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New Tabloid n°3 - Ordine dei Giornalisti

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L’inchiestaIl convegno organizzato dall’<strong>Ordine</strong> della LombardiaErrori e leggende sul buco dell’ozonoNon sempre la colpa è <strong>dei</strong> giornalistiOltre a un approccio corretto a questacomunicazione (e in generale della scienza,perché le regole valgono quasi per ogni altradisciplina scientifica) l’incontro organizzatodall’<strong>Ordine</strong> <strong>dei</strong> giornalisti della Lombardiail 10 maggio dal titolo “Comunicare il climache cambia” ha evidenziato come le “colpe”non siano sempre e solo dalla parte <strong>dei</strong>comunicatori. A parte alcune figure comeCaserini, che considerano loro compitodedicarsi alla divulgazione, infatti, non sonorari i casi di ricercatori che la affrontanocon estrema riluttanza. Le motivazioni sono molteplici, e vanno dallamancanza di tempo a quella di fondi, fino alla difficoltà per i ricercatoristessi di giustificare presso i responsabili dell’istituto di ricerca il tempodedicato a rispondere alle domande <strong>dei</strong> giornalisti o alla stesura dilibri e articoli divulgativi. È per questa ragione che da entrambe le partisembra necessario instaurare un rapporto più stretto tra comunicatoriin senso lato e ricercatori. Poiché come abbiamo visto questi ultimispesso non hanno tempo, interesse, ritorno o stimoli a comunicare, conlinguaggio comprensibile, sia ai giornalisti sia soprattutto al pubblico lecomplessità ma anche le certezze della loro disciplina, sono necessariespinte rilevanti da parte di tutti i portatori di interesse (dai giornalistiai parlamentari alle associazioni) che devono costringere i ricercatoria comunicare il più possibile. Superando prima di tutto le differenzefondamentali che esistono tra il linguaggio e l’attitudine del mondoscientifico e quello giornalistico: sono discrepanze che rischiano a voltedi impedire del tutto una comunicazione tra scienziati e giornalisti, equindi tra giornalisti e pubblico. In questa situazione la colpa non puòessere ascritta all’una o all’altra parte; solo una consonanza di obiettivipotrebbe superare il problema. Una collaborazione sempre auspicatama mai realizzata è necessaria anche per chiarire in pieno la notevoleconfusione che, nel pubblico ma anche tra i giornalisti, esiste ancorasul fenomeno del riscaldamento globale in generale. I ricercatori dannospesso per scontati alcuni dati che il pubblico non ha ancora chiaro:per esempio il fatto che l’effetto serra abbia molto poco a che farecon il cosiddetto “buco dell’ozono” (in realtà, un assottigliamentodell’ozono stratosferico, che un protocollo internazionale stalentamente cercando di correggere). I due fenomeni hanno cause etempi completamente diversi e, se la riduzione dell’ozono può esserecombattuta con politiche industriali piuttosto limitate e già in atto, nonsi può dire lo stesso del riscaldamento globale. Che necessita invecedi accordi almeno a livello <strong>dei</strong> Paesi industrializzati, ma che sarebbetotalmente risolto se il problema fosse ritenuto preoccupante da tutte lenazioni della Terra. Nonostante alcune dichiarazioni anche di ricercatori,le grandi catastrofi naturali non possono essere collegate con certezzascientifica al riscaldamento globale: persino per gli uragani (comeKatrina, che colpì gli Stati Uniti nel 2005) sono necessari decenni distatistiche per determinare che il loro andamento sia influenzato dalriscaldamento del pianeta.Previsioni del tempoo previsioni del clima?Il tempo, di cui si occupano i meteorologi,studia e fa previsioni a breveo brevissimo termine. Nessun meteorologoserio dirà mai quale saràil tempo nella prossima estate (aldi là di una temperatura più elevatadi quella invernale...) ma si limiteràa tre-quattro giorni. Il clima invecesegue variabili su scala decennale,a volte trentennale e oltre.Per questo i climatologi possonotranquillamente ignorare le variazionimolto rapide del tempo peraffidarsi alle tendenze di lungo elunghissimo periodo.Per la scienza del clima solo questeultime sono importanti, mentre levariazioni del tempo (sia localmentesia temporalmente limitate) fannoparte del rumore di fondo che puòessere ignorato. Così, chiedersi“Che fine ha fatto il riscaldamento?”dopo un inverno rigido o un’estatefresca significa non capire (volutamenteo meno) il fenomeno.A questo riguardo, cioè la brevissimascala temporale e la variazioniquasi istantanee, i climatologi rimproveranoai giornalisti di alternarevisioni allarmistiche ad altre tranquillizzantiproprio in concomitanzadi nevicate eccezionali, ondate dicaldo fuori dalla media o pioggetorrenziali.Questo tipo di notizie non fa cheinstaurare nei lettori un’incertezzache non gioca a favore dell’autorevolezzadel giornalista, né dellachiarezza del messaggio.Come per la differenza tra climae tempo meteorologico, probabilmenteil problema sta nelle diverseprospettive di scienza e comunicazione(in senso lato). Il giornalismo– secondo i mezzi di comunicazione– deve “inseguire” la notizia e quindicercare di comunicare discontinuitàanche minime in (quella che il giornalistaritiene sia) la realtà.Purtroppo la ricerca scientifica ten<strong>dei</strong>nvece a procedere con cautelae a smussare i picchi e le valli dellesituazioni climatiche in modo daavere un quadro più a lungo termine,basato più sulla visione della8 <strong>Tabloid</strong> 3 / 2012

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