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Dino Compagni e la sua cronica;

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AVVERTENZA.XItesto ashburnhamiano, che del Commento e delle « Introduzioni »,diffusi e prolissi, pare fosse da far grazia ai lettori.'Potrei io dimandare, se senza quel<strong>la</strong> mia prolissità, a me pesata,e in più modi, più gravemente che ad altri, certe imposturefilologiche, certe sofisticazioni storiche, avrebbero avuta <strong>la</strong> luce meridianache le ha condannate; delle quali oggi sorridono con pocafatica taluni che allora ci giuravano sopra devotamente, o per lomeno se ne impensierivano. E '^lecito mi sarebbe dubitare se certipiacevoli sproloquii di giornalisti, certe improvvisature di rassegnea un brandello per settimana, certe illepidezze di filologi <strong>la</strong> cui opinionenon ha mai saputo essere che quel<strong>la</strong> di qualcun altro, nonavrebbero seguitato ad avere, specialmente per gli stranieri, quell'autoritàche nel fatto del<strong>la</strong> lingua è ben naturale ch'essi concedano,specialmente a chi fa professione d'intendersene. E un altroonesto dubbio altresì mi rimarrebbe: e cioè, che il testo del<strong>la</strong> Cronicae il commento non siano poi <strong>la</strong> parte principale di questo miolibro; il quale anche altri gran maestri si son degnati chiamare un« ottimo commento » al<strong>la</strong> Cronica; e un uomo illustre, de' cui giudicamentimi è. toccato l'onore, lo definiva, certamente dopo averloletto, c( tre volumi, ne' quali si sostiene che <strong>la</strong> Cronica, miracol di» stile, sia s<strong>la</strong>ta veramente dettata dal <strong>Dino</strong> contemporaneo di» Dante»; e che ora il signor Bress<strong>la</strong>u, a <strong>sua</strong> volta, « giudica e» manda » con altrettanto spedita avvinghiatura. Insomma, non so sesenza i miei dieci anni perduti; se senza ^vere sul tavolino lo Studiocritico che essi fruttarono, il più ricco di fatti che finora si abbiasopra un Fiorentino del Trecento (non escluso Dante) e l'età da luivissuta e ritratta, e sulle vicende dell'opera <strong>sua</strong> fino al secolo nostro;troverebbe oggi il signor Bress<strong>la</strong>u <strong>la</strong> questione, com'egli seguita achiamar<strong>la</strong>, talmente semplificata, che lo scioglier<strong>la</strong> si riduca senz'altroa passare nelle mani del tipografo il codice ashburnhamiano.A queste dichiarazioni che il signor Bress<strong>la</strong>u mi porge occasionedi fare sugli intendimenti coi quali scrissi il mio libro, stimo oppor-'Vedi a pag. 131, 133, del cit. articolo.-A costoro dedico ed offero queste linee di recente pubblicazione: « La mian precedente opinione, che il nome di '<strong>Dino</strong> fosse da cancel<strong>la</strong>re dal<strong>la</strong> letteratura sto-« rica, mi sembra oggi del tutto sbagliata.» P. Scheffer-Boiciiorst, X, i, 121, delperiodico di Filologia Romanza di G. Gròber (Halle, Niemayer, 1886). Che cosa poial signore Scheffer-Boichorst, non sembri, per ora, del tutto sbagliato, avrò occasionedi dirlo poche pagine qui appresso. ^

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