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FLAVIAFOLCO E ILSUO “OMAGGIO ALSANTUARIO” - Villa Cambiaso

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villacambiasoDIMORA STORICA • MUSEO CAMBIASO • ASSOCIAZIONE D’ARTE, CULTURA E COLLEZIONISMOPubblicazione di informazione, arte e cultura • N. 8, luglio-agosto 2001 • Reg. Trib. di Savona, reg. period., n. 519/2001 • Sped. in a. p. art. 2 comma 20/C, legge 662/96 SavonaDirettore editoriale: Pio Vintera • Direttore responsabile: Ferdinando Molteni • www.cambiaso.3000.it • cambiaso@freemail.it • tel. 019822546 • fax 019806657Editore: Editoriale Darsena • Direzione, redazione e amministrazione: via Torino 10, Savona • Stampa: Cooptipograf, c.so Viglienzoni 78r, Savona • Stampato e distribuito in 4000 copiePiccoli equivociGLI UOMINIIN NEROLa leggenda degli Uomini in Nero fumessa in giro negli anni Cinquanta daun impiegato del Connecticut, Albert K.Bender, appassionato di ufologia. Aipersonaggi, celebrati nel libro di GrayBarker They knew too much aboutflying saucers, è stato recentementededicato un divertente film (M.I.B. MenIn Black) con Tommy Lee Jones e WillSmith, ma in Italia sono noti da tempoai lettori di fumetti per essere i nemicipiù pericolosi di Martin Mystére, il fortunatocharacter ideato da AlfredoCastelli.Gli Uomini in Nero hanno essenzialmenteuna funzione: eliminare dalla facciadella Terra ogni cosa che possasconvolgere il normale procedere dellaStoria: via tracce di vita extraterrestre,al bando invenzioni capaci di modificarelo status quo, al rogo pensatori visionari,profeti o dinosauri scampati all’estinzione.Tutto deve procedere lentamente,senza strappi né scossoni.Nella nostra città, di Uomini in Nero necircolano numerosi. Si occupano diostacolare progetti e idee, mortificareambizioni, affossare buoni propositi,placare entusiasmi. Occupano le rubrichedelle lettere dei giornali, si insinuanoin commissioni e comitati, fondanoorganismi dai nomi altisonanti che quasisempre rappresentano soltanto loro.Polemizzano con le pubbliche amministrazionirimproverando disattenzionealle istanze della collettività, minaccianoastensioni o spostamenti di voti.Sono, al contrario dei simpatici TommyLee Jones e Will Smith, difficili da individuare:non vestono sobri completi nericon sottili cravatte e non indossanoocchiali scuri. Troppo eleganti?Ferdinando Molteni✳ Eventi a <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong> ✳Settembre 2001“Omaggio al Santuario” di Flavia Folco7-12 settembre6 artisti di Garlenda14-21 settembreEdoardo AudissoneEnnio BestosoVincenzo De RosaGiovanna OregliaHans KrautkrämerRiccardo Ziegenbalg“P” come Persona e PesaggioOpere di Rita Spirito e Chiara Coda22-28 settembre6 artisti di Garlenda29 settembre-5 ottobreMaria Rita BesagnoSandra CavalleriAnna CortiIrene FerreroAntonella FranchiGraziella Morchio15-29 dicembre 2001PICCOLO FORMATOCOLLETTIVA DI NATALEAtrio di <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>Immagini di case, fiori, volti e Madonnette, con la Crocetta recuperata da Rosanna Venturino, a <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>, dal 7 al 12 settembreFLAVIA FOLCO E IL SUO “OMAGGIO AL SANTUARIO”Tante opere che sono — scrive Flavia Folco — «“attimi” di emozioni, in bianco-nero o colori, che il “vero” della mia Valle mi ha donato in tanti anni di complice intesa».Non è una mostra, non sono quadrie non ci sarà sorpresa alcuna:semplicemente cento fogli“attimi” (o poco più) di emozioni, inbianco-nero o colori, che il vero dellamia Valle mi ha donato in tanti anni dicomplice intesa. Soltanto una parte,tirata fuori con molta riluttanza e trepidazionedalle straripanti cartelle ancoragonfie di centinaia di disegni, altri dellavalle e della lirica ascoltata, dai viaggiin tutta Italia e un po’ in tutta Europa,Cina, India, Usa (e di foto — tante —sfociate per quel che attiene alla valle,nei quattro documentari sul fiume, lecase, la strada con le nove cappellettevotive, la Crocetta). Il vero della miavalle: i volumi, gli spazi, le case isolate,abbinate, inglobate in nuclei, abbarbicatealla roccia, distese sui pianori,sui declivi, tra le fasce… vecchie, piccole,povere, le scalette esterne, i cessettisporgenti, i poggioli, tetti grigi diardesia accanto a quelli rossi di tegole,i comignoli, le canne fumarie e gli intonaci;sfumature del rosa, del giallo, dell’ocra,le “bucature” listate di bianco acalce, le cubiche, le allungate a unpiano, a due, le rurali e quelle “a lista”lungo la strada e lungo il fiume e le“quasi” villette, quelle con qualche pretesain più, le ville di gusto genovesedell’età barocca, i palazzotti più spavaldamentein mostra, emergenti, conaccanto, più nascoste, le casette deimanenti e le ville dipinte per la villeggiaturadei savonesi dell’800; nelle borgateprima e dopo la piazza delSantuario, ognuna con il proprio profilo,la propria fisionomia, tra le curvedei sentieri, i boschetti e più su, lecascine, i cascinotti e “i ciabot” dellaValle Alta: le forme, i colori, l’intornodi ognuna, immerse tutte nel nemusdella nostra storia travagliata conGenova…Per me ognuna è una storia e la storiadi ognuna io la so. E di chi vi è vissutodentro, dal tempo della mia infanziafelice, trascorsa con loro… poi su-su…le loro e le mie vicende ora liete ora tristi,si sono intrecciate: gli anni dellaguerra tutti a convivere con gli “sfollati”dalla città, le colorate primavere, leafose estati, i languidi autunni. Questecase che ho raccontato sui fogli e collequali mi sono raccontata le ho amate ele amo tutte.Le case: aa Fulla, ai Giibuin, au punteda crava, au Serei, Sutturiva, dall’asiluvegiu, ai Guernei, aa Pallaiella,Pessarvea, ai Mainnchi, ai Peusi, a càde Barbè, ai Bagni, au Tremmu, auCiappò, ai Botta, dau Massaia e la suagente: u Barigu, u Crìa, u Cè, iSarveghi, u Trun de Diu, u Furmagetta,a Benarda, u Pullu, i Baicette, a Bariga,u Paciarinu, u Sciamin, u Fracassin…Quanto ho scritto sulle vicende dellavalle, sugli abbandoni, sui ritardi, sullepromesse non mantenute; ho volutoesaltare i segnali di cambiamento, crederee far credere in progetti ventilati…le idee coraggiose degli anni precedentiil quattrocentocinquantesimo anniversariodell’apparizione (il mio piccolosogno di far rivivere la meridiana dellapiazza l’ho realizzato), idee cadute unaad una nel “quasi nulla di fatto”. Hogridato la mia rabbia e tutto il doloreper la profonda ferita della rovinosainondazione del settembre 1992, hosottolineato i corretti restauri della facciatadella chiesa, del campanile, dellafontana, la riapertura del Tesoro, laFlavia Folco, Fiori, 2000Flavia Folco, Cimavalle, 1985creazione del Museo dei Tessuti Sacri(per il quale mi sono impegnata anchesponsorizzandolo) quel primo pianodelle Azzarie che doveva essere anchelaboratorio di restauro, vivo, aperto…ed è rimasto e continua ad essere —ahimè — tristissimamente sempre chiuso.Ho alimentato, in questi ultimi anni,con rinnovato fervore, qualche illusionein più, ho sperato per le nostre stradee stradine e sentieri, finalmente utilizzandoquelle strutture (palazzi, istituzioni,servizi) abbandonate al degradoda troppi decenni (resta difficile giustificarei responsabili che pure ci sono eche la Valle conosce), non utilizzate,mai finite o “pronte” ma di nuovoabbandonate, eppur così attese per soddisfaresacrosante necessità della città,dei savonesi… Ho sperato e ho disperato“intorno e dentro” il tema della valorizzazione,delle potenzialità (tante evarie) di quel paesaggio, alberi, orti,vigneti… per il Letimbro e la suaacqua… per quelle case, casette, villette,villini… per quella piazza splendidascenografia dove far vivere teatro emusica. E per il ritorno in dignità al“come erano”, delle nove cappellettevotive… E per la “Crocetta”, il nostrogioiello, l’originalissimo prisma ottagonalesulla viva roccia, lassù, dove siarriva con un impervio, scosceso percorso.E proprio la Crocetta ho volutofortissimamente fosse qui (e ci sarà) inquesto incontro, dentro questa fascinosadimora con i tanti amici che amano(non da ieri soltanto, ma da sempre,vivendola) questa valle… e la suagente... La Crocetta mostrerà la suarinascita documentando le varie fasidegli intelligenti, scrupolosi interventi(responsabile l’architetto RosannaVenturino) resi possibili dai finanziamentidegli sponsor — Lions Torretta eLions Savona-Host —, ai quali non mistancherò di ripetere il mio grazie… dalprofondo.Accanto ai fogli delle case, troverete ifogli dei volti, ritratti rapidissimi, fuggevolidi angelici, radiosi bambini, didolci, trasognate adolescenti, tutti dellaValle nel tempo, negli anni. Del Luigi(u Babollu), degli zii e del nonnoLavagna, di Marinin la centenaria, di“quella Lilly” regina dell’indimenticabilenegozio dove si trovava di tutto…du Sistu, di Romolo… E poi la festosacarrellata dei fiori, il trionfo di centosfumature del colore, di ritmi, di accordi,di linee sinuose (come per i ritrattici sarà posto solo per una esigua rappresentanza).Anche questi fogli fruttodi “attimi” (o poco più), della gioia diessere parte di quella natura, di questaterra grama e avara e aspra, di questoluogo “selvaggio e romito” (così lovide G.V. Verzellino), dove sono nata.Sono centinaia i disegni delle erbe,foglioline, i ramoscelli, i fiorellini deiprati della Valle — quella bassa, quellaalta —, dei giardini davanti, intornoalle nostre case, i mazzi dei fiori dell’estatee delle fioriture delle altre stagioni,del mio giardino dove era il mulinodei miei avi per la nostra ceramica.Lungo i decenni ho continuato a guardarli:io lo so, non sono capace a resistere,anche domani tornerò a raccontarmeli,questi fiori…Fate, per ultimo, con me, l’itinerario diimmagini della nostra Madonna “iterpara tutum”: delle foto delleMadonnette della Valle, scattate daManfred e da me, per il censimentocommissionatomi dal Comune. Contutte quelle sulle strade della città sonodiventate il libro strenna del Natale1997 e, anche, un audiovisivo. Sono lefoto delle statuine di ceramica, dimarmo, terracotta, gesso, nelle nicchiettee delle piastre, tondi, formelledipinte in bianco-blu, a colori, dei bassorilieviche testimoniano della pietasdei santuariesi: più di una sicuramentetra le più antiche della città e datate;parecchie della seconda metà dell’800e del primo 900: tre piastre (due a bassorilievoe una dipinta) sono della fabbricadi mio nonno Antonio con alcunestatuette maiolicate del Botta. Moltesono uscite dalle fabbriche in annirecenti, di Savona e di Albissola. A tuttiFlavia Folco, Ai Marenchi, 1986noto l’originale, prezioso altorilievo inpietra serena a Lavagnola, di RenataCuneo.Accadrà il miracolo che aspetto in questaoccasione di incontro “speciale”,che ho voluto malgré-tout: tra i tantiamici-artisti troverò chi generosamente(io ho, pronta, la mia statuina) si offriràe sceglierà una delle nicchiette tristissimamentevuote, su questa strada “adDeipare Templum”, per adottarla e“animarla” con una propria interpretazionedella miracolosa apparizione alcontadino della nostra Valle?Una sintesi — questa rassegna — dellamia attenzione privilegiata (posso usareFlavia Folco, Fiori, 1999ancora una volta la parola “amore”?)per la Valle della mia vita, che vuoleessere soltanto e niente di più che unOmaggio al Santuario. Vogliamo, tuttiinsieme, in queste favolose sale, davantia queste case, volti, fionri eMadonnette, proporci di rilanciarla,“questa Valle”, nelle sue potenzialità,come polo religioso di fede e di preghiera,ma anche di cultura multidisciplinare,ma anche turisticamente, per lemolteplici possibilità del suo quasiincontaminato paesaggio di verde, ditanti verdi, con una corretta, miratavalorizzazione (ma moderna, per favore,anche “coraggiosamente audace”)per offrirla, per consegnarla ai savonesidi domani?Flavia Folco


Intitolata all’ingegnere bergamasco, ministro del regno di Sardegna, che si prodigò per far giungere la ferrovia a SavonaBREVE STORIA DI VIA PALEOCAPAFu costruita per collegare il mare con la stazione ferroviaria. Rappresentò una svolta nella vita cittadina dell’800Palazzo Carlevarino e Ciarlo (1871) in un rilievo di Giovanni GallottiVia Paleocapa, è oggi una dellestrade più importanti dellacittà di Savona. È dedicataall’ingegnere, di origine bergamasca,che nacque nel 1788 e morì nel 1869,ministro dei Lavori Pubblici delRegno di Sardegna che dedicò aSavona la sua attenzione, per farvigiungere la ferrovia.Gli amministratori del Comune,quando decisero, nel 1861, di dedicarglila strada di accesso alla stazione,che allora non era ancora statacostruita, vollero ricordare il suointeressamento per la città ligure.L’intitolazione a Pietro Paleocapa fuconfermata nel marzo 1867, quandoil Consiglio Comunale decise i nomidella maggior parte delle strade delcentro ottocentesco. All’ingegnerebergamasco, fu dedicata, anche, unadelle più importanti piazze della città,che divenne piazza Mameli solo nel1911.Il Primo Piano Regolatore di Savona,fu approvato nel novembre del 1856,prevedeva l’espansione della città tral’attuale via Manzoni ed il torrenteLetimbro. Fu la conclusione di lunghidibattiti e di ampie discussioni, che sisvolsero tra i cittadini e tra gli amministratoridel Comune, iniziate alcunidecenni prima.Il Piano del 1856, non entrò mai invigore, perché non teneva conto dellaposizione della stazione, che non eraancora stata decisa dal Governo. Leopinioni che ebbero maggior seguitoa questo riguardo, furono tre. Vi erachi voleva la stazione sulla spondadestra del Letimbro, dove saràcostruita solo negli anni Sessanta delNovecento, chi la voleva sulla spondasinistra, e chi la voleva in prossimitàdelle banchine del porto, perfacilitare il carico e lo scarico dellemerci.Alla fine il Governo, al quale spettavala decisione, decise di costruire lastazione sulla sponda sinistra, era ilfebbraio del 1863.Il Piano Regolatore del 1856, che nonprodusse mai, nei fatti, nessun effetto,fu modificato dopo la decisionedel Governo e nel luglio del 1865, fuapprovata la cosiddetta “VarianteCorsi”, dal nome del sindaco di allora,Luigi Corsi, che disegnò laSavona dei futuricinquanta anni.Via Paleocapa eraprevista come ilprincipale asse dicollegamento tra lacittà antica e lanuova stazione ferroviaria.Iniziavadove oggi si troval’incrocio tra la viastessa e via Pia,per concludersidirimpetto alla stazioneLetimbro, inasse con il centrodell’edificio ancorada costruire. Futracciata seguendoun vicolo che esistevain precedenza,il vico delMolino, che uscivadall’omonima porta del Molino esi dirigeva verso il torrente.La prima ferrovia giunse a Savonanel maggio del 1868, proveniente daVoltri e la città fu così collegata allarete ferroviaria italiana. Per vedergiungere il primo treno daVentimiglia, bisognerà attendere il1872 e per il collegamento conTorino il 1874.La prima stazione, fu una semplicebaracca di legno, lunga una ventinadi metri, che rimase in funzione sinoal 1883, per ben quindici anni, creandomalumori e scandalo, rilevati puntualmentedalle proteste dei giornalidell’epoca.Solo nel 1878, fu progettata laLetimbro in muratura, che entrò completamentein funzione, con l’edificioed una grande tettoia che copriva iprimi tre binari, nel 1883. Non vi funessuna cerimonia per l’inaugurazione,lo scandalo della baracca dilegno, suggerì a tutti di evitare l’enfasidi un avvenimento che avrebbedovuto svolgersi quindici anni prima.Con la costruzione della stazioneLetimbro, via Paleocapa ebbe così ilsuo tradizionale sfondo, che laaccompagnò per quasi un secolo,sino alla primavera del 1980, quando,con una scelta oggi ritenuta da tuttisbagliata, la Letimbro fu demolita.Il primo tratto di via Paleocapa, tra lapiazza del Popolo e l’incrocio con viaPia, fu dunque tracciato subito dopol’approvazione della “Variante Corsi”nel 1865. Gli edifici che le fanno dacontorno, sempre nello stesso tratto,furono costruiti negli anni successivi.Il Regolamento di Ornato, approvatoinsieme con il Piano Regolatore, stabilìnei dettagli le caratteristiche deipalazzi e dei portici. Questi ultimi, inparticolare, avrebbero avuto una larghezzadi cinque metri ed un’altezzadi sette. Costituivano una sorta dipercorso coperto, formato dai porticie dai cavalcavia, che da via Pia, giungevasino alla stazioneferroviaria. Iviaggiatori, avrebberocosì potutodalla stazionegiungere in centro,o viceversa, alriparo dalle intemperie.L’unico incrocioche non fu ricopertodai cavalcavia,fu quello travia Paleocapa ecorso Italia, alloraPrincipe Amedeo,per rimarcare idue assi principalidell’espansionedella città ed illoro punto diincontro.Gli edifici chesorsero lungo il primo tratto dellastrada, tra piazza del Popolo e l’incrociocon via Pia, furono costruititra il 1868 ed il 1879. I primi furono,nel 1868-69, il palazzo Tissoni, travia Paleocapa, corso Italia, viaBattisti e piazza Mameli, ed il palazzoDe Mari, tra via Paleocapa, corsoItalia e via Au Fossu. L’ultimo, fu ilpalazzo Fontana e Giuria, addossatoall’oratorio del Cristo Risorto, che fucostruito nel 1879.La strada terminava allora in questazona, perché l’attuale via Pia, continuavae si saldava all’attuale viaMistrangelo, con un fronte compattodi edifici. In quel punto, iniziaval’antico quartiere del Monticello, chesbarrando la strada a via Paleocapa,giungeva sino all’attuale piazza LeonPancaldo.Gli edifici del primo tratto di viaPaleocapa, rappresentano bene ilmodello del palazzo della buona borghesiadell’epoca. In quegli anni erain voga quello che fu chiamato lostile eclettico, che riprendeva imodelli decorativi delle epoche passate,e li adattava all’Ottocento. Sipossono così vedere, nelle decorazionidei palazzi, richiami alRinascimento, come nel palazzo DeMari o in quello tra piazza del Popoloe piazza Mameli, lato nord (Astengo,Fontana, Lavini e Aonzo) od al romanico,nel palazzo Becco, che si trovatra piazza del Popolo e piazzaMameli sul lato sud.Tra gli esempi più belli di decorazioneeclettica, si può citare il palazzoSassi, tra piazza Mameli e corsoItalia, sul lato sud. Il palazzo Tissoni,tra piazza Mameli e corso Italia, latonord, è invece completamente privodi apparato decorativo, sia in stuccoche ad affresco e presenta una pareteliscia. In questo caso era prevista,come si ricava dalla documentazioned’archivio, una complessa decorazionead affresco, che non fu mai realizzata.Gli interni, si presentano con vani daisoffitti affrescati o decorati a stucco esottolineano la condizione agiata,della borghesia ottocentesca, che aSavona era rappresentata dalla classeimprenditoriale che aveva dato allacittà il suo apparato industriale. Unbel miglioramento, rispetto agli spaziangusti ed ai lotti ristretti della cittàmedioevale, che aveva in via Pia, lastrada di maggiore interesse.Giovanni GallottiPio Vintera, Via Paleocapa, 1984, cm. 100x400 (Collezione Amministrazione Provinciale di Savona)La morte del docente di materie letterarie del “Chiabrera” ha colpito profondamente chi lo conoscevaRICORDO DI LUIGINO RAVERAColtissimo, amava la musica classica, ma era anche un tenace rappresentante sindacaleLa morte del noto fotoreporterADDIO CHECCOScrisse anche un libro di poesieQuando scompare un amico, le parole a poco servonoed è difficile trovare quelle giuste. Il professorLuigi Ravera, docente di materie letterarie,latino e greco al liceo-ginnasio “Chiabrera”, era pertutti semplicemente “Luigino”, e quel diminutivo ne sottolineavala grande semplicità e bontà d’animo, che sirifletteva nella pacatezza del suo sorriso.Una mai sopita vigorìa intellettuale affiorava dietro lasua connaturata modestia. Aveva una cultura vastissima,che mai però ostentava. Studente ginnasiale, fu l’unicoche mai riuscì a prendere 10 di tema con la severissimaprofessoressa Betti. Un curriculum completo di studiclassici unito a una straripante dose di bonomìa e saggezzane facevano un personaggio unico e indimenticabile.Ma celava anche un’insospettata tempra di difensoredei diritti democratici nel mondo della scuola: le suescelte erano sempre coerenti e portate sino in fondo.Quale attivissimo membro direttivo dei Cobas, la suaopera tenace per organizzare ed espandere questo sindacatodi base resterà sempre un punto di riferimento pertutti gli iscritti e i simpatizzanti. Le nostre discussioni suscuola, politica, sindacato sfumavano spesso per lasciarposto alla comune passione per la musica classica, di cuiera grande conoscitore (non perdeva mai un concerto edera un assiduo frequentatore di <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>).«Sol chi non lascia eredità di affetti / poca gioia ha nell’urna»,canta il vate dei Sepolcri. Luigino Ravera se n’èandato così, in punta di piedi, schivo e modesto come hasempre vissuto; ma ha lasciato nel cuore di parenti,amici, colleghi e di generazioni di allievi un mare diaffetto e simpatia che scalderà per sempre la sua immaginedi uomo profondamente mite e buono.Ave atque vale, Luigino!m. p.Viviano Checcucci, leggendario fotografo de “Il SecoloXIX” di Albenga se n’è andato. La sua avventura professionale,delineata con commozione, sul Decimonono,da Marcello Zinola, aveva preso il via dalle Terme diMontecatini, dove Checco aveva conosciuto stelle delcinema, della politica, della finanza.Ma Viviano non era soltanto un fotoreporter. Era, a suomodo — o, meglio, in quel modo che è tipico dei toscaniautentici — un poeta. E la poesia l’amava e la declamava(fossero terzine dantesche o il “processoSculacciabuchi”) ma anche la scriveva. Alcuni suoicomponimenti sono raccolti in un volumetto, Un clicksulla vita che ebbi il piacere, insieme a Zinola e ad AnnaCamposeragna, di curare. Sono versi semplici, ingenui,ma ricchi di umanità e di un profondo, appassionatoamore per la vita. Esattamente come il suo autore.f.m.2


Grande successo della XIII edizione della rassegna “Concerti di Primavera” svoltasi a <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>LE MEMORABILI SERE DI MUNCH E ATTANASIUIl pianista tedesco ha proposto un esaltante programma neoromantico, “standing ovation” per la violinista rumenaIl pianista Martin Munch durante l’esibizione a <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>La XIII edizione dei Concerti di Primavera, organizzati dall’associazione musicale “Dioniso” con direzioneartistica di Cinzia Bartoli, rimarrà a lungo nella memoria del numeroso e attento pubblico intervenutoa <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>.Si è aperta il 3 maggio con l’esibizione di Norma Raccichini, giovane e affascinante soprano di coloratura cheha cantato con brio e garbo romanze di Bellini, Donizetti e Verdi, accompagnata al piano da LeonardoAngelini.È stata poi la volta del simpatico Trio Hemiolia (Stefano Lo Re violino, Livia Rotondi violoncello, ClaudiaDe Natale pianoforte), che ci ha fatto scoprire uno Schubert e uno Schumann passionali e trascinanti.Sabato 12 maggio il concerto del pianista Martin Munch, nativo di Francoforte, è stato un vero e proprio“evento”, salutato da calorose ovazioni del pubblico. Il baffuto e cordiale musicista (che è anche docente diMusicoterapia) ha sviscerato un esaltante repertorio di stampo neoromantico (Skrjabin, Reger, Albèniz,Ravel); ma il “clou” è stata l’esecuzione di un brano dello stesso Munch a luci spente, che ha creato un’atmosferadi grande suggestione e ha rimarcato la sua eccezionale perizia tecnica unita a notevoli doti creative:Munch è veramente un “mostro” nel senso latino del termine, cioè un prodigio di bravura!Il 16 si sono esibiti Antonella Pistoi all’oboe e Simone Valeri al cembalo: due strumenti antichi, dal suonofascinoso ed evocatore. Musiche di Haendel, Telemann, Pasquini, Zipoli, Vivaldi. Il 19 Uberto Martinelli alpianoforte, con un tipico repertorio romantico (Ciajkovskij, Wagner, Listz) e impressionistico (Debussy):grande atmosfera e successo assicurato.Poi un trio: Claudio Conti al clarinetto, Aldo Maria Zangheri alla viola e Augusto Balestra al pianoforte, conbrani di Mozart, Schumann e Reinecke, cui è seguìto un duo di pianisti: Ilaria Costantino e Nico AntonioPintus, che ci hanno fatto assaporare a quattro mani pezzi di Ravel, Debussy e Satie.Il 29 maggio un concerto che ha visto la partecipazione della violinista rumena Lenuta Ciulei Attanasiu, vincitricedel “Premio Paganini” 1976, virtuosa a livello mondiale. Il suo violino ci ha donato emozioni indimenticabilicon Bach, Tartini, Paganini, Saint-Saens e Ravel, accompagnata al piano da Cinzia Bartoli. “Standingovation” da parte del pubblico e numerosi bis.Lo “spazio giovani” ha avuto come protagonista nella prima parte l’Ensemble chitarristico savonese diretto daDario Caruso (solisti Francesca Ghilione e il baritono Alessandro Mallone) e nella seconda parte la tredicenneromana Susanna Piermartiri, semplice, graziosissima pianista di grande talento e sicuro avvenire.Sabato 2 giugno il concerto di chiusura, col bravo pianista Luciano Lanfranchi che ha eseguito l’integrale deivalzer di Chopin.Insomma: un bilancio tutto positivo, con due “performances” straordinarie quali quelle di Martin Munch eLenuta Ciulei Attanasiu; ma per tutti applausi, bis e richiesta di autografi. Una bella soddisfazione per CinziaBartoli, per Pio Vintera che ha messo a disposizione <strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong> e ha presentato le serate, per il pubblicoche ogni volta ha riempito il magnifico salone delle feste facendo registrare il “tutto esaurito”. Nell’ intervallotra la prima e la seconda parte di ogni concerto, chi voleva poteva scendere a visitare le mostre dei pittori euna rassegna permanente di pubblicazioni di autori locali iscritti all’associazione “Museo <strong>Cambiaso</strong>”.(Fotografie di E. Venier e F. Didino)La violinista Lenuta Ciulei Attanasiu riceve il saluto di Pio VinteraMarco PennoneLeonardo Angelini, Emanuela Venier, Norma “Raggi” Raccichini, Pio Vintera, Cinzia BartoliPio Vintera, il pianista Luciano Lanfranchi e Cinzia BartoliL’amicizia e la collaborazione dei due maestri rivocata da un testimone d’eccezione: l’artista Mauro MalmignatiFABBRI E ROSSELLO, NUOVAMENTE INSIEME«Erano due esistenze parallele — scrive Malmignati — anche se di carattere totalmente diversi». Rossello, come Virio, ha attraversato la vita con levità, leggerezza, modestia e garboÈimpossibile parlare di Agenore Fabbri senza citareMario Rossello: erano due esistenze paralleleanche se di carattere totalmente diversi: toscanodi provincia Fabbri, ligure “addolcito” Rossello.Fabbri: verboso , incazzoso, abbaiante, viscerale cometutti gli espressionisti, anche nella vita di tutti i giorni equindi, la sua produzione artistica, non poteva che essereespressionista anche nella dimensione astratta, quellache qualcuno ha chiamato informale (basta notare laforte incisività del segno con cui interveniva sulla“forma informe”). Raccontava il suo modo drammaticodi “sentire” il mondo: non ha mai rappresentato un animalesereno oppure felice, insieme o senza l’uomo, raramentecoglieva dalla vita di tutti i giorni l’aspetto buffoe comico.La vicinanza di artisti come Fontana, Jorn, Lam, non hainfluito sul suo “modo” etrusco, rinascimentale cocciuto,nel competere col Padreterno. Dopo pochi episodiastratti espressionistici è tornato alla figura realisticaperché la sentiva più adeguata a trasmettere le emozioniche gli urgevano nell’anima. Non ha mai preso in considerazioneuna qualche teoria, lui pescava nel suo intimoe tanto gli bastava: infatti, le opere meno riuscite sonoquelle che ha eseguito su commissione con il temaobbligante.Con Mario Rossello la comunicazione era originalissimae spesso comica: eseguivano i lavori in ceramica nella“Bottega” di Poggi e Salino (altri straordinari artisti),dipingevano assieme nello studio di <strong>Villa</strong> Faraggiana echi “abbaiava” le proprie “osservazioni” era Fabbrimentre Rossello faceva “l’ascoltatore” essendo ricco dispirito, paziente e accomodante. Si coglieva la differenzatra i Due nel modo di raccontare la barzelletta: Fabbrila raccontava col modo sbalordito e drammatico comese la storiella fosse stata rivolta a lui personalmente,Rossello invece aveva l’atteggiamento di chi riferisceuna notizia agli amici.Il risultato era che Fabbri al termine della storiella spessonon rideva della barzelletta, ma della risata degli altri,invece Rossello rideva come se la storiella l’avesse raccontataun altro. Per quasi vent’anni avendo io lo studioattiguo a quello di Rossello in <strong>Villa</strong> Faraggiana e cheospitava Fabbri, ho avuto una frequentazione giornalieracon ambedue, specialmente in estate e in autunno.Spesso si cenava insieme da me (perché io sono un buoncuoco).Ricordo ancora a tutti quanti hanno partecipato, le bellefeste che Rossello ha dato a <strong>Villa</strong> Faraggiana ospitandogenerosamente qualche volta anche un centinaio di persone.Era naturalmente disponibile ad aiutare qualsiasiartista gli si fosse confidato.Proprio da pochi giorni Mario Rossello è tornato adascoltare “abbaiare” il suo amico Agenore Fabbri e ci halasciati qui a “chiacchierare”. Sullo sfondo di queste freschissimeimmagini, c’è Virio ridente: l’artista romanticod’un tempo non più nostro.Il sorriso dolce e arguto (mi diceva sempre che eraromano come me) esprimeva la gioia di chi ha trovato laragione di vivere , portava sé, attraverso gli altri, con ladisinvoltura innocente di chi ignora l’invidia, la lotta peril successo e appagato sempre dell’ultimo dipinto appenaterminato. Non so quanti abbiano saputo cogliere inquesto Artista le qualità che sto ricordando, oggi si notasoprattutto chi grida e sgomita più forte e quindi lalevità, la leggerezza, la modestia e il garbo con cui haattraversato la vita il Maestro Virio non dobbiamodimenticarle: saremmo veramente colpevoli.Questo mondo albisolese che ormai non c’è più, sta peressere occupato da rumorosi e volgari “saltafossi “impegnati nelle “scorciatoie “ alla conquista del successosaltando disinvoltamente la manualità, l’artigianalità,la dimensione spirituale che dovrebbe guidare l’animadi chi ha deciso di consumare la propria vita ‘facendo “la propria arte.Questi sgomitatori verbosi e rumorosi rincorrono il successorapido con due tagli alla Fontana, quattro macchiealla Jorn, qualche disegnino alla Mirò e magari anchepicasseggiando spalleggiati da qualche compare o comareche ciancia d’arte. La conseguenza sarà che Albisolae Savona saranno sempre più ignorate dal mondo dellacultura contemporanea e si produrrà una nuova societàanalfabeta e insensibile.Almeno noi che siamo qui a parlarne, dobbiamo sentireil dovere di “fare qualcosa” per salvare i valori che stannoormai perdendosi definitivamente, quindi: incontrarcipiù spesso, parlarci più spesso, conoscerci meglio; ciòfarebbe bene prima di tutto proprio a noi perché l’Arte èl’alimento dell’anima, come diceva T. Adorno e sappiamoche tutto quello che non viene alimentato è destinatoa morire.Mauro Malmignati3


Nel nuovo libro di Paola Mallone un’approfondita analisi del mondo poetico del celebre scrittore ligureL’AMARO PONENTE DI BIAMONTI«Se uno avesse una moglie, un padre, una madre, — spiega lo scrittore — non si rifugerebbe nel paesaggio»Un breve testo del 1996DONNA AL TRAMONTODalla raccolta “Dipinti di parole”Paola Mallone, con questo suo ultimo libro suFrancesco Biamonti, ha tentato un’impresa davverodifficile: raccontare lo scrittore forse piùschivo del panorama letterario italiano. E lo ha fattocomponendo un’opera variegata, di sicuro interesseper il lettore di Biamonti ma anche per chi vogliaaddentrarsi per la prima volta nel mondo poetico —solo in apparenza accessibile — dell’autore di Leparole la notte.“Il paesaggio è una compensazione”. Itinerario aBiamonti (De Ferrari Editore, 168 pp., 28.000 lire) èinfatti un libro-puzzle, dove all’illuminante prefazionedi Luigi Surdich segue una “introduzione alla lettura”ricca di citazioni dall’esigua e pure già importantissimaproduzione biamontiana che, da sola, vale l’acquistodel volume. Tutti i temi cari allo scrittore di SanBiagio della Cima vengono passati in rassegna, vi siconsidera la sua appartenenza alla discussa “linealigure” della letteratura italiana, se ne evidenzianoascendenze e corrispondenze: Baudelaire, Camus,Montale ma anche, e qui l’approccio critico diMallone ci pare particolarmente brillante, Verga,Federigo Tozzi, Silvio D’Arzo e Luciano DeGiovanni, al quale la studiosa ha dedicato il suo precedenteIl muro che ci separa. Carteggio di poeti liguri(Genova, 2000).Il corpo centrale del volume è invece costituito daun’intervista dalla quale emergono i pochi elementibiografici (più relativi ad una biografia intellettualeche storica) a tutt’oggi disponibili su Biamonti. Vi sitratta del rapporto con Italo Calvino — primo estimatoredel lavoro dello scrittore —, del suo impiego allaBiblioteca Aprosiana di Ventimiglia, delle amiciziefrancesi e, più in generale, dei rapporti con la culturad’oltralpe, dei gusti letterari, artistici e musicali.Quasi un compendio delle pagine precedenti è poiun’apparato iconografico curioso e utile. Biamonti viappare con Guido Seborga, Giuseppe Berto, EnnioMorlotti, Lalla Romano, Alessandro Natta e tanti altri.Di straordinario interesse, soprattutto per lo studioso,è poi la parte dedicata alla bibliografia biamontiana (die su Biamonti). Apprendiamo, proprio da quello chepuò configurarsi come un arido elenco di titoli, dell’imprevedibileesordio dello scrittore con un raccontinodel 1951, dei rari scritti prima dell’esordio “ufficiale”de L’angelo di Avrigue (1983), delle tante noted’arte dedicate agli amici pittori. Ricchissima anche labibliografia sull’opera di Biamonti, che viene tenuta abattesimo da un celebre articolo, ancora dell’83, diNico Orengo su “Tuttilibri” de “La Stampa”: Il coltivatoredi mimose a 50 anni si scopre romanziere.Un vero e proprio regalo agli appassionati di Biamontiè, infine, l’appendice di “scritti dispersi”, che contienedue racconti tra cui quello del ’51, un estratto dalromanzo inedito del 1960 Colpo di grazia e una corposasezione di testi dedicati alle arti figurative.Ed è proprio legata a Colpo di grazia una curiosità checi pare, indirettamente significativa della vicendaumana e artistica di Francesco Biamonti figlia, almenoin parte, di un ambiente appartato ma vivo e stimolanteche si sviluppò, tra gli anni Cinquanta e Sessanta,nell’estremo ponente ligure. Nel ’60 appunto, su unfoglio intitolato “A Barcà” uno scrittore come GuidoSeborga (allora già presente, se non erro, nella prestigiosaMedusa mondadoriana) scriveva dell’ineditoromanzo di Biamonti trattando di inalienabilità dell’uomoe citando Boine e Sartre.“A Barcà” era pubblicato a cura dell’Azienda autonomadi soggiorno e turismo di Bordighera.Decisamente altri tempi.f. m.Osservando l’alba, Maria percepìun’insolita calma insinuarsi lentamentefra le sue membrasmunte.Lo specchio restituì la sua immaginesenza alcuna pietà mentre indagava adagiocon un dito sulla bocca appena aperta:la sentì non più carnosa come untempo, ma ugualmente vibrante.Nella sua mente c’era un silenzio inerte,quasi morente, desideroso com’era ditrasformarsi in suono; un silenzio chevoleva divenire un’amara invocazione oforse, per una volta umile, una dolceimplorazione; si rese conto, finalmente,che quel silenzio veniva da lontano, oltrela porta chiusa della casa e sembravauna narrazione mai narrata: allora, senzaaverne coscienza, intonò un’ariosa canzoneche, per essere di tanto in tantospezzata dall’affanno, presagiva il tramontoincalzante.Umberto GiSEGNALAZIONE14 luglio-4 agosto 2001Collettiva d’arteEnciclopædia vol. Vcon, tra gli altri,Fernanda BorioGalleria “Il Salotto”,via Carloni 7, ComoUna nuova raccolta di poesie religiose ma ricche di suggestioni terreneL’“AMOR SACRO” DI M. FRANCA FERRARISCon una prefazione di Silvio Ravera e due postfazioni di Renata Rusca Zargar e Sergio GiulianiAbiti da sposa e creazioni esclusive in una suggestiva corniceALTA MODA IN VILLAApprezzatissime da pubblico le sfilate realizzate negli ultimi anniLa poesia religiosa, che pure ci ha dato ClementeRebora, Carlo Betocchi e Giovanni Testori, nongode, nel nostro paese, di grande reputazione. Vi èla tendenza a considerare il versificare dei poeti che traggonoispirazione dalla religione, o dalla propria esperienzaspirituale, quasi un’attività accessoria dell’omiletica, finalizzataalla composizione di nuove — e, dunque, sostanzialmenteinutili — preghiere.Molto spesso non è così. Lo testimoniano i poeti citati edè evidente anche per scrittori di più circoscritta fama,come il mai troppo valorizzato Angelo Barile.Ma è forse nella stessa definizione di “poesia religiosa”— che ci sembra comunque utile — l’origine di tantiequivoci. Sovente, — ed è forse il caso di Amor sacro diM. Franca Ferraris (Editoriale Darsena, 52 pp., 10.000lire), — ci si trova di fronte ad una sorta di intimo diario,ricco di spunti e fonti d’ispirazione, nonostante l’elementoreligioso pervada il volumetto dalla prima all’ultima riga.La Ferraris — che giunge a questa prova dopo alcune fortunateraccolte (Calychantus del 1973, Anemos del 1987,Di Valbormida il cuore del 1997, tra le altre) — passa inrassegna non soltanto temi attinenti la spiritualità o lamistica, ma anche la storia, la devozione popolare, persinola politica e la cronaca individuale e collettiva.Ogni poesia, infatti, è occasionata da altri versi, dichiarazioni,canzoni, diari spirituali e, ovviamente, brani biblici.La poetessa ha dunque composto come un ideale pantheondi “padrini” capaci di guidarla nell’opera di scrittura:Paolo VI e Giovanni Paolo II, Madre Teresa di Calcutta,Lope de Vega, Paul Eluard, Gabriello Chiabrera e BobDylan, Gianfranco Ravasi e Padre Pio, Jacopone da Todi.E al gioco dei rimandi, dichiarato dalla scrittrice, decide dipartecipare anche Silvio Ravera, cui si deve la prefazionedel libro. «La lettura delle poesie […] — scrive Ravera —mi ha doppiamente gratificato: al piacere di leggere versiche, partendo da un “pensiero” citato all’inizio di ogniscritto, lo interpretano in maniera strettamente personale eperciò viva, si è aggiunta la soddisfazione di spontaneiaccostamenti ad altre opere che ho trovato in sintonia conquelle di M. Franca Ferraris». Tra queste gli scritti diJacques Marie Pohier, Thomas Merton, la savonese AldaGiacardi.Utilissime, alla comprensione del lavoro della Ferraris,sono anche le due postfazioni, affidate a Renata RuscaZargar e Sergio Giuliani.«M. Franca Ferraris — scrive Rusca Zargar — sa parlaredella pena con espressioni misurate e terse, mai la dignitàdell’essere umano e del rispetto vien meno, anche se“Teme troppo le spine / la mia fronte”, il riscatto è nelcoraggio di ammettere pochezza dell’uomo davanti aDio».«Inevitabile per M. Franca — avverte Giuliani —, con ilraggiungimento della maturità elaborativa, dopo averattraversato i ricordi, la seconda guerra mondiale, le insistiteamate suggestioni bibliche, percorrere un camminodagli orrori (attuali e di sempre) del mondo ai “popoli dellibro”. Non a caso Gerusalemme è uno dei centri del suopoetico lavorare, centro di tutti i valori di fede, e dell’angosciadella privazione della pace».E le due illuminanti postfazioni, come si evince dai braniriportati, affrontano altrettanti aspetti principali del lavorodella Ferraris: la scelta dei temi e il problema della necessitàdi “fare” poesia, che è problema assoluto, né religioso,né laico. Ed è significativo che Giuliani citi, a sostegnodel suo argomentare, due poeti come Montale eSbarbaro dall’orizzonte dei quali Dio era tragicamenteassente.f.m.<strong>Villa</strong> <strong>Cambiaso</strong>, non è soltanto una dimora ricca di storia, una prestigiosa galleriad’arte e una frequentatissima sala da concerto. Da qualche anno, infatti,negli spledidi ambienti della villa si sono realizzate alcune riuscite sfilate dimoda, tutte di alto profilo e che hanno visto una notevole partecipazione di pubblico edi addetti ai lavori. Si tratta, questa attività di vero e proprio show-room, di un’essenzialecontraltare alle iniziative d’arte e cultura che, tra le altre cose, consente di sosteneresia la normale attività culturale che la manutenzione della dimora storica. Unariuscita collaborazione, dunque, tra marchi prestigiosi (come Mondo Moda diMondovì) e uno dei luoghi d’arte più cari ai Savonesi.4

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