Dino Compagni e la sua cronica;

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XIItuno altresìAVVERTENZA.che io qui soggiunga, avermi sempre dato poco pensierola polemica, la quale fino da' suoi principii tenni per quel eh' eli' erae che si è poi chiarita anche ai semplici. Ond'è che non posso accettarele sentenze di coloro, i quali preoccupali principalmente diquesta, da tal preoccupazione hanno desunto il criterio de' loro giudizi.Un libro di storia e di critica è anche un'opera d'arte; la qualecome può esser giudicata favorevolmente e lodata, così anche censuratae biasimata, ma non per la ragione che essa non è ciò cher autore non ha voluto che fosse. Cosi pure mi sia permesso opporrequalche eccezione al biasimo di « orribile ampiezza » (frase gentiledel professore A. Gaspary, a pag. 507 della pregiata sua Istoria dellanostra letteratura') inflitto al mio libro. Certamente se questo si vogliagiudicare alla stregua di introduzione e commento a un testocontroverso, e nìent'altro, quelle accuse saranno ragionevoli e giuste.Non ha inoltre considerato il signor Bresslau, o forse non sa(e almen questo le mie « introduzioni » potevano insegnargli), comer Istoria di Dino, da che il Muratori e poi il Menni la pubblicarono,meglio da che il Giordani l'ebbe predicata a' letterati d'Italia, fulibro ristampatissimo ; e la volgata di tali ristampe sempre ebbe afondamento, ma non sempre in modo uniforme, ì codici dei quali lamia edizione otTre le varietà, mediante il confronto delle quattro differentilezioni (Muratori, Manni, e le due diamanti di G. Barbèra) edei codici stessi richiamati tutti, o per la prima volta chiamati, adesame. Credere e sentenziare opera perduta un lavoro, in grazia delquale, e solamente di esso, può oggi, chi voglia, fare con la massimaagevolezza la critica della lezione volgata; di quella lezione su cuila Cronica ha servito per un secolo e mezzo ai lettori e ai citatori,ai Vocabolarii cominciando da quello dell'Accademia, agli studii storicie ai filologici, alle scuole, e in questi ultimi anni alle polemicheintorno alle quali il signor Bresslau aspetta dal codice ashburnhamiano« l'ultima parola »; non mi sembra un credere coerente al vero, néun sentenziare conforme a giustizia.Ma comunque debba essere giudicato il tuono che al signorBresslau è piaciuto assumere giudicando di me, io debbo dichiararech'egli ha convinto manifestamente d'errore quanto io venni argomentandointorno alle relazioni fra il codice magliabechiano del 1514Geschichte der italienischen Literatur ; Berlin, 1885.

AVVERTENZA.XIIIe rashburnharaiano del secolo XV: il quale riconosco doversi teneresiccome fonte non soltanto degli altri, secentistici e settecentistici,ma anche del codice magliabechiano del secolo XVI; e cheNoferi Basini, trascrittore di questo, ebbe quello dinanzi. Vero èche mentre in molti casi le varianti del Busini sono puri e semplicispropositi (e di tali varianti io sono sicuro di non averne abboccataneanc'una) coi quali corrompe la lezione ashburnhamiana; «errorigoffissimi », che io denunziai già al lettore; altre volte sono lezioni'che danno ragione di sé, talvolta di colorito più antico che non lerespettivè del codice anteriore; ne quel Noferi, uomo grosso eilletterato, fu tale da potersele essere con intendimento letterariofoggiate, e che meglio si direbbero rappresentar la lezione di altroesemplare/Ma può anche ammettersi che in siffatti casi la penna dilui, letterato no ma fiorentino e parlante quella maravigliosa anticalingua che solo sul cadere del Cinquecento incominciò a perderedella sua originale vivezza e spontaneità, trascorra inconscia a cotestelezioni tutt' altro che riprovevoli (siano o no le vere e da Dinovolute), le quali se io talvolta, nel Commento, avessi lodate di certamaggior vivacità e schiettezza non pure fiorentina si anco trecentistica,non saprei pentirmene. Giova ricordarsi che la trascrizione quattrocentisticanon è essa l'originale di Dino Compagni. E la mia supposizioneè poi assai più ragionevole (per chi conosca bene la storiadella nostra lingua, e si sia fatta una chiara idea di ciò che NoferiBusini era), che non l'affermazione, del tutto inammissibile, del signorBresslau,^ che un cosiffatto uomo « tentasse delle emendazioni »sul testo; com'avrebbe potuto fare un Borghini o un Salviati. A ognimodo, che anche il Busini esemplasse l'ashburnhamiano, basterebbea provarlo quella pagina medesima da me data in facsimile, sulla qualeilsignor Bresslau rileva giustamente un grave errore della volgata, sìdei manoscritti e sì delle stampe^ compresa lamia (voi. II, pag. 257);'Prefazione al voi. II, pag. xxiv. Cfr. anche, oltre altri luoghi del Commento,li, XIII, 17; e pur in quel volume II, a pag. 473, lin. 24-26. Non capisco di dove il signorRresslau (pag. 131 not. 3, pag. 132 not. 2) tragga che il Busini sbagliava perchéaveva « fretta»: gli spropositi di Noferi non sono spropositi d' uomo frettoloso {< des» fluchtigen Noferi Busini »), ma di uomo illetterato: né io, dovunque ho parlato di lui,li ho mai riferiti, né possono riferirsi, ad altro che alla sua «ignoranza».'A pag. 132, not. 2.'Eccettuata però quella del Manni, la quale, e i manoscritti insieme con essaindicati nel mio Commento (pag. 257, note 9 e 11), hanno la buona lezione, tale equale, e senza i puntolini che per isbaglio in quella nota 9 le furono apposti (corretto

XIItuno altresìAVVERTENZA.che io qui soggiunga, avermi sempre dato poco pensiero<strong>la</strong> polemica, <strong>la</strong> quale fino da' suoi principii tenni per quel eh' eli' erae che si è poi chiarita anche ai semplici. Ond'è che non posso accettarele sentenze di coloro, i quali preoccupali principalmente diquesta, da tal preoccupazione hanno desunto il criterio de' loro giudizi.Un libro di storia e di critica è anche un'opera d'arte; <strong>la</strong> qualecome può esser giudicata favorevolmente e lodata, così anche censuratae biasimata, ma non per <strong>la</strong> ragione che essa non è ciò cher autore non ha voluto che fosse. Cosi pure mi sia permesso opporrequalche eccezione al biasimo di « orribile ampiezza » (frase gentiledel professore A. Gaspary, a pag. 507 del<strong>la</strong> pregiata <strong>sua</strong> Istoria del<strong>la</strong>nostra letteratura') inflitto al mio libro. Certamente se questo si vogliagiudicare al<strong>la</strong> stregua di introduzione e commento a un testocontroverso, e nìent'altro, quelle accuse saranno ragionevoli e giuste.Non ha inoltre considerato il signor Bress<strong>la</strong>u, o forse non sa(e almen questo le mie « introduzioni » potevano insegnargli), comer Istoria di <strong>Dino</strong>, da che il Muratori e poi il Menni <strong>la</strong> pubblicarono,meglio da che il Giordani l'ebbe predicata a' letterati d'Italia, fulibro ristampatissimo ; e <strong>la</strong> volgata di tali ristampe sempre ebbe afondamento, ma non sempre in modo uniforme, ì codici dei quali <strong>la</strong>mia edizione otTre le varietà, mediante il confronto delle quattro differentilezioni (Muratori, Manni, e le due diamanti di G. Barbèra) edei codici stessi richiamati tutti, o per <strong>la</strong> prima volta chiamati, adesame. Credere e sentenziare opera perduta un <strong>la</strong>voro, in grazia delquale, e so<strong>la</strong>mente di esso, può oggi, chi voglia, fare con <strong>la</strong> massimaagevolezza <strong>la</strong> critica del<strong>la</strong> lezione volgata; di quel<strong>la</strong> lezione su cui<strong>la</strong> Cronica ha servito per un secolo e mezzo ai lettori e ai citatori,ai Vocabo<strong>la</strong>rii cominciando da quello dell'Accademia, agli studii storicie ai filologici, alle scuole, e in questi ultimi anni alle polemicheintorno alle quali il signor Bress<strong>la</strong>u aspetta dal codice ashburnhamiano« l'ultima paro<strong>la</strong> »; non mi sembra un credere coerente al vero, néun sentenziare conforme a giustizia.Ma comunque debba essere giudicato il tuono che al signorBress<strong>la</strong>u è piaciuto assumere giudicando di me, io debbo dichiararech'egli ha convinto manifestamente d'errore quanto io venni argomentandointorno alle re<strong>la</strong>zioni fra il codice magliabechiano del 1514Geschichte der italienischen Literatur ; Berlin, 1885.

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