Scenari industriali n. 3, Giugno 2012CENTRO STUDI CONFINDUSTRIAl’organizzazione, nel<strong>la</strong> strategia e nel<strong>la</strong> gamma dei prodotti e processi e, come conseguenza, nel<strong>la</strong>dimensione. Ne sono coinvolti flussi di imprese meno rilevanti quantitativamente, ma pur sempreimportanti in quanto dimostrano non solo <strong>la</strong> vitalità del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> impresa, ma anche l’attitudinedi un numero minoritario di esse a spingersi verso sfide di mercato più difficili e più grandi.Quasi sempre, infatti, l’upgrading approda a modelli di business fortemente incentrati sui mercatiesteri e quindi sul confronto competitivo internazionale. Si è stimato che tali flussi coinvolganoil 25%-30% delle imprese, fino al 40-50% nel<strong>la</strong> <strong>la</strong>vorazione dei metalli e nelle <strong>la</strong>vorazionip<strong>la</strong>stiche.• Entro tale scenario, che nei vari settori è caratterizzato da continui mutamenti nel<strong>la</strong> strutturacompetitiva veico<strong>la</strong>ti dal passaggio ad altri modelli di business, si è dimostrato che il tasso di sopravvivenzapiù elevato è generalmente associato agli assetti costruiti su catene di valore complesse,che richiedono: capacità di presidio dei mercati internazionali; gestione dei marchi e del<strong>la</strong>forza commerciale; capacità di coordinamento dei subfornitori cui vengono esternalizzate alcunefasi produttive. Per contro, ai modelli di business semplificati (che richiedono minori competenzetecnologiche, produttive ed organizzative) sono associati i tassi più elevati di abbandono del mercatocome conseguenza di una chiara difficoltà a reggere il confronto competitivo.• Tuttavia, proprio lo spostamento da un modello di business all’altro, se da un <strong>la</strong>to è rappresentativodel<strong>la</strong> difficoltà di mantenere il mix di leve competitive originario di fronte ai cambiamentidel mercato, dall’altro dimostra un atteggiamento assai flessibile da parte delle imprese, pronte aripensare il modo di competere pur di non uscire dal mercato. E questa flessibilità è premiata dalfatto che il mutamento di modello aumenta <strong>la</strong> probabilità di sopravvivenza, soprattutto quandosi punta a semplificare l’organizzazione, <strong>la</strong>sciando i mercati internazionali, ridimensionando <strong>la</strong>struttura commerciale, trascurando i marchi, riducendo le fasi produttive realizzate.• I cambiamenti upgrading non solo sono più rari, ma accrescono meno le probabilità di sopravvivenzarispetto a quel che si osserva nei percorsi di downgrading. Come a dire che le impresecercano sì di affrontare sentieri di crescita ma spesso faticano, al di là del breve termine, a consolidarsinel nuovo assetto.• Questi esiti si intrecciano con il prevalere del<strong>la</strong> dimensione locale del mercato di sbocco per unagrandissima parte dell’universo del<strong>la</strong> picco<strong>la</strong> impresa, specie quel<strong>la</strong> che produce beni finali. Taledimensione somiglia a un rifugio, perché nei mercati locali le dinamiche competitive sono menocrude ed è richiesto un sistema di competenze organizzative e produttive più semplice. È, quindi,esso stesso il segno di una persistente difficoltà a diventare più grandi. Non basta cercare di crescereper tenere il mercato: occorre essere in grado di trasformarsi per diventare più robusti.• Tuttavia, di fronte al perdurare del<strong>la</strong> debolezza del<strong>la</strong> domanda interna, si riscontra di frequenteanche tra le aziende di piccole dimensioni un maggiore orientamento a cercare sbocchi all’estero.84
CENTRO STUDI CONFINDUSTRIAScenari industriali n. 3, Giugno 20123.1. Leve competitive, dimensioni del mercato di sbocco e resistenza delle impreseBasandosi sull’archivio di dati strutturali di SOSE riguardante le imprese con un fatturatoinferiore a 7,5 milioni di euro, sono stati approfonditi due aspetti specifici.Anzitutto, in quale misura <strong>la</strong> partico<strong>la</strong>re combinazione di leve competitive (sul piano produttivo,commerciale e organizzativo) rappresentata sinteticamente da ciascun modello dibusiness condizioni <strong>la</strong> dimensione dei mercati di sbocco e conseguentemente influenzi il livellostesso di competizione con cui confrontarsi. Ciò significa verificare se (e con quale intensità)a modelli di business semplificati corrispondano mercati di riferimento ristretti,per lo più locali. E, viceversa, se a modelli complessi faccia riscontro <strong>la</strong> capacità di presidiaremercati più lontani, attuando scelte strategiche in grado di rispondere alle logiche concorrenzialidei mercati internazionali in termini di marketing, delocalizzazione e strutturacommerciale.In secondo luogo, se e quanto il modello di business adottato dall’impresa costituisca unvincolo al<strong>la</strong> probabilità di sopravvivenza sul mercato, nel breve così come nel lungo periodo.Ciò consente di capire come <strong>la</strong> forte propensione rilevata in ciascun settore versofrequenti mutamenti di modello da parte delle imprese possa agevo<strong>la</strong>rne o meno <strong>la</strong> permanenzasul mercato, se non, addirittura, consolidarne <strong>la</strong> capacità di competere. A questofine viene verificato: a quali condizioni <strong>la</strong> transizione tra modelli differenti riesce ad accrescere<strong>la</strong> probabilità di sopravvivenza e in quale orizzonte temporale; se in tali percorsil’adozione di uno specifico modello si riveli più efficace di altri; se abbia maggior successo<strong>la</strong> transizione da strutture più complesse del<strong>la</strong> catena del valore a strutture più semplici oviceversa.Questi due aspetti sono tra loro interconnessi: posizionare l’attività di un’impresa in unadimensione locale piuttosto che nazionale o internazionale del mercato sottintende, infatti,profili di competenza ed organizzativi alquanto differenti. Semplificando, c’è da attendersiche modelli di business evoluti, dove il valore creato dall’impresa è funzione sia dell’innovazionetecnologica sia dello sfruttamento di risorse immateriali quali <strong>la</strong> forza commercialee l’impiego di marchi di prodotto sia dell’abilità a flessibilizzare i costi di produzione,possano più efficacemente sostenere <strong>la</strong> concorrenza dell’impresa sui mercati internazionalie, più in generale, garantirne <strong>la</strong> sopravvivenza anche nel lungo termine. Al contrario, <strong>la</strong>focalizzazione su vantaggi competitivi fragili e facilmente imitabili, che spesso si riscontranonegli approcci al mercato di tipo artigianale e/o meno strutturati, dovrebbe limitarel’ambito operativo dell’impresa a dimensioni locali, in quanto a questo livello sono più facilmentecontrol<strong>la</strong>bili a costi contenuti le dinamiche del<strong>la</strong> domanda e le esigenze del<strong>la</strong> cliente<strong>la</strong>e <strong>la</strong> concorrenza si gioca principalmente sul fattore prezzo e su una sca<strong>la</strong> limitata diproduzione. Al tempo stesso, questi fattori non si rive<strong>la</strong>no sufficienti a porre in modo du-85
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