. Combatté per dar modo algrosso <strong>della</strong> formazione <strong>di</strong> potersi ritirare. Spararono sino alla fine e nessuno <strong>di</strong> loro tornò daquel combattimento a raccontare come era andata. Quegli uomini <strong>di</strong>edero un esempio <strong>di</strong> sacrificioe <strong>di</strong> altruismo: <strong>di</strong> ONESTÀ. E MONTE MARONA, ora, per noi significa ONESTÀ. Quei Caduti,tutti i ‘nostri Caduti’ hanno combattuto e sono morti per la libertà, per la giustizia, per104


Note su un <strong>di</strong>ario partigianoun migliore or<strong>di</strong>ne morale, sociale, economico, e ciò significa combattere e morire per il PRO-GRESSO dell’umanità e per l’ONESTÀ del mondo.PROGRESSO e ONESTÀ sono senso <strong>della</strong> vita. Perquesto uniamo le due parole: MONTE MARONA e PROGRESSO».7Cfr. G. BIANCARDI - G. MARGARINI, Armando Calzavara «Arca», Alberti, Verbania 2001, pp.10 –13.8Io <strong>di</strong> politica non me ne voglio interessare sul n. 7 e … e tu a che partito sei iscritto? sul n. 9.9Vola sul n. 12 del 21 giugno.10I brani non compaiono nella successiva pubblicazione <strong>di</strong> Fuori Legge??? ma ne facevano a tuttaevidenza parte. Li ho pertanto inseriti nella trascrizione del <strong>di</strong>ario.11Vola cit.; Gino (Luigi Leschiera) e Cesco (Gastone Lubatti) con Vola sono caduti a Trarego il25 febbraio 1945; Lanzi (Luigi Trelanzi) e Victor (Selepukin) a Colle il 23 luglio 1944; sonosepolti fianco a fianco nel cimitero <strong>di</strong> S. Maurizio <strong>di</strong> Ghiffa.12“Fuori Legge”. Diario <strong>di</strong> un partigiano del Verbano (da «Monte Marona»), in «Resistenza unita»n. 6, giugno 1989, inserto Verbano 1944 – 1989.13Impressioni e ricor<strong>di</strong>. Da Cannobio a Domodossola in «Resistenza Unita», n. 10, ottobre 1990.14«A Finero – assurto a centro <strong>di</strong> retrovia – l’incarico avuto fu quello <strong>di</strong> costituire un plotoneesploratori da impiegare nella zona <strong>di</strong> Ghiffa e Verbania». Ibidem.15«Da alcuni mesi Wla<strong>di</strong>mir stava con me. I suoi arti erano coperti <strong>di</strong> piaghe, effetto <strong>di</strong> una piodermitecontratta in miniera. Ingenuo, scansafatiche, d’incrollabile fede staliniana, temerario,si era assunto il compito non richiesto <strong>di</strong> mia guar<strong>di</strong>a del corpo». Ibidem.16Chiovini ne avrà notizia solo do<strong>di</strong>ci anni dopo: «al suo rientro in patria fu inviato in campo <strong>di</strong>concentramento, più tar<strong>di</strong> processato in quanto colpevole <strong>di</strong> essersi lasciato catturare dal nemico,inviato in campo <strong>di</strong> lavoro, infine costretto a farsi altri tre anni <strong>di</strong> Armata rossa. Non gli eraservito neppure il certificato rilasciato da Arca su carta intestata <strong>della</strong> brigata ch’egli, dopo essereevaso dalla prigionia, aveva combattuto con efficacia nelle nostre file». Ibidem.17Giu<strong>di</strong>zio, che pur se su aspetti limitati, esprimerà nel 1974 in una lettera: Nino Chiovini sulletrattative e sulla liberazione dell’Ossola, «Resistenza Unita», n. 3, marzo 1974.1825 Febbraio. Volante «Cucciolo» a Trarego. Abbiamo riprodotto il testo, che ci sembra idealmentecompletare il <strong>di</strong>ario, come appen<strong>di</strong>ce a Fuori Legge ???19«Verbanus n. 18», Verbania 1997, p. 354.20Dalla quattor<strong>di</strong>cesima puntata («Monte Marona», n. 28 del 5 gennaio 1946) i tre punti interrogativisi riducono ad uno solo, forse a seguito <strong>di</strong> una critica <strong>di</strong> Selva: «Quei tre ??? che cazzosignificano <strong>di</strong>etro il titolo delle puntate <strong>di</strong> Peppo? E sono anche brutti tra l’altro. Già, io, il solitoesteta fissato!» (Da Pinerolo al Verbano. cit., p. 82). Mi è sembrato più aderente allo spiritooriginario mantenere, nella trascrizione e ripubblicazione del <strong>di</strong>ario, i tre, magari brutti, macerto più espliciti punti interrogativi.21Giuseppe Perozzi: cfr. nota 3.22Piero Tamburini.23Alfredo Laba<strong>di</strong>ni; cfr. nota biografica <strong>di</strong> Chiovini.24Giuseppe Bosco; cfr. Giuseppe Bosco «Bagat», in «Resistenza Unita» n. 10, ottobre 1989; un suoprofilo anche in E. TRINCHERI (Marco), Partigiani raccontano. Liberazione <strong>della</strong> Valle Cannobina,Cannobio, Cannero e Oggebbio, Verbania 2000, pp. 63-64.25Gastone Lubatti; cfr. nota 11.105


Gianmaria Ottolini26Ad esempio l’ira <strong>di</strong> quando viene a sapere che suo padre è stato arrestato e tradotto a S. Vittore«perché due figli <strong>di</strong> mio padre sono partigiani». L’altro figlio partigiano è Antonietta (Diciassette)citata nel <strong>di</strong>ario quando, il 20 giugno, nel corso del rastrellamento, accompagna dellereclute.27Il riferimento è al bellissimo film del filosofo regista Terrence Malik (USA, 1998). Se nel romanzo<strong>di</strong> J. Jones, richiamando un verso <strong>di</strong> Kipling, la «sottile linea rossa» era quella «tra la luci<strong>di</strong>tàe la follia», in Malik assume <strong>di</strong>mensioni universali, tra la vita e la morte, tra la vitalità <strong>della</strong>natura e le forze <strong>di</strong>struttrici, in sostanza fra il bene e il male; tale linea passa dentro ciascuno<strong>di</strong> noi che, specie in situazioni <strong>di</strong> guerra, rischiamo <strong>di</strong> perderne il confine.28Alla sua notorietà, oltre la sua attività <strong>di</strong> ricercatore e scrittore, ha senz’altro contribuito ancheil Sentiero Chiovini, il lungo e impegnativo trekking <strong>della</strong> memoria che, dalla Svizzera a Fondotoce,ripercorre la trage<strong>di</strong>a <strong>della</strong> Valgrande e che nel 2006 è giunto alla sua ottava e<strong>di</strong>zione.29Nino Chiovini. Il tempo, lo spazio e la memoria, Verbania, 14 febbraio 2004.30Cfr. nota biografica.31«marzo 1944. Arriva, inviato da Comitato <strong>di</strong> Agitazione <strong>di</strong> Varese, il maggiore Biancar<strong>di</strong>. Costuiè un uomo paurosissimo che non ci faceva concludere nulla <strong>di</strong> buono e quin<strong>di</strong> noi vedemmovolentieri quel giorno che se ne andò senza fare ritorno. Era allora comandante Peppo(Chiovini Giovanni) che non volendo restare in alto, pensò bene <strong>di</strong> fuggire <strong>di</strong> notte con altridue uomini per formare una volante che, alloggiata in tenda, si spostasse velocemente facendoazioni tempestive, restando sempre però agli or<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> banda». Diario storico cit., p. 146.32La cosa era del tutto naturale, sia nei piccoli centri che nelle città, per un giovane nato agli inizidegli anni venti. Cfr. ad esempio i primi capitoli <strong>della</strong> bella autobiografia <strong>di</strong> Rossana Rossanda(La ragazza del secolo scorso, Einau<strong>di</strong>, Torino 2005).33NINO CHIOVINI, I giorni <strong>della</strong> semina, 5 a ed., Verbania 2005, p. 80.34Mario Flaim: sulle montagne del Verbano un testimone <strong>della</strong> fede e <strong>della</strong> libertà in «Il Verbano»,9 giugno 1984. Nei passi precedenti vengono presentati il tenente Rolando (Gaetano Garzoli),nato nel 1915 ad Arizzano, nell’entroterra <strong>di</strong> Verbania, e, soprattutto, Mario Flaim, originario<strong>di</strong> Rovereto, figura <strong>di</strong> cattolico ispirato e intransigente in cui «alligna un cocente desiderio<strong>di</strong> espiazione».35Cfr. l’inizio <strong>della</strong> puntata n. 28.36«Sono da addebitare a Galli il suo atteggiamento inadeguato e talvolta vessatorio nei riguar<strong>di</strong><strong>della</strong> popolazione <strong>di</strong> Miazzina e <strong>di</strong> altri villaggi» e «A meno <strong>di</strong> un anno dalla liberazione, in occasionedelle prime elezioni amministrative […] a Miazzina il 34 per cento degli elettori nonvota, non ne sente l’esigenza […] a Miazzina. Tre mesi più tar<strong>di</strong>, in occasione […] del referendumistituzionale del 1946 […] a Miazzina vince la monarchia con il 52 per cento» in Il Verbanotra fascismo antifascismo e resistenza, Verbania, 1983, pp. 16 e 18-19. Sulla figura <strong>di</strong> Galli(Mario <strong>di</strong> Lella), cfr. anche I giorni <strong>della</strong> semina cit., p. 115.37Cfr. NINO CHIOVINI, Val Grande partigiana e <strong>di</strong>ntorni. Quattro storie <strong>di</strong> protagonisti, Verbania1980, pp. 50-73 e Ricordo <strong>di</strong> Dionigi Superti. Un partigiano vero e saggio in «Resistenza Unita»,n. 3, marzo 1988.38Cfr. Classe III a B. Cleonice Tomassetti. Vita e morte, Verbania 1981.39«Pren<strong>di</strong>amo atto, a seguito delle testimonianze riportate, che Nice non era un’insegnante, chenon attendeva un figlio, che non era una staffetta partigiana. Aveva frequentato soltanto le classielementari <strong>di</strong> una scuola <strong>di</strong> paese; in quel momento non c’era nessun uomo nella sua vita;soltanto a una settimana prima <strong>della</strong> sua morte risaliva il suo ingresso nella resistenza militante.106


Note su un <strong>di</strong>ario partigianoÈ bene fare giustizia delle inesattezza a suo tempo dette e scritte su <strong>di</strong> lei; nella sua vera identità,Nice <strong>di</strong>venta più comprensibile, persino più apprezzabile», ivi p. 57. L’immagine stereotipataera stata riportata, in buona fede, in P. SECCHIA- C. MOSCATELLI, Il monte Rosa è sceso a Milano,Einau<strong>di</strong>, Milano 1958, p. 253.40Su quest’aspetto segnalo l’importante contributo <strong>di</strong> Antonio Biganzoli (Chiovini. La ricerca)al Convegno citato (cfr. nota 29) che da un lato sottolinea il rigore <strong>di</strong> un metodo che percorreprecise fasi <strong>di</strong> indagine e <strong>di</strong> documentazione e dall’altro una modalità <strong>di</strong> scrittura che nefa «uno scrittore-saggista <strong>di</strong> qualità» per il suo «modo <strong>di</strong> intercalare la narrazione: citazioni dafonti storiche, tabelle <strong>di</strong> dati demografici o <strong>di</strong> carattere economico, glossari <strong>di</strong> termini <strong>di</strong>alettali,così da fare delle sue opere una ragionata miscela <strong>di</strong> narrativa e <strong>di</strong> saggistica ed imporre cosìal testo il <strong>di</strong>stacco <strong>della</strong> trattazione storica, ma, contemporaneamente, il “pathos” <strong>della</strong> partecipazioneumana». Non con<strong>di</strong>vido però la tesi <strong>di</strong> Biganzoli secondo cui per Chiovini la Resistenzacostituirebbe solo «un episo<strong>di</strong>o» <strong>di</strong> una storia complessiva, ben più importante, del territorio.41NINO CHIOVINI, Val Grande partigiana cit., pp. 9- 29.42Ivi, p. 20.43Cfr. la bibliografia provvisoria degli scritti.44NINO CHIOVINI, I giorni <strong>della</strong> semina cit., pp. 19- 21.45NINO CHIOVINI, Mal <strong>di</strong> Valgrande, Vangelista, Milano 1991, pp. 8- 9.46NINO CHIOVINI, A pie<strong>di</strong> nu<strong>di</strong>. Una storia <strong>di</strong> Vallintrasca, Vangelista, Milano 1988, p. 186.47Cfr. note 15 e 16.48NINO CHIOVINI, Impressioni e ricor<strong>di</strong>. Da Cannobio a Domodossola, cit.107


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nellecommemorazioni <strong>della</strong> Resistenza<strong>di</strong> Giovanni A. CeruttiNelle province <strong>di</strong> Novara e del Verbano Cusio Ossola la vitalità <strong>della</strong>memoria <strong>della</strong> Resistenza si <strong>di</strong>spiega in numerose cerimonie commemorativeche si susseguono per tutto l’anno. Non solo sono ricordati gli avvenimentiche hanno segnato in profon<strong>di</strong>tà la storia delle nostre comunitàquali la strage degli ebrei <strong>di</strong> Meina, la battaglia <strong>di</strong> Megolo, gli ecci<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bavenoe Fondotoce, Borgoticino, Vignale, la Repubblica dell’Ossola, ma sipuò <strong>di</strong>re che la maggior parte degli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> una qualche rilevanza continuaad avere negli anni un momento pubblico <strong>di</strong> ricordo, così come accadeper molti dei cippi posti a memoria dei partigiani caduti. A tener vivaquesta memoria sono le amministrazioni locali, interpreti <strong>della</strong> sensibilitàdelle comunità, e le associazioni partigiane, qualche volta anche solo icompagni dei caduti, ma quasi sempre sono presenti i prefetti, a <strong>di</strong>mostrazione<strong>di</strong> un’attenzione dello Stato centrale verso una <strong>di</strong>mensione del vivereassociato che è percepita essere <strong>di</strong> grande rilevanza. Una memoria tenacee profondamente ra<strong>di</strong>cata nel vissuto delle comunità. E, del resto, si tratta<strong>di</strong> province tra le più segnate dall’occupazione tedesca e nelle quali il movimentopartigiano è stato più presente.Negli anni in queste cerimonie si è delineata una struttura consolidatadel genere commemorativo 1 i cui momenti salienti sono il corteo, i <strong>di</strong>scorsidelle autorità e l’«orazione ufficiale», vero perno intorno a cui ruotanole commemorazioni, affidata quasi sempre a persone che non fanno partedelle comunità che ricordano l’episo<strong>di</strong>o.Da qualche anno con sempre maggiore frequenza chi organizza questecommemorazioni si rivolge all’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza per in<strong>di</strong>viduareun oratore, e non <strong>di</strong> rado finisce che l’oratore sia uno stu<strong>di</strong>osodell’Istituto. Questa circostanza testimonia del particolare legame che si èstabilito tra le amministrazioni locali, le associazioni partigiane e l’Istituto,che non è percepito solo come centro <strong>di</strong> ricerca e luogo <strong>di</strong> conservazio-109


Giovanni A. Ceruttine degli archivi, ma anche come istituzione culturale depositaria <strong>della</strong> memoria<strong>della</strong> Resistenza. Tuttavia è anche segno <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scontinuità, su cuipenso valga la pena incominciare una riflessione corale.Per lungo tempo, infatti, le orazioni ufficiali sono state tenute da personalitàrilevanti, riconducibili sostanzialmente a due figure-tipo: politiciprotagonisti <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> Repubblica ed ex-partigiani, e soventele due figure erano riunite nella stessa persona 2 . La caratteristica salientedelle orazioni tenute da questo tipo <strong>di</strong> figura era <strong>di</strong> rivolgersi ad un pubblicosostanzialmente omogeneo - ex-partigiani, famigliari <strong>di</strong> caduti, politici,amministratori locali e militanti espressione dei partiti che avevanocondotto la lotta antifascista - che permetteva al prestigio e all’autorità dell’oratore<strong>di</strong> saldare senza soluzione <strong>di</strong> continuità la ricostruzione dei fattiche si commemoravano con le sfide politiche del presente. Una memoriasostanzialmente politica, in cui il senso <strong>della</strong> Resistenza era totalmente declinatonella vita <strong>della</strong> Repubblica, ora per richiamarne l’adesione ai valorifondamentali, ora per mobilitare risorse da impiegare nei conflitti del momento,a seconda <strong>della</strong> congiuntura politica. Queste figure stanno scomparendosenza lasciare ere<strong>di</strong>. La classe politica che si è formata nel dopoguerrasembra non avere nulla da chiedere e nulla da <strong>di</strong>re alle vicende <strong>della</strong> Secondaguerra mon<strong>di</strong>ale e <strong>della</strong> nascita <strong>della</strong> Repubblica. Pare che le sue ra<strong>di</strong>cie gli interessi che rappresenta siano <strong>di</strong>slocati altrove. Tanto è vero che- naturalmente senza generalizzare - quando decidono <strong>di</strong> partecipare a unamanifestazione o accettano <strong>di</strong> tenere un’orazione ufficiale, quasi sempre sec’è alle viste una competizione elettorale, non <strong>di</strong> rado i <strong>di</strong>scorsi sono <strong>di</strong> unapovertà desolante quando accennano alle vicende storiche e <strong>di</strong> una superficialitàsconsolante quando tentano agganci sul presente, finendo per sfumarein <strong>di</strong>scorsi confusi su pace, guerra e umanitarismo da talk-show. Leassociazioni partigiane, invece, non hanno lasciato ere<strong>di</strong> nel senso materialedel termine e appare sempre più chiaro che sono destinate ad esaurirsicon la scomparsa delle generazioni che hanno partecipato alla Resistenza.Nate dagli scontri originati dalle vicende che tra il 1946 e il 1948 hanno<strong>di</strong>viso in due l’Europa, e che hanno profondamente segnato il sistemapolitico italiano, non sono state in grado <strong>di</strong> elaborare una strategia che facessei conti con la nuova stagione che si è aperta dopo il 1989, quando lafine <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>visione ha mutato gli scenari politici e dato avvio a una riletturadel senso delle vicende dell’Europa in guerra.In questo vuoto che si è aperto il ricorso all’Istituto storico mi sem-110


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nelle commemorazioni <strong>della</strong> Resistenzabra possa essere interpretato sia come segno <strong>di</strong> smarrimento, come riconoscimentoche non si riescono a in<strong>di</strong>viduare figure politiche e istituzionaliadeguate agli eventi che si vogliono ricordare, sia come segno <strong>della</strong> convinzione,forse non esplicitata fino in fondo, che l’epoca <strong>della</strong> Resistenzaè ormai definitivamente consegnata al passato. E forse queste due considerazionisono intrecciate tra loro, legando l’idea che l’assenza <strong>di</strong> ere<strong>di</strong> deiprotagonisti del primo cinquantennio repubblicano abbia definitivamentechiuso un periodo e che la memoria <strong>della</strong> guerra vada coltivata solo al passato.Sembrano essere rimasti in campo tre modelli. Il comizio sull’attualitàpolitica, interna o internazionale, Berlusconi o Bush, in cui il fatto dacommemorare è solo l’occasione che permette <strong>di</strong> radunare gente, da liquidarecon un generico riferimento, quando non viene ignorato del tutto; il<strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> qualche protagonista <strong>della</strong> Resistenza, fatalmente sempre menoprotagonista <strong>di</strong> primo piano per questioni anagrafiche, che anche quandoè nobile e vibrante e <strong>di</strong> assoluto livello, tuttavia è quasi sempre rivolto alpassato, a confermare le proprie buone ragioni, e ha come referenti in grado<strong>di</strong> coglierne tutte le sfumature chi ha vissuto, o conosce per averla stu<strong>di</strong>ata,la stagione politica del primo cinquantennio repubblicano; la ricostruzionedello storico, che non può che consegnare la Resistenza al passato,cercando <strong>di</strong> capire e <strong>di</strong> spiegare secondo le sensibilità storiografiche delproprio tempo, e che più che una commemorazione avrebbe come scenarioadeguato una conferenza.In questa situazione credo si aprano tre questioni, tra loro strettamentecollegate. La prima, la più ra<strong>di</strong>cale, è se la memoria <strong>della</strong> Resistenza èancora un elemento in grado <strong>di</strong> plasmare il <strong>di</strong>scorso pubblico e le identitàcollettive e con quali contenuti. La seconda riguarda le forme attraversole quali trasmettere questa memoria, e se le cerimonie commemorativee le orazioni ufficiali hanno ancora un pubblico al quale rivolgersi e attoriin grado <strong>di</strong> dargli vita. La terza riguarda qual è il ruolo <strong>della</strong> ricerca storicanella costruzione <strong>della</strong> memoria, e cosa è una politica <strong>della</strong> memoria, questioneche solleva il problema <strong>di</strong> chi debbano essere gli attori <strong>della</strong> politica<strong>della</strong> memoria <strong>della</strong> Resistenza.La memoria <strong>della</strong> Resistenza dall’antifascismo alla democraziaNon è possibile comprendere i sistemi democratici dell’Europa contemporaneasenza conoscere le vicende dell’occupazione nazista, <strong>della</strong> sua111


Giovanni A. Ceruttisconfitta militare e delle reazioni con cui le <strong>di</strong>verse società la fronteggiarono.Naturalmente questo nesso si può stabilire con ogni evento del passato,dato che ogni evento del passato contribuisce a costruire il presente. Macredo sia <strong>di</strong>fficile negare la particolare rilevanza delle vicende <strong>della</strong> Secondaguerra mon<strong>di</strong>ale nel plasmare il mondo contemporaneo. Di conseguenza,se dall’obiettivo <strong>della</strong> comprensione passiamo a quello <strong>della</strong> partecipazioneattiva e <strong>della</strong> promozione <strong>della</strong> vita democratica, e dello sviluppo deivalori <strong>della</strong> democrazia, la memoria <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong>venta un elementocentrale nel processo <strong>di</strong> costruzione dell’identità democratica che sorreggeil raggiungimento <strong>di</strong> tali obiettivi. E se questo vale per tutti i sistemi politicieuropei - pur tenendo conto, come troppo raramente si fa, che per ipaesi dell’Europa orientale la fine <strong>della</strong> Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale non harappresentato la fine dell’occupazione e l’avvio <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> democrazia,ma l’inizio <strong>di</strong> un’altra occupazione e <strong>di</strong> un’altra <strong>di</strong>ttatura - valea maggior ragione per l’Italia, dove l’occupazione nazista è stata il tragicoe violento epilogo <strong>di</strong> vent’anni <strong>di</strong> regime fascista. L’identità democraticanon può non essere costruita sulla memoria delle circostanze e dei processistorici che hanno fatto nascere la democrazia. Soprattutto in considerazionedel fatto che la legittimità delle nostre democrazie riposa su una costituzione,un documento del passato che in quanto tale fa parte <strong>della</strong> memoriacon<strong>di</strong>visa <strong>della</strong> comunità. Quin<strong>di</strong> la legittimità <strong>di</strong> una democrazia nonè mai basata sul presente, sulle vicende elettorali e sui programmi per il futuro,ma su una tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> lealtà alle istituzioni con<strong>di</strong>vise 3 .L’attualità e la necessità <strong>della</strong> memoria <strong>della</strong> Resistenza trovano, quin<strong>di</strong>,la loro ragione d’essere nella costruzione dell’identità democratica. Èla vita democratica, la lealtà alle sue istituzioni, il senso <strong>di</strong> appartenenza auna comunità costruita intorno ai suoi valori che rendono in<strong>di</strong>spensabilela memoria <strong>della</strong> Resistenza. In questa prospettiva, l’antifascismo è il processostorico attraverso cui è stata costruita e si è consolidata la democrazia.Senza avere più, però, carattere normativo, né dal punto <strong>di</strong> vista culturale,né da quello politico, ideologico o storiografico. Parte ineliminabile<strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> memoria collettiva in quanto rappresenta uno deglielementi fondamentali nel processo <strong>di</strong> formazione <strong>della</strong> nostra Repubblica,non può più rappresentare il collante identitario del patriottismo costituzionale4 . A questo proposito, nell’Italia degli ultimi quin<strong>di</strong>ci anni non siè tanto <strong>di</strong>spiegato un progetto consapevole teso a <strong>di</strong>struggere il para<strong>di</strong>gmaantifascista, quanto un uso politico e ideologico, sovente contingente, del112


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nelle commemorazioni <strong>della</strong> Resistenzasuo esaurimento naturale 5 . E d’altronde un esame attento <strong>della</strong> nostra Costituzionemostra facilmente che non è possibile separare i principi antifascistidai principi democratici. I principi antifascisti si identificano, infatti,completamente con i principi democratici senza residui. Semplicementeè mutato il quadro storico, e i richiami all’antifascismo non sono più ingrado <strong>di</strong> creare legami identitari. Questo, però, non significa che ci si puòpermettere <strong>di</strong> lasciarsi definitivamente alle spalle la questione del fascismo.Anzi. Se è vero che ormai l’antifascismo non può funzionare da collanteidentitario, la riflessione del significato del fascismo nella storia italiana èuna questione più che mai decisiva per la definizione <strong>di</strong> una sicura identitàdemocratica. Riflessione tanto più urgente, in quanto non è mai stata veramentesviluppata 6 . In particolare è necessario riportare alla luce il consensosu cui si costruì il regime, le continuità <strong>di</strong> fondo <strong>della</strong> storia italiana, specietra stato liberale e fascismo, e gli errori delle forze politiche che costruironopoi l’alleanza antifascista nella crisi del primo dopoguerra, e che favorironol’avvento del regime 7 . L’approfon<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> questo ultimo aspetto mostrerebbeche la democrazia, così come sarà poi intesa nella Costituzionedel 1948, non era l’orizzonte <strong>di</strong> nessuna forza politica, e che sarà solo nelcrogiolo <strong>della</strong> Resistenza e nel contesto del nuovo assetto dell’Europa che sifarà strada per la prima volta l’idea <strong>della</strong> coesistenza democratica.Le cerimonie commemorative come forma <strong>di</strong> trasmissione <strong>della</strong> memoriaQuando si viene chiamati a tenere un’orazione ufficiale, la prima preoccupazioneè quella <strong>di</strong> raccogliere la documentazione sull’evento da commemorare.Questa ricerca ha due aspetti. Il primo riguarda lo svolgimentodell’episo<strong>di</strong>o e la sua collocazione nell’ambito delle vicende <strong>della</strong> guerra.Il secondo il modo in cui le cerimonie si sono succedute nel tempo: qualisono stati i precedenti oratori e che rilevanza il ricordo dell’episo<strong>di</strong>o ha perla comunità che ne promuove la celebrazione e per le comunità più vaste,provinciale e nazionale. Entrambe queste operazioni mettono in luce elementi,riflettendo sui quali è possibile approfon<strong>di</strong>re la conoscenza delle <strong>di</strong>namicheche governano la trasmissione <strong>della</strong> memoria <strong>della</strong> Resistenza.Contrariamente a quanto generalmente si pensa, la maggior parte degliepiso<strong>di</strong> non viene ricordata ininterrottamente dalla fine <strong>della</strong> guerra 8 . Lastoria <strong>di</strong> molte cerimonie ha una data <strong>di</strong> inizio, sovente intorno agli annisessanta 9 , altre hanno subito interruzioni e riprese 10 . Anche la selezione de-113


Giovanni A. Ceruttigli episo<strong>di</strong> da ricordare appare sovente casuale, tolti ovviamente i più importanti,legata a situazioni particolari, quali l’atteggiamento delle famigliedei caduti, che qualche volta sono i veri motori delle manifestazioni, altrevolte, per motivi privati o politici, un ostacolo insormontabile 11 , o vicendesuccessive alla guerra che hanno posto in una luce <strong>di</strong>versa i protagonisti<strong>della</strong> lotta partigiana. Lo stato <strong>della</strong> documentazione storica non è quasimai incoraggiante 12 . Le rievocazioni degli episo<strong>di</strong> in genere sono riconducibiliquasi tutte a un’unica fonte, variamente utilizzata, e quasi mai suffragatada documenti o da lavori più sistematici. E quasi mai gli episo<strong>di</strong> sonocollocati nel contesto delle vicende <strong>della</strong> guerra partigiana <strong>della</strong> zona, emen che meno delle vicende <strong>della</strong> guerra in generale, ma si stagliano comeracconti esemplari. Inoltre tutti gli episo<strong>di</strong> sono rappresentati come momenti<strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazione. Un’analisi storica accurata mostra, invece,che si tratta <strong>di</strong> eventi molto <strong>di</strong>versi tra loro, con significati ben <strong>di</strong>stinti, checi parlano in modo <strong>di</strong>verso, non solo dal punto <strong>di</strong> vista storico, ma anchesotto il profilo <strong>della</strong> costruzione <strong>della</strong> memoria. Una rappresaglia 13 è <strong>di</strong>versada una strage <strong>di</strong> civili, una battaglia non è assimilabile a una fucilazione,gli episo<strong>di</strong> che coinvolgono i renitenti alla leva mettono in luce aspetti<strong>di</strong>versi rispetto a quelli che vedono protagonisti i partigiani inquadratiin brigate regolari: ogni episo<strong>di</strong>o necessita <strong>di</strong> appropriate categorie esplicative14 , che aiutano a dar conto dell’estrema complessità delle vicende <strong>della</strong>Seconda guerra mon<strong>di</strong>ale - la prima guerra su grande scala che vede massicciamentecoinvolte le popolazioni civili - e dell’occupazione nazista, <strong>della</strong>Repubblica <strong>di</strong> Salò e dei rapporti tra la guerra partigiana e le <strong>di</strong>mensioniquoti<strong>di</strong>ane dell’esistenza. Ci si accorge anche, tanto più nei colloqui con imembri delle comunità coinvolte a vario titolo negli episo<strong>di</strong> che si ricordano,che le <strong>di</strong>mensioni <strong>della</strong> guerra e <strong>della</strong> Resistenza sono centrali nella costruzione<strong>della</strong> memoria, molto meno lo è l’antifascismo, specie politico 15 .Più memorie ra<strong>di</strong>cate nel vissuto delle comunità e proiettate in una luce <strong>di</strong>generico riscatto nazionale, che me<strong>di</strong>tate riflessione sulle vicende <strong>della</strong> storiaitaliana ed europea.Ci sono, poi, due grosse <strong>di</strong>fficoltà da affrontare per riuscire ad entrarein comunicazione con i partecipanti alle commemorazioni. La prima riguardala <strong>di</strong>mensione militare <strong>della</strong> Resistenza 16 . È una <strong>di</strong>mensione che siscontra inequivocabilmente con il vissuto delle società contemporanee, enon <strong>di</strong> rado genera evidenti ed imbarazzanti contrasti con i <strong>di</strong>scorsi chein queste occasioni vengono fatti richiamando la pace. È <strong>di</strong>fficile giustap-114


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nelle commemorazioni <strong>della</strong> Resistenzaporre gagliardetti e ban<strong>di</strong>ere <strong>della</strong> pace senza soluzione <strong>di</strong> continuità, senzaun’interpretazione complessiva in grado <strong>di</strong> dar conto delle asperità <strong>della</strong>storia. L’affermarsi <strong>della</strong> società post-militare 17 ha tolto qualsiasi capacità<strong>di</strong> comunicazione ai miti <strong>della</strong> guerra e ai valori militari. Diventa <strong>di</strong>fficiletrovargli una spazio nella costruzione <strong>della</strong> memoria se sono troppoesibiti e troppo centrali. La seconda riguarda il rapporto con gli eventi luttuosie la <strong>di</strong>mensione del martirio associata al loro ricordo 18 . L’insistenzasu questi aspetti, senza l’elaborazione <strong>di</strong> un percorso che li contestualizzie li apra ai significati che possono avere per la costruzione del futuro, staschiacciando l’immagine <strong>della</strong> Resistenza inesorabilmente sul passato. Naturalmentesi tratta <strong>di</strong> tenere nella giusta considerazione i mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> sentiredelle famiglie, dei compagni dei caduti e <strong>di</strong> chi ha vissuto quelle tragichecircostanze, o ad esse si sente legato, ma il rispetto <strong>della</strong> <strong>di</strong>mensione privata19 deve essere collocato in una <strong>di</strong>mensione pubblica aperta al futuro.Quello che non funziona più, però, e che sta <strong>di</strong>ventando ad<strong>di</strong>rittura dannoso,è il vero e proprio luogo comune «sono morti per noi», «sono mortiper regalarci la democrazia». Innanzitutto perché attribuire motivazionidel genere, e qualsiasi tipo <strong>di</strong> motivazione, alle vittime che si commemoranoè largamente arbitrario - quanti percorsi <strong>di</strong> vita i più <strong>di</strong>versi sono statibrutalmente unificati e fissati per sempre dalla morte violenta! - e poi perchéè una modalità <strong>di</strong> argomentazione sempre più <strong>di</strong>stante dalla sensibilitàcontemporanea, proprio in virtù dell’affermarsi <strong>della</strong> società post-militare20 . È in<strong>di</strong>spensabile mettere in primo piano la <strong>di</strong>mensione costruttiva<strong>della</strong> Resistenza e trovare un linguaggio che sia in grado <strong>di</strong> dar conto <strong>della</strong>violenza e dei lutti meno funzionale a placare l’angoscia dei vivi trovandoloro un senso glorioso e più attento alla riflessione sulla catastrofe cheha luogo ogni volta che si interrompe una vita umana. Quando si muore,si muore. Quando si è uccisi, si è uccisi. Non ci sono significati in grado<strong>di</strong> riscattare una morte per chi è morto. Anche se questi episo<strong>di</strong> fossero ingrado <strong>di</strong> aiutarci a costruire un mondo più umano, cosa per altro estremamentedubbia, i morti non ne beneficeranno mai. Meno eroi e più uomini,con i loro percorsi casuali e le motivazioni mai così chiare e tetragone.Davvero negli anni si è e<strong>di</strong>ficato «un monumento infamante all’Antiresistenza»21 , più che costruire una memoria <strong>della</strong> Resistenza come forza <strong>di</strong>namicadell’identità democratica.Riflessioni <strong>di</strong>verse, invece, richiedono le commemorazioni del 25 aprile.Nella maggior parte dei casi la festa <strong>della</strong> Liberazione viene vissuta co-115


Giovanni A. Ceruttime la festa <strong>della</strong> Resistenza, dei partigiani in particolare, e non come festanazionale, come ricordo <strong>della</strong> nascita <strong>della</strong> democrazia, e con essa <strong>della</strong> nazione.In questa prospettiva, l’orazione ufficiale dovrebbe aiutare a ripercorrerele vicende <strong>della</strong> storia nazionale, sottolinearne le fragilità, ancorarlaalle vicende <strong>della</strong> storia europea e mettere in evidenza da quali complessiprocessi è nata la democrazia. Processi in cui la Resistenza e l’antifascismohanno giocato e giocano un ruolo insostituibile, ma non esclusivo. Non sivedono, però, attori né istituzionali 22 , né politici, né sociali, né culturali ingrado <strong>di</strong> assumersi questa funzione. Ed è questa la miglior prova dell’incompiutezza<strong>della</strong> nostra storia nazionale 23 .Naturalmente resta sullo sfondo l’interrogativo se queste cerimonie abbianoun futuro, se le orazioni ufficiali siano ancora in grado <strong>di</strong> contribuirea costruire la memoria <strong>della</strong> Resistenza, se ci siano spazi per una politica<strong>della</strong> commemorazione, cioè <strong>di</strong> una «modalità dell’agire che aggrega interessie valori comuni a un gruppo <strong>di</strong> attori sociali, in relazione all’ambitospecifico <strong>della</strong> commemorazione <strong>di</strong> un evento» 24 . E ancora più decisivaresta sullo sfondo la questione <strong>della</strong> forma, perché «oggetti, artefatti, formeculturali non rappresentano soltanto asettici involucri <strong>di</strong> pezzi consistentidel nostro passato, più o meno apprezzabili dal punto <strong>di</strong> vista estetico,ma piuttosto influenzano i contenuti stessi <strong>della</strong> memoria a cui dànnoletteralmente forma e, pertanto, costituiscono sempre punti <strong>di</strong> vista specificie ben delineati sulla realtà che intendono rappresentare» 25 . Quante volteun brutto monumento - e quanti brutti monumenti ci sono in giro! -trasmette una brutta immagine. Quante volte un <strong>di</strong>scorso raffazzonato, dàl’idea che le cose <strong>di</strong> cui si sta parlando non sono importanti. E quanta <strong>di</strong>fferenzanell’idea che ci si fa <strong>di</strong> un evento ricordato con una commemorazioneufficiale e uno ricordato con un film, con un’opera teatrale o con unconcorso scolastico.Il ruolo <strong>della</strong> ricerca storica nella costruzione <strong>della</strong> memoriaL’essenza <strong>della</strong> verità storica 26 sta nella comprensione e nella spiegazionedegli eventi e dei comportamenti 27 , dei nessi che li legano, delle causee degli effetti quando è possibile e ha senso stabilirli. È una ricerca semprein <strong>di</strong>venire, risultato dei <strong>di</strong>versi approcci che si confrontano e si scontranoe del mutare delle epoche. Ogni generazione pone interrogativi <strong>di</strong>versial passato o riformula gli stessi interrogativi alla luce <strong>di</strong> nuove sensibili-116


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nelle commemorazioni <strong>della</strong> Resistenzatà. È conoscenza del passato, e la conoscenza del passato non può essere ilpresupposto dell’identità collettiva, perché, naturalmente entro certi limiti,può essere con<strong>di</strong>visa anche in presenza <strong>di</strong> memorie <strong>di</strong>verse e non omogenee28 . Nei processi <strong>di</strong> costruzione <strong>della</strong> memoria, legati a doppio filo alladefinizione delle identità, la questione centrale è quella <strong>di</strong> quali scopi ottenereattraverso il richiamo al passato, e il giu<strong>di</strong>zio sugli scopi <strong>di</strong>pende dauna scelta <strong>di</strong> valore, non dalla ricerca <strong>della</strong> verità 29 . Si entra in una <strong>di</strong>mensioneetica 30 , in cui la scelta del bene impone la <strong>di</strong>mensione <strong>della</strong> responsabilità.La riscoperta del passato e la sua susseguente utilizzazione non sonolegati da un rapporto predefinito e invariabile. Sono, però, i criteri, piùo meno coscienti, che guidano la scelta delle informazioni che provengonodal passato a orientarne l’utilizzo 31 .Questa sommaria descrizione mette in evidenza che per un verso la ricercastorica e i processi <strong>di</strong> costruzione <strong>della</strong> memoria - che quando sonoguidati da un progetto <strong>di</strong>ventano vere e proprie politiche <strong>della</strong> memoria -sono attività nettamente <strong>di</strong>stinte, ma per un altro sono profondamente interrelate.Scrive Hannah Arendt 32 che con<strong>di</strong>zione fondamentale per preservare lapossibilità <strong>di</strong> un’azione politica nel futuro è che il passato e il presente sianosottratti dallo stato <strong>di</strong> potenzialità. Trattare il passato e il presente comeparti del futuro, come campi su cui esercitare l’azione, significa privarel’ambito del politico <strong>della</strong> sua principale forza stabilizzatrice e del punto<strong>di</strong> partenza da cui cominciare qualcosa <strong>di</strong> nuovo. La solida stabilità <strong>della</strong>realtà fattuale deve essere al <strong>di</strong> fuori <strong>della</strong> portata dell’intervento dell’uomo.Un atteggiamento politico - cioè, nei termini <strong>della</strong> Arendt, aperto all’azione- verso i fatti deve essere collocato nello spazio molto stretto situatotra il pericolo <strong>di</strong> considerarli risultato <strong>di</strong> qualche sviluppo necessario chegli uomini non potevano impe<strong>di</strong>re e il pericolo <strong>di</strong> negarli, provando a manipolarlifuori dal mondo. La Arendt scrive riferendosi alla manipolazionedel passato degli stati totalitari, e del potere in genere, che in qualsiasi suaforma è sottoposto a questa deriva, ma mi sembra che le sue affermazioniabbiano valore in sé. Una ricerca storica intellettualmente in<strong>di</strong>pendentee tesa a ricostruire e confrontarsi con i fatti nel modo più <strong>di</strong>retto possibileè l’unica base possibile per qualsiasi attività, sia essa la costruzione delleidentità collettive o l’attività politica. E sempre la Arendt, nella stessa pagina,mette in evidenza come i fatti finiscano sempre per affermarsi graziealla loro ostinazione, perché la loro apparente fragilità, che sembrereb-117


Giovanni A. Ceruttibe esporli a qualsiasi manipolazione, in realtà è abbinata a una grande resilienza33 , dovuta alla irreversibilità che contrassegna ogni azione umana.Una politica <strong>della</strong> memoria per durare e riuscire ad incidere nella costruzione<strong>della</strong> società, per avere qualcosa da <strong>di</strong>re nel <strong>di</strong>battito pubblico,non può stabilire un rapporto strumentale con la ricerca storica, non puòpiegarla ai propri scopi utilizzando i propri valori come chiave interpretativadei fatti. Prima la ricerca spassionata dei fatti, l’elaborazione <strong>di</strong> ipotesiesplicative, e poi, alla luce <strong>di</strong> questi risultati, il confronto con le proprievisioni del mondo, che, in seguito a questo confronto, possono anche esseresottoposte a qualche riaggiustamento. Va da sé, che il sostrato <strong>di</strong> questomodo <strong>di</strong> pensare è che chi sostiene buone ragioni non può aver paura <strong>di</strong>confrontarsi con i fatti, non può ritenere <strong>di</strong> non riuscire a venirne a capo.Note al testo1Il concetto <strong>di</strong> genere commemorativo è stato elaborato nell’ambito degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> sociologia <strong>della</strong>memoria, sviluppando l’approccio culturalista, che analizza il modo in cui la memoria è usatacome risorsa dagli attori sociali per costruire le identità in<strong>di</strong>viduali e collettive e definire inquesto modo segmenti <strong>della</strong> sfera pubblica. Secondo questa prospettiva «il costituirsi <strong>di</strong> un generespecifico nella memorizzazione implica il delinearsi <strong>di</strong> una serie <strong>di</strong> convenzioni sociali, ingrado <strong>di</strong> stabilire ciò che è appropriato e ciò che non lo è, rispetto alla rappresentazione <strong>di</strong> uncerto passato». (ANNA LISA TOTA, La città ferita. Memoria e comunicazione pubblica <strong>della</strong> strage<strong>di</strong> Bologna, 2 agosto 1980, Il Mulino, Bologna 2003, p. 170).2Naturalmente si tratta <strong>di</strong> una valutazione qualitativa, fatta sulla base dell’esperienza <strong>di</strong>retta edello spoglio delle annate dei fogli partigiani e <strong>della</strong> stampa locale, nonché dei documenti degliarchivi <strong>di</strong> alcuni comuni, e non suffragata da ricerche puntuali. Ma penso <strong>di</strong> non essere troppolontano dalla realtà.3MARCELLO FLORES, Memoria collettiva e uso <strong>della</strong> storia, in «Il Mulino», n. 1/2005, p. 179. Suicaratteri delle costituzioni europee del secondo dopoguerra, rimando al classico lavoro <strong>di</strong> CARLJOACHIM FRIEDRICH, The Political Theory of the New Democratic Constitutions (1955), ora <strong>di</strong>sponibilein lingua italiana nel volume curato da Sofia Ventura, C.J. FRIEDRICH, L’uomo, la comunità,l’or<strong>di</strong>ne politico, Il Mulino, Bologna 2002, pp. 231-254.4MARCELLO FLORES, Memoria collettiva e uso <strong>della</strong> storia cit., p. 182.5MARCELLO FLORES, Memoria collettiva e uso <strong>della</strong> storia cit., pp. 185-186. Sui problemi connessi118


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nelle commemorazioni <strong>della</strong> Resistenzaal para<strong>di</strong>gma antifascista e al suo declino, ve<strong>di</strong> il classico stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> NICOLA GALLERANO, Criticae crisi del para<strong>di</strong>gma antifascista, in «Problemi del socialismo», n. 7/1986.6Sui motivi che hanno impe<strong>di</strong>to questa riflessione ve<strong>di</strong> ALESSANDRO CAVALLI, I giovani e la memoriadel fascismo e <strong>della</strong> Resistenza, in «Il Mulino», 363 (1996), p. 56. Cavalli parla <strong>di</strong> un «processo<strong>di</strong> rimozione collettiva» del fascismo, nelle sue ra<strong>di</strong>ci storiche e nelle sue forme <strong>di</strong> regimeautoritario e totalitario, strettamente e specularmente legato al «processo <strong>di</strong> monumentalizzazione»<strong>della</strong> Resistenza. Sul modo in cui le società reagiscono al crollo dei regimi, e sul tipo <strong>di</strong>memoria che sviluppano, ve<strong>di</strong> REMO BODEI, Ad<strong>di</strong>o al passato: memoria storica, oblio e identitàcollettiva, in «Il Mulino», 340 (1992), pp. 179-191, poi raccolto in R. BODEI, Libro <strong>della</strong> memoriae <strong>della</strong> speranza, Il Mulino, Bologna 1995. Una chiave interpretativa <strong>di</strong> notevole profon<strong>di</strong>tàper comprendere la vicenda del regime fascista, la sua vertiginosa ascesa e la sua rovinosa caduta,mi sembra possa essere sviluppata a partire dall’analisi <strong>di</strong> Friedrich sulla falsa autorità. SecondoFriedrich, l’autorità è sempre confinata entro la portata <strong>della</strong> ragione e non può esserviautorità assoluta perché non esiste una verità assoluta. La falsa autorità si manifesta quando gliuomini si pronunciano attraverso comunicazioni presentate come autorevoli, reputate suscettibili<strong>di</strong> fondarsi su <strong>di</strong> un’elaborazione ragionata, mentre in realtà non lo sono. La falsità <strong>di</strong> taleautorità appare in tutta la sua evidenza nel momento in cui il preteso potenziale deve essereconcretizzato (C.J. FRIEDRICH, L’uomo, la comunità, l’or<strong>di</strong>ne politico cit., p. 104. Ed. or. Authority,Reason and Discrection, Harvard University Press, 1958). Più che un’analisi teorica sembrala descrizione <strong>di</strong> quanto accade in Italia, dove ciclicamente l’opinione pubblica si consegna auomini le cui comunicazioni alla prova dei fatti rivelano l’inconsistenza che un ascolto più attentoavrebbe mostrato prima che fosse troppo tar<strong>di</strong>.7Anche su questo aspetto ve<strong>di</strong> ALESSANDRO CAVALLI, I giovani e la memoria del fascismo e <strong>della</strong> Resistenzacit., pp. 56-57.8Anche queste considerazioni si basano su esperienze personali e non hanno alle spalle ricerchedocumentate.9Ciò vale anche per la partecipazione dei Comuni all’organizzazione <strong>della</strong> cerimonia del 25 aprile.Questo è documentato almeno per Borgomanero da una ricerca non pubblicata conservatanel nostro Istituto e promossa dall’amministrazione comunale <strong>di</strong> Borgomanero. Il comuneiniziò a partecipare all’organizzazione del 25 aprile solo nel 1965, in occasione del Ventennale<strong>della</strong> Resistenza. Negli anni precedenti i reiterati inviti dell’Anpi venivano sempre declinati,in modo più o meno rude, in corrispondenza delle personalità dei <strong>di</strong>versi sindaci e delle congiunturestorico-politiche. Da notare che dal 1946 al 1956 sindaco <strong>di</strong> Borgomanero fu GiacomoBorgna, antifascista fin dal 1922 e protagonista <strong>della</strong> Resistenza novarese. Sulla figura <strong>di</strong>Giacomo Borgna ve<strong>di</strong> la voce biografica <strong>di</strong> Mauro Begozzi nel Dizionario storico del movimentocattolico in Italia 1860-1980. Volume III, a cura <strong>di</strong> Francesco Traniello e Giorgio Campanini,Marietti, Casale Monferrato 1984, pp. 112-113.10Un’impressione, sempre basata su esperienze personali, è che ci sia stato un recupero <strong>di</strong> celebrazioniquasi <strong>di</strong>menticate, o ad<strong>di</strong>rittura <strong>di</strong> allestimento <strong>di</strong> nuove cerimonie, a partire dalla metàdegli anni novanta, in corrispondenza dell’ingresso al governo <strong>della</strong> formazione post-fascista.11Lo stesso vale per l’intitolazione delle vie, specie per quelle intitolate nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra,dove su un giu<strong>di</strong>zio storico me<strong>di</strong>tato hanno fatto premio <strong>di</strong>mensioni emozionali o fattorifortuiti, quali la presenza o l’assenza <strong>di</strong> compagni o <strong>di</strong> famigliari <strong>di</strong> caduti nelle giunte enei consigli comunali.12A questo proposito è fondamentale il lavoro <strong>di</strong> ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e<strong>della</strong> Resistenza novarese. Uomini ed episo<strong>di</strong> <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazione, Novara s.d., ma 1984, conpresentazione <strong>di</strong> Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>, ampliamento <strong>di</strong> un precedente lavoro del 1955, che raccoglie,con una breve descrizione, tutti gli episo<strong>di</strong> significativi del periodo 1943-1945. Sulla figu-119


Giovanni A. Ceruttira <strong>di</strong> Enrico Massara, valoroso partigiano e protagonista <strong>della</strong> vita politica e amministrativa <strong>di</strong>Novara, nonché fondatore e a lungo presidente del nostro Istituto, ve<strong>di</strong> ENRICO MASSARA, Monvieux capitaine, a cura <strong>di</strong> Mauro Begozzi, Istituto storico <strong>della</strong> resistenza e <strong>della</strong> società contemporaneanel Novarese e nel Verbano-Cusio-Ossola «Piero Fornara», Novara 2004, con presentazione<strong>di</strong> Francesco Omodeo Zorini.13Ci sono alcuni casi in cui, a seguito <strong>di</strong> azioni partigiane, i tedeschi e i fascisti hanno in un primotempo scelto le vittime <strong>della</strong> rappresaglia tra la popolazione del paese in cui si era svolto ilfatto, ma - in seguito all’azione dei rappresentanti delle comunità, nella maggior parte dei casisacerdoti, ma qualche volta anche podestà o esponenti del vecchio P.N.F. - hanno successivamenteliberato gli ostaggi civili, eseguendo comunque la rappresaglia su partigiani o renitentialla leva. Si tratta, come si può ben capire, <strong>di</strong> una situazione delicatissima e drammatica.Scavando con attenzione nelle memorie <strong>di</strong> queste comunità, questa <strong>di</strong>mensione affiora ancoraoggi, in particolare attraverso la cura con cui <strong>di</strong> anno in anno sono allestite le cerimonie<strong>di</strong> commemorazione.14Che io sappia, non esiste un lavoro che tenti la definizione <strong>di</strong> categorie analitiche in grado <strong>di</strong>dar conto delle molteplici forme dell’impatto dell’occupazione nazista sulle singole comunità esulle società più in generale, sia nei suoi aspetti tragici, che negli aspetti <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana.15Su come la memoria <strong>della</strong> Resistenza sia stata costruita fondendo nelle commemorazioni pubblichee nei monumenti esigenze molto <strong>di</strong>verse, fortemente debitrici alla propaganda del primodopoguerra, ve<strong>di</strong> ERSILIA ALESSANDRONE PERONA, La Resistenza italiana nei musei in La Resistenzatra storia e memoria a cura <strong>di</strong> Nicola Gallerano, Mursia, Milano 1999, pp. 56-57.16È una <strong>di</strong>mensione su cui hanno insistito e insistono moltissimo le associazioni partigiane, tantoche per molte sezioni locali è motivo <strong>di</strong> orgoglio essere considerate tra le associazioni d’arma.17ANTHONY GIDDENS, Oltre la destra e la sinistra, Il Mulino, Bologna 1997, pp. 283-288 (Ed. or.Beyond Left and Right. The Future of Ra<strong>di</strong>cal Politics, Polity Press, Cambridge 1994). Il concetto<strong>di</strong> «società post-militare» è stato formulato da Martin Shaw, ve<strong>di</strong> MARTIN SHAW, Post-MilitarySociety, Polity Press, Cambridge 1991.18Penetranti osservazioni su questo aspetto e sulle sue ripercussioni sulla memoria <strong>della</strong> Resistenzasono contenute nell’introduzione <strong>di</strong> Sergio Luzzatto alla nuova e<strong>di</strong>zione del classico resistenziale<strong>di</strong> Piero Calamandrei Uomini e città <strong>della</strong> Resistenza, specie alle pp. XLVI-LXV (PIERO CA-LAMANDREI, Uomini e città <strong>della</strong> Resistenza, Laterza, Roma-Bari 2006. A cura <strong>di</strong> Sergio Luzzatto,prefazione <strong>di</strong> Carlo Azeglio Ciampi). In particolare, secondo Luzzatto l’idea guida <strong>di</strong> Calamandreifu che «la morte dei partigiani fosse stata il più bel successo <strong>della</strong> loro vita» (p. LIX).19Sul rapporto tra memoria privata e memoria pubblica ve<strong>di</strong> TZVETAN TODOROV, Gli abusi <strong>della</strong>memoria, Iperme<strong>di</strong>um libri, Napoli 2001, pp. 49-51 (Ed. or. Les abus de la mémoire, Les E<strong>di</strong>tionsArléa, Paris 1995). Secondo Todorov il punto <strong>di</strong> vista soggettivo, per cui l’esperienza ènecessariamente singolare ed intensa, non deve essere trascurato, ma l’esercizio <strong>della</strong> razionalitàdeve mettere in comune le esperienze in<strong>di</strong>viduali con altre esperienze, procedendo a raffrontiche permettano esiti utilizzabili dalla collettività. Va, però, assolutamente evitato il rischiodell’ «arroganza <strong>della</strong> ragione, insopportabile per il singolo, che si vede deprivato <strong>della</strong>sua esperienza e del senso che egli le attribuiva in nome <strong>di</strong> considerazioni che gli sono incomprensibili»(p. 49).20Ve<strong>di</strong> nota 17. L’idea che celebrare gli uomini che avevano ben servito la patria attraverso glielogi funebri e altri atti commemorativi servisse ad incitare i giovani ad affrontare qualsiasi sacrificioa <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> patria per ottenere la gloria che spetta ai valorosi risale a Polibio e allasua analisi <strong>della</strong> superiorità <strong>di</strong> Roma su Cartagine contenuta nelle Storie (ve<strong>di</strong> ROBERT GILPIN,120


<strong>Ricerca</strong> storica e politiche <strong>della</strong> memoria nelle commemorazioni <strong>della</strong> ResistenzaGuerra e mutamento nella politica internazionale, Il Mulino, Bologna 1989, pp. 156-157. Ed.or. War and Change in World Politics, Cambridge University Press, Cambridge 1981).21SERGIO LUZZATTO, Introduzione a PIERO CALAMANDREI, Uomini e città <strong>della</strong> Resistenza cit., p.XXXIX. Secondo Luzzatto all’origine <strong>di</strong> questo atteggiamento ci sono, pur nella <strong>di</strong>vergenzadell’analisi del fascismo, tanto Piero Calamandrei quanto Benedetto Croce.22Una svolta in questa <strong>di</strong>rezione è stata la presidenza <strong>di</strong> Carlo Azeglio Ciampi, che ha inserito trale questioni centrali del suo settennato la costruzione <strong>di</strong> una memoria in grado <strong>di</strong> sorreggereuna sicura identità democratica, al centro <strong>della</strong> quale fossero la Resistenza e l’antifascismo.23Mi sembra molto interessante l’ipotesi avanzata da Marcello Flores (Memoria collettiva e uso<strong>della</strong> storia cit., p. 180) che l’identità costituzionale sia stata più debole nei Paesi in cui è statavissuta attraverso ideologie subnazionali, per quanto si presentassero come universali. Questadebolezza ha favorito una contrapposizione polemica e una strumentalizzazione politica delnodo tra storia e memoria, alimentando memorie contrapposte che hanno impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> darespazio alla ricostruzione storica.24ANNA LISA TOTA, La città ferita cit.,p. 150.25ANNA LISA TOTA, La città ferita cit., p. 150.26A questo proposito ve<strong>di</strong> l’affascinante analisi <strong>di</strong> Christian Meier delle <strong>di</strong>fferenze tra la storia <strong>di</strong>Tuci<strong>di</strong>de e la storia <strong>di</strong> Erodoto. Secondo Meier una delle caratteristiche rilevanti <strong>di</strong> Erodoto,autore <strong>della</strong> prima storia che viene scritta, è la capacità <strong>di</strong> osservare la polis dall’esterno, pur essendoneparte (CHRISTIAN MEIER, La nascita <strong>della</strong> categoria del politico in Grecia, Il Mulino, Bologna1988, pp. 441-444, corsivo mio).27MARCELLO FLORES, Memoria collettiva e uso <strong>della</strong> storia cit., p. 184.28MARCELLO FLORES, Memoria collettiva e uso <strong>della</strong> storia cit., p. 179.29TZVETAN TODOROV, Gli abusi <strong>della</strong> memoria cit., pp. 59-60.30La <strong>di</strong>mensione etica è alla base anche del concetto <strong>di</strong> «rammemorazione» <strong>di</strong> Walter Benjamin.Secondo Benjamin la rammemorazione rompe il tempo lineare per ritrasformare i fatti in significati.In questo modo il sapere storico incorpora al suo interno il sapere etico. Secondo LeonardoPaggi, lo storico che intenda confrontarsi con le catastrofi morali del novecento non puòeludere questo punto <strong>di</strong> vista (ve<strong>di</strong> LEONARDO PAGGI, Alle origini del “credo” repubblicano. Storia,memoria, politica in Le memoria <strong>della</strong> Repubblica, a cura <strong>di</strong> Leonardo Paggi, La Nuova Italia,Firenze 1999, p. XXXVII).31TZVETAN TODOROV, Gli abusi <strong>della</strong> memoria cit., p. 34.32HANNAH ARENDT, Verità e politica, Bollati Boringhieri, Torino 1995, pp. 70-71. Si tratta <strong>di</strong> unsaggio contenuto nella raccolta Between Past and Future. Eight Exercices in Political Thought,The Viking Press, New York 1968, che non era stato incluso nell’e<strong>di</strong>zione italiana del 1970.33È proprio il termine usato dalla Arendt.121


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.Storia <strong>di</strong> una mostra «permanente»<strong>di</strong> Mauro Begozzi«Il 17 febbraio 2006 è stata “reinaugurata” la Sala storica <strong>di</strong> Domodossolaristrutturata in occasione del 60° anniversario <strong>della</strong> Repubblica dell’Ossola.Dopo 22 anni, l’Amministrazione comunale <strong>di</strong> Domodossola hadato corso a una necessaria ristrutturazione <strong>della</strong> Sala storica sita nell’Aulaconsigliare, nella stessa sala ove si riuniva la Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governodell’Ossola liberata nel settembre-ottobre1944. Pur rispettando l’originale<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> strutture e materiali esposti (immagini, documenti,ecc.) è stato deciso <strong>di</strong> semplificare i testi e <strong>di</strong> aggiungere nuove fotografie,così come si è provveduto a risistemare l’ingresso dotandolo <strong>di</strong> strumentimultime<strong>di</strong>ali per consentire la visione anche <strong>di</strong> documenti au<strong>di</strong>ovisivi.La ristrutturazione, curata dall’architetto Alessandro Feltre e dall’Istituto,ha inteso soprattutto adattare la comunicazione alle nuove esigenzedei visitatori contemporanei, senza per questo stravolgere contenuti e sensodel percorso originale. Presto sarà anche possibile <strong>di</strong>sporre <strong>di</strong> un’appositaguida».La notizia è apparsa sul portale dell’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e<strong>della</strong> società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola«P. Fornara», www.isrn.it, nella sezione «attività-mostre».Poche righe per sintetizzare, come richiede il linguaggio internet, unfatto, un evento, una comunicazione. Gli è che non solo quella notizial’ho scritta io, ma pure i testi semplificati <strong>della</strong> nuova versione <strong>della</strong> mostrae così anche ventidue anni fa i testi completi e mi accorgo ora più <strong>di</strong> allorad’aver accettato numerosi «compromessi» sull’altare <strong>di</strong> una non megliodefinita esigenza e altrettanto non sufficientemente provata motivazione:«nessuno legge più, men che meno i testi <strong>di</strong> una mostra» (questo luogo comuneè elegantemente definito: «adattare la comunicazione alle nuove esigenzedei visitatori contemporanei»). Insomma, da allora ad oggi mi sareisempre più piegato all’idea <strong>della</strong> storia in «pillole», <strong>della</strong> semplificazione123


Mauro Begozzicomunicativa e la constatazione non mi fa piacere.Per questo, ma non solo, vorrei ricostruire la vicenda <strong>della</strong> Sala storica<strong>di</strong> Domodossola: mi sembra, infatti, da un lato emblematica dell’evoluzionedelle forme e dei mo<strong>di</strong> <strong>della</strong> me<strong>di</strong>azione e <strong>della</strong> comunicazione storicae dall’altro può servire per salvaguardare e riproporre, criticamente,un «lavoro perduto» ovvero gli originali testi <strong>della</strong> mostra non più leggibilidurante le visite e mai e<strong>di</strong>ti, nonostante le reiterate intenzioni <strong>di</strong> produrreuna guida.«Millenovecentottantaquattro, quarantesimo anniversario <strong>della</strong> Repubblicapartigiana dell’Ossola.Sono mesi che percorro su e giù la Statale del Sempione da Novara perraggiungere Domodossola dove fervono i preparativi per ricordare degnamentel’avvenimento, una delle più gloriose pagine <strong>di</strong> storia scritte dagliOssolani e con loro da migliaia <strong>di</strong> partigiani, civili, conta<strong>di</strong>ni, operai,montanari, intellettuali, donne e uomini accorsi da ogni dove per sostenereun sogno durato meno <strong>di</strong> quaranta giorni: sogno <strong>di</strong> libertà, sogno <strong>di</strong> pacee vita nuova.Le iniziative in cantiere sono tantissime e <strong>di</strong> notevole spessore culturale:impossibile citarle tutte.Innanzitutto si è deciso <strong>di</strong> allestire la cosiddetta Sala storica presso l’aulaove ancora si riunisce il Consiglio comunale. Si tratterà, in realtà, <strong>di</strong> unamostra permanente, ma le riunioni per decidere testi, immagini, carte edocumenti da esporre sono innumerevoli e contrastate. Vi partecipano soprattuttotestimoni e stu<strong>di</strong>osi del luogo in un confronto <strong>di</strong>fficile, perchéogni parola e ogni nome sono pesati con il bilancino del farmacista. L’avventurasi concluderà solo a ridosso dell’inaugurazione rivelandosi, però,un’esperienza all’avanguar<strong>di</strong>a per quegli anni perché impostata sulla proposizionee il confronto scientifico <strong>di</strong> materiale <strong>di</strong>verso: fotografie, testi,documenti e cartine. Multime<strong>di</strong>ale si <strong>di</strong>rebbe oggi, <strong>di</strong> sicuro anticipatrice<strong>di</strong> quanto solo molti anni dopo sarebbe <strong>di</strong>ventato centro d’attenzione pergli storici: il territorio, la montagna, i sentieri <strong>della</strong> libertà» 1 .Il 22 febbraio 1984 l’Istituto riceve dall’allora assessore alla Cultura delComune, Mariano Cattrini, delegato dal sindaco Giovanni Fornaroli allecelebrazioni per il 40°, copia del progetto <strong>di</strong> ristrutturazione <strong>della</strong> Salastorica «approvato dal Consiglio comunale il 17 febbraio». Tale progetto,in scala 1:100 è opera dell’architetto Sergio Pella che ha previsto 15 bachechea muro. Il Comitato ha già definito anche i contenuti che vengono124


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.riassunti in altrettanti temi (1. Insurrezione <strong>di</strong> Villadossola e banda «libertà»;2. Battaglia <strong>di</strong> Megolo; 2. M.O. Silvestro Curotti; 3. Rastrellamento<strong>della</strong> Valgrande; 4. Anzola: 13 partigiani fucilati (tra cui 1 Greco e 1 Cecoslovacco);6. Premosello: 8 civili uccisi; 7. La Repubblica partigiana dell’Ossola;8. La Repubblica partigiana dell’Ossola; 9. La morte <strong>di</strong> Di Dio eA. Moneta; 10. Il Collegio Rosmini; 11. L’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> don Giuseppe Rossi;12. La salvaguar<strong>di</strong>a del Sempione-centrali elettriche e fabbriche; 13: LaLiberazione; 14. Bacheca; 15. Planimetria delle Valli Ossolane.) più o menovincolanti.Il presidente dell’Istituto, Eraldo Gastone «Ciro», mi chiede d’occuparmenee schizza a matita accanto ai temi del progetto una serie <strong>di</strong> parentesiche in<strong>di</strong>cano chiaramente che occorrerebbe raggruppare gli argomentiper inserirne altri, mancando a suo <strong>di</strong>re aspetti importanti <strong>di</strong> quellaesperienza e in generale <strong>della</strong> resistenza in Ossola. Mi pare <strong>di</strong> capire cheritiene l’iniziativa importante, ma vorrebbe per l’Istituto carta bianca suicontenuti. Contrariamente a quanto si pensa <strong>di</strong> lui, «Ciro», il comandantemilitare delle Brigate Garibal<strong>di</strong> <strong>della</strong> Valsesia Verbano Cusio e Ossola,è un uomo attento, aperto al <strong>di</strong>alogo e al confronto, ma crede nella libertà<strong>di</strong> ricerca e rifiuta ogni schematismo. Anche per me è un’occasione importantee una sfida, dopo le positive esperienze <strong>di</strong> lavoro dell’Istituto suitemi <strong>della</strong> comunicazione e dell’uso delle nuove fonti (fotografiche, sonore,ecc.) nella storia contemporanea. Circa un mese dopo, il 22 marzo, rispondocosì al Comune e tramite esso al Comitato (che ho già incontratoun paio <strong>di</strong> volte):«Cari amici, ho finalmente avuto un po’ <strong>di</strong> tempo (per la verità rubatoqua e là) per rior<strong>di</strong>nare le idee sulla sala storica a partire dal progettopresentato dagli architetti. Ho riflettuto soprattutto sulla praticabilità dellein<strong>di</strong>cazioni emerse dagli incontri rispetto al progetto definito e mi sonoaccorto che non sarà possibile sod<strong>di</strong>sfare più <strong>di</strong> tanto le aspettative. A miomodesto avviso (che non è certo vincolante) e dopo avere esaminato tuttele possibili soluzioni, vi è soltanto una scelta cre<strong>di</strong>bile e fattibile tenutoconto, evidentemente, non dei gusti personali, ma delle reali con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>spazio, <strong>di</strong> fonti, <strong>di</strong> tempi, ecc. Ho perciò steso le allegate “considerazionipreliminari” che rappresentano il sunto delle riflessioni <strong>di</strong> cui sopra. [...]Concludendo, aggiungo che ho ripetutamente cercato <strong>di</strong> trovare una me<strong>di</strong>azionefra il progetto degli architetti e le in<strong>di</strong>cazioni, anche contrastanti,provenienti dal Comitato. Non vi sono riuscito, ma questa potrebbe esse-125


Mauro Begozzire una mia lacuna e non una impossibilità reale [...]». 2Il problema, sostanzialmente, è che per il Comitato quella sala dovrebbe<strong>di</strong>ventare una sorta <strong>di</strong> museo <strong>della</strong> resistenza ossolana (ove raccogliereed esporre documenti, cimeli, immagini, ecc.), mentre per gli architetti, supreciso mandato del Comune, si tratta solo <strong>di</strong> utilizzare uno spazio, nemmenotanto grande, dove però continuerà a svolgersi la vita amministrativa,a riunirsi il Consiglio comunale, sì che l’esposizione non potrà esserepiù <strong>di</strong> tanto invadente.Titolo così le considerazioni preliminari (in cui mi rendo conto d’avermesso le mani avanti per tenermi aperta una via d’uscita se non si comporrannole <strong>di</strong>verse posizioni) «allestimento <strong>della</strong> mostra nella Sala storica»,dove appunto «storica» è la sala, mentre «allestimento <strong>di</strong> una mostra» è ciòche ci accingiamo a fare.«Il linguaggio espositivo <strong>della</strong> struttura. Prima <strong>di</strong> affrontare i problemiderivanti dall’allestimento <strong>della</strong> “mostra”, è necessario riflettere sui contenutidel progetto <strong>di</strong> ristrutturazione complessiva <strong>della</strong> sala e delle strutturea supporto “narrativo” dell’esposizione, così come sono state stu<strong>di</strong>ate epresentate dall’architetto Sergio Pella.Sostanzialmente tali contenuti tengono conto <strong>di</strong> due esigenze interagenti:da un lato quella del rispetto dei significati e valori storici intrinseci<strong>della</strong> sala e dall’altro quelli dell’uso non solo “museale” <strong>della</strong> stessa. Ilprogetto presentato si configura come una me<strong>di</strong>azione fra le due esigenze(l’unica forse possibile) che non consente tuttavia <strong>di</strong>verse e moltepliciutilizzazioni degli spazi, ma al contrario limita fortemente le scelte <strong>di</strong> linguaggioe <strong>di</strong> percorso espositivo. Né poteva essere <strong>di</strong>versamente se si considerada un lato il limitato perimetro e dall’altro la simbologia del luogo,il suo legame definito con una precisa situazione storica, pur carica <strong>di</strong> forticontenuti ideali che travalicano la semplice contingenza e giungono anoi con un bagaglio <strong>di</strong> suggestioni, valori, uomini, fatti e luoghi <strong>di</strong> enormerilevanza.Detto tutto ciò è impensabile costruire all’interno del progetto un <strong>di</strong>scorsoautonomo, che non sia cioè in stretta relazione con l’ambiente e lestrutture, anche se occorre segnalare come la scelta dei supporti metallicisuggerisca <strong>di</strong> tener conto dello specifico linguaggio dell’immagine, mentrela loro esplicita estraneità dalla sala, ci avverte delle <strong>di</strong>stanze cronologichetra fatti storici e ricostruzione storica, fra specifico appunto <strong>della</strong> salae trasformazioni profonde intervenute, anche solo nel “modo” <strong>di</strong> guardare126


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.al periodo. In più occorre tener conto <strong>della</strong> “provvisorietà”’ <strong>della</strong> strutturaa supporto, il suo essere “ospite” dell’ambiente, mo<strong>di</strong>ficabile, estrapolabile:cosa questa che concorre a mantenere un giusto equilibrio fra le esigenze<strong>di</strong> cui sopra. Si può quin<strong>di</strong> concludere che i non più <strong>di</strong> 15 metri linearia <strong>di</strong>sposizione invitano e obbligano a scelte tematiche mirate, semplici,<strong>di</strong> facile leggibilità» 3 .Anche allora, quin<strong>di</strong>, il tema <strong>della</strong> comunicazione, del rapporto testoimmagini-documentiin una mostra, che voleva rappresentare e ricostruireavvenimenti storici complessi, era ben presente.«Percorso storico. All’interno <strong>di</strong> limiti ben definiti quali quelli strutturali,il percorso storico che ne deriva non può c he essere necessariamente, <strong>di</strong>sintesi, né è pensabile una sud<strong>di</strong>visione “a sezioni” dello stesso.Tuttavia è prioritaria a qualunque scelta <strong>di</strong> percorso espositivo, l’esigenza<strong>di</strong> evidenziare, anche se sinteticamente, l’unicità dell’esperienza storica<strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazione in Ossola. Tale unicità si deve poi configurareattraverso lo stretto rapporto fra particolare e generale, fra locale e nazionale,in cui lo spessore storico <strong>della</strong> Repubblica rappresenta lo specifico,originale e irripetibile.Tutto ciò è attuabile soltanto attraverso due or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> scelte:a) quella dell’eloquenza propria delle immagini (percorso a sé stantenon illustrativo degli scritti);b) quello dei supporti scritti (con doppio uso: <strong>di</strong>dascalico e descrittivola <strong>di</strong>namica storica).Da simili, imprescin<strong>di</strong>bili e forzate considerazioni, la scelta tematica alivello <strong>di</strong> immagini si riduce notevolmente rispetto alle esigenze espresse <strong>di</strong>coprire l’intero arco <strong>della</strong> resistenza ossolana, per concentrarsi sui 40 giorni<strong>della</strong> Repubblica. Ogni altro tipo <strong>di</strong> scelta risulterebbe infatti mortificata oimpraticabile, per la scarsa simbologia delle immagini rispetto ai contenuti[...]. Il percorso sarà dunque duplice, con le immagini a testimonianza<strong>della</strong> vita, delle opere, delle volontà e degli atti espressi durante la Repubblicae con gli scritti usati per collocare l’intera esperienza nel quadro <strong>della</strong>lotta <strong>di</strong> liberazione in Ossola e in generale. La scelta delle immagini, a suavolta, dovrà possibilmente tener conto:a) del rapporto “d’azione” situazione-uomini, in cui l’evento coinvolgee spinge in campo forze che puntano a mo<strong>di</strong>ficare le situazione esistente(dare il senso <strong>della</strong> lotta armata, del nemico, delle scelte, delle volontà);b) del contesto: non tanto geografico quanto politico-sociale (le libertà,127


Mauro Begozzigli atti, le scelte, le <strong>di</strong>verse opinioni, ecc.).Immagini e testi. Poiché è impensabile sperare (visti anche i tempi stretti<strong>di</strong> lavoro) nel ritrovamento <strong>di</strong> immagini ine<strong>di</strong>te o sconosciute sul periodo,la scelta delle stesse andrà fatta tra quelle, non numerosissime, note econservate o da privati o dalle associazioni o da questo Istituto.Più che sulla quantità, dunque, occorrerà puntare sulla “leggibilità”,con ricorso all’ingran<strong>di</strong>mento (anche del particolare) o all’accoppiamento.Oltre alle immagini fotografiche si potranno esporre (sempre con riproduzionefotografica) documenti, brani <strong>di</strong> essi, le testimonianze dell’attività<strong>della</strong> Giunta e <strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana (francobolli, annulli, tessere, giornali,ecc.). Per una corretta impostazione grafica [...] occorrerebbe fa ricorsoa professionisti del settore. Gli scritti, a loro volta, dovrebbero servire alduplice scopo <strong>della</strong> <strong>di</strong>dascalia e <strong>della</strong> costruzione <strong>di</strong> un autonomo percorso<strong>di</strong> lettura storica. Fra la parte illustrativa e quella scritta non <strong>di</strong>dascalica,non vi sarà dunque un nesso consequenziale (una non illustra l’altra, néquesta spiega la prima), bensì un rapporto d’insieme. Agli scritti il compito<strong>di</strong> collocare gli eventi, alle immagini quello <strong>di</strong> evocare le situazioni. Questotipo <strong>di</strong> scelta espositiva <strong>di</strong> materiali riprodotti fotograficamente, evitainfine il problema, <strong>di</strong> enorme <strong>di</strong>fficoltà, <strong>di</strong> documentazione originale, comunqueimproponibile all’interno <strong>di</strong> una struttura come quella data. Nonsarebbe male però se all’ingresso <strong>della</strong> sala venissero affissi i manifesti <strong>della</strong>Giunta e un richiamo cartografico che delimiti i confini <strong>della</strong> Repubblicae richiami le linee d’azione delle varie formazioni partigiane per la liberazionedell’Ossola.Uso <strong>della</strong> sala. Così concepito, il progetto <strong>di</strong> allestimento che ne derivanon si presta evidentemente ad un uso <strong>di</strong>retto in termini <strong>di</strong>dattici, ma lavisita <strong>di</strong> scolaresche, se guidate, potrebbe essere fonte <strong>di</strong> notevoli stimolazionipropedeutiche a ricerche sul campo o nelle rispettive se<strong>di</strong>. Eventualmente,la messa a <strong>di</strong>sposizione del pubblico giovane <strong>di</strong> sussi<strong>di</strong> bibliografici,<strong>di</strong> schede e <strong>di</strong> in<strong>di</strong>cazioni archivistiche faciliterebbe molto questo “effetto”visita.Genericamente, comunque, la sala si presta ad un uso che potremmodefinire ’promozionale’ <strong>della</strong> conoscenza e <strong>della</strong> riflessione storica sui ventimesi <strong>della</strong> resistenza ossolana e sui ’40 giorni’ <strong>di</strong> libertà» 4 .Il 9 maggio successivo, l’assessore Cattrini risponde alle «considerazionipreliminari»: «A larga maggioranza, una sola astensione, il Comitato haaccolto favorevolmente le Sue valutazioni [...] Le siamo, pertanto, grati se128


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.continuasse la Sua proficua collaborazione con il Comitato, per giungerealla proposta definitiva dell’allestimento <strong>della</strong> sala storica» 5 .Ovviamente accetto, anche perché da un lato l’iniziativa mi interessa edall’altro non saprei più come sfuggire. Inoltre sono impegnato anche inaltre attività messe in cantiere dall’Istituto e dal Comitato per il 40° anniversario6 . Ciò che più mi preoccupa però è il poco tempo a <strong>di</strong>sposizione:non più <strong>di</strong> tre mesi e devo ancora stendere il progetto definitivo, iniziarele ricerche, selezionare i materiali documentari, scrivere tutti i testi. Mi affiancanel lavoro il fotografo domese Emilio Gnuva che si rivela non soloun bravo professionista, ma un vero amico, paziente e <strong>di</strong>sponibile alle miecontinue richieste. In quell’estate del 1984, grazie anche ai preziosi consigli<strong>di</strong> alcuni componenti il Comitato, come il giornalista e storico ossolanoPaolo Bologna, gireremo archivi, case, Istituti riproducendo centinaia <strong>di</strong>immagini e documenti. Nel frattempo ho steso e inviato il progetto al Comitato.Due le novità rispetto alle considerazioni preliminari: con un escamotage(raddoppio delle bacheche: sotto quelle a parete se ne aggiungonoaltrettante a sbalzo) l’architetto è riuscito a raddoppiare gli spazi espositivi,mentre è stato deciso <strong>di</strong> ristrutturare il grande tavolo <strong>di</strong> legno a forma <strong>di</strong>ferro <strong>di</strong> cavallo, che occupa il centro <strong>della</strong> sala, e che, opportunamente ricoperto<strong>di</strong> cristalli, consentirà <strong>di</strong> esporre altri documenti e immagini.Questa nuova situazione ha permesso <strong>di</strong> venire incontro a <strong>di</strong>verse richiestee consentito <strong>di</strong> risolvere alcuni problemi: a <strong>di</strong>sposizione vi sono ora12 pannelli a muro <strong>di</strong> cm. 85x85 e 4 <strong>di</strong> cm. 130x85 con altrettante bachechea sbalzo. Le prime potranno contenere venti ingran<strong>di</strong>menti <strong>di</strong> immaginisimboliche (senza inutili <strong>di</strong>dascalie), le seconde tutti i testi, che potrannoa loro volta essere accompagnati da piccole mappe che evidenzierannoluoghi e itinerari. Inoltre, in fondo alla sala sarà possibile esporre ilGonfalone <strong>della</strong> città e una grande carta geografica che riproduca i confini<strong>della</strong> Repubblica dell’Ossola. Anche la medaglia d’oro con la relativa motivazionepotrà essere esposta al tavolo 7 assieme con i principali documentiprodotti dalla Giunta provvisoria <strong>di</strong> Governo dell’Ossola oltre ad altripreziosi materiali.Non si riuscirà, invece, ad attrezzare la piccola sala d’ingresso (dove oggiè stata allestita la postazione multime<strong>di</strong>ale), occupata dalla telefonistadel Comune, in cui è prevista una mostra permanente delle pubblicazioniinerenti la storia <strong>della</strong> resistenza in Ossola.In ogni caso, la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> nuovo spazio alleggerisce i problemi <strong>di</strong>129


Mauro Begozziscelta e consente, come detto, qualche concessione alle «pressioni» del Comitatoche, pur approvando l’impianto del lavoro, vuole una storia <strong>della</strong>resistenza ossolana e non, come sarebbe mia intenzione, una ricostruzionepiù puntuale del lavoro <strong>della</strong> Giunta e <strong>della</strong> vita delle città e delle valli durantei quaranta giorni <strong>di</strong> libertà. Io penso, infatti, ad un territorio dell’interoVerbano Cusio Ossola ricco <strong>di</strong> «luoghi» <strong>della</strong> memoria attrezzati chedefiniscano un ideale e concreto percorso per viaggiatori interessati e curiosi.I tempi però non sono ancora maturi e, a parte il piccolo museo partigiano<strong>di</strong> Villadossola, la Casa degli «azzurri» ad Ornavasso e, soprattutto,la Casa <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong> Fondotoce sono solo progetti o sogni tuttida realizzare. Così, accetto il primo «compromesso» e stilo le schede <strong>di</strong> seguitopubblicate cercando <strong>di</strong> rispettare l’esigenza <strong>di</strong> una ricostruzione, perquanto sommaria, <strong>della</strong> resistenza nella zona. Riletti a tanti anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanzaquei testi mi sembrano pienamente rispondenti alla storiografia del periodo8 : alla ricostruzione degli aspetti militari, si affiancano spunti e riflessioni<strong>di</strong> carattere sociale; ma sono ancora lontani da quanto solo qualcheLa Sala storica <strong>di</strong> Domodossola prima <strong>della</strong> ristrutturazione130


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.anno più tar<strong>di</strong> sarebbe emerso dalle ricerche e dalle riflessioni, in particolaresu temi quali quelli <strong>di</strong> «resistenza civile», <strong>di</strong> «compromissione popolare»per <strong>di</strong>rla con Gianfranco Contini, mentre non v’è traccia, né poteva esserci,<strong>di</strong> quanto solo recentemente viene <strong>di</strong>battuto e realizzato a proposito<strong>di</strong> «luoghi <strong>della</strong> memoria» <strong>di</strong> «sentieri <strong>della</strong> libertà» e soprattutto <strong>di</strong> «storiaper strada». Dunque, mentre ripropongo quell’«antico» lavoro penso allarecente ristrutturazione e alla promessa <strong>di</strong> dare finalmente corso ad unaguida alla Sala storica. Penso anche, che forse si sarebbe potuto rivederetotalmente i testi e non già semplicemente ridurli. La ricerca nei vent’annitrascorsi ha fatto emergere nuovi documenti e nuove immagini, allargatolo spettro dei problemi e dei temi da affrontare. Di più, oggi i sentieri,gli itinerari e i luoghi attrezzati <strong>della</strong> Resistenza nella zona sono una realtà.Forse, con più tempo e sol<strong>di</strong> a <strong>di</strong>sposizione, si sarebbe potuto o dovutocambiare tutto. Forse....altri in futuro lo faranno.I testi originali <strong>della</strong> mostraPareteRiquadro basso n. 1Le origini del movimento partigiano nell’Ossola, come nel resto dell’Italiacentrale e settentrionale, risalgono al periodo imme<strong>di</strong>atamente seguentel’8 settembre 1943, giorno in cui viene reso pubblico l’armistiziofirmato cinque giorni prima tra il comando anglo-americano e il comandosupremo italiano. Tale armistizio e la precipitosa «fuga» del re e degli alticoman<strong>di</strong> militari hanno provocato lo sfascio dell’esercito, rendendo cosìagevole l’occupazione dell’Italia da parte delle truppe tedesche. In alcunezone del Paese e all’estero reparti italiani resistono ai tedeschi, ma vengonopresto sopraffatti.Al pari <strong>di</strong> altre valli alpine, anche l’Ossola <strong>di</strong>viene ricettacolo <strong>di</strong> gruppi<strong>di</strong> militari sbandati che tentano <strong>di</strong> sottrarsi alla deportazione in Germania,<strong>di</strong> antifascisti, <strong>di</strong> prigionieri alleati fuggiti dai campi <strong>di</strong> concentramentoitaliani, <strong>di</strong> ebrei che cercano rifugio nella vicina Svizzera. L’occupazione<strong>della</strong> provincia <strong>di</strong> Novara ha inizio il 12 settembre: dopo il capoluogo,truppe <strong>della</strong> Werhmacht e delle SS (in particolare due compagnie <strong>della</strong><strong>di</strong>visione corazzata SS Liebstandarte «Adolf Hitler») si installano a Stresa,Baveno, Verbania e Domodossola assumendo il controllo <strong>di</strong> impianti131


Mauro Begozziidroelettrici, linee ferroviarie, posti <strong>di</strong> confine e <strong>di</strong> altri obiettivi militari. Alclima <strong>di</strong> incertezza e <strong>di</strong> paura <strong>di</strong> quei giorni (fra le prime «azioni» dei nazistivi è infatti lo sterminio <strong>di</strong> ben 56 ebrei rifugiatisi nei paesi attorno al laghiMaggiore, Orta e Mergozzo), si assiste a poco a poco ad una vera e propriarivolta morale delle popolazioni, che aiutano in ogni modo i militari, iprigionieri, i perseguitati politici e razziali. Mentre da un lato, proprio grazieal carattere <strong>di</strong> quella occupazione, prende corpo la riorganizzazione politicae militare del fascismo, dall’altro, con la creazione <strong>della</strong> Repubblicasociale italiana, inizia l’embrionale rete <strong>di</strong> resistenti in Ossola. Dalla granmassa <strong>di</strong> militari che salgono in montagna, una larga parte passa il confinee si rifugia in Svizzera, altri tornano verso i propri paesi d’origine, ma nonpochi decidono <strong>di</strong> restare e resistere. A questo moto spontaneo <strong>di</strong> ribellione,che forma l’ossatura delle prime formazioni partigiane e che esprime ipropri comandanti in figure che presto <strong>di</strong>verranno leggendarie, si affiancal’attività <strong>di</strong> collegamento e <strong>di</strong> organizzazione dei «vecchi» antifascisti, <strong>di</strong>intellettuali e uomini politici <strong>di</strong> <strong>di</strong>verse tendenze, nonché la vera e propriainsurrezione degli operai delle fabbriche e delle centrali elettriche. Dall’incontro,lento e irto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fficoltà, <strong>di</strong> queste tre componenti ha origine la resistenzaarmata al nazifascismo nelle valli dell’Ossola.PareteRiquadro basso n. 2Dei <strong>di</strong>versi gruppi <strong>di</strong> resistenti che si formano, alcuni hanno vita effimera,altri invece costituiscono il fulcro delle future, gloriose formazionipartigiane che tanta parte avranno nel corso <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazionein Italia. I principali <strong>di</strong> questi gruppi sono quello <strong>di</strong> Quarna, al comandodel capitano Filippo Maria Beltrami: quello <strong>di</strong> Dionigi Superti, installatosia Premosello all’imbocco <strong>della</strong> Valgrande e che fin dall’inizio si presentacome una vera formazione partigiana (parzialmente armata, conta unasettantina <strong>di</strong> uomini tra ufficiali e partigiani); quelli <strong>di</strong> Mario Muneghinaa Montecrestese e <strong>di</strong> Renato Cucchi all’imbocco <strong>della</strong> Valle Antigorio.Gruppi minori sono infine al Devero, in Valle Antigorio, a Formazza e alLusentino. Di grande importanza anche la presenza <strong>di</strong> Pippo Coppo, cheassicura il collegamento fra l’Ossola e i primi, ma già rilevanti nuclei <strong>di</strong> garibal<strong>di</strong>ni<strong>della</strong> Valsesia, nonché <strong>di</strong> Bruno Rutto e dei fratelli Alfredo e AntonioDi Dio in Valle Strona. Nel Verbano, infine, si costituisce un grup-132


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.po <strong>di</strong> resistenti sopra Intragna alle <strong>di</strong>pendenze del tenente Franco Plazzotta,gruppo che sarà raggiunto a novembre da Armando Calzavara che ne<strong>di</strong>verrà il comandante.In tutta la provincia intanto si formano centri clandestini <strong>di</strong> resistenzaad opera <strong>di</strong> antifascisti <strong>di</strong> <strong>di</strong>versa ispirazione politica. A Novara, Borgosesia,Arona, Borgomanero, ecc. comunisti, socialisti e democristiani (oltre auomini <strong>di</strong> ispirazione liberale e azionista) gettano le basi per la costituzionedei Comitati <strong>di</strong> Liberazione. Proprio ad Arona, il 21 settembre, si costituisceil primo CLN provinciale con Alberto Jacometti (socialista), VittorioFlecchia (comunista), subito sostituito da Carletto Leonar<strong>di</strong>, e da CarloTorelli (democristiano). Vengono così istituiti fiduciari <strong>di</strong> zona con ilcompito <strong>di</strong> collegare l’attività dei gruppi partigiani, nonché <strong>di</strong> organizzareil trasferimento oltre confine dei prigionieri alleati, degli ebrei perseguitati,<strong>di</strong> cercare collegamenti con i centri <strong>di</strong> Milano e Torino, <strong>di</strong> raccogliere fon<strong>di</strong>,armi e viveri per i resistenti, <strong>di</strong> creare un’efficiente rete <strong>di</strong> informazioni.Nel vicino Verbano tale compito è affidato a Natale Menotti, democristiano,mentre in Ossola fiduciario <strong>di</strong> zona è Ettore Tibal<strong>di</strong>, socialista:Nelle fabbriche <strong>di</strong> Villadossola, Pieve Vergonte e Domodossola, oltreche alle centrali elettriche e alle <strong>di</strong>ghe in Valle Antigorio, Formazza, Deveroe Antrona si formano gruppi armati <strong>di</strong> operai.Questi gruppi sono collegati al centro <strong>di</strong> Tibal<strong>di</strong> a Domodossola attraversoil lavoro e la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> uomini quali Erasmo Tosi, i comunisti GiacomoRoberti, Re<strong>di</strong>misto Fabbri, Dante Zaretti, Oreste Colombo, i socialistiPirazzi Maffiola e Paolo Ferraris ed anche, per i democristiani, dadon Cabalà e don Zoppetti. Il problema principale <strong>di</strong> tutti questi gruppiè quello delle armi, problema che viene subito affrontato con azioni <strong>di</strong>ffusema spora<strong>di</strong>che, con iniziativa ed entusiasmo. Assalti a caserme e presì<strong>di</strong>,viaggi a Milano con ogni mezzo possibile, recupero <strong>di</strong> materiale abbandonatodai militari dopo l’8 settembre, sono i principali mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> rifornimento.In quest’opera spicca il lavoro audace e intelligente dei fratelli Ottavioe Mirko Scrittori <strong>di</strong> Villadossola.PareteRiquadro basso n. 3Il primissimo nucleo <strong>di</strong> resistenti in Ossola si forma per opera <strong>di</strong> FernandoCalzetti, «Nando», alla testa <strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> operai, che nel pome-133


Mauro Begozziriggio del 9 settembre approfittando dello sbandamento creato dalla notiziadell’armistizio si presenta alla caserma Urli <strong>di</strong> Domodossola e, in cambio<strong>di</strong> vestiti, si fa consegnare armi dai militari in procinto <strong>di</strong> partire. Duegiorni dopo, a Caddo, al gruppo <strong>di</strong> «Nando» si unisce un altro gruppo formatoda militari <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Finanza, al comando <strong>di</strong> Giuseppe ChiodoPiconi. Dal comune intento <strong>di</strong> combattere i nazifascisti, pur per motivi<strong>di</strong>versi, ma nel rispetto delle rispettive posizioni ideologiche e politiche,il gruppo, che conta una trentina <strong>di</strong> uomini, si installa all’Alpe Lusentinoe sulle alture sopra Domodossola e si dà il nome <strong>di</strong> «Banda Libertà».Per uscire dal relativo isolamento e per superare i problemi <strong>di</strong> armamentoe vettovagliamento, il gruppo cerca subito collegamenti con il centro <strong>di</strong>Domodossola. E’ Erasmo Tosi, inviato dai socialisti Corrado Bonfantini eFrancesco Albertini, a creare tale collegamento con Tibal<strong>di</strong> e don Cabalà,con gli altri nuclei <strong>di</strong> resistenza e con Paolo Ferraris a Masera. Preziosissimaè in questa fase l’opera <strong>di</strong> Ada Innocenti che assicura al gruppo rifornimentid’ogni tipo provenienti da semplici citta<strong>di</strong>ni e dal Collegio Rosmini,che fin dall’inizio si mostra quale vero e proprio centro attivo <strong>di</strong> resistenza.Inoltre, Ada Innocenti si preoccupa anche <strong>di</strong> far circolare il foglio«La Voce <strong>della</strong> Montagna» che è la «voce» <strong>della</strong> banda.Le prime azioni compiute sono alla caserma Paglino-Iselle e a quella<strong>di</strong> Crevoladossola per raccogliere armi, alla strada <strong>della</strong> Val Bognanco perbloccarla. Ma sono proprio queste azioni che convincono i nazifascisti <strong>della</strong>pericolosità <strong>della</strong> banda e che li spingono ad agire, specie dopo un ennesimo«prelevamento» <strong>di</strong> armi a Domodossola e un’irruzione alla caserma<strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Finanza ad opera <strong>di</strong> Giacomo Roberti, <strong>di</strong> Aldo Oliva, <strong>di</strong>Renato Vanni, <strong>di</strong> Luigi Boghi, <strong>di</strong> Silvestro Curotti, <strong>di</strong> Paolo Olzer e <strong>di</strong> altricomponenti il gruppo. I tedeschi riescono, infatti, ad infiltrare due spie,una delle quali dopo uno scontro con i partigiani Olzer e Vivarelli, pur feritariesce a salvarsi.Riconoscerà, dopo il rastrellamento effettuato in seguito all’insurrezione<strong>di</strong> Villadossola, alcuni partigiani <strong>della</strong> banda che arrestati, verrannocondannati a morte e poi, graziati, inviati in campo <strong>di</strong> concentramento inGermania: sono Fernando Calzetti e Solaro. Il rastrellamento segna la fine<strong>della</strong> breve vita <strong>della</strong> «Banda Libertà», che pur non avendo partecipato<strong>di</strong>rettamente all’insurrezione <strong>di</strong> Villadossola, è fra gli obiettivi dei nazifascisti.Nella rete cadono ad uno ad uno molti dei suoi componenti: LuigiBoghi, Rastelli, Guido Vivarelli, Giuseppe Giu<strong>di</strong>ci, Bruno Matli, Ermi-134


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.nio Marini, Guido Falcaro, Osvaldo Giovannone, Paolo Steffanino, PaoloGenini, Ernesto Conti, Remo Busca. Processati l’8 <strong>di</strong>cembre 1943 a Novara,vengono tutti condannati a morte tranne Aldo Rastelli e Paolo Genini,l’uno assolto e l’altro condannato cinque anni. Luigi Boghi e Remo Buscasono «graziati» e inviati in campo <strong>di</strong> concentramento in Germania. Glialtri giovani vengono invece fucilati al poligono <strong>di</strong> tiro <strong>di</strong> Novara.I superstiti, comunque, non si <strong>di</strong>sperderanno continuando la lotta chinelle fila garibal<strong>di</strong>ne, chi nelle future formazioni «Beltrami» e «Valtoce».Alcuni <strong>di</strong> loro daranno la loro vita in combattimento. Sono: Silvestro Curotti,Agostino Pasolini, Aldo Oliva, Fermo Carina. Amabile Ceccon eFerruccio Marchioni.PareteRiquadro basso n. 4Il primo grande scontro dell’Ossola e il primo episo<strong>di</strong>o insurrezionale<strong>di</strong> tutta la resistenza italiana, avviene a Villadossola nei giorni 8 e 9 novembre1943. L’azione è decisa alla Pianasca dal gruppo <strong>di</strong> partigiani guidatida Renato Cucchi e Gianni Ornaghi in accordo con Re<strong>di</strong>misto Fabbri,animatore dei partigiani e degli operai <strong>di</strong> Villadossola, assieme conDante Zaretti, Mario Benini, i fratelli Scrittori, Giovanni Zaretti. Il pianoche viene comunicato anche agli altri gruppi operanti nella zona, consistenell’occupazione militare <strong>della</strong> città e nella contemporanea insurrezioneoperaia delle fabbriche. A questo scopo ogni partigiano avrà con sépiù armi da <strong>di</strong>stribuire. Alle 10 del mattino del giorno 8, ha inizio l’operazionecon l’occupazione dell’ufficio postale e delle caserme dei carabinierie <strong>della</strong> finanza. Un gruppo <strong>di</strong> partigiani, guidati da Benini, si porta versoTrontano per attaccare con un altro gruppo il comando tedesco <strong>di</strong> Masera.Le fabbriche intanto sono in rivolta e si susseguono gli scontri a fuococon morti e feriti: fra questi lo stesso Fabbri che è trasportato all’ospedale<strong>di</strong> Domodossola.Viene altresì deciso <strong>di</strong> attaccare il presi<strong>di</strong>o tedesco <strong>della</strong> valle Antrona,verso il quale parte una trentina <strong>di</strong> partigiani. Nell’azione portata a terminecon successo, cadono due giovanissimi: Silvio Boccaglio e Dante Semirari.I vari tentativi dei nazifascisti, succedutisi durante tutta la giornata <strong>di</strong>rientrare in Villadossola, vengono respinti con successo. L’entusiasmo èenorme: il gruppo <strong>di</strong> Mario Benini, che non ha trovato i tedeschi a Masera,135


Mauro Begozziha nel frattempo interrotto la linea ferroviaria <strong>della</strong> «Vigezzina». Al rientro,ha inoltre uno scontro a fuoco con un gruppo <strong>di</strong> fascisti. Il successo militaree la combattività <strong>di</strong>mostrata, nonché l’appoggio <strong>della</strong> popolazione agliinsorti, spingono a quel punto i nazifascisti ad un’azione <strong>di</strong> forza in grandestile. Nella mattinata del 9 novembre, infatti, dopo un bombardamentoaereo che causa quattro morti tra i civili (Ines Zanotti, Olga Zanotti, MarioBosio e Annibale <strong>Del</strong>l’Orto) e numerosi feriti, una colonna motorizzatatedesca e un treno carico <strong>di</strong> fascisti entrano in città. La <strong>di</strong>fesa è a quelpunto insostenibile: i partigiani sono costretti a ritornare in montagna. Perben due giorni si scatena il rastrellamento e la rappresaglia che porta all’arresto<strong>di</strong> numerose persone. L’11 novembre a Pallanzeno vengono fucilati,dopo essere stati torturati: Re<strong>di</strong>misto Fabbri, Andrea Comina, Italo Finotto,Albino Valdré e Giuseppe Preioni. Altri partigiani e operai vengonoarrestati nei giorni successivi. Trasportati a Novara vengono processatie quasi tutti condannati a morte. A più riprese, tra il 23, il 28 <strong>di</strong>cembre1943 e l’8 febbraio 1944 vengono fucilati: Novello Bianchi, Franco Balzani,Riccardo Rossi, Ernesto Conti, Erminio Marini, Osvaldo Giovannone,Bruno Matli, Giuseppe Giu<strong>di</strong>ci, Guido Falcaro, Paolo Steffanino, GuidoVivarelli, Giuseppe Bianchetti. Altri nove (Gino Arioli, Pilade Bertolazzi,Dulio Bertaccini, Luigi Boghi, I<strong>di</strong>llio Bran<strong>di</strong>ni, Remo Busca, RomualdoCasdei, Enea Rinal<strong>di</strong>, Rino Zanelli) sono deportati in Germania.L’insurrezione <strong>di</strong> Villadossola è stata indubbiamente un’azione prematurasul piano militare: è costata circa quaranta vittime e ha lasciato graviconseguenze sulla nascente organizzazione partigiana <strong>della</strong> zona. Tuttavia,si è rivelata, non solo sul piano <strong>di</strong>mostrativo, un’azione <strong>di</strong> grande importanzaavendo mostrato per la prima volta l’unità d’intenti e d’azionefra operai, partigiani e popolazione. Inoltre, anche se in modo ancora insufficiente,ha visto l’adesione concorde <strong>di</strong> vari gruppi partigiani che si sonomossi, nei limiti delle loro reali possibilità, a sostegno dell’insurrezione.Così, Mario Muneghina con l’assalto ad una colonna <strong>di</strong> tedeschi, così FilippoMaria Beltrami che ha attaccato il presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Gravellona, così in ValVigezzo e <strong>di</strong>ntorni ove si sono verificate sommosse minori.PareteRiquadro basso n. 5A seguito dell’insurrezione <strong>di</strong> Villadossola, la sorveglianza e la persecu-136


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.zione dei nazifascisti si fa più serrata e scrupolosa. Chi non è arrestato (comeFrancesco Albertini e Paolo Ferraris, ambedue deportati a Mauthausen,da dove solo il primo riuscirà a tornare) è costretto a riparare in Svizzera,sorte che tocca ad Ettore Tibal<strong>di</strong>. L’inverno alle porte si presenta assai<strong>di</strong>fficile per i gruppi superstiti in Ossola, che sono costretti a stare nascosti.Alla fine <strong>di</strong> novembre, tuttavia, i partigiani <strong>di</strong> Beltrami nel Cusio e quelli<strong>di</strong> Moscatelli in Valsesia, solo parzialmente investiti dal rastrellamento,operano un’azione <strong>di</strong>mostrativa congiunta in Omegna che serve oltre che acementare i rapporti tra le formazioni, a rincuorare la popolazione e i partigianisparsi sulle montagne, nonché a convincere il nemico che il movimentonon è stato sconfitto. La «calata» ha pieno successo. Ma le <strong>di</strong>fficoltàche si sono venute a creare (molti <strong>di</strong> coloro che all’inizio avevano pensatoad una rapida soluzione del conflitto, abbandonano le formazioni) si moltiplicanoe costituiscono un fertile terreno per spie e provocatori. Vittimaprincipale <strong>di</strong> queste manovre organizzate dai nazifascisti è proprio il gruppo<strong>di</strong> Beltrami, che pur essendosi ingrossato a fine <strong>di</strong>cembre con l’unificazioneal gruppo <strong>di</strong> Alfredo Di Dio (la nuova formazione prende il nome<strong>di</strong> «Brigata Patrioti Valstrona», valle in cui il gruppo si trasferisce), presentaun progressivo sfaldamento delle sue fila. Per porre rime<strong>di</strong>o a talesituazione il Capitano ha bisogno <strong>di</strong> tempo. Così, mentre pensa <strong>di</strong> trasferireil meglio dei suoi uomini in Ossola, ove riorganizzarsi per riprenderela lotta, accetta <strong>di</strong> incontrare il nemico e avvia trattative, attraverso la me<strong>di</strong>azionedel Vescovo mons. Leone Ossola, per creare zone franche e avereperio<strong>di</strong> <strong>di</strong> tregua. Tali trattative sono malviste dai garibal<strong>di</strong>ni e avvengonoin una situazione <strong>di</strong> oggettiva debolezza (nonostante servano a liberareostaggi e prigionieri). Verso la fine del gennaio 1944, mentre la formazioneè sparpagliata in <strong>di</strong>verse zone, priva <strong>di</strong> collegamenti, Beltrami decide <strong>di</strong>accelerare il trasferimento in Ossola nel tentativo <strong>di</strong> sottrarsi ad un ormaiimminente attacco nemico. In realtà tale decisione viene presa su false informazioniche continuamente e contrad<strong>di</strong>ttoriamente gli sono fatte pervenire.Il trasferimento crea un ulteriore sbandamento, isolando il gruppo<strong>di</strong> Beltrami che finirà per trovarsi in una trappola mortale. A Megolo, infatti,il 13 febbraio 1944, il gruppo viene attaccato in forze. Beltrami decidecomunque <strong>di</strong> accettare il combattimento: per cinque ore i partigiani(una cinquantina) riescono a tenere testa alle forze nemiche, poi, privi <strong>di</strong>munizioni e quasi completamente accerchiati devono soccombere. Accantoal Capitano muoiono un<strong>di</strong>ci suoi compagni. Sono gli ufficiali Antonio137


Mauro BegozziDi Dio e Gianni Citterio e i partigiani Carlo Antibo, Paolo Bressani Bassano,Aldo Carletti, Angelo Clavena, Bartolomeo Creola, Emilio Gorla,Paolo Marino, Gaspare Pajetta, Elio Toninelli.La battaglia <strong>di</strong> Megolo pone fine alla «Brigata Patrioti Valstrona» e insiemecon essa alla prima fase del periodo <strong>della</strong> resistenza ossolana, fase ricordatanel segno <strong>della</strong> straor<strong>di</strong>naria figura <strong>di</strong> Beltrami.PareteRiquadro basso n. 6La morte <strong>di</strong> Beltrami, figura leggendaria, amata dalla popolazione e datutti i partigiani, segna una svolta profonda nel modo <strong>di</strong> condurre la lottaarmata al nazifascismo. Paradossalmente, è proprio attraverso la sconfittae la per<strong>di</strong>ta del principale simbolo <strong>della</strong> prima fase <strong>della</strong> resistenza, chele formazioni partigiane rinasceranno su basi nuove e andranno via via rafforzandosisino a <strong>di</strong>ventare un vero e proprio esercito <strong>di</strong> liberazione. L’illusionefascista e nazista d’aver spezzato sul nascere il movimento si rivela effimera.A nulla servono i nuovi ban<strong>di</strong> <strong>di</strong> richiamo alle armi che Mussoliniperio<strong>di</strong>camente emana. La grande maggioranza dei giovani non solo nonaderisce, ma si dà alla macchia e raggiunge le ricostituende formazioni partigiane.Accanto alla ribellione dei giovani, gli operai delle fabbriche, conscioperi sempre più numerosi e con riven<strong>di</strong>cazioni sempre più apertamentepolitiche, isolano <strong>di</strong> fatto la Rsi, che si rivela uno stato <strong>di</strong> polizia repressivosenza alcun seguito e cre<strong>di</strong>bilità nel Paese.Le montagne dell’Ossola tornano ad essere sicuro rifugio e una basepreziosa per i «ribelli» che vanno riorganizzandosi. Le nuove formazioninascono su presupposti <strong>di</strong>versi sia in termini militari, con una più marcatafisionomia numerica e organizzativa, sia sotto l’aspetto politico reclamandoognuna la propria identità ideologica. Dalla confinante Valsesia i garibal<strong>di</strong>ni<strong>di</strong> «Cino» Moscatelli e «Ciro» Gastone inviano tre <strong>di</strong>staccamenti(il «Fanfulla» al comando <strong>di</strong> Aldo Aniasi, nella zona dell’Alpe Sacchi, il«Torino» <strong>di</strong> «Boris» e Andrea Cascella sopra Ornavasso e un terzo in ValleAnzasca al comando <strong>di</strong> Dino Vicario), che in seguito formeranno la II <strong>di</strong>visioned’assalto Garibal<strong>di</strong> «Re<strong>di</strong>».Alfredo Di Dio, già responsabile militare <strong>della</strong> «Brigata Patrioti Valstrona»è invece l’animatore <strong>di</strong> una nuova formazione che prenderà il nome <strong>di</strong>«Valtoce», costituita essenzialmente attraverso il reclutamento <strong>di</strong> giovani138


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.cattolici che da Novara, Omegna e Borgomanero, grazie a Gino Borgna,don Antonio Vandoni e don Gerolamo Giacomini, vengono in<strong>di</strong>rizzati inmontagna. Di Dio darà un’impronta prettamente militare e apolitica allaformazione appoggiandosi sia ai gruppi democristiani dell’Alto milanesesia agli ambienti socialisti <strong>di</strong> Corrado Bonfantini e Mario Greppi.Anche Dionigi Superti ricostruisce il battaglione «Valdossola» su basimilitari. La sua personalità e il fascino che il suo nome suscita tra i partigianicaratterizzeranno fortemente la nascente formazione che avrà contattie rapporti con tutte le forze politiche e un rapporto privilegiato congli alleati in Svizzera.Quarta importante formazione è quella de<strong>di</strong>cata a «Filippo Maria Beltrami»riorganizzata ad opera <strong>di</strong> Bruno Rutto, che saprà raccogliere l’ere<strong>di</strong>tà<strong>di</strong> uomini e <strong>di</strong> idee del Capitano.Infine fra la Val Vigezzo, la Val Cannobina e il Verbano nascerà la <strong>di</strong>visione«Piave», formatasi dall’unione <strong>della</strong> «Cesare Battisti» <strong>di</strong> ArmandoCalzavara e la «Generale Perotti», <strong>di</strong> Filippo Frassati.PareteRiquadro basso n. 7Tutte le formazioni riprendono con vigore la lotta. La primavera del1944 vede, infatti, numerose azioni partigiane e altrettanti episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> resistenzaattiva da parte <strong>della</strong> popolazione. Gli operai intensificano gli scioperiin quasi tutte le fabbriche del Cusio, del Verbano e dell’Ossola. Il <strong>di</strong>ssensoall’occupazione tedesca e alla repressione fascista si manifesta apertamente.A Domodossola, gli studenti delle me<strong>di</strong>e del Collegio Rosmini, costrettiad assistere ad un film <strong>di</strong> propaganda, fischiano la proiezione. Sullemontagne si moltiplicano gli scontri e le imboscate.La rappresaglia non tarda a venire. A Forno in Valle Strona, il 9 maggio,la tristemente nota «Legione Tagliamento» assale un ospedaletto garibal<strong>di</strong>nouccidendo sette feriti ricoverati e due me<strong>di</strong>ci. Poi a Chesio sorprendeuna pattuglia <strong>della</strong> «Beltrami» e fucila sei partigiani sulla piazzettadel paese. Decine sono gli episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> eroismo. A Oira <strong>di</strong> Cesara, il 3 giugno,una volante <strong>della</strong> «Beltrami» dopo aver recuperato prezioso materialeda un lancio alleato, è sorpresa da una compagnia tedesca comandata dalcapitano Ernst Simon (il «vincitore» <strong>di</strong> Megolo). Mentre i partigiani cercano<strong>di</strong> raggiungere la boscaglia, il domese Silvestro Curotti, «Dom», deci-139


Mauro Begozzide <strong>di</strong> rimanere per proteggere la ritirata dei compagni. Per quattro ore tienetesta ai ripetuti assalti e agli inviti alla resa. Riserva per sé l’ultimo colporimastogli. Lo stesso nemico gli concede l’onore delle armi. Alla memoria,sarà concessa al partigiano «Dom» la medaglia d’oro al valor militare.Il mese <strong>di</strong> giugno è un mese decisivo per le sorti <strong>della</strong> guerra: il giorno4 gli angloamericani hanno, infatti, liberato Roma, mentre il giorno 6hanno dato il via alla liberazione dell’Europa occidentale con l’imponentesbarco in Norman<strong>di</strong>a. Sul fronte orientale, inoltre, i sovietici danno inizioa una formidabile offensiva sulla linea baltica e bielorussa che travolgein breve le armate nemiche.Questi fatti, che la propaganda fascista non riesce a nascondere, creanoanche tra le nostre montagne la sensazione che la sconfitta del nazifascismosia imminente e spingono tutte le forze partigiane ad intensificare la loroattività al fine <strong>di</strong> impegnare al massimo le retrovie tedesche.Così, ad esempio, il 10-11 giugno le formazioni garibal<strong>di</strong>ne <strong>della</strong> Valsesiariescono a liberare l’intera valle e a mantenerla tale sino al 4 luglio.PareteRiquadro n. 8Il ripiegamento nazista da tutti i fronti e l’approntamento <strong>di</strong> nuove linee<strong>di</strong>fensive abbisogna <strong>di</strong> retrovie sicure, con la possibilità <strong>di</strong> utilizzare almassimo le linee <strong>di</strong> comunicazione e gli impianti produttivi. Il movimentopartigiano è perciò un pericolo mortale per la Germania, in Italia comenei restanti paesi occupati. L’ultimo bando <strong>di</strong> richiamo alle armi, con relativapromessa ai «ribelli» <strong>di</strong> un generale «perdono», voluto da Mussolini,è scaduto il 25 maggio, dando scarsi risultati. Al contrario, tutte le formazionipartigiane registrano in quei mesi un notevole aumento dei proprieffettivi.Il Lago Maggiore e l’Ossola sono vie decisive per i tedeschi, che decidono<strong>di</strong> «ripulirle» definitivamente dai ribelli. Con largo impiego <strong>di</strong> uominie mezzi corazzati e d’artiglieria, dall’11 al 30 giugno, dopo aver bloccatotutto il traffico ferroviario, stradale e lacustre nella zona compresa nel quadrilateroPiaggio Valmara, Pallanza, Masera, Val Vigezzo, rastrellano spietatamentela Valgrande. A sopportare il peso dell’attacco sono la «Valdossola»<strong>di</strong> Dionigi Superti, la «Cesare Battisti» e la «Giovane Italia». In tuttonon più <strong>di</strong> 400-500 partigiani contro 5-6 mila nazifascisti. La resistenza140


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.è strenua e l’operazione non si svolge né con la rapi<strong>di</strong>tà, né con la facilitàpreviste. Ovunque i partigiani si battono con coraggio, ma il rastrellamentopiù che un’operazione militare è una vera e propria caccia all’uomo,che mira a spezzare il legame fra la popolazione e i ribelli.Durante i venti giorni in cui dura il rastrellamento, cadono in combattimentoo sotto le fucilazioni quasi trecento fra partigiani e civili. Il territorioviene sconvolto: case, baite, alpeggi bruciati o <strong>di</strong>strutti e la valle nonriuscirà mai più a riprendere, nemmeno a guerra finita, l’antica fisionomia.Innumerevoli sono gli episo<strong>di</strong> e gli atti che testimoniano la spietatezzadei nazifascisti, che si accaniscono non solo contro i partigiani, ma anchecontro gli alpigiani rei d’aver sempre dato loro rifugio.A Fondotoce, il 20 giugno, per suggellare il carattere terroristico dell’operazione,43 partigiani (fra cui una donna, Cleonice Tomassetti) arrestatinei giorni precedenti, vengono fucilati dopo essere stati torturatie fatti sfilare da Intra alla crociera. Durante tutto il corteo gli stessi hannodovuto portare un cartello con scritto: «Sono questi i liberatori d’Italiaoppure sono ban<strong>di</strong>ti?». Dei 43 fucilati, il giovane Carlo Suzzi riesce miracolosamentea salvarsi: ferito, sarà soccorso dai citta<strong>di</strong>ni accorsi sul posto.Il giorno dopo altri <strong>di</strong>ciassette giovani vengono fucilati a Baveno.Fondotoce <strong>di</strong>venta da allora il simbolo <strong>della</strong> resistenza <strong>di</strong> tutta la provincia.Con quel massacro non solo i nazifascisti non sono riusciti a scalfireil rapporto partigiani-popolazione, ma lo hanno ancor più cementato. Lalotta non verrà, infatti, minimamente interrotta: le brigate partigiane <strong>di</strong>ventano<strong>di</strong>visioni, per il numero sempre crescente <strong>di</strong> uomini e donne chedecidono <strong>di</strong> combattere con ogni mezzo il nazismo e il fascismo.PareteRiquadro basso n. 9Nei mesi <strong>di</strong> luglio e agosto la pressione partigiana sui presì<strong>di</strong> tedeschie fascisti nelle valli, logora il già incerto spirito combattivo dei militi, cheavvertono il senso <strong>di</strong> imminente sconfitta: così, è in seguito ad una serie <strong>di</strong>fortunati attacchi, spesso congiunti, dei vari reparti delle <strong>di</strong>verse formazioni,come avviene nella battaglia del Massone ai primi <strong>di</strong> agosto, o nei ripetutiattacchi ai treni che trasportano georgiani e cecoslovacchi, che abbandonanole fila naziste. In una <strong>di</strong> queste azioni, cade Paolo Stefanoni al qualeverrà intitolata una brigata <strong>della</strong> «Valtoce». La reazione <strong>di</strong> tedeschi e fa-141


Mauro Begozziscisti è spora<strong>di</strong>ca, spesso isterica, ma sempre spietata. Il 6 agosto ad Anzolad’Ossola, tre<strong>di</strong>ci partigiani <strong>di</strong> una brigata <strong>della</strong> «Beltrami», al ritorno <strong>della</strong>battaglia del Massone, si scontrano con un reparto tedesco che riesce acircondarli. La resistenza, pur accanita, è vana. Alcuni cadono in combattimento,altri, feriti, vengono trucidati. Sono: Giovanni Bagaini, RiccardoMira D’Ercole, Giuliano Ferri, Armando Rizzolo, Luigi Rossi, ErnestoMorea, Leopoldo Mordenti, un greco e un cecoslovacco.Così all’Alpe Gran<strong>di</strong> dove sei partigiani sempre <strong>della</strong> «Beltrami» sonopassati per le armi. A Premosello Chiovenda, infine, durante un’azione <strong>di</strong>rappresaglia, un reparto tedesco si abbandona a uccisioni gratuite e occasionali.Quattro civili (Emma Nini, Alfredo Pozzi, Bartolomeo Borretti eGiuseppina Canna) scelti a caso sono assassinati, molte case vengono incen<strong>di</strong>atee <strong>di</strong>strutte.L’iniziativa è comunque ormai saldamente nelle mani partigiane chesono all’offensiva sui vari fronti ossolani. Il nemico si ritira sempre più neipresì<strong>di</strong> fortificati, senza alcuna possibilità <strong>di</strong> manovra e <strong>di</strong> controllo del territorio.A Omegna, il 10 agosto, delegati delle formazioni «Valtoce» e «Beltrami»firmano con il comandante tedesco Krumhaar una convenzione che<strong>di</strong>chiara la città zona neutra. Il 28 la convenzione viene ratificata. L’atto èaspramente contestato dai garibal<strong>di</strong>ni. Un certo attrito si crea fra le <strong>di</strong>verseformazioni, che hanno mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi <strong>di</strong> intendere e interpretare la lotta alnemico. Questi attriti avranno ripercussioni anche in seguito, all’atto <strong>della</strong>liberazione <strong>della</strong> Val d’Ossola, ove la mancanza <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento delleazioni militari provocherà notevoli problemi.PareteRiquadro basso n. 10Nel corso dell’offensiva partigiana, iniziata in agosto, i garibal<strong>di</strong>ni liberanoad una ad una le valli Anzasca, Antona e Bognanco. Il 7 e 9 settembre,infine, assaltano i presì<strong>di</strong> <strong>di</strong> Varzo e Crevoladossola, «ripulendo» anchela Val Divedro. Qualche giorno prima i partigiani <strong>della</strong> «Cesare Battisti»e <strong>della</strong> «generale Perotti» hanno liberato, con un colpo <strong>di</strong> mano, l’importantecittà <strong>di</strong> Cannobio. Sull’onda del successo si sono spinti in ValCannobina e in Val Vigezzo sino a Masera dove hanno costretto alla resa ilpresi<strong>di</strong>o nazifascista. I pochi partigiani rimasti a Cannobio vengono peròsubito attaccati dal lago e da terra e sono costretti a soccombere. In questo142


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.scontro muoiono otto partigiani.Nel frattempo le <strong>di</strong>visioni «Valdossola» e «Valtoce» controllano tutte lelinee <strong>di</strong> comunicazione con il basso Novarese e con la Lombar<strong>di</strong>a. L’8 settembre,la «Valtoce» attacca con successo il munito presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Pie<strong>di</strong>mulera,che sbarra la strada verso Domodossola. Al termine <strong>della</strong> dura battagliai nazifascisti in fuga subiscono un nuovo attacco da parte <strong>della</strong> «Valdossola».L’Ossola intera è praticamente nelle mani dei partigiani. Il 9 settembrei garibal<strong>di</strong>ni entrano in Villadossola, mentre nella notte stessa i comandanti<strong>della</strong> «Valtoce» e <strong>della</strong> «Valdossola» trattano la resa del capoluogo.Interme<strong>di</strong>ari <strong>di</strong> tali trattative sono i parroci <strong>di</strong> Domodossola, don LuigiPellanda e <strong>di</strong> Masera, don Baldoni. La resa si conclude con il plenipotenziariodei partigiani colonnello Attilio Moneta ed è la logica conclusione<strong>di</strong> una situazione <strong>di</strong>venuta insostenibile sia militarmente che psicologicamentedalle truppe nazifasciste presenti in Ossola.La mattina successiva quando le prime pattuglie entrano in città, questaè già in festa: ovunque spuntano ban<strong>di</strong>ere tricolori, mentre le strade ele piazze si animano <strong>di</strong> persone. Subito appare il primo manifesto del «Comandomilitare» che annuncia l’avvenuta liberazione dell’intera vallata.Alla sera, dopo mesi <strong>di</strong> oscuramento, tutte le luci restano accese creandonell’animo degli ossolani la sensazione che l’incubo <strong>della</strong> guerra sia finalmentefinito. 1600 chilometri quadrati e 70 mila persone, un piccolo fazzoletto<strong>di</strong> terra nell’Europa sconvolta dal conflitto, è libero. Per quarantagiorni, tanto durerà questa libertà, in Ossola si sperimenteranno embrionali,ma significative, strutture democratiche, si scriveranno e si vivrannocon entusiasmo, partecipazione e consapevolezza incancellabili pagine <strong>di</strong>solidarietà umana e civile.PareteRiquadro basso n. 11La liberazione non è avvenuta senza problemi e <strong>di</strong>fficoltà. Il mancatocoor<strong>di</strong>namento delle azioni militari denuncia ancora una volta l’esigenza<strong>di</strong> istituire un comando unico che sappia meglio organizzare le <strong>di</strong>verse iniziative,unificando coman<strong>di</strong>, servizi e collegamenti, nonché faccia superarele <strong>di</strong>visioni e le non uguali caratteristiche delle formazioni. Un esempiotragico ed eclatante degli effetti negativi <strong>di</strong> una simile carenza, è rappresentatodalla battaglia <strong>di</strong> Gravellona Toce che si svolge dall’11 al 13 settem-143


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.ne, or<strong>di</strong>na la costituzione <strong>di</strong> una Giunta provvisoria <strong>di</strong> governo designandoneanche i membri: il professor Ettore Tibal<strong>di</strong>, socialista, quale Presidente,don Luigi Zoppetti, l’ingegner Giorgio Ballarini, in<strong>di</strong>pendente,Giacomo Roberti, comunista, il dottor Alberto Nobili, liberale. In seguito,anche per l’intervento degli organismi centrali <strong>della</strong> resistenza italiana, icommissari <strong>di</strong> governo sono aumentati <strong>di</strong> numero per consentire una maggioreoperatività e una più equa pariteticità nella coloritura politica <strong>della</strong>Giunta. Entrano il socialista Mario Bonfantini, l’azionista Severino Cristofoli,il democristiano Natale Menotti, la comunista Gisella Floreanini,la prima donna in Italia chiamata a responsabilità <strong>di</strong> governo.Don Zoppetti, destinato a far parte del Cln <strong>di</strong> zona, è poi sostituito dadon Gaudenzio Cabalà, mentre anche al comunista Roberti, subentrerà ilcompagno <strong>di</strong> partito Emilio Colombo. Segretario <strong>della</strong> Giunta è UmbertoTerracini che stila i verbali con grande precisione in tutte le numerose sedute,dalla prima dell’11 settembre sino all’ultima, il 15 ottobre, che si tienein Valle Formazza essendo Domodossola già occupata dai nazifascisti.La Giunta affronta imme<strong>di</strong>atamente i gravi problemi che la situazione hacreato, <strong>di</strong>mostrando non solo entusiasmo, ma una correttezza e una preparazioneche ancor oggi stupisce. Il «fenomeno» Ossola varca presto i confini.La Giunta tratta subito con la vicina Svizzera (neutrale, ma attenta allevicende dei confinanti ossolani) alcune questioni fondamentali. L’Ossolaha bisogno <strong>di</strong> viveri per la popolazione, in cambio offre prodotti industrialigiacenti nelle fabbriche e scrupolosamente censiti dall’ingegner Cristofoli.<strong>Del</strong>egazioni elvetiche arrivano nell’Ossola e con loro, entusiasti giornalistida tutto il mondo, che faranno conoscere all’opinione pubblica internazionalequel che sta succedendo in questo angolo d’Italia. «Il capo <strong>della</strong>giunta cura i contatti con il Cln <strong>di</strong> Milano e vi è un commissario per ciascunadelle seguenti branche: servizi pubblici, collegamento militare, amministrazionefinanziaria ed economica, alimentazione, polizia, istruzionee igiene. Le officine lavorano regolarmente, i conta<strong>di</strong>ni attendono alle fatichedei campi. La ferrovia delle Centovalli non ha subito interruzioni, limitatoè invece il traffico sulla linea del Sempione», scrive un giornale svizzero.Importanti iniziative sono <strong>di</strong>scusse e messe in opera. La giustizia (sirimette in funzione pretura e tribunale e le sentenze sono pronunciate in«nome <strong>della</strong> nazione») è affidata a Ezio Vigorelli. Tre mesi prima, duranteil rastrellamento in Valgrande ha perso i suoi due figli, Bruno e Adolfo, manon per questo dà un’impronta al suo ufficio nel segno <strong>della</strong> vendetta. So-145


Mauro Begozzino al contrario istituiti un campo <strong>di</strong> concentramento per fascisti a Druognoe la «Guar<strong>di</strong>a nazionale», mentre una precisa norma regola gli arrestiche devono essere notificati al giu<strong>di</strong>ce entro ventiquattro ore. Le denunceanonime vengono cestinate e nessuna condanna a morte viene eseguita.Inoltre, anche le interferenze delle formazioni partigiane sono messe sottocontrollo: a loro il solo compito <strong>di</strong> polizia militare interna ai reparti.Viene messo or<strong>di</strong>ne alla circolazione a motore. I partigiani devono rivolgersiall’Intendenza militare per le loro esigenze, mentre grazie alla <strong>di</strong>ttaMoalli, sono ripristinati i collegamenti <strong>di</strong> autocorriere per le valli. Nellefabbriche chimiche si produce una miscela per sostituire l’introvabile carburante,mentre quelle meccaniche producono armi e mezzi per il movimentopartigiano. Sempre legalitaria, la Giunta chiede all’Upu, l’Unionepostale universale con sede a Ginevra, l’autorizzazione per stampigliarei francobolli <strong>di</strong> uso corrente con la sovrastampa: «Cln-Giunta provvisoriadell’Ossola» (l’autorizzazione viene concessa, anche se giunge quando aDomodossola è già rientrata l’autorità <strong>di</strong> Salò).Vengono organizzati i sindacati (una riven<strong>di</strong>cazione operaia ottiene unaumento <strong>di</strong> tre lire in busta-paga) e le mutue, gestite <strong>di</strong>rettamente dai <strong>di</strong>pendentidelle aziende. La stampa ha una fioritura impensabile: «Liberazione»14.000 copie vendute per ogni numero uscito; 9.000 copie «Unitàe libertà» (è la pubblicazione curata dalla Giunta e a cui tutti possono collaborare,mente il «Bollettino <strong>di</strong> informazioni» è la Gazzetta ufficiale delgoverno). Ogni formazione armata si affretta a dare alle stampe un propriogiornale, così come le organizzazioni <strong>di</strong> massa. Ben 11 saranno alla fine letestate stampate, cosa assolutamente unica nel panorama delle zone liberedell’intera Europa. Si pensa anche d’installare una stazione ra<strong>di</strong>o: si è nellafase sperimentale delle trasmissioni, quando la «Repubblica» crolla.Benché le preoccupazioni maggiori siano rivolte all’alimentazione delleforze armate e <strong>della</strong> popolazione (viene accettata un’offerta <strong>della</strong> Crocerossa svizzera che si impegna ad alloggiare presso famiglie <strong>della</strong> vicina Confederazioneun migliaio <strong>di</strong> bambini ossolani, e si fa tempo a organizzare unconvoglio <strong>di</strong> 500 ragazzini), anche i problemi culturali sono tenuti in debitoconto. Particolarmente frequentate le lezioni <strong>di</strong> una «università popolare»ideata da Mario Bonfantini, che tiene la sua ultima lezione davanti a150 persone la sera dell’11 ottobre, quando già i cannoni <strong>della</strong> «Folgore»neofascista tuonano a pochi chilometri dalla città. La scuola (si deve iniziarel’anno scolastico il 16 ottobre e gli e<strong>di</strong>fici sono fatti sgombrare dai co-146


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.man<strong>di</strong> partigiani) è oggetto delle cure <strong>di</strong> don Cabalà, del <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong>datticoAlcide Bara, <strong>di</strong> Mario Bonfantini, <strong>di</strong> Gianfranco Contini e <strong>di</strong> CarloCalcaterra. Si decide <strong>di</strong> abrogare tutti i libri <strong>di</strong> testo in vigore sotto il fascismo,perché la «scuola non deve essere al servizio <strong>di</strong> una propaganda ufficiosa,ma deve educare la gioventù alla libertà». Mantenendo la denominazione<strong>di</strong> scuola me<strong>di</strong>a che in Italia rappresenta il nodo <strong>di</strong> congiunzionetra le elementari e l’università, per la zona liberata la giunta approva che lascuola sia articolata in tre anni <strong>di</strong> scuola unica (ginnasio inferiore) per accederea tutte le scuole superiori (ginnasio superiore, liceo, istituto magistrale).Le scuole professionali devono essere articolate in corsi biennali <strong>di</strong>perfezionamento, corsi triennali per le professioni industriali e commerciali,scuola tecnica industriale <strong>di</strong> due anni.«La vita nella libera Repubblica dell’Ossola non era così vivace soltantonel settore dell’educazione e formazione, ma <strong>di</strong>mostrava che, nonostantei ventidue anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttatura, si sapeva fare valere in ogni campo le regoledel gioco democratico» - ha notato Hubertus Bergwitz, uno storico tedesco– «L’Ossola libera voleva essere qualcosa <strong>di</strong> più <strong>della</strong> semplice amministrazione<strong>di</strong> una zona conquistata dai partigiani. Per coloro che ne eranoresponsabili volle rappresentare un modello al quale l’intero mondo liberopotesse guardare con interesse».PareteRiquadro basso n. 13Una delle principali motivazioni che avevano spinto le formazioni partigianea liberare il territorio ossolano era stata la convinzione <strong>di</strong> poter aprireun secondo fronte interno dove concentrare armi e uomini per preparareun’offensiva verso la pianura padana. A questo proposito vi erano staticontatti e anche vaghi impegni da parte degli alleati. Durante i quarantagiorni si sono perciò approntati campi <strong>di</strong> atterraggio per aerei da trasportoe si sono costruite posizioni <strong>di</strong>fensive. Quando si capisce che gli Alleatihanno scartato l’ipotesi del secondo fronte (perché impegnati nel ponteaereo con Varsavia e perché hanno già deciso che l’offensiva in Italia sifermerà per tutto l’inverno) i partigiani si trovano soli ad affrontare il piùche certo ritorno in forze delle truppe nazifasciste. Viene comunque decisala resistenza ad oltranza nel tentativo <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re o, comunque, ritardareil più possibile la rioccupazione <strong>della</strong> zona dove vi sono, oltre l’impor-147


Mauro Begozzitante linea ferroviaria del Sempione, impianti produttivi e centrali elettrichein<strong>di</strong>spensabili alla macchina bellica tedesca.Il piano per la rioccupazione è stu<strong>di</strong>ato dai tedeschi meticolosamentee il <strong>di</strong>spiego <strong>di</strong> forze e mezzi imponente. Dal canto loro i partigiani pre<strong>di</strong>spongonole loro linee <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa nel miglior modo possibile: si rendonoconto, tuttavia, <strong>di</strong> non poter resistere ad attacchi massicci e prolungati.Fra mille <strong>di</strong>fficoltà è stato finalmente costituito il «Comando unico»,che si trova però ad affrontare subito una prova durissima, senza aver avutoil tempo necessario per rodarsi. Il 9 ottobre inizia l’attacco nazifascista.La situazione si presenta subito grave, nonostante l’eroismo dei partigianiche riescono per ben tre giorni a respingere il nemico. Altri fattori aggravanola situazione: il tempo inclemente rende inservibili le mine pre<strong>di</strong>sposteper far saltare i ponti (anche se in parte rallenta l’avanzata nemica). Il giorno12, il comandate <strong>della</strong> «Valtoce» Alfredo Di Dio e il colonnello AttilioMoneta muoiono in un’imboscata, lasciando un’intera <strong>di</strong>visione senzaguida proprio nel momento in cui la sua presenza è in<strong>di</strong>spensabile.Informato dell’avanzata <strong>di</strong> truppe nazifasciste in Val Cannobina, DiDio decide un’ispezione alle <strong>di</strong>fese per controllare le postazioni. Accompagnatoda Moneta e dal maggiore Giorgio Patterson, giunge all’imbocco<strong>della</strong> galleria <strong>di</strong> Finero convinto <strong>di</strong> trovare ancora i partigiani. Improvvisamente,invece, il gruppo viene attaccato. Di Dio, ferito a una gamba muore<strong>di</strong>ssanguato in poche ore. Anche Moneta rimane ucciso. Patterson, ancoracon la <strong>di</strong>visa canadese, viene invece fatto prigioniero. Rinchiuso nelcarcere <strong>di</strong> San Vittore a Milano, ne uscirà solo il 25 aprile del 1945.Il giorno 14 ottobre, in una Domodossola deserta, il capo <strong>della</strong> provinciaEnrico Vezzalini entra a bordo <strong>di</strong> un carro armato. Gran parte <strong>della</strong>popolazione ha abbandonato la città, cercando con ogni mezzo rifugio inSvizzera. L’attacco nazifascista si è sviluppato contemporaneamente nellavalle principale e in Val Cannobina: qui è stata travolta la <strong>di</strong>visione «Piave»,mentre tra Mergozzo e Ornavasso la resistenza <strong>della</strong> «Valtoce» e <strong>della</strong>«Valdossola» ha soltanto rallentato la rioccupazione.PareteRiquadro basso n. 14La ritirata delle formazioni partigiane avviene tra decine <strong>di</strong> combattimentied episo<strong>di</strong> tragici ed eroici.148


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.In Valle Anzasca, i fascisti all’inseguimento <strong>di</strong> reparti garibal<strong>di</strong>ni al comando<strong>di</strong> Domenico Pizzi uccidono partigiani e civili all’Alpe Colla e all’AlpeMeccia. In Val Devero, a Goglio, mitragliano la funivia sulla qualehanno cercato scampo alcuni partigiani, altri ecci<strong>di</strong> ai Bagni <strong>di</strong> Craveggiain Val Vigezzo.Per otto giorni, dopo la rioccupazione <strong>di</strong> Domodossola, i partigiani resistonosulle montagne. Le ultime retroguar<strong>di</strong>e respingono in Val Formazzal’ennesimo attacco dei fascisti <strong>della</strong> «Folgore», poi sono costretti a espatriareattraverso il passo san Giacomo imbiancato da una prematura e abbondantenevicata. Con loro vi sono Tibal<strong>di</strong> e gli altri Commissari.Nell’esilio non certo dorato dei campi <strong>di</strong> internamento elvetici, laGiunta, con la sola assenza <strong>di</strong> Gisella Floreanini, che ha seguito in un’epicamarcia i garibal<strong>di</strong>ni verso la Valle Strona, stila una dettagliata relazionesull’attività svolta durante la liberazione dell’Ossola.Ma il confine non è stato passato solo da circa 2000 partigiani. Con lorosono esiliati spontaneamente anche 25 mila civili: una rottura con il nemicoche li costringerà a desistere dai propositi <strong>di</strong> rappresaglia. La popolazionesi è ampiamente «compromessa» con la propria «Repubblica», hapartecipato, si è esposta come non mai in passato e ciò rappresenta unastraor<strong>di</strong>naria prova <strong>di</strong> volontà e <strong>di</strong> coraggio e una <strong>di</strong>mostrazione dell’in<strong>di</strong>ssolubilelegame tra la resistenza e le popolazioni.Se il bilancio <strong>della</strong> sconfitta è pesante, il movimento non è comunquefinito. La <strong>di</strong>visione «Piave» che ha subito il primo attacco è stata schiantata;la <strong>di</strong>visione «Valdossola» ha per intero riparato in Svizzera, così comeparte <strong>della</strong> «Valtoce». Ma molti reparti sono rimasti sottraendosi all’attacco.Ben presto le formazioni si ricostituiranno. In Valgrande si forma la <strong>di</strong>visione«Mario Flaim» erede <strong>della</strong> «Valdossola»; sul Mottarone prende vitala seconda <strong>di</strong>visione «Valtoce»; fra la Val Vigezzo e Isorno si rafforza la brigata«Matteotti»; mentre la «Beltrami» rimane al suo posto, così come i garibal<strong>di</strong>ni<strong>della</strong> <strong>di</strong>visione «Re<strong>di</strong>» che sono ormai presenti in tutta l’Ossola.Al Capo <strong>di</strong> stato maggiore <strong>Del</strong>le Torri, il comando generale del Cvl affidail posto <strong>di</strong> comandante interinale <strong>della</strong> zona Ossola, affiancandogli comecommissario politico Livio Scarpone. Tale nomina viene accettata datutte le formazioni che si riuniscono a Cesara il 10 gennaio.All’inizio del 1945 sono presenti in Ossola ancora 1200 partigiani. Lazona verrà sud<strong>di</strong>visa in tre aree affidate all’azione e al controllo delle singoleformazioni.149


Mauro BegozziPareteRiquadro basso n. 15L’inverno 1944-45, con la stagnazione delle operazioni militari su tuttii fronti, si presenta particolarmente <strong>di</strong>fficile per i partigiani ossolani. Il 13novembre il generale Alexander ha <strong>di</strong>ffuso per ra<strong>di</strong>o un proclama col qualeesorta i partigiani a cessare le azioni su larga scala, a non agire e a tenersipronti per nuovi or<strong>di</strong>ni. Un «tutti a casa» i cui effetti si fanno subito sentire.I partigiani ora che sono un esercito, certo non smobilitano, ma sanno<strong>di</strong> non poter contare su alcun aiuto da parte degli alleati. Ciò e ancor piùavvertito dai resistenti ossolani, che già hanno conosciuto la cocente delusionedel mancato concreto sostegno durante la «Repubblica». Per alcunimesi perciò devono subire l’iniziativa nazifascista che è libera <strong>di</strong> portare atermine operazioni <strong>di</strong> rastrellamento.E’ solo verso la metà <strong>di</strong> gennaio 1945 che la resistenza ossolana è in grado<strong>di</strong> riprendere con una certa forza l’attività. Il giorno 18 arriva anche ilprimo lancio <strong>di</strong> rifornimenti <strong>di</strong> una certa consistenza nei pressi <strong>di</strong> Quarna,dopo mesi <strong>di</strong> assoluto silenzio. Il Comando <strong>di</strong> zona <strong>di</strong>stribuirà le armi e imateriali a tutte le formazioni. Per la ripresa <strong>della</strong> guerriglia, per attacchi aipresì<strong>di</strong> e alle linee <strong>di</strong> collegamento e per la pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> piani <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesadegli impianti e delle centrali idroelettriche minacciate <strong>di</strong> <strong>di</strong>struzionedai tedeschi in caso <strong>di</strong> ritirata, vengono <strong>di</strong>ramate a tutti i reparti precise <strong>di</strong>sposizioni.Alla ripresa dell’attività, i nazifascisti rispondono con nuovi rastrellamenti,che si susseguono regolarmente nelle <strong>di</strong>verse valli e località.Non mancano, come è loro abitu<strong>di</strong>ne, <strong>di</strong> macchiarsi <strong>di</strong> atti efferati comeil 26 febbraio 1945, quando a Calasca Castiglione, in Valle Anzasca, uccidonoil giovane parroco don Giuseppe Rossi, reo d’aver suonato le campanequale segnale per i partigiani. A nulla valgono le giustificazioni e le testimonianzedei compaesani, che il suono delle campane è un segnale per iboscaioli richiamati per il pranzo. Il 4 marzo, il corpo martoriato del parrocosarà ritrovato in un canalone nei pressi <strong>della</strong> frazione Colombetti.PareteRiquadro basso n. 16Nell’imminenza <strong>della</strong> sconfitta dei nazifascisti, ormai alle corde su tuttii fronti, ai partigiani dell’Ossola viene affidato il compito <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>re at-150


La Sala storica <strong>di</strong> Domodossola.ti <strong>di</strong> sabotaggio da parte dei nemici in ritirata. Il 3 aprile il Comando <strong>della</strong><strong>di</strong>visione garibal<strong>di</strong>na «Re<strong>di</strong>» comunica al Comando <strong>di</strong> zona e alle unità<strong>di</strong>pendenti che alla stazione <strong>di</strong> Varzo stazionano venti vagoni carichi <strong>di</strong>tritolo destinato a far saltare la galleria del Sempione e le centrali elettrichedell’Ossola. Gli alleati minacciano un bombardamento dell’aviazione, cherisulterebbe devastante per i paesi vicini, mentre anche i servizi <strong>di</strong> sicurezzasvizzeri si preparano ad intervenire.Un’azione partigiana presenta notevoli rischi, tuttavia viene pre<strong>di</strong>spostoun piano dettagliato a cui collabora Gianni Brera. Singole unità verrannoposte a <strong>di</strong>fesa delle centrali elettriche, mentre sarà sferrato un attaccoa Varzo con l’impiego <strong>di</strong> più battaglioni al comando <strong>di</strong> Giuseppe Bensi,Mirko Scrittori, Serafino Zani e altri.Un primo battaglione, nella notte del 22 aprile, circonda la caserma <strong>di</strong>Varzo <strong>di</strong>stante venti metri dai vagoni; un altro si occupa <strong>di</strong> bloccare le comunicazionitra Varzo e Domodossola; un terzo, infine, porta le 1500 casse<strong>di</strong> esplosivo in una fossa approntata a quaranta metri <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza, con unlavoro che richiede più <strong>di</strong> tre ore <strong>di</strong> tempo sotto una pioggia battente e leincen<strong>di</strong>a per evitare l’esplosione, che creerebbe notevoli danni all’abitato.L’azione si risolve con un brillante successo ed è il segnale per l’insurrezionefinale. Il 23 aprile i nazifascisti evacuano dal territorio a nord <strong>di</strong> Domodossolae il 24, circondati dai partigiani, sono costretti a lasciare la città.Il capoluogo dell’Ossola e tutte le vallate circostanti sono nuovamentee definitivamente liberi.Note al testo1MAURO BEGOZZI, Introduzione a La Repubblica dell’Ossola, settembre-ottobre1944, rie<strong>di</strong>zione acura del Comune <strong>di</strong> Domodossola in occasione del XL Anniversario <strong>della</strong> Liberazione dell’Ossola,Domodossola 2005, p. 9.2Archivio Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> società contemporanea nel Novarese e nelVCO «P. Fornara» (d’ora in poi AISRN), fondo ricerche, b. «40° Ossola».3Idem.4Idem.5Idem.151


Mauro Begozzi6«Anche nelle scuole c’è fermento e impegno. In particolare, tra marzo e maggio si è svolto unseminario per docenti coor<strong>di</strong>nato dal Consiglio scolastico <strong>di</strong>strettuale n. 56 sul tema La Repubblicapartigiana dell’Ossola. Anima del progetto è il compianto Franco Livolsi, mentre il coor<strong>di</strong>namentoè del professor Luciano Rinaudo. Provincia <strong>di</strong> Novara e Comune <strong>di</strong> Domodossolacurano la pubblicazione che si rivela l’ultimo prezioso documento testimoniale <strong>di</strong> chi partecipòda protagonista all’esperienza del settembre-ottobre 1944. Accanto ad alcuni saggi storici<strong>di</strong> Rosario Muratore, Francesco Omodeo Zorini e del sottoscritto il lavoro raccoglie, infatti,i ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> Gisella Floreanini, Alcide Bara, Fausto <strong>Del</strong> Ponte, Aminta Migliari, Plinio PirazziMaffiola e Paolo Bologna.Terzo, importantissimo, momento è il Convegno patrocinato dal Consiglio regionale del Piemontee voluto dalla presidente del Comitato per l’affermazione dei valori <strong>della</strong> Resistenza edei principi <strong>della</strong> Costituzione repubblicana, Laura Marchiaro, sul tema L’ideale <strong>di</strong> giustizia<strong>della</strong> Resistenza: dall’esperienza delle zone libere alle emergenze degli anni ’80. Vi partecipano storicidel calibro <strong>di</strong> Massimo Legnani e Gaetano Grassi e giu<strong>di</strong>ci impegnati nelle più spinose e<strong>di</strong>fficili inchieste del momento, al culmine <strong>della</strong> stagione del terrorismo: Pierluigi Vigna, GiancarloCaselli e Maurizio Lau<strong>di</strong>. L’appuntamento è così importante che vi partecipa anche il ministro<strong>di</strong> Grazia e Giustizia, Mino Martinazzoli. Di quel convegno, purtroppo, si è persa memoriaperché alla fine non si trovarono le risorse per pubblicarne gli atti.Il Comune, allora retto dal sindaco Giovanni Fornaroli, non si risparmia e asseconda comepuò le <strong>di</strong>verse proposte che non si esauriscono nei tre momenti citati: conferenze, manifestazioni,lezioni nelle scuole, momenti celebrativi si susseguono a ritmo incalzante in tutta l’Ossolae nella vicina Confederazione elvetica. Ai responsabili del Comitato costituito per le commemorazionisembra, però, che manchi qualcosa e particolarmente un libro che segni, comenelle precedenti occasioni, il quarantesimo. Ovviamente è tar<strong>di</strong> per una nuova ricerca, per unanuova proposta, così si pensa a una ristampa.Anche se la pubblicistica sulla Repubblica dei partigiani è ormai ricchissima, introvabile è ilvolume stampato nel 1959 che reca appunto il titolo La Repubblica dell’Ossola Settembre 1944Ottobre. Si tratta <strong>di</strong> un numero unico e<strong>di</strong>to dal Comune in occasione del quin<strong>di</strong>cesimo anniversario,redatto da Filippo Frassati, stampato dalla Cartografica C. Antonioli, con la copertina<strong>di</strong>segnata da uno dei più gran<strong>di</strong> grafici italiani, Albe Steiner, che fu partigiano proprio in Ossola.Di più, il libro raccoglie saggi e testimonianze dei massimi esponenti <strong>della</strong> Resistenza italianae dei protagonisti dei quaranta giorni <strong>di</strong> libertà.La scelta sembra obbligata, tanto più che proprio Filippo Frassati si è detto <strong>di</strong>sponibile a scriverel’introduzione alla nuova e<strong>di</strong>zione». MAURO BEGOZZI, Introduzione cit. p. 9.7Proprio quest’esigenza aprirà una curiosa ricerca sull’originale, che si scopre non essere conservatoin Comune. Dopo molto tempo e molte peripezie verrà infine ritrovata nello stu<strong>di</strong>o delPresidente <strong>della</strong> Provincia <strong>di</strong> Novara.8La recente ristrutturazione <strong>della</strong> sala ha fatto sì che i testi e le relative mappe andassero perduti.Attraverso i documenti conservati nella citata busta «40° Ossola» del fondo ricerche nell’Archiviodell’Istituto è tuttavia possibile ricostruirli, sia attraverso gli originali scritti a biro su <strong>di</strong>un notes, sia attraverso quelli dattiloscritti e poi consegnati per la stampa. È interessante vederele correzioni, le aggiunte e i tagli apportati che rendono bene l’idea dei ripensamenti, delleprecisazioni e anche delle <strong>di</strong>scussioni intervenute in Comitato. L’introduzione <strong>della</strong> scritturaa computer, <strong>della</strong> cancellazione e <strong>della</strong> correzione automatica, non consentirà più alcunaanalisi filologica fra i testi definitivi e le elaborazioni precedenti quin<strong>di</strong>, in futuro, sarà impossibileuna riflessione come questa a proposito <strong>di</strong> quanto avvenuto pochi mesi fa per la revisionedei nuovi testi <strong>della</strong> mostra.152


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiananel Piemonte nord-orientale<strong>di</strong> Filippo ColombaraIl pomeriggio del 30 <strong>di</strong>cembre 1943 gli uomini <strong>di</strong> Pédar Rastelli raggiungonoCastagnea, piccolo borgo <strong>della</strong> Valsesia e rifugio garibal<strong>di</strong>no. Aimontanari che li accolgono mostrano il trofeo catturato ai fascisti <strong>della</strong>«Tagliamento» il giorno precedente. «Era una ban<strong>di</strong>era tricolore - scrive ilcomandante partigiano -: era l’incosciente prova <strong>di</strong> una criminale organizzazionefratricida che spiegava contro le forze sane <strong>della</strong> nazione il vergognosocollaborazionismo col nazista. Quel tricolore era alla testa <strong>della</strong> nostrabrigata, perché soltanto noi avevamo il <strong>di</strong>ritto <strong>di</strong> portare quel drappoche era il simbolo <strong>della</strong> libertà, <strong>della</strong> riscossa contro gli oppressori <strong>di</strong> tutti itempi <strong>della</strong> nostra Patria» 1 . Anche i partigiani che dalle alture <strong>di</strong> Omegnasegnalano l’avvio dello sciopero generale del primo maggio 1944 sventolanoun tricolore 2 , mentre nella vallata i reparti <strong>di</strong> Salò marciano con alla testaun drappo del tutto simile 3 .Vessilli uguali o analoghi richiamano un significato simbolico identico,appreso fin dai primi giorni <strong>di</strong> scuola, che legittima l’appartenenza allanazione, ma a cui si rifanno idee contrapposte <strong>di</strong> patria. Nella memoria<strong>di</strong> Rastelli si avverte l’in<strong>di</strong>gnazione per l’improprio uso <strong>della</strong> ban<strong>di</strong>era daparte dei nemici. Sdegno e risentimento misurano l’importanza attribuitaal vessillo, un atteggiamento apparentemente irrazionale ma che si mostraben comprensibile. Chi detiene il simbolo si impadronisce dei caratteri nazionali,espelle l’avversario e legalizza la propria azione 4 .L’esempio <strong>della</strong> ban<strong>di</strong>era sottolinea il rilievo delle simbologie, ma anchedei rituali a esse connesse o meno, nei comportamenti degli in<strong>di</strong>viduie delle collettività.Non hanno valore solo le condotte razionali e <strong>di</strong> chiara interpretazione,anzi, spesso sono proprio i riti e i simboli a dare senso al vivere quoti<strong>di</strong>ano,contribuendo a «orientarci nel caos dell’esperienza umana e a collocarlain una cornice coerente» 5 .153


Filippo ColombaraSoprattutto in determinati momenti critici, ad esempio, <strong>di</strong> fronte a unperiodo <strong>di</strong> belligeranza, essi svolgono il loro compito. È allora, quando siprepara una trasformazione dei valori e si configura l’ingresso «in un mondopsicologico nuovo» 6 , che il sistema simbolico assume una particolarepregnanza nel rispondere alle con<strong>di</strong>zioni straor<strong>di</strong>narie <strong>della</strong> guerra. Dai ritiprimitivi <strong>di</strong> iniziazione ai riti <strong>di</strong> colpevolizzazione del nemico dei fecialiromani 7 e su fino ai giorni nostri, con le parate militari che evocano danzeproprie del carattere <strong>di</strong> festa <strong>della</strong> guerra, è un susseguirsi <strong>di</strong> cerimonie cheaccompagnano il tempo bellico 8 .Durante la Resistenza, nonostante la sua breve durata e il <strong>di</strong>fficile affermarsi<strong>di</strong> una tra<strong>di</strong>zione, vi è un esplicito impiego <strong>di</strong> rituali e simbologie,sia nelle consuetu<strong>di</strong>ni del vivere in banda che nelle azioni simboliche enei riti <strong>di</strong> battaglia. Tutti para<strong>di</strong>gmi che esplicitano e convalidano le visionidel mondo dei resistenti.Il ciclo <strong>della</strong> vitaLe fasi salienti dell’esperienza partigiana sono in molti casi contrad<strong>di</strong>stinteda rituali simili a quelli del ciclo <strong>della</strong> vita umana. Nascita, matrimonioe morte, sno<strong>di</strong> <strong>di</strong> passaggio delle con<strong>di</strong>zioni degli in<strong>di</strong>vidui, si ripropongononella vicenda resistenziale. A partire dall’ingresso nella formazionefino al concludersi, talvolta tragico, delle gesta, si muove il percorso <strong>di</strong>questi uomini e <strong>di</strong> queste donne, <strong>di</strong> cui la pubblicistica e le narrazioni oralioffrono uno spettro significativo.Primo atto ascrivibile alla procedura simbolica è un rito <strong>di</strong> separazione.A citarlo è Silvio Nebbia <strong>di</strong> Ameno (lago d’Orta), il quale, reduce dal fronteoccidentale e rientrato fortunosamente a casa dopo l’8 settembre, si eraimpiegato come operaio presso un’azienda sfollata in zona. Racconta:Ho tirato fino a quando è uscito il bando che bisognava presentarsi <strong>di</strong> nuovo alle armi.Difatti è arrivata la cartolina <strong>di</strong> precetto e non si poteva più stare a casa. Allora lì ci siamoradunati, il gruppo del paese che non poteva stare a casa come me, eravamo otto o<strong>di</strong>eci, e siamo andati in una trattoria a mangiare. E a mangiare abbiamo mangiato ungatto con la polenta. Non c’era nient’altro… un gatto [ride]. C’era un amico che facevail panettiere e aveva la padrona, una vedova, che aveva ’sto gattone. «Micio, micio»,lü gl’ha purtà via e uma fai pulénta e gat e abbiamo festeggiato. Poi ognuno è andato acasa sua […] e «Dumàn ’n viguma ’n piaza». Automaticamente la mattina ci siamo tro-154


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalevati lì sul piazzale, ciau qui ciau là, cosa facciamo? «Fiói c’è da scegliere, bisogna esseresbrigativi. La faccenda è questa: chi vuol venire con me an<strong>di</strong>amo in montagna, se nova a Corconio che c’è la stazione, va a Novara e fa quello che vuole». Mia mamma eraandata dal prete, dal farmacista e nessuno sapeva consigliare, ognuno doveva fare quelloche si sentiva. Nessuno poteva dare un consiglio, «Suo figlio secondo come la pensa…in afàri sö». E <strong>di</strong>fatti in gniü tüti ’nsèma mi, eh: in montagna 9 .Il <strong>di</strong>stacco dalla comunità <strong>di</strong> paese, compiuto in modo apparentementeimprovvisato, avviene in realtà con modalità del tutto simili al tra<strong>di</strong>zionalerito <strong>di</strong> commiato degli emigranti. Nelle aree alpine, infatti, la partenzastagionale viene ritualizzata me<strong>di</strong>ante una cena collettiva l’ultima serae spesso completata da visite augurali, scambi <strong>di</strong> doni, dal «bicchiere <strong>della</strong>staffa» e da un corteo che saluta gli emigranti accompagnandoli per «untratto <strong>di</strong> strada» 10 ai confini del villaggio o alla più vicina stazione ferroviaria11 . Come per i viaggi <strong>di</strong> lavoro, questa partenza per la montagna espletail rito <strong>di</strong> separazione dalla comunità in modo «che la scissione non sia bruscama progressiva» 12 .La fase successiva, la nascita del partigiano, il suo ingresso in un mondoaltro (non più la comunità e la famiglia d’origine ma il gruppo guerrigliero)anche se non completamente <strong>di</strong>stinto, è un rito <strong>di</strong> aggregazioneche richiede il conferimento <strong>di</strong> una nuova in<strong>di</strong>vidualizzazione (il nome dacombattente).L’imposizione del nome <strong>di</strong> battaglia, spesso per libera scelta del resistente,è l’atto <strong>di</strong> inizio dell’avventura partigiana. Lo pseudonimo è impiegatoper celare la vera identità ma anche per assolvere a «un certo numero<strong>di</strong> funzioni “espressive”, culturali e simboliche» 13 . Questi nomi evocano ununiverso onomastico ispirato e contrad<strong>di</strong>stinto da innumerevoli elementi.Infatti, se si escludono quelli <strong>di</strong> battesimo, che sono la maggioranza,l’estrosità e la fantasia <strong>di</strong> parecchi altri fanno supporre, come è stato notato,l’intrusione <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> «carnevalizzazione del linguaggio» venuta arompere la «mortifera, nera “quaresima” durata vent’anni» 14 .Ci si trova, in effetti, <strong>di</strong> fronte a un variegato ed eccentrico repertoriocostituito da nomi esotici e avventurosi (Tom, Tarzan, Bill), da altri ispiratiad animali forti e astuti (Lupo, Tigre, Falco), a eventi atmosferici (Fulmine,Lampo, Saetta) o ad armi ed esplosivi (Mitra, Dinamite); da nomicon matrice storica (Spartaco, Garibal<strong>di</strong>), mitologica (Ettore, Ulisse), geografica(nomi <strong>di</strong> città o regioni <strong>di</strong> provenienza, peraltro sempre adottati daigiovani in servizio militare), ad altri che prendono spunto dalle caratteri-155


Filippo Colombarastiche fisiche <strong>della</strong> persona (Moro, Biondo, Barba), ad altri ancora derivatidalla cultura <strong>di</strong> massa: cinema, fumetti, sport (Ridolini, Topolino, Carnera)e via <strong>di</strong> seguito in una complessa classificazione <strong>di</strong> tipi 15 .Questo primo momento <strong>di</strong> costruzione <strong>della</strong> nuova identità è taloraseguito da un vero e proprio giuramento rituale; una procedura che specienella fase iniziale <strong>della</strong> lotta interessa alcuni gruppi del Piemonte nordorientale.Nella formazione Beltrami i nuovi arrivati «prestavano giuramento unoalla volta su formula preparata dal Capitano» 16 . Guido Weiller, incaricatoalla fine del 1943 <strong>di</strong> sistemare le carte <strong>della</strong> formazione, ricorda: «C’erano,per cominciare, numerosi “giuramenti scritti”, con i quali il firmatario, inpresenza <strong>di</strong> due testimoni (c’erano le firme anche <strong>di</strong> questi), s’impegnavaa combattere lealmente per il nuovo Stato italiano e a sottostare alla necessaria<strong>di</strong>sciplina che la lotta armata richiedeva» 17 . Anche la collaboratrice emoglie del comandante rammenta questo modo <strong>di</strong> vincolare i nuovi arrivati:«C’erano molti sbandati che erano qua senza un obiettivo. Non parliamo<strong>di</strong> obiettivi politici che allora non ci pensavamo, ma neppure obiettivo<strong>di</strong> lotta concreta. E allora mi ricordo che abbiamo riguardato il testoassieme e che a me sembrava tutto un po’ strano, il testo del giuramento, leparole» 18 . In seguito: «La prassi del “giuramento”, peraltro mutuata dal bennoto “giuramento” che sono chiamate a prestare tutte le reclute, era stataabolita» e i documenti bruciati 19 . Anche Moscatelli, attento agli aspetti rituali,propone al Comando generale delle Garibal<strong>di</strong> un giuramento per gliuomini delle formazioni. Il testo, da lui ultimato nel <strong>di</strong>cembre 1944, recita:«Nel nome <strong>della</strong> Patria, giuro: <strong>di</strong> lottare con ogni mezzo in mio poteresino al sacrificio supremo <strong>della</strong> vita per la totale <strong>di</strong>struzione del nazi-fascismo,per l’Italia libera, democratica, popolare; <strong>di</strong> essere fedele al ComandoGenerale delle Brigate d’Assalto Garibal<strong>di</strong> e <strong>di</strong> non deporre fino al suo or<strong>di</strong>nele armi e la <strong>di</strong>visa garibal<strong>di</strong>na» 20 . Ma non venne utilizzato per ragioni<strong>di</strong> opportunità politica 21 .Altro momento pregnante è il battesimo del fuoco, un evento privo,però, <strong>di</strong> riferimenti cerimoniali. Nelle guerre moderne la preparazione ritualeal combattimento tende a scomparire come se il tutto si risolvesse inuna questione privata, in cui ce la si deve cavare da soli, ascoltando i suggerimentidei commilitoni e osservandone i comportamenti. Mai come inoccasioni del genere vale il detto del giovane appren<strong>di</strong>sta operaio, secondocui ogni mestiere si impara rubando con gli occhi e sperimentando con156


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalele mani. Il ciclo <strong>di</strong> vita partigiana non si avvale <strong>di</strong> un numero elevato <strong>di</strong>riti, poiché il carattere clandestino e mobile <strong>della</strong> guerriglia non si ad<strong>di</strong>cealle celebrazioni, tuttavia è permeato da fasi proprie del tempo <strong>di</strong> paceche vi si innestano e mirabilmente ritroviamo. Il matrimonio, ad esempio,uno dei momenti significativi nell’esperienza umana, in qualche caso trovaspazio in circostanze così eccezionali e forse decisamente inopportune.La cerimonia nuziale è un rito <strong>di</strong> aggregazione ricco <strong>di</strong> senso ed espressionisimboliche che tuttavia non induce alla creazione <strong>di</strong> una speciale e originalesequenza rituale. In casi del genere, pur avvertendone l’aspirazione,non si adottano particolari norme. Una delle poche <strong>di</strong>sposizioni in materiaè una circolare <strong>di</strong>ramata dal Clnai con la quale si consentono le unionicivili in formazione davanti al comandante o al commissario <strong>di</strong> brigatao <strong>di</strong>visione 22 .Nel Piemonte nord-orientale non sono mancati matrimoni in brigatae qualche episo<strong>di</strong>o va ricordato. Nell’ottobre 1944, ad esempio, pervieneal Comando <strong>di</strong> Moscatelli una richiesta, da parte <strong>della</strong> brigata «Osella»,<strong>di</strong> celebrare le nozze «nel modo partigiano» tra i membri <strong>della</strong> formazioneOlga e Jonson. Il comando rilascia l’autorizzazione, esprime i propri augurialla coppia, «sicuri che i marmocchi [che verranno] saranno un prodotto<strong>di</strong> classe», ma demanda alla brigata <strong>di</strong> stabilire le modalità dell’unione,«non essendoci chiara la frase: “Si chiede che il rito avvenga nel modo partigiano”»23 . La cerimonia si svolge il 12 <strong>di</strong>cembre ed è officiata dal capitanoBruno, il quale dopo aver parlato separatamente con i giovani e con deiloro parenti, <strong>di</strong>chiara: «non sapendo che sia il rito partigiano col quale voivolete sposarvi (voi siete i primi che fate al Comando tale richiesta) credoche questa cerimonia pubblica possa sufficientemente rendere noto ilfatto che siete marito e moglie, oltre a quello già noto, che vi volete bene.Continuate così e quando questa situazione sarà mutata, potrete, se vorrete,legalizzare questa vostra unione che riposa sul vostro consenso, sull’amoree la stima reciproca» 24 . I giovani, infine, chiedono <strong>di</strong> comunicarealle altre formazioni il loro avvenuto matrimonio. Sempre in quella giornata,12 <strong>di</strong>cembre 1944, a Camandona, nel Biellese, si sposano Vinca Bertie Anello Poma <strong>della</strong> 2ª brigata Garibal<strong>di</strong> «Ermanno Angiono “Pensiero”».Tra le immagini ricordo dell’evento (foto con i commilitoni e con ilgruppo partigiano), realizzate da Carlo Buratti «Aspirina», vi è quella cheritrae gli sposi tra gli officianti: tutti ufficiali <strong>della</strong> formazione in uniformee con fascia tricolore 25 .157


Filippo ColombaraAltra cerimonia nuziale si tiene a Boleto presso la 6ª «Nello» nel marzo1945. Celebrante è Pippo Coppo, commissario <strong>della</strong> II <strong>di</strong>visione Garibal<strong>di</strong>«Re<strong>di</strong>», che unisce l’infermiera partigiana Alba <strong>Del</strong>l’Acqua e il me<strong>di</strong>copartigiano Pino Rossi. Il rito si celebra in tutta fretta, dato che sono in corsoi preparativi per gli attacchi ai presi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Borgosesia, Romagnano Sesiae Fara. Anche il pranzo è quanto mai frugale: una fetta <strong>di</strong> carne, due foglied’insalata e un po’ <strong>di</strong> vino. Felicitazioni giungono dal comandante militare<strong>della</strong> I <strong>di</strong>visione, «Ciro», con gli auguri che dall’unione nascano dei «piccolibattaglieri garibal<strong>di</strong>ni». All’indomani <strong>della</strong> liberazione, i novelli sposifaticheranno un poco a registrare il matrimonio e risolveranno il problemarivolgendosi alla curia milanese 26 . Chi si sposa <strong>di</strong>rettamente in chiesa, senzariti civili garibal<strong>di</strong>ni, è invece il partigiano Bernar<strong>di</strong>no Longhetti che,dopo aver prelevato nottetempo il parroco <strong>di</strong> Roccapietra, si sposa con Ilda,una ragazza <strong>di</strong> Cilimo, frazione <strong>di</strong> Varallo Sesia. La cerimonia avviene<strong>di</strong> notte e Berna<strong>di</strong>no, esultante, fa suonare le campane: il felice annuncioè appreso dai paesani ma anche dai fascisti, i quali, come regalo <strong>di</strong> nozze,incen<strong>di</strong>ano la casa <strong>della</strong> ragazza 27 . Alcuni matrimoni si celebrano in momenti<strong>di</strong> relativa sicurezza, come nel caso dei garibal<strong>di</strong>ni Laura e GianniGioria. I due giovani si sposano con rito religioso a Bognanco il 17 settembre1944, durante il periodo <strong>della</strong> repubblica partigiana. Il giornale <strong>della</strong>II <strong>di</strong>visione Garibal<strong>di</strong> pubblica le proprie felicitazioni: «Venendo giù dallamontagna Laura e Gianni hanno portato oltre ai segni <strong>della</strong> libertà anchequelli dell’amore. Vadano ai compagni, sposi novelli, i nostri più vivi auguri»28 . A unirli è don Angelo Ferrari, del vicino borgo <strong>di</strong> San Marco, perchéil parroco del paese non ne vuole sapere.Quando usciamo dalla chiesa mi spavento - ricorda Laura Gioria -, ci sono due file <strong>di</strong>partigiani che per far festa sparano in aria. Poi per fortuna arriva una donnetta con unmazzolino <strong>di</strong> fiori e mi rincuoro. Ci sono anche i genitori <strong>di</strong> Gianni venuti da Arona,tutti i partigiani mi fanno festa; è venuto anche Barbis, a tutti i costi ho dovuto sposarmiin <strong>di</strong>visa, ma mi mancano gli scarponi, me ne infilano un paio del 42. Il pranzoè all’albergo Canelli: risotto e qualche pollo racimolato dai conta<strong>di</strong>ni: una miseria, masiamo tutti allegri. Il pomeriggio all’albergo <strong>della</strong> Pace, balliamo fino a notte.In viaggio <strong>di</strong> nozze an<strong>di</strong>amo a Domo: il giorno dopo ci portano in macchina a Ornavasso,perché Gianni vuole combattere dove conosce meglio i posti. A Gravellona sparano;passiamo per la montagna e arriviamo a Crusinallo; attraversiamo il fiume e <strong>di</strong>notte saliamo al Mottarone. La sera dopo, sempre camminando, arriviamo a casa <strong>di</strong>Gianni a Montrigiasco, sopra Arona.Questo è il mio viaggio <strong>di</strong> nozze 29 .158


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleLe con<strong>di</strong>zioni critiche <strong>della</strong> situazione, però, riducono al minimo il numerodei matrimoni, inducendo a posticipare a momenti migliori desideridel genere. Le vicende <strong>di</strong> guerra possono spezzare drammaticamente leunioni e gli amori. La storia <strong>di</strong> Laura e Gianni, infatti, non sopravvivrà alconflitto. Dopo lo sposalizio i due giovani proseguono l’attività partigianacon incarichi <strong>di</strong>versi, ma sei mesi dopo, attratto in un’imboscata a Montrigiasco,Gianni è ucciso insieme a otto uomini del suo gruppo combattente30 . La guerriglia, occorre sottolineare, è un’esperienza contrassegnatadall’essenzialità e i rituali paiono compressi sui poli <strong>della</strong> nascita e soprattutto<strong>della</strong> morte. Significative <strong>di</strong> quest’ultima fase, dal punto <strong>di</strong> vista cerimoniale,sono le fotografie che documentano i funerali. Le immagini sononumerose e in <strong>di</strong>versi casi pubblicate sui giornali partigiani: dall’annunciofunebre partigiano datato Borgosesia 19 giugno 1944 31 a quello <strong>di</strong> Domodossoladell’11 settembre 1944 32 , stampati durante i rispettivi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong>zona libera; al feretro <strong>di</strong> Martin Valanga avvolto dal tricolore 33 ; ai fucilati<strong>di</strong> Montrigiasco, allineati nelle casse e ricoperti <strong>di</strong> fiori 34 ; a quelli cui vieneposta tra le mani l’arma <strong>di</strong> combattimento 35 ; al corteo funebre <strong>di</strong> Borgosesiadei caduti <strong>di</strong> Gattinara, allineati sul rimorchio <strong>di</strong> un camion e fiancheggiatidagli armati 36 ; a quello per Mora e Gibin, con i partigiani, fucilea spalla, che trasportano i feretri lungo le vie <strong>di</strong> Borgomanero all’indomani<strong>della</strong> liberazione 37 ; a quello <strong>di</strong> Biella per i cinquanta partigiani e civili trucidatinel Biellese e Vercellese a fine aprile 1945, con armati che accompagnanole salme 38 . In talune circostanze, la partecipazione dei partigiani avvienedurante i mesi del conflitto. A Omegna, il 2 gennaio 1944, ai funerali<strong>di</strong> uno dei primi caduti 39 , Beltrami decide <strong>di</strong> presenziare con un nutritogruppo armato: è un atto pubblico dal forte impatto emozionale ed èquin<strong>di</strong> preparato nel modo migliore. Sono gli stessi servizi informativi <strong>della</strong>Rsi a segnalare che:I funerali sono riusciti gran<strong>di</strong>osi per l’imponenza <strong>della</strong> massa operaia e per il numeroesagerato <strong>di</strong> corone. Prestava servizio un reparto <strong>di</strong> 200 partigiani al comando dellostesso capobanda Filippo Beltrami. Questi ha fatto contemporaneamente affiggerein tutti i paesi del Cusio un manifesto baldanzoso nel quale, in sostanza, è detto chequesto sarà l’anno <strong>della</strong> liberazione <strong>della</strong> Patria – naturalmente nel senso partigiano –e che conclude con una invocazione <strong>di</strong> vendetta 40 .Nella medesima città, il 5 settembre 1944, durante il periodo in cui èin vigore la convenzione per la zona libera, vengono celebrati i funerali del159


Filippo Colombaratenente Carlo Angelini, ufficiale <strong>della</strong> formazione cattolica «Valtoce», congrande partecipazione <strong>di</strong> popolazione e <strong>di</strong> partigiani.Nelle prime ore del mattino il Comando <strong>della</strong> Valtoce fa affiggere dai suoi uomini suimuri <strong>di</strong> Omegna un manifesto semplice ed austero, listato a lutto ed ornato <strong>di</strong> tricolore,per annunziare al popolo la morte del nostro tenente Angelini. […] Nella cameramortuaria ha subito inizio una processione ininterrotta <strong>di</strong> persone che vogliono vederel’eroe… Vicino c’è il cuore angosciato <strong>di</strong> tutta la popolazione e dei suoi fratelli d’arme.Omegna si stringe tutta intorno a noi per onorare quell’eroe. Dai monti scendono ipartigiani armati per scortare il loro fratello e da tutte le case si riversa il popolo peraccompagnare all’ultima <strong>di</strong>mora chi è caduto per la libertà. Chiuse le botteghe, chiusigli stabilimenti, sospeso ogni lavoro e tutti i citta<strong>di</strong>ni presenti… una fiumana <strong>di</strong> popolo…41 .Un’attenzione particolare va prestata al carattere religioso o laico dellecerimonie funebri dei partigiani. Se sono plausibili funzioni religiose percaduti che indossano fazzoletti ver<strong>di</strong> oppure azzurri, come nei due casi citati,cosa avviene per i fazzoletti rossi? La ricerca <strong>di</strong> identità garibal<strong>di</strong>na/comunistaconduce all’alterità <strong>di</strong> riti laici?Il progetto politico-militare dei resistenti e dei garibal<strong>di</strong>ni in particolare,impostato su alleanze le più ampie possibili, sembra sacrificare sull’altaredell’unità <strong>della</strong> lotta antifascista gli aspetti <strong>di</strong> lotta ideologica. Sono lontanii conflitti <strong>di</strong> inizio secolo che avevano contrapposto socialisti e laici aicattolici sulla proprietà delle anime 42 e vent’anni <strong>di</strong> antilaicismo nazionaleneppure favoriscono la rottura delle consuetu<strong>di</strong>ni. Non pare si verifichinopressioni da parte dei garibal<strong>di</strong>ni sui familiari dei caduti che intendonocelebrare riti religiosi; dopo la morte il corpo del caduto non appartienepiù al solo gruppo combattente, anzi, la comunità <strong>di</strong> origine lo riaccogliee compie i riti dovuti. Il rientro coinvolge la popolazione nell’ultimosaluto alle spoglie <strong>di</strong> un proprio membro e nel contemporaneo riconoscimentodegli ideali per cui è morto.L’11 maggio 1944 nell’Omegnese, si sciopera nelle fabbriche per protestacontro due stragi compiute dai nazifascisti a Forno e Chesio, in valleStrona, 43 . Nel pomeriggio del medesimo giorno a Crusinallo si svolgono ifunerali <strong>di</strong> Nar<strong>di</strong>no Bariselli, uno dei torturati e fucilati a Chesio. In quell’occasionei fascisti impongono le onoranze funebri in forma strettamenteprivata e solamente all’interno del cimitero. Ciononostante centinaia <strong>di</strong>persone si presentano per partecipare alle esequie. Giungono allora i mili-160


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleti fascisti e armi alla mano cacciano la popolazione dal cimitero, consentendoa soli quattro familiari <strong>di</strong> restare. In questo frangente la madre delcaduto, Angelina Pazzini, si volge ai fascisti gridando: «E voi sareste quelliche hanno voluto civilizzare l’Abissinia!» 44 . L’episo<strong>di</strong>o avrà vasta eco e nedarà conto «l’Unità» 45 .Altro episo<strong>di</strong>o, che invece vede la presenza del gruppo combattente, avvienenell’alto Vergante. Il 18 marzo 1945 si svolgono le esequie dei novepartigiani caduti nell’imboscata <strong>di</strong> Montrigiasco: otto – tra cui Gianni, ilnovello sposo <strong>di</strong> Laura – sono sepolti nel borgo e uno, Pierino Manni, vienetrasportato al cimitero del vicino paese d’origine, Ghevio, dove si tienela cerimonia con la partecipazione dei partigiani.Tutta la gente volle esternare il suo dolore – racconta il comandante <strong>della</strong> formazione, – nelmomento in cui avevamo provveduto ad appostare la X «Rocco» e la «Servadei» sullestrade <strong>di</strong> accesso a Ghevio. E non fu, quella, una cautela inutile. Il nemico cercò <strong>di</strong> salirein paese, ma ebbe il fatto suo. Pierino Manni fu sepolto cogli onori militari d’unpicchetto d’or<strong>di</strong>ne che, schierato, sparò una salve al cielo. Come per un soldato <strong>di</strong> ungrande esercito, poiché grande esercito era <strong>di</strong>venuto alfine quello garibal<strong>di</strong>no 46 .Fatti del genere non sono numerosi, tuttavia il significato che assumonoè <strong>di</strong> alto valore simbolico. Con questa azione si rende omaggio al cadutoe si opera una momentanea appropriazione del territorio, si rende cioètangibile la presenza del gruppo combattente come sfida <strong>di</strong>retta al nemicoe promessa <strong>di</strong> riscatto <strong>della</strong> comunità. Che poi, come nel caso <strong>di</strong> Ghevio,siano i combattenti comunisti a rispettare il rituale religioso accresce sensibilmentela loro affidabilità politica nei confronti <strong>della</strong> popolazione.Quel colore rossoIl senso del rito e il gusto del simbolico percorrono l’intera vicenda resistenziale,non limitandosi a interessare le vicissitu<strong>di</strong>ni personali ma tuttigli or<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> relazione e <strong>di</strong> scontro con l’avversario per la conquista deglispazi pubblici, a cominciare dall’uso politico del colore rosso. Un coloreche nel tempo ha assunto il maggiore tratto identitario <strong>della</strong> classe operaia,il cui passato rimanda al giacobinismo <strong>di</strong> fine Settecento, al mazzinianismo,ai moti rivoluzionari del 1848, ai garibal<strong>di</strong>ni, alla Comune <strong>di</strong> Parigi,alle ban<strong>di</strong>ere rosse del socialismo che per anni hanno imperversato nellecittà e nelle campagne 47 .161


Filippo ColombaraDurante il Ventennio, si curò attentamente l’inibizione del rosso sottoqualunque foggia si fosse presentato. Conseguenza <strong>della</strong> sua messa all’in<strong>di</strong>cefu <strong>di</strong> rafforzarne le valenze simboliche e i caratteri <strong>di</strong> alterità politica48 . Per vent’anni il colore sovversivo si cimentò contro il mortifero colorenero del fascismo.I casi sono numerosi, riguardano l’intero Paese, e anche nel Piemontenord-orientale, a cavallo tra gli anni venti e trenta, si rilevò una vivace presenza<strong>di</strong> comportamenti del genere. A Prato Sesia, in bassa Valsesia, un anzianoricorda che: «Quando è passato il duce <strong>di</strong> qui [da Romagnano Sesianel 1939] han messo le ban<strong>di</strong>ere rosse <strong>di</strong> là, a Gattinara, e le han viste tutti,dopo han mandato su i fascisti per tirarle via». 49Le ban<strong>di</strong>ere rosse, in realtà, non apparvero nel 1939 e lo spostamento<strong>di</strong> data è l’espe<strong>di</strong>ente impiegato del narratore per coinvolgere <strong>di</strong>rettamenteMussolini nella lotta simbolica del proprio territorio 50 . Il fatto accaddeil primo maggio 1931, quando sulla collina <strong>di</strong> San Lorenzo, una sommitàsovrastante l’abitato <strong>di</strong> Gattinara e prospiciente Romagnano Sesia, Cavallirioe Prato Sesia, vennero esposti dei drappi rossi visti fino a due o trechilometri da centinaia <strong>di</strong> persone. Lo scandalo tra i fascisti si fece sentire.«Il 1° Maggio – scrive un anonimo alla polizia politica – sin dal levardel sole sventolavano sulle principali alture <strong>della</strong> collina <strong>di</strong> Gattinara n. 3ban<strong>di</strong>ere rosse. Le medesime rimasero esposte sino al pomeriggio e cioè fintanto che alcuni militi <strong>di</strong> Romagnano Sesia non si recarono a toglierle. Esseerano fatte <strong>di</strong> carta che per la sua natura doveva provenire dalla cartieraVonwiller <strong>di</strong> Romagnano, paese limitrofo» 51 .Altra vicenda del tutto simile ebbe luogo nel Biellese nel 1932; in questocaso la notte precedente a una manifestazione fascista venne issata sulmonte Cucco una grande ban<strong>di</strong>era rossa al posto del tricolore che abitualmentevi svettava. Scenografia dal forte impatto simbolico cui si trovarono<strong>di</strong> fronte l’indomani autorità e pubblico convenuto, procurando inevitabilescompiglio e numerosi arresti 52 .L’esposizione delle ban<strong>di</strong>ere o <strong>di</strong> semplici drappi rossi si compì numerosealtre volte in occasione <strong>della</strong> festività laica proibita. A Omegna, ricordaun operaio: «Un Primo Maggio, tra il ’22 e il ’25, <strong>di</strong> notte legavano delleban<strong>di</strong>erine rosse con una corda ai sassi, poi le buttavano sui fili <strong>della</strong> lucee i fascisti il giorno dopo le andavano a togliere. Sempre in quegli annilì fino al ’25 il Primo Maggio comunisti e socialisti lo festeggiavano assentandosidal lavoro» 53 . E un altro: «Quegli anni lì era un gran preparare, na-162


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalescondere, organizzare qualche cosa per ricordare il Primo Maggio, il miopapà cercava <strong>di</strong> mettere degli stracci rossi dove capitava e i fascisti <strong>di</strong>ventavanomatti... Un anno sono apparsi lungo la Nigoglia e subito sono arrivatii fascisti a toglierli» 54 . Negli anni successivi, in pieno regime, non mancòun atto simbolico <strong>di</strong> grande effetto: rivedere la ban<strong>di</strong>era rossa sulla piùalta ciminiera dell’acciaieria Cobianchi, come nel 1920, ai tempi dell’occupazionedelle fabbriche. Gli omegnesi furono accontentati: «So che unavolta al Primo Maggio han truà la ban<strong>di</strong>era rossa sül camìn e non sapevanochi era stato [risata]» 55 .La lotta simbolica delle ban<strong>di</strong>ere, tuttavia, nel corso del tempo subì deicambiamenti. Durante la prima metà degli anni venti, preoccupazione degliantifascisti fu l’occultamento dei vessilli proletari, per impe<strong>di</strong>re la lorotrasformazione in trofei <strong>di</strong> guerra in mano agli avversari. Trofei che proprio<strong>di</strong> fronte alla popolazione avrebbero sconfessato il mito dell’inafferrabiledrappo rosso, <strong>di</strong>ventando la prova tangibile <strong>della</strong> sconfitta proletaria.«’N gleu nut. Lè nut qui / Ma ’nca veigla i v’la daria nut» 56 , recita la vecchiaCichina, bracciante a giornata del basso Novarese, quando una squadraccia<strong>di</strong> malsignà, <strong>di</strong> «malsegnati», le mette a soqquadro la casa alla ricerca <strong>della</strong>ban<strong>di</strong>era <strong>della</strong> lega conta<strong>di</strong>na. E a caccia <strong>di</strong> vessilli proletari i fascisti si mobilitaronoper parecchio tempo, consci del valore simbolico <strong>di</strong> quella cattura.Ciononostante, dalla seconda metà degli anni venti e per un decenniole ban<strong>di</strong>ere rosse si fecero beffa dei fascisti, apparendo indomite il giorno<strong>della</strong> festa dei lavoratori sulle alture che circondano i paesi, su qualche ciminiera,sui fili <strong>della</strong> luce o del tram. In seguito, questa prassi <strong>di</strong> lotta simbolicavenne meno e fu sostituita dalle scritte murali. La mutazione <strong>di</strong> strategia<strong>della</strong> lotta simbolica non intaccò, però, un’altra consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>ffusa:l’impiego del rosso nei capi d’abbigliamento. Fu uno sta<strong>di</strong>o conflittualedel tutto particolare, che i citta<strong>di</strong>ni adottarono per esplicitare il proprio<strong>di</strong>ssenso politico, per protestare contro i <strong>di</strong>vieti e l’oppressione del potere.La vita privata <strong>di</strong>venne scenario e al tempo stesso soggetto protagonista <strong>di</strong>questi atteggiamenti. Ogni attimo <strong>della</strong> quoti<strong>di</strong>anità si poteva trasformarein evento eccezionale.A rischio <strong>di</strong> botte, olio <strong>di</strong> ricino e <strong>di</strong>scriminazioni, un numero imprecisato<strong>di</strong> donne e uomini <strong>di</strong>chiarò la propria alterità politica al fascismo indossandoqualcosa <strong>di</strong> rosso. L’atto provocatorio fu la piccola battaglia checombatterono le persone <strong>di</strong> animo antifascista e che <strong>di</strong>stingueranno i numerosianeddoti tramandati dalle memorie familiari.163


Filippo ColombaraCenisio Girar<strong>di</strong> : Anche mia madre ha dovuto bere l’olio <strong>di</strong> ricino, perché con il papàcomunista i figli cosa <strong>di</strong>ventano? Diventano sovversivi anche loro. Mia madre era<strong>di</strong> Gravellona, andava alla Pariani come filatrice e metteva sempre su la camicetta rossa,te puoi solo capire mettere la camicetta rossa in quei momenti lì cosa poteva succedere.L’hanno avvisata due o tre volte: «Guarda Ida che la camicetta rossa a quei tempiqui non si può più, siamo costretti a farti...» Lei rispondeva: «Ma guarda, la camicettarossa a me piace, io non faccio male a nessuno: è una camicetta! Te la porti nera e io laporto rossa»... E qui bisognerebbe fare dei nomi ma non è bello, ci sono i figli... Miamadre <strong>di</strong>ceva: «Quando mi va <strong>di</strong> mettere la camicetta bianca metto la bianca, quandomi va la rossa... io ho solo queste qui». È che è arrivato il giorno dell’olio <strong>di</strong> ricino.Quando ha fatto per entrare in fabbrica con la camicetta rossa c’erano lì quattro fascisti<strong>di</strong> Gravellona e han detto: «Ida, c’è arrivato il momento che tu lo bevi, così la camicettarossa non la metti più». E questa povera donna l’ha dovuto bere, gliene hannodato un quarto, ciò vuol <strong>di</strong>re che era un bel botticino e per ingoiarglielo giù bene duela tenevano, uno gli tappava il naso, hanno messo dentro l’imbuto e gliel’hanno vuotatogiù, l’ha dovuto ingoiare così. Puoi capire cosa è successo dopo mezzora che l’avevagiù, per due o tre giorni è dovuta rimanere al gabinetto. Mia madre era dell’11 e ’stofatto sarà successo alla fine degli anni venti, lei era giovane 57 .Gualtiero Caprilei: Io mi ricordo che c’era un certo Ravaioli, lo chiamavano Nìn, ed erauno <strong>di</strong> quelli a cui il rosso piaceva e ha preso delle belle sberle per quello! Portava sempreun fazzolettino rosso, durante il fascio, e andava a bere il caffè in una trattoria doveandavano anche i fascisti ed era un po’ una provocazione questa. Allora, oltre a <strong>di</strong>rgli<strong>di</strong> togliere questo fazzolettino, lo invitavano anche ad andare a casa, perché alle novelui doveva rientrare, cosa che non succedeva. E lì c’erano poi le battute [veniva malmenato].Ecco, allora era così.Filippo Colombara: Capitava anche a Villadossola che con la scusa <strong>di</strong> essere ubriachi,c’era gente che andava in giro a cantare Ban<strong>di</strong>era rossa?Gualtiero Caprilei: Io so Edmondo Mori, che è stato fermato più <strong>di</strong> una volta vicino acasa sua, proprio perché fischiava sempre Ban<strong>di</strong>era rossa. Non poteva farci niente, a luigli veniva proprio così, spontaneo, il fischiare Ban<strong>di</strong>era rossa [ride] e lì prendeva dellegran botte, gran botte. Però non ha mai smesso <strong>di</strong> fischiare Ban<strong>di</strong>era rossa 58 .Ivana <strong>Del</strong>l’Olmo: Una volta mio fratello aveva una maglia rossa e un fascista gliel’hafatta togliere, perché non si poteva portare niente <strong>di</strong> rosso. Al primo maggio poi erauna cosa incre<strong>di</strong>bile, però proprio la roba rossa non si poteva portare. Figurati che nontrovavi neanche la stoffa rossa, era <strong>di</strong>fficile trovare la stoffa rossa, non è che la vendevano.Nel periodo <strong>della</strong> clandestinità, i partigiani li mettevano i foulard rossi e questa eraproprio una provocazione. I fascisti non ti lasciavano portare la roba rossa e se tu voleviqualcosa <strong>di</strong> rosso dovevi comprare il colorante e tingerlo. Come ha fatto mia mammaquando i partigiani volevano i foulard rossi: ha preso la stoffa, l’ha fatta bollire ec’ha messo il colorante rosso per tingerla.Filippo Colombara: Quin<strong>di</strong>, voi come ragazze un foulard rosso non potevate portarlo?164


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleIvana <strong>Del</strong>l’Olmo: No, non si poteva portare. Oh la roba rossa… non so neanche comeha fatto mio fratello ad avere addosso una maglia rossa. E non <strong>di</strong>co neanche chi è quelloche gliel’ha fatta togliere, perché quello lì è <strong>di</strong> Villa e c’è ancora, adesso non sembraneanche più fascista, però in quel momento… Gli ha detto: «Tirati giù quella roba»e l’ha mandato a casa a cambiarsi; mio fratello era ancora un bambino, lui è nato nel’30, figurati un po’ cosa ne sapeva lui 59 .Nei paesi, più che nelle città, compiere atti del genere significò esseremessi all’in<strong>di</strong>ce, rischiare emarginazione sociale, <strong>di</strong>venire l’esempio negativoda ad<strong>di</strong>tare all’opinione pubblica e da cui rifuggire. Le comunità localinel perpetuare i propri co<strong>di</strong>ci comportamentali spesso dovettero tenerconto delle norme dettate dal nuovo regime, rispettando i dettami e compiacendole gerarchie del potere. Vi furono però paesi e paesi: in quelli ovesi era ra<strong>di</strong>cato il verbo socialista si osò forse con maggiore decisione, si visserominori <strong>di</strong>scriminazioni anche se si pagò il proprio fio. Quando la punizionenon giunse dai paesani, ci pensarono quelli del borgo vicino. Fatti<strong>di</strong> campanile si innestarono in quelli politici e viceversa.C’era una politica <strong>di</strong>versa... generazioni... Qui [a Piana del Monti] erano già piuttostorossi che neri. Al circolo venivano a comandare loro [i fascisti <strong>di</strong> Boleto] e quelli chenon avevano la tessera... Poi il Costantini Michele, era del ’15 adesso è morto, una voltaha cantato Ban<strong>di</strong>era rossa nel circolo e loro sono venuti su. Era il primo anno che andavoa scuola e li ho visti tutti in <strong>di</strong>visa, era il ’37 circa. Sono venuti dentro nella scuolae gli han dato una sberla. Lui aveva su la cravatta rossa, l’han preso, gli han messola testa sulla stufa, han levato il coperchio e gli hanno bruciato la cravatta. C’era […],il podestà <strong>di</strong> […] e tutta la sua ghenga <strong>di</strong> fascisti, quello <strong>di</strong> Boleto che chiamavano ilmangiagaliñi… Sono venuti in pieno giorno e hanno mandato a chiamare tutti quelliche avevano cantato, erano cinque o sei 60 .Inevitabilmente, quin<strong>di</strong>, che durante la resistenza il rosso assurga a peculiaree potente segno <strong>di</strong> riscatto morale e politico. In questo periodo, afianco delle trage<strong>di</strong>e che la guerra civile trascina con sé, riprendono vigorele sfide e le beffe <strong>di</strong> <strong>di</strong>eci, quin<strong>di</strong>ci anni prima. La cultura popolare riesumail valore del comico: la derisione e lo sfottò dell’avversario tornano a esserestrumenti <strong>di</strong> lotta e sventolano nuovamente le temibili ban<strong>di</strong>ere rosse.Sergio Campana: La prima ban<strong>di</strong>era rossa messa a Gozzano, e parlo del tempo <strong>di</strong> guerra,l’ho messa io e due altri gozzanesi. Era il mese <strong>di</strong> ottobre o novembre del ‘44 quandoerano tornati i tedeschi e c’era il coprifuoco... Io venivo già da una famiglia <strong>di</strong> sinistra,dove tu capivi anche se non ti spiegavano chiaramente come la pensavano, e a se-165


Filippo Colombara<strong>di</strong>ci, <strong>di</strong>ciassette anni già capivi come stavano le cose. A Gozzano c’era sempre un pattuglione<strong>di</strong> tedeschi <strong>di</strong> tre<strong>di</strong>ci, quin<strong>di</strong>ci uomini che perlustrava le strade... e a noi vennein mente <strong>di</strong> mettere fuori una ban<strong>di</strong>era rossa. Nota che le donne che facevano dalle seialle due e dalle due alle <strong>di</strong>eci [alla Bemberg, azienda <strong>di</strong> fibre tessili sintetiche] quandopassavano davanti ai posti <strong>di</strong> blocco tedeschi o fascisti, se avevano addosso stringherosse o calze <strong>di</strong> lana segnate <strong>di</strong> rosso o un gulfìn, le mandavano a casa a cambiarsi.Filippo Colombara: C’era la paura del rosso.Sergio Campana: Allora una sera: «Ma ‘ndua ‘nduma tò ‘na bandéra rusa?» In quel cortilelì c’erano tre sorelle, che tra l’altro <strong>di</strong>stribuivano la «Stella Alpina» quando han cominciatoa farla, e ce l’hanno data loro. Non era proprio una ban<strong>di</strong>era, era uno stracciorosso. Io e ’sti due siamo partiti da ‘n Vila, abbiamo fatto un giro e siamo andati afinire al parco <strong>della</strong> Rimembranza <strong>di</strong> allora, che era proprio lì davanti al bar Serenella.E proprio lì dove c’è adesso la fermata <strong>della</strong> corriera c’erano dei pini e c’era un paloper l’alza ban<strong>di</strong>era, dove facevano tutte le feste fasciste, quella del 28 ottobre, eccetera.Siamo arrivati lì e abbiamo legato lo straccio al filo <strong>di</strong> ferro. Facciamo per tirarlosu e senti «quich, quich». Era notte, silenzio assoluto, macchine non ce n’erano a queitempi, e il rumore del fil <strong>di</strong> ferro dell’alza ban<strong>di</strong>era ti sembrava che lo sentissero chissàfin dove. Ad ogni modo l’abbiamo tirato su fino in cima, con calma eh! Il giorno dopoarrivano i tedeschi, vedono la cosa, raddoppiano le guar<strong>di</strong>e e rafforzano il pattuglionenotturno. Noi eravamo sod<strong>di</strong>sfatti, però c’era la paura, perché lo sapevamo noi e anchele tre ragazze che ci avevano dato lo straccio, bastava che a uno, anche scherzando,gli scappasse fuori qualcosa e era la fine. I tedeschi non l’hanno tirata giù, è rimasta là,e dopo otto o <strong>di</strong>eci giorni, un bel giorno qualcuno ha cambiato la ban<strong>di</strong>era rossa. Cen’era su una più bella, uno spettacolo... Io non ho mai saputo chi era stato, l’ho saputotempo dopo, era stato il Quintilio Gioria che comandava un plotone <strong>della</strong> 6ª «Nello»,era venuto giù lui una sera e l’aveva cambiata. Poi quando sono arrivati i fascisti laroba è sparita, ma i tedeschi non l’han tolta... 61 .Naturalmente, nelle brigate partigiane un bel po’ <strong>di</strong> resistenti «vedonorosso» sia nei fronzoli del vestiario che in particolari e singolari circostanze.Una religiosa, suor Lauretta, narra un episo<strong>di</strong>o avvenuto in Ossola:Data la situazione scabrosa <strong>di</strong> quei momenti (1943) a Domodossola, i Tedeschi e i nostrifascisti vigilavano sui movimenti dei partigiani. Molti <strong>di</strong> essi erano feriti all’ospedale.Le suore dell’ospedale ci fecero invito per avere aiuto. Suor Carla Francesca e SuorLauretta validamente, col permesso del Rev. P. Generale Bozzetti, si offrirono.Per confortare quei partigiani feriti, gravi e meno, una suora portò in camerone unastatuetta <strong>della</strong> Madonna, ma quei poveri ragazzi sfiduciati, paurosi perché privi <strong>di</strong> armiper <strong>di</strong>fendersi ebbero un momento <strong>di</strong> ribellione, non vollero sapere <strong>della</strong> statua.Suor Lauretta andò in giar<strong>di</strong>no, scelse dei fiori rossi e con questi presentò ai feriti partigianila Madonna comunista. Tutti quei ragazzi accettarono la Madonna con un calorosobattimani 62 .166


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleIl gran successo liberatorio del rosso irra<strong>di</strong>a le brigate garibal<strong>di</strong>ne; il richiamosimbolico è così foriero <strong>di</strong> paure <strong>di</strong>spensate da vent’anni <strong>di</strong> propagandache la sua proibizione giunge da posizioni inaspettate. «A Domodossolanel periodo <strong>della</strong> repubblica – ricorda Pippo Coppo – a un determinatomomento hanno fatto requisire tutta la carta rossa per paura chele brigate Garibal<strong>di</strong> la usassero per stampare i loro comunicati» 63 . Episo<strong>di</strong>otra l’altro che manda su tutte le furie Moscatelli. Annota Giancarlo Pajettanella sua autobiografia: «Al comando dei garibal<strong>di</strong>ni incontrai Cino.Ci abbracciammo, e mi <strong>di</strong>sse: “Bene, sei arrivato in tempo, tra un quartod’ora c’è una riunione, an<strong>di</strong>amo a metterli in riga. Ci hanno persino sequestratoi manifestini perché erano rossi, e a me hanno impe<strong>di</strong>to <strong>di</strong> parlarein piazza”» 64 . Timori delle forze moderate, o meglio, ra<strong>di</strong>cata inquietu<strong>di</strong>neverso il colore sovversivo, che proseguirà nel dopoguerra e ancora oggi hail suo bel daffare nel recare fasti<strong>di</strong>o al perbenismo nazionale.Scrivete sui muriLa lotta simbolica passa poi attraverso l’uso <strong>della</strong> propaganda; sul palcoscenico<strong>della</strong> guerra civile i contendenti si affrontano anche con manifestie volantini, usando i muri <strong>di</strong> città e paesi come luogo privilegiato deldazibao bellico.La comunicazione pubblica è egemonizzata dalla Rsi 65 , ma vivace risultala propaganda partigiana, talvolta affiancata da quella dagli alleati rivoltaalle truppe tedesche 66 . I manifesti a stampa, a parte quelli pre<strong>di</strong>sposti dagliuffici centrali (che riguardano essenzialmente la Rsi), si rivelano <strong>di</strong> particolareefficacia specie quando assumono i tratti <strong>della</strong> <strong>di</strong>sputa locale, del bottae risposta, <strong>della</strong> puntigliosa critica alle posizioni avversarie.Alcuni esempi. Il 20 agosto 1944, sui muri <strong>di</strong> Borgomanero i garibal<strong>di</strong>ni<strong>di</strong> Moscatelli affiggono un manifesto intitolato «Ultimatum. A tuttigli appartenenti alla Guar<strong>di</strong>a Nazionale Repubblicana», nel quale evidenzianol’approssimarsi <strong>della</strong> sconfitta dell’Asse, ribadendo l’invito ai saloini<strong>di</strong> aderire alla Resistenza: «Spezzate le catene che vi legano schiavi alnazi-fascismo e raggiungete le nostre formazioni con quante armi e munizionipotete portare. Sarete fraternamente accolti, sarete anche voi i figlipre<strong>di</strong>letti del nostro Grande popolo». Il tutto intercalato in più parti dalloslogan: «L’ora dell’estrema decisione è giunta!». Dopo una settimana, il28 agosto, appare il manifesto <strong>di</strong> risposta, del tutto simile dal punto <strong>di</strong> vi-167


Filippo Colombarasta grafico, con il medesimo slogan bene in evidenza e con il titolo che fa ilverso al precedente: «Ultimatum. A tutti gli appartenenti alle Divisioni <strong>di</strong>ban<strong>di</strong>ti». Il lungo testo risponde punto per punto e sottolinea le critiche airesistenti, considerati ladri e <strong>di</strong>namitar<strong>di</strong> al servizio <strong>di</strong> nuovi padroni, nonché,soprattutto, dei senza patria: «Siete uomini nati in Italia, ma non sieteitaliani. Bestemmiate la madre. Non siete che gente alla macchia!». Infine,rispetto all’invito a cambiare <strong>di</strong> campo, <strong>di</strong>chiarano: «Che onore poteteavere se aspettate come “figli pre<strong>di</strong>letti” quelli che dovessero tra<strong>di</strong>re la propriafede e la propria <strong>di</strong>visa? Soltanto uomini venduti e senza onore possonofare simili patti» 67 . In altri casi, invece, sono i partigiani ad avere l’ultimaparola. Nell’ottobre del medesimo anno, i repubblichini affiggono unmanifesto intitolato «Ai patrioti. Tanto per intenderci!!», il cui testo si aprecon la frase: «Ci hanno detto che siete ricchi! Infatti avete asportato in questiultimi giorni…» e continua con l’elenco dei prelievi in denaro effettuatipresso uffici postali, banche e aziende per un ammontare <strong>di</strong> 211.577 lire.Il documento termina con la requisitoria: «È facile essere ricchi con questisistemi, ma chi ne soffre è la popolazione. Il vostro non è un agire da “patrioti”,ma da ban<strong>di</strong>ti, da fuori-legge, da affamatori e tra<strong>di</strong>tori del popoloitaliano». Rispondono i garibal<strong>di</strong>ni, con medesima impaginazione graficae facendo, a loro volta, il verso agli avversari. Il titolo muta in: «Ai tra<strong>di</strong>torifascisti! Tanto per essere chiari!!» e il testo gioca sul rapporto antitetico ricco/poveroproposto dai fascisti: «Ci hanno detto che siete “poveri”! Infattidopo ventidue anni <strong>di</strong> rapine a danno del popolo italiano, avete consegnatoai tedeschi…», cui segue un’elencazione <strong>di</strong> accaparramenti e danni portatidalle truppe germaniche, evidenziando che: «Noi siamo i “ricchi” dellelire 211.577 che denunciate con tanto clamore. Voi in questo modo <strong>di</strong>mostrateche i “ban<strong>di</strong>ti”, i “fuori-legge”, gli affamatori e tra<strong>di</strong>tori del popoloitaliano non combattono sostenuti da miliar<strong>di</strong> rapinati» 68 .Appare evidente che questi «<strong>di</strong>aloghi» tra le parti hanno per obiettivola propaganda delle proprie ragioni e il piano simbolico occupa la tribunad’onore. Impossessarsi dello spazio pubblico, tenerlo a onta dell’avversario,fornisce un ulteriore senso ad azioni del genere. Sono gesti tesi a suggellarela conquista del territorio i cui risultati migliorano, aumentando laforza suggestiva, con il passaggio al successivo sta<strong>di</strong>o <strong>di</strong> lotta delle scritturemurali: forme espressive <strong>di</strong>rette e prive <strong>di</strong> sfumature o me<strong>di</strong>azioni. «Ilmuro, come si sa, invoca la scrittura» afferma Barthes, «non c’è niente <strong>di</strong>più “guardone” <strong>di</strong> un muro scritto, perché nulla viene guardato o letto con168


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalemaggiore intensità» 69 . Ed è qui, tramite una sorta <strong>di</strong> battaglia epigrafica eideologica, fatta <strong>di</strong> scritte e simboli tracciati sulle pareti delle vie citta<strong>di</strong>ne,che passa un pezzo <strong>di</strong> storia <strong>della</strong> guerra partigiana.Durante il Ventennio, alle scritte <strong>di</strong> regime, che occupavano i luoghipiù in evidenza <strong>di</strong> paesi e città, si opposero scritte murali e graffiti degli antifascisti,regolarmente cancellati per la loro natura trasgressiva. L’antagonismopolitico e sociale, escluso dalla possibilità <strong>di</strong> accedere a canali ufficiali,sviluppò la controinformazione e la presenza «altra» sul territorio.Con l’avvento <strong>della</strong> guerra il numero <strong>di</strong> pennellate sui muri si intensifica70 da ambo le parti 71 e nei mesi <strong>della</strong> repubblica sociale si passa allescritte <strong>di</strong> guerra. I contenuti <strong>di</strong>fferiscono <strong>di</strong> poco, ma cambiano gli autori:se prima i compiti erano svolti da un antifascismo soprattutto <strong>di</strong> partitoda una parte 72 e da incaricati del regime dall’altra, ora si aggiungono icombattenti. Slogan, insulti e <strong>di</strong>leggi sono <strong>di</strong>retti, <strong>di</strong> piccolo raggio, talorain<strong>di</strong>viduali.Durante l’azione intimidatoria del 22 <strong>di</strong>cembre 1943 a Crevacuore, adesempio, i repubblichini tracciano sui muri <strong>di</strong> una casa <strong>di</strong> antifascisti lascritta: «UN GIORNO TI FUCILEREMO. RICORDATI “M”» 73 . Scritte minacciose,come «VIVA MARTINO 74 , VIVA LA SQUADRACCIA! P… RE, ecc.», appaiono a Novaranell’autunno del 1944 75 . Dopo i combattimenti <strong>di</strong> Fara del 16 marzo1945, che avevano determinato la momentanea sconfitta e fuga dei fascisti,questi, al loro ritorno, tracciano sulla facciata delle case le scritte: «WLA FIDUCIA DEI MATTI»; «IN QUESTA PIAZZA SONO PASSATI I PARTIGIANI-ASSAS-SINI»; «[ABBASSO] BADOGLIO»; «W DUCE»; «TRADITORI INGLESI MOSCATELLI»;«VIGLIACCHI! SENZA PATRIA E SENZA ONORE! CE LA PAGHERETE!»; «SACH PIOC»;«[ABBASSO] LE DONNE DI FARA W LA BRIGATA NERA» 76 .Le scritte sono anche provocazioni, sfide a singolar tenzone che taloravengono accolte. In Val Grande, nel maggio 1944, al termine <strong>di</strong> un rastrellamentoi repubblichini scrivono su un muro «LEONI DELLA MONTAGNA, VIASPETTIAMO A FONDOTOCE!». Dopo qualche giorno risponde un gruppo <strong>di</strong>partigiani <strong>della</strong> brigata «Valdossola», che al comando <strong>di</strong> Mario Muneghinaraggiunge il borgo lacuale e cattura i quarantacinque uomini del presi<strong>di</strong>ofascista 77 .Per parecchio tempo, quando ormai gli eventi sono lontani, una topografia<strong>di</strong> scritte e graffiti rimangono a segnare il territorio, a scontrarsi e sovrapporsinella geografia <strong>della</strong> memoria. Da una serie <strong>di</strong> fotografie <strong>di</strong> donMario Perotti, scattate a Ghemme nei primi anni sessanta, ne compaiono169


Filippo Colombaraalcune con le seguenti scritte: «W IL DUCE», sopra alla quale campeggia ilprofilo <strong>di</strong> Mussolini realizzato con una maschera <strong>di</strong> cartone; «W IL CLN»; «WGLI ALLEATI»; «W LA ROSSA BANDIERA»; «W CINO» 78 . Ancora negli anni novanta,a Pallanza in piazza Garibal<strong>di</strong>, angola via Manzoni, affioreranno scritterisalenti al settembre 1943: «[ABBASSO] BADOGLIO, [ABBASSO] I TRADITO-RI DEL PNF» 79 . Casi questi in cui la storia stratifica segni e si fa arredo urbano.«È la città che racconta se stessa – ricorda Isnenghi – e le proprie stagioni<strong>di</strong> vita» 80 .Sparare cantandoDurante gli scontri, il fragore <strong>della</strong> battaglia non è determinato solodallo strepitio delle armi, i contendenti lottano anche con il clamore <strong>di</strong> grida,slogan, canti <strong>di</strong> guerra: un insieme <strong>di</strong> atteggiamenti e atti simbolici dacui emergono le forme primor<strong>di</strong>ali <strong>di</strong> carattere tribale dei conflitti. Il paesaggio<strong>di</strong> guerra è del resto un paesaggio sonoro; suoni e rumori contribuisconoa scatenare i <strong>di</strong>versi stati <strong>di</strong> furia e paura nei combattenti.In queste circostanze emerge un comportamento più volte citato neiracconti partigiani che potremmo chiamare dello «sparare cantando». A citareuna simile modalità è, tra gli altri, Pippo Coppo, il quale, nel riferirela fase iniziale dell’ultima battaglia <strong>di</strong> Beltrami, afferma: «Lui è saltato fuoriper primo, cantando, cantando è andato giù all’attacco» 81 . Più che unadescrizione si tratta dell’uso <strong>di</strong> una figura retorica per sottolineare l’eroismodel partigiano. Lo sparare cantando è un’immagine forte, stilisticamenteefficace 82 , <strong>di</strong>mostra sprezzo del pericolo anche se probabilmente ilCapitano fu più attento alla conduzione dello scontro che non a un comportamentoeclatante. Coppo, peraltro, non essendo presente al fatto impieganotizie provenienti da terzi, o meglio, dalle voci <strong>di</strong> guerra che speciein occasioni del genere trovano materiali su cui lavorare. Tuttavia, il commissario<strong>della</strong> II <strong>di</strong>visione Garibal<strong>di</strong> non sbaglia nel considerare plausibileun comportamento del genere. Se non proprio in questi termini, canti eslogan sono per l’appunto utilizzati nei combattimenti e rammentati nellamemorialistica. Un episo<strong>di</strong>o è ricordato da Bruno Francia e avviene nelsettembre 1944, durante l’attacco partigiano <strong>di</strong> Gravellona Toce:Ci stavamo incamminando seguendo i Georgiani quando Kira rivoltosi a noi <strong>di</strong>sse:«An<strong>di</strong>amo a dar loro il “mazzolin <strong>di</strong> fiori che vien dalla montagna”» e intonò la canzo-170


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalene. Kira cantava sempre, con o senza pericolo. Se non avesse cantato non avrebbe potutoessere quel che era. Attraversammo un prato in pen<strong>di</strong>o per prendere postazione.L’attacco dei Georgiani aveva già scatenato un violento fuoco nemico. Kira col mortaiosulle spalle cantava: «È la Guar<strong>di</strong>a Rossa che marcia alla riscoss…» ma non potèterminare la strofa perché uno dei colpi <strong>di</strong> un mortaio 81 sparato dal nemico esplosea pochi metri più in alto 83 .Carattere esuberante Kira 84 , ma quel giorno non è l’unico a cantare ea lanciare slogan <strong>di</strong> incoraggiamento. Scrive ancora Francia: «La Volante,i Georgiani, ed il reparto del Fabbri <strong>di</strong> Giuli e Mario avanzarono da SantaMaria verso il crocevia. Ci si buttò all’assalto gridando: “Viva l’Italia!Morte al fascismo!” Monza in testa, incitò tutti gridando: “O Gravellonao morte!”. Purtroppo nei pressi del crocevia una raffica <strong>di</strong> mitra lo colpì inpieno ed egli cadde. Fu il primo morto <strong>della</strong> nostra brigata» 85 . Finite malequelle ventotto ore <strong>di</strong> combattimento – ma si trattava <strong>di</strong> assaltare unacitta<strong>di</strong>na con buone fortificazioni e un nemico bene armato – gli uominitornano verso nord, all’interno <strong>della</strong> repubblica partigiana dell’Ossola. Perscrollare <strong>di</strong> dosso le paure <strong>della</strong> battaglia, elaborano «una nuova canzonecambiando solo le parole ad un vecchio motivo popolare»:Gravellona GravellonaTra<strong>di</strong>tor <strong>della</strong> vita miaHo lasciato l’amante miaPer venirti a conquistarePer venirti a conquistareHo perduto molti compagniTutti giovani sui vent’anniLa loro vita non ritorna piùC’era Barbis 86 che lui piangevaNel vedere tanto macelloOh non pianger o Barbis belloChe l’onore sarà per te 87 .Altro episo<strong>di</strong>o ha per protagonisti gli uomini <strong>di</strong> una pattuglia <strong>della</strong> 50ªbrigata Garibal<strong>di</strong>, i quali, durante i combattimenti per la liberazione delBiellese, vengono accerchiati in un casolare da truppe tedesche.I nostri tentano <strong>di</strong> uscire.Impossibile! Sono già circondati. Ritornano in cascina, si arrampicano sui tetti e suimuri <strong>di</strong> cinta ed accolgono i tüder col fuoco delle poche armi. Zambo li <strong>di</strong>spone nel171


Filippo Colombaramiglior modo possibile e sono 21! E qui Vla<strong>di</strong>mir, il vice-comandante, grida ai nostri:«Siamo in ventuno, quanti sono stati i fucilati <strong>di</strong> Biella, <strong>di</strong> Mottalciata, <strong>di</strong> Salussola! Cibatteremo sino all’ultimo e dobbiamo essere felici. Noi a <strong>di</strong>fferenza dei primi possiamocombattere!». I nostri cantano… «Oh, Italia… Italia bella…» e sparano. Tutti cantanomeno quei due dei mitragliatori.Non possono, perché sono laggiù sui portoni d’entrata e tengono a bada le pesanti ele «Seghe <strong>di</strong> Hitler» loro. I tedeschi sparano furiosamente, i nostri si <strong>di</strong>fendono. «Erabello – ci <strong>di</strong>ce Franco il siciliano – vederci pronti a morire uno dopo l’altro». «Cantavamocontenti <strong>di</strong> morire da Garibal<strong>di</strong>ni», ci <strong>di</strong>ce un altro! […].Han sempre sparato i ragazzi <strong>di</strong> Zambo! E quando si son battuti contro i tedeschi perrompere il cerchio han sospeso il canto. Bisognava non farsi sentire. Lo ripresero appenaal sicuro e questo canto li accompagnò sino a noi! […]. Tutti i compagni <strong>di</strong> Battaglionesono presenti; a uno ad uno si sono avvicinati ed ora assieme cantiamo. Cantiamole nostre canzoni augurandoci che nei prossimi giorni «Faccia caldo!» 88 .I canti, del resto, specificità dei reparti miliari, sono ampiamente usatianche dalle milizie <strong>della</strong> Rsi.Eppoi c’erano le canzoni – afferma il repubblichino Mazzantini, allora in attività antiguerriglianel Vercellese e in Valsesia –. Tutte quelle canzoni che avevano popolato <strong>di</strong>miti e fantasie la tua adolescenza e che avevano il potere magico <strong>di</strong> ricreare come unanube attorno a te nella quale ti sentivi sciolto da ogni peso.Sì, uccidevamo ma continuavamo a cantare. Lassù fra le montagne facevamo le nostrefaccende <strong>di</strong> sangue, ma al ritorno ce ne scrollavamo <strong>di</strong> dosso il ricordo col frastuonodei nostri canti che rimbombavano sotto i porticati e s’infilavano nelle strade. […]Traversammo quei <strong>di</strong>ciotto mesi <strong>di</strong> o<strong>di</strong> e <strong>di</strong> sangue, con una gran cantata. Era tutta lanostra cultura, tutto ciò che avevamo imparato in quei venti anni dentro i quali eravamonati, e il mezzo attraverso il quale avevamo appreso il mondo. Ne trovammo unaper ogni occasione, ogni stato d’animo: il nostro modo <strong>di</strong> esprimerci. Arrivammo infondo a quella vicenda in una specie <strong>di</strong> ebbrezza che quei canti invariabilmente rinnovavanoa ogni risveglio. Canzoni e canzoni. Che lanciavamo come sfide e come invocazioni,per suscitare in loro echi ormai morti e rimproverarli per quel silenzio. Perchiamarli e insieme colpirli.Esse ti trascinavano fuori <strong>di</strong> te, in una sfera dove tutto sfumava e si fondeva in qualcosa<strong>di</strong> impreciso e inebriante: paure, dubbi, ricor<strong>di</strong> 89 .In combattimento il canto <strong>di</strong>viene una modalità per attizzare lo scontroe riven<strong>di</strong>care la propria fede. Durante un’azione in montagna controi partigiani, ricorda Giose Rimanelli, milite del battaglione «M» <strong>di</strong> stanzaa Vercelli 90 :172


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleDi tanto in tanto le mitraglie s’inceppavano; qualcuno pisciava nel carrello perché erafinito l’olio. Il capitano Mattei era sempre <strong>di</strong>etro i soldati, col binocolo e la pistola inpugno come un eroe <strong>di</strong> celluloide. Gridava: «Cantate, ragazzi! Fate sentire che aveteancora fiato». I soldati attaccavano rabbiosamente:A noi la morte non ci fa pauraci si fidanza e ci si fa all’amor,se poi ci avvince e ci porta al cimiterosi accende un cero – e non se ne parla più.Ma la voce del capitano Mattei stimolava sempre e ripeteva: «Ancora, ancora ragazzi.Morite con le canzoni sulle labbra, le canzoni <strong>della</strong> vostra giovinezza!»Dalla cima del cocomero gli rispondevano risate sarcastiche e scariche che spazzavanoil declivio. La voce beffarda gridava <strong>di</strong>etro al capitano: «Cantate, cantate, coglioni!»[…]All’alba del quarto giorno si sentì cantare dalle postazioni lassù. Quelli cantavano unaloro canzone sulla musica <strong>di</strong> un canto russo. Nella canzone nominavano le stelle il cieloe il vento. Quello che faceva la controvoce <strong>di</strong>ceva: «Scarpe rotte eppur bisogna andar…».«Cantate anche voi», <strong>di</strong>sse il tenente Mazzoni. Allora il soldato Danilo, quelloche era venuto dalla III compagnia e leggeva <strong>di</strong> notte, gli rise in faccia senza pudore.Disse: «I moribon<strong>di</strong> non sanno più cantare. Abbiamo paura <strong>di</strong> perdere l’ultimo filo<strong>di</strong> fiato che ci tiene ancora in vita». Mazzoni non rispose, ma corrugò la fronte. Poiil canto cessò e non si udì altro suono venire dalle postazioni nemiche, come se anchelassù fosse scesa la morte 91 .Dal racconto <strong>di</strong> Rimanelli traspare con chiarezza una particolare circostanzad’uso <strong>della</strong> canzone. I cori non servono solo per dare senso al gruppoe cadenzare il passo lungo le vie citta<strong>di</strong>ne e neppure per rilassarsi incompagnia. Qualsiasi guerra si svolge sia con l’impiego degli armamentiche sul piano psicologico, quin<strong>di</strong> in un conflitto tra italiani lo scontroideologico raggiunge efficacia nelle trasposizioni simboliche. Si spara e sicanta da entrambe le parti: sono vere e proprie battaglie fatte <strong>di</strong> proiettili e<strong>di</strong> voci che cantano e insultano.Tracce dell’uso <strong>della</strong> canzone e nello specifico <strong>di</strong> una vera propria lotta<strong>di</strong> canti emergono anche da documenti scritti del periodo. Durante l’attaccodei garibal<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> Volante «Loss» al presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Fara:Ad un certo momento l’in<strong>di</strong>avolata sparatoria taceva e la voce piena e calma del ViceComandante <strong>di</strong> Btg. Bufalo intimava per la prima volta al nemico la resa, a cui i fascistirispondevano con raffiche <strong>di</strong> mitraglia e con il solito canto dei corvi moribon<strong>di</strong>:«Battaglioni del Duce battaglioni...»173


Filippo ColombaraIl combattimento continuava così, con maggiore o minore intensità per più ore. Il nemiconon cantava più, erano invece i nostri valorosi garibal<strong>di</strong>ni che, incuranti del pericoloe <strong>della</strong> morte passata assai vicino a molti <strong>di</strong> loro, cantavano: «Cosa importa se cichiaman ban<strong>di</strong>ti... Ma il popolo conosce i suoi figli...» 92 .È lotta <strong>di</strong> nervi e <strong>di</strong> armi, <strong>di</strong> consapevolezza e <strong>di</strong> fiducia; l’impiego <strong>della</strong>canzone è l’antidoto alla rassegnazione, un modo per ravvivare lo scontro,per infondere sicurezza e per confermare la superiorità morale delleproprie ragioni.Le lotte simboliche a suon <strong>di</strong> canti e slogan, peraltro, non sono certoun’invenzione <strong>di</strong> questo conflitto, ma sconfinano in un lontano passato.Limitando l’osservazione al Novecento, i precedenti prossimi sono le trincee<strong>della</strong> Grande Guerra. Canti e slogan, quando le linee del fronte eranovicine e a «portata d’orecchio», fecero parte dello scenario <strong>di</strong> guerra. Inquel conflitto, peraltro, grazie alla possibilità in certe zone <strong>di</strong> <strong>di</strong>alogare a<strong>di</strong>stanza, si pervenne a momenti <strong>di</strong> non belligeranza. Frangenti nei quali,a <strong>di</strong>scapito dell’immagine del nemico da o<strong>di</strong>are, propria delle con<strong>di</strong>zioniferine <strong>della</strong> guerra, prevalse l’esatto contrario. «[Nella loro trincea] – ricordal’artigliere Olivo Mossotti – c’erano degli austriaci delle parti del Tiroloche sapevano l’italiano eh, e si parlavano con le nostre vedette. Loro <strong>di</strong>cevano:“Abbiamo fame, dateci qualche pagnotta”. Loro avevano tanto dafumare, ne avevano in abbondanza, allora i nostri ci facevano passare qualchesacchetto <strong>di</strong> pane e non si sparavano mica, nemmeno un colpo <strong>di</strong> niente»93 . Di quel conflitto rimane celebre l’episo<strong>di</strong>o avvenuto la notte del 24<strong>di</strong>cembre 1914, quando in una trincea delle Fiandre alcuni soldati tedeschiiniziarono a cantare Stille Nacht, seguiti da lì a poco da un grande coro edall’inalberarsi <strong>di</strong> cartelli con la scritta: «We not shoot, you not shoot». Dalleparte opposta inglesi e francesi, dopo un attimo <strong>di</strong> perplessità, risposerocon canti natalizi. Uscirono allo scoperto, fraternizzarono e, nonostantegli or<strong>di</strong>ni contrari delle autorità militari, concordarono tre giorni <strong>di</strong> tregua:una piccola pace nella Grande Guerra 94 .Battaglie sonore sono ricordate nel dopoguerra con gli scontri tra socialcomunistie squadristi. A Parma, ad esempio, ricorda una camicia nera<strong>della</strong> prima ora: «La sera del 24 luglio [1921] sette od otto fascisti scendendoper corso Garibal<strong>di</strong> si imbatterono in un gruppo <strong>di</strong> “ar<strong>di</strong>ti del popolo”che cantava “ban<strong>di</strong>era rossa”. I fascisti intonarono allora Giovinezza.Ne nacque un violento tafferuglio» 95 . Sequenza tipica del periodo, certamenteaccaduta in numerose località.174


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleTornando alle trincee, lo scrittore George Orwell, alla guerra <strong>di</strong> Spagnain veste <strong>di</strong> giornalista nel campo repubblicano, annotò: «Ovunque ledue linee fossero a portata <strong>di</strong> voce l’una dall’altra, c’era sempre un grandescambio <strong>di</strong> urla da trincea a trincea. Noi gridavamo: “Fascistas maricones! ”.I fascisti: “Via España! Viva Franco!” – o quando sapevano <strong>di</strong> avere degliinglesi davanti: “Tornatevene a casa vostra, inglesi! Non vogliamo stranieriqui!”» 96 . In quel conflitto, la possibilità <strong>di</strong> scambiarsi invettive dalle trinceevenne sfruttata in modo «scientifico» sul piano <strong>della</strong> propaganda ufficiale.L’organo <strong>di</strong> stampa del Quinto reggimento repubblicano pubblicò in<strong>di</strong>cazioniprecise per i propri combattenti sull’uso psicologico <strong>della</strong> comunicazionepolitica a mezzo altoparlanti 97 . L’efficacia <strong>di</strong> queste voci è ricordatada un militare italiano inquadrato nelle truppe fasciste:Mentre noi eravamo in linea sentivamo degli altoparlanti dall’altra parte, dalla spondaopposta, che non facevano altro ripeterci: «Fratelli, compagni, fratelli – no compagni,fratelli ci chiamavano – fratelli ma che cosa fate – <strong>di</strong>ce – siete venuti in Spagna perché?Per combattere contro i vostri fratelli? Cercate <strong>di</strong> ritirarvi, cercate <strong>di</strong> trovare il mezzoper andare via perché tanto – <strong>di</strong>ce – la guerra la perdete. Anche se non perdete questa,che sicuramente può darsi che la vincerete, avete una forza <strong>di</strong> più <strong>di</strong> noi, però perderetetutto il resto, Voi non le capite queste cose» e allora poi ci cominciavano a cantare dellecanzoni, insomma ma ci <strong>di</strong>cevano sempre queste cose in tutti… io ricordo che in tre oquattro fronti che ho fatto sull’Ebro, sul Guadalajara specialmente, e insomma in altrezone ma praticamente quelle che le battaglie più forti son state sull’Ebro, l’Ebro è statauna cosa incre<strong>di</strong>bile proprio, e loro ci ripetevano sempre queste cose qua 98 .La guerra a parole, improperi e canti resta attiva fin tanto che persistonole con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> un suo impiego. Le competizioni canore, peraltro, assolverannoa nuovi compiti nei contesti artistici del Novecento, prestandosia un uso teatrale e narrativo. Specie nelle fiction cinematografiche esseoffriranno le migliori con<strong>di</strong>zioni per fissare e sottolineare la loro pregnanzaallegorica 99 .Canta che ti passaLa canzoni, in questi contesti e più in generale in quelli culturali e identitari<strong>della</strong> Resistenza, svolgono un compito particolarmente incisivo. Ilfatto che in un brevissimo lasso <strong>di</strong> tempo ogni formazione abbia costituitoun proprio repertorio canoro, <strong>di</strong>mostra l’importanza attribuita ai can-175


Filippo Colombarazonieri. Non vi è originalità nei canti partigiani, quasi tutti i testi impieganomelo<strong>di</strong>e conosciute e qualche salto nel gusto estetico andrebbe compiuto100 ; tuttavia, proprio in questi atteggiamenti, l’aver scelto arie note a voltebanali ma facilmente ricantabili, si rinviene la loro specificità. <strong>Del</strong> resto:«Come avrebbe potuto propagarsi in quelle con<strong>di</strong>zioni un canto affidato auna melo<strong>di</strong>a del tutto nuova, quin<strong>di</strong> sconosciuta ai partigiani? Guerrigliae corsi d’insegnamento musicale sono cose incompatibili» 101 . Inoltre, altracaratteristica dei canti è la loro creazione anonima. I testi <strong>di</strong> numerose canzoni,dai moduli musicali eterogenei (militari, popolari, politici, <strong>di</strong> musicaleggera, ecc.), non nascono dalla penna <strong>di</strong> letterati, ma dagli uomini delleformazioni. Singolarità per la quale «il canto spontaneo si definisce comemezzo d’indagine <strong>di</strong> un’epoca e <strong>di</strong> una situazione, più preciso e spietato,forse, <strong>di</strong> altri strumenti storiografici» 102 . In effetti, in quel momentomaturano repertori co<strong>di</strong>ficabili come modelli espressivi <strong>di</strong> una nuova comunicazioneorale, ma, <strong>di</strong>versamente dal passato risorgimentale, estraneaalla tra<strong>di</strong>zione letteraria nazionale. Non <strong>di</strong>fferenze dovute a proce<strong>di</strong>mentistilistici ma vere e proprie modalità alternative <strong>di</strong> creazione del canto. Anchela stampa partigiana comunista, infarcita dalla retorica del tempo, delineaquesti tratti:Son nati i primi canti partigiani fra quelle montagne, quei canti che fanno fremere,quei canti che ricordano un passato, che ricordano il secondo Risorgimento italiano.«Urla in vento, fischia la bufera»; è il Partigiano che la canta, è colui che ha resistito allatormenta pensando al domani dell’Italia nostra.«Che importa se ci chiamano ban<strong>di</strong>ti» 103 . Sono i veri Italiani che lo gridano da quellemontagne a tutti. Loro sapevano che il popolo italiano conosceva i suoi figli, loro sapevanoche a casa la vecchia mamma pregava per loro e <strong>di</strong>ceva con orgoglio: «Mio figliocombatte per la Patria, è lassù sui monti, ma un giorno verrà ad abbracciarmi» 104 .I canti hanno poi la particolarità <strong>di</strong> smuovere gli animi, <strong>di</strong> far sgorgareforti emozioni nelle occasioni più tragiche, che certo non mancano, comele esecuzioni per rappresaglia. Un episo<strong>di</strong>o fra i tanti: il primo novembre1944, al porto <strong>di</strong> Castelletto Ticino vengono condotti sei partigiani prigionieriper essere fucilati come atto <strong>di</strong> rappresaglia per l’uccisione <strong>di</strong> un ufficiale<strong>della</strong> Decima Mas. Sul piazzale del porto vengono tradotti anche se<strong>di</strong>ciostaggi e tutta la gente del posto trovata. I condannati giungono conun barcone e alla vista <strong>della</strong> popolazione, ricorda l’unico scampato: «Cimettiamo a cantare un inno partigiano più con la forza dell’istinto che con176


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalequella <strong>della</strong> ragione» 105 . Poi, allineati davanti al plotone <strong>di</strong> esecuzione intonano«Che importa se ci chiaman ban<strong>di</strong>ti, il popolo conosce i suoi figli».Il capitano Ungarelli <strong>della</strong> Decima Mas legge la condanna a morte, ma incalzatodalla popolazione è costretto a concedere la vita al più giovane delgruppo, Alfonso <strong>Boca</strong> <strong>di</strong> <strong>di</strong>ciassette anni. I condannati allora riprendono acantare accompagnati in coro da <strong>di</strong>versi paesani e una donna, rompendo ilcordone <strong>della</strong> milizia, si butta verso i prigionieri incitandoli a continuare ilcanto. Viene dato l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> fuoco e i partigiani muoiono gridando: «Vival’Italia, Viva i Partigiani» 106 .Il valore intrinseco del canzoniere partigiano sta anche in questo: esserecapace, in momenti <strong>di</strong> intensa partecipazione emotiva, <strong>di</strong> accompagnarei condannati nel loro ultimo atto <strong>della</strong> vita. «Canto – scrive Soreghina,cantiamo tutti ed a un tratto una commozione profonda mi prende l’animae sento qualcosa che mi fa male al cuore: sono le parole, sono i motivi<strong>di</strong> questi canti fioriti tra una battaglia e l’altra» 107 . Sarà l’afflato poetico checolpisce ma se, come aggiunge la staffetta garibal<strong>di</strong>na, vi sono ragazze nellecittà «che attendono con ansia il testo d’una canzone partigiana per impararla»,<strong>di</strong> sicuro biglietti e fogli con riportati canti partigiani sono minuziosamentericercati dai fascisti.La Teresina da ragazza lavorava [a Omegna] alla Lagostina o in una <strong>di</strong> quelle fabbrichelì dopo il Molinetto. Tutte le mattine, con altre due compagne, doveva passare il posto<strong>di</strong> blocco che c’era vicino alla Cobianchi e una volta un milite l’ha fermata e gli hafrugato nella borsa. La Teresina ha detto: «Cosa cercate?». Cerco foglietti con le canzonipartigiane». «Noi le canzoni partigiane le abbiamo in testa e non scritte». Ha avutoquel coraggio lì, <strong>di</strong> <strong>di</strong>re una cosa del genere 108 .Questo si racconta <strong>di</strong> Teresina, mentre la staffetta partigiana «Biancaneve»,ricorda che al momento del secondo arresto, introdotta nel localecomando <strong>di</strong> Boleto, le si fa ascoltare al pianoforte la melo<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Fischiail vento e le viene rivolta la domanda: «Le piace questa canzone?» 109 ,come avvio a una serie <strong>di</strong> sevizie e brutalità che subisce la giovane donnaprima <strong>di</strong> essere incarcerata a Torino. Ma accade <strong>di</strong> peggio: per un bigliettoche riporta il testo <strong>di</strong> una canzone partigiana, trovatogli in tasca, il se<strong>di</strong>cenneGlauco Bergamotti <strong>di</strong> Romagnano Sesia è fucilato dai repubblichininel luglio 1944 110 .Le canzoni partigiane si assumono come monito e sprone alla lotta, anzi,le musiche e i testi <strong>di</strong> questi brani rientrano nella sfera <strong>della</strong> sacralità,177


Filippo Colombaracui va prestato il dovuto rispetto. Per motivi del genere, per la capacità chehanno i canti <strong>di</strong> toccare le corde dei sentimenti e <strong>di</strong> trasfondere idealità econvincimenti, non è possibile banalizzarne l’uso.Ci <strong>di</strong>cono alcuni garibal<strong>di</strong>ni, che in molte serate danzanti le varie orchestrine suonino«Scarpe rotte», la canzone dei partigiani d’Italia, e che i ballerini si affrettino a danzareal suono <strong>di</strong> questa canzone.Checché ne <strong>di</strong>cano gli inten<strong>di</strong>tori, «Scarpe rotte» non è un ballabile. Lo potrà essereper musica e ritmo, ma non lo può e non lo deve essere per ragioni sentimentali.«Scarpe rotte», che ricorda i morti, i torturati, i feriti, non deve essere affidato al movimentopiù o meno sincopato <strong>di</strong> pie<strong>di</strong> in moto, ma al palpitare del cuore che ritornaa rivivere ore e momenti <strong>della</strong> vita partigiana.Si suoni prima o dopo il ballo, se la serata è in onore dei partigiani, ed anche senza salutaree o mettersi sull’attenti, ma ascoltando in silenzio, intimamente: non si sciuperàla memoria <strong>di</strong> Chi è caduto con la canzone «Scarpe rotte» sulle labbra insanguinate 111 .Usanze <strong>di</strong> morte, trofei <strong>di</strong> guerraFinite le grida, terminati i combattimenti, si compie l’ultima arcaicaconsuetu<strong>di</strong>ne: il vilipen<strong>di</strong>o del cadavere del nemico 112 e la sua rituale spoliazione.Il vilipen<strong>di</strong>o del cadavere è un tema ricorrente e più volte affrontatonegli stu<strong>di</strong> sulla Resistenza 113 . Protagonisti d’eccellenza sono i militi <strong>di</strong> Salòe le truppe naziste, coloro che detengono il formale controllo del territorio;la guerriglia partigiana, invece, attestata nelle vallate alpine con parzialie temporanei momenti <strong>di</strong> contropotere, solo con l’insurrezione dell’aprile1945 esibirà la propria egemonia. Il predominio nel territorio deinazifascisti è sancito in sostanza dal potere <strong>di</strong> vita o <strong>di</strong> morte che essi esercitano.<strong>Del</strong> resto, attraverso questa potestà, ultima tra le opzioni possibili,passerà la legittimazione <strong>della</strong> Rsi in quei venti mesi 114 . Fucilazioni e mortiviolente <strong>di</strong>vengono per i citta<strong>di</strong>ni monito dell’orribile sorte imposta alnemico. Guida alla <strong>di</strong>dattica funeraria sono gli effetti prodotti dall’esposizionedei cadaveri, una truce rappresentazione che deve impaurire la popolazionee renderla inoffensiva. In numerose circostanze, quin<strong>di</strong>, all’eliminazionedell’avversario, solitamente me<strong>di</strong>ante fucilazione 115 , segue l’or<strong>di</strong>ne<strong>di</strong> lasciare i corpi inanimati come pubblico ammonimento. In alcuni casianche i caduti in combattimenti <strong>di</strong> montagna sono trasportati in paese edesposti, come capita il 22 ottobre 1944 ai <strong>di</strong>eci partigiani, tra cui una don-178


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalena in stato <strong>di</strong> gravidanza, uccisi dai tedeschi all’alpe Meccia, in valle Anzasca,e fatti trasportare a Macugnaga. Agli occhi degli abitanti, l’immagine<strong>di</strong> quel mesto corteo <strong>di</strong> corpi legati mani e pie<strong>di</strong> a lunghe pertiche e portatia spalla da venti valligiani precettati, evoca gli esiti <strong>di</strong> un safari, piuttostoche un atto <strong>di</strong> pietas del vincitore. Infatti, anziché essere deposti al cimiteroper la sepoltura, vengono allineati come trofei <strong>di</strong> caccia all’ingresso delpaese e lì lasciati bene in vista 116 .La pratica <strong>di</strong> segnare il territorio con l’esposizione <strong>di</strong> cadaveri, non pareperò una norma co<strong>di</strong>ficata e l’atteggiamento muta a seconda delle circostanzee degli umori degli esecutori. Ciò vale per i <strong>di</strong>eci fucilati <strong>di</strong> Ghemmeil 6 marzo 1945: «Portare via subito i corpi – or<strong>di</strong>na il comandante tedesco–. Portarli al cimitero con un carro. Provvedere le bare. Sotterrarliimme<strong>di</strong>atamente, senza lacrime, senza rito, senza preghiere e senza nessunaccompagnamento», altrimenti, «in caso <strong>di</strong> trasgressione, impiccheremo<strong>di</strong>eci persone al balcone del Municipio» 117 . Anche per i sette uccisi incombattimento a Casalino il 30 marzo ’45, viene or<strong>di</strong>nato al segretario comunale:«Adesso provvedete al seppellimento dei morti ma senza fare alcunacerimonia. Ne va <strong>della</strong> vostra vita e <strong>di</strong> quella del prete, se fate <strong>di</strong>versamente»118 .Un’altra consuetu<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> carattere pedagogico adottata durante le esecuzioni,quella <strong>di</strong> far presenziare la popolazione al fatto, è in qualche caso<strong>di</strong>sattesa. Prima <strong>della</strong> fucilazione degli otto partigiani e del personale me<strong>di</strong>cocatturato a Forno, il tenente De Filippi <strong>della</strong> «Tagliamento» or<strong>di</strong>na alparroco: «Ora chiami la popolazione che venga ad assistere all’esecuzione».Al rifiuto del curato, l’ufficiale ribatte: «Allora assista lei per tutti» 119 . Anchele conclusioni del macabro rituale, l’inumazione dei cadaveri, non siattiene a identiche procedure. In occasione <strong>di</strong> questo ecci<strong>di</strong>o, a fucilazioneavvenuta, il comandante dell’operazione, tenente Fabbri, or<strong>di</strong>na <strong>di</strong> lasciareesposti i cadaveri fino a sera e dopo <strong>di</strong> darvi sepoltura. Don Zolla annotasul suo <strong>di</strong>ario: «Dal tenente Fab[b]ri ottenni <strong>di</strong> far loro un semplice funeraleche poi fu solenne. Alle mie insistenze per i funerale il Fab[b]ri <strong>di</strong>ssemi:“Dei cadaveri non mi curo”» 120 . Altra cerimonia funebre che si cerca<strong>di</strong> celebrare in forma solenne, con numerosa folla nonostante il <strong>di</strong>vieto,è quella, già citata, per Nar<strong>di</strong>no Bariselli, uno dei caduti <strong>di</strong> Chesio. Solol’intervento all’ultimo momento del repubblichini impe<strong>di</strong>sce l’accesso <strong>della</strong>popolazione al cimitero <strong>di</strong> Crusinallo per le esequie. Altri episo<strong>di</strong> testimonianola riottosità verso le prescrizioni. I corpi dei do<strong>di</strong>ci trucidati <strong>di</strong>179


Filippo ColombaraBorgoticino del 13 agosto 1944, rimossi dai parenti dopo la fucilazione,vengono fatti riportare in piazza dagli uomini <strong>della</strong> Decima Mas. Occorreattendere il giorno seguente perché si autorizzi il trasporto delle salmeal cimitero: «L’or<strong>di</strong>ne era <strong>di</strong> caricarle tutte in una volta su <strong>di</strong> un carro e <strong>di</strong>inumarle così com’erano, senza neanche una bara», ma ancora una voltai parenti si ribellano e li seppelliscono in casse singole 121 . Si infrangono lenorme anche per i <strong>di</strong>eci fucilati <strong>di</strong> Rozzo <strong>di</strong> Borgosesia il 19 luglio 1944.Annota il giornale garibal<strong>di</strong>no: «Le salme dei giovani colpiti a tra<strong>di</strong>mentodal piombo nemico vennero tumulate il giorno seguente in <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enzaall’or<strong>di</strong>ne e alla mesta cerimonia intervenne un prete in cotta e stola e glialtri in nero» 122 . Così pure accade per i trucidati alla Garella, nella pianuravercellese a metà marzo 1945. Dopo la fucilazione: «Furono sepolti nel cimitero<strong>di</strong> Buronzo, ma mezzora dopo i do<strong>di</strong>ci martiri con le membra <strong>di</strong>laniateed ancor calde <strong>di</strong> sangue, con l’aiuto <strong>della</strong> popolazione, venivano caricatisu <strong>di</strong> un automezzo partigiano e portati via» 123 .Da questi esempi appare chiaro che il protocollo delle esecuzioni nonsegue un copione preciso. I quattro momenti in cui è sud<strong>di</strong>visibile l’evento:adunata <strong>della</strong> popolazione; lettura <strong>della</strong> condanna ed esecuzione; esposizionedei cadaveri, inumazione senza esequie pubbliche, risultano spessoprivi <strong>di</strong> qualche loro parte. Valgono invece le linee generali, la <strong>di</strong>mostrazionedel potere e l’esercizio <strong>della</strong> forza attraverso l’uccisione del nemico eil vilipen<strong>di</strong>o del cadavere. Un <strong>di</strong>sprezzo che alla fine dei combattimenti sitrasforma in accanimento con la pratica dei militi fascisti <strong>di</strong> infierire all’armabianca su moribon<strong>di</strong> e cadaveri.Gli episo<strong>di</strong> sono numerosi e il comportamento pare quasi seriale. Limitandocia considerare il Borgomanerese, una piccola area del me<strong>di</strong>o Novarese,si può re<strong>di</strong>gere un triste elenco: il 5 settembre 1944 lungo la provincialeCressa-Bogogno vengono uccisi e straziati i corpi <strong>di</strong> quattro civilicon i pugnali 124 ; il 18 novembre 1944 a Invorio Inferiore una pattuglia <strong>della</strong>Gnr, grazie a una delazione sorprende e uccide a colpi d’arma da fuocoun garibal<strong>di</strong>no del battaglione «Bariselli», ma non sod<strong>di</strong>sfatti si avventanosul corpo «massacrandolo a pugnalate» 125 ; il 23 febbraio 1945 a Cressa sonotrucidati e seviziati con pugnali i partigiani <strong>della</strong> Volante «Loss» Mora eGibin 126 ; il 28 marzo 1945 a Invorio Superiore, ultimo del gruppo <strong>di</strong> un<strong>di</strong>cigaribal<strong>di</strong>ni sorpresi in una cascina e massacrati, il se<strong>di</strong>cenne «Matteotti»è trucidato a colpi <strong>di</strong> pugnale 127 . Fine simile tocca a tre partigiani <strong>della</strong>«Beltrami» una decina <strong>di</strong> giorni prima dell’insurrezione, il 12 aprile sopra180


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleOmegna. I tre giovani vengono rinvenuti colpiti da proiettili <strong>di</strong> mitra, ma«mostruosamente pugnalati in viso e per tutto il corpo» 128 .Brutalità del genere, sostenute dalla <strong>di</strong>sumanizzazione dell’avversariocome con<strong>di</strong>zione esiziale <strong>della</strong> guerra, si annoverano in quella sorta <strong>di</strong>«esaltazione da campo <strong>di</strong> battaglia», presente su tutti i fronti che induce isoldati, frustrati ed esasperati dal conflitto, a ven<strong>di</strong>carsi sul nemico e sullesue spoglie 129 .Oltraggi ai cadaveri si possono enumerare in un’ampia casistica: dall’irriverenzadel comandante <strong>della</strong> brigata nera «Cristina», che mentre consumaun panino dà il colpo <strong>di</strong> grazia a uno dei due <strong>di</strong>sertori fucilati a Biandrateil 23 ottobre 1944 130 ; agli sputi delle ausiliarie novaresi sui corpi deipartigiani trucidati in piazza Cavour il 24 ottobre 1944; alle pedate e aicolpi d’arma da fuoco <strong>di</strong> tedeschi e fascisti ai quarantadue fucilati <strong>di</strong> Fondotoceil 20 giugno 1944 131 ; alla brutalità con cui viene trattato il cadaveredel partigiano Peppino Beldì, ucciso con due compagni in un’imboscata aNebbiuno il 16 luglio 1944 e secondo alcune voci decapitato 132 .Un’efferatezza del genere, in quella circostanza, non dovrebbe essere avvenuta133 , ciononostante spiccare teste dei nemici è una pratica usata dagliitaliani nelle guerre fasciste e documentata dai souvenir fotografici 134 . Durantela Resistenza si annoverano altri casi del genere come quello del novaresePier Angelo Parzini, il quale, catturato dai tedeschi in provincia <strong>di</strong>Savona il 23 novembre 1944, per due ore viene «sottoposto alle torture piùatroci, poi gli hanno troncato il capo e hanno portato in giro, su una picca,la testa mozza, come un trofeo» 135 . Fatti veritieri o spesso voci <strong>di</strong> guerrache si propagano – incutendo quell’orrore e quel timore voluti da chili pone in atto – rendono più terribile la guerra e il suo ricordo. «La testaal Peppino Beldì non è stata tagliata… Una storia tremenda che ho sentito<strong>di</strong>re è successa vicino a Invorio; a un partigiano gli hanno tirato fuori ilcuore e gli hanno messo dentro una scarpa… Poi i genitori sono andati sua vedere. […] Ricordo poi quella notte che hanno ammazzato gli ebrei nellago, da qui sopra sentivamo le urla» 136 .Ultima fase dei combattimenti è la spoliazione dei cadaveri. Depredarei corpi, impossessarsi <strong>di</strong> armi, indumenti e oggetti del nemico, quale <strong>di</strong>mostrazionedel proprio valore e scherno <strong>della</strong> vittima, appartengono ai bennoti riti <strong>di</strong> guerra. In epoche antiche per i guerrieri era <strong>di</strong>sonorevole lasciarespogliare delle armi i propri caduti e non <strong>di</strong>fenderne il cadavere. Nell’Iliade,Sarpedonte, re <strong>di</strong> Licia e alleato dei troiani, colpito a morte da Pa-181


Filippo Colombaratroclo si rivolge a Glauco, altro comandante dei lici, per spronarlo alla lotta,chiedendogli <strong>di</strong> proteggere le proprie spoglie:Caro Glauco, – gli <strong>di</strong>sse – or t’è mestieribuon guerriero mostrarti, e oprar le maniaudacemente. Te dell’aspra pugna,se magnanimo sei, l’incarico assumi:corri, vola, e de’ Lici i capitanialla <strong>di</strong>fesa del mio corpo accen<strong>di</strong>.Difen<strong>di</strong>lo tu stesso, per l’amicocombatti: infamia ti deriva eterna,se me dell’armi mie spoglia il nemico,me pel certame delle navi ucciso 137 .Sottrarre armi ed effetti personali ai cadaveri è in uso anche nella guerracivile italiana: dall’abitu<strong>di</strong>ne, consolidata da ambo le parti, <strong>di</strong> trafugarele calzature dei morti, all’esibizione degli oggetti. A Megolo, «gli squadristiPossenti e Poletti si accontentano <strong>di</strong> vilipendere i cadaveri, <strong>di</strong> toglierela giacca <strong>di</strong> pelle <strong>di</strong> pecora e lo zucchetto bianco-blu al morto Beltrami.I due nel tardo pomeriggio si vanteranno, all’albergo “Sempione” <strong>di</strong> Gravellona,<strong>della</strong> loro partecipazione all’ecci<strong>di</strong>o mostrando quei trofei, provache il capo partigiano è morto» 138 . E così, al commissario politico <strong>della</strong>Volante «Loss», Santino Campora, ucciso in combattimento il 16 marzo1945: «Mani avide e <strong>di</strong> persone, che non capivano nemmeno la Causa percui combattevano, gli strapparono mostrine e gra<strong>di</strong>, gli tolsero le armi, ilportafoglio, la borsa e gli scarponi. Credevano <strong>di</strong> <strong>di</strong>sonorarlo, non sapendoche Santino era già entrato nella Legione degli Eroi, mentre loro si rilevaronocome miserabili ladri» 139 . Altro episo<strong>di</strong>o accade una mattina allafine dello stesso mese nei pressi <strong>di</strong> Casalino, dove i militi <strong>della</strong> «Muti» sorprendonoun gruppo <strong>di</strong> partigiani <strong>della</strong> «Loss» e ne uccidono sette in combattimento.Al dopopranzo:Verso le tre<strong>di</strong>ci alcune <strong>di</strong> quelle autentiche belve ritornarono sul luogo del delitto percompiervi nuove e crudeli atrocità: fra essi era un criminale <strong>di</strong> 16 anni. Raggiunsero icadaveri, li spogliarono <strong>di</strong> quanto avevano indosso <strong>di</strong> prezioso, quin<strong>di</strong> li sfregiarono eli seviziarono coi pugnali. «Per vincere ci vogliono i leoni» <strong>di</strong>cevano in una delle loroorribili canzoni. Ed altro non erano che iene e sciacalli. Tirarono <strong>di</strong> pugnale all’occhiodestro e al collo <strong>di</strong> Poletti; a Destefano squarciarono il ventre e vi introdussero una pipa;il viso <strong>di</strong> Roncaglione e <strong>di</strong> altri era deturpato, e al medesimo Roncaglione non si182


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleperitarono <strong>di</strong> togliere scarponi, calzettoni e un orologio d’oro che recava al braccio.Anzi colui che seppe compiere tale prodezza, non trovò <strong>di</strong> meglio che vantarsene, poi,in paese, ostentando l’orologio. «Questo – <strong>di</strong>ceva – è del vostro studentello. Adesso èlaggiù il vostro studentello... Andatelo a trovare» 140 .Infine, vi è quell’abitu<strong>di</strong>ne «moderna» del tempo <strong>di</strong> guerra <strong>di</strong> conservarele fotografie <strong>di</strong> ecci<strong>di</strong>, fucilazioni e altre crudeltà. Scrive Gershon Taffetnel 1945: «Questi criminali avevano una pre<strong>di</strong>lezione speciale, molto caratteristicaper comprendere la loro mentalità, <strong>di</strong> assicurarsi degli “affascinanti”ricor<strong>di</strong> delle loro imprese criminali e sanguinose. Essi tendevano soprattuttoa eternizzare le loro azioni nel momento stesso in cui si compivanocon l’aiuto <strong>della</strong> fotografia. È a questo comportamento che noi dobbiamouna fonte documentaria <strong>di</strong> primario valore» 141 .Tedeschi, come nel caso <strong>di</strong> Taffet, ma anche italiani e più in generalesoldati <strong>di</strong> tutti gli eserciti, sono stati e sono ancora fruitori <strong>di</strong> una notevoleproduzione <strong>di</strong> immagini atroci <strong>della</strong> guerra. Oggi, ben <strong>di</strong>sposte negli albumfamiliari, paiono <strong>di</strong>scutibili souvenir del tempo che fu, ma allora svolserola macabra funzione <strong>di</strong> esorcizzare il pericolo e lo spettro <strong>della</strong> morte142 . Se come trofeo non si possiede un oggetto del nemico o persino unaparte del suo corpo 143 , l’immagine che lo ritrae definitivamente sconfittoinfilata nel portafoglio può bastare. Si tratta <strong>di</strong> fotografie realizzate dai possessori,oppure acquistate al fiorente mercato delle immagini come quellefamose dei cadaveri <strong>di</strong> Mussolini, <strong>della</strong> Petacci e degli altri gerarchi a piazzaleLoreto. Immagini <strong>di</strong>ffuse in migliaia <strong>di</strong> copie a livello semiclandestinoe finite persino negli album ricordo degli alleati 144 , che <strong>di</strong>venteranno pertutti le tragiche icone <strong>della</strong> fine del regime 145 .183


Filippo ColombaraNote al testo1PIETRO RASTELLI, Battaglie <strong>della</strong> «Strisciante». Azioni <strong>di</strong> guerriglia in Valsesia dell’84ª Brigata Garibal<strong>di</strong>«Strisciante Musati» nel <strong>di</strong>ario del suo comandante, Millenia, Novara 1998, p. 12.2ACS, Rsi, Guar<strong>di</strong>a nazionale repubblicana, 1943-1945, b. 33, f. 4, Carteggi Legione Intra, notadel primo maggio 1944.3Dal 28 gennaio 1944 la ban<strong>di</strong>era tricolore delle forze combattenti <strong>della</strong> Repubblica sociale italianareca lo stemma <strong>di</strong> un’aquila nera poggiata su fascio littorio.4Su aspetti del genere, stu<strong>di</strong>ati ad esempio per l’esperienza statunitense, cfr. ALESSANDRO POR-TELLI, Con inni e ban<strong>di</strong>ere. Il conflitto culturale nello sciopero <strong>di</strong> Harlan (1931-32), in La culturadelle classi subalterne fra tra<strong>di</strong>zione e innovazione, atti del convegno <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, Alessandria, 14-16marzo 1985, a cura <strong>di</strong> Roberto Botta, Franco Castelli e Brunello Mantelli, Isral-E<strong>di</strong>zioni dell’Orso,Alessandria 1988, pp. 151-168.5DAVID I. KERTZER, Riti e simboli del potere, Laterza, Roma-Bari 1989, p. 17. Come per i riti <strong>della</strong>politica stu<strong>di</strong>ati dall’antropologo Kertzer, quelli <strong>della</strong> Resistenza mettono in atto un processosimbolico al <strong>di</strong> fuori del sacro (cfr. EMILE DURKHEIM, Le forme elementari <strong>della</strong> vita religiosa[1915], E<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> Comunità, Milano 1963), ma parimenti prescrivono le regole <strong>di</strong> comportamentodegli in<strong>di</strong>vidui.6FRANCO FORNARI, Psicoanalisi <strong>della</strong> guerra, Feltrinelli, Milano 1970, p. 40.7Rituale attivato per evitare il senso <strong>di</strong> colpa e segnare la rottura del tempo <strong>di</strong> pace con l’avvento<strong>della</strong> guerra.8FRANCO FORNARI, Psicoanalisi <strong>della</strong> guerra cit., pp. 40-41.9Silvio Nebbia (1921), operaio; intervistato da Virginia Paravati e Filippo Colombara a Omegnail 22 ottobre 2002; brano e<strong>di</strong>to in Il pane e le parole. Testimonianze orali sugli usi alimentari nelCusio (1900-1950), a cura <strong>di</strong> Virginia Paravati, Casa dell’Anziano «Massimo Lagostina», Omegna2002, pp. 57-58 (<strong>di</strong>spensa in offset). Traduzione delle parti <strong>di</strong>alettali: «Micio, micio», luil’ha portato via e abbiamo fatto polenta e gatto […]. «Domani ci ve<strong>di</strong>amo in piazza». […] «…sono affari suoi». E <strong>di</strong>fatti sono venuti tutti insieme a me, eh: in montagna.10ARNOLD VAN GENNEP, I riti <strong>di</strong> passaggio [1909], Bollati Boringhieri, Torino 1981, p. 30.11Cfr.: PAOLA CORTI, Paese d’emigranti. Mestieri, itinerari, identità collettive, Franco Angeli, Milano1990, pp. 148-153; FILIPPO COLOMBARA, Pietre bianche. Vita e lavoro nelle cave <strong>di</strong> granitodel lago d’Orta, Alberti libraio, Verbania 2004, pp. 186-187.12ARNOLD VAN GENNEP, I riti <strong>di</strong> passaggio cit., p. 31.13FRANCO CASTELLI, Miti e simboli dell’immaginario partigiano: i nomi <strong>di</strong> battaglia, in Conta<strong>di</strong>nie partigiani, Atti del convegno storico (Asti, Nizza Monferrato, 14-16 <strong>di</strong>cembre 1984), E<strong>di</strong>zionidell’Orso, Alessandria 1986, p. 287.14Ibid., pp. 308-309. L’autore rimanda all’importanza <strong>della</strong> categoria del carnevalesco nella storia<strong>della</strong> cultura, presente in MICHAIL BACHTIN, L’opera <strong>di</strong> Rabelais e la cultura popolare. Riso,carnevale e festa nella tra<strong>di</strong>zione me<strong>di</strong>evale e rinascimentale, Einau<strong>di</strong>, Torino 1979.15Cfr.: Ibid., pp. 285-309; ID., Antropologia linguistica <strong>della</strong> Resistenza: i nomi <strong>di</strong> battaglia partigiani,«Rivista italiana <strong>di</strong> <strong>di</strong>alettologia», Bologna, 10, 1986, pp. 161-218; ID., Dai ruolini <strong>della</strong>”Pinan-Cichero”: i nomi <strong>di</strong> battaglia <strong>della</strong> brigata Oreste, «Quaderni <strong>di</strong> storia contemporanea»,Alessandria, Isral, 1, 1987, pp. 101-116; ID., Maschere, simboli, miti: note sull’immaginario partigiano,in Con le armi, senza le armi. Partigiani e resistenza civile in Piemonte (1943-1945), catalogo<strong>della</strong> mostra a cura degli Istituto storici <strong>della</strong> resistenza del Piemonte e dell’Archivio na-184


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalezionale cinematografico <strong>della</strong> resistenza, Agorà libreria, Torino 1995, pp. 28-33; CESARE BER-MANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia. L’esperienza dei garibal<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> Valsesia, vol. II, Isrsc Bi-Vc, Borgosesia1995, pp. 271-299; PAOLO ZURZOLO, Onomastica partigiana nel Bolognese, «Bibliomanie.<strong>Ricerca</strong> umanistica e orientamento bibliografico», 4, 2006, http://www.bibliomanie.it.16MARIO MARCHIONI, Filippo Maria Beltrami «il Capitano». La resistenza nel Cusio dal novembre1943 al febbraio 1944, Mursia, Milano 1980, p. 107.17GUIDO WELLIER, La bufera. Una famiglia <strong>di</strong> ebrei milanesi con i partigiani dell’Ossola, Giuntina,Firenze 2002, p.117.18Giuliana Gadola Beltrami, intervistata da Franco Antonicelli in Ancr-Isrn, Non c’è tenente nécapitano... li chiamavano briganti, documentario <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Cormio, Torino, I Quaderni delNuovo Spettatore, 1994, p. 24.19GUIDO WELLIER, La bufera cit., pp. 118-119.20Isrsc Bi-Vc, Comando raggruppamento, Al Comando Generale delle brigate “Garibal<strong>di</strong>”, oggetto:Giuramento, 9 <strong>di</strong>cembre 1944; documento citato in CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerrigliacit., vol. I, t. 2, Isrsc Bi-Vc, Borgosesia, 2000, p. 328.21Meglio sarebbe stato, secondo il Comando generale, che la formula in unica versione fosseadottata da tutte le formazioni, anche non garibal<strong>di</strong>ne, evitando <strong>di</strong> «richiedere giuramentiche potrebbero apparire <strong>di</strong> parte» (Isrsc Bi-Vc, Comando generale delle brigate d’assalto «Garibal<strong>di</strong>»,Al Comando raggruppamento <strong>di</strong>visioni «Garibal<strong>di</strong>» Valsesia-Ossola-Cusio-Verbano, prot.514, 20 <strong>di</strong>cembre 1944; documento citato in CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia, vol. I, t.2 cit., p. 328.22Isrsc Bi-Vc, Anpi, Comitato provinciale <strong>di</strong> Biella ai ministeri <strong>di</strong> Giustizia e degli Interni, letteradel 17 gennaio 1946.23Isrsc Bi-Vc, Comando <strong>della</strong> I <strong>di</strong>visione alla brigata «Osella», lettera del 29 ottobre 1944. Questoe gli altri documenti sui matrimoni partigiani che seguono sono citati in CESARE BERMANI,Pagine <strong>di</strong> guerriglia, vol. I, t. 2, cit., p. 530-532.24Isrsc Bi-Vc, Comando <strong>della</strong> I <strong>di</strong>visione al Comando <strong>di</strong> raggruppamento, relazione del 12 <strong>di</strong>cembre1944.25Cfr. Partigiani a colori nelle <strong>di</strong>apositive <strong>di</strong> Carlo Buratti, a cura <strong>di</strong> Alberto Lovatto, Isrsc Bi-Vc,Borgosesia 2000, p. 58.26Le informazioni sono desunte dall’intervista ad Alba <strong>Del</strong>l’Acqua, realizzata da Cesare Bermania Milano il 6 marzo 1971. La lettera <strong>di</strong> felicitazioni <strong>di</strong> Ciro, datata 21 marzo 1945, è conservatadalla testimone, cfr. CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia, vol. I, t. 2 cit., p. 531-532.27Ibid., p. 532.28«Unità e Libertà», giornale <strong>della</strong> 2ª <strong>di</strong>visione garibal<strong>di</strong>na, Villadossola, 22 settembre 1944.29LAURA GIORIA, Ci sposiamo nella chiesa <strong>di</strong> Bognanco Fonti, in PAOLO BOLOGNA, Il prezzo <strong>di</strong> unacapra marcia. Voci <strong>di</strong> resistenti ossolani, Giovannacci, Domodossola 1976², pp. 114-115.30Cfr. «La Squilla Alpina», 13 gennaio 1946.31Il testo recita: «Con l’impeto dei 20 anni, nella Gloria degli Eroi, sono caduti in combattimento,i partigiani Antinoro Michele e Berni Mario. Due nuovi partigiani hanno raccolto e impugnatol’arma dei compagni caduti. I funerali avranno luogo oggi Lunedì alle ore 18 partendodalla Piazza del Teatro. Nel contempo sarà pure traslata la salma del Patriota Vallacchi Carlone»(cfr. CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia. L’esperienza dei garibal<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> Valsesia, vol. I[1ª ed.], Sapere, Milano 1971, p. 918, fig. 17).185


Filippo Colombara32La parte conclusiva del testo recita: «Ai tre valorosi combattenti dell’Ossola libera [Luigi Gatti,Carlo Merli, Giuseppe Locatelli], alle tre vittime <strong>della</strong> barbarie fascista che vengono ad aggiungersialle altre innumerevoli, ai tre nuovi Martiri <strong>della</strong> libertà italiana, sono stati decretatisolenni funerali, cui si invita a partecipare tutta la popolazione commossa e riconoscente» («Liberazione»,Giornale <strong>della</strong> Giunta Provvisoria <strong>di</strong> Governo e delle Formazioni Militari dei Patriotidell’Ossola, Domodossola, 16 settembre 1944).33Cfr. Anpi sezione <strong>di</strong> Grignasco, Immagini <strong>di</strong> guerra partigiana. Grignasco, Valsesia, Novarese,Millenia, Novara 1999, p. 22.34Cfr. ADOLFO MIGNEMI, 400 immagini <strong>della</strong> Resistenza, mostra realizzata dall’Istituto storico<strong>della</strong> Resistenza in provincia <strong>di</strong> Novara «Piero Fornara», 1985, pannello 4.4, in «Novara», notiziarioeconomico <strong>della</strong> Cciaa <strong>di</strong> Novara, 1, 1995.35Cfr. Storia fotografica <strong>della</strong> Resistenza, a cura <strong>di</strong> Adolfo Mignemi, Bollati Boringhieri, Torino1995, p. 134.36Cfr. CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia, vol. I [1ª ed.] cit., p. 919, fig. 19.37Cfr.: ADOLFO MIGNEMI, 400 immagini <strong>della</strong> Resistenza, cit., pannello 4.3; ARRIGO RIGUCCIOGRUPPI (Moro), Guardando il gran carro. Racconto autobiografico, Viterbo, Nuovi Equilibri,s.d., p. 172.38Cfr. Partigiani a colori nelle <strong>di</strong>apositive <strong>di</strong> Carlo Buratti cit., pp. 99-106.39Il partigiano deceduto, Franco Rossari, <strong>della</strong> banda Beltrami, venne colpito per errore da uomini<strong>della</strong> formazione <strong>di</strong> Di Dio, mentre percorreva in automobile, con Filippo Maria Beltramie Giuliana Gadola, la strada del lago d’Orta (cfr. GIULIANA GADOLA BELTRAMI, Il Capitano[1946], Sapere, Roma 2000, 1994, pp. 78-83).40Archivio-Biblioteca «Luigi Micheletti», GNR, Notiziari giornalieri <strong>della</strong> Guar<strong>di</strong>a nazionale repubblicana,Notizia del 15 gennaio 1944, p. 5. Il testo del manifesto citato è riportato in GIU-LIANA GADOLA BELTRAMI, Il Capitano cit., p. 92; una copia del medesimo è conservata nell’Archivio<strong>di</strong> deposito del Comune <strong>di</strong> Omegna, VI, 2-6-1-1, Manifesti del Governo militare alleatoe <strong>di</strong> enti vari, 1939-1945.41Testimonianza <strong>di</strong> don Antonio Vandoni, uno dei cappellani <strong>della</strong> formazione, riportata in EN-RICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e <strong>della</strong> resistenza novarese. Uomini ed episo<strong>di</strong> <strong>della</strong> guerra<strong>di</strong> liberazione, Tip. Grafica Novarese, Novara 1984, pp. 341-342.42Cfr. FILIPPO COLOMBARA, La proprietà delle anime. Il ciclo <strong>della</strong> vita nei riti socialisti, in CESAREBERMANI e FILIPPO COLOMBARA, Cento anni <strong>di</strong> socialismo nel Novarese, Vol. I, Dalle origini allaprima guerra mon<strong>di</strong>ale, Duegi e<strong>di</strong>tori, Novara 1992, pp.138-155.43Sui due episo<strong>di</strong> che avvengono il 9 maggio 1944, cfr. ibid., pp. 218-222.44Cfr. PASQUALE MAULINI, Omegna cara, Valstrona, rivista «Lo Strona», 1977, p. 251.45«Tutta Omegna e <strong>di</strong>ntorni parteciparono al funerale, mentre ogni attività veniva sospesa. I fascistioccuparono il paese e fecero oltre 200 arresti senza riuscire ad impe<strong>di</strong>re il corteo. Riuscironosolo a contenere la folla fuori del cimitero, dove, come si seppe in seguito, imbestialironofrustando la Madre <strong>di</strong> uno dei caduti colpevole <strong>di</strong> piangere il figlio e <strong>di</strong> aver reagito agli sgherriche ne insultavano la memoria <strong>di</strong>cendolo un delinquente» («l’Unità», 8 giugno 1944, e<strong>di</strong>zionedell’Italia Settentrionale).46LEOPOLDO BRUNO CARABELLI, Memorie <strong>di</strong> un “ribelle”. I partigiani dell’alto e basso Vergante, TipolitografiaPiumatti, Magnano Biellese 1987, pp. 115-116.47Cfr. ERSILIA ALESSANDRONE PERONA, Una lettura delle ban<strong>di</strong>ere operaie, in Un’altra Italia nelleban<strong>di</strong>ere dei lavoratori: simboli e cultura dall’Unità d’Italia all’avvento del fascismo, <strong>Centro</strong> stu<strong>di</strong>186


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalePiero Gobetti-Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza in Piemonte, Torino 1980.48Cfr. LUISA PASSERINI, Torino operaia e fascismo. Una storia orale, Laterza, Roma-Bari 1984, pp.120-127.49Luigi Rinolfi (1905), operaio; intervistato da Filippo Colombara e Gisa Magenes il 6 ottobre1984; brano e<strong>di</strong>to in FILIPPO COLOMBARA, La terra delle tre lune. Classi popolari nella prima metàdel Novecento in un paese dell’alto Piemonte: Prato Sesia. Storia orale e comunità, Vangelista,Milano 1989, p. 205.50Quella dell’intervistato è un tipo <strong>di</strong> descrizione nota con il nome <strong>di</strong> ucronia: narrazione <strong>di</strong> unevento plausibile e coerente basato però su dati irreali, spesso rinvenuto nei racconti orali.51ACS, 1927-1944, K 22, b. 101, fasc. Primo Maggio.52Episo<strong>di</strong>o narrato da Luciano Sereno <strong>di</strong> Andorno Micca a Luigi Moranino il 6 <strong>di</strong>cembre 1994e citato da ERSILIA ALESSANDRONE PERONA, La ban<strong>di</strong>era rossa, in I luoghi <strong>della</strong> memoria. Simbolie miti dell’Italia unita, a cura <strong>di</strong> Mario Isnenghi, Laterza, Roma-Bari 1998 2 , pp. 307-308.53Antonio Parmigiani (1905), operaio; intervistato da Filippo Colombara e Gisa Magenes aOmegna il 30 aprile 1987; brano e<strong>di</strong>to in Gisa Magenes, Solidarietà operaia. La Soms <strong>di</strong> Omegna,Milano-Novara, Istituto Ernesto de Martino-Magia Libri, 1992, p. 75.54Libero Diaceri (1908), operaio; intervistato da GISA MAGENES a Omegna il 2 maggio 1987;brano e<strong>di</strong>to in ibid.55Carlo Giacomini (1929), operaio; intervistato da Filippo Colombara a Omegna il 5 novembre1998; brano e<strong>di</strong>to in FILIPPO COLOMBARA, Uomini <strong>di</strong> ferriera.Esperienze operaie alla Cobianchi<strong>di</strong> Omegna, Verbania, Alberti libraio, 1999, p. 45.56Dalla poesia <strong>di</strong> Ettore Piazza, Falispi lusenti mè steli, [Faville lucenti come stelle], in ID., Poesiein <strong>di</strong>aletto piemontese, Novara, «Quaderni de La Lotta», 1, 1954, p. 36. Trad.: «Non l’ho. Nonè qui. / Ma anche l’avessi non ve la darei».57Cenisio Girar<strong>di</strong> (1932), operaio; intervistato da Filippo Colombara a Miasino il 18 gennaio2000.58Gualtiero Caprilei (1921), operaio; intervistato da Filippo Colombara e Gisa Magenes a Villadossolail 28 settembre 1984.59Ivana <strong>Del</strong>l’Olmo (1924), operaia e poi impiegata comunale; intervistata da Gisa Magenes e FilippoColombara a Villadossola il 28 settembre 1984.60Remo Perolio (1931), operaio; intervistato da Filippo Colombara a Piana dei Monti il 18 luglio1991; brano e<strong>di</strong>to in FILIPPO COLOMBARA, I paesi <strong>di</strong> mezzo. Storie e saperi popolari a Madonnadel Sasso, Milano, Istituto Ernesto de Martino, 1993, p. 174.61Sergio Campana (1927), operaio; intervistato da Filippo Colombara a Gozzano il primo febbraio1991; brano e<strong>di</strong>to in Memoria del quoti<strong>di</strong>ano. Fascismo e resistenza a Gozzano, a cura <strong>di</strong>Filippo Colombara, Proposte, Gozzano 1991, pp. 44-45. Trad.: «Ma dove an<strong>di</strong>amo a prendereuna ban<strong>di</strong>era rossa?».62Isrn, lettera <strong>di</strong> suor Lauretta Ines Buffotto, datata Rovereto 21 settembre 1994, citata in MAU-RO BEGOZZI, La società civile nell’Ossola: il bisogno <strong>di</strong> normalità, «Asti contemporanea», Istitutoper la storia <strong>della</strong> resistenza e <strong>della</strong> società contemporanea <strong>della</strong> provincia <strong>di</strong> Asti, 5, 1997,p. 208.63Testimonianza orale pubblica <strong>di</strong> Pippo Coppo a Gravellona Toce il 19 settembre 1972; branoe<strong>di</strong>to in Pippo Coppo, op. cit., p. 86. Con carta rossa si stampano i primi sette bollettini <strong>della</strong>Giunta provvisoria (dal 18 al 27 settembre 1944), mentre i rimanenti nove (dal 28 settembre187


Filippo Colombaraal 13 ottobre 1944) sono stampati su carta bianca.64GIANCARLO PAJETTA, Il ragazzo rosso va alla guerra, Mondadori, Milano 1986, p. 75.65Sul versante dell’azione <strong>di</strong> propaganda con l’uso <strong>di</strong> manifesti e opuscoli nel Piemonte nordorientale, cfr.: ADOLFO MIGNEMI, La Repubblica sociale nel Novarese: alla ricerca <strong>di</strong> un consenso,«Novara», 3, 1991, pp. 69-169; ID., La propaganda RSI in una realtà territoriale: il caso <strong>di</strong>Novara e La <strong>di</strong>stribuzione dei materiali propagan<strong>di</strong>stici durante la RSI in Propaganda politica emezzi <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong> massa tra fascismo e democrazia, a cura <strong>di</strong> Adolfo Mignemi, E<strong>di</strong>zioniGruppo Abele, Torino 1995, pp. 276-335, 340-342; Sui muri del Vercellese. Settembre 1943-aprile 1945, catalogo <strong>della</strong> mostra a cura <strong>di</strong> Piero Ambrosio e Gladys Motta, Borgosesia, IsrscBi-Vc, 1985; Sui muri <strong>della</strong> Valsesia. Settembre 1943-aprile 1945, catalogo <strong>della</strong> mostra a cura<strong>di</strong> Piero Ambrosio e Gladys Motta, Isrsc Bi - Vc, Borgosesia 1986; Sui muri del Biellese. Settembre1943-aprile 1945, catalogo <strong>della</strong> mostra a cura <strong>di</strong> Piero Ambrosio e Gladys Motta, IsrscBi-Vc, Borgosesia 1989.66Cfr.: EGIDIO CLEMENTE, Moral Operations, in Propaganda politica e mezzi <strong>di</strong> comunicazione <strong>di</strong>massa, cit., pp. 150-164; LORENZO PEZZICA, ADOLFO MIGNEMI, Il fondo MO <strong>della</strong> Fondazione«Anna Kuliscioff» <strong>di</strong> Milano, ibid., pp. 165-176. Alla <strong>di</strong>stribuzione dei materiali partecipanooccasionalmente i partigiani. Uno <strong>di</strong> questi casi, riguardante dei fogli «Luftpost» lanciati dagliaeroplani, è citato dalla pubblicistica garibal<strong>di</strong>na: «E i partigiani trasformatisi in un vero esercito<strong>di</strong> propagan<strong>di</strong>sti per l’occasione, dagli a raccogliere dove erano caduti mancando il segno perfarli giungere numerosi a destinazione a quelle canaglie <strong>di</strong> plufer che non la volevano mollarenon ostante andasse loro tutto <strong>di</strong> traverso. Il mattino, nelle vicinanze dei presi<strong>di</strong> la «Luftpost»faceva un figurone sui muri dove i ragazzi l’avevano incollata <strong>di</strong> soppiatto la notte a costo <strong>della</strong>vita e i plufer ci mordevano amaro» («La Stella Alpina», Milano, 8 luglio 1945).67I manifesti sono riprodotti in ADOLFO MIGNEMI, La Repubblica sociale nel Novarese cit., pp.80-81.68Ibid., pp. 82-83.69ROLAND BARTHES, Variazioni sulla scrittura [1973], Graphos, Genova 1996, p. 64.70È questo il caso <strong>di</strong> città come Torino, rispetto alla quale si possono confrontare gli stu<strong>di</strong> sullescritte antifasciste degli anni 1928-1932 (cfr. GIULIO SAPELLI, Macchina repressiva, «sovversivismo»e tra<strong>di</strong>zione politica durante il fascismo, «Mezzosecolo. Materiali <strong>di</strong> ricerca storica», 2,1976-1977, pp. 107-160) con quelli sui primi tre anni <strong>di</strong> guerra (cfr. BRUNO MAIDA, Le forme«povere» <strong>della</strong> protesta. Scritte murali a Torino 1940-43, «Rivista <strong>di</strong> storia contemporanea»,3, 1991, pp. 400-422).71I fascisti, già dal 1939, avevano avviato una pianificazione <strong>di</strong> scritte nelle case del fascio, fabbrichee se<strong>di</strong> sindacali onde «ridar forma agli italiani come unità <strong>di</strong> popolo e Stato» e prepararlialla guerra (MARIO ISNENGHI, La guerra degli italiani. Parole, immagini, ricor<strong>di</strong> 1848-1945,Mondadori, Milano 1989, p. 67).72Nel Novarese si hanno singolari casi <strong>di</strong> propaganda come quello portato avanti da alcuni giovanicomunisti, i quali non solo affiggono manifesti e tracciano scritte sui muri ma ritaglianoe inchiodano sugli alberi dei boschi grossi simboli con falce e martello, così da «segnare» anchele campagne oltre alle città (cfr. Federazione novarese del Pci, Il Partito comunista a Novara(1921-1945), a cura <strong>di</strong> Giorgio Colorni e Giovanna Scarpa, Tip. Paltrineri, Novara 1945,pp. 45-46).73Cfr. ALESSANDRO ORSI, Un paese in guerra. La comunità <strong>di</strong> Crevacuore tra fascismo, Resistenza,dopoguerra, Isrsc Bi-Vc, Borgosesia 1994, p. 46. L’immagine fotografica è in appen<strong>di</strong>ce al libro.74Vincenzo Martino era il comandante <strong>della</strong> squadra speciale <strong>di</strong> PS detta «la squadraccia». Sul-188


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalele sue vicende, cfr. la sentenza pronunciata dal tribunale <strong>di</strong> Novara nel 1946, in ADOLFO MI-GNEMI, Le vicende <strong>della</strong> RSI e <strong>della</strong> lotta armata nel Novarese attraverso le carte <strong>della</strong> Corte d’Assisestraor<strong>di</strong>naria, «Ieri Novara Oggi», Novara, Isrn, 4-5, 1996, pp. 237-241.75NINO BAZZETTA DE VEMENIA, 19 mesi <strong>di</strong> dominazione tedesca e fascista a Novara (dal <strong>di</strong>ario <strong>di</strong>un citta<strong>di</strong>no), «Il Corriere <strong>di</strong> Novara», 18 luglio 1946.76Cfr ARRIGO RIGUCCIO GRUPPI (Moro), Guardando il gran carro cit., p. 206.77Cfr. MARIO MANZONI, Partigiani nel Verbano, Vangelista, Milano 1975, pp. 58-59.78Cfr. ADOLFO MIGNEMI, Muro scritto. Vecchie iscrizioni murali, in Bellinzago e Ghemme. Documentie immagini sugli eventi che unirono due realtà territoriali nella lotta armata contro il nazifascismo,a cura dei Comuni <strong>di</strong> Bellinzago Novarese e Ghemme, 1995, scheda 10.79L’immagine con le scritte è pubblicata in ADOLFO MIGNEMI, La Repubblica Sociale nel Novaresecit. p. 72.80MARIO ISNENGHI, La guerra degli italiani cit., p. 321.81Pippo Coppo intervistato da Saverio Maggio a Domodossola nel maggio 1965; brano e<strong>di</strong>toin PIPPO COPPO, Conversazioni sulla guerra partigiana, materiali <strong>di</strong> lavoro a cura <strong>di</strong> Filippo Colombara,Fogli Sensibili, Verbania 1995, pp. 23-24.82Rappresentazioni del genere sono spesso presenti nella retorica <strong>di</strong> destra sia coeva che o<strong>di</strong>erna.Sul bollettino telematico socialnazionale «Gerarchia senza censura», per esempio, Stelvio DalPraz, descrivendo la <strong>di</strong>fesa del ridotto <strong>di</strong> Culqualber (Etiopia) dagli assalti delle truppe britanniche,avvenuta nel novembre 1941, <strong>di</strong>chiara: «Emblematico il comportamento del caposquadra<strong>della</strong> 4ª compagnia CC.NN. che, ferito gravemente, rifiuta <strong>di</strong> essere trasportato all’ospedalettoe aggrappatosi alla mitragliatrice, continua a sparare cantando: “Ma la mitragliatrice nonla lascio!”». A proposito dei canti <strong>di</strong> guerra, più avanti precisa: «Alle tre del mattino del 21 novembregrossi nuclei nemici iniziano l’avvicinamento alle posizioni italiane. Prima dell’alba,nel buio delle trincee e delle postazioni, si era sollevato sommesso e accorato e per l’ultima voltail Canto <strong>di</strong> Culqualber: erano le CC.NN. del CCXL battaglione che davano l’estremo salutoalla Patria e alla vita». La canzone citata, composta dal comandante <strong>della</strong> 1ª compagnia del medesimobattaglione, recita: «Contro l’inglese, contro l’Etiopia tutta, / Italia mia, da sol combatteròper te; / mangerò l’angherà e la burgutta, / soffrirò, lotterò, morirò per te; / pur se la vittoriaè una chimera / io non mi arrenderò, / alzo la mia ban<strong>di</strong>era / e per l’onore sol combatterò»(http://www.socialismonazionale.net/gerarchia/opinioni.html).83BRUNO FRANCIA, I Garibal<strong>di</strong>ni nell’Ossola, Saccardo, Ornavasso 1977, p. 61.84Il garibal<strong>di</strong>no Giovanni De Monte <strong>di</strong> Cimamulera è decisamente un personaggio originale e lascelta <strong>di</strong> un nome <strong>di</strong> battaglia come Kira, derivato presumibilmente dalla protagonista femminile<strong>di</strong> un film <strong>di</strong> Alessandrini del 1942, Ad<strong>di</strong>o Kyra, la <strong>di</strong>ce lunga. Sulla figura del partigianoossolano, cfr. GIOVANNI DE MONTE, Pren<strong>di</strong> i tuoi uomini e vattene, in PAOLO BOLOGNA, Il prezzo<strong>di</strong> una capra marcia cit., pp. 78-94.85BRUNO FRANCIA, I Garibal<strong>di</strong>ni nell’Ossola cit, pp. 62-63.86Nome <strong>di</strong> battaglia <strong>di</strong> Dino Vicario <strong>di</strong> Varallo Sesia, comandante del gruppo.87BRUNO FRANCIA, I Garibal<strong>di</strong>ni nell’Ossola cit, p. 65.88«Baita», 30 maggio 1945. Testo redatto dal comandante militare <strong>della</strong> brigata, Danda (AnnibaleGiachetti).89CARLO MAZZANTINI, A cercar la bella morte, Mondadori, Milano 1986, pp. 95-97.90L’episo<strong>di</strong>o che segue, però, si riferisce alle fasi conclusive <strong>della</strong> guerra, quando il reparto del189


Filippo Colombaraprotagonista combatte in val Camonica.91GIOSE RIMANELLI, Tiro al piccione, Einau<strong>di</strong>, Torino 1991, pp. 202-203, 212-213.92Relazione sull’attacco al presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Fara, stesa dal Comando <strong>della</strong> 81ª brigata Volante «Loss»,21 marzo 1945 (Istituto Gramsci Archivio delle Brigate Garibal<strong>di</strong>, 08315), citata da ARRIGORIGUCCIO GRUPPI (Moro), Guardando il gran carro cit., p. 200 e da CLAUDIO PAVONE, Una guerracivile. Saggio storico sulla moralità <strong>della</strong> Resistenza, Bollati Boringhieri, Torino 1991, p. 242.93Olivo Mossotti (1898), coltivatore <strong>di</strong>retto; intervistato da Filippo Colombara e Gisa Magenesa Carpignano Sesia il 10 novembre 1979.94Cfr. MICHAEL JÜRGS, La piccola pace nella Grande Guerra. Il fronte occidentale, 1914: un Natalesenza armi, Il Saggiatore, Milano 2006.95GIUSEPPE STEFANINI, Fascismo parmense. Cronistoria, La «Bodoniana», Parma 1923, p. 46; branocitato in DIANELLA GAGLIANI, Spazio, simbolo, lotta politica. Alcune riflessioni a partire dal casoparmense, «Storia e documenti», Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong> Parma, 1, 1989, p. 45.96GEORGE ORWELL, Omaggio alla Catalogna, Mondadori, Milano 1948, p. 46.97«La propaganda orale, tramite altoparlanti, ha dato buoni risultati. Per renderla più efficace,dobbiamo <strong>di</strong>fferenziare il nostro comportamento col nemico. Per esempio: quando i fascisti rispondonoinsultandoci, noi dobbiamo mettere in evidenza questo fatto spiegando ai combattentiche gli insulti corrispondono alla mancanza <strong>di</strong> argomenti. Quando il terreno lo permetta,si deve usare la propaganda personale, tramite volontari che, sotto varie spoglie, si avvicininoalle file nemiche per parlare ai soldati» («Milicia Popular», Madrid, 15 settembre 1936;ora in VITTORIO VIDALI, Il Quinto reggimento. Come si forgiò l’Esercito Popolare spagnolo, La Pietra,Milano 1976, p. 81).98Francesco Pane<strong>di</strong>grano <strong>di</strong> Nicastro, intervistato da Alberto Negrin nel 1974; brano e<strong>di</strong>to inDestinazione ignota. Testimonianza <strong>di</strong> Francesco Pane<strong>di</strong>grano, in Sì e no padroni del mondo. Etiopia1935-36. Immagine e consenso per un impero. Interventi e materiali, a cura <strong>di</strong> Adolfo Mignemi,Regione Piemonte-Comitato comprensoriale <strong>di</strong> Novara-Isrn, Torino-Novara 1983, p. 93.Anche Orwell ricorda questo tipo d’impiego: «Dalla parte del Governo, nelle milizie <strong>di</strong> partito,le urla <strong>di</strong> frasi <strong>di</strong> propaganda per minare il morale del nemico erano state sviluppate in unavera e propria tecnica. Là dove ogni posizione si prestasse, agli uomini, <strong>di</strong> solito mitraglieri, venivaor<strong>di</strong>nato <strong>di</strong> uscire in servizio <strong>di</strong> propaganda e si affidavano loro dei megafoni […] L’uomoche urlava le frasi <strong>di</strong> propaganda dalla postazione del P.S.U.C. alla nostra destra era un veroartista. A volte, anziché gridare slogan rivoluzionari <strong>di</strong>ceva semplicemente ai fascisti quantomeglio mangiassimo <strong>di</strong> loro. La sua descrizione delle razioni governative peccava forse un po’troppo <strong>di</strong> fantasia: “Pane e burro” si sentiva echeggiar la sua voce per la valle solitaria. “Ci se<strong>di</strong>amoa mangiare i nostri panini imburrati, qua da noi! <strong>Del</strong>le magnifiche fette <strong>di</strong> pane e burro!”Non dubito che al par <strong>di</strong> noi non vedesse burro da settimane e mesi, ma nella gelida nottequelle informazioni a base <strong>di</strong> pane e burro dovevano mettere l’acquolina in bocca a più <strong>di</strong>un fascista. Veniva anche a me, l’acquolina in bocca, e si che io sapevo che l’amico le sballavagrosse» (GEORGE ORWELL, Omaggio alla Catalogna cit., pp. 46-47). In perio<strong>di</strong> più recenti è proseguitol’uso <strong>di</strong> questa forma <strong>di</strong> propaganda. Durante la costruzione del muro <strong>di</strong> Berlino nell’agosto1961, ad esempio, dai due settori <strong>della</strong> città gli altoparlanti trasmetteranno musica:canzoni alla Kurt Weil a est e musiche <strong>di</strong> orchestre swing a ovest. Su questo argomento la ra<strong>di</strong>oitaliana trasmise, pochi giorni dopo l’erezione del muro, un servizio <strong>di</strong> Antonello Marescalchicon la registrazione delle musiche irra<strong>di</strong>ate dai due settori (cfr. Ra<strong>di</strong>o d’annata. Voci e suonidall’archivio <strong>della</strong> ra<strong>di</strong>o, a cura <strong>di</strong> Arrigo Quattrocchi e Guido Barbieri, Ra<strong>di</strong>otre, trasmissionedel 14 marzo 1998).99In Casablanca <strong>di</strong> Michael Curtiz (Usa, 1942), ad esempio, la scena avviene in una locanda: ad190


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientaleun gruppo <strong>di</strong> tedeschi inneggianti canti nazisti rispondono dei locali e dei francesi con La Marsigliese.Analogamente in O thiasos (La recita) <strong>di</strong> Thodoros Anghelopulos, (Grecia, 1975), duranteil capodanno del 1946 giovani monarchici e <strong>di</strong> sinistra si affrontano in una sala da ballo.La battaglia, <strong>della</strong> durata <strong>di</strong> ben <strong>di</strong>eci minuti, si svolge a colpi <strong>di</strong> canzoni: i primi, tutti maschi,cantano inni nazionalisti e concludono ballando un tango; i secon<strong>di</strong>, <strong>di</strong> ambo i sessi, rispondonocon canti <strong>di</strong> segno opposto e terminano al suono <strong>di</strong> un boogie woogie con testo rivoluzionario.In Apocalypse Now <strong>di</strong> Francis Ford Coppola (Usa, 1979/2001) non vi è una competizionecanora ma si evidenzia – forse con eccessiva trasposizione filmica – l’uso terrorizzante <strong>della</strong>musica in battaglia. Il fanatico colonnello Kilgore, prima <strong>di</strong> bombardare un villaggio vietnamita,annuncia il suo arrivo irra<strong>di</strong>ando La cavalcata delle valchirie <strong>di</strong> Wagner attraverso grossi altoparlantimontati sugli elicotteri <strong>della</strong> propria squadriglia.100«A parte il loro contenuto ideologico che è senza dubbio nobile, le canzoni fiorite negli anni<strong>della</strong> resistenza al fascismo non offrono nella me<strong>di</strong>a, gran<strong>di</strong> ragioni <strong>di</strong> interesse né musicale eneppure poetico» (ROBERTO LEYDI, Osservazioni sulle canzoni <strong>della</strong> Resistenza italiana nel quadro<strong>della</strong> nostra musica popolaresca, introduzione a TITO ROMANO, GIORGIO SOLZA, Canti <strong>della</strong>Resistenza italiana, Milano, Avanti 1960, p. 22). Il giu<strong>di</strong>zio severo, tuttavia, è giustificato dallosta<strong>di</strong>o iniziale delle ricerche. Per nuovi stu<strong>di</strong> e riflessioni, cfr.: «Il de Martino», Canto socialee Resistenza, a cura dell’Istituto Ernesto de Martino, Sesto Fiorentino, 8, 1998; Canzoni e Resistenza,atti del convegno nazionale <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>, Biella 16-17 ottobre 1998, a cura <strong>di</strong> Alberto Lovatto,Consiglio regionale del Piemonte-Isrsc Bi-Vc, Torino-Borgosesia 2001.101CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia cit., vol. III, Isrsc Bi-Vc, Borgosesia 1996, p. 17.102Canti <strong>della</strong> Resistenza italiana 1, a cura <strong>di</strong> Roberto Ley<strong>di</strong>, Milano, I Dischi del Sole, EP, DS2, 1960.103Sulla genesi <strong>di</strong> questo canto, cfr. CESARE BERMANI, Pagine <strong>di</strong> guerriglia, vol. III cit., p. 36. Sinoti la parafrasi nel testo <strong>di</strong> un paio <strong>di</strong> righe <strong>della</strong> canzone: «Che importa se ci chiaman ban<strong>di</strong>ti/ ma il popolo conosce i suoi figli». Una versione au<strong>di</strong>o da me raccolta all’Alpe Quaggionein Valle Strona (Cusio) il 18 settembre 1983, eseguita da un gruppo <strong>di</strong> ex partigiani <strong>di</strong> Omegna,è e<strong>di</strong>ta in Fischia il vento. Canti <strong>della</strong> resistenza in Italia 2, a cura <strong>di</strong> Cesare Bermani e IstitutoErnesto de Martino, Roma, «l’Unità», CD, 2005.104«Baita», Foglio dei Garibal<strong>di</strong>ni <strong>della</strong> 12ª Divisone d’Assalto «Nedo», Biella, primo maggio1945.105Testimonianza <strong>di</strong> Alfonso <strong>Boca</strong> riportata in GIAN ANTONIO FORTINA, Uomini liberi, Bellinzago,La Grafica, s.d. [ma 1965], p. 30.106Cfr. ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e <strong>della</strong> resistenza novarese cit., pp. 422-423.Prima <strong>di</strong> morire uno dei partigiani chiede a Ungarelli <strong>di</strong> non sparagli al volto, in modo da esserericonosciuto dopo morto. E il capitano fascista proprio in volto esploderà il colpo <strong>di</strong> grazia(cfr. ZARA ALGARDI, Processi ai fascisti. Anfuso, Caruso, Graziani e Borghese <strong>di</strong> fronte alla giustizia,Parenti, Firenze 1958, p. 171).107«La Stella Alpina», 28 febbraio 1945.108Giampiero Zanoia (1941), operaio; intervistato a Filippo Colombara a Omegna il 3 aprile2006. La protagonista dell’episo<strong>di</strong>o raccontato è Teresa Bani (1928), operaia <strong>di</strong> Omegna.109Maria Luigina Vinzia (1920), operaia, intervistata da Filippo Colombara a Madonna del Sassoil 19 luglio 1991; la vicenda è narrata in FILIPPO COLOMBARA, I paesi <strong>di</strong> mezzo cit., pp. 177-180.110Cfr. FILIPPO COLOMBARA, La terra delle tre lune cit., pp. 272-274, 308-312.111«Baita», 24 settembre 1945.191


Filippo Colombara112Questo atto non contempla una pratica rituale, essendo mancante l’elemento simbolico, ed èquin<strong>di</strong> un’usanza (cfr. DAVID I. KERTZER, Riti e simboli del potere cit., p. 18.).113Cfr.: SANDRO PELI, La morte profanata. Riflessioni sulla crudeltà e sulla morte durante la Resistenza,«Protagonisti», Belluno, 53, 1993, pp. 41-49; MARIO ISNENGHI, L’esposizione <strong>della</strong> morte,in Guerre fratricide. Le guerre civili in età contemporanea, a cura <strong>di</strong> Gabriele Ranzato, BollatiBoringhieri, Torino 1994, pp. 330-352; SERGIO LUZZATTO, Il corpo del duce. Un cadavere traimmaginazione, storia e memoria, Einau<strong>di</strong>, Torino 1998; MIRCO DONDI, La lunga liberazione.Giustizia e violenza nel dopoguerra italiano, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 1999; GIOVANNI DE LUNA, Ilcorpo del nemico ucciso. Violenza e morte nella guerra contemporanea, Einau<strong>di</strong>, Torino 2006.114Cfr. GIOVANNI DE LUNA, Il corpo del nemico ucciso cit., p. 160.115La fucilazione è il metodo maggiormente seguito nel Piemonte nord-orientale per l’eliminazionedel nemico, superiore all’impiccagione.116ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e <strong>della</strong> resistenza novarese cit., pp. 399-400.117«La Stella Alpina», 22 luglio 1945.118Ibid., 15 luglio 1945. L’operazione è condotta da militi <strong>della</strong> «Muti» e da SS. L’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> sepolturaè dato dal comandante tedesco.119Dal <strong>di</strong>ario del parroco Don Giulio Zolla, parzialmente riportato in PASQUALE MAULINI, Omegnacara cit., p. 233.120Ibid.121«La Stella Alpina», 8 luglio 1945.122Ibid., 5 agosto 1945.123«La Squilla Alpina», 6 gennaio 1946.124«La Squilla Alpina», 21 ottobre 1945.125AGOSTINO ROSSI (Ago), Il cammino <strong>di</strong> un battaglione. Trenta eroi tra le stelle alpine, Lega per leAutonomie e i Poteri locali, Milano 1975, p. 62.126ARRIGO RIGUCCIO GRUPPI (Moro), Guardando il gran carro cit., pp.169-173.127Cfr. ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e <strong>della</strong> resistenza novarese cit., p. 505.128«La Squilla Alpina», 10 febbraio 1946.129Cfr. CHRISTOPHER R. BROWNING, Uomini comuni. Polizia tedesca e «soluzione finale» in Polonia,nuova e<strong>di</strong>zione, Einau<strong>di</strong>, Torino 1999, pp. 165-168. L’autore rimanda esplicitamentea JOHN W. DOWER, War Without Mercy: Race and Power in the Pacific War, Pantheon, NewYork 1986.130Cfr. ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e <strong>della</strong> resistenza novarese cit., p. 406.131Cfr. «La Stella Alpina», primo luglio 1945.132Racconta una delle due sorelle del caduto: «L’imboscata ha il suo epilogo… I fascisti sfoganoi loro istinti bestiali. Dalla chiesa escono alcune vecchiette e dei bambini; vengono costretti asputare sui corpi agonizzanti e ad assistere a feroci sevizie. La testa <strong>di</strong> Peppino viene staccata dalcorpo e una canaglia fascista mette fra le labbra esangui un mozzicone <strong>di</strong> sigaretta proferendoqueste parole: “Ve<strong>di</strong>amo, Comandante, se ora sei capace <strong>di</strong> fumare”» (testimonianza riportatain ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismo e <strong>della</strong> resistenza novarese cit., p. 293).133È quanto sostiene una testimone del fatto, allora bambina, la quale afferma che neppure inpaese è mai circolata una voce del genere. «Quel giorno ci hanno fatti uscire dalla chiesa, sare-192


Riti e simboli <strong>della</strong> guerra partigiana nel Piemonte nord-orientalemo stati una cinquantina, e ci hanno costretti a vedere cosa faceva a quei tre partigiani moribon<strong>di</strong>.Eravamo a quattro o cinque metri, io ho cercato <strong>di</strong> abbassare la testa per non guardare,ma un fascista mi ha schiaffeggiata… La cosa più terribile è stata vedere che a uno <strong>di</strong> ’sti ragazzilevavano i denti d’oro con il pugnale… Io per tre giorni…» (Maria Teresa Ferretti, natanel 1933, operaia; intervistata da Filippo Colombara e Michele Beldì a Nebbiuno il 25 agosto2006).134In Etiopia, nel settembre 1937, viene tagliata la testa del degiac Hailù Chebbedè; viene primainfilata in una scatola <strong>di</strong> biscotti Lazzaroni per il trasporto e poi appesa a un palo in unapiazza <strong>di</strong> Quoram (cfr. ADOLFO MIGNEMI, Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come documentostorico, Torino, Bollati Boringhieri, 2003, foto 13-17); in Jugoslavia viene spiccata la testadel comandante partigiano Andrej Arko-Jemej, infilzata su un palo e fatta sfilare dai fascistinei villaggi sloveni nei pressi <strong>di</strong> Obloški (cfr. ID., La seconda guerra mon<strong>di</strong>ale 1940-1945, E<strong>di</strong>toriRiuniti, Roma 2000, pp. 96-97; riprodotta anche in ID., Lo sguardo e l’immagine cit., foto22-23).135ENRICO MARTINI (Mauri), Partigiani, penne nere, citato in ENRICO MASSARA, Antologia dell’antifascismoe <strong>della</strong> resistenza novarese cit., p. 438. Altro macabro rituale è riservato al cadavere delcomandate partigiano Eolo Boccato, operante nel Veneto, la cui testa, <strong>di</strong>laniata in un’esplosione,ricucita, viene decapitata ed esposta in una vetrina del Consorzio agrario <strong>di</strong> Adria (cfr. MA-RIO ISNENGHI, L’esposizione <strong>della</strong> morte cit., p. 350).136Maria Teresa Ferretti, intervista citata.137Iliade, libro Decimosesto, trad. <strong>di</strong> Vincenzo Monti, Torino, Sei.138PAOLO BOLOGNA, La battaglia <strong>di</strong> Megolo, Isrsc Bi-Vc, Borgosesia 1979, p. 64.139EDOARDO SPAGNOLINI, Per Santino Campora. Ricordando il 16 marzo 1945, «Resistenza unita»,Novara, 3, 1998. Secondo altra fonte: «Tutto quanto il Commissario Santino aveva con se[erano: un] portafoglio con documenti personali, borsa da ricognizione contenente la somma<strong>di</strong> L. 12.000 circa, rimanenza cassa Brigata, più una somma imprecisata da inviarsi alla “StellaAlpina”, “all’Unità” ed alla “Lotta” ammontante a circa 30.000 lire, pistola, pugnale. Vennerinvenuto sulla sua salma solamente un cinturone, un coltello, una borsa per il tabacco eun fazzoletto. La Salma era senza mostrine, senza <strong>di</strong>stintivo del grado e senza scarpe. Ignoriamose queste inumane spogliazioni siano dovute alle truppe nazi-fasciste oppure a sciacalli civili»(documento redatto dal comandante Arrigo Gruppi e inviato al comando <strong>della</strong> I <strong>di</strong>visioneGaribal<strong>di</strong> il 23 marzo 1945, riportato in ARRIGO RIGUCCIO GRUPPI (Moro), Guardando ilgran carro cit., p. 207).140«La Stella Alpina», 15 luglio 1945. I caduti citati sono: Giovanni Poletti, ventunenne <strong>di</strong> Cressa;Francesco Destefano, perito industriale ventenne originario <strong>di</strong> Reggio Calabria ma residentea Casalino; Ezio Roncaglione, studente <strong>di</strong>ciottenne <strong>di</strong> Orfengo.141Zaglada Zydostwa Polskiego. Album Zdjec, vol. I, introduzione e note esplicative <strong>di</strong> GershonTaffet, Lodz, Centralnej Zydowskiej Komisji Historycznej, 1945, p. [XXI], citato in MONICADI BARBORA e ADOLFO MIGNEMI, Dov’è tuo fratello Abele? Le immagini dello sterminio, postfazionea Joe J. Heydecker, Il Ghetto <strong>di</strong> Varsavia. Cento foto scattate da un soldato tedesco nel 1941,Giuntina, , Firenze 2000, p. 150.142Cfr. ADOLFO MIGNEMI, La rappresentazione fotografica delle stragi, in Crimini e memorie <strong>di</strong>guerra.Violenze contro le popolazioni e politiche del ricordo, a cura <strong>di</strong> Luca Bal<strong>di</strong>ssara e Paolo Pezzino,L’ancora del Me<strong>di</strong>terraneo, Napoli 2004, pp. 158-160.143Il riferimento è soprattutto alla guerra d’Etiopia, alla <strong>di</strong>ffusione che ebbero immagini <strong>di</strong> soldatietiopi e italiani evirati o quella ancor più famosa <strong>di</strong> genitali appesi ad un palo come trofei<strong>di</strong> guerra tratta dal volume Memoria del Governo Italiano, presentato dal regime alla Società193


Filippo Colombaradelle Nazioni (cfr. ADOLFO MIGNEMI, Immagine coor<strong>di</strong>nata per un impero. Etiopia 1935-1936,Gruppo E<strong>di</strong>toriale Forma, Torino 1984, pp. 207, 212, 215, 242). Ma le pratiche sono propriedelle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> guerra: dai contingenti americani impegnati nel Pacifico che collezionanoparti del corpo <strong>di</strong> soldati giapponesi (JOHN W. DOWER, War Without Mercy cit., menzionatoin CHRISTOPHER R. BROWNING, Uomini comuni cit., p. 166), all’ultimo conflitto in Bosniadove un capo banda croato «si aggirava a cavallo per il proprio villaggio con il teschio dell’imamlocale appeso al cappuccio come ornamento» (GIOVANNI DE LUNA, Il corpo del nemicoucciso cit., p. 56).144Cfr. ADOLFO MIGNEMI, Lo sguardo e l’immagine cit., p. 130.145Le fotografie sono pubblicate in molti volumi, per una esemplificazione, cfr.: ADOLFO MIGNE-MI, 400 immagini <strong>della</strong> Resistenza cit. pannello 4.20; SERGIO LUZZATTO, Il corpo del duce, cit.,figg. 6-11. La loro grande <strong>di</strong>ffusione nel giugno 1945 porteranno a un atto censorio da partedel prefetto <strong>di</strong> Milano (cfr. ADOLFO MIGNEMI, La costruzione dell’immagine <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> resistenza,«Novara», 1, 1995, p. 41).194


Fascismo, afascismo, Resistenza nel Cuneese<strong>di</strong> Mario GiovanaDalle urne delle consultazioni popolari del giugno 1946 per il referendumistituzionale, uscì nel Cuneese una maggioranza del 56,2 per cento afavore <strong>della</strong> monarchia. Il risultato dell’estrema provincia occidentale delPiemonte faceva spicco nel pur non esaltante quadro del consenso raccoltonella regione dalla prospettiva repubblicana: lo scarto <strong>di</strong> voti tra monarchiae repubblica vedeva infatti vincente il secondo corno del <strong>di</strong>lemma percirca 300.000 suffragi, situando il Piemonte all’ultimo posto tra le regionidel Nord Italia nelle quali aveva prevalso l’in<strong>di</strong>rizzo repubblicano, con ilcapoluogo e la provincia <strong>di</strong> Torino alla retroguar<strong>di</strong>a <strong>della</strong> province piemontesinelle quali si era affermata una maggioranza <strong>di</strong> consensi per la nuovaforma istituzionale (58,2 per cento contro il 61,8 per cento in provincia<strong>di</strong> Alessandria, il 63,6 per cento in provincia <strong>di</strong> Novara, il 61,7 per centoin provincia <strong>di</strong> Vercelli). La provincia <strong>di</strong> Asti era stata a ridosso <strong>della</strong> provincia<strong>di</strong> Cuneo nell’attribuire la maggioranza dei consensi alla monarchiacon il 52 per cento dei suffragi a quel simbolo.Il responso delle urne avvertiva che il sentimento monarchico, nellaculla sabauda, era ancora forte; ma, letto in profon<strong>di</strong>tà, specie per le dueprovince a netta caratterizzazione agricola, il voto dava conto <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cateansie conservatrici forse oltre una devozione inconcussa alla corona: era ilsegnale <strong>della</strong> preoccupata ansia per temute negazioni dell’or<strong>di</strong>ne secolarelegato al regno e per l’incedere <strong>di</strong> pretese <strong>di</strong> sconvolgenti novità negli assetti<strong>della</strong> società nazionale e locale.La consultazione politica aveva anche posto in rilievo due dati: da unlato la sconfitta dei partiti che erano stati i maggiori promotori <strong>della</strong> guerrapartigiana nel contesto Cuneese, cioè il Partito Comunista Italiano e<strong>di</strong>l Partito d’azione (il primo con le unità delle Garibal<strong>di</strong>, il secondo con leformazioni <strong>di</strong> Giustizia e Libertà), l’uno gravemente penalizzato, il secondosull’orlo <strong>della</strong> pratica scomparsa; dall’altro lato aveva dato con risalto il195


Mario Giovanasuccesso <strong>della</strong> Democrazia Cristiana, rimasta del tutto assente dalla creazionee dalla conduzione <strong>di</strong> bande <strong>della</strong> guerriglia e praticamente inesistentedurante il periodo <strong>della</strong> clandestinità antifascista. Le urne sancivano laprogressiva scomparsa del Partito Liberale, decrepita congregazione <strong>di</strong> notabiliconservatori (da cui, non a caso, l’autentico liberale che era il cuneeseLuigi Einau<strong>di</strong> si era sempre tenuto a debita <strong>di</strong>stanza e dalla quale, viceversa,era uscito per approdare ai li<strong>di</strong> fascisti l’esponente locale <strong>della</strong> compagine,l’antigiolittiano e clerico-conservatore avvocato Tancre<strong>di</strong> Galimberti,premiato dal regime con un seggio senatoriale dopo una indecorosaed enfatica capitolazione). Nell’insieme, comunque, il quadro degli orientamentipolitici <strong>della</strong> maggioranza dell’opinione cuneese si presentava comepremio ad una DC intesa quale presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> conservazione e garanzia <strong>di</strong>continuità prefascista, al riparo da tutti i messaggi innovatori collegati alleposizioni più avanzate del moto resistenziale e dalle prospettive non solo<strong>di</strong> profon<strong>di</strong> mutamenti dell’assetto socio-economico ere<strong>di</strong>tato dal passatobensì <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>cali sovversioni. Attorno al potere democristiano si creavaun fitto ed attivo tessuto clientelare, forte <strong>di</strong> colleganze economicamentered<strong>di</strong>tizie, <strong>di</strong> primazie politiche astute e fattive (sebbene spesso <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ocrilevature intellettuali nei personaggi che le incarnavano), <strong>di</strong> contiguitàche garantivano un tessuto <strong>di</strong> consensi e <strong>di</strong> appoggi al <strong>di</strong> là <strong>della</strong> sfera propriadel partito che le alimentava e le forniva assicurazioni <strong>di</strong> lungo periodo.Tutto ciò accadeva all’interno <strong>di</strong> quello che definiremmo un «orizzonte<strong>di</strong> cascina»; intendendo per tale una visione delle iniziative e delle conquisteda realizzare che non esulasse mai dal presi<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fondamenti conservatorilocali, che non intaccasse nella sostanza i ritmi lenti e particolaristici<strong>della</strong> comunità, che non introducesse fratture culturali lesive dei tra<strong>di</strong>zionalismipaesani più vieti, <strong>di</strong> una religiosità formale e accomodante ma utileper mantenere nelle sue appartate <strong>di</strong>ffidenze e <strong>di</strong>mensioni casalinghe, sottocontrollo parrocchiale, le genti del luogo. Un tessuto del genere si sarebbeprotratto nel tempo. anche dopo il tramonto <strong>della</strong> DC unitaria e lo spezzettarsidel fronte <strong>di</strong> centro-destra: alle elezioni politiche del 2006, il nontrascurabile successo <strong>della</strong> Lega bossiana - attorno al 10 per cento dei suffragicomplessivi - in<strong>di</strong>cherà l’esistenza <strong>di</strong>ffusa <strong>di</strong> una versione becera e antinazionaledel localismo, al <strong>di</strong> sotto <strong>di</strong> ogni parametro <strong>di</strong> decoro conservatoreed in una cifra peggio che plebea <strong>della</strong> protesta qualunquistica.L’«orizzonte <strong>della</strong> cascina», insomma, alla stregua <strong>di</strong> un recinto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesaquieta e per quanto possibile appartata dagli scarti modernizzatori dei pen-196


Fascismo, afascismo, Resistenza nel Cuneesesieri e dei costumi, dalle intromissioni moleste <strong>di</strong> idee «foreste » che minacciasserogli antichi pilastri <strong>della</strong> convivenza senza strappi e senza impennate<strong>di</strong> koiné conta<strong>di</strong>ne ripiegate su sé stesse a <strong>di</strong>fesa <strong>di</strong> uno spazio <strong>di</strong> garanzia<strong>di</strong> vita e <strong>di</strong> sopravvivenza nel mezzo dei tormenti del mondo. Quanto<strong>di</strong> fattivo vi si realizzava (ed una pratica indefessa e gravosa del lavoro erada sempre nel conto e veniva svolta con sudata caparbietà) non doveva essereinsi<strong>di</strong>ato da teoremi avveniristici, da pulsioni verso egualitarismi idealisticio da ipotesi <strong>di</strong> traguar<strong>di</strong> che oltrepassassero i benefici subito tangibilidegli abitanti <strong>di</strong> quello spazio e si ponessero fuori dalle logiche praticonedei suoi occupanti. Nel rifiuto quasi fisiologico dei temi e delle mobilitazionifasciste, parecchio <strong>di</strong> questi depositi secolari aveva avuto una funzionedecisiva e forniva spiegazioni corrette alla estesa estraneità cuneese ai richiamied alle imposizioni del regime.Il rigetto del fascismoÈ fuori <strong>di</strong> dubbio che appelli, meto<strong>di</strong>, obiettivi ed eccitazioni aggressivedel regime mussoliniano caddero su gran parte dell’universo cuneese incontrandovi<strong>di</strong>ssensi taciti ma <strong>di</strong>ffusi, risultando nulla più che vani tentativi<strong>di</strong> accalorare cervelli ed animi, rimanendo sulla superficie <strong>di</strong> una societàaliena dall’assimilarli e dal farsene ban<strong>di</strong>trice. Se ne lamentava con rancoree <strong>di</strong>sprezzo il quadrumviro Cesare Maria De Vecchi e ne riferirannoa getto continuo durante il ventennio le fonti fiduciarie delle spionaggiopolitico <strong>della</strong> <strong>di</strong>ttatura, come si ricava dai depositi archivistici. Un Cuneesesenza slanci guerreschi, senza prosopopee imperiali, sordo ai doveri <strong>di</strong>marciare impettito <strong>di</strong>etro le parole d’or<strong>di</strong>ne truci e muscolari dei «ra<strong>di</strong>osidestini» nazionali da perseguire. Un Cuneese ripiegato sulle proprie cureproduttive, con celati rimpianti per l’età giolittiana (la stagione illustre <strong>di</strong>una «grande compaesano» antibellicista - anche quando era stato promotoredell’avventura tripolina -, civilmente e borghesemente alieno dai clamori<strong>di</strong> piazza, <strong>di</strong>messo quanto accorto gestore dei consensi locali). L’esplorazionedegli organigrammi politici e amministrativi del ventennio rivela laquasi assenza <strong>di</strong> squadrismi da sciarpa littorio, <strong>di</strong> emuli dei Bran<strong>di</strong>marte eancor più degli Arconovaldo Bonaccorsi, attesta la miseria degli inquadramentigerarchici <strong>di</strong> partito: i federali in camicia nera sono per lo più cameratidell’ultima ora, i podestà dei comuni provengono in larga misura dalvecchio notabilato, arresosi, per spirito <strong>di</strong> servizio verso la comunità o per197


Mario Giovanatutelare interessi <strong>di</strong> bottega, ai meccanismi del sistema, ma pochissimo inclinea schierarsi in prima fila nei fasti del regime (anche perchè ha pienaconsapevolezza degli umori del contesto). Assente un forte movimento <strong>di</strong>riven<strong>di</strong>cazioni e <strong>di</strong> maturità <strong>di</strong> classe operaia - ultra minoritaria nel tessutoagricolo -, assenti le spinte <strong>di</strong> protesta <strong>di</strong> masse <strong>di</strong> salariati delle campagneperchè manca un proletariato <strong>di</strong> massa (soltanto il centro <strong>di</strong> Bra sembraessere stato protagonista <strong>di</strong> repressioni antiproletarie <strong>di</strong> una certa rilevanza,ma gli autori erano soprattutto esterni alla città), assente pertantoun’iniziativa antifascista sindacale e delle forze <strong>di</strong> sinistra capace <strong>di</strong> inciderenella mobilitazione consistente <strong>di</strong> forze avverse, il fascismo è calato sulCuneese come una soprastruttura posticcia, «foresta», intrisa <strong>di</strong> <strong>di</strong>grignamentifaziosi e, soprattutto, <strong>di</strong> appelli incomprensibili per obiettivi e glorieda guadagnare a prezzo <strong>di</strong> leve <strong>di</strong> guerra (da epoche ben anteriori al ducatosabaudo, le più aborrite dai conta<strong>di</strong>ni), <strong>di</strong> rovina e <strong>di</strong> sangue. L’espansionismoimperiale, la visione militaresca dell’esistenza, il «credere, obbe<strong>di</strong>re,combattere» <strong>della</strong> perversa morale fascista, urtano contro le cinte dellecascine e l’acrimonia <strong>di</strong> un clero grezzo e povero ma vigile e avvertito, chescorge bene il rischio <strong>di</strong> perdere la propria egemonia a favore dei nuovi venuti:risuonano fanfare e appelli roboanti che lasciano in<strong>di</strong>fferenti, quandonon attoniti, i destinatari <strong>di</strong> quei clamori e li fanno via via sempre piùtimorosi dell’intrusione <strong>di</strong> tante scalmane a bucare la coltre risaputa delleproprie invalse abitu<strong>di</strong>ni, dei propri commerci, delle proprie relazioni conil potere statale e locale, <strong>della</strong> soggezione nutrita <strong>di</strong> terrori pagani alle penitenzialiintimazioni chiesastiche.Durante tutto il ventennio mussoliniano, il Cuneese pare subire silenziosamentequalcosa che non gli appartiene, a cui si piega senza sussulti ache accetta supinamente ma senza convinzione. Tutto ciò, tuttavia, bisognaguardarsi dal catalogarlo come reazione antifascista. La quale rimane,nella sua corretta accezione <strong>di</strong> militanza attiva e non <strong>di</strong> inerte riserva <strong>di</strong> coscienzao inespresso <strong>di</strong>ssenso, testimoniata da pochi esempi: sparuti nucleicomunisti, con alcuni militanti che pagano in anni <strong>di</strong> carcere la loro fede,talune emigrazioni <strong>di</strong> netta origine politica (il caso dell’avvocato Carlo Bava<strong>di</strong> Garessio), la sparsa <strong>di</strong>aspora <strong>di</strong> uomini quali l’avvocato Duccio Galimberti<strong>di</strong> Cuneo, l’avvocato ra<strong>di</strong>cale Manlio Vineis <strong>di</strong> Saluzzo, l’avvocatoPiero Alleman<strong>di</strong> <strong>di</strong> Dronero (con una piccola cellula liberale <strong>di</strong> inconcussafedeltà alla causa dell’opposizione), entrambi, questi ultimi, destinatia perire nei campi <strong>di</strong> sterminio nazisti. Si afferma invece una forma <strong>di</strong>198


Fascismo, afascismo, Resistenza nel Cuneeseafascismo <strong>di</strong>ffuso, connotato essenzialmente dalla evidente <strong>di</strong>stanza tra gliinfuocati clamori del regime e le fredda atmosfera <strong>della</strong> terra cuneese, dallamancata evidenza fascista dell’insieme delle espressioni <strong>di</strong> vita del compartoe dalla marginalità che appunto le fonti <strong>di</strong> censimento degli in<strong>di</strong>rizzidell’opinione pubblica sotto il regime annotano a carico del consenso nellaprovincia. Retroguar<strong>di</strong>a dell’Italia in orbace, il Cuneese scivola pertantocon le sue allergie politiche verso il dramma <strong>della</strong> guerra e l’inimmaginabileprezzo che dovrà pagargli. È appunto questo varco a spezzarne i silenzi ele estraneità nelle quali sembra ricantucciato.Le tristi e folli avventure <strong>di</strong> Grecia e <strong>di</strong> Russia, in cui l’arma militareclassica <strong>della</strong> provincia montana, gli appartenenti al corpo degli alpini, subisceper<strong>di</strong>te ingenti, operano la frattura insanabile con il regime <strong>di</strong>slocandol’opinione <strong>di</strong> maggioranza del Cuneese su <strong>di</strong> un fronte <strong>di</strong> irrime<strong>di</strong>abilerifiuto palpabile del fascismo e preparando la ribellione che scaturirà daglieventi dell’armistizio dell’8 settembre 1943. Il corpo alpino, specie l’Armir,<strong>di</strong>slocato nella pianura russa, sono attori <strong>di</strong> trage<strong>di</strong>e che decimano lapopolazione, soprattutto delle zone montane, mettono allo scoperto le falle<strong>di</strong> una Italia fascista demagogica e bluffista, scar<strong>di</strong>nano l’apparato propagan<strong>di</strong>sticosul quale si è retta la <strong>di</strong>ttatura. Il <strong>di</strong>sastro opera il passaggio daun clima <strong>di</strong> scontento e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stacco ad una atmosfera <strong>di</strong> ribellione. Il tenenteeffettivo degli alpini Nuto Revelli, poi figura alta del partigianato locale,partito volontario <strong>di</strong> convinzioni fasciste verso la pianura del Don, neldramma <strong>della</strong> ritirata dei suoi reparti (dove si guadagna due medaglie d’argentoal valore) scopre la vergogna del regime e gli giura un’avversione chenon conoscerà attenuanti, che non ammetterà indulgenze, con risvolti <strong>di</strong>ira ven<strong>di</strong>cativa irrefrenabile (la prima formazione partigiana cui apparterrà,da lui organizzata, porterà il titolo <strong>di</strong> «Riven<strong>di</strong>cazione caduti»). La prima,publica chiamata alle armi contro i tedeschi del popolo italiano si levada Cuneo: è il mazziniano Duccio Galimberti, dalla terrazza <strong>della</strong> sua casa,nel centro citta<strong>di</strong>no, a proclamarne, l’indomani dell’armistizio, l’urgenzae l’inderogabile necessità. La guerra partigiana e la Resistenza popolareconoscono, nella provincia delle cascine e dei forti se<strong>di</strong>menti conservatori,uno sviluppo imme<strong>di</strong>ato e corale; certo favorito dallo sbandamento sulterritorio <strong>della</strong> IV Armata - che semina <strong>di</strong> uomini ed armi le campagne - edall’accorrere da ogni parte <strong>della</strong> regione verso quelle montagne, ma si ra<strong>di</strong>canoe si estendono in virtù <strong>di</strong> un ambiente che fa loro da supporto generalizzato,che non offre al nemico fascista e tedesco angoli <strong>di</strong> sicuro ri-199


Mario Giovanaparo e non cesserà mai <strong>di</strong> sostenerne, nell’insieme, comunque, lo sforzo,malgrado il genere <strong>di</strong> guerra con il quale si trova alle prese costelli la sua vicenda<strong>di</strong> crude prove e non escluda complesse e spesso tese relazioni con lagente in armi (una storia ampiamente <strong>di</strong>sattesa dai ricercatori, specie per lecarenze <strong>di</strong> iniziative ed i limiti <strong>di</strong> concorso scientifico dell’Istituto storico,sovente come intimi<strong>di</strong>to dal clima <strong>di</strong> permanente restaurazione conservativache pervade ogni pubblica autorità - non escluse quelle elettive che siammantano <strong>di</strong> propositi <strong>di</strong> sinistra - e tiene quasi ovunque la realtà culturalecuneese in rarefatte atmosfere <strong>di</strong> asettiche o ambigue rievocazioni, <strong>di</strong>folklore paesano e <strong>di</strong> opportunistiche trascuratezze).Le falle <strong>della</strong> ricerca storicaÈ trascorso un sessantennio dai giorni <strong>della</strong> vicenda che suscitò la Resistenzaed i resoconti <strong>della</strong> storia hanno irrobustito l’accertamento dell’ampiezza,dello slancio e <strong>della</strong> portata complessiva del fenomeno partigianonella provincia cuneese. Dunque, un blocco <strong>di</strong> forze tutte egualmente contrassegnateda indefessa operatività, tutte accre<strong>di</strong>tabili <strong>di</strong> venti mesi <strong>di</strong> lottasenza pause, prive <strong>di</strong> zone d’ombra nei comportamenti politico-militaridei capi? Qui sarebbe dovuta intervenire sui trionfalismi e le enfasi celebrative,anzitutto, l’indagine puntuale e autorevole dell’Istituto citato, prepostoper sua finalità a ricostruire il più esattamente possibile anche il quadrointerno - organizzativo, <strong>di</strong> incidenza militare e <strong>di</strong> armonia dei proce<strong>di</strong>mentibellici - con la <strong>di</strong>rezione centrale del moto. Il che è mancato, ripiegandoinvece sulle cronache del tempo, sulle memorie dei protagonisti acriticamenteaccolte, su <strong>di</strong> una spesso statica osservazione dei fatti. Da quietismorinserrato negli «orizzonti <strong>di</strong> cascina», alieno dal selezionare nel corpo variegatoe complesso del fenomeno le parti attive da quelle scadenti o <strong>di</strong> merae pubblicitaria apparenza guerrigliera, per lo più addebitabili ad intentipropagan<strong>di</strong>stici delle centrali politiche od alle fregole <strong>di</strong> protagonismo abasso prezzo <strong>di</strong> singoli esponenti locali dalle iniziative.Un esame anche superficiale mette in luce amplificazioni fuori <strong>di</strong> luogoe meriti combattentistici quanto meno <strong>di</strong>sinvoltamente riconosciuti. Alcunicasi, per esemplificare: la fantomatica esistenza <strong>di</strong> una Brigata «Carando»delle formazioni Garibal<strong>di</strong> (presentatasi come un’arruffata leva dell’ultimaora, a Savigliano, nei giorni <strong>della</strong> liberazione guidata da un comandanteche indossava ri<strong>di</strong>colmente l’uniforme da ufficiale sommergibilista200


Fascismo, afascismo, Resistenza nel Cuneese- stivali <strong>di</strong> gomma compresi -, improbabile tenuta <strong>di</strong> qualsivoglia combattente<strong>della</strong> guerriglia in qualsivoglia terreno; l’esistenza effettiva delle X eXXI Brigata GL <strong>di</strong> pianura, tenue e male in<strong>di</strong>viduabile rete <strong>di</strong> appoggio casalingoalle unità alpine; una Brigata Matteotti <strong>di</strong> Valle Varaita, mai comparsanelle vicissitu<strong>di</strong>ni e battaglie locali (ed il cui pseudo-comando verrà<strong>di</strong>sarmato, senza la minima resistenza, nei giorni seguenti l’insurrezione,sulla via del paese <strong>di</strong> Piasco, dai giellisti <strong>della</strong> 2 a Divisione); infine, il casopiù vistoso <strong>di</strong> incongruenze resistenziali, quello inerente il maggiore <strong>di</strong> Statomaggiore in servizio effettivo Enrico Martini Mauri.Questo caso ha rilevanza speciale, perchè il Mauri fu il promotore ed ilcomandante delle Divisioni Autonome delle Langhe e del Monferrato e glivenne assegnata una medaglia d’oro al V.M. L’intero percorso dell’avventuradel maggiore è intanto costellato da pacchiani errori tattici ed irresponsabiliazioni propagan<strong>di</strong>stiche; a cominciare dalla rovinosa <strong>di</strong>fesa su posizioniprecostituite <strong>della</strong> Valle del Casotto, nel marzo del 1944, per arrivareall’occupazione <strong>della</strong> città <strong>di</strong> Alba, nell’autunno <strong>di</strong> quello stesso anno, occupazioneeffettuata contro le <strong>di</strong>sposizioni del Comando Regionale e controil parere del comando <strong>della</strong> formazione Garibal<strong>di</strong> che operava nella zona(e con l’aggiunta <strong>di</strong> personali assicurazioni del Martini al Vescovo <strong>della</strong><strong>di</strong>ocesi che la <strong>di</strong>fesa del centro sarebbe stata condotta fino all’estremo sacrificio,quando era palese che i partigiani non avrebbero potuto se non accennaresensatamente nulla più <strong>di</strong> una breve resistenza <strong>di</strong> fronte ad un attaccoin forze: e, infatti, i coman<strong>di</strong> <strong>di</strong> Salò concentrarono sufficienti unitàper ridurre la tenuta degli occupanti a poche ore <strong>di</strong> fuoco e riconquistarela città: conseguendo così l’unico, scontato successo - salutato con clamoredalla stampa fascista - delle truppe repubblichine nel periodo).Le <strong>di</strong>sposizioni del centro <strong>di</strong> comando degli Autonomi era andate pressochécostantemente in controtendenza a quelle del CLN piemontese e delcomando unitario regionale, compresa la <strong>di</strong>sposizione emanata dalla centralemaurina per la creazione presso i suoi coman<strong>di</strong> <strong>di</strong> <strong>Del</strong>egazioni Civili -mere proiezioni dei coman<strong>di</strong> militari – in sostanziale contrapposizione alleGiunte popolari da eleggere nei comuni liberati. A mezzo secolo dal fatto,uno storico serio ed addestrato quale Emilio Gentile (non un cultore <strong>di</strong>economicamente lucrose incursioni e<strong>di</strong>toriali a detrimento <strong>della</strong> Resistenzaalla stregua <strong>di</strong> quelle operate dal giornalista Giampaolo Pansa) ha scopertonegli archivi tedeschi le prove che l’Enrico Martini Mauri, catturato(?) dai tedeschi durante un rastrellamento, barattò la propria liberazio-201


Mario Giovanane con l’impegno a non recare loro alcun <strong>di</strong>sturbo. Il che, in linguaggio daco<strong>di</strong>ce penale <strong>di</strong> guerra, si configura come alto tra<strong>di</strong>mento. Enrico MartiniMauri perirà in un non ben definito incidente aereo (dopo che, in epocaprecedente, era incappato in un controllo doganale alla frontiera elveticamentre, in compagnia <strong>di</strong> un esponente dell’amministrazione <strong>della</strong> DC,tentava <strong>di</strong> esportare clandestinamente 50 milioni <strong>di</strong> lire. Cifra astronomica,all’epoca: tuttavia, delle eventuali e preve<strong>di</strong>bili conseguenze <strong>di</strong> tanta infrazionenon verrà reso pubblico alcunché). Al tirare delle somme, in ognimodo, una figura non limpida, sia nel ruolo <strong>di</strong> capo <strong>di</strong> unità <strong>di</strong> resistenti(le cui magagne, ovviamente, non intaccano minimamente onestà <strong>di</strong> intenti,coerenza e valore <strong>di</strong> comportamenti <strong>di</strong> singoli comandanti e <strong>di</strong> combattentidelle formazioni Autonome prese in considerazione. E ce ne furono<strong>di</strong> ottimi), sia nella posteriore qualità <strong>di</strong> citta<strong>di</strong>no. depositario <strong>di</strong> unblasone che sembra essere stato tutt’altro che degnamente rappresentato.e va in ogni caso indagato nei suoi risvolti concreti, mentre si tende a nonportarne alla luce le ombre quanto mai dense.Rintuzzare appropriatamente l’ondata revisionista che si abbatte sullastoria <strong>della</strong> Resistenza non significa unicamente opporre ai detrattori - nostalgicipostfascisti o <strong>di</strong> conio <strong>di</strong> una destra mascherata - le irrefutabili ragionie le carte testimoniali <strong>di</strong> un fenomeno <strong>di</strong> lotta popolare che ha riscattatoil Paese dalla vergogna fascista e spalancato le porte alla democrazia:significa anche mettere le attenzioni e la riflessione critica al servizio <strong>di</strong> veritàche concernono la Resistenza medesima e che non possono godere <strong>di</strong>coperture per remore <strong>di</strong> parte, né essere taciute per cattivi pudori dai qualifiniscono <strong>di</strong> prendere corpo facili equiparazioni tra la menzogna antistoricaed il suo contrario. Si potrebbe incominciare proprio da una realtà resistenzialecosì massiccia ed onorevole quale quella Cuneese per fare chiarezzadove sussistono oscurità ed equivoci cui ovviare.202


La questione <strong>della</strong> politica partigiana<strong>di</strong> Davide VenturaUno dei no<strong>di</strong> storiografici più controversi riguardante l’enorme mole<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> compiuti in Italia sul complesso periodo storico etichettato conil termine «Resistenza», può essere riassunto in queste domande: è esistitauna politica partigiana? Se è esistita, quali sono state le caratteristiche chel’hanno <strong>di</strong>stinta dalla politica dei partiti? Se lo ha fatto, in che modo ha influenzatoil destino del nostro paese in quella fase storica segnata dalla fine<strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e dalla transizione da una <strong>di</strong>ttatura ventennalead una repubblica democratica?Messo a confronto con i sacrifici, le trage<strong>di</strong>e e gli orrori <strong>di</strong> quel periodol’argomento può sembrare <strong>di</strong> importanza secondaria, eppure il ruolodei partigiani nella guerra <strong>di</strong> liberazione e il lascito dalla Resistenza nellaforma <strong>di</strong> riscatto <strong>di</strong> un popolo intero e <strong>di</strong> valori fondativi traghettati nellaneonata Repubblica italiana 1 , sono ancora oggetto <strong>di</strong> animate <strong>di</strong>scussioni,che recentemente hanno inasprito il <strong>di</strong>battito politico in sede istituzionalea livelli preoccupanti. Questo breve lavoro cercherà <strong>di</strong> dare una risposta,che a nostro avviso deve essere comunque positiva e aperta, alle domandeposte in partenza ripensando la sequenza 1943-1945 con nuovi strumenti.Per raggiungere questo obiettivo adotteremo un approccio metodologiconuovo, che pre<strong>di</strong>lige lo stu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> politica dall’interno, chevede nel fare, nel <strong>di</strong>re e nel pensare <strong>della</strong> politica intesa in senso «alto» l’invenzione<strong>di</strong> qualcosa che prima non c’era e che porta con sé la possibilità<strong>di</strong> aprire orizzonti impensati. Nel corso dell’esposizione, vedremo con unesempio concreto come queste riflessioni si possano applicare alla storia <strong>di</strong>una formazione partigiana emiliana, la brigata «Stella Rossa» 2 .Ripensare la storia <strong>della</strong> politica: brevi cenni metodologiciLa risposta alle domande poste in precedenza deve passare necessaria-203


Davide Venturamente attraverso un nuovo taglio metodologico e categorie del pensieroancora inutilizzate per capire i movimenti partigiani dal punto <strong>di</strong> vistapolitico. Nostro punto <strong>di</strong> riferimento in questa ricerca saranno due lavori3 , da considerare come una «lente d’ingran<strong>di</strong>mento» che ci ha permesso<strong>di</strong> vedere meglio e con uno sguardo <strong>di</strong>verso l’argomento <strong>di</strong> cui ci occupiamo.Ve<strong>di</strong>amo come.Nel primo libro viene riletta la storia d’Italia dalla fine del Settecentoalla metà del Novecento evidenziando quanto, come e quando la politicaabbia avuto un ruolo decisivo per le sorti del paese. La definizione <strong>di</strong> ciòche gli autori intendono per politica è molto importante per capire perché,a nostro avviso, è esistita una politica partigiana: la politica, consideratain senso alto, «si da principalmente per situazioni […] ben localizzabilinel tempo e nello spazio, fondate ciascuna su una propria singolarità:la singolarità risultante da un rapporto tra pensiero e azione, tra un <strong>di</strong>re eun fare, che non si conclude mai a favore dell’uno o dell’altro, ma che creauna tensione collettiva. La politica, in questo senso, non è che un rapportoeventuale e circostanziato tra un <strong>di</strong>re e un fare, <strong>di</strong> cui la ricerca storiograficanon deve cercare una qualche coerenza o una qualche logica, mala reciproca rincorsa: il <strong>di</strong>re <strong>di</strong> una politica degna <strong>di</strong> questo nome è sempreuna <strong>di</strong>rettiva, o meglio una prescrizione che anticipa l’azione; la qualea sua volta crea un ’non detto’, su cui la politica daccapo è convocata a <strong>di</strong>requalcosa <strong>di</strong> nuovo. Finché tale rincorsa avviene, avviene anche una politicache si presenta così come un tragitto soggettivo singolare. È l’insiemedelle con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> un simile tragitto ciò che chiamiamo situazione politica»(p.25). Per gli autori le situazioni politiche «esistono quin<strong>di</strong> solo nellepossibilità endogene aperte dai suoi soggetti che elaborano e rielaboranole proprie con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong> partenza» (p.26), non sono riferibili alla logicadei sistemi politici come vengono stu<strong>di</strong>ati dalle scienze politologiche. doveil sistema qualifica la politica: nel nostro caso solo la politica, ovvero, il<strong>di</strong>re e il fare dei soggetti configura la situazione, e non viceversa. La politicanon viene inoltre intesa «né come riflesso o rappresentanza <strong>di</strong> interessi,né come gestione <strong>di</strong> Stato, né come realizzazione <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> coscienza, <strong>di</strong>teorie o filosofie, né risponde ad alcun destino o logica globale, quali lotta<strong>di</strong> classe e rivoluzione, opposizione amico/nemico o esigenza fondamentale<strong>di</strong> pluralismo; e, tantomeno, è analizzata come parte o insieme <strong>di</strong> relazionidì un sistema politico» (p.28).La storia <strong>della</strong> politica , insomma, non viene sempre vista come sto-204


La questione <strong>della</strong> politica partigianaria <strong>di</strong> potere e non è quin<strong>di</strong> sempre strumentale alla conquista o al mantenimentodel potere: la politica in senso proprio gestisce in modalità singolarie irripetibili le proprie possibilità. Le situazioni politiche così intesevanno indagate esaminandone: 1. Tempi: l’inizio e la fine <strong>della</strong> situazione,quello che è cambiato e come è cambiato rispetto allo stato delle coseiniziale. 2. Luoghi: luoghi collettivi, che sono il banco <strong>di</strong> prova del pensieroe dell’azione <strong>della</strong> soggettività collettiva. 3. Pensiero: interno alla situazione,pensato da uno o più in<strong>di</strong>vidui, separato da religione, filosofiao cultura in generale e «che esiste nella situazione e ne offre una intelligibilitàimmanente, interna a ciò che sta accadendo, nel corso del suo accaderee che dunque lo prescrive, lo anticipa più o meno pertinentemente»(p.30-31). L’unità <strong>di</strong> misura del pensiero è la categoria, intesa come parteo frammento <strong>di</strong> un <strong>di</strong>scorso: non è il <strong>di</strong>scorso o la logica del pensiero a<strong>di</strong>nteressare ma «l’insistenza o la ricorrenza, o, viceversa, l’irruzione inattesa<strong>di</strong> certe parti o frammenti <strong>di</strong> <strong>di</strong>scorso che rend[ono] accessibile alla storiail pensiero interno all’accadere <strong>di</strong> una situazione politica» (p.31). 4. Azione:il non detto che mette in relazione gli altri aspetti appena citati, riconoscibilenelle classiche figure dell’azione politica (<strong>di</strong>battiti, scioperi, insurrezioni,promulgazione <strong>di</strong> leggi, rivolte, guerra ecc.) 5. Personaggi: il puntod’incontro <strong>di</strong> pensiero e azione, nei luoghi e tempi nei quali quel pensieroe quella azione si svolgono. Va inoltre messo in evidenza come nel librola fase storica che ci interessa, la guerra partigiana dal 1943 al 1945, vengadenominata come «situazione politica <strong>della</strong> politica», intendendo con questadefinizione una situazione politica «chimicamente pura», in cui vengonoinventati «nuovi luoghi e categorie del collettivo prima inesistenti, irriducibilia qualsiasi loro rappresentazione coeva fissatasi nella cultura, nelsapere, nello Stato» (p.34).II secondo volume può essere considerato un proseguimento ed ampliamentodel primo: il centro del <strong>di</strong>scorso non è più la storia d’Italia mal’analisi <strong>di</strong> politiche storicamente esistite, tra cui naturalmente la politicapartigiana, volta ad approfon<strong>di</strong>re e a capire i problemi, e le relative soluzioni,inerenti alle questioni dell’organizzazione in politica.Se nel primo libro la domanda era «quando (e come) si è fatto politicain Italia?», in questo lavoro la domanda centrale è «come si sono organizzatele soggettività politiche?». L’interesse è rivolto alle con<strong>di</strong>zioni e alle risorseinterne <strong>della</strong> politica: al <strong>di</strong>re e al fare in rincorsa tra loro <strong>di</strong> cui abbiamogià parlato in precedenza, che danno vita ad un tragitto all’interno del205


Davide Venturaquale possiamo reinterpretare le categorie <strong>di</strong> movimento e partito politico;un <strong>di</strong>re e un fare mai sintetizzati in un’unica <strong>di</strong>alettica, capaci <strong>di</strong> mettere inmovimento soggettività molteplici prive <strong>di</strong> potere e <strong>di</strong> solito ben lontaneda esso, ma che possono produrre effetti <strong>di</strong> potere senza per questo ridursiad essi o alla loro gestione. Sarà importante capire quanto il <strong>di</strong>re è con<strong>di</strong>zionatodal fare o viceversa, senza per forza ricercare una corrispondenza,una coerenza intrinseca tra i due poli al centro dell’analisi, anche perchéogni membro <strong>di</strong> una molteplicità attribuisce al suo <strong>di</strong>re e al suo fare significati<strong>di</strong>versi e personali. Ne consegue che il linguaggio è una parte fondamentale<strong>di</strong> questa ricerca sull’organizzazione in politica.Le problematiche dell’organizzazione in politica vengono sud<strong>di</strong>vise in:1. Luoghi: una politica prende vita e si svolge nei rapporti interni ad unluogo o più luoghi. 2. Cronologia: il percorso dall’inizio alla fine <strong>della</strong> politicaorganizzata, «la <strong>di</strong>chiarazione o il fatto che innesca in più luoghi unarincorsa tra <strong>di</strong>re e fare e [...] la <strong>di</strong>chiarazione o il fatto che esaurisce la rincorsatra <strong>di</strong>re e fare e quin<strong>di</strong> anche i luoghi in cui questa rincorsa avveniva»(p.91). Va ricercato il carattere endogeno, soggettivo e singolare <strong>della</strong>nascita e <strong>della</strong> fine dell’organizzazione <strong>di</strong> una politica, senza partire dallecon<strong>di</strong>zioni esogene o esterne ad essa. 3. II <strong>di</strong>re e il fare nelle relazioni tra<strong>di</strong>versi luoghi: stu<strong>di</strong>are «i mo<strong>di</strong> in cui si sono attivati i rapporti tra i <strong>di</strong>versiluoghi d’organizzazione» (p.92) attraverso i documenti e le azioni, «la rete<strong>di</strong> relazioni tra i <strong>di</strong>versi luoghi politici« (p.92). 4. I rapporti tra l’organizzazionepolitica e i suoi interlocutori esterni: possono essere amici, nemici oconcorrenti dell’organizzazione. La categoria d’organizzazione si deve trattarein chiave storico-politica, considerandola come una categoria politicatra le altre possibili e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>versamente dall’interpretazione delle teoriesociologiche o economiche che ne valutano l’efficacia in termini <strong>di</strong> sistema,funzioni o strutture.Tenendo a mente queste linee-guida, nel prossimo paragrafo tenteremo<strong>di</strong> descrivere gli elementi costitutivi <strong>della</strong> politica partigiana.Caratteristiche <strong>della</strong> politica partigiana«Che cosa era la politica in quei venti mesi? Era le cose concrete <strong>della</strong>vita, come la ricerca del potere, la rivalità delle formazioni, l’occupazionedel territorio, il rapporto con i parroci, con la popolazione, con la sussistenza,con la ricerca delle armi ma come in un sogno, il sogno in cui tutto206


La questione <strong>della</strong> politica partigianaè possibile e coesistente, una società liberale dentro una rivoluzione buonae virtuosa, economia <strong>di</strong> mercato e socializzazione, democrazia per tuttima solidarietà e vigilanza partigiane. Ognuno poteva parlare, mettere assiemei <strong>di</strong>versi: tanto le verifiche venivano rimandate alla fine <strong>della</strong> guerra[…] anche loro [i democratici e i comunisti] erano convinti che la guerrapartigiana avrebbe aperto una nuova storia, perché anche loro vivevanoin quell’eccitante sospensione <strong>della</strong> vita reale, <strong>della</strong> storia reale come capitaquando si apre una nuova utopia. […] La nostra politica intransigentecon il nemico tedesco o fascista era nelle nostre formazioni tollerante e ottimista.[…] Lo spirito <strong>di</strong> corpo era scambiato spesso per una scelta politicama a nessuno <strong>di</strong> noi veniva in mente <strong>di</strong> interrogarci, <strong>di</strong> confessarci sullascelta <strong>di</strong> una formazione» 4 .Le parole con cui Giorgio Bocca ricorda la sua esperienza <strong>di</strong> partigianocontengono molte delle caratteristiche che riteniamo tipiche <strong>della</strong> politicapartigiana e che la <strong>di</strong>fferenziano dalle politiche dei partiti coinvolti nellaguerra <strong>di</strong> liberazione. Abbiamo scelto come testimone del periodo un protagonistaillustre, ma se si leggono i libri <strong>di</strong> memorie partigiane o le storielocali delle formazioni, si riscontreranno delle corrispondenze quasi univoche5 . Le osservazioni <strong>di</strong> Bocca fanno riferimento a categorie proprie delpensare partigiano: l’intransigenza, la possibilità, l’ottimismo, la speranza,l’utopia, il rinnovamento che vuole preservare il meglio <strong>della</strong> tra<strong>di</strong>zione.La prima categoria, l’intransigenza, è gia <strong>di</strong> fatto un programma politico,incarnato nella forma più estrema dal Partito d’Azione 6 : la volontà <strong>di</strong>recidere ogni legame con il fascismo, non considerandolo solo una «parentesi«nella storia del paese, con la politica del governo Badoglio e del Regnodel Sud, assieme alla lotta armata e al sostegno incon<strong>di</strong>zionato al CLNdell’Alta Italia perché <strong>di</strong>venti governo nazionale ed espressione <strong>di</strong> un rinnovamentora<strong>di</strong>cale nella politica e nell’organizzazione dello Stato, rappresentavanol’apertura <strong>di</strong> nuove possibilità che, a ragione, potevano apparireutopiche. Ma fu proprio questa la molla che mobilitò i primi gruppi <strong>di</strong>partigiani, a cui fecero poi seguito altre ragioni più contingenti, come adesempio i ban<strong>di</strong> <strong>della</strong> Repubblica Sociale. Nelle numerose testimonianzedei partigiani <strong>della</strong> «Stella Rossa» 7 ritroviamo lo stesso impulso ad agiresenza riserve: «L’antifascismo mi nacque dentro, prima come delusione,poi come ironia, infine come rabbia. […] Venne anche per noi il momento<strong>della</strong> prova del nove [raggiungere i partigiani in montagna]: la decisioneera improrogabile e tanto più cocente quanto meno coatta. Quando la-207


Davide Venturasciai mio padre ero più angosciato <strong>di</strong> quanto mai mi fosse capitato in occasionedelle numerose partenze degli anni precedenti. Non mi ero mai sentitocosì obbligato, mai come questa volta che non c’era nessuna cartolina<strong>di</strong> mezzo» 8 . Anche nel linguaggio dei comunicati non c’è spazio per concessionio ripensamenti: «Vi avvertiamo che le nostre contromisure sarannoterribili e senza via <strong>di</strong> mezzo», minaccia un comunicato <strong>della</strong> brigata<strong>di</strong>retto ai fascisti repubblicani <strong>di</strong> Monzuno, «La nostra rappresaglia vi raggiungeràovunque e nessun rifugio, né guar<strong>di</strong>a del corpo, varrà a salvarvi» 9 .Quin<strong>di</strong> intransigenza, ma anche speranza in un nuovo or<strong>di</strong>ne statale cheapre delle possibilità. Questa spinta verso il nuovo, a nostro avviso, prepareràil terreno e le con<strong>di</strong>zioni a livello politico per la Svolta <strong>di</strong> Salerno dell’apriledel 1944 all’interno del Partito Comunista. Togliatti inaugureràuna politica <strong>di</strong> segno <strong>di</strong>verso da quella propriamente partigiana, <strong>della</strong> qualenon tutti i combattenti compresero subito il significato e la portata, unapolitica statale che a sua volta <strong>di</strong>schiuderà possibilità ed obiettivi più realizzabilinello scenario dell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra: collocare il partito comunistapiù importante d’Europa, e conseguentemente l’influenza sovietica,all’interno <strong>di</strong> un paese inserito nella sfera degli interessi americani, in unaposizione strategicamente importante durante gli anni <strong>della</strong> «guerra fredda».Seguendo la metodologia che abbiamo delineato nel paragrafo precedente,i tempi <strong>della</strong> politica partigiana e la cronologia dell’esperienza partigianacome situazione politica unica ed irripetibile seguono quin<strong>di</strong> un percorsoche va dall’armistizio, con la formazione spontanea 10 <strong>di</strong> piccole unità<strong>di</strong> uomini, fino alla Svolta <strong>di</strong> aprile, quando alla politica partigiana se nesostituisce un’altra, impensabile senza la prima ma con obiettivi completamente<strong>di</strong>versi, in linea con una continuità dello Stato che non lascia spazioa rotture decisive o rinnovamenti ra<strong>di</strong>cali nel modo <strong>di</strong> pensare e realizzarela gestione del paese.Scelta morale o scelta politica?La nascita <strong>di</strong> un movimento partigiano in Italia, col beneficio <strong>di</strong> sessantaanni <strong>di</strong> retrospettiva, oggi viene considerato da molti come un fattoscontato, come un destino ineluttabile per una nazione stremata da ventianni <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttatura. A nostro parere così non fu: quello che Ferruccio Parri hachiamato «il carattere <strong>di</strong>chiarato e manifesto d’insurrezione nazionale» 11 , si208


La questione <strong>della</strong> politica partigianaproponeva come un fatto ine<strong>di</strong>to e importantissimo per l’antifascismo italiano,tale da coinvolgere più <strong>di</strong> duecentomila militanti in bande armate.La presenza <strong>di</strong> un partito innovativo come il Partito d’Azione e <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battitosulla rifondazione dello Stato italiano su basi completamente nuovee in rottura decisiva col passato recente, rendevano la politica partigianauna presenza a tratti ingombrante per gli alleati e per chi in Italia desideravauna ripresa <strong>della</strong> vita istituzionale priva <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità estreme.La lungimiranza politica <strong>di</strong>mostrata dal Partito Comunista in occasione<strong>della</strong> Svolta era mancata ai quadri <strong>di</strong>rigenti del partito al momento <strong>di</strong>organizzare i gruppi che stavano nascendo a livello locale all’indomani <strong>della</strong>catastrofe dell’8 settembre. I primi passi furono spesso opera <strong>di</strong> singolepersonalità, antifascisti <strong>di</strong> vecchia data che nelle rispettive zone <strong>di</strong> provenienzacoagulavano attorno a sé i giovani privi <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione dopo lo sbandodell’esercito nazionale; per raggiungere un coor<strong>di</strong>namento omogeneonazionale (soprattutto, ovviamente, nelle zone ancora occupate dai tedeschie dai repubblichini) si dovettero attendere <strong>di</strong>versi mesi 12 , ma la sceltadecisiva dei primi «ribelli», prima dei ban<strong>di</strong> <strong>della</strong> RSI che nei mesi a venirespinsero molti uomini ad allargare le fila partigiane, avvenne in manieraistintiva e rappresentò un fatto ine<strong>di</strong>to e affatto scontato 13 . Dopo il crollo<strong>della</strong> <strong>di</strong>ttatura, che apre la strada a progetti e ad aspettative, il desiderio<strong>di</strong> rottura <strong>di</strong>venta scelta civile, politica e militare, una spinta che nei protagonistipiù colti <strong>di</strong> quella stagione deriva da «un’urgenza antiretorica vissuta,ancor prima che come progetto politico, come irrinunciabile vocazioneetica» 14 . Vale la pena soffermarsi brevemente su questo aspetto, affidandocialla storiografia esistente per cercare <strong>di</strong> capire meglio l’unicità <strong>di</strong>questa scelta.Al centro degli stu<strong>di</strong> sull’esperienza partigiana vi è sicuramente la ricercadelle motivazioni e degli stimoli <strong>di</strong> varia natura che hanno spinto moltigiovani a formare una banda o ad unirsi ad una già esistente per combattereil nemico interno ed esterno. La vastissima bibliografia a <strong>di</strong>sposizionesi è interessata da subito a questo tema, anche per il peso politico che quellascelta, e tutto ciò che ne ha fatto seguito, avrebbe giocato negli anni deldopoguerra: i partiti e gli intellettuali hanno strumentalizzato e usato l’ere<strong>di</strong>tàdell’esperienza partigiana a loro piacimento, cercando <strong>di</strong> assecondareil clima politico e culturale del paese ma soprattutto piegando un tema cosìdelicato e complesso alle linee <strong>di</strong> pensiero degli schieramenti e dell’elettoratoa cui essi fanno riferimento, dando vita così a quella che è stata de-209


Davide Venturafinita «storiografia <strong>di</strong> partito».Conseguentemente, il tema <strong>della</strong> guerra partigiana ha vissuto stagionialterne, e, come ha giustamente osservato Clau<strong>di</strong>o Pavone, «fra l’uso “pubblico”o, se si preferisce, “civile” e l’uso “dotto” <strong>della</strong> Resistenza si è venutocreando un fitto gioco <strong>di</strong> reciproci rinvii non sempre piani e pacifici» 15 .Nell’opera <strong>di</strong> Roberto Battaglia e Giuseppe Garritano 16 , viene approfon<strong>di</strong>toil tema <strong>della</strong> scelta e si cerca <strong>di</strong> delinearne i tratti principali: la prima faseaffidata alla spontaneità, poi la presa <strong>di</strong> coscienza dei gruppi antifascistiche abbracciano la lotta armata e, grazie all’apporto dei conta<strong>di</strong>ni e deglioperai dei quali essi si sentono «coscienza storica», formano le prime bandein Veneto e in Emilia-Romagna; in seguito, la lotta all’attesismo, nato dopoil fallimento delle prime azioni partigiane e combattuto da Longo, Secchia,Parri in nome <strong>di</strong> uno slancio popolare contro il nazifascismo. Battagliariassume la scelta partigiana come sbocco inevitabile per una gioventùche aveva sopportato il peso <strong>di</strong> una <strong>di</strong>ttatura e che ora avrebbe dovutocombattere a fianco dei tedeschi. Vedremo come nella storia <strong>della</strong> brigataStella Rossa questa analisi sia vera per molti uomini ma, come abbiamo giàfatto notare, non concor<strong>di</strong>amo sull’inevitabilità <strong>di</strong> quella scelta.Una <strong>di</strong>stinzione simile a quella sottolineata da si può ritrovare nella celebreopera <strong>di</strong> Guido Quazza 17 , che per primo ha tentato <strong>di</strong> inserire la vicendapartigiana nell’ambito <strong>della</strong> storia italiana passando dal primo dopoguerrafino all’affermarsi dell’egemonia democristiana, analizzando il fenomenoa livello locale e settoriale ma anche in relazione alla situazioneinternazionale <strong>di</strong> lungo periodo. Secondo l’autore la scelta <strong>della</strong> lotta armataavviene grazie all’incontro tra due tipi <strong>di</strong> antifascismo: il primo, definitopolitico’, è quello più organizzato, <strong>di</strong> vecchia data, cresciuto all’internodel regime fascista. Il secondo, che l’autore chiama «spontaneo» o «esistenziale»,<strong>di</strong> cui fanno parte i ceti me<strong>di</strong>, gli operai e i conta<strong>di</strong>ni, nato dallecontinue delusioni derivanti dalla politica del ventennio e dalle sue <strong>di</strong>sfatte.A queste due spinte propulsive Quazza affianca un terzo antifascismo,detto «l’antifascismo dei fascisti», ovvero l’atteggiamento <strong>di</strong> quei poteri chehanno reso possibile l’ascesa del fascismo ma che poi sono saltati sul carrodei vincitori con<strong>di</strong>zionando e annullando le istanze più innovatrici <strong>della</strong>Resistenza. Ci sembra importante sottolineare come questo schema, utilizzatoperaltro anche da Bocca, sia valido anche per le vicende che ci interessano,soprattutto con riferimento alle aspettative partigiane ampiamente<strong>di</strong>sattese nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra.210


La questione <strong>della</strong> politica partigianaIl tema <strong>della</strong> scelta è trattato anche nel celebre libro <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Pavone18 e, come ben si intende dal titolo dell’opera, si sviluppa all’interno<strong>di</strong> una sistemazione organica <strong>della</strong> questione morale all’interno <strong>della</strong> lottapartigiana. L’autore sottolinea giustamente come <strong>di</strong>etro ad ogni sceltasi nascondano motivazioni <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso spessore ma anche, elemento crucialeper il nostro lavoro, <strong>di</strong> come il carattere <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>enza critica sia assentenella scelta operata dai sostenitori <strong>della</strong> RSI: chi decise <strong>di</strong> <strong>di</strong>ventarepartigiano, seguendo i più svariati percorsi, approdò a un’organizzazionespontanea che pensava e perseguiva, con i mezzi umani e materiali <strong>di</strong>sponibili,una politica fondata da azioni e pensieri, spesso lontani, fisicamentee mentalmente, dalle in<strong>di</strong>cazioni provenienti dalle forze politiche a capodel movimento, mentre chi rispose ai ban<strong>di</strong> repubblichini, per entusiasmomilitante o per timore <strong>di</strong> <strong>di</strong>sobbe<strong>di</strong>re ad un or<strong>di</strong>ne, entrava a far parte <strong>di</strong>un governo con<strong>di</strong>zionato politicamente da una potenza straniera e ad essasoggiogato militarmente. Questa <strong>di</strong>fferenza è fondamentale per la nostraanalisi, che vuole mettere in evidenza il carattere unico e innovativo <strong>della</strong>politica partigiana in Italia. Contrariamente a Pavone, però, sosteniamoche vi sia una <strong>di</strong>stinzione netta tra questione morale e questione politica eche la seconda non possa essere ridotta alla prima, soprattutto nell’ambito<strong>della</strong> scelta iniziale <strong>di</strong> chi non aveva né il lusso né i mezzi intellettuali perpotersi soffermare su <strong>di</strong>vagazioni <strong>di</strong> tale portata. Mentre sul piano moraletroviamo una pluralità <strong>di</strong> motivazioni reversibili anche su altre sequenzestoriche, è sul piano politico che emergono tutte le singolarità <strong>della</strong> sceltapartigiana e <strong>della</strong> sequenza 1943-1945. La guerra a cui fa riferimento DanteLivio Bianco 19 , prima <strong>di</strong> confluire nel celebre trittico guerra <strong>di</strong> liberazione/lotta<strong>di</strong> classe/guerra civile, è soprattutto partigiana: autoctona, inventiva,dentro e contro la seconda guerra mon<strong>di</strong>ale 20 , una guerra che contienei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> agire e pensare <strong>della</strong> politica partigiana.Nella storia <strong>della</strong> brigata «Stella Rossa», i percorsi che portano alla sceltapartigiana hanno tratti in comune ma anche sfumature che li rendono<strong>di</strong>versi 21 . Non siamo in presenza <strong>di</strong> scelte obbligate o <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> ripensamentiideologici, anzi, la maggior parte delle persone che prenderannoparte alla formazione (a parte Umberto Crisali<strong>di</strong>, il commissario politico)è lontana dalla politica dei partiti o dei giornali. Dalle testimonianze scrittenon emerge neppure un richiamo <strong>di</strong> tipo etico o morale, ma piuttosto lapresa <strong>di</strong> coscienza che lo stato delle cose poteva essere ribaltato da quel tipo<strong>di</strong> scelta. Tutti confluiranno in una visione politica unica, perseguiran-211


Davide Venturano uno stesso scopo, approderanno a un «<strong>di</strong>re», riassunto simbolicamentenelle parole «Morte all’invasore tedesco! Morte al tra<strong>di</strong>tore fascista!» cheappaiono nei comunicati, che a sua volta rincorrerà un «fare», l’organizzazione<strong>di</strong> un gruppo <strong>di</strong> lotta armata clandestino coor<strong>di</strong>nato a vari livelli.La politica partigiana e il mito <strong>della</strong> ResistenzaLa definizione <strong>di</strong> politica partigiana come <strong>di</strong> una «ricerca del potere»proposta da Giorgio Bocca è compatibile con la nostra analisi solo a pattoche, come riteniamo sia il caso, l’autore si riferisca alla progressiva conquistaquoti<strong>di</strong>ana <strong>di</strong> piccoli spazi <strong>di</strong> potere all’interno dello scenario <strong>di</strong> lotta enon alla ricerca <strong>di</strong> quel potere che potremmo definire «dei potenti», ovvero,del potere istituzionale, dei partiti o dell’apparato militare. Nella nostraottica, infatti, le situazioni politicamente più significative si svolgono propriolontane da esso, inventate da soggetti che non hanno potere.I partigiani infatti erano spesso <strong>di</strong>stanti dalle logiche e dai contrasti interniai partiti che presiedevano i CLN e estranei alle posizioni <strong>di</strong>scordantipresenti nello schieramento alleato 22 , circostanza che contribuì a crearenon pochi <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong> tra i Comitati, gli alleati e le brigate partigiane. Per anniquesti scontri, come gli attriti tra le <strong>di</strong>verse bande impegnate sul campo,sono stati nascosti <strong>di</strong>etro al mito <strong>della</strong> Resistenza vista come «fenomenounitario e nazionale» 23 , un mito che non ha più ragione <strong>di</strong> esistere dopoche numerose opere hanno fatto luce su questi contrasti 24 .Il caso <strong>della</strong> brigata «Stella Rossa» è rappresentativo del ritardo, almenoa livello locale, <strong>della</strong> politica del PCI sugli avvenimenti in corso. Essarappresenta la prima formazione partigiana sorta in Emilia-Romagna dopol’armistizio (in questo caso i tempi/cronologia <strong>della</strong> politica si interromponoil 29 settembre del 1944 25 ) e la sua stessa esistenza smentiva le previsionifatte dai politici antifascisti riguardo la possibilità <strong>di</strong> poter portare avanti lalotta partigiana nella zona bolognese dell’Appennino tosco-emiliano.A testimonianza <strong>di</strong> questo iniziale scetticismo vale un documento del<strong>di</strong>cembre del 1943 in cui si prende atto dell’inadeguatezza dell’Appenninoad accogliere la guerriglia partigiana concludendo che la cosa miglioreche si potesse fare nella zona bolognese era concentrare tutte le attività<strong>di</strong> supporto verso i GAP <strong>di</strong> città e provincia 26 . Questo documento, redattodal segretario <strong>della</strong> federazione comunista Giuseppe Alberganti, segui-212


La questione <strong>della</strong> politica partigianava una linea, definita «restrittiva», che poneva dei limiti all’azione <strong>di</strong> massanell’organizzazione <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> liberazione e che quin<strong>di</strong> esprimeva riservesul possibile contributo <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni e montanari alla lotta partigiana27 , ipotizzando l’ingaggio <strong>di</strong> forze dal Veneto.La genesi <strong>di</strong> questa brigata racconta una storia completamente <strong>di</strong>versa,che si sviluppa in <strong>di</strong>rezione opposta a quanto avevano previsto gli autoridel documento sopraccitato. Oltre a rappresentare un elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versitàper il fatto <strong>di</strong> essere composta da elementi autoctoni, a <strong>di</strong>fferenza delleformazioni del Bolognese formate da partigiani <strong>della</strong> campagna e <strong>della</strong>pianura, la «Stella Rossa» è singolare anche perché riesce a creare da subitouna struttura abbastanza solida che si espanderà notevolmente nel giro<strong>di</strong> pochi mesi, grazie al lavoro <strong>di</strong> Umberto Crisali<strong>di</strong>, prima fondatore <strong>della</strong>sezione <strong>di</strong> Vado del Partito Socialista poi antifascista convinto e infineprimo commissario politico <strong>della</strong> brigata. Questo fu possibile soprattuttograzie al rapporto profondo che intercorreva tra gli uomini che la fondaronoe i luoghi in cui si svolsero le azioni. Il nucleo iniziale era formato daelementi originari delle zone comprese tra Monzuno e Marzabotto e unacomprensione delle origini e del carattere autonomo 28 , autoctono e stanziale<strong>di</strong> questa brigata, non può prescindere dal considerare come decisivoil retroterra geografico, oltre che culturale e sociale, da cui provengono gliuomini che ne faranno parte 29 . La costruzione <strong>della</strong> tratta ferroviaria Bologna-Firenze,la cartiera <strong>di</strong> Marzabotto e altri inse<strong>di</strong>amenti industriali contribuirannoa cambiare lo scenario prettamente rurale ed infatti la componenteoperaia locale assieme agli uomini che giungeranno da Bologna renderannola categoria dell’operaio dell’industria la più rappresentata all’interno<strong>della</strong> brigata, anche se la componente conta<strong>di</strong>na sarà sempre alta. Larete <strong>di</strong> solidarietà che da sempre è esistita in queste zone aiutò i partigiania guadagnarsi anche l’appoggio incon<strong>di</strong>zionato dei parroci. Alcuni <strong>di</strong> essi,antifascisti <strong>della</strong> prima ora, prenderanno persino parte attiva alla vita inbrigata, a testimonianza del carattere inclusivo <strong>della</strong> politica partigiana. Inquesta sottovalutazione si avverte già la <strong>di</strong>stanza tra la politica partitica equella partigiana.Il comandante <strong>della</strong> «Stella Rossa» e molti degli uomini presenti nel nucleoiniziale <strong>della</strong> brigata avevano osservato la nascita dei CLN con in<strong>di</strong>fferenzae consideravano il conseguente inserimento all’interno delle bandepartigiane <strong>di</strong> commissari politici come un ostacolo alla lotta. Si erano sempreconsiderati autonomi e slegati da qualsiasi connotazione politica, met-213


Davide Venturatendo sempre in primo piano l’obiettivo finale e l’organizzazione sul terreno<strong>di</strong> battaglia. Musolesi era convinto che il fascismo avesse conquistatoil potere proprio grazie alle <strong>di</strong>visioni presenti nella compagine antifascistae non voleva che l’indottrinamento politico da parte dei commissari <strong>di</strong>videssei suoi uomini o li <strong>di</strong>stogliesse da quello che per lui era lo scopo principale,la lotta contro i nazifascisti. Inoltre la valutazione erronea da partedel CLN riguardo la possibilità <strong>di</strong> dare vita alla lotta partigiana nelle montagneche abbiamo già sottolineato (il CLN ebbe i primi contatti operativicon la brigata solo in primavera) e la decisione <strong>di</strong> non rafforzare le formazioniche già vi operano, aveva scre<strong>di</strong>tato questo organo agli occhi delcomandante, che lo riteneva capace <strong>di</strong> operare solo in situazioni libere daqualsiasi tipo <strong>di</strong> impe<strong>di</strong>menti iniziali. Questa posizione antagonistica cederàsolamente davanti a scelte pragmatiche dettate dalla mancanza <strong>di</strong> munizionie <strong>di</strong> armi, situazione che pesava sul progressivo aumento numericodegli effettivi <strong>della</strong> brigata.Tornando per un attimo al nostro percorso metodologico, possiamocomunque affermare che i CLN sono stati in molti casi uno dei luoghi <strong>della</strong>politica partigiana, specialmente per la lotta che si svolgeva al <strong>di</strong> fuoridelle città, con funzione informativa e <strong>di</strong> raccordo tra le varie unità. Altriluoghi sono stati i rifugi, le reti <strong>di</strong> appoggio fornite dalla popolazione,il Partito d’Azione, che più <strong>di</strong> ogni altro incarnava lo spirito <strong>della</strong> politicapartigiana, i giornali clandestini, le «repubbliche» partigiane sorte nelle zoneliberate, i comitati nelle fabbriche.Non entreremo nel merito dell’azione, o se si vuole, del fare, partigiano:il materiale <strong>di</strong>sponibile su questo argomento è vastissimo 30 e una <strong>di</strong>saminadegli eventi <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> liberazione o delle azioni <strong>della</strong> brigata «StellaRossa» non rientra nei compiti <strong>di</strong> questa breve <strong>di</strong>ssertazione.Vorremmo invece soffermarci a riflettere sul valore che quella straor<strong>di</strong>nariaesperienza ha avuto ed ha tuttora per il nostro paese, senza cadere infacili retoriche e a <strong>di</strong>stanza dal mito che ragioni ideologiche hanno tenutoin vita per lungo tempo. Ci teniamo a sottolineare che non è nelle nostreintenzioni relegare i fatti <strong>della</strong> sequenza 1943-1945 al rango <strong>di</strong> mito, comese non fossero accaduti o, peggio, fossero stati inventati da qualcuno.Riteniamo, invece, che è proprio «scrostando« le categorie totalizzanti cheil mito costruito attorno alla Resistenza porta con sé 31 che si possano faremergere le ra<strong>di</strong>ci più profonde e vitali <strong>di</strong> quel periodo storico.Lo storico Gianni Perona, esaminando numerosi documenti relativi214


La questione <strong>della</strong> politica partigianaalla guerra partigiana, ha constatato l’assenza <strong>della</strong> parola «Resistenza» 32 .Usata da De Gaulle a Ra<strong>di</strong>o Londra per spronare l’esercito francese sconfittoma anche dai repubblichini, non viene mai utilizzata dai partigianiper autodefinirsi e quin<strong>di</strong> <strong>di</strong>fficilmente può rappresentare, come etichettastoriografica, l’intero arco <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazione dal 1943 al 1945. L’esistenza<strong>di</strong> questa <strong>di</strong>screpanza ci è stata confermata da <strong>di</strong>versi ex-partigianiche abbiamo intervistato, come ad esempio Franco Fontana, staffetta <strong>della</strong>«Stella Rossa»: «È vero, tra <strong>di</strong> noi eravamo una banda, la banda dei partigiani.“Resistenza” è una parola che è venuta fuori dopo, è una parola vecchiariemersa dopo la guerra. Noi non ci definivamo “resistenti”, semmaipartigiani o ribelli. Eravamo giovani, poi siamo stati ribelli, poi siamo <strong>di</strong>ventatiuomini liberi. Ma nelle lapi<strong>di</strong> c’è scritto ribelli» 33 . L’uso <strong>di</strong> questaparola negli anni a venire 34 , inoltre, ha sortito l’effetto <strong>di</strong> appiattire l’esperienzapartigiana ad un livello prettamente militare, aspetto sicuramenteimportante e vero ma che, come stiamo tentando <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare, non esaurisceil significato <strong>di</strong> quella stagione. Il fermento <strong>di</strong> attività e idee che agitavail paese parallelamente alle azioni militari, non ci sembra integrabile nelconcetto classico <strong>di</strong> Resistenza da parte <strong>di</strong> un esercito contro un nemicoesterno o interno. Ed è proprio in questo ambito aggiuntivo che si inserisconola politica partigiana e la politica dei partiti. La vera novità per moltidei protagonisti <strong>della</strong> sequenza 1943-1945 è costituita invece dall’uso<strong>della</strong> parola «partigiano», che Beppe Fenoglio, nei pensieri <strong>di</strong> Johnny, hadescritto come «quella parola nuova, nuova nell’acquisizione italiana, cosìtremenda e splen<strong>di</strong>da nell’aria dorata» 35 . Le prime parole utilizzate per riferirsiai combattenti erano state «ribelli» o, come nell’omonimo romanzo<strong>di</strong> Pietro Chio<strong>di</strong>, «ban<strong>di</strong>ti» 36 , ma è «partigiano» l’appellativo che qualificadefinitivamente questa nuova figura <strong>di</strong> combattente come soggetto unicoe ine<strong>di</strong>to nella storia d’Italia.ConclusioniLa singolarità e l’inventività dei partigiani ci conducono alla conclusionedel nostro <strong>di</strong>scorso. Non riteniamo assolutamente chiusa la questionestoriografica riguardante l’esistenza o meno <strong>di</strong> una politica partigiana eproprio per questo le brevi riflessioni conclusive che vogliamo apporre all’argomentotrattato vanno considerate anche come precisazioni <strong>di</strong> metodoe spunti per approfon<strong>di</strong>menti futuri, che questo breve articolo non può215


Davide Venturapretendere <strong>di</strong> aver esaurito completamente.Innanzitutto vogliamo riba<strong>di</strong>re che, dato l’approccio metodologicoscelto, l’esposizione dei fatti riguardanti la brigata va sempre considerataall’interno <strong>di</strong> una ricerca più ampia riguardante la storia <strong>della</strong> politica,ovvero, dei mo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fare politica e dei mo<strong>di</strong> in cui la politica si è organizzata.Per questo abbiamo privilegiato una ricostruzione delle vicende <strong>della</strong>«Stella Rossa» che desse risalto alle singolarità che riteniamo costitutive<strong>della</strong> politica partigiana, nodo problematico al centro <strong>della</strong> nostro lavoro.La storia <strong>di</strong> questa formazione ci è servita come esempio per tentare <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrarel’esistenza e l’importanza <strong>di</strong> un pensare politico autoctono, ine<strong>di</strong>toe singolare che conviveva accanto ad altre istanze politiche portate avanti,con mezzi e fini <strong>di</strong>fferenti, dagli altri protagonisti <strong>della</strong> sequenza 1943-1945. Nostro auspicio è che nuovi stu<strong>di</strong> propongano analisi simili riguardantialtre brigate partigiane, così da poter avere uno sguardo d’insiemepiù complesso e articolato <strong>della</strong> questione storiografica affrontata. Per unastoria <strong>della</strong> brigata nel senso classico del termine riman<strong>di</strong>amo alla letteraturaesistente, che si è già occupata più volte <strong>di</strong> questo argomento da molteplicipunti <strong>di</strong> vista e con sfaccettature <strong>di</strong>verse 37 .Partendo da queste considerazioni è utile soffermarsi sull’efficacia <strong>della</strong>lotta partigiana all’interno <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> liberazione e sul lascito del pensarepartigiano nella politica <strong>della</strong> Stato dopo il 1945.La guerra partigiana va necessariamente inquadrata nell’ottica più ampiae articolata dello scenario <strong>della</strong> seconda guerra mon<strong>di</strong>ale e nelle decisionistrategiche degli alleati al riguardo, che, come sostiene giustamenteElena Aga-Rossi 38 , erano spesso dettate da necessità militari oltre cheda pregiu<strong>di</strong>ziali <strong>di</strong> tipo politico. Eppure, osservando lo svolgimento delleazioni, riesce <strong>di</strong>fficile pensare che le forze angloamericani non siano stateavvantaggiate dalle iniziative partigiane, soprattutto nelle zone ritenute decisiveper l’evolversi del conflitto. Il caso <strong>della</strong> «Stella Rossa» è esemplare ariguardo. Attiva già dal novembre/<strong>di</strong>cembre del 1943 a ridosso <strong>della</strong> LineaGotica oltre l’Appennino, questa brigata usufruì, tramite un ufficiale dell’OSS,<strong>di</strong> ben due lanci <strong>di</strong> viveri e munizioni 39 da parte degli alleati, mercerara se come sostiene Elena Aga-Rossi i mezzi <strong>di</strong> cui <strong>di</strong>sponeva il quartiergenerale alleato non erano molti 40 . Evidentemente il numero <strong>di</strong> effettivi el’incisività delle azioni portate a termine dalla brigata avevano fatto sentireil loro peso nelle decisioni strategiche anglo-americane: gli alleati, pur controllandoloe in<strong>di</strong>rizzandolo verso le loro esigenze politiche e militari, ave-216


La questione <strong>della</strong> politica partigianavano sicuramente bisogno del movimento partigiano 41 .Per quanto riguarda il transito <strong>della</strong> politica partigiana nel modo <strong>di</strong> farepolitica e nella società negli anni successivi al 1945, possiamo affermareche l’uscita dell’Italia dal fascismo e dall’alleanza con il nazismo in manierarispettabile agli occhi <strong>della</strong> comunità internazionale, da cui il richiamoalla «repubblica nata dalla Resistenza» che nasce anche da questo bisogno<strong>di</strong> rispettabilità, è certamente scaturita dall’armistizio badogliano edalla politica <strong>di</strong> Togliatti, ma soprattutto dal riscatto guadagnato sul campodall’impegno e dall’intransigenza <strong>della</strong> politica partigiana. L’inizio <strong>di</strong>una politica partecipata, <strong>di</strong> un’azione collettiva che scuote la politica partiticain momenti <strong>di</strong>versi nell’arco degli ultimi sessant’anni (soprattutto tragli anni cinquanta e sessanta, in maniera evidente nei movimenti studenteschidel Sessantotto ma perfino nel rinato interesse per la politica dopo lacrisi <strong>di</strong> cre<strong>di</strong>bilità del sistema dei partiti successivo all’inchiesta «Tangentopoli»),rappresenta, a nostro avviso, anche solo a livello simbolico, unadelle ere<strong>di</strong>tà più preziose che la stagione partigiana ha lasciato alla storiadel nostro paese.Riteniamo sia doveroso sottolineare come la questione <strong>della</strong> politicapartigiana rimanga aperta anche per altri motivi.La storia <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> liberazione, da sempre al centro <strong>di</strong> polemichepolitiche strumentali ma anche <strong>di</strong> reali <strong>di</strong>fficoltà in sede <strong>di</strong> ricostruzionestorica dovute alla mancanza <strong>di</strong> una memoria collettiva con<strong>di</strong>visa a livellolocale e nazionale sui fatti accaduti, rappresenta un delicato e arduo terrenod’indagine. La vicenda <strong>della</strong> «Stella Rossa», per esempio, è legata indelebilmenteall’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Marzabotto, ma la memoria pubblica <strong>di</strong> quel tragicoevento si è <strong>di</strong>visa da subito tra «luogo <strong>della</strong> memoria» (Marzabotto,dove hanno luogo le celebrazioni ufficiali) e «luogo <strong>della</strong> storia» 42 (MonteSole, dove si sono svolti i fatti), dando vita a elaborazioni molto <strong>di</strong>ssomigliantitra loro: se da una parte viene riconosciuto il valore e l’importanzadell’operato dei partigiani dall’altra sono nati sentimenti <strong>di</strong> rancore e rabbiaverso gli stessi, creando una memoria antipartigiana che, ancora oggi,in<strong>di</strong>vidua nelle azioni degli uomini <strong>della</strong> «Stella Rossa» la causa principale<strong>della</strong> strage 43 . Anche la politica si è inserita più volte in questo <strong>di</strong>battito:nei primi anni ottanta, dopo un periodo <strong>di</strong> oblio durante il quale i luoghidell’ecci<strong>di</strong>o vennero abbandonati al degrado, il Partito Socialista ingaggiòuna polemica con il Comune <strong>di</strong> Marzabotto a maggioranza comunista sullamemoria <strong>di</strong> Monte Sole e sul ruolo <strong>della</strong> «Stella Rossa» nelle vicende <strong>di</strong>217


Davide Venturaquel periodo: i socialisti accusavano il PCI <strong>di</strong> avere deliberatamente rimossola brigata dalla memoria pubblica <strong>della</strong> strage a causa dei <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong> che sierano creati tra Musolesi e il comandante comunista del CUMER Ilio Barontinie denunciavano il <strong>di</strong>sconoscimento, presente nelle interpretazionidelle motivazioni dell’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> tipo comunista ma anche <strong>di</strong> tipo cattolico,dello stretto legame tra popolazione filo-partigiana e brigata e quin<strong>di</strong><strong>di</strong> un rapporto causa-effetto tra Resistenza e strage 44 . La strumentalizzazionepolitica più evidente fu invece portata avanti dal deputato missinoGiorgio Pisanò. In un articolo apparso il 10 novembre del 1961 sul settimanale«Gente» e in pubblicazioni successive 45 , Pisanò rivelava che il comandante<strong>della</strong> «Stella Rossa» non era stato ucciso dai nazisti ma da un suocompagno partigiano, più precisamente dal vice comandante <strong>della</strong> brigataGiovanni Rossi, il quale, d’accordo con esponenti comunisti, avrebbedeciso <strong>di</strong> eliminare Musolesi poiché non si era adeguato alle <strong>di</strong>rettive delPCI inerenti la lotta partigiana e perché non voleva consegnare il fantomatico«tesoro» <strong>della</strong> brigata al partito. Inoltre Pisanò <strong>di</strong>mostrava che la strageera stata provocata dai partigiani, accusandoli <strong>di</strong> avere poi strumentalizzatol’evento in loro favore. Nel 1972 queste affermazioni, supportateda testimonianze orali delle quali però non vengono citate le fonti, venneroportate come prova in tribunale col sostegno <strong>di</strong> Bruna Musolesi, sorelladel «Lupo», che in seguito alla visione <strong>di</strong> un film sulla storia <strong>della</strong> brigata46 , chiese che a ventisette anni <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza venisse riesumato il corpo delfratello per fare chiarezza sulla sua morte. Il 21 ottobre del 1975 una sentenzaassolutoria nei riguar<strong>di</strong> <strong>di</strong> Rossi smentì il castello accusatorio <strong>di</strong> Pisanò47 e la vicenda si chiuse senza seguito.Questa breve <strong>di</strong>gressione mostra come fin dal primo dopoguerra laquestione <strong>della</strong> guerra partigiana sia stata terreno <strong>di</strong> scontro a livello politico,ma le stesse <strong>di</strong>visioni sull’interpretazione <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> liberazione esulla memoria ad essa legata si possono riscontrare anche nei <strong>di</strong>spute istituzionaliapparse recentemente sui giornali 48 . La tensione che si è venutacreando all’interno del <strong>di</strong>battito culturale su questi argomenti spesso nonha consentito, o ha rifiutato, la proposta <strong>di</strong> nuovi suggerimenti <strong>di</strong> indaginee <strong>di</strong> ricerca ad integrazione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> già assimilati. La questione <strong>della</strong>politica partigiana non è certo un soggetto nuovo all’interno delle <strong>di</strong>scussionistoriografiche ma viene sovente uguagliata alle decisioni dei partitiche partecipavano alla lotta <strong>di</strong> liberazione e, <strong>di</strong> conseguenza, ad una politica<strong>di</strong> tipo istituzionale. In questo articolo abbiamo invece tentato <strong>di</strong> evi-218


La questione <strong>della</strong> politica partigianadenziare il carattere singolare, innovativo e inventivo <strong>della</strong> politica partigianae <strong>di</strong> far emergere la novità rappresentata dal partigiano come soggettoine<strong>di</strong>to nella storia italiana. Ci auguriamo che altri lavori contribuiscanoad investigare una questione storiografica aperta e ricca <strong>di</strong> spunti <strong>di</strong>approfon<strong>di</strong>mento.Note al testo1La visione <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> genesi <strong>della</strong> repubblica da parte dei partiti e dei movimenti<strong>di</strong> tutti gli orientamenti, e l’utilizzo politico che essi ne hanno fatto, hanno subito notevolioscillazioni nel corso degli ultimi sessant’anni, dando vita a numerose definizioni per descrivereil contenuto delle rispettive visioni: la definizione <strong>di</strong> Resistenza come «secondo Risorgimento«<strong>di</strong>ffusasi dopo il 1945, connotato <strong>di</strong> elementi patriottici e unitari; il riferimento alla «Resistenzatra<strong>di</strong>ta« da parte dei movimenti studenteschi e operai <strong>della</strong> fine degli anni Sessanta comecritica al Partito Comunista Per l’argomento trattato, ci interessa sottolineare come a partiredai primi anni Sessanta, l’inizio <strong>della</strong> <strong>di</strong>stensione tra Est ed Ovest e la nascita <strong>di</strong> governiformati da coalizioni <strong>di</strong> centro-sinistra consentano l’affermarsi <strong>di</strong> una visione celebrativa <strong>della</strong>Resistenza come elemento che legittima moralmente ed eticamente la Repubblica: la Repubblica«nata dalla Resistenza«. Per maggiori approfon<strong>di</strong>menti riman<strong>di</strong>amo al saggio <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>oPavone La Resistenza oggi: problema storiografico e problema civile da «Rivista <strong>di</strong> storia contemporanea»,XXI, 1992, nn. 2-3, pp. 456-480.2Per approfon<strong>di</strong>menti sulla brigata «Stella Rossa»: GIAMPIETRO LIPPI, La Stella Rossa a Monte Sole,Ponte Nuovo, Bologna 1989; MIRCO DONDI, Marzabotto: la Stella Rossa in BRUNELLA DELLACASA, ALBERTO PRETI, La montagna e la guerra. L’Appennino bolognese fra Savena e Reno 1940-1945, Aspasia, Bologna 1999; GIORGIO OGNIBENE, «Dossier Marzabotto», Ape, Bologna 1990;LUCIANO BERGONZINI, La resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti, V, Istituto per la storia<strong>di</strong> Bologna, 1980.3VALERIO ROMITELLI e MIRCO DEGLI ESPOSTI, Quando si è fatto politica in Italia? Storia <strong>di</strong> situazionipubbliche, Rubbettino, Catanzaro 2001; VALERIO ROMITELLI, Storie <strong>di</strong> politica e <strong>di</strong> potere,Cronopio, Napoli 2004. Tutti i riferimenti usati in questo paragrafo sono tratti da queste operee ci riteniamo responsabili per ogni possibile interpretazione erronea del loro pensiero.4GIORGIO BOCCA, Partigiani <strong>della</strong> montagna. Vita delle <strong>di</strong>visioni «Giustizia e Libertà» del Cuneense,Feltrinelli, Milano 2005.219


Davide Ventura5Abbiamo trovato un accenno alla politica partigiana anche in un manuale <strong>di</strong> Storia, con particolareriferimento al coinvolgimento conta<strong>di</strong>no nella lotta: «L’azione <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong>vienein tal modo, oltre e più che militare, fatto politico. Ma non si tratta <strong>di</strong> una scelta politicagenerale, <strong>di</strong> “semplice” (per quanto dura e dolorosa) contrapposizione ai nazi-fascisti. Si tratta<strong>di</strong> opzioni politiche quoti<strong>di</strong>ane: quando e dove proclamare uno sciopero; quale «campagna<strong>di</strong> massa« avviare; scegliere gli obiettivi militari in base a esigenze belliche ma al tempo stesso<strong>di</strong> crescita <strong>della</strong> coscienza antifascista collettiva» (ROBERTO FINZI, MIRELLA BARTOLOTTI, Corso<strong>di</strong> Storia. L’età contemporanea, vol. III, Zanichelli, Bologna 1994) Queste osservazioni si applicanoanche alla vicenda <strong>della</strong> «Stella Rossa»: nel novembre del 1943, per esempio, venne organizzatal’apertura forzata dell’ammasso <strong>di</strong> Vado da parte <strong>della</strong> brigata, con la successiva <strong>di</strong>stribuzione<strong>di</strong> grano alla popolazione, GIAMPIETRO LIPPI, La Stella Rossa cit.6L’intransigenza azionista va comunque considerata vera e valida per la nostra analisi soprattuttosul piano dei principi, ovvero, come intransigenza nel portare avanti la lotta per il raggiungimentodegli obiettivi e convincimento <strong>della</strong> vali<strong>di</strong>tà degli obiettivi stessi. Sul piano praticotutte le formazioni politiche si dovevano confrontare con una realtà molto più complessa ed incontinuo sviluppo e anche gli azionisti adottarono strategie flessibili, per esempio inquadrandoi militari senza curarsi troppo <strong>della</strong> loro fede monarchica, concessione notevole per un partitorepubblicano. Anche altri aspetti dell’azionismo partigiano risentono <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni, perun approfon<strong>di</strong>mento riman<strong>di</strong>amo a GIOVANNI DE LUNA, Storia del Partito d’Azione. La rivoluzionedemocratica (1942-1947), Feltrinelli, Milano 1982.7Nel nostro percorso, lo ricor<strong>di</strong>amo, le testimonianze e i documenti rappresentano il <strong>di</strong>re, (i«frammenti del <strong>di</strong>scorso») che va messo in relazione al fare (l’azione, i fatti accaduti); una situazionepolitica nasce dal percorso tracciato dalla continua rincorsa tra un <strong>di</strong>re e un fare e illoro mettersi in relazione descrive «i mo<strong>di</strong> in cui si sono attivati i rapporti tra i <strong>di</strong>versi luoghid’organizzazione».8Testimonianza <strong>di</strong> Giorgio Stermini, commissario politico nella brigata «Stella Rossa» e 7ª brigataGAP, contenuta in LUCIANO BERGONZINI, La resistenza a Bologna. Testimonianze e documenti,Vol. III, Istituto per la storia <strong>di</strong> Bologna, 1970, pp.526-527.9Archivio <strong>della</strong> Deputazione Emilia-Romagna per la storia <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong> Bologna, FondoANPI; anche in GIAMPIETRO LIPPI, La Stella Rossa cit.10GIORGIO BOCCA, Partigiani <strong>della</strong> montagna cit., pp.26-27. Come fa giustamente notare GiorgioBocca, il contributo dei vecchi antifascisti fu fondamentale come «l’intuizione« <strong>di</strong> moltisoggetti che presero l’iniziativa singolarmente. Le due componenti erano assolutamente in<strong>di</strong>spensabilie solo la sinergia <strong>di</strong> questi elementi ha reso possibile la lotta partigiana.11FERRUCCIO PARRI, Il movimento <strong>di</strong> liberazione e gli Alleati, in «II movimento <strong>di</strong> liberazione inItalia», I, Milano, 1949, p.512.12Nel <strong>di</strong>cembre 1944, un accordo con le autorità militari alleate e il governo Bonomi attribuìal Comitato <strong>di</strong> Liberazione Nazionale dell’Alta Italia (CLNAI) la <strong>di</strong>rezione politica <strong>di</strong> tutte leformazioni partigiane, e assegnò il comando delle operazioni militari al generale Raffaele Cadorna.La presenza del CLNAI, però, non evitò i contrasti, peraltro emersi da tempo, sul modo<strong>di</strong> gestire la lotta <strong>di</strong> liberazione tra i CLN (sorti clandestinamente dopo l’armistizio dell’8 settembre1943 per <strong>di</strong>rigere e coor<strong>di</strong>nare la lotta, nel caso dell’ Emilia-Romagna del CLNER costituitosiil 16 settembre 1943), il CUMAI, (in Emilia-Romagna CUMER costituito all’iniziodel giugno 1944) e le varie bande partigiane <strong>di</strong>slocate sul territorio dove la funzione e l’azionedei commissari politici e le <strong>di</strong>rettive <strong>di</strong> cui erano portatori venivano valutate in maniera <strong>di</strong>versaa seconda dell’angolazione ideologica e del temperamento dei combattenti.13Il peso <strong>di</strong> quella scelta emerge chiaramente nelle parole <strong>di</strong> Federico Chabod, autore <strong>di</strong> quel-220


La questione <strong>della</strong> politica partigianalo che ormai viene considerato un classico <strong>della</strong> storiografia e che forse per primo ha dato unposto preciso e argomentato in maniera lucida alla Resistenza all’interno <strong>della</strong> storia dell’Italiacontemporanea. Definendo l’epopea partigiana come «guerra senza coscrizione», Chabodmette in risalto il carattere innovativo <strong>di</strong> questa esperienza per gran parte del popolo italiano:«Ess[a] in<strong>di</strong>ca che la partecipazione attiva, decisa, delle masse alla vita politica, alla vita <strong>della</strong>collettività, è ora un fatto definitivo, il che non era stato per il periodo intercorso tra la realizzazionedell’unità italiana e la prima guerra mon<strong>di</strong>ale. E questo basterebbe a spiegare perché la vitapolitica italiana dell’Italia dopo il 1945 è <strong>di</strong>versa da quella dell’Italia <strong>di</strong> prima del 1914» (FE-DERICO CHABOD, L’Italia contemporanea (1918-1948), Einau<strong>di</strong>, Torino 1961, pp. 130-131).14SANTO PELI, La Resistenza in Italia. Storia e critica, Einau<strong>di</strong>, Torino 2004. L’autore fa riferimentoa protagonisti illustri quali Luigi Meneghello, Emanuele Artom, Nuto Revelli, LivioBianco, Primo Levi e Beppe Fenoglio.15CLAUDIO PAVONE, La Resistenza oggi: problema storiografico e problema civile, in «Rivista <strong>di</strong> storiacontemporanea», XXI, 1992, nn. 2-3, pp. 456-80.16ROBERTO BATTAGLIA, GIUSEPPE GARRITANO, Breve storia <strong>della</strong> Resistenza italiana, Einau<strong>di</strong>, Torino1955.17GUIDO QUAZZA, Resistenza e storia d’Italia. Problemi e ipotesi <strong>di</strong> ricerca, Feltrinelli, Milano1976.18CLAUDIO PAVONE, Una guerra civile. Saggio storico sulla moralità nella Resistenza, Bollati Boringhieri,Torino 1991.19DANTE LIVIO BIANCO, La guerra partigiana, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1954.20Come ha fatto giustamente notare Giulio Guderzo, la scelta consisteva nel «fare la guerra pernon doverla fare». (GIULIO GUDERZO, L’altra guerra: neofascisti, tedeschi, partigiani, popolo inuna provincia padana: Pavia. 1943-1945, Il Mulino, Bologna 2002). Non a caso nei luoghimaggiormente coinvolti dall’ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Marzabotto è sorta la «scuola <strong>di</strong> pace» <strong>di</strong> Monte Sole.21Ve<strong>di</strong>amo tre esempi a riguardo tratti da GIAMPIETRO LIPPI, La Stella Rossa cit.: Mario Musolesi,comandante <strong>della</strong> brigata Stella Rossa, nasce a Monzuno nel 1914 figlio <strong>di</strong> un minatore costrettoa cercare lavoro in Germania per mantenere la famiglia numerosa. In giovane età assistettealle lotte agrarie del 1920 e, in seguito, alla nascita del fascismo e ai primi episo<strong>di</strong> delleviolenze squadriste, nelle quali non fu mai coinvolto <strong>di</strong>rettamente e che rimasero ricor<strong>di</strong> sbia<strong>di</strong>tinella sua memoria. Musolesi trascorre gli anni che lo separano dalla chiamata alle armisvolgendo <strong>di</strong>versi lavori, dal manovale al macellatore <strong>di</strong> bestiame, e quando questa arriva spera<strong>di</strong> evitarla grazie ad una ferita alla mano subita durante i lavori <strong>di</strong> scavo <strong>della</strong> galleria <strong>di</strong> MonteAdone, speranza che svanisce con la partenza per il fronte africano con incarico <strong>di</strong> meccanico-carrista.Non si hanno molti dettagli <strong>della</strong> sua esperienza militare, tanto che persino il fratellolo vede solo due volte prima dell’8 Settembre, quando torna al paese in licenza. Durantela seconda visita, in piena guerra, Musolesi esprime al fratello la fiducia in una sicura vittoriafascista, ma il destino darà ragione al fratello, fermamente convinto che «la guerra si perde».Quando torna a Vado a metà del settembre del 1943, Musolesi conquista un ruolo <strong>di</strong> rispettonel paese che gli proviene dall’esperienza in guerra, dal suo atteggiamento sicuro, dal prestigioeconomico assunto dalla sua famiglia e dal rilassamento dell’organizzazione fascista. Questogli permette <strong>di</strong> <strong>di</strong>scutere con esponenti del fascismo locale senza essere fascista, <strong>di</strong> girare armato,<strong>di</strong> proteggere e aiutare i propri concitta<strong>di</strong>ni. È in questo periodo che, assieme all’amicoOlindo Sammarchi, comincia a raccogliere armi abbandonate lungo le gallerie <strong>della</strong> Direttissimache vengono nascoste in case <strong>di</strong>sabitate o nella macchia. Giovanni Rossi, vice comandante<strong>della</strong> brigata Stella Rossa, nasce a Gardelletta nel 1923 e ben presto viene a contatto con laviolenza fascista: mentre frequenta le scuole elementari assiste al pestaggio del padre capoma-221


Davide Venturastro da parte <strong>di</strong> una squadra <strong>di</strong> fascisti locali. Alla fine del 1942, dopo aver svolto <strong>di</strong>versi lavori,viene chiamato alle armi e imbarcato a Venezia sul cacciatorpe<strong>di</strong>niere Alpino. Rimane feritoin seguito all’affondamento dell’imbarcazione a La Spezia nel maggio del 1943 e, nonostantele con<strong>di</strong>zioni fisiche precarie, viene destinato ad una nave-officina ma il perdurare delleferite subite gli fanno ottenere un prolungamento <strong>della</strong> convalescenza a casa. L’8 settembredel 1943 Rossi decide che è giunto il momento <strong>di</strong> ven<strong>di</strong>care il padre e <strong>di</strong> cominciare a lottare.Alfonso Ventura, comandante <strong>di</strong> battaglione nella brigata Stella Rossa, nasce a San BenedettoVal <strong>di</strong> Sembro nel 1923 da una famiglia <strong>di</strong> conta<strong>di</strong>ni, ed è proprio per fuggire da questomondo che si arruola nell’esercito <strong>di</strong>ventando sottufficiale istruttore alla scuola <strong>di</strong> cavalleria<strong>di</strong> Pinerolo. Le notizie che arrivano dal fronte lo convincono che la guerra è ormai persae che nemmeno a Pinerolo si può combattere alla pari con i tedeschi. Con l’armistizio e lasuccessiva incertezza sul da farsi matura la decisione <strong>di</strong> tornare a casa e <strong>di</strong> intraprendere la lottaarmata contro fascisti e tedeschi. Giunto a Marzabotto il 16-17 Settembre 1943, riesce a liberarsidai Carabinieri che lo cercavano e nei giorni successivi conosce Mario Musolesi, GianniRossi e Umberto Crisali<strong>di</strong>.22Si veda, ad esempio, il lungo <strong>di</strong>battito interno tra i due centri <strong>di</strong>rigenti del PCI sulla gestione<strong>della</strong> lotta partigiana in LUIGI LONGO, I centri <strong>di</strong>rigenti del PCI nella Resistenza, E<strong>di</strong>tori Riuniti,Roma 1973.23ELENA AGA-ROSSI La politica anglo-americana verso la Resistenza italiana in L’Italia nella SecondaGuerra Mon<strong>di</strong>ale e nella Resistenza, a cura <strong>di</strong> Francesca Ferrantini Tosi, Gaetano Grassi,Massimo Legnani, Franco Angeli, Milano 1988, p.14224Per un quadro dei <strong>di</strong>ssi<strong>di</strong> esistenti all’interno dello schieramento partigiano riman<strong>di</strong>amo aMIRCO DONDI, La Resistenza tra unità e conflitto. Vicende parallele tra <strong>di</strong>mensione nazionale erealtà piacentina, Mondatori, Milano 2004.25Data <strong>della</strong> trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> Marzabotto.26Le motivazioni che stavano alla base <strong>di</strong> questo giu<strong>di</strong>zio erano: «1° conformazioni geografichedelle nostre montagne. Non si prestano all’esistenza <strong>di</strong> forti bande, perché le nostre montagnehanno un retroterra profondo; sono invece messe come una schiena d’asino e da un crinale all’altrovi sono pochi chilometri, per cui solo esigui gruppi potrebbero resistervi; 2° le nostremontagne sono completamente sprovviste <strong>di</strong> boschi, eccettuato qualche castagneto, che d’invernocon la caduta delle foglie non serve a nulla; 3° da qui l’impossibilità: ciò che rappresentaun vantaggio enorme per l’avversario che può arrivare sulle cime dei monti con gli automezzi,impe<strong>di</strong>sce ai partigiani <strong>di</strong> potersi garantire le spalle. La sola tattica possibile è quella <strong>della</strong> grandemobilità e <strong>di</strong> restare fortemente <strong>di</strong>visi gli uni dagli altri. Ciò presuppone però l’aiuto effettivo<strong>della</strong> popolazione montana; 4° mentre per contro la situazione politica nella zona <strong>di</strong> montagna<strong>della</strong> nostra provincia è ancora fortemente arretrata, sul resto <strong>della</strong> provincia il fascismoha potuto imporsi <strong>di</strong> nuovo ed è in montagna ove conta le sue maggiori forze. Da parte dellemasse <strong>della</strong> montagna non vi è stata nessuna reazione politica, né agli avvenimenti del 25 luglioné dopo all’8 settembre, per cui si può concludere che la pressione del vecchio fascismo èrimasta intera e tale da terrorizzare quelle popolazioni. Qui non è la paura <strong>di</strong> un singolo, ma èuna forma <strong>di</strong> terrore, <strong>di</strong> panico collettivo per cui era impossibile poter trovare quell’aiuto perla vita dei partigiani; 5° l’estrema povertà delle zone montane fa sì che quelle popolazioni temevanola presenza dei partigiani in quanto esse avevano timore che dovessero mantenerli; 6°infine la presenza <strong>di</strong> importanti forze tedesche sulle montagne; poiché dai primi giorni i nostriAppennini sono <strong>di</strong>ventati una base <strong>di</strong> probabile resistenza per i tedeschi i quali presi<strong>di</strong>ano tuttigli sbocchi, li fortificano rendendo la circolazione, e quin<strong>di</strong> un rifornimento, estremamente<strong>di</strong>fficile.» (Da «Bologna. Rapporto del Triangolo dal settembre al <strong>di</strong>cembre 1943», in PIETRO SEC-CHIA, Il Partito comunista italiano e la guerra <strong>di</strong> Liberazione 1943-1945.Ricor<strong>di</strong>, documenti ine-222


La questione <strong>della</strong> politica partigiana<strong>di</strong>ti e testimonianze, Istituto Giangiacomo Feltrinelli <strong>di</strong> Milano, Annali, XIII, 1971, pp. 128-130, riportato anche in LUIGI ARBIZZANI, Habitat e partigiani in Emilia-Romagna 1943-1945,Brechtiana E<strong>di</strong>trice, Bologna 1981).27Differente sarà la posizione assunta dai vertici politici nei riguar<strong>di</strong> <strong>della</strong> situazione nel ravennate,dove si attuerà la cosiddetta «pianurizzazione».28La brigata aderirà formalmente al CLN e al CUMER ma l’atteggiamento del suo comandante(Mario Musolesi detto «Lupo») nei loro confronti sarà non privo <strong>di</strong> contrad<strong>di</strong>zioni, a volteall’insegna <strong>della</strong> collaborazione ma spesso in totale contrasto.29La storia <strong>della</strong> «Stella Rossa» copre un arco <strong>di</strong> 334 giorni (dall’inizio <strong>di</strong> novembre del 1943 al29 settembre del 1944, data d’inizio del tragico ecci<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Marzabotto), <strong>di</strong> cui ben 269 giornivengono trascorsi nelle zone d’origine.30Abbiamo già evidenziato quali siano le opere fondamentali sull’argomento nel paragrafo Sceltamorale o scelta politica?31Abbiamo gia visto alcuni temi ricorrenti attorno al mito <strong>della</strong> resistenza: l’unità <strong>di</strong> azione e<strong>di</strong> intenti, l’adagio sulla «Repubblica nata dalla Resistenza« e, come conseguenza, l’appello alla«Resistenza tra<strong>di</strong>ta».32GIANNI PERONA, La Resistenza come problema storiografico in «Quaderno dell’Istituto milaneseper la storia <strong>della</strong> Resistenza e del movimento operaio», n. 4/5, marzo 1993, p. 5.33Testimonianza orale <strong>di</strong> Franco Fontana (staffetta nella brigata «Stella Rossa«) rilasciata all’autorein risposta alla domanda: È vero che tra <strong>di</strong> voi non usavate la parola «Resistenza»? Secondostu<strong>di</strong> recenti non appare mai nei documenti partigiani originali ma solo nel dopoguerra.34Dal dopoguerra in avanti, l’uso <strong>della</strong> parola è stato così insistente che perfino i protagonisti delperiodo 1943-1945 hanno poi cominciato ad usarla e la usano tuttora.35BEPPE FENOGLIO, Il partigiano Johnny, Torino, Einau<strong>di</strong>, 1970.36Parola che appare anche in I piccoli maestri <strong>di</strong> Luigi Meneghello (Milano, Feltrinelli, 1964).37Alle opere già citate nel corso <strong>della</strong> trattazione aggiungiamo: REMO SENSONI, VINICIO CECCA-RINI, Marzabotto, un paese, una strage, Teti, Milano 1981; NAZARIO SAURO ONOFRI, Marzabottonon <strong>di</strong>mentica Walter Reder, Grafica Lavino, Bologna 1985; LUCIANO GHERARDI, Le querce<strong>di</strong> Monte Sole: vita e morte delle comunità martiri tra Setta e Reno 1898-1944, Il Mulino, Bologna1987; MARGHERITA JANNELLI, Solitarie passeggiate a Monte Sole, Ape, Bologna 1990; ROMA-NO GUALDI, Viaggio fotografico a Monte Sole: 29-30 settembre/1-2-3-4-5 ottobre, Arteambiente,Modena 1994; LUIGI ARBIZZANI, Prima degli Unni a Marzabotto, Monzuno, Grizzana, Grafis,Bologna 1995; CHIARA GHIGI, La nube ardente: autunno 1944 a Monte Sole, Pendragon, Bologna1996; BEATRICE MAGNI, Monte Sole: film, documentari, servizi televisivi, Consiglio <strong>di</strong> gestioneParco <strong>di</strong> Monte Sole, Bologna 1999; BEATRICE MAGNI, Lotta <strong>di</strong> liberazione ed ecci<strong>di</strong> nazifascisminell’altopiano <strong>di</strong> Monte Sole: saggi e documenti su Marzabotto, Monzuno e Grizzana,Consiglio <strong>di</strong> gestione Parco Monte Sole, Bologna, 2000.38ELENA AGA-ROSSI, La politica anglo-americana verso la Resistenza italiana cit.39In data 26 e 30 aprile 1944, GIAMPIETRO LIPPI, La Stella Rossa cit.40ELENA AGA-ROSSI , La politica anglo-americana verso la Resistenza italiana cit., p.148. Gli aiutialleati saranno più consistenti solo a partire dall’estate del 1944, quando la lotta partigiana<strong>di</strong>venterà strategicamente importante per le operazioni angloamericane. Non sempre le azioniandavano a buon fine: nell’inverno 1944-45 <strong>di</strong> 150 missioni programmate solo 20 arrivaronoa destinazione.223


Davide Ventura41Fatto messo in evidenza anche in, LUCIANO CASALI, GAETANO GRASSI, Liberazione, all’internodel Dizionario <strong>della</strong> Resistenza, a cura <strong>di</strong> Enzo Collotti, Renato Sandri, Fre<strong>di</strong>ano Sessi, Einau<strong>di</strong>,Torino 2000.42Queste osservazioni sono tratte dalla tesi <strong>di</strong> laurea <strong>di</strong> DAVIDE BERGAMINI, Monte Sole: la memoria<strong>della</strong> strage, pubblicata sull’ «Annale dell’Università <strong>di</strong> Bologna - Discipline storiche», anno1998-1999.43I testi più rappresentativi <strong>di</strong> questo tipo <strong>di</strong> memoria sono il già citato Marzabotto e <strong>di</strong>ntorni1944, <strong>di</strong> Dario Zanini (Ponte Nuovo, Bologna 1994), ANGELO CARBONI, Elia Comini e i confratellimartiri <strong>di</strong> Marzabotto, Alfa-Beta, Bologna 1988 e GIORGIO PISANÒ, Sangue Chiama Sangue.Le terrificanti verità che nessuno ha mai avuto il coraggio <strong>di</strong> <strong>di</strong>re sulla guerra civile in Italia,Ed. Pidola, Milano 1965. Anche giornali e riviste nel corso degli anni hanno pubblicato articolimolto critici verso la brigata: in un articolo apparso su «Avvenire», si lodano i libri sopraccitatiperché <strong>di</strong>mostrerebbero che «le azioni partigiane e il sacrificio <strong>di</strong> tante vittime innocenti,che ne furono la <strong>di</strong>retta conseguenza, non obbe<strong>di</strong>rono ad alcuna necessità strategica né servirono adaffrettare la sospirata liberazione da parte degli Alleati.» (M. TRAINA, «Via le croci? Eh, no!», in«Avvenire», 18 maggio 1986).44La polemica venne originata da Giorgio Ognibene, esponente <strong>della</strong> federazione socialista <strong>di</strong>Bologna. Per approfon<strong>di</strong>menti riman<strong>di</strong>amo al suo libro Dossier Marzabotto. I sotterranei <strong>di</strong> Bologna,Ape, Bologna 1990.45In particolare due articoli apparsi sul settimanale «Can<strong>di</strong>do»: Marzabotto: il «Lupo« è stato assassinato(«Can<strong>di</strong>do Settimanale del sabato», nuova serie, anno V, n. 7, 17.02.1972) e Un’indegnaspeculazione per nascondere l’atroce verità («Can<strong>di</strong>do Settimanale del sabato», nuova serie,anno V, n. 9, e marzo1972). La vicenda è trattata anche in LUIGI PASELLI, Marzabotto, 29settembre 1944 Leggenda e trage<strong>di</strong>a <strong>di</strong> una brigata partigiana, «Archivio Trimestrale. Rassegnastorica <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul movimento repubblicano», n. 2, anno IX, aprile-giugno 1983, in particolarealla nota 12.46La lunga ombra del Lupo. Purtroppo il film non è presente nell’archivio video del centro documentazionepresso il Comitato regionale per le onoranze funebri ai Caduti <strong>di</strong> Marzabotto.47La sentenza è pubblicata in GIAMPIETRO LIPPI, La Stella Rossa a Monte Sole, Ponte Nuovo, Bologna1989, pp. 289-295.48Ci riferiamo, per esempio, alle polemiche nate in seguito alle <strong>di</strong>chiarazioni del presidente delSenato Pera sulla Resistenza in una intervista rilasciata a Pierluigi Battista, su «La Stampa» il17 <strong>di</strong>cembre del 2004.224


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigiane<strong>di</strong> Marina Ad<strong>di</strong>s SabaNella storiografia europea solo negli anni ottanta si è usciti dall’ambitoristretto in cui la lotta contro gli invasori nazisti era stata ridotta e si è giuntial concetto <strong>di</strong> resistenza civile, nella quale tuttavia stentavano ad apparirele donne, con il loro ruolo specifico. A questo ruolo mi rimandava invecela mia intenzione <strong>di</strong> fare una storiografia <strong>di</strong> genere.Un’altra ragione mi spingeva alla ricerca, ed era quella <strong>di</strong> rispondere alladomanda che l’amico Enzo Santarelli aveva posto nel suo saggio su «Passatoe presente» del 1976: se le donne durante il fascismo erano rimaste nellapassività e nel privato, come da secoli, perché mai furono tante e così validenella Resistenza?La storiografia maschile si limitava a fare delle lo<strong>di</strong> generiche alle donneche avevano partecipato alla lotta, solo nell’opera <strong>di</strong> Clau<strong>di</strong>o Pavone, Unaguerra civile, si accennava a qualche episo<strong>di</strong>o in cui le donne avevano agito,ma senza dare loro alcun particolare rilievo, né motivazione.Così iniziai a ricercare le fonti e trovai che le partigiane avevano lasciatomemoria del loro passato in libri pubblicati in provincia, presso piccolecase e<strong>di</strong>trici che non avevano avuto alcuna <strong>di</strong>ffusione. Io stessa avevo lettosolo Diario Partigiano <strong>di</strong> Ada Gobetti e L’Agnese va a morire e pochi altri.Trovai moltissimi libri <strong>di</strong> memorie, racconti appassionanti, pieni <strong>di</strong> forzae anche <strong>di</strong> allegria, ogni fatto era «dolce nella memoria», soprattutto nelleautrici più giovani.Feci anche un’altra scoperta, anche perché parlai con alcune partigiane«militanti», tra cui Giancarla Codrignani, Marisa Musu, Maria Teresa Regarde partecipai con una relazione alla commemorazione <strong>della</strong> Resistenzadelle donne in Campidoglio nel marzo del 1995. In essa Marisa ConciariRodano e altre si accusarono del loro silenzio, allertate da ciò che succedevanel campo politico. In realtà le donne, tornate a casa, in<strong>di</strong>viduarono subitoil punto scabroso, quella loro «promiscuità» con i maschi partigiani:225


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabaun solo sorrisetto poteva rendere sporca e colpevole la loro vicenda <strong>di</strong> lottae <strong>di</strong> consapevolezza, così esse smisero <strong>di</strong> raccontare, o forse non raccontaronomai, nemmeno in famiglia, ciò che avevano fatto come resistenti:un esempio per tutte è Il silenzio dei vivi (1997), libro <strong>di</strong> memoria in cuila viennese Elisa Springer, sposata ad un italiano e vissuta a Manduria, raccontala sua storia <strong>di</strong> ragazza ebrea reduce dai campi <strong>di</strong> concentramentosolo dopo la morte <strong>di</strong> suo marito, che le aveva imposto un silenzio assoluto,persino con suo figlio.Ma le partigiane non tacquero per una imposizione, tacquero anche,come i prigionieri reduci dai campi, perché nessuno aveva più voglia <strong>di</strong>sentire racconti <strong>di</strong> morte e <strong>di</strong> paura, e in particolare mariti, padri, fidanzati,figli avevano una ragione <strong>di</strong> genere in più.Non solo i familiari, ma anche le istituzioni, associazioni partigianeo istituti <strong>della</strong> Resistenza o singoli stu<strong>di</strong>osi non sollecitarono la memoriastorica delle donne, anche perché Anpi e altre associazioni erano compostesoltanto da partigiani e non si <strong>di</strong>mentichi che le commissioni per riconoscereil «titolo» <strong>di</strong> partigiani o patrioti erano soltanto maschili e la regolaera <strong>di</strong> avere partecipato almeno a tre scontri a fuoco! Le donne resistentinon andarono nemmeno a richiedere quel riconoscimento, tanto assurdedovettero apparire loro le <strong>di</strong>sposizioni.Il silenzio dunque fu la regola e pesò sulla memoria storica, non ci fuuna esclusione voluta, ma l’abitu<strong>di</strong>ne alla <strong>di</strong>mensione privata delle donne,che era stata rotta durante gli eventi drammatici ed era tornata nel dopoguerracostume e regola del mondo al maschile, che le donne stesse avevanointroiettato. Vennero i movimenti femministi degli anni settanta ele giovani femministe, nella loro riflessione sulla soggezione secolare delledonne, fatta tra <strong>di</strong> loro in gruppi <strong>di</strong> autocoscienza, tagliarono i fili col passatoe ripu<strong>di</strong>arono le madri, partigiane, costituenti, fondatrici <strong>della</strong> nostrarepubblica, e affermarono, con grande stoltezza storica, che prima <strong>di</strong> loroil femminismo era stato emancipazionista, cioè volto a «penetrare nellacitta<strong>della</strong> maschile», e solo il loro era femminismo <strong>della</strong> liberazione, cheera soprattutto del corpo e <strong>della</strong> sessualità femminile e per la valorizzazione<strong>della</strong> <strong>di</strong>fferenza <strong>di</strong> genere.Anna Kuliscioff, tre volte cancellata, come <strong>di</strong>mostro nella mia biografia(Mondatori 1993), dal fascismo prima, dal comunismo nel dopoguerra inquanto socialdemocratica e infine dalle neofemministe degli anni settanta,aveva già affermato, alla fine del XIX secolo, che le donne «con tutte le lo-226


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianero <strong>di</strong>fferenze» non erano né migliori né peggiori dei maschi, erano <strong>di</strong>versee non avevano mai avuto il maschio come modello e, quasi presaga, parlavanon <strong>di</strong> eguaglianza ma <strong>di</strong> equivalenza dei due sessi.Avvenne allora una sorta <strong>di</strong> rivolta delle ex partigiane che non sopportarono<strong>di</strong> non essere riconosciute proprio dalle giovani sessantottine, e chequin<strong>di</strong> si <strong>di</strong>edero a raccogliere testimonianze orali dalle loro compagne edamiche con cui avevano lottato nella Resistenza: cosi tra la metà degli annisettanta e i primi degli ottanta furono dati alle stampe libri che mi hannopermesso la ricerca e fornito gran quantità <strong>di</strong> testimonianze, citerò soloCompagne, <strong>di</strong> Bianca Guidetti Serra, uscito nel 1977, La Resistenza taciuta,dell’anno precedente, e L’altra metà <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong> Lidya Franceschie Isotta Gaeta, del 1978, e ma i testi sono tanti e in genere regionali,Marche, Toscana, Lazio; le donne ricercarono e fecero tesoro delle storie <strong>di</strong>partigiane che finalmente riprendevano voce.Anche la celebrazione <strong>della</strong> Resistenza, nel 1995, fu una spinta a narraree a tramandare la memoria delle donne partigiane. Sentii i racconti <strong>di</strong>Tina Anselmi e, come ho detto, quelli <strong>di</strong> Marisa Conciari Rodano, che sidoleva <strong>di</strong> non avere parlato prima e esortava amiche e compagne a lasciarememoria <strong>di</strong> sé e delle loro azioni.Fu così che mi misi al lavoro, ma c’era un altro ostacolo da aggirare: neiloro racconti le donne non parlano mai <strong>di</strong> date, possono descrivere i luoghi,i fiori che riempivano i prati o le nevi che ostacolavano il loro cammino,ma solo le intellettuali, come Bianca Ceva o Ada Gobetti lasciano qualchetraccia temporale, per esempio <strong>di</strong>cono che il proclama <strong>di</strong> Alexander funel novembre del 1944.Di fronte a questa caratteristica delle testimonianze femminili, ho dovuto<strong>di</strong>videre i racconti per «mestieri», ho parlato cioé <strong>di</strong> infermiere, staffette,fattorine, donne con le armi, ragazze dei Gap, ma bisogna stare attenti,lo <strong>di</strong>co agli storici e in genere ai lettori, occorre pensare alla vita realedelle donne, le nostre, le loro donne cosa fanno in casa? Sono cuoche, ocameriere, spazzine o madri, infermiere o amanti; fanno e facevano allora<strong>di</strong> tutto e <strong>di</strong> più; ecco, le donne parteciparono alla lotta <strong>della</strong> Resistenzaper lo più facendo tutto ciò che c’era da fare, cioè tutto quel che al momentooccorreva, tranne qualche ragazza che fu solo staffetta, cioè ufficiale<strong>di</strong> collegamento addetta a un capo partigiano o qualche altra che era nellaformazione partigiana ed era capace <strong>di</strong> ra<strong>di</strong>otrasmettere, ma per la maggiorparte le donne fecero la Resistenza esercitando soprattutto il loro solito la-227


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabavoro <strong>di</strong> cura, come si chiama ora il lavoro domestico: domus è solo la casa,centro e luogo <strong>di</strong> tutti gli incontri e rifugio per eccellenza, lavoro <strong>di</strong> cura ètermine più adatto perché comprende anche la cura dei bambini, dei vecchi,dei malati, dei mariti, <strong>della</strong> casa e dei cibi e rende meglio l’incessantee necessario lavoro in casa fatto dalle donne che presiedono al focolare, lavoroproporzionale al numero dei figli, che allora era ancora abbondante.I sette fratelli Cervi non erano un’eccezione. A a casa <strong>di</strong> mio padre eranosette, <strong>di</strong> cui una morta giovinetta, a casa <strong>di</strong> mia madre erano cinque, madue erano morti in fasce.PrigionierePrima <strong>della</strong> guerra ci furono, come è noto, alcune donne che feceroanni <strong>di</strong> prigione per antifascismo, Adele Bei, comunista, fu in carcere perquasi <strong>di</strong>ciotto anni, Camilla Ravera, Cesira Fiori, Barbara Allason, BiancaCeva, anch’esse fecero anni <strong>di</strong> carcere fascista e, uscite <strong>di</strong> galera nell’agostodel 1943, molte guidarono la lotta <strong>di</strong> resistenza, come Adele Bei a Roma oBianca Ceva. Quest’ultima fu partigiana vicino a Piacenza nella formazionedel comandante Fausto Cossu, <strong>di</strong> Tempio Pausania.Tra tutte scelgo <strong>di</strong> narrare brevemente <strong>di</strong> Bianca Ceva, insegnante <strong>di</strong>Voghera. Con il fratello Umberto fu tra le prime aderenti del movimento<strong>di</strong> GL, amica personale <strong>di</strong> Bauer, Parri, Ernesto Rossi; suo fratello, catturatoe carcerato, si uccise in carcere nell’inverno del 1930.Bianca Ceva, dopo l’8 settembre, fu tra le prime ad attivare una rete <strong>di</strong>resistenza a Voghera, dove abitava con i genitori e la sorella e iniziò quasiper caso: incontrò infatti sul treno due soldati fuggiaschi che volevano raggiungereGenova, li condusse a casa sua, li assisté, li vestì in borghese e li rimisesul treno per Genova. Nella sua prima azione in montagna rintracciòdue australiani fuggiti dal campo <strong>di</strong> prigionieri e li guidò perché si unisseroad un gruppo <strong>di</strong> giovani che stavano formando una banda partigiana,ma essi furono catturati e la in<strong>di</strong>carono alla polizia fascista. La donna si rifugiòa Milano, poi tornò a Voghera e là venne presa e carcerata nel castello<strong>di</strong> Voghera dove era tormentata dal freddo e dalle cimici; le altre detenutele cantavano la loro storia, ma Bianca non aveva la forza <strong>di</strong> rispondere,venne interrogata dal famigerato colonnello Alfieri e solo nel marzo del1944 incontrò sua sorella che andò a trovarla in carcere. In giugno fu trasferitaa Milano per il processo, rivide i genitori, alla fine <strong>di</strong> agosto venne228


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianealla fine processata e rinviata al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato.Trasferita a Pavia, d’accordo con la sorella finse un attacco <strong>di</strong> appen<strong>di</strong>citee si ritrovò in una bianca stanza d’ospedale, dove la trattennero in vista<strong>di</strong> un’operazione.L’8 <strong>di</strong> ottobre <strong>di</strong> sera entrò nell’infermeria sua sorella e la fece fuggire,con la complicità <strong>di</strong> me<strong>di</strong>ci e suore. In proposito occorre affermare chemolte sono le testimonianze <strong>della</strong> complicità <strong>di</strong> suore, infermiere, me<strong>di</strong>cialle Molinette o negli ospedali <strong>di</strong> Milano, o nella clinica privata Pinna Pintorin Piemonte. E in altri ospedali.Una casa amica fu la prima tappa, la due donne si avviarono verso imonti in bicicletta, elusero i posti <strong>di</strong> blocco e videro le prime bande in formazione<strong>di</strong> cui nel suo libro <strong>di</strong> memorie Tempo dei vivi (1954) ci lascia unacolorita descrizione. Vide «uomini vestiti con strane fogge, giubbe militari,camicie rosse, giacche borghesi ornate <strong>di</strong> fazzoletti, portavano copricapid’ogni genere, dal cappello <strong>di</strong> alpino al berretto garibal<strong>di</strong>no al basco militare,molti erano giovani, parecchi ragazzi». Per il seguito del racconto hoavuto la testimonianza <strong>di</strong> Fausto Cossu, il comandante «Fausto», che daPiacenza, città dalla quale a guerra finita non si è più allontanato, nel febbraio1995 mi scrisse che la Ceva fece parte a Bobbio <strong>della</strong> sua formazione:«Fu una bella figura <strong>di</strong> patriota e <strong>di</strong> combattente, con la penna e conl’azione, e ha lasciato <strong>di</strong> sé un ottimo ricordo in quanti l’hanno conosciuta».Il comandante e Bianca si incontrarono ancora a Milano presso l’Istituto<strong>della</strong> Resistenza e dopo la scomparsa <strong>della</strong> donna il primo lamentava:«la sua scomparsa ha lasciato molto rimpianto tra gli uomini <strong>della</strong> Resistenza(BIANCA CEVA, Storia <strong>di</strong> una passione 1919-1943, Garzanti, Milano1948). Altre prigioniere furono madri o sorelle carcerate perché i loroparenti non avevano obbe<strong>di</strong>to alla leva <strong>della</strong> repubblica sociale. Con questiatti <strong>di</strong> arbitrio le autorità <strong>di</strong> Salò volevano seminare il terrore. In Umbria,ad esempio, dove la <strong>di</strong>serzione era più alta, i registri carcerari del carcerefemminile <strong>di</strong> Perugia registrarono solo nell’inverno 1943-44 ben novantaduedonne trattenute in ostaggio, molte delle quali contrassero in carceremalattie polmonari per il terribile freddo che pativano. A Perugia eranoanche Camilla Ravera e Felicita Ferrero.Di umile con<strong>di</strong>zione, le donne ostaggio, ammassate al piano alto delcarcere, si unirono tra loro e, poiché vivevano la reclusione come un violentosopruso, anche se erano tenute isolate dalle politiche, presero a o<strong>di</strong>arei fascisti e acquisirono una coscienza politica che non avevano. Usci-229


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabate poi dal carcere, spesso furono resistenti partigiane (Le donne condannatedal Tribunale speciale recluse nel carcere <strong>di</strong> Perugia, a cura <strong>di</strong> Mario Mammucarie Anna Miserocchi, La Pietra, Milano 1979).La guerra, con le sue violenze, i bombardamenti, la fame, la per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong>ogni sicurezza, rese chiara alle donne e alle ragazze la colpa del regime, laguerra nella quale esse non restavano più a sferruzzare sul fronte interno,ma erano esposte a tutti i pericoli assieme ai loro figli bambini. Se mai cifu quello che fu detto «consenso» femminile, che era solo adattamento esud<strong>di</strong>tanza, abituale nel genere femminile, fu perduto completamente dalfascismo già nei primi anni <strong>di</strong> guerra, tanto che il 25 luglio fu festa grandeanche per le donne che scesero nelle piazze in massa, così come le operaiedelle fabbriche del Nord furono le prime a muoversi negli scioperi delmarzo 1943. «La guerra ci tiene annidati come bestie, ci fa azzannare tra<strong>di</strong> noi», scriveva Alba de Céspedes che pubblicò i suoi ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> guerra equelli <strong>di</strong> molte altre scrittrici già su «Mercurio», rivista il cui primo numerofu pubblicato sotto la sua <strong>di</strong>rezione nel <strong>di</strong>cembre del 1944, a Roma giàliberata. Sulla stessa rivista Maria Bellonci coglieva le opportunità femminili.«Essere donne è più che mai <strong>di</strong>fficile, un sollievo occuparsi degli altri»,scriveva. E questo fu vero dopo l’8 settembre.ArmistizioDi fronte alle città violate dalla brutale occupazione dei tedeschi le donne«entrarono in massa nella storia» afferma Anna Bravo, ruppero la passivitàsecolare e parteciparono alla lotta <strong>di</strong> liberazione esercitando il loro specificoruolo <strong>di</strong> cura, costituendo non un appoggio assistenziale, ma la rete<strong>di</strong> supporto necessaria e insostituibile, rischiando spesso la vita.Anzi furono le donne a dare inizio alla trama resistenziale: infatti, quandovidero i carri armati tedeschi nelle città entrare nelle caserme, spararesui nostri soldati, quando videro la marea dei soldati italiani che, senza or<strong>di</strong>nie senza speranza, scorrevano come un fiume lungo le strade per tornare«tutti a casa», compresero che quei poveri giovani erano in pericolo: cosìoffrirono vesti civili, cibo, rifugio, poi alcuni li accompagnarono là dovei gruppi <strong>di</strong> sbandati con alcuni ufficiali antifascisti iniziarono la costituzionedelle bande.L’azione <strong>di</strong> queste prime fu spontanea, in quel primo momento, la patriaera per le donne in quei poveri ragazzi ridotti quasi a men<strong>di</strong>care, che230


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianeL’immagine <strong>della</strong> donna in un volantino <strong>della</strong> Repubblica sociale italianaavevano bisogno <strong>di</strong> aiuto. Le donne, le giovani, allora iniziarono a costituireuna organizzazione, <strong>di</strong>videndosi i compiti, le madri a casa cucinavano ilcibo, che altre erano andate a procurare, cosa assai <strong>di</strong>fficile per cui occorrevabattere le campagne e le case dei conta<strong>di</strong>ni, le ragazze con mille sotterfugilo portavano alle postazioni che si formavano; le sartine intanto insegnavanoalle altre donne, mentre alcune intrattenevano i bambini e insiemefacevano la guar<strong>di</strong>a: così cibo, vestiti, giacche, calzettoni, maglie e maglionierano confezionati e, poiché stava venendo l’inverno, occorreva portarlinelle postazioni assieme a me<strong>di</strong>cine, armi, munizioni, informazioni, ra<strong>di</strong>oriceventi e trasmittenti, quanto richiesto dai resistenti ed era necessario al-231


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabala loro sopravvivenza: mille erano le iniziative, mille sono le testimonianze,e mille furono i rischi e i pericoli che le partigiane corsero volontariamentescegliendo, giorno per giorno, la loro resistenza. <strong>Del</strong> resto già lo aveva dettoParri: «Quei giorni affannosi <strong>di</strong> fughe <strong>di</strong>sperate segnano il primo ingressodelle donne nel momento <strong>della</strong> lotta ...».Che cosa le muoveva? Perché affrontavano la morte per partecipare allagrande resurrezione? Una <strong>di</strong> loro, la partigiana detta Trottolina, sostieneche l’amore <strong>di</strong> patria, insegnato nella scuola fascista, la spingeva. «La patriadeve essere libera, in<strong>di</strong>pendente e lo straniero se ne deve andare…», scrivein Compagne; oppure è stata l’abitu<strong>di</strong>ne, tutta femminile, alla responsabilitàe alla cura a portare le donne a rivestire, a nascondere e ad aiutare in seguitoi soldati sbandati, lontani dalle loro case, privi <strong>di</strong> tutto.I Gruppi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> donna e <strong>di</strong> assistenza ai combattenti per la libertàNel mio ultimo libro (La scelta, 2005) faccio una ipotesi nuova: concludoi miei quaranta anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> sul fascismo femminile con l’ipotesi che ilfascismo negli anni trenta fu per una «modernizzazione autoritaria» delledonne, sport, manifestazioni, gare, marce, leva fascista, per prepararle allaguerra, obiettivo primo del regime.Solo nel novembre del 1943 i partiti avvertirono l’importanza <strong>della</strong>partecipazione femminile e, chiamate alcune donne vicine ai CLN a Milano,le comuniste Giovanna Barcellona, Giulietta Fibbi e Rina Picolato,le azioniste Elena Drehr e Ada Gobetti, le socialiste Lina Merlin e LauraConti formarono i Gruppi <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> donna. Si cercarono anche cattolichee liberali. Furono molte le donne che rifiutavano una scelta partitica,tanto che la Gobetti racconta che non tutte venivano informate <strong>di</strong>questa organizzazione esterna perché molte non accettavano legami conpartiti per timore <strong>di</strong> essere strumentalizzate, ma altre comprendevano cheera necessario un riconoscimento «ufficiale» per ottenere i sol<strong>di</strong> necessari.I Gruppi si <strong>di</strong>ffusero in Alta Italia, sino all’Emilia, tra l’inverno 1943 e laprimavera del 1944 e solo allora vennero riconosciuti dai partiti dei CLNe finanziati. Entravano così tra le donne valori maschili, <strong>di</strong> gerarchia, obbe<strong>di</strong>enza,preparazione politica ai quali però la maggior parte delle resistentirestarono estranee, anzi <strong>di</strong>ffidenti.Le cattoliche, poche, che fecero parte dei Gruppi, nel tardo autunnodel 1944 vennero invitate dal risorto partito popolare o democristiano e232


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianedagli ecclesiastici a formare un raggruppamento <strong>di</strong> sole cattoliche, che fu ilCIF, <strong>Centro</strong> italiano femminile. Era nata, o stava per nascere, avrebbe poidetto Pietro Scoppola, la repubblica dei partiti (La Repubblica dei partiti,Il Mulino, Bologna 1991).InfermierePoco <strong>di</strong>rò delle infermiere, ruolo tipico delle donne, crocerossine o professionali,oppure semplicemente donne o madri abituate alla cura dei malati.Così moltissime furono le infermiere che aiutarono le partigiane negliospedali, come nel caso <strong>di</strong> Lisa Giua, non ancora Foa, che aspettava unfiglio e fu catturata e trasferita a Milano, là soccorsa dalle infermiere e poicon la loro complicità liberata da partigiani guidati dalla sua amica GigliolaSpinelli. Interessante la storia <strong>di</strong> Maria Rovano, Camilla come partigiana.Era ostetrica a Barge, vicino a Cavour. Sapeva che molti dei giovaniche vedeva in farmacia erano «gli antifascisti». Un giorno essi le chiesero <strong>di</strong>mettere a loro <strong>di</strong>sposizione la sua casa, dove viveva da sola: così conobbePompeo Colajanni, Antonio Giolitti e i loro compagni (A.GIOLITTI, Letterea Marta. Ricor<strong>di</strong> e riflessioni, Il Mulino, Bologna 1992 e La Resistenza taciuta,testimonianza <strong>di</strong> Maria Rovani,1977).Gruppi <strong>di</strong> Azione Patriottica e Squadre <strong>di</strong> Azione PatriotticaLe ragazze più giovani fecero parte anche dei GAP e dei SAP, Gruppi<strong>di</strong> Azione Patriottica e Squadre <strong>di</strong> Azione Patriottica. Non furono molte,a Milano a Bologna, a Roma, ho conosciuto alcune delle ragazze romaneormai anziane signore e purtroppo ora quasi tutte scomparse, Maria TeresaRegard, Marisa Musu, Carla Capponi. È viva Lucia Ottobrini. Esse parteciparonoad azioni <strong>di</strong> attacco improvviso ai tedeschi che occupavano Roma,accettarono <strong>di</strong> usare le armi e uccidere convinte che era una necessità<strong>della</strong> lotta, ma non amarono parlarne. In particolare Lucia Ottobrini cheancora potrebbe darci la sua testimonianza <strong>di</strong>ce che ha molto sofferto a dovereusare le armi, e infatti si ritirò nella santabarbara dei GAP, in via Giulia,dove fabbricava gli or<strong>di</strong>gni esplosivi: il suo nome da partigiana era Maria,e ,forse per quel nome comune, i nemici non riuscirono a trovarla.A questo proposito mi fermo un momento a fare notare che mentre ipartigiani vestivano in modo eccentrico e con fazzoletto al collo, in qual-233


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabache modo alludendo ad una <strong>di</strong>visa, a rischio <strong>di</strong> farsi riconoscere, le donneaccentuavano la loro femminilità, talvolta imbottite <strong>di</strong> fogli clandestinisotto le gonne o nelle borse <strong>della</strong> spesa per non essere sospettate e mentrei maschi si <strong>di</strong>edero nomi «importanti», Falco, Lupo, oppure Robespierre,le ragazze o le donne si cambiavano semplicemente nome, Lucia in Mariae Carla in Piera. Taluna si chiamò Katiuscia, in onore <strong>della</strong> Russia sovietica,o Alba, o Fiamma, ma senza nessuna pretesa <strong>di</strong> ricordare eroi o animaliferoci.Ada Gobetti fu chiamata Ulisse per la sua pervicacia e Bianca Ceva Na<strong>di</strong>r,ma in genere le donne non si davano nessuna importanza, come eranel loro costume.FattorineMolte delle partigiane si occuparono <strong>di</strong> stampa clandestina, non perchéscrivessero sui giornali dei partigiani, ma solo perché battevano a macchinagli articoli, li portavano dal tipografo incaricato, ritiravano fogli egiornaletti stampati e li <strong>di</strong>ffondevano, li <strong>di</strong>stribuivano porta a porta, oppureli gettavano dal tram in corsa, o li lasciavano sulle panchine e sulle se<strong>di</strong>edei caffè.A Roma Maria Odone, medaglia <strong>di</strong> bronzo, radunò alcune giovani collaboratriciper <strong>di</strong>stribuire quarantottomila manifestini contro la leva <strong>della</strong>repubblica <strong>di</strong> Salò. Due <strong>di</strong> esse gettavano i manifestini dalla piattaformaposteriore <strong>della</strong> circolare sino a che il tranviere non gridò: «Mò basta,è mejo che smammiate!» (Mille volte no! Testimonianze <strong>di</strong> donne <strong>della</strong> Resistenza,a cura <strong>di</strong> Mirella Alloisio, Carla Capponi, Benedetta Galassi Beria,Milla Pastorino, Unione donne italiane, Roma 1965, pp.227). Queste ragazzele ho chiamate fattorine.Partigiane armateLe ragazze non fecero però solo lavori <strong>di</strong> tipo femminile. Non pocheusarono le armi e fecero vita <strong>di</strong> brigata come tutte le giovani sognavano <strong>di</strong>fare perché spesso esse <strong>di</strong>ssero la loro passione <strong>di</strong> combattere in armi i nazifascistiassieme ai compagni. La con<strong>di</strong>zione femminile tuttavia obbligòper lo più le donne sposate a restare a casa. Ma anche le ragazze per lo piùrimasero a casa e alcune fecero le partigiane senza che la famiglia lo sapes-234


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianeUna donna partigiana con le armi nei giorni <strong>della</strong> liberazione <strong>di</strong> Novara235


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabase, aiutate dai tempi in cui ogni regola era sovvertita e si poteva andare anchelontano <strong>di</strong> casa per cercare cibo. Solo alcune ebbero la connivenza dellemamme, donne ancora giovani, dai quaranta ai cinquanta anni .Respinte dalla vita pubblica, relegate nel privato, non fu mai <strong>di</strong>ritto-doveredelle donne <strong>di</strong> <strong>di</strong>fendere la patria in armi nemmeno nelle guerre <strong>di</strong>chiaratedagli stati, la citta<strong>di</strong>nanza infatti era nata tra<strong>di</strong>zionalmente maschilee solo ai maschi era riservato il <strong>di</strong>ritto-dovere <strong>di</strong> essere chiamati inguerra. Così era stato anche nella Rivoluzione francese.Si deve quin<strong>di</strong> prestare grande attenzione alle non molte donne chepresero le armi e combatterono nella Resistenza. Si trattò certamente perloro <strong>di</strong> una scelta particolarmente <strong>di</strong>fficile e l’uso delle armi ebbe, nellaconsapevolezza che queste donne iniziavano ad avere, un forte significatosimbolico, una affermazione <strong>della</strong> volontà <strong>di</strong> essere a pieno titolo citta<strong>di</strong>nea <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> patria comune: e infatti la partecipazione alla Resistenza futra gli elementi che provocarono finalmente la concessione del voto, primaancora che la guerra fosse finita, il 1° febbraio del 1945.Nelle formazioni partigiane ci fu il problema del rapporto tra i due sessi,talvolta i ragazzi tentarono <strong>di</strong> ridurre le donne al loro servizio, altre voltecercarono <strong>di</strong> ottenere favori <strong>di</strong> tipo erotico; ma le ragazze imposero unaforma <strong>di</strong> severo cameratismo, non fecero mestieri <strong>di</strong> servizio, tranne quello<strong>di</strong> curare i partigiani che avevano la scabbia o la rogna o pidocchi cimicie pulci, che erano frequenti. Un altro compito tipicamente femminile fuaccettato dalle partigiane: esse ricevevano le confidenze dei compagni d’arme,leggevano le lettere delle loro fidanzate o madri lontane, confortavano,offrivano amicizia e tenerezza. Ma ogni attività <strong>di</strong> tipo sessuale era vietata;nacquero naturalmente nella lotta simpatie e amori che si concluserocon le nozze, ma secondo le regole tra<strong>di</strong>zionali, <strong>di</strong> fronte al sindaco o<strong>di</strong> fronte al prete: così Carla Capponi sposò Sasà Bentivegna, Lisetta Giuasposò Vittorio Foa, Franco Venturi sposò Gigliola Spinelli, per non ricordareche le coppie più note.Armi, esplosivi, sabotaggi, tutto fecero le partigiane, persino le paracadutiste.Le commissioni maschili le hanno contate e <strong>di</strong>vise in partigiane epatriote, alcune <strong>della</strong> quali ebbero la medaglia d’oro, <strong>di</strong> solito alla memoriaperché morirono in combattimento. Come Li<strong>di</strong>a Bianchi, caduta a Cimavalsolda«virilmente impugnando le armi ..con leonino valore» si <strong>di</strong>cenella motivazione <strong>della</strong> medaglia, sulla quale vi risparmio i commenti. Allostesso modo mi rifiuto <strong>di</strong> parlare <strong>di</strong> numeri: quante furono le partigia-236


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianene? E veramente vi furono partigiane e patriote?Classificazioni e gerarchie sono strumenti del mondo maschile, che hafatto i conti: bastano quelli <strong>di</strong> Renzo De Felice basati su ipotesi assurde.StaffetteLe staffette: ecco un nuovo mestiere, non più solo femminile, che resevisibili le ragazze, poiché la staffetta è un ufficiale <strong>di</strong> collegamento e perl’organizzazione dei movimenti <strong>di</strong> bande, <strong>di</strong>visioni, brigate il collegamentoè necessario, così la staffette devono avere buone gambe per camminarea pie<strong>di</strong> o in bicicletta per chilometri e chilometri, per arrampicarsi, pernascondersi; è un mestiere che regala alle ragazze una libertà che non hannomai avuto, esse vanno in giro, sole o appaiate per villaggi e pianure, siarrampicano sulle montagne, <strong>di</strong>scendono a valle, cercano e trovano rifugiper la notte. Esse sono le uniche ben consapevoli <strong>di</strong> ciò che fanno, poichéconoscono postazioni, spostamenti, portano or<strong>di</strong>ni, informazioni, scelgonotutti i giorni <strong>di</strong> rischiare la vita. La reputazione, questo bene sacro peril genere femminile, l’hanno già perduta. Se incontrano pattuglie fasciste otedesche rischiano violenze, torture, una morte atroce, ma nella scelta cheogni giorno compiono è la loro libertà. Esse fanno parte <strong>della</strong> Resistenzaorganizzata, sono addette presso i coman<strong>di</strong> <strong>di</strong> brigate o <strong>di</strong>visioni, compaionoin gran numero nelle testimonianze e nella letteratura partigiana.Le troviamo citate in Fenoglio, Spinella, Dante Livio Bianco. Il loro numero?Incalcolabile e incalcolato, per la sua tesi sulle donne <strong>della</strong> Resistenzaa Firenze una mia laureata (Paola Rutelli, Università <strong>di</strong> Sassari, 1992) hatrovato presso l’Istituto <strong>della</strong> Resistenza toscana un elenco, con nome cognome,in<strong>di</strong>rizzo <strong>di</strong> ben quattrocento staffette. Allora ne parlai con amicie <strong>di</strong>rigenti <strong>di</strong> istituti <strong>della</strong> Resistenza. Si sarebbero forse, una ventina d’annifa, potute ritrovare, ma ci voleva tempo e denaro. Non avevo né l’unoné l’altro.Le staffette sono le uniche partigiane che narrano con spavalda baldanzale loro imprese. Sembrano essersi <strong>di</strong>vertite a rischiare e ad imbrogliare,erano vestite in modo molto femminile e talvolta nascondevano sottole vesti, le pancere o i reggiseno, fogli e or<strong>di</strong>ni. «Ad Alessandria una voltami sono fatta accompagnare in macchina dai fascisti. Era un giorno dopo ibombardamenti e i treni non andavano. Pioveva, io dovevo girare e mezzinon ce n’erano». Un’altra: «Ho avuto più paura per i bombardamenti che237


Marina Ad<strong>di</strong>s Sabaper il lavoro che facevo. Ero molto spericolata nel lavoro».Spesso le staffette non hanno detto neanche in famiglia cosa facevano:«Dicevo <strong>di</strong> lavorare a Torino, ogni tanto andavo a trovare mia madre aChieri, mia madre era un po’ alla buona, non sapeva niente <strong>di</strong> ciò che facevo»,racconta Cecilia, ma quando la arrestano si accorge che la madre satutto e tutto nega. Spesso tra la generazione delle madri e quella delle figliescoppiavano contrasti e liti, ma la ragazze non si davano per vinte. Talvoltainvece le mamme sono fiere: «Avevo tre figlie, ma una era piccola, quella<strong>di</strong> quattor<strong>di</strong>ci anni e quella <strong>di</strong> se<strong>di</strong>ci erano staffette, una nella Val Sangonee l’altra invece nella Brigata in Val <strong>di</strong> Manzo», racconta una testimonianza;in un treno pieno <strong>di</strong> tedeschi una staffetta ha la pancia gonfia <strong>di</strong> manifestie finge <strong>di</strong> essere incinta e <strong>di</strong> avere le nausee da gravidanza, un’altra aMilano incontra Curiel, che ricorda con affetto, poi ha fame e si siede inuna trattoria con alloggio: entra, mostra le tessere annonarie e una donnale in<strong>di</strong>ca una scala: «Quando avevo fatto due scalini vi<strong>di</strong> una camera con laporta aperta e un uomo che aspettava».Attraverso i racconti delle partigiane si capisce che si è riaperto quel<strong>di</strong>alogo tra generazioni che il regime aveva impe<strong>di</strong>to, poiché molti padrie madri non fascisti non parlavano con i figli ragazzi per non farne deglispostati nel regime (i miei cugini maggiori, maschi e femmine, figli dei fratellimaggiori <strong>di</strong> mio padre e antifascisti come lui non si aprivano con i figli,che erano tutti giovani fascisti e ho constatato che ciò è avvenuto quasisempre nella generazione che ho chiamato del Littorio) (Gioventù italianadel Littorio, Feltrinelli, Milano 1973).Ancora un’altra ipotesi è confermata da molte testimonianze: le partigianeavevano il favore delle popolazioni, soprattutto delle donne, che davanoloro asilo, cibo, tazze <strong>di</strong> bevande calde. Le anziane combattevano inquesto modo restando nelle loro case, le giovani andavano per le strade inun mondo popolato da maschi nemici, perché gli altri, se non erano vecchie bambini, erano nascosti. Bene lo <strong>di</strong>ce Elsa de Giorgi che parla <strong>di</strong> unmondo tutto popolato <strong>di</strong> donne, mentre gli uomini erano in un mondosotterraneo; la tesi defeliciana <strong>della</strong> «zona grigia», se ci si riferisce alle donne,mi pare non regga, anche se in molte vinse la paura o l’egoismo o la tra<strong>di</strong>zione<strong>di</strong> riservatezza. Troppo grave era l’oltraggio che le popolazioni subivanoper restare in<strong>di</strong>fferenti.Ma il silenzio imposto o scelto dalle donne pesa ancora sulla storia femminile,le cose più intime e, per esempio, le violenze sessuali subite, le don-238


La lotta <strong>di</strong> liberazione delle donne partigianene non le hanno raccontate. Teresa Mattei, la partigiana toscana eletta poiCostituente, ha raccontato <strong>della</strong> violenza subita dai tedeschi solo nel 1997(Una vita partigiana, «Il Manifesto», 7 marzo 1997), <strong>di</strong>chiarando che ormaipoteva <strong>di</strong>rlo perché i suoi genitori e suo marito erano morti. L’educazione<strong>di</strong> tutta una vita, quella dei secoli che ci hanno preceduto hanno unpeso che non è facile eliminare del tutto.Perciò sarebbe dovere degli uomini, ex partigiani e stu<strong>di</strong>osi <strong>della</strong> Resistenzaricercare testimonianze, valutarle e dare coraggio a chi è abituataper cultura a tacere in pubblico, ad essere riservata, a non esporsi, a nonpubblicarsi.Ma né le associazioni partigiane né gli istituti <strong>della</strong> Resistenza, sempre«governati» da elementi maschili, lo hanno fatto e ormai è tar<strong>di</strong>; però sarebbegiusto che si smettesse <strong>di</strong> avere <strong>della</strong> presenza femminile nella storiauna «concezione ancillare»; e anche gli storici che abbiamo conosciuto e cisono o ci sono stati amici, qualunque sia la oro età, sembrano non interessatia comprendere i nostri stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> genere. Anzi a volte sembrano provarefasti<strong>di</strong>o per chi riven<strong>di</strong>ca spazi propri, e problemi <strong>di</strong>versi da quelli comunementepresi in considerazione dalla storiografia: e questo mi pare nonsolo un ritardo culturale, ma si traduce in un atteggiamento politico cheancora vuole in sostanza escludere le donne dalla storia politica e quin<strong>di</strong>anche dalla storiografia.239


Le riforme democratiche sacrificate al miraggiodell’Armata Rossa<strong>di</strong> Giovanni FerroLe operazioni militari che si erano svolte sul nostro territorio nazionaleavevano sconvolto l’intero apparato produttivo. Uno dei meriti, spessoignorato, <strong>della</strong> Resistenza fu quello <strong>di</strong> aver salvato gli impianti industrialidalla <strong>di</strong>struzione da parte dei tedeschi in fuga. Quando si arrivò al traguardo<strong>della</strong> pace, l’industria italiana era la sola europea in stato <strong>di</strong> efficienza.Una classe politica avveduta, e preoccupata dell’interesse nazionale, avrebbesaputo approfittare in maggior misura <strong>di</strong> quanto abbia fatto la nostra,in questa eccezionale circostanza.Salvata, <strong>di</strong> fatto e <strong>di</strong> <strong>di</strong>ritto, dall’applicazione conseguente del principio<strong>della</strong> «continuità dello Stato» - implicitamente accolta dalla sinistra con la«svolta» <strong>di</strong> Salerno - la vecchia classe politica fascista riprese - se pur mail’aveva abbandonato - il dominio delle istituzioni economiche, burocratiche,giu<strong>di</strong>ziarie e militari, utilizzando in modo calcolato quel provvidenziale«passe-partout» che era la tessera <strong>di</strong> uno qualsiasi dei partiti <strong>di</strong> massa.Infatti è in base al numero degli iscritti che furono da allora schierati i partitisecondo un or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> priorità. È perciò che la Democrazia Cristiana fugiu<strong>di</strong>cata più importante del Partito d’Azione, dal Partito Comunista e daquello Socialista, uniti da un patto <strong>di</strong> azione comune. Malgrado l’esiguitàdei suoi iscritti, il Partito d’Azione rappresentava la cultura laica militanteed era in grado <strong>di</strong> fornire alla sinistra operaia tutte le competenze tecnichenecessarie, consentendole <strong>di</strong> sottrarsi ai con<strong>di</strong>zionamenti dei fascisti e deiclericali. L’alleanza con questo partito <strong>di</strong> opinione, ma squisitamente antifascistae democratico, avrebbe reso possibile la formulazione e la realizzazione<strong>di</strong> tutte quelle riforme democratiche, giu<strong>di</strong>cate in<strong>di</strong>spensabili ad unamoderna democrazia per spianare la via alla partecipazione attiva dei citta<strong>di</strong>ninella vita pubblica, premessa <strong>di</strong> una società socialista democratica e liberale.Esso riuniva in sè quella meravigliosa schiera <strong>di</strong> intellettuali liberaldemocraticie ra<strong>di</strong>calsocialisti che aveva combattuto il regime fascista sen-241


Giovanni Ferroza esitazione e senza compromessi lungo tutto il ventennio <strong>della</strong> <strong>di</strong>ttatura,sopportando <strong>di</strong>gnitosamente ed eroicamente persecuzioni e condanne.La caduta del governo Parri fu per gli antifascisti <strong>di</strong> ogni orientamentopolitico il segno premonitore <strong>di</strong> quel processo <strong>di</strong> deca<strong>di</strong>mento moralee politico che - come un piano inclinato - avrebbe portato al completofallimento il nostro Stato repubblicano. I <strong>di</strong>rigenti dei gran<strong>di</strong> partiti operainon si resero conto del fatto che, in<strong>di</strong>pendentemente da ogni altra considerazione,il governo Parri rappresentava l’antifascismo e la Resistenza epertanto la sua <strong>di</strong>fesa ad oltranza giustificava una battaglia politica senzaesclusioni <strong>di</strong> colpi e non doveva consentire il ricorso a tatticismi o a valutazionid’or<strong>di</strong>ne quantitativo come quella che poteva derivare dalla comparazionedel Partito d’Azione con la Democrazia Cristiana. La responsabilitàstorica <strong>di</strong> un tale errore <strong>di</strong> valutazione rimarrà a carico <strong>di</strong> coloro che sela sono assunta, secondo un’ottica classista superficiale.Un giu<strong>di</strong>zio severo <strong>di</strong> tale atteggiamento fu emesso dallo stesso Parri inuna lettera da questi inviata al giornale «Avanti» e da questo pubblicata il26 febbraio 1948:Caro Direttore… sono in obbligo <strong>di</strong> ricordare al suo giornale che non fui io in quell’oraa peccare d’incertezza. Proprio per quello che rappresentavo credetti allora miodovere <strong>di</strong> resistere alle intimidazioni liberali attirandomi una ben violenta tempesta <strong>di</strong>accuse e <strong>di</strong> invettive. Mi sostennero le spontanee <strong>di</strong>mostrazioni popolari: non mi sostenneroi partiti <strong>di</strong> sinistra. E la responsabilità <strong>di</strong> aver allontanato dalla <strong>di</strong>rezione delGoverno la Resistenza antifascista va equamente ripartita fra tutti i partiti allora al Governo.La bussola dell’antifascismo e <strong>della</strong> Resistenza venivano ancora una voltasacrificate al principio <strong>della</strong> «continuità dello Stato» espresso dal successivogoverno De Gasperi che, passo dopo passo, avrebbe finito con l’estrometterei partiti <strong>della</strong> classe operaia dal governo del paese, rispondendo cosìalle sollecitazioni del potere economico che aveva saputo trarre già cospicuivantaggi dalla collaborazione con i nazifascisti. Il nuovo governopre<strong>di</strong>spose la sua totale riabilitazione <strong>di</strong> fronte all’opinione pubblica moderataponendo fine al burlesco processo <strong>di</strong> epurazione ancora stancamentein atto. È giocoforza riconoscere che le forze sociali conservatrici <strong>di</strong>mostraronouna forte volontà politica e una grande compattezza nell’azionerivolta a riconquistare quel potere reale che era stato loro sottratto primadalla caduta del fascismo poi dalla sconfitta militare.242


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata RossaL’incapacità politica <strong>di</strong>mostrata dal Fronte <strong>della</strong> sinistra, egemonizzatodal Partito Comunista, derivava in gran parte dal prevalere in esso <strong>di</strong><strong>di</strong>rigenti provenienti dal «fuoruscitismo» che li aveva staccati dalla realtànazionale. Essi avevano perduto ogni fiducia nelle qualità umane e politichedei lavoratori italiani. Frasi come quelle comunemente usate: «fratelliin camicia nera!» e l’altra: «gli italiani sono tutti fascisti», erano l’in<strong>di</strong>ce<strong>di</strong> una intima convinzione che li induceva al pessimismo sulle loro capacità<strong>di</strong> autogoverno e ciò malgrado la Resistenza e il Movimento dei ComitatiNazionali <strong>di</strong> Liberazione. Forse tale pessimismo era una comoda giustificazioneper la loro mancanza <strong>di</strong> fantasia politica e <strong>di</strong> spirito creativo.Infatti la collaborazione governativa dei partiti <strong>di</strong> sinistra, nei primi governi<strong>di</strong> coalizione era giustificata unicamente dalle esigenze <strong>della</strong> ricostruzionesenza avanzare prospettive sociali e politiche per il prossimo avvenire.Nessuna delle più modeste riforme che avrebbero potuto avviare il rinnovamentodello stato fu avanzata. Come si poteva spiegare questo atteggiamento,se non con la speranza inespressa <strong>di</strong> una mo<strong>di</strong>ficazione a breve scadenzadell’equilibrio internazionale?Gli antifascisti rappresentavano il <strong>di</strong>ritto e pertanto i partiti che si richiamavanoal popolo avevano il «dovere» <strong>di</strong> trarre da esso la forza necessariaad operare le dovute trasformazioni! Ma gli uomini politici provenientidal «fuoruscitismo» erano degli «sra<strong>di</strong>cati» e, come capita a tutti coloroche vivono a lungo lontani dal loro paese, ignoravano la nuova realtà nazionaleche si era venuta formando durante la loro assenza. Essi erano perciòtravagliati da un senso d’impotenza e <strong>di</strong> sfiducia. Ciò spiega l’inclinazionea considerare la forza come la sola fonte del <strong>di</strong>ritto. Gli uni confidavanonelle armate americane, gli altri riponevano tutta la loro fiducia e speranzanell’Armata Rossa. Questo in sintesi il grande <strong>di</strong>lemma che riuscì aneutralizzare l’immensa forza rinnovatrice espressa dal popolo italiano conla lotta antifascista combattuta senza tregua durante tutto il ventennio delregime fascista e successivamente con la guerra partigiana cui hanno concorsotutte le componenti sociali e politiche del popolo.È veramente grottesco che taluni <strong>di</strong> quegli uomini politici provenientidal «fuoruscitismo» e che hanno <strong>di</strong>retto la vita politica italiana in questitrenta lunghi anni, sia pure dai numerosi banchi dell’opposizione parlamentare,montino in cattedra per <strong>di</strong>stribuire patenti <strong>di</strong> viltà e <strong>di</strong> inettitu<strong>di</strong>nea quella minoranza <strong>di</strong> antifascisti <strong>della</strong> «lunga marcia», ch’essi si affrettaronoad emarginare allorché, tanto tar<strong>di</strong>vamente, tornarono a calpestare243


Giovanni Ferroil suolo <strong>della</strong> patria, per ricorrere invece ai pellegrini <strong>di</strong> quel «lungo viaggio»che li aveva portati «dal fascismo alla democrazia», elevandoli poi, percooptazione al rango <strong>di</strong> mentori delle nuove generazioni per le quali, quelloche un tempo era considerato un appellativo spregevole: «voltagabbana»,doveva <strong>di</strong>ventare sinonimo <strong>di</strong> illuminazione e preveggenza.Dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 tutta l’Italia settentrionale e inparte quella centrale avevano sperimentato un tipo <strong>di</strong> autogoverno, quellodel Cnl. Era stata un’esperienza storica <strong>di</strong> conduzione democratica <strong>della</strong> vitapolitica ed amministrativa quale nessun programma <strong>di</strong> propaganda politicaavrebbe potuto fornire. Il Clnai aveva creato al suo fianco una Commissioneeconomica, presieduta da Cesare Merzagora, in grado <strong>di</strong> trovareuna soluzione adeguata a tutti i problemi economici e strutturali che sipresentavano. È stata questa Commissione che, cessata la guerra – presiedutaprima da Roberto Tremelloni e poi da Virgilio Dagnino – <strong>di</strong>ventò ilsolo organo dello Stato, per riconoscimento degli stessi Alleati, dotato <strong>della</strong>capacità <strong>di</strong> <strong>di</strong>stribuire le materie prime, fornite in base al Piano Marshall epoi al piano Unrra, alle industrie. È in questa occasione che una classe politicapreveggente avrebbe potuto avviare l’economia italiana verso un processo<strong>di</strong> programmazione democratica, che avrebbe potuto garantire lo sviluppoequilibrato del paese col concorso delle classi interessate alla produzione,favorita in questo compito dall’esistenza dei «consigli <strong>di</strong> gestione»allora universalmente accolti.Uno dei primi atti <strong>di</strong> governo dell’Italia libera fu quello <strong>di</strong> promuoverel’epurazione dei fascisti, dagli organi superiori dello Stato e delle aziendepubbliche, che avevano collaborato con le truppe <strong>di</strong> occupazioni tedesche.Ma come era possibile avviare seriamente un tale proce<strong>di</strong>mento, quandola più alta e rappresentativa carica dello Stato era ancora ricoperta da coluiche aveva affidato a Mussolini il governo del paese? Tuttavia questa nonera la sola ragione che ostacolava l’azione <strong>di</strong> bonifica morale e politica intrapresa.Un episo<strong>di</strong>o valga per tutte. Mi trovavo ad operare, con funzioniorganizzative, presso il Clnai. E seguivo con molta attenzione la realizzazionedel programma <strong>di</strong> epurazione. Per sostituire gli industriali e i <strong>di</strong>rigentiepurati <strong>di</strong>sponevamo <strong>di</strong> esperti messi a <strong>di</strong>sposizione dai partiti politici.Mi erano sorte delle perplessità sulla identità morale <strong>di</strong> questi esperti.Decisi pertanto <strong>di</strong> interpellare, per un incarico <strong>di</strong> grande prestigio, l’avvocatoNello Venanzi, un principe del Foro milanese, padre del senatore MarioVenanzi, caro amico e già mio collaboratore nell’attività antifascista nel244


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossa1936, condannato dal Tribunale Speciale con Rodolfo Moran<strong>di</strong> per averorganizzato il Fronte Popolare a Milano nel 1937. Mi rispose con questeparole: «Ti ringrazio per la considerazione e la fiducia che ti ha indotto afarmi questa proposta <strong>di</strong> collaborazione, ma se io dovessi accettarla dovreichiudere il mio stu<strong>di</strong>o professionale, perché riterrei incompatibile l’eserciziocontemporaneo <strong>di</strong> un’attività privata e <strong>di</strong> una pubblica. Tenuto contoperò che l’attività pubblica è compensata col metro del pubblico impiego,oggi valutato in modo inadeguato al costo <strong>della</strong> vita e al deprezzamento<strong>della</strong> moneta, ciò significherebbe per me ridurre il mio tenore <strong>di</strong> vita. Dopotanti sacrifici sopportati per la mia nota avversione al fascismo e per leconseguenze che mi derivarono dall’attività politica <strong>di</strong> mio figlio Mario, <strong>di</strong>cui sono orgoglioso, anche se non con<strong>di</strong>vido le sue idee, ti renderai contoche non posso accettare la tua proposta <strong>di</strong> cui apprezzo la generosa intenzione».Confesso che queste parole, pronunciate con evidente intimo travaglio,mi richiamarono alla realtà <strong>di</strong> cui non avevo fino allora percepitol’esistenza. Avendo vissuto idealisticamente fin dalla mia prima giovinezzanon mi ero mai trovato fino a quel momento <strong>di</strong> fronte agli aspetti concreti<strong>della</strong> vita quoti<strong>di</strong>ana. Non appena mi si presentò l’occasione feci presentea Parri, allora presidente del Consiglio dei ministri, l’opportunità <strong>di</strong>adeguare le indennità dei «Commissari» da noi designati a <strong>di</strong>rigere gli entipubblici perché, <strong>di</strong>versamente, si sarebbe verificato, come <strong>di</strong> fatto si verificò,che i professionisti consideravano la gestione <strong>di</strong> tali Enti come unapingue succursale dei loro stu<strong>di</strong> professionali da cui trarre clienti ed incarichiper sé e per i loro collaboratori. La gestione delle industrie appartenentiad industriali collaborazionisti costituiva un incontro fiduciario quantomai red<strong>di</strong>tizio, in quanto lo stesso industriale epurato rimaneva titolaredel conto corrente bancario per norma del co<strong>di</strong>ce civile. L’impossibilità<strong>di</strong> emanare nuove leggi, particolarmente del tipo <strong>di</strong> quelle inerenti al <strong>di</strong>ritto<strong>di</strong> proprietà, senza l’unanimità richiesta in un governo <strong>di</strong> Cln e la mancanza<strong>di</strong> un organo legislativo, che soltanto nel 1948 fu possibile ottenere,frustrarono le migliori intenzioni e consentirono l’affermarsi <strong>di</strong> quel malcostumeche <strong>di</strong>lagherà poi nello Stato e nei partiti.Un altro episo<strong>di</strong>o che <strong>di</strong>mostra quanto sia, o possa essere <strong>di</strong>verso, ilmodo in cui possono essere interpretati i fatti che noi riteniamo semplicied eloquenti è il seguente. Nella mia qualità <strong>di</strong> vice presidente del Cnl <strong>della</strong>Lombar<strong>di</strong>a fui invitato dal commissario del settore bancario ad un incontrocon una grande personalità del mondo economico americano <strong>di</strong> paes-245


Giovanni Ferrosaggio per Milano. Si trattava <strong>di</strong> Amedeo Giannini, fondatore e presidente<strong>della</strong> Banca d’America e d’Italia accompagnato dal presidente <strong>della</strong> Camera<strong>di</strong> commercio <strong>di</strong> New York, Ercole Laurance Sozzi. La conversazionesi svolse in maniera animata e raggiunse toni alquanto accesi. Giannini miapostrofò, con una certa aggressività, con l’accusa rivolta alla nuova classepolitica da me rappresentata, <strong>di</strong> mancanza <strong>di</strong> senso comune per il fattoche noi ci accingevamo ad epurare la classe impren<strong>di</strong>toriale nel momentoin cui le esigenze <strong>della</strong> ricostruzione del paese avrebbero dovuto indurcialla massima collaborazione. Gli replicai che noi epuravamo taluni industrialiper il trattamento da essi perpetrato dell’interesse nazionale, collaborandocon i tedeschi, ma non perché essi erano degli industriali. E taleatteggiamento riservavamo a tutti i citta<strong>di</strong>ni che avevano collaborato inqualsiasi forma con i nemici <strong>della</strong> patria. Egli non sembrava molto persuasodelle mie argomentazioni considerando gli industriali una categoria <strong>di</strong>citta<strong>di</strong>ni che ha l’unico compito <strong>di</strong> arricchirsi, non importa come, nell’interessedel paese.Con la fine <strong>della</strong> guerra e con la liberazione del paese dalle <strong>di</strong>verse amministrazionimilitari che avevano emesso moneta a propria <strong>di</strong>screzione,si presentò l’improrogabile esigenza <strong>di</strong> procedere al cambio <strong>della</strong> moneta.Provve<strong>di</strong>mento cui avevano ricorso, e con successo, tutti i governi europei.Questa operazione, se realizzata con tempestività, avrebbe consentito<strong>di</strong> in<strong>di</strong>viduare e colpire le illecite accumulazioni <strong>di</strong> ricchezza dei collaborazionisti.Al tempo stesso avrebbe regolamentato la circolazione monetaria, riducendoil ritmo incalzante dell’inflazione. Il binomio ministeriale Scoccimarro-Corbino,rispettivamente ministro delle Finanze <strong>di</strong> parte comunistae ministro del Tesoro <strong>di</strong> parte liberale, funzionò talmente a senso unicoche quest’ultimo riuscì ad imporre il seppellimento del cambio <strong>della</strong> moneta.Naturalmente lo appoggiò, in questa determinazione, il Governatore<strong>della</strong> Banca d’Italia, Luigi Einau<strong>di</strong>.Antonio Gambino, nella sua documentata Storia del dopoguerra dallaLiberazione al potere DC così si esprime sull’argomento:La vera obiezione al cambio <strong>della</strong> moneta è <strong>di</strong> carattere politico. Ciò che i gruppi tra<strong>di</strong>zionalmentedominanti temono è la precisa e concreta per<strong>di</strong>ta <strong>di</strong> potere derivante daltrasferimento nelle mani dello Stato <strong>di</strong> una notevole capacità <strong>di</strong> spesa.Ma la sua parte propriamente politica finisce qui, con la piena vittoria <strong>di</strong> Corbino e<strong>della</strong> destra. E tutto quanto, negli anni seguenti, avviene in Italia in campo economi-246


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossaco, appare <strong>di</strong>rettamente collegato a questa scelta. Fallita infatti la politica in<strong>di</strong>rizzata aridurre drasticamente la quantità <strong>di</strong> liqui<strong>di</strong>tà <strong>di</strong>sponibile, e specialmente la possibilitàdei singoli in<strong>di</strong>vidui e gruppi <strong>di</strong> usarla per fini speculativi, non solo l’intero processo<strong>di</strong> ricostruzione rimane nelle mani <strong>di</strong> privati, con tutte le <strong>di</strong>storsioni sociali che daciò derivano, ma, cosa non meno importante, una forte spinta inflazionistica <strong>di</strong>ventala conseguenza inevitabile dei primi sintomi <strong>di</strong> ripresa dell’attività produttiva. Unavolta messa in moto una simile spirale, la misura successiva, cioè il tentativo <strong>di</strong> arrestarnelo sviluppo con una stabilizzazione restrittiva, <strong>di</strong>venterà almeno in parte unastrada obbligata.Lo scontro politico sul cambio <strong>della</strong> moneta si presenta, insomma, oltre che simbolicamente(per la denuncia, che contiene, delle debolezze <strong>della</strong> sinistra) anche concretamentecome un bivio. La sua mancata effettuazione giustificherà, un anno e mezzo piùtar<strong>di</strong>, la politica <strong>di</strong> Einau<strong>di</strong>, la cui applicazione, a sua volta, contribuirà a fissare permolti decenni i lineamenti essenziali dell’economia italiana.Chi esamina il <strong>di</strong>battito economico del tempo, rimane colpito dallo squilibrio che esistetra l’atteggiamento degli esponenti dello schieramento conservatore e quello deirappresentanti <strong>della</strong> sinistra. Mentre i primi esprimono con perentorietà, perfino conla violenza, le proprie convinzioni e le proprie richieste, i loro avversari appaiono costantementeimpacciati ed incerti. La battaglia tra coloro che, volendo conservare, epossibilmente rafforzare, le strutture sociali esistenti, sanno esattamente ciò che vogliono,e coloro che, volendo rinnovarle, non sanno (o non sanno o non hanno il coraggio<strong>di</strong> <strong>di</strong>rlo apertamente) non si svolge ad armi pari.Nelle note a fondo pagina è riportata una amena notizia <strong>di</strong> cronaca checonferma il giu<strong>di</strong>zio dell’autore sull’inettitu<strong>di</strong>ne degli esponenti la sinistraestrema:Riccardo Lombar<strong>di</strong> racconta un episo<strong>di</strong>o che si svolse nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Mauro Scoccimarro,Ministro delle Finanze, durante la crisi <strong>di</strong> governo <strong>della</strong> fine gennaio 1947.L’esponente comunista, parlando <strong>della</strong> possibilità <strong>di</strong> dover lasciare il suo incarico vuolespiegargli i vari progetti <strong>di</strong> riforma che aveva preparato. Aprendo un cassetto mostrò alsuo interlocutore una pila <strong>di</strong> grossi fascicoli <strong>di</strong>cendogli: «Ve<strong>di</strong>, le riforme erano ormaitutte pronte, non bastava che metterle in atto». Lombar<strong>di</strong>, allora segretario del Partitod’Azione gli rispose che, avendo avuto i comunisti per quasi tre anni il Ministero delleFinanze, avrebbero avuto tutto il tempo per farlo; se avessero voluto veramente varareleggi fiscali più giuste e più efficaci. I capitali che così sarebbero passati nelle manidello Stato avrebbero potuto essere investiti in iniziative favorevoli alle classi menoabbienti: case, ospedali, scuole.Se spostiamo la nostra attenzione, dal settore economico a quello relativoal rinnovamento delle strutture burocratiche, non ci mancheranno elementi<strong>di</strong> riflessione.247


Giovanni FerroSu sollecitazione del Partito liberale furono eliminati tutti i prefetti nominatidal Cln e l’esecuzione <strong>di</strong> questa misura involutiva fu affidata, conmalcelata compiacenza, al socialista Giuseppe Romita, nella sua qualità <strong>di</strong>ministro degli Interni. A questa azione cosiddetta normalizzatrice fece seguitola decisione <strong>di</strong> abolire l’Alto Commissariato per l’epurazione. L’emanazionedel decreto <strong>di</strong> amnistia coronò l’opera <strong>di</strong> restaurazione. Ora sel’amnistia era un atto <strong>di</strong> clemenza che avrebbe potuto anche essere interpretatocome una <strong>di</strong>mostrazione <strong>di</strong> forza e <strong>di</strong> magnanimità da parte delgoverno, espressione <strong>della</strong> volontà popolare, e pertanto incline alla pacificazionedegli animi, esso però non avrebbe dovuto essere affidato perl’esecuzione ad una magistratura ancora emanazione del vecchio regime intutte le sue istanze più elevate. Le conseguenze, vergognose e demoralizzantiche ne derivarono, dovevano essere previste. Esse pesarono per tuttigli anni avvenire. Con le elezioni del 18 aprile 1948 ebbe inizio la restaurazioneche premiò le «vittime innocenti» del cosiddetto oltranzismo rosso.La burocrazia, gli enti statali, le società a partecipazione statale, accolseroa braccia aperte questi fedeli servitori dello Stato e li ricompensaronopoi con laute pensioni. La stessa Donna Rachele Mussolini reclamò ed ottenneuna pensione adeguata al suo stato <strong>di</strong> vedova del servitore dello Stato<strong>di</strong> grado più elevato.Con il referendum del 2 giugno 1946 era nata la Repubblica italiana ealla fine <strong>di</strong> quello stesso anno furono pronunciati due <strong>di</strong>scorsi memorabili:quello <strong>di</strong> Churchill a Fulton contro l’espansionismo sovietico, che <strong>di</strong>edeinizio alla cosiddetta «guerra fredda», e quello del pontefice Pio XII, checostituì il grido d’allarme contro i nemici <strong>della</strong> Chiesa, in<strong>di</strong>viduati nei militantidei partiti comunista e socialista. I cattolici furono perentoriamenteinvitati a scegliere: «O con Cristo o contro Cristo» - «Per la sua Chiesao contro la sua Chiesa».Nei giorni 9 e 10 gennaio 1947 il presidente del Consiglio Alcide DeGasperi era stato invitato, con altri statisti europei, a Cleveland, dove si erariunito «Il Consiglio per gli affari del mondo». In tale occasione era statoricevuto dal presidente degli Stati Uniti Truman, che concesse all’Italia ilprimo prestito americano. Nel frattempo, la scissione <strong>di</strong> Palazzo Barberini,se da un lato scongiurava il pericolo latente sull’Italia <strong>di</strong> precipitare nell’orbitasovietica dall’altro provocò le <strong>di</strong>missioni <strong>di</strong> Giuseppe Saragat dallapresidenza dell’Assemblea costituente e quelle <strong>di</strong> Pietro Nenni da ministrodegli Esteri.248


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata RossaIn questa e alle pagine seguenti:Dallo schedario <strong>della</strong> polizia fascista249


Giovanni Ferro250


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossa251


Giovanni FerroContemporaneamente il prestigioso Partito d’Azione decideva la proprialiquidazione.Il fronte <strong>di</strong> tutta la sinistra si andava sempre più <strong>di</strong>sgregando. Il mondo<strong>della</strong> cultura laica si era polarizzato attorno ad alcune riviste <strong>di</strong> grande prestigio,come «Il Ponte» <strong>di</strong>retto da Piero Calamandrei, «Stato Moderno» <strong>di</strong>rettoda Mario Paggi, «Il Mondo» che sarà la tribuna <strong>di</strong> alcuni gran<strong>di</strong> comprimari<strong>della</strong> scena politica italiana: Mario Pannunzio, Ernesto Rossi, RiccardoLombar<strong>di</strong>, Riccardo Bauer, Leo Valiani, Ugo la Malfa; «Il Politecnico»<strong>di</strong> Elio Vittorini e degli intellettuali marxisti «non conformisti».Togliatti, incurante come <strong>di</strong> consueto <strong>della</strong> sensibilità prevalente in tuttal’area <strong>della</strong> sinistra democratica per i valori civili <strong>della</strong> libertà <strong>di</strong> coscienzae <strong>della</strong> laicità dello Stato, fece votare dal gruppo parlamentare comunista,quasi al completo, l’art. 7 <strong>della</strong> Costituzione che introduce i Patti Lateranensinella Costituzione <strong>della</strong> Repubblica, attribuendo a questa un carattereconfessionale.Piero Calamandrei nell’articolo Storia quasi segreta <strong>di</strong> una <strong>di</strong>scussione e<strong>di</strong> un voto - pubblicato sulla rivista «Il Ponte» del maggio 1947 - scriveva:«L’on. Togliatti in un articolo de<strong>di</strong>cato al Partito d’Azione («L’Unità» del 2aprile) ha espresso l’opinione che la fondamentale debolezza <strong>di</strong> questi “ultimimoicani” consiste nella mancanza del “senso delle cose reali” che dovrebbeinvece essere ed è la qualità prima <strong>di</strong> chi vuole impostare e <strong>di</strong>rigereun’azione politica. Ma quali sono le cose reali? Qualcuno pensa che anchecerte forze sentimentali e morali che hanno <strong>di</strong>retto e <strong>di</strong>rigeranno gli attidegli uomini migliori, come potrebbe essere la lealtà, la fedeltà a certi principi,la coerenza, il rispetto <strong>della</strong> parola data e così via, siano “cose reali” <strong>di</strong>cui il politico deve tener conto se non vuole, a lunga scadenza, ingannarsinei suoi calcoli». Rileggendo queste parole dopo quanto è accaduto nel1989, esse assumono il valore <strong>di</strong> una profezia!Malgrado le tante manifestazioni <strong>di</strong> arrendevolezza, che volevano esseretanti capolavori <strong>di</strong> arte <strong>di</strong>plomatica, il 30 maggio 1947 De Gasperi licenziòil generoso amico e costituì il suo nuovo governo escludendo in mododefinitivo i due partiti <strong>di</strong> massa <strong>della</strong> classe operaia.Il 15 maggio 1943 era stata sciolta l’Internazionale comunista, allo scopo<strong>di</strong>chiarato <strong>di</strong> favorire l’adeguamento dell’azione dei singoli partiti comunistialle rispettive esigenze nazionali, ma soprattutto per evitare l’accusarivolta ad essi dagli Alleati, <strong>di</strong> favorire l’estensione dell’influenza sovieticanei paesi occidentali.252


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata RossaProclamata la «guerra fredda» l’Urss intendeva riprendere, senza accorgimentitattici, il suo ruolo <strong>di</strong> Paese-guida. Pertanto convocò dal settembre1947, a Szklarska Poreba in Polonia, la prima conferenza costitutiva dell’Ufficiod’informazione dei partiti comunisti, denominato Cominform.Ancora una volta ci troviamo <strong>di</strong> fronte ad una <strong>di</strong> quelle <strong>di</strong>agnosi catastrofichericorrenti, presentate come rivelazioni <strong>di</strong>vine che escono come tanteMinerve dal cervello <strong>di</strong> Giove del Kremlino. Avendo queste ricevuto sempredelle regolari smentite dai fatti, non si può non pensare ad una lorointenzionale artificiosità, dettata da obiettivi <strong>di</strong> politica interna alla qualedovevano, come <strong>di</strong> consueto, essere sacrificati gli interessi <strong>della</strong> classe operaiainternazionale, secondo quella costante che caratterizzò tutta la politicastaliniana.La politica rinunciataria seguita da Togliatti e da Thorez non poteva esserecerto dovuta ad una loro valutazione particolare, ma doveva risponderea delle <strong>di</strong>rettive precise del Kremlino il quale voleva, con un tale atteggiamento,assicurarsi tutti i risultati positivi che gli erano riservati dagliaccor<strong>di</strong> <strong>di</strong> Yalta. Raggiunti questi, giu<strong>di</strong>cò opportuno approfittare <strong>della</strong>flui<strong>di</strong>tà <strong>della</strong> situazione determinatasi in Europa per serrare le fila del propriocomparto e ridurre all’obbe<strong>di</strong>enza gli alleati più recalcitranti, per poteresercitare una maggiore pressione sull’area occidentale approfittandodei successi militari conseguiti dall’Armata Rossa Cinese che consentiva unalleggerimento sul fronte asiatico.Il dramma shakespeariano che si svolse, a porte chiuse, nel tenebrosoromitaggio polacco, così come emerge dalla lettura degli appunti <strong>di</strong> EugenioReale, destinati alla <strong>di</strong>rezione del Pci, fa parte <strong>di</strong> un grande <strong>di</strong>segno impostatoe <strong>di</strong>retto da un grande e <strong>di</strong>abolico regista.I rappresentanti dei partiti comunisti italiano e francese furono <strong>di</strong> fattoprocessati e condannati per viltà e tra<strong>di</strong>mento <strong>della</strong> solidarietà internazionaledai più audaci ed autonomi alfieri <strong>della</strong> guerra rivoluzionaria: i rappresentantidel partito comunista Jugoslavo. Non si resero conto gli ignariche la loro fierezza nazionale <strong>di</strong>mostrava uno spirito d’in<strong>di</strong>pendenza chenon sarebbe stato gra<strong>di</strong>to allo Stato-guida e che essi, umiliando gli esponentiitaliani e francesi, avrebbero pre<strong>di</strong>sposto l’animo <strong>di</strong> questi al ruolo<strong>di</strong> giu<strong>di</strong>ci spietati delle <strong>di</strong>vergenze ch’essi stessi avevano con l’Unione Sovietica,quando queste sarebbero esplose, secondo un piano pre<strong>di</strong>sposto daMosca, per ristabilire l’or<strong>di</strong>ne gerarchico giu<strong>di</strong>cato essenziale al mantenimentodell’equilibrio del mondo comunista.253


Giovanni FerroIl comunismo nazionale doveva essere liquidato sul nascere e a questofine dovevano concorrere tutti i partiti comunisti, come ad un’esigenzaimprescin<strong>di</strong>bile dell’internazionalismo proletario, secondo l’interpretazionesovietica.Sta <strong>di</strong> fatto che i con<strong>di</strong>zionamenti esterni subiti dal Partito ComunistaItaliano sfuggivano all’osservatore politico il quale non era in grado <strong>di</strong> valutarli.Le mancate riforme democratiche erano comunque alla base generaledel malessere, riconosciuto e denunciato dalle personalità più rappresentativedell’antifascismo. Leo Valiani, in un articolo pubblicato su «StatoModerno» del 5 giugno 1947 così giu<strong>di</strong>cava la situazione:Ricor<strong>di</strong>amo piuttosto che la crisi non era e non è solo del governo, ma <strong>di</strong> tutto lo Stato,<strong>della</strong> sua struttura, delle sue leggi, <strong>della</strong> sua burocrazia, <strong>della</strong> sua presenza moralenegli uomini politici e nei citta<strong>di</strong>ni tutti.E più oltre:Non aver saputo sostituire allo Stato fascista altro che la restaurazione, e più ancora losviluppo <strong>di</strong> quella superiorità dei partiti <strong>di</strong> massa rispetto allo Stato, che aveva caratterizzatol’altro dopoguerra - questo è il vizio che è inutile camuffare…Guido Dorso, noto per la sua pubblicazione Rivoluzione meri<strong>di</strong>onale,Carlo Levi, Manlio Rossi Doria, Mario Vinciguerra, Vincenzo Calace,clienti del Tribunale Speciale, avevano capeggiato, con scarso successo elettoraleuna formazione politica <strong>della</strong> Campania: «L’Alleanza repubblicana».Tutti gettarono grida <strong>di</strong> allarme sul pericolo <strong>di</strong> una situazione che minacciava<strong>di</strong> incancrenirsi. La continuità dello Stato e Trasformismo sempre vivosono i titoli <strong>di</strong> due articoli pubblicati da Dorso sul quoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> Napoli:«L’Azione». Già nella sua Rivoluzione meri<strong>di</strong>onale il Dorso aveva denunciatoil compromesso trasformista che, impedendo le ra<strong>di</strong>cali riforme <strong>di</strong>struttura e mantenendo il protezionismo doganale a vantaggio del Nord,costringeva il Sud ad un lento e incessante processo <strong>di</strong> depauperazione e<strong>di</strong> arretramento. È in fondo partendo da questa stessa <strong>di</strong>agnosi che AntonioGramsci aveva affrontato la sua «Questione meri<strong>di</strong>onale» per la cui soluzioneaveva prospettato l’alleanza fra i conta<strong>di</strong>ni del Sud e gli operai delNord. Dorso scomparve inascoltato nella sua Avellino a un anno dalla proclamazione<strong>della</strong> Repubblica nel 1947.Come è possibile non riflettere sui fatti che hanno illuminato il nostro254


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossacammino ed hanno contribuito a formare le nostre convinzioni? Nell’anno1938 mi trovavo confinato a Girifalco, in provincia <strong>di</strong> Catanzaro, quandonel vicino Comune <strong>di</strong> Cortale fu organizzato un Convegno eucaristico. Ilbasso clero ne approfittò per inscenare una manifestazione <strong>della</strong> Croce cristianacontro la Croce uncinata, destando la costernazione delle autoritàfasciste che si videro avvolte dalla manifesta ostilità, oltre che del clero, <strong>di</strong>quella degli stessi rappresentanti dello Stato: carabinieri e Podestà, i qualiostentarono la loro solidarietà con la Chiesa dei poveri. Un contrasto analogo,forse più acuto, lo ritroverò nell’esercito, quando sarò richiamato allearmi nel 1941, fra questo e la milizia fascista.Ebbi già occasione <strong>di</strong> affermare che gli uomini politici provenienti dal«fuoruscitismo» non avendo potuto seguire l’evoluzione interna del paesedurante il corso <strong>della</strong> <strong>di</strong>ttatura fascista si erano fatti la convinzione che gliitaliani erano <strong>di</strong>ventati tutti fascisti e pertanto non valeva la pena <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>areun proce<strong>di</strong>mento <strong>di</strong>fferenziato per l’acquisizione dei consensi. Premiarel’antifascismo dei pochi militanti perseguitati e creare una graduatoria<strong>di</strong> responsabilità fasciste poteva significare alienarsi il favore degli italianitecnicamente più preparati, perciò impoverire le proprie file e fare delreducismo improduttivo.Aver consentito alle forze politiche moderate, nell’illusione dell’arrivodell’Armata Rossa, <strong>di</strong> protrarre la data delle elezioni politiche a tre annidalla Liberazione ha offerto a queste la possibilità <strong>di</strong> poterle affrontare inun clima <strong>di</strong> demoralizzazione e <strong>di</strong> esautoramento dei partiti democratici.Alfine la forma <strong>di</strong> concentrazione in «Fronte unico» per affrontare la primacompetizione elettorale, presupponeva una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> forza che nonesisteva e gli faceva assumere tutto l’aspetto <strong>di</strong> una sfida: «o con noi, o contro<strong>di</strong> noi» che richiamava alla memoria l’altra: con Roma o con Mosca!Come spiegare tanta mancanza <strong>di</strong> sensibilità politica da parte dei duepartiti <strong>della</strong> classe operaia che tanto contribuì ad isolarli dalle formazionipolitiche che rappresentavano i ceti me<strong>di</strong>? Evidentemente le accuse delCominform hanno concorso non poco ad irrigi<strong>di</strong>re l’atteggiamento politicodel Pci; le nostalgie <strong>di</strong> Nenni per le esperienze inebrianti dei Fronti Popolari<strong>di</strong> Francia e <strong>di</strong> Spagna hanno fatto il resto.Non altrettanto facile è trovare una spiegazione valida per l’adesione<strong>di</strong> Rodolfo Moran<strong>di</strong> a quell’impostazione unilaterale ed assolutista. Avendoconosciuto Moran<strong>di</strong> nel lontano 1936 non ho ancora saputo trovareuna spiegazione logica <strong>della</strong> sua posizione «suivista» nei confronti del255


Giovanni FerroPci. Il suo sincero orientamento verso l’austro-marxismo - che lo avevaportato a coltivare l’illusione <strong>di</strong> arrivare alla formazione <strong>di</strong> un partitounico <strong>della</strong> classe operaia italiana, equi<strong>di</strong>stante dal riformismo giu<strong>di</strong>catotendenzialmente capitolardo e dello stalinismo <strong>di</strong>spotico - non giustificavanola sua adesione ad un’impostazione tanto schematica <strong>della</strong> lottapolitica. Forse la sua inclinazione verso l’autonomia era frenata dallasua ferma concezione classista <strong>della</strong> storia. L’unità <strong>di</strong> classe era sempre statala sua bussola, ad essa sacrificò l’originalità del suo pensiero politico.L’ammirazione verso il senso dell’organizzazione dei comunisti, del tuttoassente nei socialisti, lo trattenero da qualsiasi iniziativa che potesse incrinarela stretta alleanza raggiunta.Alla «politique d’abord» <strong>di</strong> Nenni e al filosovietismo dei comunisti eglicercò <strong>di</strong> opporre quel senso <strong>di</strong> concretezza nazionale che gli derivava dallasua conoscenza approfon<strong>di</strong>ta <strong>della</strong> realtà economica italiana. Credetteforse che il «Fronte popolare» avrebbe facilitato la formazione delle nuovestrutture necessarie per realizzare la nuova società. A tale scopo promossela costituzione de «L’Associazione dei tecnici socialisti» guidata da HenryMolinari e da Carlo Arnau<strong>di</strong>. Al primo convegno nazionale <strong>di</strong> quell’associazione,tenutosi a Milano dal 27 al 29 giugno 1947 egli tracciò un quadroquanto mai realistico dell’economia italiana e definì il ruolo che nellosviluppo <strong>di</strong> questa avrebbero dovuto svolgere i tecnici socialisti.Il <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> Moran<strong>di</strong> in quell’occasione si <strong>di</strong>stinse per sobrietà <strong>di</strong> linguaggioe una chiarezza <strong>di</strong> concetti che conserva tuttora una grande attualità.Egli affermava:la regolazione dell’economia, la pianificazione dell’attività, sono un portato necessariodel progresso e <strong>della</strong> tecnica, sono la caratteristica saliente <strong>di</strong> quest’ultimo quarto<strong>di</strong> secolo. Esse costituiscono la migliore <strong>di</strong>mostrazione <strong>della</strong> necessità storica del socialismoanche se, appunto per questo, alla pianificazione si sono visti costretti talvoltagli stessi antisocialisti.Compito dei tecnici socialisti deve essere, non la pura e semplice utilizzazione delleenergie attuali con la ricerca del massimo ren<strong>di</strong>mento <strong>di</strong> lavoro, ma qualcosa <strong>di</strong> piùvasto: valorizzare la personalità <strong>di</strong> chi lavora, eccitare l’iniziativa e lo spirito inventivo,promuovere e suscitare un’educazione nel lavoro. In altri termini è necessario selezionarequalitativamente gli elementi <strong>della</strong> produzione - superando il limite strettamentequantitativo del lavoro - per schiudere energie nuove, per attingere <strong>di</strong>rettamente allequalità in<strong>di</strong>viduali <strong>di</strong> intelligenza, <strong>di</strong> volontà, <strong>di</strong> senso <strong>di</strong> responsabilità.Ogni lavoratore deve avere la coscienza del contributo ch’egli dà allo sviluppo e all’incremento<strong>della</strong> produzione: coscienza che è preparazione alla formazione dei nuovi256


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossaquadri <strong>di</strong>rigenti. È un’illusione quella <strong>di</strong> voler soppiantare la vecchia, anche se scre<strong>di</strong>tata,classe <strong>di</strong>rigente, se non si formano prima gli elementi <strong>della</strong> nuova classe.Queste parole denotano un pensiero conseguente e rappresentano unachiara <strong>di</strong>rettiva <strong>di</strong> azione rivolta ad una categoria <strong>di</strong> specialisti cui spetteràil compito <strong>di</strong> tradurre in realizzazioni concrete le <strong>di</strong>rettive formulate daipartiti politici per il futuro programma <strong>di</strong> governo.Enunciazioni così articolate e puntuali in materia <strong>di</strong> pianificazione nonsaranno più pronunciate nel corso degli anni successivi, <strong>di</strong>mostrando conciò il deca<strong>di</strong>mento subito dai partiti operai, che si andranno sempre piùidentificando con i loro apparati, a loro volta impoveriti dalla mancanza <strong>di</strong>un processo <strong>di</strong> ricambio. I socialisti s’illudevano <strong>di</strong> poter offrire all’opinionepubblica dei ceti me<strong>di</strong> la garanzia, che la loro presenza nel «Fronte popolare»non avrebbe consentito ai comunisti, in caso <strong>di</strong> vittoria, <strong>di</strong> ricorrereai meto<strong>di</strong> autoritari <strong>di</strong> governo. La loro conclamata equi<strong>di</strong>stanza dall’Americae dall’Unione Sovietica si traduceva <strong>di</strong> fatto nella rinuncia degliaiuti previsti dal Piano Marshall e non offriva certezze contro l’espansionismosovietico.Il quadro interno <strong>della</strong> società italiana era configurato dalle masse operaiee piccolo-borghesi del Nord orientate in senso democratico, mentrequelle dei conta<strong>di</strong>ni e dei ceti me<strong>di</strong> del Sud, ancora costrette in una strutturafeudale, erano orientate verso una rottura rivoluzionaria dell’equilibrioesistente che manteneva la società in stato <strong>di</strong> assoluta arretratezza. Lepopolazioni meri<strong>di</strong>onali non potevano giustificare l’avversione all’Americae alle sue elargizioni e nello stesso tempo rinunciare alla lotta ra<strong>di</strong>cale controil sistema mafioso e clientelare <strong>di</strong> gestione in atto. Al contesto internazionalesfavorevole si aggiungeva una verticale frattura sul piano interno.A queste che furono le cause obiettive principali dell’insuccesso del «Frontepopolare» si aggiunsero delle concause che concorsero a creare un climada vigilia tragica e furono: gli avvenimenti <strong>di</strong> Praga che, con l’estromissione«manu militari» dei socialdemocratici dal governo da parte dei comunisti,prefigurarono un’eventualità analoga anche per noi; la solidarietà <strong>della</strong>Chiesa cattolica con il partito <strong>della</strong> Democrazia Cristiana; l’interventoa vele spiegate dell’America nella campagna elettorale con l’invio <strong>di</strong> aiuti e<strong>di</strong> lettere esortative a citta<strong>di</strong>ni italiani da parte <strong>di</strong> parenti americani <strong>di</strong> origineitaliana ecc. ecc.Il 18 aprile 1948 ebbe così inizio quel regime che il politologo Giorgio257


Giovanni FerroGalli ha definito del «bipartitismo imperfetto». Il partito <strong>della</strong> DemocraziaCristiana procedette rapidamente all’occupazione totalitaria dello Stato,mentre la sinistra si rifugiò in una posizione <strong>di</strong> opposizione inerte e conservatriceda cui assisterà, rassegnata e senza fantasia, ad una gestione tracotantedel potere in stato <strong>di</strong> sospensione <strong>della</strong> Costituzione.A completare il quadro fallimentare <strong>della</strong> sinistra italiana giunse - il 18giugno - la notizia <strong>della</strong> scomunica emessa dal Cominform contro la Legadei comunisti jugoslavi, creando un clima da Inquisizione. Ogni parvenza<strong>di</strong> tolleranza e <strong>di</strong> <strong>di</strong>stensione scomparve all’orizzonte. Le manifestazionid’in<strong>di</strong>pendenza e <strong>di</strong> autonomia dei comunisti jugoslavi non erano tolleratidallo Stato-guida. Questi non potevano ammettere interpretazioni ideologiche<strong>di</strong>verse dalle proprie, e tanto meno esperimenti sociali originali, comel’autogestione operaia. I comunisti italiani, come del resto quelli deglialtri paesi, per il solo fatto <strong>di</strong> essere membri del Cominform, dovetteroaccettare la propria corresponsabilità per tale condanna, sacrificando quellacre<strong>di</strong>bilità che avevano tanto faticosamente conquistato, specialmentepresso i socialisti, i quali da questo momento inizieranno una sia pur lentamarcia che li porterà verso la completa autonomia, che sarà sanzionata inmodo irreversibile nel congresso <strong>di</strong> Venezia.Il frazionamento delle forze politiche progressiste era anche la conseguenza<strong>della</strong> polarizzazione che era stata operata dal «Fronte popolare»,presentato agli elettori sotto l’effige <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> che era <strong>di</strong> per sé stessaun’intonazione anticlericale, quin<strong>di</strong> imprudente in un paese cattolico. I risultatielettorali del 18 aprile furono commentati da Vittorio Capraris nelsuo articolo del 5 maggio 1948 dal titolo: Il dono <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong> sulla rivista«Stato Moderno» con queste parole:Carlo Levi ha ragione: Garibal<strong>di</strong> ha incontrato l’on. De Gasperi a Teano e gli ha consegnatol’Italia. Consegnata? - Meglio <strong>di</strong>re: donata.Quando alla fine del 1944 Pietro Nenni cominciò ad accennare ad una sempre più intimacollaborazione del P.S.I.U.P. col P.C.I., collaborazione che poteva finire in unafusione, fu ammonito dalle colonne de «L’Italia libera», il defunto giornale del Partitod’Azione, che uno scivolamento dei socialisti verso l’estrema sinistra avrebbe provocatolo slittamento verso posizioni <strong>di</strong> destra <strong>di</strong> gran parte dei ceti me<strong>di</strong>, che sono l’ossaturadell’opinione pubblica italiana. Si rispose allora che noi poveri intellettuali, per innatadeformità mentale non si comprendeva la grande realtà del proletariato.[…] quando <strong>di</strong>cevamo agli amici in<strong>di</strong>pendenti che votavano per il «Fronte»: voi votatecontro la scuola laica, contro il socialismo, contro la democrazia - non era certo per258


Le riforme democratiche sacrificate al miraggio dell’Armata Rossatimore <strong>di</strong> <strong>di</strong>ttature bolscevizzanti, ma perché ci rendevamo conto dei pericoli gravissimiche una politica <strong>di</strong> «Fronte popolare» avrebbe fatto correre a tutti. A tutti, <strong>di</strong>co,e non ai socialisti soltanto: perché chi esce sconfitta da queste elezioni è proprio la democrazialaica e socialista.Il 14 luglio un attentato a Togliatti commuove l’intera nazione. Unosciopero generale spontaneo paralizza il paese e si presenta come il prelu<strong>di</strong>o<strong>di</strong> un moto insurrezionale. La Direzione del Pci decide però <strong>di</strong> rispettare lalegalità democratica e inaugura il suo lungo, ma sterile, cammino <strong>di</strong> opposizionecostituzionale. Da questo momento il Partito comunista e quellosocialista da un lato e il partito <strong>della</strong> Democrazia Cristiana dall’altro si allontananosempre più dalla realtà storica del paese, convertendosi <strong>di</strong> fattoin forze organizzate <strong>di</strong> conservazione sociale e politica, ispirate da pregiu<strong>di</strong>ziideologici che hanno in comune l’avversione alla società capitalistica eal suo spirito impren<strong>di</strong>toriale. La produttività del sistema che aveva strappatoa Marx parole <strong>di</strong> grande riconoscimento per l’effetto rivoluzionariodel suo sviluppo venne combattuto dalla sinistra per ottenere una ripartizionepiù favorevole alla classe lavoratrice <strong>della</strong> ricchezza prodotta - e alladestra, rappresentata dalla Democrazia Cristiana, per garantire la sopravvivenzadei ceti parassitari, sui quali si basa in gran parte il suo elettorato.Fece così l’apparizione quel «capitalismo assistenziale» che abbiamo conosciuto,generatore del «consumismo» prima e «terrorismo» poi.L’opposizione si limitò ad approvare, senza approfon<strong>di</strong>re, tutto ciò cheera rivolto al potenziamento del settore statale dell’economia, accorgendositroppo tar<strong>di</strong>, che questo sarebbe <strong>di</strong>ventato il più solido supporto <strong>della</strong>dominazione totalitaria dello Stato da parte <strong>della</strong> Democrazia Cristiana.Il 2 giugno 1949 si terrà a Venezia il primo congresso <strong>della</strong> DemocraziaCristiana, in una atmosfera trionfalistica. Scelba, ministro degli Interni,novello Brenno, pronunciò il suo: «Vae victis!»: «Gli italiani dovrannoabituarsi a ritrovare i democristiani in tutte le posizioni chiave dello Statoe del parastato». La cronistoria dell’ «occupazione del potere» da partedemocristiana è stata recentemente descritta da Ruggero Orfei. La Chiesapoteva ben <strong>di</strong>rsi sod<strong>di</strong>sfatta. Dopo le amarezze procuratele dalla «breccia <strong>di</strong>Porta Pia», aveva raccolto le generose offerte <strong>di</strong> Mussolini dell’11 febbraio1929, ora poteva provare la sod<strong>di</strong>sfazione <strong>di</strong> assistere all’umiliazione degliere<strong>di</strong> <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>, che vedrà allontanati dallo Stato per un lungo periodo,quello Stato che era stato <strong>di</strong>feso con tanto eroismo dalle formazioni par-259


Giovanni Ferrotigiane. Non contenta <strong>di</strong> questa innegabile vittoria - obbedendo al fanatismocattolico - tanto lontano dall’umiltà cristiana e dall’amore del prossimo- il Sant’Uffizio emise una bolla <strong>di</strong> scomunica contro i partiti marxistiperché l’o<strong>di</strong>o così suscitato ne completasse l’isolamento. Anche coloro chenon nutrivano per quei partiti soverchia simpatia, non poterono non rilevareche un trattamento del genere non era stato riservato né a Mussolini,né a Franco, né a Hitler.Ad alimentare le speranze tramontate delle sinistra, sopraggiunse l’annuncioche l’Armata Rossa cinese - dopo aver sconfitto l’esercito <strong>di</strong> ChanKai Shek - passava <strong>di</strong> vittoria in vittoria ed entrava trionfante a Pekino, doveil 21 settembre 1949 Mao Tse Tung proclamava la Repubblica popolarecinese.Quarant’anni dopo, nel fati<strong>di</strong>co 1989, i comunisti italiani si sono resiconto dell’illusorietà delle loro speranze e dell’inutilità delle loro aspettative,riposte nell’internazionalismo <strong>di</strong> marca sovietica. Essi hanno intrapresoun’affannosa ricerca <strong>di</strong> nuovi percorsi per costruire una società piùgiusta, più democratica, più umana, secondo le intramontabili aspirazionidell’animo umano.Perché non riprendere il cammino a fianco <strong>di</strong> coloro che non hannomai abbandonato l’ideale del socialismo democratico, che ha già fatto i primipassi nella giusta <strong>di</strong>rezione, sotto la guida <strong>di</strong> uomini <strong>di</strong> specchiata moralità,animati da un grande spirito <strong>di</strong> sacrificio e dotati <strong>di</strong> solida competenzatecnica, acquisita in forma sperimentale?Tutta la legislazione sociale esistente è stata opera loro, così come tuttele istituzioni sociali che ancora oggi sostengono l’architrave <strong>della</strong> solidarietà:le camere del lavoro, le cooperative, le biblioteche comunali, i circoliculturali ecc.Riconoscere i propri errori non deve essere considerato una <strong>di</strong>minuzione<strong>di</strong> prestigio. Solo perseverando in essi, quelli possono convertirsi in colpemeritevoli del <strong>di</strong>sprezzo dei propri concitta<strong>di</strong>ni.260


Che cos’è il Premio Omegna.Dialogo tra Massimo Bonfantini e Mauro BegozziMassimo Bonfantini. Le istituzioni culturali, riflettono, e a volte rilanciano,i movimenti e i mutamenti <strong>di</strong> clima ideologico e sociale nella Storia.Certo nella storia locale. Ma anche nella storia nazionale e ad<strong>di</strong>ritturauniversale. Credo che questo si possa <strong>di</strong>re per il Premio internazionale <strong>della</strong>Resistenza Città <strong>di</strong> Omegna, la cui istituzione viene deliberata in consigliocomunale a Omegna dalla maggioranza comunista e socialista il 27maggio del 1959.Mauro Begozzi. Data riportata anche nel libro sulla storia del premio,scritto da tuo figlio Carlo, che abbiamo sott’occhio in bozze. E che in aperturaricorda e conferma la tra<strong>di</strong>zione più accre<strong>di</strong>tata, scritta e orale, sullanascita del Premio. Voluto e progettato dal giovane sindaco partigiano,operaio e maestro, Pasquale Maulini, con i due «Marii <strong>di</strong> Corconio», MarioBonfantini e Mario Soldati, e il «mitico» Cino Moscatelli. E certo questanascita si ra<strong>di</strong>ca nella storia locale, omegnese e novarese, del Cusio, dell’Ossolae del Verbano, partigiana, politico-sociale e culturaleMassimo Bonfantini. Ma io volevo sottolineare la data, l’anno. Il 1959vede una situazione politica ancora molto bloccata, reazionaria, in Italia.Ma è l’anno <strong>della</strong> Rivoluzione a Cuba e <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazione nazionalein Algeria.Mauro Begozzi. E, infatti, quell’anno, il primo, il premio è assegnatoad Henri Alleg, per la sua terribile denuncia <strong>della</strong> Tortura, subita a operadelle forze coloniali francesi. Il Premio Omegna prende così subito lasua originale impronta. Innovativa e nobilmente ‘militante’. La Resistenzanon è solo quella europea e italiana, dei popoli nella seconda guerra mon<strong>di</strong>alecontro il nazifascismo. È anche quella anticoloniale e antimperialistain atto.Massimo Bonfantini. Sì. Quasi tutti i giurati, oltre a essere fra i più illustriintellettuali progressisti del tempo, avevano «fatto la Resistenza». La261


Che cos’è il Premio Omegnaconsideravano «guerra <strong>di</strong> popolo», e avevano voglia <strong>di</strong> condurre con il Premiouna battaglia culturale e civile per la liberazione dei popoli e delle persone.In <strong>di</strong>fesa e in rilancio dei tre immortali principi dell’89, <strong>della</strong> Rivoluzionefrancese. Il premio dato ad Alleg e l’anno dopo a Sartre «per l’interaopera», al libertario Sartre, segnano questo impegno a coniugare libertàe democrazia: non come valori astratti da invocare, ma come abiti moralie civili <strong>di</strong> pratica <strong>di</strong> lotta e <strong>di</strong> liberazione. Un premio militante e illuminato,che entra nella storia nel suo farsi. Certo più in sintonia con il Luglio’60 delle magliette a strisce, con le sinistre dei partiti delle gran<strong>di</strong> tra<strong>di</strong>zionipopolari antifasciste, con le nuove sinistre dei gruppi e dei movimentistudenteschi, con le lezioni dei primi anni sessanta dei professori universitariprogressisti, come il mio maestro Enzo Paci: invece che con gli equilibridei vertici dei partiti e dei governi, nazionali e omegnesi.Mauro Begozzi. Il premio Omegna ebbe, soprattutto dopo la premiazione<strong>di</strong> Sartre, una grande visibilità e un grande impatto <strong>di</strong> comunicazione.Sui giornali e presso i circoli culturali e politici. Primo fra tutti la Casa<strong>della</strong> Cultura <strong>di</strong> Milano, <strong>di</strong>retto allora dalla <strong>di</strong>namica e già autorevole organizzatrice<strong>di</strong> cultura Rossana Rossanda. Che, come vivace componente<strong>della</strong> giuria, aveva stabilito una sorta <strong>di</strong> gemellaggio fra la Casa <strong>della</strong> Culturae il Premio Omegna.Ma io vorrei sottolineare due cose: innanzi tutto che i quattro inventoridel Premio e i loro amici fanno una scelta singolare. Perché si pongononon come testimoni e ‘reduci’ <strong>della</strong> Resistenza. Ma come protagonistie continuatori. Dopo quin<strong>di</strong>ci anni, vogliono <strong>di</strong>re: «La Resistenza continuain Italia e nel mondo». In secondo luogo che tale scelta, sicuramente<strong>di</strong> rottura nel panorama anestetizzato dei premi letterari, inevitabilmentesuscita <strong>di</strong>ffidenze e provoca dure reazioni politicheMassimo Bonfantini. E avevano ragione! E <strong>di</strong>rei che hanno avuto ragioneper tutto il quin<strong>di</strong>cennio dal 1959 al 1974 in cui, pur tra alti e bassi, trapolemiche a non finire e con la significativa interruzione nel triennio intornoal ’68, dura il premio.Mauro Begozzi. Sì, nel 1967 e nel cosiddetto «secondo biennio rosso» ilPremio non viene assegnato per... <strong>di</strong>fficoltà amministrative.Massimo Bonfantini. Maulini va a Roma, deputato, e a Omegna si fa ilcentrosinistra....Mauro Begozzi. Sì, ma io vorrei toccare un’altra questione. E fare l’avvocatodel <strong>di</strong>avolo. E cioè: non è che questa giuria <strong>di</strong> intellettuali, partigia-262


Che cos’è il Premio Omegnani e antimperialisti, ha un po’ esagerato nel suo impegno? Ha fatto un errore?Mi spiego. Risulta manifesto dalle scelte <strong>della</strong> giuria che si è ritenutourgente lavorare sull’attualitàMassimo Bonfantini. Ma questa è stata la grande originalità e incisivitàdel Premio!Mauro Begozzi. Sì, d’accordo. Ma non è che così facendo si è un po’ trascurato<strong>di</strong> lavorare sulla nostra storia, <strong>della</strong> nostra Resistenza, <strong>della</strong> nostraLotta <strong>di</strong> Liberazione? Si sono dati forse per scontati, e quin<strong>di</strong> si sono implicitamenteun po’ abbandonati all’oblio o alla celebrazione rituale e superficiale,le esperienze <strong>di</strong> democrazia <strong>di</strong>retta delle zone liberate e il legamefra lotta, democrazia, Costituzione?Massimo Bonfantini. Insomma, vuoi <strong>di</strong>re che, malgrado i premi allamemoria, del 1964 a Roberto Battaglia e del 1973 a Pietro Secchia, non èstato sufficientemente sottolineato il senso importante <strong>della</strong> Resistenza comeevento storico...Mauro Begozzi. ...Come evento <strong>di</strong> rottura nella nostra storia. Forse eradato per scontato, perché vissuto sulla propria pelle, forse non si avvertivaabbastanza l’esigenza <strong>di</strong> respingere per tempo, in anticipo, gli oscuramentirevisionisti.Massimo Bonfantini. Questo lavoro antirevisionista si sarebbe probabilmentereso manifestamente necessario nel ventennio fra il 1975 e il 1994.Ma questo ventennio, che ha chiaramente ai nostri occhi il senso complessivo<strong>di</strong> una crescente restaurazione in Italia e <strong>di</strong>rei anche nel mondo, <strong>di</strong>segno liberista e antidemocratico, vede, non certo per caso, l’azzittirsi <strong>di</strong>questa straor<strong>di</strong>naria voce intellettuale, fuori dal coro che era stato il PremioOmegna.Anche a Omegna, e certo anche per giochi politici locali, ma anche aOmegna come ovunque, il Pci approfitta dei gran<strong>di</strong> successi elettorali, anzituttoalle amministrative del 15 e 16 giugno del 1975, per cercare <strong>di</strong> acquisirepoteri nelle varie stanze dei bottoni, cedendo alle esigenze del compromesso,cosiddetto storico, le istanze <strong>di</strong> contestazione più ra<strong>di</strong>cale, <strong>di</strong>piena realizzazione <strong>di</strong> una democrazia antimperialista e anticapitalista. <strong>Del</strong>resto esistono analisi al riguardo, fra cui quella <strong>di</strong> Giorgio Galli, che misembrano meritevoli <strong>di</strong> attenzioneMauro Begozzi. Sì, il clima era quello, ma forse ci sono ragioni anchepiù banali, meno «politiche», <strong>della</strong> fine <strong>di</strong> quella stagione del premio. Certo,come risulta anche dal capitoletto <strong>della</strong> storia <strong>di</strong> tuo figlio Carlo, capi-263


Che cos’è il Premio Omegnatoletto intitolato «Una fine inaspettata e un po’ misteriosa», nel 1975, dopol’ultima assegnazione, l’anno prima, ad Alexandros Panagulis, per il libro,stampato da Rizzoli, Vi scrivo da un carcere in Grecia, il Premio Omegnae il suo fondatore, il sindaco Maulini, vengono insieme, con dolcezza,tolti <strong>di</strong> mezzo.Massimo Bonfantini. Se ne riparlerà vent’anni dopo. Con altri moschettieri.Voglio <strong>di</strong>re con altri giuratiMauro Begozzi. A me pare un’altra storia, vent’anni sono vent’anni,seppure lo spirito per molti versi è analogo. C’è ancora l’attenzione all’antimperialismo.Ma forse con un’attenzione più mite per il dolore degli innocentie per la rilevanza <strong>di</strong> un ra<strong>di</strong>cale pacifismo. Oltre che per la verità<strong>della</strong> nostra storia.Massimo Bonfantini. Tu, Mauro, ten<strong>di</strong> giustamente a sottolineare certilimiti, si potrebbe <strong>di</strong>re <strong>di</strong> scarsa consapevolezza e preoccupazione storiografica,o ad<strong>di</strong>rittura storica, <strong>della</strong> politica culturale <strong>della</strong> prima giuria delPremio. Vorrei fare presente che non erano i soli, che avevano la responsabilità<strong>di</strong> custo<strong>di</strong>re e chiarire la verità e i valori <strong>della</strong> nostra storia più recente.Secondo il documento del 1959, la Giuria risulta composta da: Flora,Bonfantini, Antonielli, De Grada, De Vita, Piovene, Rossana Rossanda,Salinari, Seroni, Spinella, Vergani, Zavattini, Frassati (segretario). Risultacerto composta da intellettuali <strong>di</strong> chiara fama, ma da nessuno storico(a parte, Frassati). I giurati hanno fatto un lavoro che, puntando sull’attualitàdell’impegno sociale, civile, politico, teneva la nostra Resistenza comepresupposto, un po’ come mito fondativo. Io credo che sia servito. Eranogli anni, i primi anni settanta, in cui i giovani insegnanti delle me<strong>di</strong>e spiegavanopasso a passo gli articoli <strong>della</strong> Costituzione. In cui a Milano i corteiper il 25 aprile del Movimento erano più folti <strong>di</strong> quelli ufficiali, governativi.E in essi suonavano i cori: «La Resistenza è rossa e non democristiana»,che naturalmente non volevano affatto essere anticattolici...Quei premi, assegnati nel 1971 a George Jackson, alla memoria, per Ifratelli <strong>di</strong> Soledad, stampato da Einau<strong>di</strong>, e nel 1972 a Camilla Cederna perPinelli: una finestra sulla strage...Mauro Begozzi. ...Mentre Dario Fo recitava Morte accidentale <strong>di</strong> unanarchico.Massimo Bonfantini. Appunto. Sono state scelte contro il moderatismoe <strong>di</strong> grande coraggio. Che sicuramente hanno lasciato un segno nella storia<strong>della</strong> cultura e nell’immaginario dei giovani d’allora.264


Che cos’è il Premio OmegnaMauro Begozzi. Ah, non c’è dubbio. La giuria era in sintonia con i tempi.Tempi che andrebbero riletti criticamente oggi con gli strumenti <strong>della</strong> storiae che invece vengono spesso banalizzati se non criminalizzati tout court.Massimo Bonfantini. ... già, il quin<strong>di</strong>cennio movimentista nel mondo.<strong>Del</strong> resto, la nuova giuria è in sintonia con i nuovi tempi dal 1995 a oggi.Mauro Begozzi. Massì. Nel mondo un nuovo movimento più mite,contro il nuovo colonialismo economico e il nuovo spirito imperiale dell’unilateralismoamericano post ’89, è cresciuto dalla resistenza del SubcomandanteMarcos sino all’emergere a Seattle dei no global e poi negli annisuccessivi... naturalmente con nuove banalizzazioni e criminalizzazioniMassimo Bonfantini. E le nuove amministrazioni <strong>di</strong> sinistra a Omegnahanno raccolto il nuovo slancio antagonistico, democratico, costituzionaleapprofittando del cinquantenario <strong>della</strong> Resistenza per fare risorgereper così <strong>di</strong>re il Premio Omegna, chiamando anche te e me a fare parte<strong>della</strong> giuria.Mauro Begozzi. Sì, anche se, come spesso accade, furono una serie <strong>di</strong>circostanze più o meno occasionali a far decollare l’iniziativa. Onestamente,occorre <strong>di</strong>re che del premio s’era persa memoria e il suo ricordo a Omegnaevocava più le <strong>di</strong>visioni politiche locali che non il suo significato culturale.Ma i tempi erano mutati e ci fu quella prima e<strong>di</strong>zione, che avrebbedovuto restare tale, <strong>di</strong>ciamo celebrativa, con una giuria formata da unaventina <strong>di</strong> persone, per ricordare lotta <strong>di</strong> liberazione e premio. Solo l’annodopo, visto il successo, si formò una vera giuria con Marziano Guglielminetti,che poi sì è <strong>di</strong>messo, l’italianista Alba Andreini, il giornalista de«l’Unità» Oreste Pivetta e lo scrittore Sebastiano Vassalli.....Massimo Bonfantini. ...che l’anno dopo fu sostituito dallo scrittore DarioVoltolini. Nel 2003, poi, sono entrati in giuria anche la scrittrice LauraPariani e Michele Beltrami, figlio del Capitano.Mauro Begozzi. Nella composizione <strong>di</strong> questa giuria, del Premio Omegnavent’anni dopo, salta agli occhi, anzitutto e naturalmente, che non cisono più ex-partigiani...Massimo Bonfantini. Anche se ci sono due figli e un <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> Istituto<strong>di</strong> storia <strong>della</strong> Resistenza.Mauro Begozzi. Che forse sono più attenti a premiare il valore storico ocivile, o comunque saggistico, delle opere can<strong>di</strong>date...Massimo Bonfantini. Così sembra qualche volta, nella <strong>di</strong>scussione con icolleghi e le colleghe <strong>della</strong> giuria, più interessati a <strong>di</strong>fendere, per così <strong>di</strong>re,265


Che cos’è il Premio Omegnale ragioni <strong>della</strong> letteratura...Mauro Begozzi. Dunque, il nuovo premio, anche in virtù <strong>della</strong> composizione<strong>della</strong> sua giuria, avrebbe una maggiore attenzione, rispetto al premio,per la storia <strong>della</strong> Resistenza, anche prima <strong>della</strong> fase guerreggiata ’43-45, e per certe qualità letterarie e originalità dei mezzi espressivi e comunicativiimpiegati.Massimo Bonfantini. Mah?! Io credo che queste tre attenzioni, alla scrittura,alla verità e all’interpretazione <strong>della</strong> Storia, all’impegno civile per ilpresente e il futuro, si bilancino o si integrino bene nelle nostre scelte, apartire da quella celebrativa, per i freschissimi e ine<strong>di</strong>ti Appunti partigiani<strong>di</strong> Fenoglio, curati da Lorenzo Mondo, sino a quella dell’anno scorso, soprattuttoper il Premio Scaffale assegnato a quella breve ma entusiasmanteautobiografia <strong>di</strong> una donna dei nostri paesi, tra fine Ottocento e Novecento,Carolina Bertinotti, Ma la fortuna dei poveri dura poco, riscoperta ecurata da Gianni Cerutti.Mauro Begozzi. Con l’e<strong>di</strong>zione 2000 abbiamo istituito una sorta <strong>di</strong> secondopremio, rispetto al principale, appunto il Premio Scaffale, che consenteun più preciso articolarsi <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> funzione <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzo e consiglio,per lettori e insegnanti, per scrittori e stu<strong>di</strong>osi, <strong>di</strong> questa nostra istituzionecosì singolare, e così genialmente inventata da Pasquale Maulini.Ma credo che dobbiamo avvertire che questa seconda serie del Premio hapreso la sua linea, il suo stile un po’ per volta. Con il contributo <strong>di</strong> tutti enostro in particolare che abbiamo creduto nel progetto e nella sua crescita.Massimo Bonfantini. Ah sì! Perché l’e<strong>di</strong>zione del cinquantenario, <strong>di</strong>codel 1995, si presentava come rinascita contingente ed effimera.Mauro Begozzi. Celebrativa, una specie <strong>di</strong> una tantum. C’è stato il successo<strong>di</strong> pubblico alla proclamazione, la presenza <strong>della</strong> sorella <strong>di</strong> Fenoglio...Si è visto che il Premio Omegna era ancora un richiamo culturale forte.Sprofondato nella memoria <strong>della</strong> città aveva solo bisogno d’essere riscoperto.E c’è stato il nostro caldeggiare e consigliare la regolare istituzione <strong>di</strong> unPremio annuale, meno gran<strong>di</strong>oso, ma nel solco preciso in<strong>di</strong>cato da Maulinie dai fondatori.Massimo Bonfantini. Sì. Il Sindaco Teresio Piazza e l’assessore, il nostroamico Gualtiero Pironi, si sono mossi. Con decisione e capacità crescente,anche nello stabilire il giusto clima <strong>di</strong> cor<strong>di</strong>alità e collaborazione. Senza sovrapporsialla giuria. Come ha intitolato uno dei suoi meravigliosi librettiBruno Munari, Da cosa nasce cosa. Così gli Appunti partigiani hanno certo266


Che cos’è il Premio Omegnacontribuito a farci considerare in modo meno sacrale e ideologico la Resistenza,e a guardare alla concretezza <strong>della</strong> vita partigiana, e a nuovi mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>rappresentazione e comunicazione, premiando nel 1996 la Storia fotografica<strong>della</strong> Resistenza, <strong>di</strong> Adolfo Mignemi.Mauro Begozzi. Il ‘nostro’ Premio si caratterizza senz’altro rispetto allostile del suo papà, <strong>di</strong>co del premio <strong>di</strong> Maulini, per l’attenzione ai nuovimo<strong>di</strong> <strong>di</strong> fare storia e <strong>di</strong> condurre le storie, le narrazioni, mo<strong>di</strong> meno seriosie solenni. Così, audaci e popolari, abbiamo premiato nel 1998 Cerami eBenigni, per il testo <strong>della</strong> Vita è bella.Massimo Bonfantini. Che io ho vissuto come un riconoscimento delcontributo anche attivo dato dagli Ebrei alla Resistenza e alla Liberazionemon<strong>di</strong>ale nell’ultima guerra, nella tra<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> quel meraviglioso romanzostorico <strong>di</strong> Primo Levi, Se non ora quando?Mauro Begozzi. Sì, certo. Quell’e<strong>di</strong>zione fu memorabile. Vinse il Premioanche Tahar Ben Jalloun per il suo Il razzismo spiegato a mia figlia. Erail cinquantenario <strong>della</strong> «vergogna» delle leggi razziali in Italia e riuscimmoa suscitare grande <strong>di</strong>battito su un tema che stava tristemente <strong>di</strong>ventando <strong>di</strong>stringente attualità, con lo strisciante e preoccupante ritorno <strong>di</strong> forme <strong>di</strong>razzismo e antisemitismo.....Massimo Bonfantini. ...tra ricordo e impegno civile.Mauro Begozzi. Mentre il premio assegnato l’anno prima a GherardoColombo, per Il vizio <strong>della</strong> memoria, robusta ed elegante detection dellepiù profonde motivazioni dei crimini <strong>di</strong> Tangentopoli, fa in un’Italia menocruenta da parallelo rispetto al premio assegnato a Camilla Cederna nel1972 per il libro sulla mortale caduta <strong>di</strong> Pinelli.Massimo Bonfantini. Secondo uno stile più agile <strong>di</strong> comunicazione, rispettoai nostri maggiori, abbiamo colpito l’imperialismo americano, nonpremiando ponderosi volumi, alla Sweezy e Huberman, ma agili instantbook, come quello, un po’ scritto e un po’ fotografato e <strong>di</strong>segnato, <strong>di</strong> Chiesae Vauro con Strada: Afghanistan anno zero del 2002Mauro Begozzi. Ma io credo che nelle nostre scelte, nelle scelte <strong>della</strong>giuria dei ‘moderni’, ci sia un buon equilibrio fra l’impegno <strong>di</strong> denunciae proposta sui gran<strong>di</strong> temi attuali <strong>della</strong> resistenza alla sopraffazione e allosfruttamento, sulle lotte per la liberazione e la democrazia dei popoli e dell’umanitàpiù debole, e l’impegno a salvare la memoria, dei dolori e dei sacrifici,degli orrori e delle imprese.Massimo Bonfantini. Forse, rispetto alla giuria degli ‘antichi’, con una267


Che cos’è il Premio Omegnamaggiore passione per le storie che restituissero vissuti e quoti<strong>di</strong>anità. Andasseromagari a ricercare il tempo perduto e le vite perdute con una ricercaproustiana, quasi, ma <strong>di</strong>alogica e collettiva, come nel bellissimo libroinchiesta<strong>di</strong> Theo Richmond, premiato nel 1999, de<strong>di</strong>cato a quella primacitta<strong>di</strong>na ebrea polacca interamente annichilita dai nazisti: Konin. La cittàche vive altrove, pubblicato in Italia a Torino da Instar LibriMauro Begozzi. Un altro libro premiato, questo nel 2001, notevole perla restituzione dei caratteri, quasi alla Plutarco, e per la resa delle atmosfere,attraverso un montaggio sapiente <strong>di</strong> testimonianze pubbliche e private,è Preferirei <strong>di</strong> no, il volume einau<strong>di</strong>ano de<strong>di</strong>cato da Giorgio Boatti ai professoriuniversitari che «preferirono <strong>di</strong>re <strong>di</strong> no» al giuramento <strong>di</strong> fedeltà...Massimo Bonfantini. Di fedeltà al fascismo. Ritrovare le memorie credoche voglia <strong>di</strong>re ritrovare anche le ra<strong>di</strong>ci <strong>della</strong> linea <strong>di</strong> crescita democratica<strong>della</strong> nostra storia patria, per usare con compiacimento quest’espressionevolutamente risorgimentaleMauro Begozzi. Risalendo, ad esempio, dai tempi <strong>di</strong> Carolina Bertinottialla Storia <strong>di</strong> Italia Donati, la maestrina il cui sacrificio è stato raccontatoin quello che definirei un ‘romanzo storiografico’ per la sua veri<strong>di</strong>cità, daElena Gianini Belotti, nel 2004.Massimo Bonfantini. Noi siamo certo molto più attenti a fonti e forme<strong>di</strong> comunicazione più varie e più coinvolgenti, per i giovani. Basti pensare,oltre al cinema, premiato nel film <strong>di</strong> Benigni, alla canzone popolare e <strong>di</strong>protesta, ve<strong>di</strong> il Premio Scaffale a Cesare Bermani per il suo libro, rigorosoe go<strong>di</strong>bile, Guerra guerra ai palazzi e alle chiese, oppure al fumetto, ve<strong>di</strong>,premiato anch’esso quello stesso 2003, il magnifico romanzo storico...Mauro Begozzi. Molto dotto e realistico...Massimo Bonfantini. Sì: <strong>di</strong> Jeson Lutes, Berlin, la città delle pietre.Mauro Begozzi. Facciamo un passo in<strong>di</strong>etro, perché mi sembra stiamo<strong>di</strong>menticando alcune e<strong>di</strong>zioni e alcune in<strong>di</strong>cazioni <strong>della</strong> giuria che, in questonostro ragionare sul significato culturale e <strong>di</strong> promozione del Premio,sono importanti.Massimo Bonfantini. Forse ti riferisci alla poesia, alla poesia <strong>di</strong> GiovanniGiu<strong>di</strong>ci per il suo Eresia <strong>della</strong> sera nell’e<strong>di</strong>zione del 1999...Mauro Begozzi. Sì, ma anche a Kapuscinski per quella sua straor<strong>di</strong>narianarrazione dell’Africa sfruttata e perduta nel romanzo Ebano o ai Ricor<strong>di</strong>tristi e civili <strong>di</strong> Cesare Garboli, premiato con Boatti, nel 2001.Massimo Bonfantini. Credo che analizzando tutti i libri vincitori, sia del268


Che cos’è il Premio Omegna‘Premio’ che dello ‘Scaffale’, ci sarebbero ancora molte cose da <strong>di</strong>re, moltispunti che meriterebbero <strong>di</strong> essere approfon<strong>di</strong>ti.Mauro Begozzi. Aspettiamo <strong>di</strong> leggere le conclusioni <strong>di</strong> Silvia Frontedduche, come tuo figlio per la prima parte, quella ‘antica’, sta scrivendo laseconda parte <strong>della</strong> storia del Premio, quella che ci riguarda più da vicino.Massimo Bonfantini. Già, perché bisogna ricordare che nel frattempoc’è stato un cambio d’amministrazione a Omegna, e al duo Piazza-Pironi,senza mutamenti <strong>di</strong> colore politico, nel 2002 sono subentrati il SindacoAlberto Buzio e l’assessore Francesco Pesce.Mauro Begozzi. Che hanno voluto che il premio continuasse e possibilmentesi rafforzasse....Massimo Bonfantini. Va detto <strong>della</strong> bellissima e purtroppo ultima intervistafatta da Laura Pariani a Nuto Revelli, vincitore dell’e<strong>di</strong>zione 2003 conla raccolta delle sue lezioni all’Università <strong>di</strong> Torino, Le due guerre. Guerrafascista e guerra partigiana curati da Michele Calandri.Mauro Begozzi. Quel libro e quell’intervista sono davvero un testamentomorale che andrebbe riproposto perio<strong>di</strong>camente nelle scuole...Massimo Bonfantini. Come i racconti e le storie delle «quattro donne»dell’e<strong>di</strong>zione 2004: la Sontag del Davanti al dolore degli altri, impegnativariflessione sull’immagine e sul suo uso strumentale nella società me<strong>di</strong>atica;Tina Anselmi e Gina Lagorio con la «loro» Resistenza e la menzionataElena Gianini Belotti.Mauro Begozzi. Per finire con l’ultima e<strong>di</strong>zione, quella dello scorso anno,assegnata a Guido Crainz de Il dolore e l’esilio, essenziale proposizionedel tema delle memorie <strong>di</strong>vise d’Europa e in particolare sul confine orientaled’Italia, contro ogni strumentalizzazione e ogni appropriazione indebita,politica, <strong>della</strong> storia collettiva.Massimo Bonfantini. Anche <strong>di</strong> quella <strong>di</strong>fficile da affrontare o semplicementelasciata «marcire» nell’oblio <strong>della</strong> scomo<strong>di</strong>tà politica, ve<strong>di</strong> L’arma<strong>di</strong>o<strong>della</strong> vergogna <strong>di</strong> Franco GiustolisiMauro Begozzi. Una prima notazione <strong>di</strong> bilancio, a conclusione <strong>di</strong> questanostra conversazione, può proprio essere che noi rispetto al premio anticoabbiamo premiato la varietà comunicativa e la capacità <strong>di</strong>alogica degliautori, dei personaggi e delle opere.Massimo Bonfantini. Potremmo quasi <strong>di</strong>re la capacità <strong>di</strong> comunicazionedemocratica. In sintonia del resto con una tematizzazione <strong>della</strong> Resistenzacome lotta <strong>di</strong> liberazione, anche non violenta, delle energie <strong>di</strong> una costru-269


Che cos’è il Premio Omegnazione sempre più <strong>di</strong>ffusa e capillare <strong>di</strong> una nuova democrazia dal basso.Mauro Begozzi. Adesso siamo 11 pari con il vecchio premio, per numero<strong>di</strong> premi assegnati. E possiamo anche essere contenti per la folla <strong>di</strong> libriche gli e<strong>di</strong>tori, soprattutto i maggiori, in questi ultimi anni ci invianoal giu<strong>di</strong>zio in una decina <strong>di</strong> copie rispondendo al bando spontaneamente.Il premio non è patrocinato da nessun partito, corrente <strong>di</strong> partito o lobbypolitico-culturale.Massimo Bonfantini. Siamo così autonomi da essere, se non emarginati,marginalizzati.Mauro Begozzi. Come a poco a poco è stata marginalizzata la stessa Resistenza,nelle scuole e università, nei partiti, nelle stesse amministrazioni.Manca anche a sinistra una vera preparazione culturale, <strong>di</strong> coscienza storica,all’agire politicoMassimo Bonfantini. Ma io credo che il nostro Premio <strong>della</strong> Resistenzapossa <strong>di</strong>latare, in questa Italia postberlusconiana, una funzione culturaleprofonda, pedagogico-comunicativa, infittendo i contatti con le istituzionie i circoli culturali.Il <strong>di</strong>alogo si è tenuto a Novara, nella sede dell’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenzae <strong>della</strong> società contemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola «P.Fornara», il 9 maggio 2006, prima dunque che la Giuria assegnasse l’e<strong>di</strong>zione<strong>di</strong> quest’anno, e<strong>di</strong>zione vinta dall’animatore e <strong>di</strong>rettore <strong>di</strong> questa rivista, Angelo<strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>, per il suo Italiani brava gente, fondamentale richiamo alle responsabilitàche la storia ci ha consegnato.Di più, nel clima arroventato <strong>della</strong> campagna referendaria per contrastarele mo<strong>di</strong>fiche costituzionali del centrodestra, la Giuria ha voluto assegnare unamenzione speciale al Presidente emerito <strong>della</strong> Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro,per il libro La mia Costituzione, affiancandosi così alla sacrosanta battagliaper il «No» in <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> Costituzione del 1948.Il «Premio Scaffale» è stato invece assegnato a: Ornela Vorpsi, Il paese dovenon si muore mai, Einau<strong>di</strong> E<strong>di</strong>tore; Gualtiero Morpurgo, Il violino rifugiato,Mursia E<strong>di</strong>tore; Micheal Tregenza, Purificare e <strong>di</strong>struggere, OmbreCorte E<strong>di</strong>tore270


Che cos’è il Premio OmegnaAlbo d’oro dei vincitori del Premio Omegna1959 - Henri Halleg per La tortura, Einau<strong>di</strong>, Torino.1960 - Jean Paul Sartre per l’intera opera.1961 - Gunther Anders per Essere o non Essere, Einau<strong>di</strong>, Torino.1962 - Franz Fanon per I dannati <strong>della</strong> terra, Einau<strong>di</strong>, Torino.1963 - Blas de Otero per l’intera opera.1964 - Roberto Battaglia (alla memoria), per Risorgimento e Resistenza,E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma.1965 - Paul M. Sweezy e Leo Huberman per i volumi Cuba, anatomia <strong>di</strong>una rivoluzione, Il presente come storia, Teoria <strong>della</strong> politica esteraamericana, e<strong>di</strong>ti da Einau<strong>di</strong>, Torino e Teoria dello sviluppo capitalistico,e<strong>di</strong>to da Boringhieri, Torino.1966 - Il premio è assegnato ai lavoratori <strong>della</strong> «Cobianchi» <strong>di</strong> Omegna inlotta per la <strong>di</strong>fesa del posto <strong>di</strong> lavoro.1970 - Il premio è assegnato ai lavoratori <strong>della</strong> Rodhiatoce <strong>di</strong> Verbania inlotta per la <strong>di</strong>fesa del posto <strong>di</strong> lavoro.1971 - George Jackson (alla memoria) per I fratelli <strong>di</strong> Soledad, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>,Torino.1972 - Camilla Cederna per Pinelli: una finestra sulla strage, e<strong>di</strong>tore Feltrinelli,Milano.1973 - Pietro Secchia (alla memoria) per Il PCI e la guerra <strong>di</strong> liberazione,e<strong>di</strong>tore Feltrinelli, Milano; La Resistenza accusa, e<strong>di</strong>tore Mazzotta,Milano; Lotta antifascista e giovani generazioni, e<strong>di</strong>tore La Pietra,Milano.1974 - Alexandros Panagulis per Vi scrivo da un carcere in Grecia,e<strong>di</strong>tore Rizzoli, Milano.Nuova e<strong>di</strong>zione1995 - Beppe Fenoglio, per Appunti partigiani, curati da Lorenzo Mondoper l’e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>, Torino.1996 - Adolfo Mignemi per Storia fotografica <strong>della</strong> Resistenza, e<strong>di</strong>tore Bollati-Boringhieri,Torino.1997 - Gherardo Colombo per Il vizio <strong>della</strong> memoria, e<strong>di</strong>tore Feltrinelli,Milano.271


Che cos’è il Premio Omegna1998 - Tahar Ben Jalloun per Il razzismo spiegato a mia figlia, e<strong>di</strong>toreBompiani, Milano e Vincenzo Cerami e Roberto Benigni per lasceneggiatura del film La vita è bella, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>, Torino.1999 - Giovanni Giu<strong>di</strong>ci per Eresie <strong>della</strong> sera, e<strong>di</strong>tore Garzanti, Milano eTheo Richmomd per Konin. La città che vive altrove, e<strong>di</strong>tore InstarLibri, Torino.2000 - Ryszard Kapuscinski per Ebano, e<strong>di</strong>tore Feltrinelli, Milano.Con l’e<strong>di</strong>zione 2000 è stato istituito il «Premio Scaffale» assegnatoal Diario <strong>di</strong> David Rubinowicz, e<strong>di</strong>to da Einau<strong>di</strong>, Torino; mentrela Giuria ha voluto rendere omaggio a Giuliana Gadola Beltrami,vedova del Capitano Filippo Maria Beltrami caduto a Megoloil 13 febbraio 1944, per la rie<strong>di</strong>zione, a cura <strong>della</strong> rivista «Le Rive»,del suo Il Capitano.2001 - Giorgio Boatti per Preferirei <strong>di</strong> no, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>, Torino e CesareGarboli per Ricor<strong>di</strong> tristi e civili, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>, Torino.«Premio Scaffale»: Massimiliano Griner, La «Banda Koch». Il repartospeciale <strong>di</strong> Polizia 1943-44, e<strong>di</strong>tore Bollati-Boringhieri, Torino;Giovanni Fasanella e Clau<strong>di</strong>o Sestieri con Giovanni Pellegrino,Segreto <strong>di</strong> Stato. La verità da Gla<strong>di</strong>o al caso Moro, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>,Torino; Francesco Giannantoni e Fabio Minazzi (a cura <strong>di</strong>), Il coraggio<strong>della</strong> memoria e la guerra civile spagnola (1936-1939). Stu<strong>di</strong>,documenti ine<strong>di</strong>ti e testimonianze, con la prima analisi storico-quantitativadei volontari antifascisti italiani, Amici del Liceo scientifico<strong>di</strong> Varese, Arterigere e<strong>di</strong>tore, Varese.2002 - Giulietto Chiesa e Vauro con Gino Strada per Afghanistan anno zero,e<strong>di</strong>tore Guerini e associati, Milano.«Premio Scaffale»: Giannino Piana, I tempi e luoghi <strong>della</strong> politica,<strong>Centro</strong> Natale Menotti, Verbania; Maria Adele Garavaglia, La colpa<strong>di</strong> una madre. Un processo <strong>di</strong> fine me<strong>di</strong>oevo, e<strong>di</strong>tore Interlinea,Novara.2003 - Nuto Revelli per Le due guerre. Guerra fascista e guerra partigiana,a cura <strong>di</strong> Michele Calandri, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>, Torino.«Premio Scaffale»: Eraldo Affinati, Un teologo contro Hitler, e<strong>di</strong>toreMondadori, Milano; Cesare Bermani, Guerra guerra ai palazzi ealle chiese, e<strong>di</strong>tore Odradek, Roma; Jason Lutes, Berlin, la città dellepietre, e<strong>di</strong>tore Coconino Press, Bologna.272


Che cos’è il Premio Omegna2004 - Susan Sontag per Davanti al dolore degli altri, e<strong>di</strong>tore Mondadori,Milano.«Premio Scaffale»: Tina Anselmi, Zia, cos’è la Resistenza?, e<strong>di</strong>toreManni, San Cesario <strong>di</strong> Lecce; Elena Gianini Belotti, Prima <strong>della</strong>quiete. Storia <strong>di</strong> Italia Donati, e<strong>di</strong>tore Rizzoli, Milano; Gina Lagorio,Raccontami com’è andata, e<strong>di</strong>tore Viennepierre, Milano.2005 – Guido Crainz per Il dolore e l’esilio. L’Istria e le memorie <strong>di</strong>vise d’Europa,e<strong>di</strong>tore Donzelli, Roma.«Premio Scaffale»: Carolina Bertinotti, Ma la fortuna dei poveri durapoco, (a cura <strong>di</strong> Giovanni A. Cerutti), e<strong>di</strong>tore Interlinea, Novara;Franco Giustolisi, L’Arma<strong>di</strong>o <strong>della</strong> vergogna, e<strong>di</strong>tore Nutrimenti,Roma; Sergio Luzzatto, La crisi dell’antifascismo, e<strong>di</strong>tore Einau<strong>di</strong>,Torino.Componenti la Giuria del Premio nelle e<strong>di</strong>zioni 1959-1974Pasquale Maulini e Angelo Bol<strong>di</strong>ni (Sindaci), Cino Moscatelli,Mario Bonfantini, Mario Soldati, Guido Piovene, Sergio Antonielli,Carlo Salinari, Corrado De Vita, Enrico Emanuelli, AdrianoSeroni, Mario Spinella, Paolo Spriano, Gianni Rodari, CesareZavattini, Rossana Rossanda, Orio Vergani, Raffaele De Grada,Filippo Frassati, Italo Calvino, Franco Fortini, Mario Gozzini,Arturo Carlo Jemolo, Francesco Flora, Furio Jesi, Ruggero Orfei,Carlo Betocchi, Carlo Bo.Componenti la Giuria del Premio dal 1995Alba Andreini, Mauro Begozzi, Massimo Bonfantini, MarzianoGuglielminetti, Oreste Pivetta, Sebastiano Vassalli (nella sola e<strong>di</strong>zionedel 1996), Dario Voltolini.Dal 2003, <strong>di</strong>messosi Marziano Guglielminetti, sono entrati inGiuria, Laura Pariani e Michele Beltrami.273


Verso i quarant’anni.L’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> societàcontemporanea nel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola«P. Fornara»L’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> società contemporanea nel Novaresee nel Verbano Cusio Ossola «P. Fornara» sta entrando nella pienamaturità, essendo giunto infatti alla vigilia dei suoi «primi» quarant’anni eper informazioni più ampie su origini, sviluppo, sui fondatori, sugli organiistituzionali, statuto, programmi e relazioni <strong>di</strong> attività, settori <strong>di</strong> ricercae servizi si rimanda al sito web www.isrn.it.Nato come centro <strong>di</strong> documentazione <strong>della</strong> resistenza novarese nel ventennale<strong>della</strong> Liberazione, l’Istituto conobbe un periodo <strong>di</strong> incubazione finoal marzo 1967 quando iniziò la propria attività pubblica presso la BibliotecaCivica e Negroni <strong>di</strong> Novara sotto la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> Mario Pacor, partigianotriestino giornalista e storico.Nel 1968 per volontà dei resistenti novaresi, che in quel frangente davanovita, caso forse unico in ambito nazionale, al Raggruppamento Unitario<strong>della</strong> Resistenza, si decise <strong>di</strong> costituire un Consorzio per la sua gestioneformato dall’Amministrazione provinciale, dal Comune <strong>di</strong> Novara e daiComuni <strong>della</strong> Provincia. Contemporaneamente si associò all’Istituto Nazionaleper la storia del Movimento <strong>di</strong> Liberazione in Italia – allora presidenteFerruccio Parri – in base alla Legge del 16 Gennaio 1967, n. 3, entrandoa far parte <strong>della</strong> rete federativa degli Istituti <strong>della</strong> Resistenza oggi<strong>di</strong>slocati in oltre sessanta se<strong>di</strong> in Italia. Fautori <strong>di</strong> quella iniziativa furonoi protagonisti <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> Liberazione nella provincia <strong>di</strong> Novara e in Valsesia,e <strong>della</strong> riorganizzazione <strong>della</strong> vita democratica nel dopoguerra: NataleMenotti, allora presidente <strong>della</strong> Provincia, Piero Fornara, Eraldo Gastone,Cino Moscatelli, Alberto Jacometti, Enrico Massara, Albino Calletti,Fausto <strong>Del</strong> Ponte e molti altri. Il 14 Dicembre 1968, l’Assemblea dei delegatieleggeva le prime cariche <strong>di</strong>rettive. Presidente fu nominato Piero Fornara,con Vicepresidenti Eraldo Gastone e Mario Manfredda. Consiglierivennero eletti: Alberto Jacometti, Enrico Massara, Iginio Fabbri, Carluc-275


Verso i quarant’annicio Alberganti, Albino Calletti e Fausto <strong>Del</strong> Ponte. Il Comitato scientificovenne inse<strong>di</strong>ato nelle persone <strong>di</strong> Guido Quazza (a quale subentrò MassimoL. Salvadori) e Gianfranco Bianchi, docenti <strong>di</strong> storia rispettivamenteall’Ateneo torinese e all’Università Cattolica del Sacro Cuore <strong>di</strong> Milanononché <strong>di</strong> Carla Nosenzo Gobetti, <strong>di</strong>rettrice dell’Istituto piemontese per lastoria <strong>della</strong> resistenza, capostipite dei consimili istituti italiani.Per como<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> analisi i quarant’anni <strong>di</strong> vita dell’Istituto possono esseresud<strong>di</strong>visi in quattro perio<strong>di</strong> che vengono quasi a coincidere con ciascunadelle quattro presidenze succedutesi: <strong>di</strong> Piero Fornara, Eraldo Gastone,Enrico Massara e Francesco Omodeo Zorini.Reperimento e pubblicazione delle fontiL’Istituto sorge dunque sul fondamentale lungimirante presuppostodell’incar<strong>di</strong>namento giuri<strong>di</strong>co-amministrativo nelle civiche istituzioni delterritorio allo scopo <strong>di</strong> conferire carattere pubblico e civile al patrimoniostorico e ideale <strong>di</strong> cui è custode, propugnatore e valorizzatore. Il periodoper così <strong>di</strong>re «delle origini» durante la presidenza Fornara (1968-1975) ècaratterizzato dall’esigenza del reperimento e pubblicazione delle fonti documentaliche si congiunge inscin<strong>di</strong>bilmente con quella <strong>della</strong> costituzionedelle basilari strutture: archivio e biblioteca, essenziali per l’avvio degli stu<strong>di</strong>e <strong>della</strong> loro pubblicazione, <strong>della</strong> consulenza e dell’assistenza a stu<strong>di</strong>osi estudenti prevalentemente universitari. La richiesta del <strong>di</strong>stacco, a norma <strong>di</strong>legge, da parte del Ministero <strong>della</strong> Pubblica Istruzione <strong>di</strong> un insegnante <strong>di</strong>ruolo «comandato», avanzata da Fornara e Parri fin dal 1967, si concretizzanel 1970, sicché l’Istituto può avvalersi <strong>della</strong> prestazione a pieno tempo<strong>di</strong> Francesco Omodeo Zorini, il quale svolge mansioni <strong>di</strong> ricercatore e curatoredell’attività <strong>di</strong>dattica.Il qualificato e partecipato Convegno internazionale <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Domodossoladel settembre 1969 sulle Zone libere <strong>della</strong> Resistenza italianaed europea, nel 25° anniversario <strong>della</strong> «Repubblica dell’Ossola» e la relativapubblicazione degli Atti nel 1974, accanto alla pubblicazione <strong>della</strong> primamonografia <strong>di</strong> Enrica Andoar<strong>di</strong> e Carla Barlassina Tagliarino sulle formazionicattoliche e «azzurre» in provincia, degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Mario Giarda eGiulio Maggia sulle istituzioni e sugli organi <strong>di</strong> stampa <strong>della</strong> libera repubblicapartigiana, sulla liberazione <strong>della</strong> città <strong>di</strong> Novara riflettono il fervorepionieristico <strong>di</strong> quella stagione d’esor<strong>di</strong>o.276


Verso i quarant’anniPer la <strong>di</strong>vulgazione si dà vita dall’inizio del 1969 a «Resistenza Unita»,notiziario mensile del Raggruppamento e dell’Istituto, con Pacor responsabiledel comitato <strong>di</strong> <strong>di</strong>rezione. Il notiziario, per quanto <strong>di</strong>messo, <strong>di</strong>venta,grazie alla sapiente regia <strong>di</strong> Pacor, utile palestra <strong>di</strong> <strong>di</strong>battito spesso vivacetra protagonisti e giovani. Anche in relazione al piano <strong>di</strong> ricerca generaledell’Istituto nazionale, in quegli anni sul bollettino trovano spazio repertori<strong>di</strong> documenti, testimonianze sulla resistenza locale e ricerche <strong>di</strong> base siasulla realtà socio-economica e politica pre e post resistenziale, sia sull’antifascismo.L’insegnante comandato avvia nel contempo quel depistage <strong>di</strong>testimonianze orali dei protagonisti maggiori e minori <strong>della</strong> vita politica,sociale e culturale non solo locale a partire dalla fine dell’Ottocento, che èstato opportunamente salvaguardato prima dalla duplicazione e schedaturadelle au<strong>di</strong>ocassette e poi, recentemente, grazie a Piero Beldì, per mezzodel riversamento <strong>di</strong>gitale, <strong>di</strong> cui si rende conto nel catalogo dell’archiviosonoro La memoria invisibile (2005).Di quel periodo sono anche le originali e inusitate «missioni» nelle comunitàitaliane all’estero, in Francia come in Istria, nonché gli interventinelle scuole e i primi corsi <strong>di</strong> aggiornamento per insegnanti.Le «nuove fonti» e la questione propaganda-comunicazioneAlla morte <strong>di</strong> Fornara la presidenza è affidata a «Ciro» Gastone (1975-1986) e il Comitato <strong>di</strong>rettivo delibera l’intitolazione dell’ente all’illustrepe<strong>di</strong>atra capo carismatico <strong>della</strong> Resistenza novarese. Nel 1976 si realizza iltrasferimento dell’Istituto dal palazzotto Me<strong>di</strong>ci Tornaquinci <strong>di</strong> via Canobio,dov’era ubicato dal 1971, in Casa Fornara. Il <strong>di</strong>namismo managerialedel neo-presidente, già comandante a fianco <strong>di</strong> «Cino» Moscatelli dei garibal<strong>di</strong>ni<strong>della</strong> Valsesia, consente l’ingresso nell’équipe dell’Istituto (che perdeperò per quiescenza l’inestimabile apporto del <strong>di</strong>rettore) <strong>di</strong> due valentineo-laureati già collaboratori esterni la cui cooptazione è caldeggiata dall’insegnantecomandato: Mauro Begozzi e Adolfo Mignemi.Si apre così nella seconda metà degli anni Settanta un’appassionatafruttuosa fase <strong>di</strong> ricerca rivolta in maniera specifica alla storia socio-economicae politico-culturale del territorio che sfocia nella creazione del provvidenzialestrumento <strong>della</strong> rivista «Ieri Novara oggi». Attorno ad essa si coagulaun invi<strong>di</strong>abile collettivo <strong>di</strong> giovani anche <strong>di</strong> calibro nazionale che vifanno confluire molteplici contributi. L’attenzione è focalizzata alla tripli-277


Verso i quarant’annice <strong>di</strong>mensione <strong>di</strong>alettica locale/nazionale, scritto/orale/iconografico/materiale,storia/scuola. L’esito è <strong>di</strong> suscitare un <strong>di</strong>battito non puramente elitarioattorno alla poliedrica attività dell’Istituto né esclusivamente ristrettoall’ambito provinciale. Fuori dall’accademia, al confine con «storici scalzi»militanti. E’ una stagione esaltante <strong>di</strong> ricerca e <strong>di</strong>battito, <strong>di</strong> crescita complessivadell’Istituto che in pochi anni triplica il patrimonio documentarioe bibliografico custo<strong>di</strong>to.Sono gli anni delle «missioni» negli archivi che finalmente aprono leproprie porte alla consultazione delle carte <strong>della</strong> storia contemporanea.Così, si intensificano, numerose, le incursioni nei più importanti giacimentilocali e nazionali, mentre emerge pionieristica l’attenzione per le«nuove» fonti con l’acquisizione <strong>di</strong> importanti archivi fotografici. Dall’acquisizioneallo stu<strong>di</strong>o il passo è breve, sì che l’Istituto da vita ad un importantestagione <strong>di</strong> mostre e <strong>di</strong> riflessione sul tema <strong>della</strong> comunicazione nonsolo o, meglio, non più solo sulla Resistenza.E’ il caso delle esposizioni sul paesaggio industriale, sul manifesto politico<strong>di</strong> Albe Steiner, sulla guerra d’Etiopia 1935-36, la realizzazione <strong>della</strong>sala storica <strong>di</strong> Domodossola.Si moltiplicano in senso bi<strong>di</strong>rezionale le occasioni <strong>di</strong> scambio con l’universouniversitario e scolastico non più limitato alle tipicità del monitoraggiodelle tesi <strong>di</strong> laurea o per altro verso ai corsi <strong>di</strong> aggiornamento. Anchestavolta, pionieristici sono i viaggi-stu<strong>di</strong>o nei luoghi <strong>della</strong> memoria <strong>della</strong>deportazione, così come innovative sono le ricerche-<strong>di</strong>dattiche (è il casodelle analisi sulla cartiera Vonwiller <strong>di</strong> Romagnano Sesia svolte in collaborazionecon l’Istituto Cobianchi <strong>di</strong> Intra) con archetipi <strong>di</strong> approccio all’informatica,piegata alla storia, e <strong>di</strong> riflessione sulla storia quantitativa esulla storia <strong>della</strong> scuola.Questo ruolo e queste funzioni vengono sancite e riconosciute dallaLegge Regionale n. 28/1980.Per un prismatico laboratorio pre-politico e <strong>di</strong> organizzazione culturaleIl decennio <strong>della</strong> presidenza <strong>di</strong> Enrico Massara (1986-1998) e <strong>della</strong> <strong>di</strong>rezione<strong>di</strong> Rosario Muratore, coincide con una nuova e per molti aspetti<strong>di</strong>versa stagione <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e impegno dell’Istituto. Muta il clima culturale,entra in crisi il mestiere dello storico e la funzione <strong>della</strong> storia e <strong>della</strong> storiografianella formazione civile delle nuove generazioni. L’Istituto affronta278


Verso i quarant’annila congiuntura non senza <strong>di</strong>fficoltà, ma con nuove idee e soprattutto conuna nuova progettualità. Da semplice centro <strong>di</strong> ricerca l’orizzonte si allargaalla costruzione <strong>di</strong> un laboratorio <strong>di</strong> formazione, «prepolitico» come vienedefinito da un brillante Assessore alla cultura <strong>della</strong> Regione Piemonte.Non si <strong>di</strong>mentichi che è il periodo <strong>della</strong> crisi del sistema politico italiano,<strong>della</strong> cosiddetta «Prima Repubblica».La tutela e la valorizzazione del patrimonio custo<strong>di</strong>to <strong>di</strong>ventano prioritarie si accentua la funzione <strong>di</strong> servizio e <strong>di</strong> organizzazione culturale.Una dura battaglia per mantenere pubblica tale funzione (soprattutto dopol’approvazione <strong>della</strong> riforma delle autonomie locali) vede l’Istituto impegnatoin prima persona accanto ai confratelli Istituti piemontesi. Mentreda un lato proseguono gli stu<strong>di</strong> (torna a uscire «Ieri Novara oggi» dopo undecennio <strong>di</strong> silenzio), si organizzano convegni e mostre, si aprono importanti«cantieri» <strong>di</strong> ricerca, dall’altro l’Istituto è promotore <strong>di</strong> alcune fondamentalirealizzazioni culturali, come la ripresa del Premio letterario <strong>della</strong>Resistenza «Città <strong>di</strong> Omegna» e l’inaugurazione <strong>della</strong> «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoce <strong>di</strong> Verbania. Muta anche la «ragione sociale», registrandola «storia contemporanea» non solo nella pratica <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o ma anche nelnome dell’Istituto e si apre una lunga e per certi versi non ancora conclusastagione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> Resistenza, dei suoi uomini e dei suoi valori control’oblio, il negazionismo e il revisionismo. Al proprio interno l’Istituto conosceuna pericolosa crisi <strong>di</strong> «passaggio», crisi non solo generazionale. Leopzioni per il futuro sono inevitabilmente <strong>di</strong>verse e contrastanti, mentreemerge improcrastinabile l’esigenza <strong>di</strong> un nuovo progetto complessivo perl’Istituto che abbisogna <strong>di</strong> aprirsi ulteriormente al territorio, alla società,all’Università locale, che muove i suoi primi passi.Riassetto consorziale e nuovi «sponsor»: Novecento e contemporaneità a tuttocampoNel 1998, al compimento dei suoi bellissimi ottant’anni, Enrico Massaralascia la presidenza, che viene assunta da Francesco Omodeo Zorini.Per la prima volta la carica non è ricoperta da un protagonista <strong>della</strong> Lotta<strong>di</strong> Liberazione, anche se lo spirito dei fondatori è ben presente nel documento<strong>di</strong> programma che porta all’elezione del Consiglio d’Amministrazione.Pian piano le norme e gli organi previsti dallo Statuto vanno a regimecon le nomine del <strong>di</strong>rettore scientifico, <strong>di</strong> quello amministrativo, del279


Verso i quarant’anniComitato scientifico e <strong>della</strong> Commissione <strong>di</strong>dattica. Il riassetto istituzionaleindubbiamente consente <strong>di</strong> guardare al futuro con minori apprensioni,ma anche con nuove e maggiori responsabilità: la nascita, ad esempio.<strong>della</strong> Provincia del Verbano Cusio Ossola rende l’impegno ancor più importantee gravoso. La «riforma» purtroppo non è indolore e l’Istituto deverinunciare a importanti professionalità, così come a <strong>di</strong>versi strumenti (tracui proprio la rivista).Il piano <strong>di</strong> rilancio prevede <strong>di</strong> agire su <strong>di</strong>versi piani:1. il rafforzamento del Consorzio e la <strong>di</strong>versificazione delle fonti <strong>di</strong> finanziamento;2. i problemi strutturali e funzionali dell’Istituto (sede, personale, strumentazione,ecc)3. la collaborazione alla vita federativa sia a livello regionale che nazionale;4. il sostegno alla ricerca e alla <strong>di</strong>vulgazione dei risultati <strong>della</strong> stessa;5. la valorizzazione delle attività nel settore <strong>di</strong>dattico;6. l’efficienza dei servizi <strong>di</strong> biblioteca e archivio.Per ognuno dei punti del piano vengono approntati specifici progetti ein solo otto anni l’Istituto conosce una nuova significativa evoluzione. Glienti aderenti al Consorzio salgono a ben 81 unità (con le due Province, 76Comuni e tre comunità montane), mentre altri Enti, Fondazioni bancariee Associazioni sostengono economicamente la nuova progettualità.Svanisce il «sogno» <strong>di</strong> una nuova e più adeguata sede, ma si da vita all’allargamento<strong>di</strong> quella attuale grazie al sostegno dell’Azienda ospedaliera<strong>di</strong> Novara, proprietaria dello stabile <strong>di</strong> Corso Cavour.L’attività si fa ricca e complessa, segnata da nuovi cantieri <strong>di</strong> ricerca, danuove collaborazioni e professionalità in tutti i settori in cui l’Istituto è impegnato.Impossibile citare qui tutte le realizzazioni, tutti i complessi progetti<strong>di</strong> ricerca in cui l’Istituto si è fatto o è promotore. Come detto per chivolesse saperne <strong>di</strong> più vi è a <strong>di</strong>sposizione il portale web www.isrn.it.Tuttavia è importante sottolineare sia la strategia culturale complessiva(al centro <strong>della</strong> quale vi è la collaborazione costante e <strong>di</strong>versificata con tuttele principali realtà istituzionali e associative locali, nazionali ed internazionali)sia alcune fondamentali realizzazioni legate a specifici progetti, qualila valorizzazione <strong>della</strong> biblioteca-archivio Mario Bonfantini, l’adesioneal Servizio Bibliotecario Nazionale, la costituzione <strong>di</strong> un’efficiente me<strong>di</strong>ateca,l’informatizzazione e la <strong>di</strong>gitalizzazione <strong>di</strong> interi settori dell’archivio,280


Verso i quarant’annii progetti «Memoria del lavoro», «Novecento <strong>di</strong> carta» e «Spazio archivi»volti all’acquisizione, tutela e valorizzazione del patrimonio documentarioed in specie <strong>di</strong> quello legato alla società locale nel secolo scorso; la partecipazionea progetti europei come l’Interreg III «La memoria delle Alpi» e lespecifiche realizzazioni del sistema ecomuseale italo-svizzero; il rilancio delsettore e<strong>di</strong>toriale e <strong>della</strong> comunicazione con la pubblicazione <strong>di</strong> decine <strong>di</strong>ricerche e stu<strong>di</strong> e l’apertura del sito; la razionalizzazione dell’intervento nelsettore <strong>di</strong>dattico con una molteplicità <strong>di</strong> proposte legate non solo a specifichescadenze quali il giorno <strong>della</strong> memoria e il giorno del ricordo, bensìad un organico intervento a favore dell’insegnamento <strong>della</strong> storia contemporaneanella scuola e all’educazione alla citta<strong>di</strong>nanza.Per questo l’Istituto non si è sottratto, ma anzi è stato protagonista, <strong>di</strong>fondamentali battaglie in <strong>di</strong>fesa dei valori <strong>della</strong> resistenza e dei principi costituzionali.Ora, la ricerca torna la centro <strong>della</strong> sua attività e l’imme<strong>di</strong>atofuturo è segnato da nuovi progetti relativi alla storia del Novecento e alleproblematiche culturali del presente.Un segno, importante e significativo, <strong>di</strong> questa nuova stagione è senz’altrola collaborazione a questa rivista, significativamente titolata «I sentieri<strong>della</strong> ricerca», non solo perché riapre un <strong>di</strong>scorso <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione dei risultati,appunto, <strong>della</strong> ricerca e delle riflessioni scientifiche che nell’istituto sisvolgono, ma perché sancisce la collaborazione tra centri-stu<strong>di</strong> e perché si fapalestra per le nuove generazioni. Come allora, come quasi quarant’anni fa.Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> società contemporaneanel Novarese e nel Verbano Cusio Ossola «P. Fornara»C.so Cavour, 15 – 28100 NovaraTel 0321/39.27.43 - Fax 0321/39.90.21e-mail: fornara@fausernet.novara.it - web: www.isrn.it281


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoce.Un centro-rete per la storia del ’900nel Verbano Cusio OssolaPremessaFin dal 1976, anno in cui si cominciò a «sognare» e a parlare <strong>della</strong> costruzione<strong>di</strong> una struttura da affiancare al Sacrario <strong>di</strong> Fondotoce per accoglierei numerosi visitatori, tale struttura venne immaginata come un «museo»ove raccogliere e valorizzare i documenti, le testimonianze, i materialistorici relativi alla lotta <strong>di</strong> liberazione locale e in particolare al sacrificio deiCaduti partigiani delle province <strong>di</strong> Novara e del VCO.Esattamente <strong>di</strong>eci anni fa, con l’e<strong>di</strong>ficazione <strong>della</strong> Casa <strong>della</strong> Resistenza<strong>di</strong> Fondotoce, costruita grazie alla Legge Regionale n. 30 del 1992, su progettodell’arch. Cesare Mercan<strong>di</strong>no, partigiano combattente nel Vergante,andò a compimento un importante impegno <strong>di</strong> valorizzazione <strong>di</strong> uno deiluoghi <strong>della</strong> memoria più noti e amati dell’intero Piemonte, oggi chiamatoParco <strong>della</strong> Memoria e <strong>della</strong> Pace.Il Parco comprende <strong>di</strong>verse strutture tra cui il Sacrario dei 42 caduti fucilatiil 20 giugno 1944, la complessa area monumentale (con i monumentieretti nel corso <strong>di</strong> quasi sessant’anni: il muro che reca i nomi dei 1200Caduti <strong>della</strong> Resistenza delle province <strong>di</strong> Novara e del VCO; l’urna con leceneri provenienti dal campo <strong>di</strong> sterminio <strong>di</strong> Mauthausen; la lapide per gliebrei trucidati sulle sponde del Lago Maggiore; il bronzo de<strong>di</strong>cato ai Georgianicombattenti nelle fila <strong>della</strong> Resistenza italiana e infine l’omaggio agliInternati militari nei lager nazisti che non fecero ritorno), l’ulivo <strong>della</strong> paceproveniente da Israele e, appunto, la Casa.Da quel «sogno» degli anni settanta alla realizzazione <strong>della</strong> strutturatrascorsero, dunque, molti anni, un periodo lungo in cui, tra le altre cose,molto è cambiato nella storiografia e da essa anche nel modo <strong>di</strong> concepireun «museo», non più o non solo semplice e statico contenitore <strong>di</strong> oggetti ecimeli, ma centro <strong>di</strong>namico, vivo e vitale, <strong>di</strong> conservazione, elaborazione e283


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoce<strong>di</strong>vulgazione <strong>della</strong> memoria storica. La possibilità <strong>di</strong> accesso a nuove fontidocumentarie, la <strong>di</strong>versità <strong>di</strong> tali fonti (non più solo cartacee o materiali,bensì fotografiche, au<strong>di</strong>ovisive e ora virtuali), la <strong>di</strong>sponibilità <strong>di</strong> nuovetecnologie al servizio <strong>della</strong> ricerca e <strong>della</strong> <strong>di</strong>vulgazione storica, hanno spinto,quin<strong>di</strong>, a immaginare la Casa <strong>della</strong> Resistenza come un vero e propriocentro storico multime<strong>di</strong>ale, polivalente, aperto e aggiornabile, in grado <strong>di</strong>offrire servizi <strong>di</strong>versi e sod<strong>di</strong>sfare una crescente domanda culturale (dallasemplice accoglienza dei visitatori alla capacità <strong>di</strong> sostenere e suscitare unturismo, scolastico ma non solo, etico-civile). Recentemente e in campostorico, si è poi sviluppata l’idea dei musei <strong>di</strong>ffusi, ovvero l’idea <strong>di</strong> valorizzarei segni e i simboli storici sparsi sui <strong>di</strong>versi territori mettendoli in relazionetra loro. Nel nostro caso la valorizzazione e la connessione dei cosiddetti«luoghi <strong>della</strong> memoria», dei «sentieri <strong>della</strong> libertà», nel tentativo <strong>di</strong>creare percorsi e sistemi integrati sia sul piano locale, poi regionale e infinetransfrontalieri ed europei.Il Parco <strong>della</strong> memoria e <strong>della</strong> pace e la sua Casa <strong>della</strong> Resistenza rappresentanoin un simile contesto un punto <strong>di</strong> riferimento <strong>di</strong> straor<strong>di</strong>nariosignificato e <strong>di</strong> enorme potenzialità.L’AssociazioneL’anno successivo l’inaugurazione (che vide la presenza dell’allora Presidente<strong>della</strong> Repubblica on. Oscar Luigi Scalfaro e <strong>di</strong> Tina Anselmi), si costituìl’Associazione Casa <strong>della</strong> Resistenza per la gestione del Parco. Formatadai rappresentanti delle organizzazioni <strong>della</strong> Resistenza (fra partigiani,deportati politici, internati militari, Comunità ebraiche, Istituto storico<strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> società contemporanea nel Novarese e nel VCO«Piero Fornara») ottenne dalla Provincia del VCO, <strong>di</strong> recente costituitasie <strong>di</strong>venuta proprietaria dell’area, il comodato d’uso e pose tra i propri scopistatutari: la <strong>di</strong>ffusione <strong>della</strong> conoscenza delle <strong>di</strong>verse opportunità turisticoculturalidel territorio del Verbano Cusio Ossola a partire dalle esposizioni <strong>di</strong>Ornavasso, Villadossola e Domodossola per arrivare alla in<strong>di</strong>viduazione e valorizzazione<strong>di</strong> veri e propri «itinerari <strong>della</strong> Resistenza»; la pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong>servizi culturali (mostre, schede informative, libri, filmati, eccetera) necessaria far conoscere la storia <strong>della</strong> Resistenza locale e il significato universale <strong>di</strong> pacee fratellanza tra i popoli che i monumenti rappresentano; l’organizzazione<strong>di</strong> convegni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, seminari, lezioni, incontri che consentano uno scambio284


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoceculturale e un approccio critico al tema <strong>della</strong> lotta <strong>di</strong> liberazione e più in generalealle problematiche storiografiche relative al Novecento; la promozione <strong>di</strong>forme <strong>di</strong> gemellaggio e interscambio informativo con analoghe strutture e luoghisimbolici esistenti in Italia e all’estero.Un primo bilancioCapita <strong>di</strong> incontrare visitatori, anche stranieri, i quali ebbero l’occasione<strong>di</strong> recarsi alla Casa <strong>di</strong>eci anni fa, quando la struttura era un semplicecontenitore praticamente vuoto e che, oggi, tornati, hanno avuto l’opportunità<strong>di</strong> constatare, ammirati, lo straor<strong>di</strong>nario lavoro svolto. A volte capitaanche <strong>di</strong> incontrare «anziani» che ricordano quando l’area era semplicementeun luogo <strong>di</strong> pellegrinaggio privo <strong>di</strong> qualsiasi servizio e che stupisconoper quanto è stato fatto, per come il Parco è mantenuto, per l’amore e ilrispetto che lo contrad<strong>di</strong>stinguono, per le scelte e le realizzazioni compiute.Un primo bilancio <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>eci anni <strong>di</strong>mostra il pieno successo dell’iniziativa,il cui merito va ripartito equamente tra tante persone <strong>di</strong> generazioni<strong>di</strong>verse, protagoniste tutte, lungo l’arco degli oltre sessant’anni trascorsidalla Liberazione, <strong>di</strong> un impegno grande e <strong>di</strong>sinteressato.Una memoria viva, non solo «conservata», ma vitalissima, utilizzata nelpresente, nelle pieghe dei temi e dei problemi <strong>di</strong> un «oggi» quanto mai inquietoe privato <strong>di</strong> punti <strong>di</strong> riferimento e <strong>di</strong> valori.Allora occorre <strong>di</strong>re, poiché stiamo parlando <strong>di</strong> un «luogo <strong>della</strong> memoria»ovvero <strong>di</strong> un luogo mèta <strong>di</strong> visitatori interessati, dell’andamento dellepresenze, valutabili complessivamente, nei <strong>di</strong>eci anni, tra le 150mila ele 200mila unità.Di più, è possibile affermare che negli ultimi tre anni, in concomitanzacon l’apertura <strong>di</strong> spazi e servizi culturali de<strong>di</strong>cati, il numero dei visitatorisi è praticamente raddoppiato. Un trend <strong>di</strong> crescita che non si ferma e cheha portato la me<strong>di</strong>a annuale a circa 25-30mila visitatori, poco meno <strong>della</strong>metà dei quali rappresentato da studenti e insegnanti.1. Diffondere la conoscenza delle <strong>di</strong>verse opportunità turistico-culturali delterritorio.È qui importante ricordare il progetto europeo «La memoria delle Alpi.I sentieri <strong>della</strong> libertà». Affermatasi da tempo in alcuni Paesi europei -fra cui la Francia e, negli ultimi tempi, anche l’Italia - la tendenza a dar vi-285


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoceta a gran<strong>di</strong> progetti «ecomuseali» per valorizzare la memoria storica <strong>di</strong> unacomunità, legandola <strong>di</strong>rettamente al contesto ambientale territoriale e, inparticolare, a quei «luoghi <strong>della</strong> memoria» che hanno fatto da sfondo adavvenimenti significativi o che sono ancora in grado <strong>di</strong> evocare una situazioneo un particolare stato d’animo, è venuta maturando una nuova capacità<strong>di</strong> guardare al territorio e alle tracce del suo passato ed è nata unanuova concezione <strong>di</strong> comunicazione museale. L’«ecomuseo» è un museoall’aperto, <strong>di</strong>ffuso sul territorio, nel quale il contesto ambientale e il paesaggioconsueto (le vie e le piazze citta<strong>di</strong>ne, i sentieri <strong>di</strong> montagna e il paesaggio,i monumenti e gli e<strong>di</strong>fici) si trasformano sotto i nostri occhi nelteatro vivo <strong>della</strong> storia, rendendo manifesta l’infinita rete <strong>di</strong> collegamentiche unisce la realtà attuale a un passato più o meno recente.All’interno <strong>di</strong> questa tra<strong>di</strong>zione europea <strong>di</strong> «ecomusei», si è collocatoil progetto triennale La memoria delle Alpi, che il Consiglio Regionale delPiemonte, d’intesa con la Giunta Regionale e gli Assessorati alla Culturae all’Economia Montana, ha deciso <strong>di</strong> sviluppare in una cornice non solopiemontese, ma pluri-regionale e transfrontaliera, nell’ambito dei programmicomunitari «Interreg» Italia-Francia e Italia-Svizzera.Il progetto ha inteso realizzare una rete transfrontaliera <strong>di</strong> «ecomusei»e altre strutture museali (fra cui anche un museo «virtuale», accessibile attraversoun «portale» Internet), de<strong>di</strong>cate al territorio alpino (compreso fraItalia, Francia e Svizzera) e alla sua storia. In questo ambito la Casa <strong>della</strong>Resistenza, valorizzando le iniziative ecomuseali già realizzate o in corsod’opera in sede locale (ad esempio i sentieri montani de<strong>di</strong>cati ai partigianiChiovini e Beltrami) ha sviluppato nuovi percorsi tematici in una prospettivatransprovinciale e transfrontaliera con la vicina Svizzera. Si sonocosì in<strong>di</strong>viduati alcuni possibili percorsi relativi alla Repubblica partigianadell’Ossola; alla persecuzione razziale e alle vie <strong>di</strong> fuga verso la Svizzera<strong>di</strong> ebrei, militari, antifascisti, prigionieri alleati e profughi; al passaggiosulle sponde del Lago Maggiore <strong>di</strong> militanti europeisti e federalisti, poi rifugiatisiin Svizzera.Per la realizzazione <strong>di</strong> questi progetti, oltre al collegamento con i centri<strong>di</strong> ricerca e gli enti amministrativi <strong>della</strong> vicina Svizzera (Canton Ticinoe Vallese), sono stati coinvolti gli enti territoriali locali, gli apparati musealigià esistenti, come i musei partigiani <strong>di</strong> Ornavasso (che ha realizzato unasua guida), Domodossola (che ha ristrutturato la sua sala storica) Villadossola.In particolare, la Casa <strong>della</strong> Resistenza <strong>di</strong> Fondotoce si è posta come286


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotocecentro <strong>di</strong> raccordo <strong>di</strong> tutti i <strong>di</strong>versi percorsi ecomuseali in via <strong>di</strong> realizzazionenel territorio del Novarese e del VCO, trasformandosi in un centropoli-funzionale <strong>di</strong> accoglienza e in un centro multime<strong>di</strong>ale <strong>di</strong> documentazioneal servizio delle scuole, degli stu<strong>di</strong>osi e del turismo etico-culturale.Per meglio affrontare questa scelta è stato altresì presentato e sta per partireil progetto «Visitare la storia», accolto dalla Provincia del VCO e destinatoai serviziocivilisti, per la formazione <strong>di</strong> personale volontario da destinareal sostegno del turismo etico-civile.2. La pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> servizi culturali.Una delle più importanti realizzazioni in questo senso è stata la costruzionedel <strong>Centro</strong> storico multime<strong>di</strong>ale organizzato in servizi <strong>di</strong>versi qualila grande sala attrezzata per l’organizzazione <strong>di</strong> eventi culturali, la «galleria<strong>della</strong> memoria» e il «laboratorio <strong>di</strong>dattico».La «galleria <strong>della</strong> memoria» situata sul lato sinistro <strong>della</strong> Casa, sud<strong>di</strong>visain cinque «stanze» è de<strong>di</strong>cata alle vicende del rastrellamento del giugno1944 in Valgrande e all’ecci<strong>di</strong>o dei 42 partigiani del 20 giugno. Pensatacome un viaggio virtuale e multime<strong>di</strong>ale nella memoria e nella storia, la visitainizia <strong>di</strong> fronte ad una gigantografia <strong>della</strong> famosa immagine del corteodei «43» (come è noto uno <strong>di</strong> loro riuscì miracolosamente a salvarsi) sottoil cartello Sono questi i liberatori d’Italia oppure sono i ban<strong>di</strong>ti?. Fisicamente,dunque, il viaggio comincia entrando nell’immagine.La sala del Novecento: ci si ritrova in una stanza al buio accompagnatidalla voce <strong>di</strong> Carlo Suzzi, il sopravvissuto, che ricorda i momenti terribili<strong>della</strong> fucilazione. Poi un breve, intenso filmato sfida la nostra memoriapresentandoci il Novecento <strong>della</strong> violenza, delle guerre contro i civili, delprezzo pagato per la libertà.La sala del territorio e <strong>della</strong> storia: la luce <strong>della</strong> seconda stanza ci consentirà<strong>di</strong> decantare l’emozione e riprendere la riflessione. Gran<strong>di</strong> pannelliriportano, grazie a citazioni, poesie, ricostruzioni storiche e suggestioniletterarie, i temi essenziali riguardanti quel giugno del 1944. Una grandecarta geografica ci ricorda il territorio teatro degli eventi. Parole chiaveci spingono a volerne sapere <strong>di</strong> più. È la stanza <strong>della</strong> montagna, del nemico,delle stragi, dei deportati, delle donne, in una parola del contesto e deiprotagonisti. Due <strong>di</strong> loro, intanto, ci donano la loro testimonianzaLa sala del ricordo: nuovamente al buio nella terza stanza, là dove scorronogli occhi <strong>di</strong> alcuni degli uccisi, occhi che ci guardano e ci interrogano.287


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> FondotoceChi erano i 42 uccisi? Di molti <strong>di</strong> loro non sappiamo nemmeno il nome,<strong>di</strong> altri solo qualche breve annotazione su un documento ingiallito.La sala delle proiezioni: nella quarta stanza siamo accolti da una nicchia<strong>di</strong> proiezione e potremo sederci e soffermarci a guardare immagini dell’epocain bianco e nero, preziose e poco conosciute, oppure documentari,testimonianze... approfon<strong>di</strong>re la nostra conoscenza sul territorio e lasua storia.La sala <strong>della</strong> memoria: oltre la nicchia una nuova sala ci permette infinenuove ricerche, nuove risposte ai tanti interrogativi che la visita alla «galleria»ha naturalmente suscitato: in particolare ci offre uno sguardo sui luoghi<strong>della</strong> memoria che i territori del Verbano Cusio Ossola e del Novareseconservano e che <strong>di</strong>segnano la geografia <strong>della</strong> storia <strong>della</strong> resistenza.Proprio accanto alla «galleria <strong>della</strong> memoria» è stato allestito il «laboratorio<strong>di</strong>dattico». Attrezzato con do<strong>di</strong>ci notebook e collegato alla rete internae a internet, il laboratorio consente <strong>di</strong> svolgere lezioni e incontri, approfon<strong>di</strong>reargomenti, svolgere ricerche. Nel laboratorio è a <strong>di</strong>sposizione ancheuna piccola biblioteca <strong>di</strong>dattica e strumenti come lavagne, lavagne luminose,fotocopiatrice, ecc.Ma tra le realizzazioni <strong>di</strong> servizi culturali non vanno <strong>di</strong>menticate: leschede e le guide a <strong>di</strong>sposizione dei visitatori, le numerose pubblicazioni; ilperio<strong>di</strong>co «Nuova Resistenza Unita»; il sito web: www.casa<strong>della</strong>resistenza.it; gli opuscoli e le schede storiche a <strong>di</strong>sposizione dei visitatori, i DVD e iCd-rom tematici e d’approfon<strong>di</strong>mento pre<strong>di</strong>sposti e a <strong>di</strong>sposizione del laboratorio<strong>di</strong>dattico; le numerose mostre temporanee allestite.3. L’organizzazione <strong>di</strong> Convegni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o, seminari, lezioni, incontri, ecc.Impossibile citare i tanti, tantissimi momenti <strong>di</strong> incontro e <strong>di</strong> riflessioneculturale svolti nei <strong>di</strong>eci anni, grazie alla sala convegni, che opportunamenteattrezzata ha consentito <strong>di</strong> svolgere una costante attività <strong>di</strong> incontro,stu<strong>di</strong>o e promozione culturale.Vale forse la pensa <strong>di</strong> ricordare alcuni momenti particolarmente significativiquali le visite del Presidente <strong>della</strong> Repubblica, i congressi quali quellonazionale <strong>della</strong> Fiap o provinciali dell’Anpi e dell’Anei, i convegni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>oorganizzati soprattutto in occasione del giorno <strong>della</strong> memoria, del giornodel ricordo, degli anniversari del 20 giugno, dell’8 settembre e del 25 aprile,i concerti, le rappresentazioni teatrali; e poi ancora i corsi d’aggiornamentoper insegnanti e più in generale <strong>di</strong> formazione professionale nei più288


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotocesvariati campi <strong>della</strong> cultura, <strong>della</strong> ricerca e <strong>della</strong> <strong>di</strong>dattica <strong>della</strong> storia.4. La promozione <strong>di</strong> forme <strong>di</strong> gemellaggio e interscambio.Sono quattro i livelli <strong>di</strong> questa forma <strong>di</strong> interscambio.a) I rapporti con gli enti locali per i quali la Casa <strong>della</strong> Resistenza svolgeun intenso servizio <strong>di</strong> organizzazione e <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>namento <strong>di</strong> manifestazioni,iniziative, incontri, ecc.b) I collegamenti con gli altri «luoghi <strong>della</strong> memoria» locali, nazionalie internazionali, sia quelli contigui sparsi sul territorio provinciale (Ornavasso,Villadossola, Domodossola), sia con quelli piemontesi (Bene<strong>di</strong>cta,Colle del Lys, Museo <strong>di</strong>ffuso <strong>di</strong> Torino), sia anche con la rete che va costituendosiin tutta Italia.c) I rapporti con i <strong>di</strong>versi centri <strong>di</strong> ricerca locali e l’organico rapporto <strong>di</strong>lavoro con l’Istituto storico <strong>della</strong> Resistenza e <strong>della</strong> società contemporaneanel Novarese e nel VCO «P. Fornara»d) I progetti <strong>di</strong> interscambio con Enti e Associazioni su specifici temiquali quelli <strong>della</strong> pace e dell’educazione alla citta<strong>di</strong>nanza.In sostanza, le linee <strong>di</strong> in<strong>di</strong>rizzo e sviluppo in<strong>di</strong>cate dallo Statuto nonsolo sono state tutte rispettate, ma nel contempo la Casa <strong>della</strong> Resistenzaè riuscita a dar vita a un complesso <strong>di</strong> iniziative e realizzazioni che segnanoil suo futuro.Le linee <strong>di</strong> evoluzioneGli in<strong>di</strong>rizzi <strong>di</strong> sviluppo delle attività vanno, infatti, nel segno delcompletamento delle opere in cantiere, dei progetti presentati e delpotenziamento <strong>di</strong> tutti i settori <strong>di</strong> servizio.In particolare si segnalano per importanza le opere <strong>di</strong> risanamento delParco, che necessita <strong>di</strong> interventi <strong>di</strong> tutela ambientale e <strong>di</strong> manutenzionestraor<strong>di</strong>naria; il completamento delle strutture monumentali, con la posa<strong>di</strong> una stele de<strong>di</strong>cata al ruolo delle donne nella Resistenza; la realizzazionedello spazio-biblioteca ove accogliere e valorizzare il notevole fondo bibliograficocusto<strong>di</strong>to e in particolare quello depositato dalla Fiap; la ristrutturazionedello spazio per le mostre temporanee e la pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> unpiano <strong>di</strong> esposizioni tematiche; la definizione <strong>di</strong> un piano <strong>di</strong> comunicazionesui servizi offerti dalla Casa e dal territorio alla scuola e in generale al289


La «Casa <strong>della</strong> Resistenza» <strong>di</strong> Fondotoceturismo etico-civile; lo stu<strong>di</strong>o per l’organizzazione <strong>di</strong> un convegno internazionedei «luoghi <strong>della</strong> memoria» europei; la partecipazione a un nuovoprogetto interregionale de<strong>di</strong>cato sempre alla Memoria delle Alpi, ma declinatosui temi del lavoro e dell’emigrazione; la realizzazione <strong>di</strong> nuovi strumentia supporto dei visitatori (quali pubblicazioni, DVD, cd-rom tematici,ecc.); la pre<strong>di</strong>sposizione <strong>di</strong> un centro-informazioni al servizio del territorioe <strong>di</strong> promozione degli altri luoghi <strong>della</strong> memoria presenti.Associazione Casa <strong>della</strong> ResistenzaVia Turati 9 – 28924 Verbania FondotoceTel. 0323 58.68.02 - Fax 0323 58.66.49Sito web: http://www.casa<strong>della</strong>resistenza.it/e-mail: casa<strong>della</strong>resistenza@libero.it290


assegna bibliograficaIl mondo e gli uomini <strong>di</strong> Giustizia e Libertà nellaricostruzione <strong>di</strong> Mario Giovana<strong>di</strong> Andrea BeccaroNel volume uscito con la Bollati Boringhieri qualche mese fa Giustiziae Libertà in Italia. Storia <strong>di</strong> una cospirazione antifascista 1929-1937 MarioGiovana affronta il tema con piglio, decisione e precisione riguardo sia alleindagini sia alle fonti. Ne scaturisce così, nonostante il suo appunto introduttivosull’impossibilità <strong>di</strong> reperire materiale su determinati aspetti, momentie personaggi, un testo lungo, complesso, particolareggiato ma scorrevolee ricco <strong>di</strong> particolari. Il libro ripercorre la storia <strong>di</strong> GL dal 27 luglio1929 giorno in cui Rosselli, Lussu e Nitti riuscirono a fuggire dal confinosull’isola <strong>di</strong> Lipari giungendo a Parigi, fino al giugno-luglio 1937 quando,con la morte <strong>di</strong> Rosselli e i 37 arresti <strong>di</strong> Cremona, l’Ovra, la polizia segretadel regime, riuscì a stroncare l’ultimo gruppo organizzato in Italia. Traquesti due punti estremi il libro analizza, con dovizia <strong>di</strong> particolari, l’evolversi<strong>di</strong> GL e dei personaggi che a vario titolo ne facevano parte.Sono messi subito in rilievo i punti centrali che caratterizzarono la lotta<strong>di</strong> GL: la ripresa dell’antifascismo in modo frontale e deciso e le modalitàin cui questa lotta doveva essere condotta ovvero con un nuovo impulsoslegandosi dall’esperienza dell’Aventino, conducendo una battaglia serratasu base unitaria (abbandonando le <strong>di</strong>visioni partitiche e le pregiu<strong>di</strong>zialiideologiche). L’obiettivo non era solo <strong>di</strong> abbattere il regime ma <strong>di</strong> creareun’Italia democratica e <strong>di</strong> superare i vizi non risolti dal Risorgimento e dacui il fascismo aveva tratto linfa vitale. È così evidenziato un duplice problemache GL dovrà affrontare sino alla fine: quello con la Concentrazioneantifascista che alla volontà <strong>di</strong> agire <strong>di</strong> Rosselli e degli altri oppose un’attesaquasi letargica del crollo del regime. Come fu scritto sul primo numero<strong>di</strong> «Giustizia e libertà» l’unità d’azione deve basarsi sul trinomio <strong>di</strong> «libertà,repubblica e giustizia sociale». GL quin<strong>di</strong> appare fin da subito una nebulosapiuttosto che un movimento unitario, «uno spazio <strong>di</strong> libero intervento»in cui intellettuali delle più <strong>di</strong>verse estrazioni potevano <strong>di</strong>alogare e291


Andrea Beccarocollaborare senza però un capo <strong>di</strong>rigente. Ciò che li univa era la con<strong>di</strong>visione<strong>di</strong> una visione <strong>della</strong> politica come azione verso un’opzione etica. Questoaspetto, il più originale <strong>di</strong> GL, fu però uno dei problemi principali <strong>di</strong><strong>di</strong>visione al suo interno e permetterà alla polizia <strong>di</strong> infiltrarsi più facilmenteoltre a rendere più <strong>di</strong>fficile il lavoro dello storico <strong>di</strong> tracciare una mappaprecisa del movimento in Italia.Il libro dopo aver introdotto le linee guida <strong>di</strong> GL, le modalità <strong>della</strong> suanascita, i movimenti che la precedettero, come la Giovane Italia, inizia unpercorso puntuale per descrivere i <strong>di</strong>versi gruppi che hanno agito in Italiada Milano a Torino a Roma descrivendo le loro attività approfondendo lebiografie dei personaggi più importanti e facendo emergere anche le <strong>di</strong>fferenzesociali nella composizione dei <strong>di</strong>versi gruppi. Il tutto con<strong>di</strong>to dairapporti che sempre si avevano col gruppo degli esuli a Parigi e con le indagini<strong>della</strong> polizia. Si vengono così a delineare le <strong>di</strong>verse linee <strong>di</strong> pensierointerne a GL e le relative strategie. Infatti, risulta evidente come il gruppo<strong>di</strong> esuli a Parigi spingesse per azioni <strong>di</strong> propaganda con<strong>di</strong>te però da attiviolenti sul campo, mentre in generale i gruppi operanti sul territorio nazionalefurono più restii alla violenza sia perché più rischiosa e poco red<strong>di</strong>tizia,come <strong>di</strong>mostrarono i molteplici progetti <strong>di</strong> attentati mai portati atermine che il libro ricostruisce, sia perché, forse, si rendono conto dell’esiguitàdel movimento. Questa spaccatura risulta evidente dall’analisi cheGiovana conduce sulle due e<strong>di</strong>zioni dei «Consigli sulla Tattica» che nellaprima, per opera <strong>di</strong> Rossi e Salvemini, in<strong>di</strong>cavano due piani <strong>di</strong> azione: unaresistenza passiva che poteva essere condotta dalla moltitu<strong>di</strong>ne e una attivaper pochi. L’azione quin<strong>di</strong> appariva più frutto <strong>di</strong> impegno meto<strong>di</strong>co equoti<strong>di</strong>ano che <strong>di</strong> attentati. Nella seconda e<strong>di</strong>zione, rivista da Parigi, si delineauna struttura più paramilitare in preparazione <strong>di</strong> un’insurrezione. Unaltro elemento <strong>di</strong> <strong>di</strong>versità che appare subito evidente è la maggiore attenzioneposta all’Italia da parte <strong>di</strong> chi operava sul territorio nazionale rispettoall’accento più internazionalista degli esuli.Si passa così dall’analisi del gruppo <strong>di</strong> Milano <strong>di</strong> Bauer e Rossi il più attivonel primo periodo <strong>di</strong> GL, tramite cui si riesce a far circolare in Italiaun gran numero <strong>di</strong> pubblicazioni. Per poi analizzare quello <strong>di</strong> Torino piùinfluenzato dalle idee <strong>di</strong> Gobetti e Gramsci e quin<strong>di</strong> più vicino a posizionisocialiste e al mondo <strong>della</strong> fabbrica da cui invece il gruppo <strong>di</strong> Milano,in special modo Rossi, si erano tenuti alla larga sposando idee più liberaldemocratiche.Dopo gli arresti dell’ottobre 1930 Torino <strong>di</strong>venta il centro292


Il mondo e gli uomini <strong>di</strong> Giustizia e Libertà nella ricostruzione <strong>di</strong> Mario Giovanapropulsivo del movimento in Italia con molti più giovani rispetto a Milanoe con la pubblicazione «Voci d’Officina» che ben rappresenta i motiviprofon<strong>di</strong> e la piattaforma su cui questi personaggi si muovevano. Centralida questo punto <strong>di</strong> vista sono le figure <strong>di</strong> Levi, Garosci (i cui testi sonoampiamente utilizzati dall’autore per ricostruire l’intera vicenda <strong>di</strong> GL) eGinzburg solo per citarne alcuni. Queste tendenze portarono GL ad alcunespaccature interne e a contrasti con il PCI che non gradì l’intromissionenelle fabbriche. Ciò non toglie, come nota Giovana, che tra i due esistesseuna collaborazione più forte che in altre città.Questi primi gruppi furono però colpiti duramente dagli arresti effettuatigrazie a <strong>di</strong>verse spie (precisissima la ricostruzione del lavoro <strong>di</strong> spionaggiocondotto da <strong>Del</strong> Re che stroncò GL a Milano) che riescono ad infiltrarsifacilmente non solo grazie alla loro abilità, ma anche alla poca attenzioneche i <strong>di</strong>versi affiliati prestavano alle indagini sul passato dei nuoviarrivati, alla fiducia spesso troppo precipitosa concessa a questi personaggi.La continua preparazione <strong>di</strong> attentati e l’affidarli a persone <strong>di</strong> dubbia capacitàe fedeltà fu certo un punto debole <strong>di</strong> GL e <strong>di</strong> Rosselli in particolarema, come nota l’autore, deriva dalla forte volontà <strong>di</strong> agire che accomunatutti i membri. Il libro alterna così puntuali ricostruzioni delle idee e deimeto<strong>di</strong> dei singoli gruppi e personaggi alle vicende investigative dell’Ovrae ai successivi processi sfruttando la lettura dei rapporti dei questori, dellespie, delle sentenze e degli interrogatori.Dal 1931-32 l’Ovra stringe ancor <strong>di</strong> più i suoi tentacoli intorno all’organizzazionee non permette a GL <strong>di</strong> svilupparsi sul territorio, fu così troncatoil tentativo <strong>di</strong> Chiaromonte a Roma, aumentarono le infiltrazioni inItalia ma anche a Parigi dove la spia O<strong>di</strong>n fu un uomo <strong>di</strong> fiducia <strong>di</strong> Rosselli.Così che gli arresti si susseguirono decapitando i <strong>di</strong>versi gruppi e rendendosempre più <strong>di</strong>fficile la propaganda e la <strong>di</strong>ffusione <strong>di</strong> materiale. L’autorenon lesina pagine sulla descrizione dei meto<strong>di</strong> dell’OVRA e sull’ampiezzadelle infiltrazioni, ne scaturisce così un quadro dettagliato da cuiperò emergono ancora centri propulsivi <strong>di</strong> GL come Torino che solo unennesimo giro <strong>di</strong> vite <strong>della</strong> polizia, dovuto all’avvicinarsi dell’avventura imperialein Etiopia, decapiterà quasi definitivamente.Con la retata del maggio 1935 GL fu colpita a morte, ma Giovana ponel’accento sul fatto che la colpa non sia solo da attribuirsi all’attività investigativa<strong>della</strong> polizia ma anche alle troppe spaccature interne ormai insanabiliche portarono anche all’ad<strong>di</strong>o <strong>di</strong> Lussu. Un punto che <strong>di</strong>stanzia il293


Andrea Beccarolibro <strong>di</strong> Giovana dalla storiografia ufficiale <strong>di</strong> GL è quello relativo alla cronologiapoiché con questa serie <strong>di</strong> arresti normalmente si riteneva conclusal’esperienza <strong>di</strong> GL, ma l’autore nota come in realtà ci siano ancora almenotre gruppi attivi dopo il 1935 uno legato a Bertolini; un altro a Scala,che riprende contatti con vecchi collaboratori <strong>di</strong> «Voci d’Officina», e infinel’ultimo a cadere nel luglio del 1937 a Cremona.Il libro si presenta estremamente complesso e puntuale nelle sue ricostruzionibasate su fonti numerose e varie (da libri, alle riviste dell’epocaper finire con i rapporti <strong>di</strong> polizia). Riesce così a creare un quadro precisodelle vicende, <strong>della</strong> filosofia politica che ha animato sia GL sia i singoli personaggiche si incontrano nelle pagine. Ne scaturisce un’immagine complessae variegata del mondo <strong>di</strong> GL così come un atlante <strong>di</strong> personaggi centrali<strong>della</strong> cultura italiana anche negli anni a venire.294


Giovanni Pesce, garibal<strong>di</strong>no in Spagna<strong>di</strong> Franco GiannantoniSono rimasti in due dei quasi 5 mila volontari che a partire dal 1936 lasciaronol’Italia o i paesi nei quali erano emigrati, spinti dalla fame e dalla<strong>di</strong>ttatura fascista, per <strong>di</strong>fendere la fragile repubblica spagnola aggre<strong>di</strong>tadall’alzamiento dei generali tra<strong>di</strong>tori. Uno dei due è Giovanni Pesce, allora<strong>di</strong>ciottenne. L’altro è Vincenzo Tonelli, più anziano <strong>di</strong> un paio d’anni, chevive a Tolosa, il rifugio obbligato dopo le asprezze resistenziali nella sua terrafriulana. Entrambi comunisti, due dell’esercito dei 1.819 comunisti cherischiarono ogni giorno la loro vita fra Madrid e l’Ebro.Essezeta-Arterigere, una piccola casa e<strong>di</strong>trice varesina, impegnata nella<strong>di</strong>fesa <strong>della</strong> memoria storica, ha ristampato nel 70° anniversario <strong>della</strong> guerracivile 1936-1939, ad oltre mezzo secolo dalla prima e<strong>di</strong>zione per i tipidegli E<strong>di</strong>tori Riuniti (agosto 1955), l’ormai introvabile Un garibal<strong>di</strong>no inSpagna riproponendo tale e quale il racconto che Pesce fece <strong>di</strong> quella epicapagina <strong>di</strong> sacrifici e <strong>di</strong> lotta. In tempi come questi <strong>di</strong> revisionismo incalzanteè stata opera meritoria e saggia.Il libro trabocca, datato qual’è, <strong>di</strong> passione e <strong>di</strong> speranza. Non potevaessere altrimenti. <strong>Del</strong> resto quella era la stagione attraversata da alti ideali edalla voglia <strong>di</strong> cambiare il mondo. Contiene pagine <strong>di</strong> una <strong>di</strong>sarmante ingenuitàpolitica eppure avvince ancora per la sua freschezza, testimoniandola ragione per cui uomini e donne <strong>di</strong> <strong>di</strong>verso censo, cultura, fede politica ereligiosa accorsero agli appelli lanciati da ogni parte del mondo per battersicontro quel mostro reazionario che <strong>di</strong> lì a poco avrebbe assalito l’Europatrasformando la Spagna, come ebbe a commentare il filosofo liberale Miguelde Unamuno, «in uno stupido regime <strong>di</strong> terrore».Giovanni Pesce ha la Spagna nel cuore, è la sua patria <strong>di</strong> riferimento.Questo malgrado sia vissuto dalla prima infanzia in Francia, alla Grand’Combe, un borgo delle Cevennes minerarie, con il padre piemontese, socialista,minatore, la madre veneta, cattolica, casalinga, avvicinati dal desti-295


Franco Giannantonino <strong>della</strong> prima guerra mon<strong>di</strong>ale, un pezzetto se si vuole <strong>di</strong> Italia post-giolittianache la miseria e la persecuzione politica avevano spinto al <strong>di</strong> là delleAlpi, quell’Italia che Giovanni Pesce avrebbe conosciuto solo nella maturagiovinezza attraversando da «eroe nazionale» e da medaglia d’oro al valormilitare la stagione <strong>della</strong> Resistenza alla testa dei Gap (i Gruppi d’azionepatriottica) a Torino e Milano. Ma la Spagna per Pesce viene per prima,in quella storia avverte ancora malgrado gli anni trascorsi solidarietà e fratellanza.Lì conosce coi propri occhi «quel fiume <strong>di</strong> gente che arrivava daogni angolo <strong>della</strong> terra dopo aver abbandonato casa, lavoro, famiglia peraffrontare a viso aperto ogni giorno la morte». Lì conosce paradossalmenteil suo Paese, nelle pause <strong>di</strong> guerra stu<strong>di</strong>a la lingua madre, il Risorgimento,il fascismo. Suoi maestri sono gli antifascisti italiani, gente umile che comelui hanno contribuito «a fare l’Italia».La testimonianza incalzante delle sue gesta, poco più che un ragazzo,mantiene, malgrado gli anni trascorsi, una forte <strong>di</strong>gnità: afferma come perla libertà si possa mettere in gioco la propria esistenza, senza con<strong>di</strong>zioni,in circostanze estreme come furono quelle, in un Paese e per un Paese straniero.Uomo d’azione e non <strong>di</strong> pensiero, un livello <strong>di</strong> istruzione modesto,con candore <strong>di</strong>sarmante ripercorre una per una le tappe <strong>della</strong> sua militanzacon lo stesso entusiasmo e la stessa nettezza morale che gli fecero prenderela decisione <strong>di</strong> lasciare la Francia dove era giunto a 6 anni nel 1924, dovea 14 anni per la prima volta era sceso, ribattezzato Jeanu, «appren<strong>di</strong>sta minatore»nelle viscere <strong>della</strong> terra con tanto <strong>di</strong> tessera <strong>della</strong> Jeunesse Communistee dove maturò il seme <strong>della</strong> coscienza <strong>di</strong> classe, la certezza che la solastrada fosse quella <strong>di</strong> unirsi a chi si stava misurando con un ostacolo al <strong>di</strong> làdel quale c’erano giustizia e libertà. «Capii in quel momento - scrive infattiPesce - che non era sufficiente quello che noi minatori stavamo facendo:raccogliere denaro, me<strong>di</strong>cinali, indumenti, coperte per i repubblicani spagnoli.Era necessario impugnare le armi, combattere. Non era più il tempo<strong>di</strong> indugiare». Con parole semplici Pesce descrive le tappe <strong>della</strong> sua sceltainterventista, un cammino irto <strong>di</strong> ostacoli, segnato dall’incertezza dell’età,dalle pene <strong>della</strong> famiglia alla prese con un magro bilancio finanziario, dallepressioni sui responsabili <strong>della</strong> Bourse du Travail per fare accettare la suaadesione al «grande viaggio» al <strong>di</strong> là dei Pirenei. È uno degli squarci piùcommuoventi del libro. La figura dominante nel microcosmo de la Grand’Combeperennemente avvolta nei fumi neri <strong>della</strong> miniera è Paul Artigues,segretario <strong>della</strong> locale sezione comunista. Il Fronte popolare aveva296


Giovanni Pesce, garibal<strong>di</strong>no in Spagnavinto in quei giorni le elezioni politiche. Spirava in Francia un’aria <strong>di</strong> rivoluzione.«Artigues - scrive Pesce - faceva appello a tutti i democratici perchési sviluppasse un’opera <strong>di</strong> solidarietà e metteva in luce come solo l’Urssnon avesse abbandonato il popolo spagnolo nella lotta. Inoltre denunciavala politica francese <strong>di</strong> Léon Blum che metteva sullo stesso piano le vittimedell’aggressione ed i ribelli». Era l’ottobre del 1936. In Spagna la lotta eragià iniziata da oltre due mesi, a luglio le vittime su entrambi i fronti nellacinta <strong>di</strong> Madrid si contavano già oltre le 100 mila.Il giovane Pesce va a Parigi, raccoglie dall’oratoria travolgente <strong>di</strong> DoloresIbarruri «la Pasionaria» l’invito <strong>di</strong> arruolarsi nelle brigate Internazionali,ascolta i comizi <strong>di</strong> Thorez, Duclos, Cachin, i padri del comunismofrancese, riflette sugli appelli <strong>di</strong> Nenni, Pacciar<strong>di</strong>, Amendola, Carlo e NelloRosselli riuniti nel Comitato unitario antifascista italiano perché fossecostituito un battaglione <strong>di</strong> volontari nel nome <strong>di</strong> Garibal<strong>di</strong>. A Barcellonaerano già presenti il comunista Nino Nannetti, l’anarchico Camillo Berberi,il repubblicano Mario Angeloni, Francesco Leone, un altro comunistache aveva costituito la seconda colonna Gastone Sozzi.«Des canons et des avions pour l’Espagne» è la parola d’or<strong>di</strong>ne che correper ogni città. Quando Pesce torna alla Grand’Combe la decisione <strong>di</strong> partireper la Spagna è matura, contrabbandata alla madre (il padre Riccardosi era trasferito in Marocco per cercare <strong>di</strong> migliorare il salario) come unascappatella d’amore. È il 17 novembre 1936. Il viaggio da Alés a Perpignanoè in treno in compagnia <strong>di</strong> Carlo Pegolo, un altro giovane minatore italiano.Alla frontiera Pesce manifestamente «troppo un ragazzo» viene respintodalle guar<strong>di</strong>e spagnole. L’impresa riesce ad un secondo tentativo, ilvolto alterato da una manciata <strong>di</strong> carbone e i documenti falsificati. Poi iltrasferimento a Figueras, l’incontro con Luigi Longo, Leo Valiani, GiuseppeDi Vittorio e il coor<strong>di</strong>natore delle brigate internazionali Andrè Marty,quin<strong>di</strong>, tra il tripu<strong>di</strong>o <strong>della</strong> popolazione, l’arrivo ad Albacete, sede dell’addestramentomilitare e <strong>della</strong> preparazione politica <strong>di</strong> Antonio Roasio e <strong>di</strong>Felice Platone e luogo <strong>di</strong> nascita del battaglione Garibal<strong>di</strong>. Pesce che nonha avuto in vita sua in mano un’arma comincia a sparare, a marciare, a scavalcaregli ostacoli, a scavare trincee, a leggere le carte topografiche. L’imberbegiovanotto <strong>di</strong>venta un soldato. È a contatto con altri italiani, operaiin prevalenza, ma anche insegnanti, me<strong>di</strong>ci, avvocati, commercianti, artigiani,studenti, vecchi militanti usciti dalle carceri fasciste o reduci dal confino.L’ora del fronte batte alle porte. Il libro non nasconde niente. Pesce297


Franco Giannantoniha un ricordo incancellabile <strong>di</strong> quella prima parentesi <strong>di</strong> guerra, è la «cifra»in<strong>di</strong>cativa <strong>di</strong> quell’esperienza, uno dei più barbari massacri <strong>della</strong> storiamoderna e, nello stesso tempo, anche qualcosa <strong>di</strong> mitico fissato nella memoriadei democratici <strong>di</strong> tutto il mondo, «l’illusione lirica» per Malraux,«la guerra dei prati» per Bertoldt Brecht, «la romantica morte» nei versi <strong>di</strong>Wystan Hugh Auden. È la trage<strong>di</strong>a che scuote il giovane Pesce, quella vissutada Pietro Jacchia, 52 anni, cattedra universitaria a Trieste, fondatoredel partito fascista <strong>della</strong> sua città, sansepolcrista che, deluso dalla politicadel duce, va in Spagna, fa parte <strong>della</strong> Colonna italiana, entra nel battaglioneGaribal<strong>di</strong>, corre in prima linea, combatte e cade a Majadahonda. Unameteora, un esempio illuminante <strong>della</strong> metamorfosi <strong>di</strong> un intellettuale attraversoil regime sino al sacrificio finale.Sono trascorsi quattro mesi da quando Ra<strong>di</strong>o Ceuta l’emittente dei nazionalistiha lanciato il messaggio fatale «Cielo sereno su tutta la Spagna»che Giovanni Pesce debutta in battaglia, vestito come era il giorno <strong>della</strong>partenza dalla Francia senza neppure il fucile, in attesa <strong>di</strong> poterlo ottenereda un compagno che fosse caduto. Avvenne così a Boa<strong>di</strong>lla del Monte il 17<strong>di</strong>cembre. Uno scontro imponente per contenere l’accerchiamento <strong>di</strong> Madridda parte delle truppe <strong>di</strong> Franco che aveva preferito evitare lo scontrofrontale. Così per Pesce giorno dopo giorno, a Casa del Campo, alla CiudadUniversitaria, a Cerro de los Angeles, a Mirabueno, a Pozuelo de Alarcon.Battaglie dopo battaglie al grido <strong>di</strong> «no pasaran», i corpi dei compagnisul terreno abbandonati, molti morenti ma anche la scoperta <strong>di</strong> un concettoancora sfumato, quello <strong>di</strong> «patria». «Seppi nel modo più vero che ero unitaliano - racconta Pesce - perché se in Spagna si combatteva per la libertà<strong>di</strong> quel Paese questo valeva anche per l’Italia. Oggi in Spagna, domani inItalia, era stato l’appello <strong>di</strong> Carlo Rosselli».L’11 febbraio il fronte cambiò. L’attacco a Madrid avrebbe potuto veniredalle dolci insenature del fiume Jarama per potere serrare la città inuna morsa a tenaglia. Pesce è alla mitraglia come è ritratto in una rarissimafoto, l’ultimo a destra <strong>di</strong> una fila <strong>di</strong> cinque. Ha accanto Domenico Tomat,un friulano, capo partigiano, qualche anno dopo, <strong>della</strong> Resistenza italianacome sarà per molti che hanno combattuto in Spagna. Pesce e Tomat spazzanocon il loro fuoco dal centro <strong>della</strong> strada i mori del Tiercio, le truppescelte d’Oltremare <strong>di</strong> Francisco Franco. Il racconto ha cadenze romanzesche:«Il nemico martella le nostre posizioni, ci mitraglia, ci bombarda dall’alto.Tutta attorno la terra trema sotto l’urto delle esplosioni, la cavalle-298


Giovanni Pesce, garibal<strong>di</strong>no in Spagnaria che viene all’assalto tenta con una manovra avvolgente <strong>di</strong> prenderci allespalle, spostiamo le mitraglie verso il nemico, non c’è tempo <strong>di</strong> calcolarele <strong>di</strong>stanze, si preme il grilletto e molti cavalli stramazzano calciandoancora nell’aria».Venne nel marzo del 1937 il tempo <strong>di</strong> Guadalajara, il momento più altodell’antifascismo italiano, per la prima volta italiani contro italiani, antifascistie uomini <strong>di</strong> Mussolini. Pesce c’era. L’obiettivo franchista era sempreMadrid prima ripetutamente mancato. I fascisti, 35 mila uomini delle <strong>di</strong>visioniLittorio, Dio lo vuole, Penne Nere e Fiamme Nere erano al comandodel generale Mario Roatta, il futuro macellaio dei Balcani e il mancato<strong>di</strong>fensore <strong>di</strong> Roma l’8 settembre. Nella piana battuta dal vento e investitada una pioggia gelida, Ilio Barontini, che a Torino sarà istruttore militaredei Gap <strong>di</strong> Pesce, guidava la Garibal<strong>di</strong>. Scrive Pesce: «Barontini suggerisce,consiglia, porta ovunque la sua preziosa esperienza. Si rende perfettamenteconto che l’esercito fascista ha una grande superiorità in uomini ein armi. La <strong>di</strong>sposizione del battaglione e la scelta <strong>della</strong> linea <strong>di</strong> <strong>di</strong>fesa sonoquin<strong>di</strong> <strong>di</strong> capitale importanza». Sarà questa la tattica giusta che, unitaall’attività <strong>di</strong> propaganda <strong>di</strong> Teresa Noce, Giuliano Pajetta, Vittorio Vidali,Giacomo Calandrone, attraverso i megafoni <strong>di</strong> Altavox del Frente per invitarei soldati fascisti alla resa, darà buoni risultati. «Per <strong>di</strong>eci giorni dall’8marzo combattemmo nell’acqua e nel fango - è il ricordo <strong>di</strong> Pesce - eppurequella battaglia ebbe un effetto estremamente positivo. Fu come un ricostituentepolitico. La vittoria <strong>di</strong> Guadalajara permise ai gruppi antifascisticlandestini che erano in Italia <strong>di</strong> ritrovare lo slancio ideale per organizzarsinel partito comunista».La prima ferita Giovanni Pesce la subisce a Brunete conquistata nel lugliodel 1937 e poi perduta. Una pallottola trapassante alla gamba sinistra,il trasferimento all’ospedale, la rapida guarigione, il rientro nella neo-costituitabrigata Garibal<strong>di</strong> a Buccaraloz. Pesce funge da <strong>di</strong>ligente notaio, registranel libro e commenta i fatti <strong>di</strong> cui è testimone, evitando <strong>di</strong> affrontarele gran<strong>di</strong> questioni che accompagnano il conflitto e che forse ignora, le decisioniprese dai governi europei, l’ammassarsi dei quadri polizieschi inviatida Stalin, le mattanze contro gli anarchici, il rifiuto <strong>di</strong> Francia e Inghilterra<strong>di</strong> offrire un aiuto, le esecuzioni sommarie dei «controrivoluzionari»e dei «nemici del popolo».La seconda ferita, la più grave, è rime<strong>di</strong>ata a Farlete sul fronte <strong>di</strong> Saragozza.È l’agosto del 1937. Pesce è raggiunto da una rosa <strong>di</strong> schegge alla299


Franco Giannantonischiena che ancora oggi lo affligge e le cui tracce sulle carni mostrerà sul finiredegli anni novanta all’esterrefatto console generale <strong>di</strong> Spagna a Milanoche pretendeva da lui un segno <strong>di</strong> partecipazione concreta a quella guerracivile per potergli attribuire la citta<strong>di</strong>nanza onoraria. Dopo il ricovero negliospedaletti da campo <strong>di</strong> Lerida e <strong>di</strong> Benicassim, il rientro in trincea. Ancorabattaglie, compagni caduti, prigionieri, scomparsi. Lunghi mesi mentrele sorti <strong>della</strong> guerra volgevano al peggio. L’interminabile sanguinosa campagnadell’Ebro dal luglio al settembre del 1938 fu l’anticamera <strong>della</strong> finee per Pesce l’appuntamento con la terza ferita. «Quando abbiamo attraversatol’Ebro - racconta - le colline non erano brune <strong>di</strong> erba forte, i mandorlinon recavano i frutti duri da raccogliere, gli ulivi non erano gran<strong>di</strong>: si combattevada più <strong>di</strong> quaranta giorni e la guerra aveva cambiato tutto, i proiettilidei cannoni e le bombe degli aerei avevano sconvolto le colline, mozzatigli alberi, bruciato i prati. Solo il fiume restava immutato, l’acqua scorrevaancora lenta verso il sud». L’uscita <strong>di</strong> scena delle brigate internazionali perdecisione del governo repubblicano e la retirada verso l’esilio francese dopola orgogliosa sfilata repubblicana del 28 ottobre 1938 lungo la Diagonal <strong>di</strong>Barcellona dei combattenti e <strong>di</strong> migliaia <strong>di</strong> civili, costituirono l’ultimo atto.Fu, malgrado il peso <strong>della</strong> ferita morale, un commiato festoso, la follagettò fiori sulla sfilata <strong>di</strong> quegli uomini laceri ma orgogliosi. Parlarono LuigiLongo, il segretario del partito comunista spagnolo Josè Diaz, la Ibarruri.Le parole <strong>della</strong> donna-simbolo <strong>della</strong> guerra civile restano incancellabili:«Ragioni politiche, ragioni <strong>di</strong> Stato, l’interesse <strong>di</strong> quella stessa causa per laquale avete generosamente offerto il vostro sangue, vi costringono a tornare,alcuni in patria, altri in un esilio forzato. Potete partire a testa alta. Voisiete la storia, la leggenda, siete l’esempio eroico <strong>della</strong> solidarietà e dell’universalità<strong>della</strong> democrazia».Barcellona, terminate le celebrazioni, fu bombardata giorno e notte dall’aviazionenazifascista. Cadde il 26 gennaio 1939. Giovanni Pesce, rientratoalla Grand’Combe, evitando i campi <strong>di</strong> concentramento del Vernetin virtù <strong>della</strong> citta<strong>di</strong>nanza francese, riprese il suo lavoro <strong>di</strong> minatore. Il 10marzo 1940, con la Francia occupata dai tedeschi, memore <strong>di</strong> un vecchiosuggerimento <strong>di</strong> Edoardo D’Onofrio, <strong>di</strong>rigente dell’Ufficio quadri <strong>della</strong>delegazione delle brigate internazionali, partì per l’Italia che non aveva maivisto se non con gli occhi <strong>di</strong> un bimbo se<strong>di</strong>ci anni prima. Avrebbe potutofare opera <strong>di</strong> proselitismo, <strong>di</strong>ffondere il verbo comunista fra i giovani commilitoni<strong>di</strong> leva. Fu invece arrestato, condannato, spe<strong>di</strong>to a Ventotene dove300


Giovanni Pesce, garibal<strong>di</strong>no in Spagnaebbe il privilegio, primo fra tutti, <strong>di</strong> raccontare all’universo concentrazionarioantifascista l’avventura <strong>di</strong> Spagna. Aveva 22 anni. Il confino terminòil 23 agosto 1943 appena in tempo per non cadere preda dei tedeschi.Ma la libertà durò pochissimo. Giunto a Visone, il paese natale, nei pressi<strong>di</strong> Acqui Terme, ci fu l’armistizio. Giovanni Pesce, venticinquenne, dovetteriprendere le armi per conquistare, questa volta all’Italia, la libertà.301


Le schedeMIRELLA SERRI, I redenti. Gli intellettualiche vissero due volte. 1938-1948, Corbaccio, Milano 2005,pp. 371Si può parlare del libro <strong>di</strong> MirellaSerri come <strong>di</strong> un vero caso e<strong>di</strong>torialeper la quantità <strong>di</strong> apprezzamentie critiche raccolti. La ragione <strong>di</strong>questo interesse del mondo intellettualecontemporaneo, <strong>della</strong> critica edel pubblico verso l’opera <strong>della</strong> Serriè da ricercarsi prima <strong>di</strong> tutto nellaparticolarità dell’argomento trattato:prendendo in analisi circa undecennio <strong>della</strong> vita del nostro Paese,ovvero gli anni tra il 1939 e il1947, con dovizia <strong>di</strong> particolari ecitazioni Mirella Serri narra le contrastatebiografie e la vicenda politicadei numerosi intellettuali, scrittori,registi ed artisti che in questodrammatico e luttuoso periodo <strong>della</strong>storia italiana passarono da posizionirisolutamente fasciste a unaconvinta militanza antifascista spessoconclusasi con l’inserimento nellefile del Partito comunista.Complici gli eventi bellici e il crollodel Regime, infatti, ben prestoil velo dell’oblio venne steso sullevicende <strong>di</strong> personaggi come GiulioCarlo Argan, Carlo Muscetta,Renato Guttuso, Carlo Moran<strong>di</strong>,Giaime Pintor, Paolo Sylos Labini,Roberto Rossellini, ovvero gli esponenti<strong>di</strong> altissimo rilievo <strong>di</strong> quellache era stata (o sarebbe dovuta essere)l’élite cui Mussolini voleva affidarela guida intellettuale del fascismo.Mirella Serri, pur non essendo laprima a trattare puntigliosamentegli argomenti in questione, haavuto l’onore e l’onere <strong>di</strong> riportarenuova luce su questa pagina <strong>della</strong>storia d’Italia. Inevitabile quin<strong>di</strong>che i contenuti del lavoro sollevasserostrali o assensi da parte <strong>di</strong> coloroche, in campi contrapposti, ritengonoche la giornalista abbia attuatouna mistificazione del passatostorico oppure abbia avuto il merito<strong>di</strong> portare in superficie la veritàdei fatti.Più che entrare nel dettaglio <strong>della</strong>struttura e delle citazioni del libro,è particolarmente interessan-303


Le schedete, ai fini dell’analisi bibliografica,osservare l’evoluzione del <strong>di</strong>battitosul volume. Il primo contributo intal senso risale all’inizio <strong>di</strong> settembre2005, pochissimo tempo dopola pubblicazione del libro, quandoAurelio Lepre, nell’interventosul «Corriere <strong>della</strong> Sera» che hadato il via allo scambio <strong>di</strong> opinionitra importanti intellettuali contemporanei,interpretando i fatti citatida Mirella Serri ha rilevato chela vicenda dei «redenti» è stata originatadal naturale bisogno <strong>di</strong> obliodopo la catastrofe <strong>della</strong> guerra, unoblio, come ha osservato il docentenapoletano, durato tuttavia troppoa lungo. Due giorni dopo, il 15 settembre,e sempre dalle pagine delquoti<strong>di</strong>ano <strong>di</strong> via Solferino, LucianoCanfora ha invece rilevato comeil passaggio nel campo avverso fuagevolato dall’atteggiamento dellostesso Togliatti, conscio <strong>di</strong> quantofosse importante il più ampio consensodegli intellettuali per la costruzione<strong>di</strong> un’egemonia del Pci.Ma per <strong>di</strong>mostrare ancor più la tesisecondo la quale non è possibile,a nostro parere, delineare un profilounivoco sui contenuti dell’opera<strong>di</strong> Mirella Serri, ci paiono degne <strong>di</strong>citazione anche le opinioni espresseda Giovanni Belardelli e DuccioTrombadori.Il primo dei due, nel commentareil volume <strong>di</strong> Mirella Serri ha chiamatoin causa il caso emblematicodello storico e filosofo <strong>Del</strong>io Cantimori,il quale considerava fascismoe comunismo come salutari espressionidelle forze nuove che si contrapponevanoal deca<strong>di</strong>mento borghese.<strong>Del</strong> secondo, invece, dallecolonne de «Il Giornale», è uscitoun articolo sul libro in questionecosì titolato: Le inquietu<strong>di</strong>ni <strong>di</strong> Primatoe i pregiu<strong>di</strong>zi <strong>di</strong> Mirella Serri,nel quale spiega come la rivista <strong>di</strong>Bottai non fu «una corazzata <strong>della</strong>cultura fascista», ma l’espressionedegli intellettuali allora più vivaci.Un <strong>di</strong>battito, questo, nel quale si èpoi inserito anche il contributo <strong>di</strong>Pierluigi Battista e <strong>di</strong> altri e che <strong>di</strong>ventaancor più rilevante se si considerache non tutti gli intellettualidei quali si occupa la Serri uscivanodall’esperienza <strong>della</strong> rivista «Il Primato».Altri avevano collaboratocon altre riviste, all’epoca dei fatti<strong>di</strong> importanza non secondaria, come«Roma fascista», «Nuovo Occidente»e «Gioventù Italica».In conclusione ci preme dunque<strong>di</strong>re che la lettura del volume <strong>di</strong>Mirella Serri è stimolante per chioggi voglia avvicinarsi allo stu<strong>di</strong>odelle vicende umane e politiche <strong>di</strong>questo periodo <strong>della</strong> storia italianadel Novecento, anche se dobbiamoconstatare tuttavia che, pur essendopassato un cinquantennio daglieventi in questione, si è ancora lon-304


Le schedetani dall’avere unanimità <strong>di</strong> vedutenella «classificazione» dei tanti chealternativamente vengono definiti«<strong>di</strong>ssimulatori onesti», cioè intellettualiantifascisti che svolgevanola loro professione in riviste fascistesenza abiurare la propria fede politica,oppure semplici «voltagabbana»mossi dall’opportunità politica,oppure ancora «intellettuali che visserodue volte», come nel libro inquestione (Matteo Vecchia).FRANCESCO CASSATA, Molti sani eforti. L’eugenetica in Italia, BollatiBoringhieri, Torino 2006, pp. 385Al 1883 risale il termine eugenics,coniato da Francis Galton, cugino<strong>di</strong> Charles Darwin. Con questotermine si connotava «la scienzadel miglioramento del materialeumano» attraverso «lo stu<strong>di</strong>o degliagenti socialmente controllabiliche possono migliorare o deteriorarele qualità razziali delle generazionifuture, sia fisicamente che mentalmente».Il termine, tradotto correttamentein italiano in eugenica,rispondeva sia alle esigenze biopolitichedel capitalismo in trasformazione,sia alla vocazione alla gestionetecnocratica <strong>della</strong> popolazione,figlia dell’idea progressista <strong>della</strong> storiae del selezionismo darwinista.Diffusasi prima nell’area anglo-sassonee successivamente in quella tedesco-scan<strong>di</strong>nava,l’idea del miglioramento<strong>della</strong> popolazione basatosulla regolamentazione del processoriproduttivo, si concretizza in unmovimento scientifico <strong>di</strong> vasta portatache interessa anche i paesi «latini»<strong>di</strong> religione cattolica, assumendocaratteristiche significativamente<strong>di</strong>fferenti. La qualifica dell’eugenicacome «pseudo-scienza» prima,come scienza essenzialmente reazionaria<strong>di</strong> matrice razzista poi, nonesaurisce la complessità <strong>di</strong> un <strong>di</strong>battitoche ha coinvolto parecchiegenerazioni <strong>di</strong> scienziati e <strong>di</strong> politicie si è <strong>di</strong>ffuso in tutto l’Occidente,lasciando aperto il campo anchea declinazioni <strong>di</strong> sinistra: da alcunigruppi femministi ai socialdemocraticitedeschi e svedesi, dai riformistibritannici ai comunisti francesi.La storiografia internazionaleha elaborato parecchie riflessionial riguardo mentre in Italia, nonostanteil fascismo e la chiesa cattolicaavessero contribuito notevolmentealla creazione <strong>di</strong> un forte <strong>di</strong>battitoin materia, sostanzialmentefino a qualche anno fa mancavanoquasi completamente stu<strong>di</strong> specificisulla questione. Francesco Cassataimposta la sua ricerca in modocomparativo, inserendo l’Italia nelcontesto internazionale. Lo storico305


Le schedein<strong>di</strong>vidua così le <strong>di</strong>verse posizionipresenti nel <strong>di</strong>battito italiano, nonsolo quelle incentrate sull’incremento<strong>della</strong> popolazione e sul miglioramentodelle con<strong>di</strong>zioni igienico-sanitarie,che caratterizzaronosolo una parte dell’eugenica italianafascista e cattolica, ma anche quelleche si proponevano <strong>di</strong> effettuareveri e propri interventi <strong>di</strong> programmazionee <strong>di</strong> organizzazione razionaledelle risorse biologiche <strong>della</strong>nazione, segnati spesso da pregiu<strong>di</strong>zi<strong>di</strong> classe e <strong>di</strong> razza, basati talvoltasu meto<strong>di</strong> coercitivi. Un’ampia partedello stu<strong>di</strong>o, ad esempio, analizzala querelle sul certificato prematrimonialeche, con alterne vicende,segna il <strong>di</strong>battito dalle origini fino atempi relativamente recenti. Le propostenon rimasero solo nel campoteorico ma trovarono applicazionepratica in numerosi interventi legislativicome quelli che caratterizzaronoil periodo fascista, fortementeinfluenzati da posizioni razziste nonultima quella antiebraica. La perio<strong>di</strong>zzazioneadottata è racchiusa trail 1912, data del I Congresso Internazionale<strong>di</strong> Eugenia, fino agli annisettanta del Novecento – momentodel passaggio definitivo alle argomentazionida cui nascerà la modernabioetica – passando attraverso ilsecondo dopoguerra, quando LuigiGedda, uno dei fondatori dell’AzioneCattolica, si pose a capofila deglistu<strong>di</strong>osi più conservatori – proponendoad<strong>di</strong>rittura una schedaturadegli atleti alle Olimpia<strong>di</strong> <strong>di</strong> Romanel 1960 – e costruì uno schieramento<strong>di</strong> opposizione agli scienziatiche, liberandosi delle vischiositàrazziste e classiste <strong>della</strong> <strong>di</strong>sciplina,aprirono alla genetica modernasu ben più solide basi scientifiche.Cassata si occupa, con il suo libro,<strong>di</strong> ricostruire la genealogia <strong>di</strong> quel<strong>di</strong>battito e, analizzando con grandecura una mole gigantesca <strong>di</strong> documentioriginali, <strong>di</strong> contributi storiografici,<strong>di</strong> articoli apparsi su rivistescientifiche prodotti dalla finedell’Ottocento ad anni recentiin tutto il mondo, contribuisce acolmare quel vuoto che impe<strong>di</strong>sce<strong>di</strong> affrontare serenamente, e soprattuttoconsapevolmente, qualsiasi riflessionecollettiva sulla scienza, sulsuo ruolo, sulle implicazioni etiche,politiche e culturali. La quasi totaleassenza <strong>di</strong> qualsiasi conoscenza inmateria che ha accompagnato il recente<strong>di</strong>battito sulla procreazioneassistita e le polemiche che appaionoogniqualvolta si affrontino questioni<strong>di</strong> bioetica, testimoniano <strong>della</strong>sostanziale ignoranza dell’abbondanteletteratura internazionale suitemi dell’eugenica, insieme ad unaconoscenza altrettanto scarsa dellesue vicende in Italia. Dare un contributoin <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> una maggioreconsapevolezza che possa guidare306


Le schedeanche le scelte <strong>della</strong> politica, affermal’autore, è una delle ragionidurata, ma ne traccia quell’unicitàche sarebbe parzialmente inespressautilizzando solo i documenti d’archivio.Le testimonianze <strong>di</strong> coloroche hanno assistito ai fatti, o nehanno raccolto la memoria, possonosmentire o integrare il raccontoufficiale ma soprattutto possonoprodurre il senso stesso delle storieraccontate, sia inserendole da subitoin uno spazio politico, sia facendosiazione politica esse stesse.Le otto vicende hanno tutte un valoreper la ricostruzione <strong>della</strong> storia<strong>di</strong> Novara che supera i confini provinciali,assumendo un peso almenonazionale.Teresa Strigini, l’indemoniata <strong>di</strong>Briga Novarese, è la protagonista<strong>della</strong> prima storia. Di questo casose ne conservavano tracce nella memoriapopolare almeno fino a duegenerazioni fa. Dietro ad un episo<strong>di</strong>o<strong>di</strong> possessione <strong>di</strong>abolica, Bermaniin<strong>di</strong>vidua almeno due questioni:una storia personale <strong>di</strong> unadonna <strong>di</strong> provincia, costretta a fingersiindemoniata per sfuggire aduno scandalo <strong>di</strong> natura sessuale;una storia politica che, nata graziea padre Bresciani e successivamente<strong>di</strong>ffusa a livello popolare, in<strong>di</strong>vichegiustificano la ricerca (SabrinaMichelotti).CESARE BERMANI, Storie ritrovate,Odradek, Roma 2006, pp. 292Con la consueta competenza nelmaneggiare le fonti orali, CesareBermani ci racconta otto vicendeavvenute nel Novarese, tra la primametà dell’Ottocento e gli anni sessantae settanta del secolo scorso. Idue car<strong>di</strong>ni fondamentali del libro,costituiti dal lavoro sulle fonti oralie dall’attenzione per la storia locale,evidenziano un preciso intentopolitico che l’autore riba<strong>di</strong>sce findalla sua introduzione: porre comesoggetto le classi popolari, non perdereil filo che collega la ricerca storicaai problemi politici e sociali delterritorio in cui lo storico è inseritoe con cui è chiamato a misurarsi,narrare dell’unicità <strong>di</strong> alcuni personaggie delle loro vicende inserendoliprescindendo da una <strong>di</strong>mensionepuramente localistica per ricostruirneuna molto più allargata.Il materiale orale, accumulato apartire dalla metà degli anni sessanta,integra, talvolta cambiando <strong>di</strong>segno, le fonti archivistiche, giornalistiche,istituzionali. La narrazioneorale restituisce a quelle storienon solo la <strong>di</strong>mensione <strong>della</strong>307


Le schededuava negli intellettuali risorgimentalil’incarnazione del demonio. Laleggenda creata dal gesuita, unodei portavoce <strong>della</strong> reazione seguitaagli avvenimenti del 1848/1849,mirava infatti a contrastare l’interolaicismo risorgimentale, costruendouna perfetta equivalenza fra demonolatriae mazziniani. Non a casoil demone padrone <strong>della</strong> Striginisi chiamava Gioberti. La vicenda, alungo rimossa, viene ricostruita inmodo particolareggiato fino al termine,quando il parroco del paese,attraverso la sua azione politico-religiosa,utilizzò i fatti avvenutiattorno alla Strigini per trattenerela popolazione dall’appoggiare lenuove istanze risorgimentali, laiche,che emergevano sul territorionovarese e sullo sfondo nazionale.Il saggio sul «Bion<strong>di</strong>n» - un personaggiomolto popolare nel Novarese,raccontato dai conta<strong>di</strong>ni comeuna sorta <strong>di</strong> vagabondo, ladro mabenefattore dei poveri, precursoredel movimento socialista - mostrala cancellazione nella memoria collettiva<strong>di</strong> una dura repressione fattaai danni del vagabondaggio localema anche l’ambiguità dei partiti<strong>della</strong> sinistra nei confronti <strong>di</strong> talipersonaggi e tali vicende. Tale ambiguitàvenne a costituirsi quando,per le formazioni politiche <strong>di</strong> estrazionesocialista e rivoluzionaria, funecessario creare un racconto sulleproprie origini che affondasse le ra<strong>di</strong>cinella legalità e li legittimasse atutti i livelli, soprattutto istituzionali,come forze «affidabili» e legittimeda ogni punto <strong>di</strong> vista. Inoltreil racconto su un caminant o unoche era <strong>della</strong> leggiera, cioè appartenevaal mondo dei marginali, uno<strong>di</strong> quelli cioè che con il rifiuto <strong>della</strong>voro salariato e dei suoi obblighiesprimeva una volontà <strong>di</strong> resistenzae opposizione all’etica e alla <strong>di</strong>sciplina<strong>della</strong> società capitalistica, nonpoteva essere accettato facilmenteda coloro che fondavano la propriaazione politica su altre pratiche.La drammatica vicenda <strong>di</strong> GiuseppeRimola, fucilato durante le repressionistaliniane degli anni trenta,fu ripresa dall’autore già neglianni sessanta, quando sembravache il <strong>di</strong>rigente del Pci non fossemai esistito nonostante emergessedalle ricerche come uno dei comunistipiù battaglieri <strong>della</strong> provincia.Anche Bermani tuttavia ha attesolunghi anni prima <strong>di</strong> venire a conoscenzadelle circostanze che portaronoalla morte <strong>di</strong> Rimola e solodopo l’apertura degli archivi sovieticiha potuto ricostruirne la vicenda,inserendola nelle complesse <strong>di</strong>namichedei rapporti tra il partito<strong>di</strong> Togliatti (nemmeno lui a conoscenzadei fatti riguardanti il comunistanovarese) e l’URSS <strong>di</strong> Stalin.Il caso <strong>di</strong> Aldo Pomati apre il <strong>di</strong>-308


Le schedescorso sulle tecniche <strong>di</strong> provocazioneutilizzate dalla Guar<strong>di</strong>a nazionalerepubblicana e sulla giustizia partigiana.Grazie a nuovi documenti eai memoriali a <strong>di</strong>sposizione si ripercorronole vicende <strong>di</strong> questo partigiano<strong>di</strong>venuto collaboratore dell’Ufficiopolitico investigativo <strong>della</strong>Gnr, facendo or<strong>di</strong>ne in una vicendache per lungo tempo ha creato moltiimbarazzi.Un altro episo<strong>di</strong>o che l’autore riportaalla luce è quello del CircoloRosa Luxemburg <strong>di</strong> Novara, attivonel 1969. In questo caso Bermanifu anche uno dei protagonistie memoria in<strong>di</strong>viduale, documenti,testimonianze orali si intreccianoper ricostruire due importantiavvenimenti segnati dall’azionepolitica del circolo. Infatti furonol’ospedale psichiatrico e l’orfanotrofio<strong>della</strong> città ad essere profondamenteintaccati, nella loro struttura<strong>di</strong> istituzioni totali, dalle istanzedemocratiche, e dalle lotte chene conseguirono, dei militanti delRosa Luxemburg. Eppure le vicende,nonostante i risultati raggiunti,tendono ad essere <strong>di</strong>menticatesia dal «perbenismo citta<strong>di</strong>no», siada qualsivoglia partito o gruppo. Lacausa <strong>di</strong> ciò, <strong>di</strong>ce lo storico, sta nellaprovenienza politica dei militantiche, appartenendo a <strong>di</strong>versi gruppi,non ha offerto a nessuno <strong>di</strong> questila possibilità <strong>di</strong> un racconto egemonicosu quei fatti, così come l’assenzada quegli avvenimenti dei gran<strong>di</strong>leader dei movimenti non ha permessonessuna celebrazione o rielaborazionesuccessiva.Questi e gli altri saggi presenti nelvolume sono la traccia <strong>di</strong> come alcunistrumenti storiografici, che daglianni sessanta in poi si sono notevolmenteaffinati, possano indagaresu questioni locali che, se inserite inun’ottica <strong>di</strong> lunga durata, rimandanoa scenari molto più ampi. Oggiche la storia locale si preoccupa<strong>di</strong> conoscere le periferie del mondo,spesso messe in crisi da modelliculturali globali e in cui permangonoi conflitti tra il centro e la periferia,la conoscenza delle <strong>di</strong>versitàpuò avere ancora un risvolto politico<strong>di</strong> notevole importanza. Evitandola chiusura nelle identità locali,con il relativo armamentario <strong>di</strong>razzismi, intolleranze e immaginariscontri <strong>di</strong> civiltà, e assumendouno sguardo che colga le relazioni egli intrecci tra episo<strong>di</strong> <strong>di</strong> provinciae personaggi o avvenimenti anchelontani, si possono ancora afferrarele ragioni dello scatenarsi dei nuovifermenti <strong>di</strong> opposizione che emergonoa livello mon<strong>di</strong>ale, magari innescatida un evento qualsiasi avvenutoin una qualsiasi banlieue delpianeta (Sabrina Michelotti).309


Le schedeGIULIANA, MARIA, GABRIELLA CAR-DOSI, La giustizia negata. Carla Pirani,nostra madre, vittima delle leggirazziali, E<strong>di</strong>zioni Arterigere-Essezeta,Varese 2005, pp. 151«Se durante la persecuzione razzialenoi avevamo confidato nello Stato,illudendoci che le leggi in vigoreci proteggessero e tale errore avevacausato la nostra trage<strong>di</strong>a, ora, <strong>di</strong>nuovo sentivamo venir meno in noila fiducia nelle nascenti istituzionirepubblicane»: seppur a gran<strong>di</strong> tratti,è forse questa la citazione miglioreper introdurre il volume.Con un rigore storico e documentario,e con una intensa chiarezzaespressiva, le tre sorelle raccontanola tragica vicenda <strong>della</strong> madre, insegnante<strong>di</strong> religione ebraica arrestatanel maggio 1944 dalla polizia <strong>della</strong>Repubblica Sociale a Gallarate, imme<strong>di</strong>atamenteincarcerata, poi trasferitaal campo <strong>di</strong> Fossoli, ed infinedeportata ad Auschwitz, luogo dalquale non fece più ritorno.Carla Pirani era una «ebrea-mista»,coniugata con un ariano e avrebbesolo dovuto essere sottoposta alla«speciale vigilanza degli organi<strong>di</strong> polizia», non arrestata, né tantomenodeportata. Il volume raccontainvece minuziosamente la vicendadel fermo a Gallarate e il successivoincarceramento <strong>della</strong> donna:prima l’arresto, poi il tentativo delmarito <strong>di</strong> Carla <strong>di</strong> ottenerne il rilascioe infine il progressivo affievolirsi<strong>di</strong> ogni speranza in paralleloagli or<strong>di</strong>ni provenienti dal comandoSS <strong>di</strong> Milano, applicati con rigoredalle forze <strong>di</strong> polizia <strong>della</strong> RepubblicaSociale.Scrivono a tal proposito le figlie:«seguendo lo svolgersi delle procedure<strong>di</strong> arresto che condussero all’arresto<strong>di</strong> nostra madre e che abbiamopotuto ricostruire utilizzandodocumentazioni d’archivio, sonoemerse in modo inequivocabilele responsabilità, per eccesso <strong>di</strong> zelo,delle autorità fasciste repubblicane<strong>della</strong> provincia <strong>di</strong> Varese».Questo è infatti uno dei principalimotivi per i quali la lettura del libro,pur trattando <strong>di</strong> un caso singolo,è <strong>di</strong> importanza non secondariaper la ricostruzione storica estoriografica delle vicende del periodo.Lo storico Clau<strong>di</strong>o Pavone,nella Lettera che fa da introduzioneal volume, in<strong>di</strong>ca nella connivenzadelle autorità italiane la prima delle«constatazioni fondamentali» cuiil testo ci porta. Le altre due sono«il modo grottesco con cui vennerocondotti molti processi contro iresponsabili» nel dopoguerra e «lasorda opacità delle autorità <strong>della</strong>Repubblica italiana nel risarcimentodei perseguitati, che alla fine vienequasi con fasti<strong>di</strong>o negato a chipur mostra una persistente fiducia310


Le schedenello Stato».Come raccontano con dovizia documentaristicale sorelle Cardosi,personaggi come Mario Bassi, capo<strong>della</strong> Provincia <strong>di</strong> Varese e LuigiDuca, questore <strong>di</strong> Varese, i cuinomi si rincorrono nelle pagine dellibro, non furono nemmeno processati.Successivamente, non riconoscendolo Stato italiano la pienaresponsabilità <strong>della</strong> Repubblica socialeitaliana nelle deportazioni enella morte degli ebrei, non riconobbealla famiglia alcun beneficioeconomico. Tuttavia, nel ricordodelle vicende <strong>della</strong> madre, le autricihanno voluto tributare onoripostumi alla figura <strong>di</strong> Andrea Schivo,la guar<strong>di</strong>a carceraria in servizioa San Vittore che, per aver aiutatoebrei (tra cui la stessa Carla Pirani)a ricevere comunicazioni e beni <strong>di</strong>prima necessità dalle rispettive famiglie,venne anch’egli arrestato epoi deportato nel settembre 1944al campo <strong>di</strong> Flossenburg, dove morìper le percosse e i maltrattamentiricevuti (Matteo Vecchia).NICOLA LABANCA, Una guerra perl’impero (Memorie <strong>della</strong> campagnad’Etiopia 1935-36), Bologna, ilMulino, 2005, pp. 479Esperto <strong>di</strong> storia del colonialismoitaliano e già autore <strong>di</strong> numerosivolumi sull’argomento, NicolaLabanca (che insegna Storia contemporaneae Storia dell’espansioneeuropea all’Università <strong>di</strong> Siena),ha ripercorso in questo suo nuovolavoro la storia del conflitto italoetiopicofacendo leva sulle numerosetestimonianze <strong>di</strong> coloro chevi parteciparono. Ne è nato un libropiuttosto <strong>di</strong>verso dai soliti, unlibro che si sofferma sugli elementicaratterizzanti del conflitto, sullepersone più che sui fatti, sulle reazionie i comportamenti dei protagonisti,sulle ripercussioni internazionalidell’operato fascista, sui significatipiù profon<strong>di</strong> <strong>di</strong> quella chefu l’unica guerra vinta da Mussolini:una guerra esaltata come portatricedell’impero, ma <strong>di</strong> un imperodestinato a scomparire nel volgere<strong>di</strong> pochi anni sotto i colpi dei successiviavvenimenti <strong>di</strong> portata mon<strong>di</strong>ale.Insieme alla pubblicistica minore,l’autore ha fatto largo uso anche<strong>di</strong> opere molto più note.Labanca ha cercato <strong>di</strong> uscire dai canonisoliti per produrre un lavoroche è anche un invito a me<strong>di</strong>tare.Di solito torna <strong>di</strong> moda la guerraitalo-etiopica quando riesplodonole polemiche per l’uso dei gasda parte <strong>di</strong> Badoglio o per l’annosaquestione <strong>della</strong> stele <strong>di</strong> Axum.Il conflitto del 1935-36, ma si po-311


Le schedetrebbe <strong>di</strong>re anche e meglio il conflittoche insanguinò l’Etiopia finoal 1941 allorchè le truppe britannicheoccuparono l’allora imperonegussita (mai totalmente occupatodall’Italia, piuttosto attraversatoda una sempre più forte e penetranteguerriglia antitaliana), fu ben altro.Soprattutto deve esser chiaroche fu una guerra voluta con forzadal fascismo, una guerra <strong>di</strong> propaganda,una guerra in cui non si lesinaronouomini e mezzi, una guerra<strong>di</strong> regime con inevitabili, graviripercussioni in campo internazionale.Come altre crisi «minori» (masi intenda l’aggettivo virgolettatocon molta cautela) tra i due conflittimon<strong>di</strong>ali, la guerra italo-etiopicadeterminò mutamenti <strong>di</strong> rotta ebrutti compromessi nell’agone politicointernazionale, ma soprattuttoaccompagnò l’Europa e il mondoverso la guerra mon<strong>di</strong>ale.Attraverso le testimonianze (che,peraltro, confermano l’esistenza <strong>di</strong>molte fonti a cui attingere) Labancaripercorre la storia <strong>della</strong> guerra,non tanto la storia militare ogginota per i molti stu<strong>di</strong> che si possonovantare (si pensi ai documentativolumi che, in questi anni, Angelo<strong>Del</strong> <strong>Boca</strong> ha de<strong>di</strong>cato all’argomento),quanto piuttosto la storia degliatteggiamenti, dei comportamenti,dei sentimenti, delle reazioni, delleconvinzioni e delle ripercussioniche, ai vari livelli, quella guerravittoriosa e <strong>di</strong>spen<strong>di</strong>osa determinòin un’Italia che allora inneggiava alfascismo. In quell’Italia, appunto,che assorbiva acriticamente la propaganda<strong>della</strong> guerra e progettavaun suo futuro nel neonato imperoalla ricerca <strong>di</strong> migliori con<strong>di</strong>zioni <strong>di</strong>vita per una parte <strong>della</strong> sua popolazione,l’immaginario collettivo deltempo trovò motivazioni <strong>di</strong> esaltazioneche solo il tempo avrebbe rivelatocome fallaci.Strana storia, quella <strong>della</strong> guerrad’Etiopia! Esaltato agone per gerarchie uomini <strong>di</strong> regime in passerella,passaggio quasi obbligato per restarea lavorare in colonia, nuova frontieraper alcune migliaia <strong>di</strong> italiani(molti dei quali, a onor del vero, vicondussero una vita onesta ed operosa),il conflitto passò attraversole alterne vie <strong>della</strong> retorica forzatae dell’oblio, caricandosi più spesso<strong>di</strong> miti duri a morire, grazie ad unamemorialistica che, per quanto nonpriva <strong>di</strong> spunti critici già nell’oradel successo, si rifaceva con passioneai mesi <strong>della</strong> guerra, alla grandeimpresa. Giunse, infine, il tempodel ricordo nostalgico (un fenomeno,comunque, non solo italiano)che in parte perdura.Oggi, fortunatamente, si è giunti amolte certezze e si è sfatato il mitodegli «Italiani brava gente» a tuttii costi, riconoscendone le colpe e312


Le schedele crudeltà. E non si <strong>di</strong>mentichi cheintanto si sono perse molte buoneoccasioni per «ripensare» la guerrad’Etiopia in momenti importanticome la restituzione delle stele<strong>di</strong> Axum che, al contrario, è statavissuta da molti quasi fosse una fasti<strong>di</strong>osaincombenza (Massimo Roman<strong>di</strong>ni).L’Homme et l’Animal dans l’Est del’Afrique, a cura <strong>di</strong> Alain Rouaud,Bièvres, Les Éthiopisants Associés,2006, pp. 245Siamo al cospetto <strong>di</strong> un libro <strong>di</strong>particolare interesse per lo stu<strong>di</strong>osodell’Africa Orientale: una raccolta,curata da Alain Rouaud, <strong>di</strong> saggi <strong>di</strong>noti stu<strong>di</strong>osi (presentati alla Giornata<strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o sul tema annunciatonel titolo del 18 febbraio 2002nei saloni dell’INALCO <strong>di</strong> Parigi)ed e<strong>di</strong>ta con il contributo <strong>di</strong> alcuniimportanti istituti francesi, tracui il citato INALCO (Institut Nationaldes Langue et CivilisationsOrientales) e l’ARESAE (Associationfrançaise por le développementde la Recherche Scientifiqueen l’Afrique de l’Est) <strong>di</strong> Parigi.Gli stu<strong>di</strong>osi che hanno firmato ilvolume, dallo stesso Rouaud a Tubiana,da Ville a Morin e Mwaura(ma sono, ovviamente, molti <strong>di</strong> più)esaltano nelle loro pagine il ruolodell’animale nella vita dell’uomoin Africa Orientale: un ruolo fondamentaleche ha contrad<strong>di</strong>stintala vita dell’uno e dell’altro attraversoi millenni in una sorta <strong>di</strong> vicendaintegrata che ha dell’esaltante.Negli ambienti meno toccati daglieffetti devastanti <strong>della</strong> modernitàl’uomo e l’animale sono perfettifratelli e operano e si sviluppano inun mondo naturale che è in grado<strong>di</strong> accomunarli e <strong>di</strong> accompagnarnele alterne vicende. Se pensiamoai danni che sono stati volutamenteinferti al mondo animale anche innome <strong>della</strong> «civiltà», resta più chemai attuale ciò che il capo in<strong>di</strong>anoSeattle rispose, più <strong>di</strong> un secolo emezzo fa, al presidente americanoFranklin Pierce: «L’homme blancdevra traiter les animaux de cetteterre comme ses frères. Je suis unsauvage et je ne comprends pas uneautre pensée… Je suis un sauvageet je ne peux comprendre commentun cheval de fer qui souffle de la fuméepeut être plus important que lebison, que nous ne tuons quel pourvivre».Purtroppo, in troppe aree del nostropianeta il rapporto tra uomo eanimale è ra<strong>di</strong>calmente cambiato enon è stato più recuperato. L’uomobianco ha responsabilità enor-313


Le schedemi. Oggi, prima che sia troppo tar<strong>di</strong>,urge un impegno in controtendenza.Nei lavori raccolti nel volumecurato da Rouaud gli animaliprotagonisti sono soprattutto l’elefante,il cammello, il gatto, il lemure,il cane, gli uccelli: li accompagnanotra<strong>di</strong>zioni orali e scritte, proverbi,riferimenti storici ed etnici(Massimo Roman<strong>di</strong>ni).SILVANA PALMA, L’Africa nella collezionefotografica dell’IsIAO (Il FondoEritrea-Etiopia), Roma, IstitutoItaliano per l’Africa e l’Oriente,2005, pp. 690Il corposo volume segna la fine <strong>della</strong>prima parte <strong>di</strong> un lavoro <strong>di</strong> notevoleimportanza nel settore dellecollezioni fotografiche depositatepresso l’IsIAO <strong>di</strong> Roma, a cui sideve la pubblicazione in convenzionecon l’Università degli Stu<strong>di</strong><strong>di</strong> Napoli «L’Orientale» (Dipartimento<strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> e Ricerche su Africae Paesi Arabi). Il lavoro ebbe inizionegli anni Novanta, come ricordaAlessandro Triulzi nell’introduzione,nell’ottica del recupero del patrimoniofotografico dell’IsIAO riguardanteEritrea ed Etiopia, in attesache si mettesse mano alle fotografie<strong>della</strong> Libia e <strong>della</strong> Somaliaancora ben lontane dalla catalogazione.A molti stu<strong>di</strong>osi va il merito<strong>di</strong> questa immane, paziente fatica:tra questi lo stesso Triulzi che asuo tempo mise in moto la macchinadei consensi e dei fon<strong>di</strong> e SilvanaPalma a cui si deve in questi anni,e in momenti non facili, il lavoro<strong>di</strong> identificazione e catalogazioneche ha prodotto questo volume<strong>di</strong> circa 700 pagine.Le fotografie dell’IsIAO, già delMuseo Coloniale <strong>di</strong> Roma, costituiscono«la più vasta memoria visivadel colonialismo italiano» presentenel nostro Paese. Recuperarleè stata operazione complessa,come lo stesso Triulzi ricorda ancheriguardo al precedente lavoro<strong>della</strong> Palma sul fondo <strong>della</strong> SocietàAfricana d’Italia depositato all’Orientale<strong>di</strong> Napoli. La curatriceha compiuto un lavoro <strong>di</strong> vera filologiastorica <strong>di</strong>stricandosi nel labirinto<strong>di</strong> 35mila fotografie che oggi,nel campo degli stu<strong>di</strong> specialistici,assumono un’importanzafondamentale per la storia del colonialismoitaliano, e oltre. Un patrimoniodocumentario <strong>di</strong> eccezionalevalore è, finalmente, alla portatadegli stu<strong>di</strong>osi che sapranno farnel’uso migliore.Oggi la memoria visiva <strong>della</strong> storiaha assunto un’importanza decisamentenuova. Sembrano lontanianni-luce i tempi in cui lo stru-314


Le schedemento fotografico si affacciava timidamentealla ribalta degli stu<strong>di</strong>.Gli archivi erano zeppi <strong>di</strong> foto ammassatealla rinfusa, come prodottial macero, né si conoscevano consistenzae contenuti. La riscopertaè stata progressiva, a volte ancheoccasionale, come la Palma ricordanella sua premessa, ma ha trovatoillustri sostenitori e cultori,ad esempio Luigi Goglia a ragionemenzionato come colui che «hainaugurato in Italia l’indagine legataalle fonti iconografiche colonialie africaniste». Un’indagine, si ba<strong>di</strong>bene, avviata già negli anni Sessantain campo internazionale, allorchéebbero inizio i progetti relativialla Cambridge History of Africa ealla Histoire générale de l’Afrique nelpiù generale contesto del recuperodelle fonti d’archivio europee edamericane non ancora accessibili senon a pochi eletti e <strong>della</strong> valorizzazione<strong>di</strong> ogni altra fonte documentaria,oltre il documento scritto.La documentazione fotografica hafaticato molto ad entrare in questasorta <strong>di</strong> «rivoluzione documentaria»,per usare le parole <strong>della</strong> Palma.Il documento fotografico è stato ritenutoa lungo, e a torto, un «prodotto»<strong>di</strong> natura secondaria nell’indaginestorica, scarsamente affidabilein quanto soggettivo e parziale,destinato ad essere usato più che altroa fini propagan<strong>di</strong>stici, come <strong>di</strong>mostranotuttora gli usi apertamentestrumentali <strong>della</strong> fotografia. Uncambiamento <strong>di</strong> sensibilità storiograficalo si è avuto a partire dagliultimi anni ottanta, quando la fotografiaafricanistica ha tratto forzae rispetto da una serie <strong>di</strong> workshop,convegni e mostre in Italia e all’estero,pur continuando ad essereoggetto <strong>di</strong> ricerca <strong>di</strong> singoli stu<strong>di</strong>osipiù che frutto <strong>di</strong> iniziative <strong>di</strong> ampiorespiro.In ogni caso, il cammino era tracciatoin quegli anni. La ricchezza<strong>della</strong> documentazione fotografica<strong>di</strong> molti archivi italiani cominciavaad emergere sotto l’incalzare <strong>di</strong> piùapprofon<strong>di</strong>te analisi e si proponevaautorevolmente, seppure a fatica,«come fonte <strong>di</strong> storia coloniale»,per usare una bella definizione <strong>di</strong>Giampaolo Calchi Novati. Si trattava<strong>di</strong> dare voce, per poi catalogarlo,a un materiale abbondante e destinatoalla completa rovina, comein questo caso ha fatto Silvana Palmache ha reso accessibile il fondoper l’Etiopia e l’Eritrea, già dell’exMuseo Coloniale, <strong>di</strong>pendente dalMinistero delle Colonie (poi Ministerodell’Africa Italiana), ere<strong>di</strong>tatodall’Istituto Italiano per l’Africa,quin<strong>di</strong> Istituto italo-africano e oggiIsIAO <strong>di</strong> Roma.Nella seconda parte <strong>della</strong> sua introduzione,l’autrice ricorda al lettorel’origine <strong>della</strong> collezione <strong>di</strong> cui si è315


Le schedeoccupata e, nella terza parte, i criterimetodologici che hanno presiedutoal complesso lavoro <strong>di</strong> catalogazionedei volumi fotografici (83album in tutto), delle raccolte (cioèle collezioni fotografiche riferibilia singoli collezionisti, donatorio autori), <strong>della</strong> miscellanea (la partepreponderante <strong>della</strong> fototeca conmigliaia <strong>di</strong> pezzi sciolti, in gran partedegli anni trenta).Tutto questo materiale (e pensareche tante foto risultano non rientrate,negli anni, dai prestiti oppuresono state oggetto <strong>di</strong> saccheggiimpietosi) è oggi presente in questoimportante volume dalla storia nonfacile attraverso gli anni. Sfogliarlodà il senso del faticoso lavoro svolto(ogni foto è annotata nel modo piùcompleto). A questa prima faticapotrà seguire, col tempo, l’immissionedelle immagini nel web in undatabase che agevolerebbe la ricercadegli stu<strong>di</strong>osi. Ma ci vorrà tanta altrabuona volontà.La parte centrale del volume raccogliela riproduzione <strong>di</strong> 64 bellefotografie che abbracciano l’interastoria coloniale italiana in Eritreaed Etiopia (Massimo Roman<strong>di</strong>ni).316


notizie sugli autori <strong>di</strong> questo numeroMARINA ADDIS SABA - Allieva <strong>di</strong> Federico Chabod, ha collaborato a <strong>di</strong>verse universitàitaliane e straniere prima <strong>di</strong> concludere la sua carriera insegnando Storia dell’Europae Storia contemporanea alla Facoltà <strong>di</strong> lingue dell’Università <strong>di</strong> Sassari.Tra i suoi volumi citiamo Gioventù italiana del Littorio, Feltrinelli, Milano 1973;Partigiane. Tutte le donne <strong>della</strong> Resistenza, Mursia, Milano 1998 e La scelta. Ragazzepartigiane, ragazze <strong>di</strong> Salò, E<strong>di</strong>tori Riuniti, Roma 2005.ANDREA BECCARO - Laureato in storia nel 2004 presso l’Università degli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Torinocon una tesi dal titolo Guerra e strategia nel mondo postbipolare: prospettive, problemi,interpretazioni, attualmente ha in corso ricerche sulle operazioni <strong>di</strong> peacekeepinge sulle teorie <strong>della</strong> guerra <strong>di</strong> Clausewitz e Sun tzu, viste in chiave comparata.MAURO BEGOZZI - Direttore scientifico dell’Istituto storico «P. Fornara» <strong>di</strong> Novara.Si occupa <strong>di</strong> storia contemporanea sia come autore <strong>di</strong> saggi che come organizzatoree me<strong>di</strong>atore culturale. Tra i suoi libri Il signore dei ribelli (1991) e Non preoccupartiche muoio...innocente (1995), tra le sue realizzazioni la Sala storica <strong>di</strong>Domodossola e la Galleria <strong>della</strong> memoria <strong>di</strong> Verbania-Fondotoce.GIOVANNI A. CERUTTI - Membro del Comitato scientifico dell’Istituto «P. Fornara»e responsabile del settore e<strong>di</strong>toriale. Nel 2005 ha curato presso l’e<strong>di</strong>tore Interlineala pubblicazione del <strong>di</strong>ario <strong>di</strong> Carolina Bertinotti Ma la fortuna dei poveridura poco, che ha vinto la sessione «scaffale» del premio <strong>della</strong> Resistenza «Città<strong>di</strong> Omegna».FILIPPO COLOMBARA - Dalla seconda metà degli anni settanta si occupa <strong>di</strong> storiae <strong>di</strong> cultura delle classi popolari collaborando con istituzioni pubbliche e private.Nell’ambito delle sue attività, svolte in massima parte all’interno <strong>di</strong> progetti <strong>di</strong>storia orale dell’Istituto Ernesto de Martino e degli istituti storici <strong>della</strong> resistenzadelle province <strong>di</strong> Novara e Vercelli, ha pubblicato ricerche su comunità locali ecomunità <strong>di</strong> lavoro.ANGELO DEL BOCA - Da quarant’anni si occupa <strong>di</strong> storia del colonialismo e deiproblemi dell’Africa d’oggi. Fra i suoi ultimi libri: Gheddafi. Una sfida dal deserto,Laterza, 1998; Un testimone scomodo, Grossi, 2000; La <strong>di</strong>sfatta <strong>di</strong> Gasr bu Hà<strong>di</strong>,Mondadori, 2004; Italiani, brava gente?, Neri Pozza, 2005.


GIOVANNI FERRO - Antifascista condannato al confino una prima volta nel 1930prima a Lipari e poi a Ponza e <strong>di</strong> nuovo nel 1936 a Ventotene. Vicino a Parri eschierato con il Partito d’Azione nell’imme<strong>di</strong>ato dopoguerra ha ricoperto incarichiorganizzativi nel Clnai ed è stato vicepresidente del Cln <strong>della</strong> Lombar<strong>di</strong>a.MARIO GIOVANA - Per lunghi anni giornalista, è autore <strong>di</strong> numerosi saggi, fra cuiAlgeria anno settimo, Milano 1961; La Resistenza in Piemonte. Storia del CLN Piemontese,Milano 1962; Storia <strong>di</strong> una formazione partigiana, Torino 1964; Guerrigliae mondo conta<strong>di</strong>no, Bologna 1988. Collabora a riviste italiane e straniere <strong>di</strong>storia contemporanea.SABRINA MICHELOTTI - Laureata in lettere presso l’Università degli stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Parma,collabora con il <strong>Centro</strong> stu<strong>di</strong> per la stagione dei movimenti <strong>di</strong> Parma occupandosiin particolare <strong>di</strong> femminismo e <strong>di</strong> teorie politiche.GIANMARIA OTTOLINI - Insegnante, ha effettuato ricerche e pubblicazioni sull’innovazioneeducativa (abilità <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o; peer education). Per la Casa <strong>della</strong> Resistenza<strong>di</strong> Fondotoce segue la redazione <strong>di</strong> «Nuova Resistenza Unita». Con GiovanniMargaroli e Mauro Begozzi ha curato l’e<strong>di</strong>zione dell’autobiografia del partigianoGino Vermicelli (Babeuf, Togliatti e gli altri) e sta preparando una nuova e<strong>di</strong>zione<strong>della</strong> ricerca dell’Istituto Cobianchi <strong>di</strong> Intra, Memoria <strong>di</strong> Trarego (premioANCI 2004).MASSIMO ROMANDINI - Dirigente scolastico, dal 1969 al 1975 ha insegnato inEtiopia alle <strong>di</strong>pendenze del ministero degli Esteri. Si occupa <strong>di</strong> storia del colonialismoitaliano in Africa Orientale.MATTEO VECCHIA - Laureato in Scienze Internazionali e Diplomatiche pressol’Università <strong>di</strong> Trieste, è oggi dottorando <strong>di</strong> ricerca in Storia Contemporanea pressol’Istituto Italiano <strong>di</strong> Scienze Umane (Firenze-Napoli). Sta conducendo stu<strong>di</strong> sulterrorismo arabo e islamico, e scrive articoli <strong>di</strong> politica internazionale su quoti<strong>di</strong>anie riviste italiane.DAVIDE VENTURA - Giovane da poco laureato all’Università <strong>di</strong> Bologna con una tesiin Storia contemporanea sulla formazione partigiana Stella Rossa «Lupo».MASSIMO ZACCARIA - <strong>Ricerca</strong>tore in Storia ed Istituzioni dell’Africa presso la Facoltà<strong>di</strong> Scienze Politiche dell’Università <strong>di</strong> Pavia. Il suo ambito <strong>di</strong> ricerca riguardaprincipalmente la storia del Corno d’Africa nel periodo coloniale, con particolareriguardo ad Eritrea e Sudan.


I classici dell’800in ristampa anastaticaAssociazione riconosciutaCENTRO STUDI PIERO GINOCCHIEDITORIAVia Pellanda, 15 - 28862 CRODO (VB) - Tel. 0324.61655C.F. 92003940035 - P. IVA 01793430032e-mail: centroginocchi@tiscali.it


Libreria GROSSI s.n.c.28845 DOMODOSSOLA (VB) Piazza Mercato, 37Tel. 0324 242743 - Fax 0324 482356 - e-mail: libreria.grossi@libero.itContributi <strong>di</strong>Frichi Arborio Mella CalcaterraRoberto BassaGabriella e Camillo BoniCordeliaPaolo Crosa LenzEdgardo FerrariFrancesco FerrariGiulio FrangioniMassimo GianoglioBenito MazziGian Vittorio MoroElena Poletti EcclesiaGian Carlo PozziQuest’anno l’Almanacco presentaClaro Fuenno, il primo domesenoto <strong>di</strong> nome certo, del quale testimonial’elevato tenore <strong>di</strong> vita la ricchezzadelle suppellettili ritrovatenelle sua sepultura (I sec.a.C.-II sec.d.C.); le manifestazioni interventistichea Domodossola nelle«ra<strong>di</strong>ose giornate» <strong>di</strong> maggio del1915 e l’ampia intervista sulla «repubblica»partigiana dell’Ossola,raccolta a Roma da una giornalistaamericana e pubblicata nel gennaiodel 1945 sul “New York HeraldTribune”.È possibile poi seguire la genesi ela redazione <strong>di</strong> un libro non comune,quello sulle opere <strong>di</strong> Carlo Fornaranella scelta <strong>di</strong> un grande artistaossolano, Nino Di Salvatore; conoscerele vicende del “Gazzun daMalesk”, singolare figura <strong>di</strong> emigrantevigezzino oltre oceano, e riviverel’epopea dei rocciatori nellaprima metà del secolo scorso conil racconto <strong>della</strong> prima ascensioneal Pizzo Boni, nel gruppo del Cistella(31 luglio 1932). Si concludel’impegnata ricerca sui documentiine<strong>di</strong>ti delle soppressioni napoleonichenelle nostre valli, mentre daVigezzo viene proposto un vivaceexcursus sui rapporti tra la Valle e<strong>di</strong> feudatari Borromeo e da Antronasi rievocano le vicende relative allacoltivazione <strong>di</strong> una miniera <strong>di</strong> micasopra Montescheno, bella testimonianza<strong>di</strong> iniziativa impren<strong>di</strong>torialein una zona <strong>di</strong> montagna.L’Almanacco chiude nel ricordo delSempione pubblicando un puntualesaggio sulle «ispirazioni musicali»legate al Passo ed una notevoledocumentazione <strong>di</strong> non effimerointeresse, per la gran parte ine<strong>di</strong>ta,sul traforo. La fierezza per lanostra terra ci ha spinto a insisteresul centenario dell’avvenimento,che anche la superbia tecnologicao<strong>di</strong>erna non può lasciar caderenell’oblio. Lo sappiamo, «chi crede<strong>di</strong> stare in pie<strong>di</strong>, guar<strong>di</strong> <strong>di</strong> noncadere» (1Cor 10,12); d’altra parte,fuori dall’Ossola non riusciamo a


COMUNE DI BACENOZona <strong>di</strong> Salvaguar<strong>di</strong>a dell’Alpe DeveroREALIZZAZIONE MUSEO DELLA RESISTENZA A GOGLIOEDIFICIO EX STAZIONE DI PARTENZADELLA FUNIVIA DEVERO-GOGLIOLa localizzazione del nuovo spazio museale nei locali dell’ex stazione <strong>di</strong>partenza <strong>della</strong> funivia che portava all’Alpe Devero è legata all’episo<strong>di</strong>o<strong>della</strong> guerra partigiana avvenuto il 17 Ottobre 1944; l’uccisione da partedei tedeschi <strong>di</strong> 4 giovani partigiani che tentavano <strong>di</strong> fuggire al Devero conla Funivia.Sotto i colpi precisi e spietatidei nazisti cadono così, in pochiminuti, l’uno dopo l’altro, ipartigiani milanesi GiuseppeConti <strong>di</strong> 22 anni, GiuseppeFaccioli <strong>di</strong> 32 anni, il giovanemaniscalco vogognese GaudenzioPratini <strong>di</strong> 20 anni e<strong>di</strong>l giovanissimo Giorgio Fossa<strong>di</strong> 17 anni <strong>di</strong> nobile famigliatorinese.Un quinto partigiano è feritoad una gamba, il se<strong>di</strong>cenneOrlando Corani <strong>di</strong> Vogogna,viene catturato e dovrà subire l’amputazione dell’arto, altri tre patriotivengono fatti prigionieri mentre tutti gli altri riescono a salvarsi.La riconversione in museo <strong>della</strong> Resistenza è una iniziativa dall’amministrazioneComunale <strong>di</strong> Baceno che ha preso in affitto l’e<strong>di</strong>ficio.


MUSEO NAZIONALEDELLE ACQUE MINERALICARLO BRAZZOROTTO- Crodo -Scheda storico - cronologica• Il <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> Piero Ginocchi <strong>di</strong> Crodo, sulla base <strong>di</strong> accurati stu<strong>di</strong> del territorio, nel 1993pubblica, in coe<strong>di</strong>zione con la Laterza <strong>di</strong> Bari, i primi risultati nel libro <strong>di</strong> Angelo <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong>,L’oro <strong>della</strong> Valle Antigorio: le acque minerali <strong>di</strong> Crodo fra realtà e leggenda. È l’inizio <strong>di</strong>una costante e intensa attività <strong>di</strong> ricerca nel mondo delle acque minerali.• Successivamente <strong>Del</strong> <strong>Boca</strong> manifesta la volontà <strong>di</strong> arricchire il materiale utilizzato per illibro con la propria raccolta privata. Questa è incentrata sui Bagni <strong>di</strong> Craveggia (prima) eBagni <strong>di</strong> Crodo (poi), dove tra la fine dell’800 e i primi del ‘900 i suoi antenati avviaronoun complesso alberghiero termale <strong>di</strong> tutto rispetto. Si pongono le basi per un archiviostorico documentaristico.• Nel 1996 il <strong>Centro</strong> ottiene a titolo gratuito due complete linee <strong>di</strong> produzione <strong>di</strong> acqueminerali dal GRUPPO CAMPARI, nel frattempo succeduto ai Bols nella proprietà delleTerme <strong>di</strong> Crodo Spa. Sono le prime macchine utilizzate dal Ginocchi nella sua avventuraindustriale e risalgono agli anni 30 del ‘900. È l’avvio <strong>di</strong> un progetto museale.• Nel 1998 i costanti rapporti con il mondo universitario portano l’associazione a conoscereCarlo Brazzorotto, ricercatore tecnico del Dipartimento <strong>di</strong> Scienze <strong>della</strong> Terra dell’Universitàdegli Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Bologna, ora in pensione. La sua attività <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o e analisi delle acque,svolta con ammirevole passione, lo ha portato a raccogliere 80.000 etichette e oltre12.000 campioni pieni, in contenitori <strong>di</strong>versi, del prodotto minerale. Saputo <strong>della</strong> nostrainiziativa si rende <strong>di</strong>sponibile a donare l’immensa raccolta. Nasce il Museo Nazionaledelle Acque Minerali Carlo Brazzorotto.• Nel periodo 2000/2002 il <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> Piero Ginocchi presenta il progetto sul bando europeoCE 1260/99 - Docup 2000/2006, che viene approvato e finanziato al 70% attraversol’Assessorato Turismo Sport Parchi <strong>della</strong> Regione Piemonte. In seguito si aggiungono icontributi degli Enti Locali (Comune, Comunità Montana, Provincia), <strong>della</strong> FondazioneBPN per il territorio e <strong>della</strong> Fondazione Comunitaria del Verbano Cusio Ossola. Si concretizzaun sogno.• Nell’aprile 2006 la KRONES dona al <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> Piero Ginocchi una completa e funzionanteetichettatrice in grado <strong>di</strong> <strong>di</strong>mostrare il processo <strong>di</strong> applicazione dell’etichetta allabottiglia.• Nel maggio dello stesso anno la SANPELLEGRINO Spa dona la propria storica Tipografia,testimonianza dei primi processi <strong>di</strong> pubblicità e etichette.• Il 2 luglio 2006 in Crodo (VB) il <strong>Centro</strong> Stu<strong>di</strong> Piero Ginocchi inaugura il Museo Nazionaledelle Acque Minerali Carlo Brazzorotto, <strong>di</strong>rettore del quale è nominato il prof. AlessandroZanasi <strong>di</strong> Bologna. Inizia l’avventura storico, culturale e scientifica.


Finito <strong>di</strong> stampare nel mese <strong>di</strong> <strong>di</strong>cembre 2006presso la Tipolitografia Saccardo Carlo & Figli snc - Ornavasso (VB)e-mail: info@saccardotipografia.191.it


12,00ISSN 1826-7920

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