La civilizzazione dei barbari La concezione integrazionista della ...
La civilizzazione dei barbari La concezione integrazionista della ... La civilizzazione dei barbari La concezione integrazionista della ...
zioni e specificazioni dell’agire per ruoli e introduce ulteriori specifichedifferenziazioni fra i soggetti.La scuola, già dall’inizio del suo livello di base, abbina immediatamentela funzione di socializzazione alla funzione di selezione, di differenziazionesociale.Nell’immagine parsonsiana, i bambini dovrebbero arrivare alla scuolaelementare tutto sommato abbastanza uguali tra di loro, con uguali opportunitàdi partenza.È importante notare che, cercando di adattare alla realtà empiricaquesta sua immagine di uguaglianza di opportunità, Parsons si rendeconto che già a 5-6 anni vi sono categorie di bambini appartenenti a diversigruppi sociali che sono tra di loro differenti e che arrivano allascuola con un diverso bagaglio di conoscenze, di competenze diverse edi destini diversi. Parsons in qualche modo sposta il problema sostenendoche, tutto sommato, l’idea dell’uguaglianza dei punti di partenzaall’inizio della scuola corrisponde alla realtà perché ogni scuola ha unbacino di utenza, cioè prende i ragazzi da un ambiente che è delimitato.E in genere questo ambiente, per come si sono costruite le città, risultaessere sufficientemente omogeneo dal punto di vista della stratificazionesociale. Per questa ragione, in ogni determinata scuola, si trovano ragazzisufficientemente uguali tra di loro, e quindi in grado di partire allapari nella gara per la selezione. È vero che le scuole sono strutturate inbase a stratificazioni sociali differenziata. Pensiamo ai nostri quartieri,diversi tra loro. Ma non è tutto così compatto. L’obiezione che si puòmuovere è questa: cosa succede della diversità tra una scuola e l’altra e,quindi, quando poi escono i prodotti di ogni singola scuola come ci riportiamoall’uguaglianza? Il problema è solamente spostato.La risposta finale a questa obiezione, che Parsons dà (almeno nei testisulla scuola), è di questo tipo: è vero che esistono ancora delle fortideterminanti sociali sulle abilità del soggetto che sono differenziate giànel momento in cui il bambino arriva alle elementari. Ed è vero che i ragazziche provengono da determinanti ambienti sociali privilegiati tendonoad avere migliori risultati scolastici degli altri. Però, dice Parsons,c’è nelle società democratiche, laddove la scolarizzazione è più diffusa,un nucleo centrale di soggetti che, pur provenendo da ambienti deprivati,hanno una riuscita pari a quelli che provengono da ambienti avvantaggiati.Oppure abbiamo soggetti che provengono da ambienti avvantaggiatiche non hanno riuscita. Questo autore osserva che questa quota74
“centrale” di soggetti che, per così dire, “incrociano” le risorse inizialicon la gara scolastica, è crescente nelle società democratiche. Quindidobbiamo preoccuparci proprio di garantire l’aumento di questa quotacentrale di soggetti che sfuggono al destino sociale, proprio grazie allascuola. E l’universalismo della società liberale-democratica sembrapromettere questo. Parsons dice che è di questa quota che noi ci dobbiamofare carico; e capire come mai è successo che quei ragazzi hannoraggiunto buoni risultati pur partendo svantaggiati. E, una volta capitiquesti meccanismi, la politica sociale deve preoccuparsi di aumentaretale quota sociale.Il suo modello, ripetiamo, pur volendo essere analitico-empirico, direalismo empirico, in realtà è in larga misura un modello progettuale enormativo. Rappresenta, cioè, quello che lui pensa che sia bene e comelui pensa che debba essere la società. Perché questo superamento deldeterminismo sociale, nell’immagine neo-liberista (della liberal-democrazia),è un superamento positivo, perché permette di raggiungere ilmito americano dell’“uomo giusto al posto giusto”. Che è, poi, il mitodi un soggetto che si libera dall’“ascrizione”. Quindi, in questo, Parsonsè pienamente l’americano del suo tempo. Ma occorre vedere poi, nelconfronto con la realtà, se poi è effettivamente vero che si è realizzatotale mito. Nel dopoguerra, fino agli anni Sessanta, il grosso del conflittodelle analisi sociologiche sull’educazione fu proprio incentrato su questoproblema: può, o riesce, la democrazia a sviluppare l’uguaglianza sociale?È vero che la scuola permette la mobilità sociale? E qui ci fu ilgrosso della presa di posizione da parte di chi aveva condotto delle ricercheempiriche su questo.Parsons, comunque, sostiene che la scuola parte garantendo uguaglianzadi punti di partenza, e parte accogliendo con continuità i bambiniche escono dalla famiglia e immettendoli in questo nuovo sviluppo.Parsons esprime e vede gli indicatori della continuità tra la socializzazionefamiliare e quella scolastica, e come dalla continuità si passa, amano a mano, a progressive differenziazioni per tappe che non sonomai “squilibrate”: la maestra-mamma nei primi anni di vita, in continuitàcon la madre, ma che poi introduce ad uno sviluppo ulteriore.Da quanto detto sinora si profila il policentrismo parsonsiano, che,come già detto, dopo decenni e alla luce dell’oggi possiamo definire ditipo “tradizionale”, nel senso che esso fa riferimento ad un insieme diagenzie alle quali l’intenzionalità’ formativa era riconosciuta ai tempi di75
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“centrale” di soggetti che, per così dire, “incrociano” le risorse inizialicon la gara scolastica, è crescente nelle società democratiche. Quindidobbiamo preoccuparci proprio di garantire l’aumento di questa quotacentrale di soggetti che sfuggono al destino sociale, proprio grazie allascuola. E l’universalismo <strong>della</strong> società liberale-democratica sembrapromettere questo. Parsons dice che è di questa quota che noi ci dobbiamofare carico; e capire come mai è successo che quei ragazzi hannoraggiunto buoni risultati pur partendo svantaggiati. E, una volta capitiquesti meccanismi, la politica sociale deve preoccuparsi di aumentaretale quota sociale.Il suo modello, ripetiamo, pur volendo essere analitico-empirico, direalismo empirico, in realtà è in larga misura un modello progettuale enormativo. Rappresenta, cioè, quello che lui pensa che sia bene e comelui pensa che debba essere la società. Perché questo superamento deldeterminismo sociale, nell’immagine neo-liberista (<strong>della</strong> liberal-democrazia),è un superamento positivo, perché permette di raggiungere ilmito americano dell’“uomo giusto al posto giusto”. Che è, poi, il mitodi un soggetto che si libera dall’“ascrizione”. Quindi, in questo, Parsonsè pienamente l’americano del suo tempo. Ma occorre vedere poi, nelconfronto con la realtà, se poi è effettivamente vero che si è realizzatotale mito. Nel dopoguerra, fino agli anni Sessanta, il grosso del conflittodelle analisi sociologiche sull’educazione fu proprio incentrato su questoproblema: può, o riesce, la democrazia a sviluppare l’uguaglianza sociale?È vero che la scuola permette la mobilità sociale? E qui ci fu ilgrosso <strong>della</strong> presa di posizione da parte di chi aveva condotto delle ricercheempiriche su questo.Parsons, comunque, sostiene che la scuola parte garantendo uguaglianzadi punti di partenza, e parte accogliendo con continuità i bambiniche escono dalla famiglia e immettendoli in questo nuovo sviluppo.Parsons esprime e vede gli indicatori <strong>della</strong> continuità tra la socializzazionefamiliare e quella scolastica, e come dalla continuità si passa, amano a mano, a progressive differenziazioni per tappe che non sonomai “squilibrate”: la maestra-mamma nei primi anni di vita, in continuitàcon la madre, ma che poi introduce ad uno sviluppo ulteriore.Da quanto detto sinora si profila il policentrismo parsonsiano, che,come già detto, dopo decenni e alla luce dell’oggi possiamo definire ditipo “tradizionale”, nel senso che esso fa riferimento ad un insieme diagenzie alle quali l’intenzionalità’ formativa era riconosciuta ai tempi di75