quali il più grande ospedale dell’Amazzoniabrasiliana a Macapà (negli anni Sessanta)e anche due Carmeli <strong>di</strong> clausura, perchévoleva che tutte le sue opere fossero fondatesulla fede e la preghiera.C’è un aspetto nella vita <strong>di</strong> Marcello che lorende un modello quanto mai attuale per unmondo come il nostro. Non era un paternalista,ma nemmeno un “pauperista”. Avevaun grande rispetto del denaro, che sentiva comedono <strong>di</strong> Dio per fare del bene: ne avevae ne riceveva molto e sapeva amministrarlobene, ma lo usava tutto per gli altri, non perse stesso. Una delle sue frasi preferite era:“Chi ha ricevuto molto deve dare molto”.Il Vescovo <strong>di</strong> Macapà succeduto a Mons. Pirovano,Mons. Giuseppe Maritano, ha testimoniato:“Voleva che l’ospedale fosse peri poveri, perché questo era l’unico scopoper il quale l’aveva costruito. Diceva sempre:‘Se c’è un malato povero e uno ricco,prima ospitiamo il povero e poi, se c’e posto,il ricco, che può rivolgersi all’ospedalegovernativo’. Io voglio un ospedale missionarioper i poveri e quin<strong>di</strong> dev’essere perforza passivo. Se è in attivo vuol <strong>di</strong>re chenon è più missionario e per i poveri”.Sono stato varie volte in Amazzonia e ricordoil lebbrosario <strong>di</strong> Marituba (pressoBelém), il primo visitato da un Papa, GiovanniPaolo II, l’8 luglio 1980. Giornata memorabile,sotto un sole fulminante (48 gra<strong>di</strong>all’ombra, all’aperto). Il Papa guarda eascolta quella folla <strong>di</strong> lebbrosi e <strong>di</strong> fedelivenuti da Belém, da Macapà e da varie partidell’Amazzonia, che cantano e gridano laloro gioia; dopo un po’ chiede a Mons. AristidePirovano che gli è vicino: “Ma insomma,dov’è Marcello Can<strong>di</strong>a?”. Non erasul palco, sotto la tenda con le autorità, masotto il sole rovente, senza cappello, <strong>di</strong>etroa un uomo in carrozzella: tentava, sventolandoun ventaglio, <strong>di</strong> mitigare l’afa al suoamico Adalucio Calado, presidente della comunitàdei lebbrosi, senza mani, senza pie<strong>di</strong>e senza naso, incaricato <strong>di</strong> dare il benvenutoa Giovanni Paolo II a nome degli 800pazienti del lebbrosario.Finite le cerimonie ufficiali, il Papa scendein mezzo ai lebbrosi, li abbraccia uno peruno e quando è <strong>di</strong> fronte a Marcello lo ba-cia in fronte e gli <strong>di</strong>ce: “Ho sentito tantoparlare <strong>di</strong> lei...”. Marcello raccontava poil’incontro e ripeteva: “Quel bacio mi haportato fortuna, è stata una bene<strong>di</strong>zionedel Signore per tutte le opere <strong>di</strong> carità inAmazzonia”.Don Divo Barsotti, che ha conosciuto beneil dottor Can<strong>di</strong>a, ha detto dopo la sua morte:“Mi è sembrato un’anima senza ombre.Ho conosciuto tante anime sante, forse sarannoanche più sante <strong>di</strong> lui, però per tuttele altre qualche riserva l’ho sempre avuta,mentre non ho mai avuto riserve perMarcello Can<strong>di</strong>a, un’anima così semplice,così luminosa, così delicata... Moltil’hanno deluso, si è sentito, in fondo, non<strong>di</strong>co tra<strong>di</strong>to ma non capito. Lo si vedevacome un utopista: lo si amava, ma in fondoce se ne guardava. Non si poteva attaccarela sua limpidezza <strong>di</strong> vita, la sua vitareligiosa, la sua preghiera, ma forse sentivache gli altri lo trattavano come un bambino,lo credevano un ingenuo. Io so unacosa: che appena morto tutti hanno compresola grandezza <strong>di</strong> quest’anima... La cosache più mi meravigliava era il suo contattocon i poveri, con i lebbrosi, con i malati.Ricordo quando sono stato a Maritubacon lui, i malati non si accorgevano più<strong>di</strong> essere malati, c’era un tale spirito <strong>di</strong> serenità,<strong>di</strong> gioia nel vederlo, molto semplice,una festa tranquilla, serena, tra fratelli.La sua famiglia erano i malati, i lebbrosi:quando parlavi con lui <strong>di</strong> malati, <strong>di</strong>poveri, <strong>di</strong> lebbrosi, s’illuminava, si sentivache li teneva, nel cuore, erano una cosasola con lui”.Cos’è rimasto del dottor Can<strong>di</strong>anel Brasile dei poveri?Le trenta e più opere che la Fondazione Can<strong>di</strong>amantiene, fra le quali due conventi <strong>di</strong>clausura delle Carmelitane voluti da Marcello.Quello <strong>di</strong> Macapà è il primo nell’immensaAmazzonia brasiliana (13 volte piùgrande dell’Italia). Ma soprattutto è rimastoil ricordo vivo <strong>di</strong> un uomo buono, unmodello <strong>di</strong> vita cristiana e <strong>di</strong> amore ai poveri.Adalucio Calado prima che morisse,si commuoveva nel ricordare Marcello:26
“Il dottor Can<strong>di</strong>a non solo ci ha aiutati economicamentee con le opere sanitarie e sociali,ma ci ha voluto bene: in lui vedevamol’amore <strong>di</strong> Dio anche per noi lebbrosi,rifiutati da tutti”.Ho chiesto ad Adalucio perché gli ospiti dellacolonia <strong>di</strong> Marituba considerano MarcelloCan<strong>di</strong>a un santo. “Perché faceva tutto peramore <strong>di</strong> Dio. Non cercava nulla per sé matutto per gli altri, i poveri, gli ammalati,noi hanseniani. Era eroico nella sua donazioneal prossimo, commovente: lui ricco,colto e importante nel mondo, veniva aspendere la sua vita tra noi che non potevamodargli nulla in cambio. E non per unmotivo umano, altrimenti non avrebbe resistito,sarebbe rimasto deluso: ma solo peramore <strong>di</strong> Dio. Noi pensavamo: se lui è unuomo così buono, quanto più buonodev’essere Dio!”.Piero GheddoMese <strong>di</strong> maggio mese <strong>di</strong> MariaCREDO MARIANOCredo in Maria SS.ma madre<strong>di</strong> Cristoe perciò della chiesa.E ci credo fermamente,con tutta la mente e con il cuore.Credo nella sua maternità<strong>di</strong>vina, nella sua perpetuaVerginità, nella sua ImmacolataConcezione, nella sua missionecorredentrice, accantoal Figlio Redentore.Credo nella sua Assunzionee glorificazione celestein corpo ed anima; e in Mariaè immagine della chiesa e chedovrà avere il suo compimentonell’età futura ed eterna.Credo nella sua maternitàspirituale ed ecclesialee nella sua regalità reale,<strong>di</strong> misericor<strong>di</strong>a e <strong>di</strong> pace.Credo nella sua missione<strong>di</strong> Madre nella Chiesa,nella sua potente intercessione,per lo sviluppo della vitanelle anime.Credo nella sua presenza<strong>di</strong> amore accanto a ciascunacreatura, come madre,maestra <strong>di</strong> fede,ausiliatrice e me<strong>di</strong>atrice.Credo nel trionfo finaleed universale <strong>di</strong> Cristoe del Cuore Immacolato<strong>di</strong> Maria, nell’oggidella storia perchéquesta è la sua ora!La Madonnellader CantoneDecus et Presi<strong>di</strong>umIn arto, sur cantone, imporverata,d’un vicolo in quer de l’Esquilino,c’è sta ‘na madonnella addoloratae sotto ce sta scritto ner latino‘na frase ch’è mijore de ‘n sermonee che vordì: “decoro e protezione”.Tutt’è silenzio attorno, è Feragosto,è annata fora la popolazione,ner vicolo c’è sola e ha preso postodavanti a la Madonna der cantone,‘na vecchietta pe’ fa’ le devozzionirecitanno er Rosario e l’orazzioni.Poco prima ch’ariva la caciara,se sente la Madonna addoloratache <strong>di</strong>ce co ‘na voce bella e chiara,rivorta a la vecchietta, trasognata:“te ringrazio de core fija miad’avemme fatto bona compagnia”.27Elio Cesari(detto Cesaretto)LAMADONNINADER CORTILECe stà ‘n’immacolata ner tempiettoner cortile de casa, fra du’ pini,dove se po’ gioca’ puro ar carcetto;ma ‘na vorta, carcianno, i regazzini,arivò sur tempietto ‘na pallata,ruppe er vetro e sporcò l’immacolata.Scapporno i regazzini pe’ paurameno Simone, detto er piccoletto,c’annò da la Madonna e co’ gran curaer viso je pulì cor fazzolettoe <strong>di</strong>cennoje prima d’annà via:“Te chiedo scusa Madonnina mia”.Allora s’animò la Madonninapiena de luce come er Para<strong>di</strong>so,era propio der celo la regina,mosse le mani e co’ un ber soriso,fece co’ tanto amore e tenerezzasur viso de Simone ‘na carezza.Elio Cesari(detto Cesaretto)