genti socializzatori cui questo autore fa riferimento sono i genitori e gliinsegnanti.Sarà chiaro più oltre come per Durkheim non sia tanto la famiglia,ma la scuola a dover formare questi uomini nuovi per la società moderna:è talmente capillare l’azione <strong>della</strong> società che anche i singoli genitori sonotenuti, quasi attraverso una sorta di ricatto di natura sociale, a osservarele norme sociali: se non le seguiranno, anche se essi non subirannole dirette conseguenze di ciò, “la società si vendicherà sui loro figli”.L’educazione non conformista data <strong>dei</strong> genitori, non importa se troppoavanzata o conservatrice, se si distacca dalla realtà è un’educazione chetornerà a detrimento delle nuove generazioni.A questo punto si profila nettamente il suo metodo di analisi: percapire sociologicamente che cos’è l’educazione, occorre individuare inogni determinata società quelle che sono le pratiche e le istituzioni attraversocui passa l’educazione delle nuove generazioni. Nella visionedurkheimiana, metodo sociologico è quindi quello che studial’evoluzione storica, diacronica di queste pratiche. Studiare sociologicamentel’educazione significa anche assumere un’ottica di comparazionetra i diversi sistemi sociali: confrontando fra di loro i sistemi educatividelle diverse società, anche rispetto allo stesso periodo di tempo, si possonocogliere gli elementi caratterizzanti un modello educativo di quelladeterminata società in quel determinato periodo storico.Quindi metodo storico e metodo comparativo risultano efficaci inquanto l’educazione è un insieme di pratiche concrete e visibili cheDurkheim studia come fatto sociale. Il focus non è quindi sugli effetti didetta educazione sulle menti e coscienze individuali – senz’altro elementiche a lui apparivano poco tangibili per il ricercatore – bensì su delle“pratiche”, e cioè fenomeni che sono evidenziabili, quindi descrivibili ecomprensibili nelle loro relazioni con altri fatti sociali.Considerando il punto di vista di questo autore risulta quindi piùchiaro il motivo <strong>della</strong> sua critica nei confronti di tutte le visioni del suotempo. In esse, a prescindere dalle loro diversità, individua un limitecomune: esse, a suo parere, si occupano soltanto di cosa, in generale,l’uomo “deve essere” in senso trascendentale, di come si deve comportare,e non tenendo conto <strong>della</strong> sua specificità storica.In termini più analitici, l’educazione viene poi definita come un processodi “trasmissione” (parola-chiave per comprendere Durkheim) dallagenerazione adulta a quella giovane di norme, di valori, di quelli che14
lui chiama stati fisici e stati intellettuali e morali (cioè norme come valori). Sinoti come, a tal proposito, le visioni contemporanee che vedononell’educazione un qualcosa che si costruisce assieme, tra agenti socializzatorie socializzandi (e che quindi possono anche essere “pari” traloro), risultino essere un ribaltamento rispetto a tale visione durkheimianadell’educazione come “trasmissione”da un adulto ad un giovane.Ciò risulta evidente, poiché secondo questo autore l’educazione non èaltro che il passaggio del “testimone” da una società ad un’altra, da unarealtà storica ad un’altra. Essa è costituita proprio da un insieme di praticheche si sono venute consolidando lentamente nel tempo. E sonoagenti socializzatori in quanto adulti, siano essi genitori (ma questi, comevedremo, possono farlo solo in misura ridotta) oppure insegnanti; essiinfatti sono la generazione che ha già fatto propri questi valori, norme estati mentali, e che quindi è in grado di trasmetterli ai giovani.I giovani sono immediatamente definiti come immaturi e quindi destinataridi questa trasmissione. In altri termini, il non essere integratisocialmente, il non saper ancora gestire, in maniera completa, valori enorme <strong>della</strong> società, equivale a non avere ancora responsabilità e maturità.Il giovane, in questa visione, è un irresponsabile: non sa bene cosa bisognavolere, non sa qual è il suo bene, non sa cosa desiderare, ed èl’adulto che, avendo raggiunto tale consapevolezza, definisce il percorsodi socializzazione.Tale posizione è molto rilevante soprattutto dal punto di vista <strong>della</strong>definizione sociale <strong>della</strong> diverse fasce d’età, in quanto definire il giovanecome irresponsabile e immaturo significa, evidentemente, due cose. Daun lato, porta a liberarlo da tutta una serie di doveri (ad esempio, nelnostro ordinamento giuridico fino a 18 anni non si è responsabili), a costruireuna sorta di “nicchia protetta” in cui tale soggetto può evolvereverso l’essere sociale (l’adulto). Dall’altro però significa anche sottoporlo,allo stesso tempo, ad una discriminazione, in quanto si creano dellepotenzialità di emarginazione per coloro che sono reputati immaturi eincapaci di decidere e di capire quale sia il loro bene.In sintesi, è la società stessa che definisce, attraverso questo processostorico, quali sono tutti gli elementi che vanno trasmessi alle nuove generazioni.Si nota subito come, in questa visione <strong>dei</strong> contenutidell’educazione, ci sia una strettissima connessione tra componenti cognitive,componenti valoriali e componenti normative. L’educazione, cioè, non è non15
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Rocher G. [1972], Talcott Parsons e