SYNERGIA Sistemi di conoscenza e di gestione del cambiamento

icongiungimenti. Anche la popolazione giovanile era di dimensioni ridotte: i minorieritrei sono 120 e 127 gli under 21 (pari al 9,2% dei residenti eritrei).Al momento dell’indagine, essi vivono per lo più in casa con i genitori, non di rado infamiglie monoparentali in cui la madre si è fatta carico della cura dei figli ricorrendoa istituti per l’infanzia e collegi religiosi. Generalmente i figli non lavorano mentre igenitori sono attivi nell’ambito della collaborazione domestica, più raramente nelsettore degli autotrasporti, della ristorazione o del commercio. I giovani dispongonoquasi sempre di ottima competenza linguistica e sono bene integrati dal punto divista culturale; tuttavia, fin da bambini, la loro quotidianità sembra essere statacontrassegnata da elementi di sensibile differenza rispetto ai coetanei italiani: L’esperienza del collegio e della lontananza del genitore La percezione di sé come “diverso” in virtù dei propri caratteri somatici. Anchequando questa differenza non ha dato adito a episodi espliciti di razzismo, èrimasta sempre, agli occhi di tutti gli intervistati, come una nota di fondo presentein tutta la loro esperienza di vita in Italia (sensazione di essere “italiani a tutti glieffetti eppure diversi”).Proprio il vago risentimento per la propria “appartenenza negata” che costituisce illivello profondo della cosiddetta “estetica del ghetto” tipica di molte subculturegiovanili di matrice afro, funge in questo caso da catalizzatore e da fattoreaggravante. La vita sociale dei giovani eritrei, che si è sviluppata inizialmenteseguendo il doppio binario della socialità giovanile autoctona e di quellacomunitaria/religiosa, in seguito si è coagulata attorno a una socialità ristretta, chefa riferimento o al proprio in-group esclusivo (si sta tutto il tempo insieme ad altrieritrei) o a una più generica comunità di “esclusi” (altri stranieri, soprattutto se diorigine africana). Benché per alcuni giovani, soprattutto di sesso maschile, siaindubbio il livello di discriminazione innescata dal colore della pelle in una pluralità dicontesti quotidiani, è anche vero che raramente questa discriminazione sitraduceva in segregazione effettiva, specie nei confronti di persone giovaniestremamente ben integrate dal punto di vista linguistico e culturale. Sta proprio inquesto spaesamento il nucleo critico del disagio giovanile espresso dagli eritrei diMilano: la disillusione e lo sconforto che esso comporta tendevano a indebolireanche la progettualità rispetto al proprio futuro e potevano provocare derive versoforme più o meno gravi di emarginazione.I giovani eritrei sembravano muoversi un po’ a tentoni , ancora confusi e riluttanti difronte a una piena assunzione di responsabilità per la propria vita adulta eimpacciati da identità fragili, troppo condizionate da elementi estranei alla propriaesperienza di vita concreta. Raramente possono contare su un aiuto forte da partedei genitori, cui spesso mancano gli strumenti per affrontare il problema. Il datosaliente emerso da questa ricerca è che questi giovani avevano bisogno di nonessere lasciati soli: per scongiurarne l’emarginazione era di primaria importanzaindividuare strategie di coinvolgimento e di “rassicurazione” che potesseropermettere loro di trovare ancoraggi solidi per il proprio radicamento e l’avvio diprogetti di vita emancipati dall’immaginario “etnico” e calati nella propriaesperienza concreta di milanesi di origine eritrea.I giovanietiopiComponente storica e stabile del panorama dell’immigrazione straniera a Milano findagli anni ’70, anche per gli etiopi si configura da tempo una tendenza allastabilizzazione del flusso; nel 2000 i minori etiopi residenti sono 185, mentre sono 205 igiovani under 21 (pari al 15,8% dei residenti etiopi).Per i giovani etiopi vale in ampia misura quanto scritto per i giovani eritrei: l’unicoreale elemento di distinzione risiede forse, da un lato, nella maggiore incidenza delle6