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#documenti#fede#Testimoni digitali - Relazioni del convegno

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Testimoni <strong>digitali</strong>Le relazioni <strong>del</strong> <strong>convegno</strong>Aprile 2010Volti e linguaggi nell’era crossmedialeDa “Parabole mediatiche” a “Testimoni <strong>digitali</strong>”______________________________________ 2L’impegno <strong>del</strong>la Chiesa italiana ________________________________________________________ 2Comunicazione, forma esistenziale______________________________________________________ 3Un patrimonio, anche nell’era digitale___________________________________________________ 3Un decennio trascorso non invano ______________________________________________________ 4Con l’eccedenza <strong>del</strong> Vangelo___________________________________________________________ 5Sulla strada, senza rimpianti___________________________________________________________ 6Media, linguaggi e crossmedialità __________________________________________________ 6Media, linguaggi e crossmedialità __________________________________________________ 7<strong>Relazioni</strong> in Rete: quale umanesimo nella cultura digitale? _____________________________ 8Intagliatori di sicomori: l’arte di coniugare fede e cultura __________________________________ 8Essere testimoni nel mondo digitale _____________________________________________________ 9La rete: crocevia di un nuovo umanesimo? ______________________________________________ 10L’integrazione spirituale e l’impegno pastorale __________________________________________ 12<strong>Relazioni</strong> comunicative e affettive dei giovani nello scenario digitale _____________________ 13Qualche premessa sulla ricerca________________________________________________________ 13Stare in relazione nel continente digitale: i giovani dai 18 ai 24 anni _________________________ 14Oltre la contrapposizione: bassa discontinuità e transitività spaziale nel continente digitale _____ 14Un nuovo senso <strong>del</strong> luogo_____________________________________________________________ 15Oltre il presente assoluto: estasi e cronotopi _____________________________________________ 16Oltre la connessione: “stay tuned” e identità relazionali ___________________________________ 19La parola come chiacchiera e la parola come dono _______________________________________ 21Costruzione e gestione <strong>del</strong>l’identità ____________________________________________________ 22Per un nuovo umanesimo <strong>del</strong> continente digitale _________________________________________ 23I profili <strong>del</strong>la generazione digitale -Il Social Network e la sua centralità nelle pratichecomunicative __________________________________________________________________ 26I profili: chi fa cosa _________________________________________________________________ 28Conclusioni: un moderato ottimismo? __________________________________________________ 31I profili <strong>del</strong>la generazione digitale -I giovani tra mass media e personal media _____________ 32I profili <strong>del</strong>la generazione digitale- Quali significati per la tecnologia? ___________________ 35Introduzione _______________________________________________________________________ 36Intimità ___________________________________________________________________________ 36Facebook __________________________________________________________________________ 37MSN______________________________________________________________________________ 38Telefono cellulare ___________________________________________________________________ 39Altre piattaforme: Skype, Telefono Fisso _______________________________________________ 40Attribuzioni Problematiche___________________________________________________________ 4022-24 aprile 2010 1


Testimoni <strong>digitali</strong>diventare l’ambiente in cui ci muoviamo e come l’aria che respiriamo.Comunicazione, forma esistenzialeVolti e linguaggi nell’era crossmedialeAncora una volta – sulla scorta <strong>del</strong>l’esperienza maturata nel IV Convegno ecclesiale nazionale diVerona – con questo appuntamento intendiamo portare l’attenzione sulla vita quotidiana <strong>del</strong> nostropopolo, quale «luogo di ascolto, di condivisione, di annuncio, di carità e di servizio». Gli ambitifondamentali intorno ai quali si dispiega l’esistenza umana restano l’orizzonte di una pastorale rinnovata– più vicina alla sensibilità odierna –, la chiave per evitare il ripiegamento asfittico, il terrenoper una adeguata comunicazione <strong>del</strong> mistero di Dio e quindi per una testimonianza missionaria. Sonoambiti fortemente trasformati dalla cultura che nasce dal sistema mediatico, che ha fatto <strong>del</strong>lacomunicazione la forma esistenziale per eccellenza.Ecco, dunque: l’ambito <strong>del</strong>la vita affettiva, che chiama ciascuno a mettersi in gioco nel testimoniarecon costanza, resistenza e fe<strong>del</strong>tà la possibilità di relazioni profonde e durature, anche in un tempoche “sposa” la revocabilità degli impegni assunti e pretende di interpretare la vita come una sequenzaininterrotta di nuovi inizi; la dimensione <strong>del</strong> lavoro e <strong>del</strong>la festa, dimensione resa ancora più attualedalla crisi economica, dalla precarietà e dalla disoccupazione: elementi che espongono al rischiodi vedere calpestati diritti inalienabili; l’ambito <strong>del</strong>le molteplici espressioni <strong>del</strong>la fragilità u-mana, che sono ferite nel corpo e nello spirito sulle quali versare l’olio <strong>del</strong>la consolazione e <strong>del</strong>lasperanza, <strong>del</strong> riconoscimento, <strong>del</strong>la cooperazione e <strong>del</strong>la solidarietà; ancora: l’ambito educativo,che impegna a formazione permanente, nella mediazione tra i mille linguaggi e le sollecitazioni acui oggi ciascuno è esposto ed un progetto culturale che dia conto <strong>del</strong>la ragionevolezza, <strong>del</strong>la bontàe <strong>del</strong>la bellezza <strong>del</strong>la vita cristiana; infine, non può rimanerci estranea nemmeno la sfera sociale epolitica, oggi particolarmente evanescente, almeno quanto a capacità di imprimere una direzione,che vada oltre la temporanea soluzione di emergenze o di problemi immediati. Un contributo propositivoin tal senso siamo certi che verrà anche dalla prossima Settimana Sociale, che ci vedrà riunitiin ottobre a Reggio Calabria, quali Cattolici nell’Italia di oggi.La sollecitudine per il bene <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la società è dunque alla base di questo nostro convenireda tutto il Paese per riflettere insieme sulle frontiere aperte dalla tecnologia digitale. Non è nostraintenzione – lo ribadisce chiaramente lo stesso Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale<strong>del</strong>le comunicazioni sociali che celebreremo il prossimo 16 maggio – «occupare il web»,quanto piuttosto offrire anche in questo contesto la nostra testimonianza per alimentare la cultura equindi contribuire alla costruzione <strong>del</strong> futuro <strong>del</strong> Paese.Un patrimonio, anche nell’era digitaleNell’intervento al quale ho fatto riferimento in apertura, il Premio Nobel racconta di quando suopadre gli affidò una valigetta piena di scritti e taccuini, chiedendogli di leggerli soltanto una voltache lui fosse scomparso, per verificare se vi fosse stato qualcosa degno di essere pubblicato. A quellavaligia Pamuk trova con difficoltà un posto nel suo studio: lo scrittore ammette di aver provatorisentimento, invidia e paura davanti all’eventualità che essa avesse potuto realmente contenerequalcosa di buono: troppa era la distanza che avvertiva tra l’esperienza di navigante e girovago <strong>del</strong>padre e invece la propria fatica a scrivere, che gli aveva richiesto tante privazioni, a partire dalla solitudinedi chi si vede costretto a «restare in disparte e ben lontano da ogni centro»4, nel chiuso diuna stanza, dove i testi nascono dalla ricerca interiore e paziente, pari a quando «si scava un pozzocon un ago».Mi è piaciuta questa sincerità disarmante. Mi è piaciuta e nel contempo mi ha portato a chiedermi:come evitare di incappare nello stesso rischio a fronte dei naviganti di oggi, la cui valigetta – dalcontenuto ricco e misterioso – è “zippata” in un palmare, in un iPad, in un cellulare che è ormai benaltro da un semplice telefono portatile? Cosa fare, dunque, per capire che non si tratta di demonizzareil nuovo, né al contrario di considerare obsoleto o inutile il patrimonio di cultura che ci portiamo22-24 aprile 2010 3


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialesulle spalle, bensì di valorizzare lo straordinario potenziale costituito dalle nuove tecnologie, impegnandocia «introdurre nella cultura di questo nuovo ambiente comunicativo ed informativo i valorisu cui poggia la nostra vita»?Un decennio trascorso non invanoNel rispondere a questa sfida è necessario innanzitutto riconoscere quanto è stato fatto nel decennioappena concluso, i cui Orientamenti pastorali – non a caso incentrati sul Comunicare il Vangelo inun mondo che cambia – sottolineavano proprio le «nuove opportunità di conoscenza, scambio e partecipazione»,che «accompagnano le innovazioni tecnologiche nell’ambito <strong>del</strong>le comunicazioni sociali».La cultura nella quale siamo immersi – osserva il documento, riprendendo l’enciclica Redemptorismissio – «nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare,con nuovi linguaggi, nuove tecniche, nuovi atteggiamenti psicologici». Con tale sensibilitàabbiamo attraversato il decennio, ripetendoci che la pervasività dei media impone di saper «coniugaretutti gli ambiti <strong>del</strong>la vita ecclesiale con questa nuova realtà sociale e culturale»8. Nel quadro diquesta rinnovata attenzione formativa ha trovato collocazione la stessa pubblicazione <strong>del</strong> Direttoriosulle comunicazioni sociali nella missione <strong>del</strong>la Chiesa.Fin dalle prime righe, il direttorio si proponeva di «aiutare le comunità ecclesiali a prendere coscienza<strong>del</strong> ruolo dei media nella nostra società; far maturare una competenza relativa alla conoscenza,al giudizio, alla utilizzazione dei media per la missione <strong>del</strong>la Chiesa; sviluppare alcune ideecirca i punti nevralgici <strong>del</strong>la pastorale <strong>del</strong>le comunicazioni sociali (comprensione dei media comecultura e non solo come mezzi, ecc.); offrire una piattaforma comune per i piani pastorali che ciascunadiocesi è chiamata a realizzare».Quelle intenzioni hanno saputo declinarsi in scelte precise. Il decennio che ci lasciamo alle spalle,infatti, è stato per la Chiesa italiana il primo <strong>del</strong> circuito radiofonico InBlu, pensato nella prospettivadi garantire sul territorio una voce di ispirazione cattolica, che abbia la forza e la visibilità <strong>del</strong> nazionale,senza dissipare la vitalità e le risorse <strong>del</strong>le comunità locali. È un ambito che chiede di attuareuna sinergia sempre più concreta «per una maggiore qualità dei programmi e con una consistenteeconomia di scala»11. Accanto all’esperienza radiofonica, si colloca quella <strong>del</strong>l’emittente televisivaTV2000, oggi così denominata con il passaggio al digitale terrestre, svolta che tra l’altro porta il segnalenelle case di tutti gli italiani.Ancora, è stato il decennio che ha visto il quotidiano Avvenire compiere quarant’anni e consolidarsiquale strumento culturale decisivo per i cattolici e punto di riferimento nel panorama informativo<strong>del</strong> Paese. Discorso analogo può essere fatto per il Sir, l’agenzia di Servizio informativo religioso,che non solo ha tagliato in buona salute i suoi primi vent’anni – gli ultimi quindici dei quali on line– ma ha saputo evolversi, affiancando alle notizie nazionali una duplice attenzione: per la realtà regionalee per quella europea.È il decennio che – pur in mezzo alle crescenti difficoltà che hanno colpito il mondo <strong>del</strong>l’editoria(l’ultima <strong>del</strong>le quali conseguente al decreto ministeriale che ha abolito le tariffe postali agevolate) –ha visto la Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici (FISC) superare le 180 testate aderenti: circaun milione di copie entrano, così, ogni sette giorni nelle nostre famiglie, con la cronaca <strong>del</strong> territorioletta ed approfondita alla luce <strong>del</strong>l’appartenenza ecclesiale. Molti di questi giornali hanno sviluppatoanche una versione online, quale logico e coerente sviluppo <strong>del</strong> giornale cartaceo:l’edizione web consente loro di raggiungere nuovi lettori, di offrire materiali di documentazione edi avere maggiore rilevanza nel panorama mediatico.Questo è stato anche il decennio <strong>del</strong>le migliaia di siti internet di ispirazione cattolica, che costituisconoormai una presenza qualificata e matura: penso a tutti i sussidi pastorali che veicolano, ma22-24 aprile 2010 4


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeanche alla forza propositiva che esprimono, a partire dalla loro capacità di intessere nuove relazioni.Va qui riconosciuta la lungimiranza con la quale la Chiesa italiana ha saputo offrire alle diocesi unservizio di gestione dei contenuti web, mettendole in condizione di realizzare e di amministrare ilproprio sito (è l’esperienza assicurata dal SICEI). Va quindi incoraggiato il ruolo svoltodall’associazione dei Webmaster cattolici italiani (WeCa) quale punto di riferimento di chi operanel web con ispirazione cattolica.Alla preziosa azione formativa assicurata dalle Università cattoliche e pontificie, si è aggiunta quella<strong>del</strong> progetto ANICEC, specifico per animatori <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la comunicazione, dove i percorsidi e-learning si completano con momenti residenziali. L’animazione <strong>del</strong>la comunicazione inchiave di evangelizzazione e di dialogo con la cultura ha trovato inoltre espressione – oltre che nellavoro svolto dalle associazioni e dalle aggregazioni cattoliche – anche nei forum e nei convegnipromossi dal Servizio per il progetto culturale: basti qui ricordare l’ultimo evento internazionale,Dio Oggi. Con Lui o senza di Lui cambia tutto, svoltosi lo scorso dicembre, come anche propostequali la Settimana interdisciplinare su Bibbia e comunicazione o la Settimana <strong>del</strong>la comunicazione,nata dall’impegno <strong>del</strong>la famiglia Paolina, che rinnova il suo appuntamento a metà <strong>del</strong> prossimo mesedi maggio.Se queste iniziative sono rilevanti, l’ambito che ci sta maggiormente a cuore rimane comunquequello locale. È sul territorio che le nostre comunità si sono attivate – e voi ne siete espressione viva– per valorizzare la figura <strong>del</strong>l’animatore <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la comunicazione, chiamato a muoversida un lato verso chi è già impegnato nella pastorale, al fine di aiutarlo ad inquadrare meglio il suooperato nel nuovo contesto socio-culturale dominato dai media, dall’altro nell’aprire nuovi percorsi,attraverso i quali raggiungere persone ed ambiti spesso periferici, quando non addirittura estraneialla vita <strong>del</strong>la Chiesa e alla sua missione12. La presenza di mezzi di comunicazione promossi esplicitamentedalla comunità ecclesiale non deve, infatti, essere intesa in alternativa ad un impegno neglialtri media, con i quali, anzi, si avverte l’esigenza di intensificare il dialogo e la collaborazione.È proprio su quest’ultimo versante che le tecnologie <strong>digitali</strong> rappresentano una nuova opportunità,che intendiamo abitare con la nostra testimonianza: senza lasciarci contagiare da inutili paure, perrenderci invece disponibili ad incontrare chiunque sia nella condizione di ricerca, anzi – come dicePapa Benedetto XVI – «procurando di tenere desta la ricerca come primo passo<strong>del</strong>l’evangelizzazione. Una pastorale nel mondo digitale, infatti, è chiamata a tener conto anche diquanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche».Con l’eccedenza <strong>del</strong> Vangelo«Conoscevo dalla mia infanzia quella valigetta di pelle nera – riconosce Pamuk, quasi con nostalgia–, la sua serratura, i suoi rinforzi ammaccati… Quella valigetta rappresentava per me molte cosefamiliari o affascinanti». Sì, questo continente digitale lo sentiamo profondamente nostro, pur conquella riserva escatologica che – mentre partecipiamo a tutto come cittadini – ci fa da tutto distaccaticome stranieri: così ci descrive la lettera A Diogneto16. Vorremmo abitare questa patria stranieracon quello sguardo assolutamente originale sulla realtà, che è lo sguardo <strong>del</strong>la fede. E se a voltestentiamo ad aprirla, questa valigetta, se a nostra volta l’avvertiamo anche «pesante ed ingombrante»17e quindi, con lo scrittore, ci ritroviamo tentati di metterla «con discrezione, senza far rumore,in un angolo»18, è a causa di alcuni ritardi che ci proponiamo di superare insieme. In conclusionevoglio, allora, accennare emblematicamente a un paio di essi.Il primo ritardo è legato a un linguaggio che a volte rimane ancora autoreferenziale, quasi di nicchia,in un contesto culturale che nel frattempo è cambiato profondamente e che ci porta a confrontarcicon una generazione che – quanto a formazione religiosa – non possiede ormai più il nostrovocabolario: «Una generazione che non si pone contro Dio o contro la Chiesa, ma una generazioneche sta imparando a vivere senza Dio e senza la Chiesa»19.I “nativi <strong>digitali</strong>” – ossia le generazioni cresciute connesse alle nuove tecnologie – ne hanno assunto22-24 aprile 2010 5


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeil linguaggio veloce, essenziale e pervasivo; nuotano in una comunicazione orizzontale, decentrata einterattiva; si muovono in una geografia che conosce la trasversalità dei saperi ed espone a una pluralitàdi prospettive. L’ambiente digitale – con il suo linguaggio ludico, fatto di suoni, immagini einterattività – è emotivamente e affettivamente coinvolgente.A tale riguardo, il nostro impegno di coltivare una nuova alfabetizzazione va portato avanti di paripasso con la consapevolezza che non si tratta semplicemente di sviluppare una vicinanza empaticaalle tecnologie <strong>digitali</strong>, quanto di essere presenti anche in questo ambiente con modalità che non disperdanol’identità cristiana, l’eccedenza rappresentata dal Vangelo: «Occorre stare dentro la contemporaneità,ma andando oltre, con un’attenta opera di discernimento da parte <strong>del</strong>la comunità ecclesiale»20.E ancora: «Non si tratta semplicemente di aggiornarsi o adeguarsi: occorre domandarsicome deve essere rimo<strong>del</strong>lato l’annuncio <strong>del</strong> Vangelo e come avviare un dialogo con i mezzi di comunicazionesociale, e non solo attraverso di essi, nella consapevolezza che sono interlocutori concui è necessario confrontarsi»21. Per far nostre le parole di Benedetto XVI, deve starci a cuore – piùche «la mano <strong>del</strong>l’operatore» – un cuore credente. Accanto ai problemi di linguaggio e di identità,l’altro punto al quale volevo accennare riguarda la difficoltà di mettere a fuoco, all’interno dei pianipastorali <strong>del</strong>le nostre diocesi, un progetto organico per le comunicazioni sociali, che integri questeultime negli altri ambiti. Dobbiamo smetterla di considerare la comunicazione come «un ulterioresegmento <strong>del</strong>la pastorale o un settore dedicato ai media», per intenderla invece come «lo sfondo peruna pastorale interamente e integralmente ripensata a partire da ciò che la cultura mediale è e determinanelle coscienze e nella società».Si tratta, dunque, di «scongelare» veramente la figura <strong>del</strong>l’animatore <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la comunicazione,figura sulla quale finora si è investito ancora troppo poco o comunque con scarsa convinzione:«In una pastorale concepita come azione a tutto campo, e non solo tra le mura ecclesiastiche– assicura Benedetto XVI – si possono intercettare molte persone che per impegni professionali oaltri motivi non possono operare in parrocchia, ma volentieri darebbero il loro contributo sel’impegno fosse maggiormente collegato alle proprie competenze e gestibile con elasticità. Doni ecarismi rischiano di rimanere inutilizzati per la scarsa attenzione prestata ai settori <strong>del</strong>la cultura e<strong>del</strong>la comunicazione».Sulla strada, senza rimpiantiIn sintesi: un linguaggio credente ed un progetto organico per le comunicazioni sociali sono “ilcompito per casa” sul quale applicarsi fin dal nostro ritorno; sono le condizioni per elaborare unastrategia comunicativa missionaria, che sia capace di coinvolgere tutti gli ambiti pastorali e di incideresulla cultura <strong>del</strong>la società. Sarà la sfida <strong>del</strong> decennio che inauguriamo, non a caso incentratosull’educazione.Vorremmo non perdere davvero nessuno per strada. Vorremmo non ritrovarci al prossimo <strong>convegno</strong>con il rimpianto di Pamuk, il quale concluse il suo intervento davanti ai membri <strong>del</strong>l’Accademiasvedese rimpiangendo il padre, che nel frattempo era venuto a mancare.Vi auguro di vivere queste tre giornate come un momento forte di riflessione, di approfondimento,di confronto e di incontro, che toccherà il suo momento più alto nell’Udienza con il Santo Padre.Con il mandato che ci affiderà, torneremo nelle nostre diocesi animati dalla consapevolezzad’essere parte di una Rete gettata al largo per «farsi sempre più prossima all’uomo», evitando di«precludersi alcuna strada» pur di raggiungerlo.Media, linguaggi e crossmedialitàRuggero Eugeni -Massmediologo <strong>del</strong>l’ Università Cattolica di MilanoABSTRACT22-24 aprile 2010 6


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeL’esplorazione <strong>del</strong> “continente digitale” deve tener conto di un dato di partenza: esperienze e linguaggidei nuovi media non sono più riconducibili a una mappa unitaria e astratta in quanto il continentedigitale è in costante movimento e trasformazione, né sopporta distinzioni nette e vincolantitra media differenti. Molti parlano a questo proposito di una condizione globale e reticolare, se nonaddirittura “post-mediale”. Queste considerazioni di partenza aprono due ordini di considerazioni.Da un lato alcuni criteri di orientamento nel nuovo panorama mediale possono essere reperiti non inciò che i media sono, ma in ciò che essi vengono percepiti chiedere di fare e consentire di fare: daltipo di esperienza viva (cognitiva, sensibile, affettiva, pratica) attesa e attivata attraverso essi.Dall’altro lato, all’interno di questa esperienza, assume un peso decisivo l’aspetto <strong>del</strong>la relazioneinterpersonale; questa si configura come una relazione diffusa e fusionale, non focalizzata e fortementeempatica. Questi tratti <strong>del</strong>la condizione e <strong>del</strong>l’esperienza mediale contemporanea chiedonoevidentemente un ripensamento <strong>del</strong>la figura <strong>del</strong> testimone e <strong>del</strong>le forme <strong>del</strong>la sua presenza profetica.Media, linguaggi e crossmedialitàPaolo Peverini, Semiologo, LuissABSTRACTMultimedialità, intermedialità, crossmedialità, rimediazione, user generated content sono e-spressioni di uso sempre più comune che quotidianamente e talvolta con disinvoltura vengonoimpiegate per circoscrivere l’universo dei media <strong>digitali</strong>, le pratiche di produzione, distribuzionee consumo di molteplici forme espressive diverse per linguaggio, formato, generi, e ovviamenteprofili e competenze dei soggetti coinvolti.Le rapide trasformazioni che investono gli scenari mediali sollecitano una riflessionesull’efficacia <strong>del</strong>le teorie e degli strumenti di metodo impiegati per ricostruire le logiche di funzionamentodi fenomeni espressivi fondati su meccanismi testuali ben distinti.Il dinamismo strutturale <strong>del</strong>la scena mediale, la densità innegabile tanto sul piano<strong>del</strong>l’espressione quanto sul versante <strong>del</strong> contenuto di alcune forme testuali, le trasformazioni cheinvestono la sfera <strong>del</strong>le competenze <strong>del</strong>le audience, ridefiniscono radicalmente la dialettica deiprocessi di significazione, sfuggono a facili descrizioni e si sottraggono all’opacità semantica diparole chiave che rischiano di perdere la presa sui fenomeni comunicativi, di arretrare, come sloganusurati, di fronte ai cambiamenti in corso.Addentrarsi nel territorio smisurato dei media <strong>digitali</strong> significa, dunque, porsi in partenza il problemafondante dei limiti dei luoghi mediali, riconoscere la difficoltà di tracciare una mappa, undisegno efficace per procedere nell’esplorazione. Con ogni evidenza, la dimensione intricata <strong>del</strong>territorio scoraggia qualsiasi ambizione tassonomica, l’irregolarità <strong>del</strong>lo spazio, <strong>del</strong>le sue forme,la complessità <strong>del</strong>le figure e degli attori che lo animano sfuggono alla pretesa descrittiva di qualsiasiscatto fotografico dall’alto. Piuttosto questa operazione preliminare di ‘ritaglio’ <strong>del</strong> campodi studio può aiutarci a situare prudentemente il tema, decisivo, <strong>del</strong>le ricadute sul piano <strong>del</strong>le relazionitra gli attori coinvolti nei processi <strong>del</strong>la significazione.Lo spazio dei media infatti è sempre uno spazio relazionale, un luogo dove prendono forma econvergono pratiche e saperi, storie e testimonianze, un territorio che racchiude e al tempo stessoalimenta una rete complessa di interazioni e di esperienze.La natura complessa dei fenomeni suggerisce dunque di adottare uno sguardo trasversale, unapredisposizione all’analisi in cui far convergere l’approccio sociosemiotico con la riflessione sulletrasformazioni profonde che investono la sfera individuale e sociale dei soggetti, con particolareattenzione alle giovani generazioni, ai nativi <strong>digitali</strong>.22-24 aprile 2010 7


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeÈ dunque sullo sfondo di questa ricognizione provvisoria che prende forma il tema <strong>del</strong>la testimonianza,<strong>del</strong>la parola condivisa, di una comunicazione intesa come il prodotto di una serie articolatadi processi collaborativi.Il tema <strong>del</strong>la condivisione, <strong>del</strong>la partecipazione collettiva ai processi di costruzione e diffusionedei contenuti è al centro, da tempo, di un dibattito acceso, basti pensare alle questioni relative aldiritto d’autore e al copyleft. Nella prospettiva sociosemiotica la questione decisiva <strong>del</strong> coinvolgimentoallargato degli utenti nei processi <strong>del</strong>la significazione può essere esplorata ripartendodallo studio <strong>del</strong>l’enunciazione, dall’analisi <strong>del</strong>le modalità specifiche che presiedono alla realizzazionedei discorsi, alla conversione di temi, valori e figure in testi e discorsi ben definiti.La rete smisurata dei media <strong>digitali</strong> si rivela un ambiente ideale per la testimonianza, intesa comeuna forma strategica di discorso che nasce dalla doppia intenzione di un soggetto<strong>del</strong>l’enunciazione di informare e responsabilizzare un interlocutore attivo, rendendolo un potenzialeanello di una catena discorsiva dinamica. Le logiche di funzionamento dei social networkvalorizzano e rivendicano <strong>del</strong> resto in maniera esplicita una tattica classica attraverso cui si dispiegail potenziale strategico <strong>del</strong>la testimonianza: il passaparola.A partire da un quadro che si rivela decisamente complesso si può dunque provare a restringerela riflessione sul tema <strong>del</strong>la testimonianza, spostando lo sguardo su una declinazione di questofenomeno che assume una grande rilevanza sul piano <strong>del</strong>le figure, dei testi e <strong>del</strong>le pratiche: il viral.Video virali, racconti virali, campagne di comunicazione virali: in Rete viene celebrata, coninsistenza, la retorica di una comunicazione tanto più efficace quanto più fondata sulla logicacontagiosa <strong>del</strong> passaparola, prontamente rinominato dai professionisti <strong>del</strong> marketing come wordof mouth. In realtà, a uno sguardo ravvicinato, l’espressione viral si rivela una metafora approssimativae al tempo stesso un termine ombrello, un’etichetta sotto cui vengono fatti convergerefenomeni <strong>del</strong>la comunicazione profondamente differenziati.Definire in modo esaustivo le caratteristiche di una comunicazione virale è un’operazione destinataal fallimento, il potenziale di diffusione di un testo è infatti imprevedibile. Prudentemente èpossibile tuttavia tentare di ricostruire alcune dinamiche ricorrenti nella messa a punto dei fenomenivirali in Rete, distinguendo in primo luogo i soggetti coinvolti nei processi comunicativi ele intenzioni che a monte guidano l’ideazione e la realizzazione dei testi. In alcuni casi infatti il‘contagio mediatico’ è innescato dal basso, nasce come fenomeno spontaneo, condivisione allargatache dilaga rapidamente a prescindere da qualsiasi progettazione. Diverso è il caso <strong>del</strong>la comunicazionevirale che viene fatta rientrare nell’arsenale degli strumenti e <strong>del</strong>le tecniche <strong>del</strong>marketing. In questi casi, si pensi all’evoluzione dei linguaggi e <strong>del</strong>le forme <strong>del</strong> discorso pubblicitario,per guadagnare l’attenzione, la fiducia e la collaborazione <strong>del</strong> pubblico, i testi vengonoconfezionati in modo da restituire il massimo effetto di autenticità, confidenzialità, ‘trasparenza’.Una pista da seguire dunque può essere quella di ripensare il tema <strong>del</strong>la testimonianza, <strong>del</strong>le sueforme e dei meccanismi <strong>del</strong>la sua diffusione, indagando alcune ‘zone critiche’ <strong>del</strong> territorio mediaticoin cui il passaparola si carica di significati e di effetti profondamente variabili sollecitandol’intelligenza e la sensibilità <strong>del</strong> pubblico in misura sempre maggiore.<strong>Relazioni</strong> in Rete: quale umanesimo nella cultura digitale?S. E. Mons. Claudio Giuliodori, Vescovo di Macerata-Tolentino-Recanati-Cingoli-TreiaPresidente Commissione Episcopale per la Cultura e le Comunicazioni Sociali <strong>del</strong>la ConferenzaEpiscopale ItalianaIntagliatori di sicomori: l’arte di coniugare fede e culturaQuando nella relazione al Convegno Parabole Mediatiche, l’allora Prefetto <strong>del</strong>la Congregazione perla Dottrina <strong>del</strong>la Fede usò l’immagine patristica degli intagliatori di sicomoro per spiegare il rapportotra fede e cultura, tutti restarono profondamente colpiti. L’assemblea riunita nell’aula Paolo VI fu22-24 aprile 2010 8


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeIn un contesto caratterizzato da “sovrabbondanza spaziale (mutamenti di scala, accelerazione <strong>del</strong>lamobilità, moltiplicazione dei riferimenti immaginifici e immaginari), i parametri spaziali si ridefinisconocontinuamente: non soltanto si riarticola la relazione tra “vicino” e “lontano”, ma anche , comesi è visto, quella tra online e offline.Questo insieme di considerazioni, confermate dai risultati <strong>del</strong>la nostra ricerca, costituisce uno stimoloa ripensare il luogo: alla parziale smaterializzazione (il luogo non è più un “contenitore” stabiledi eventi e relazioni; non è più “mappabile” in modo preciso; non ha più una consistenza territorialee dei confini certi) corrisponde però una sua “umanizzazione”, che lo vede configurarsi comel’intreccio stabile, a geometria variabile, di relazioni nel tempo. Tempo, spazio e relazione sono levariabili che, nel loro intreccio, definiscono la pluralità dei luoghi in cui si iscrivono le pratichequotidiane, fatte di prossimità relazionali e negoziali (De Certeau 1980).La dimensione online consente la costituzione di “luoghi antropologici” (relazionali, identitari e storici,secondo la celebre definizione di Augé) e, benché non immune dal rischio <strong>del</strong> non-luogo (lacontiguità solitaria, la pluralità senza sintesi, l’autoreferenzialità, una interazione anonima mediatada interfacce testuali, l’accumulo di identità provvisorie…) è orientata da chi la abita decisamenteverso la prima possibilità. In particolare, attraverso la stabilità, la costruzione di familiarità, la fiduciacome condizione <strong>del</strong>l’accesso alle cerchie sociali, la manutenzione <strong>del</strong>le relazioni el’organizzazione di attività e incontri offline.Quindi si può dire che tutti gli spazi, sia quelli offline e quelli online, sono reali: cambia la qualità<strong>del</strong>la relazione, occorre un equilibrio nell’articolazione, ed è auspicabile la salvaguardia di entrambele dimensioni, e <strong>del</strong>la transitività dall’una all’altra: oggi, infatti, una relazione che vive principalmenteonline è disincarnata e può diventare patologica, ma anche una che si lascia intrappolare neivincoli <strong>del</strong>l’offline senza sfruttare le possibilità di prossimità digitale, di condivisione e manutenzione<strong>del</strong>le familiarità offerta dall’online si impoverisce e inaridisce, come ogni cosa viva che nonviene coltivata, e resta schiacciata dagli eccessi di tempo e di spazio che caratterizzano la contemporaneità.Oltre il presente assoluto: estasi e cronotopiPer quanto riguarda le pratiche <strong>del</strong>la comunicazione mediata, oltre alla considerazione sulla contiguitàe “bassa discontinuità” degli spazi online e offline, è interessante quanto emerge sulla dimensione<strong>del</strong> tempo, altra coordinata antropologica fondamentale <strong>del</strong>l’esperienza. Posto che lo statusincide moltissimo sulla struttura <strong>del</strong> budget temporale (chi lavora, come si è detto, fa un uso moltopiù contenuto e finalizzato dei nuovi media), complessivamente si possono riconoscere alcuni a-spetti interessanti:un uso consapevole <strong>del</strong>la risorsa temporale: anche se il mo<strong>del</strong>lo di organizzazione temporale nonpuò essere definito strettamente “monocronico” (orientato all’obiettivo piuttosto che alla relazione,scandito in attività in sequenza lineare, una cosa alla volta), con i suoi caratteri di efficienza ma anchedi strumentalità e di scarsa considerazione <strong>del</strong>la relazione, non si può nemmeno dire che emergaun mo<strong>del</strong>lo “policronico” puro (orientato alla relazione ma senza capacità organizzativa, caratterizzatodalla sovrapposizione <strong>del</strong>le attività e da una certa dispersività): piuttosto, si assiste aun’interessante gestione <strong>del</strong>la risorsa temporale, che si configura come consapevole, organizzata,gerarchizzata, orientata alla relazione. Consapevole perché tematizza la rilevanza dei vincoli esterni(orari di lavoro, tempi da dedicare allo studio, tempi in cui l’uso dei new media va limitato o azzeratoper consentire lo svolgimento di altre attività) e anche la ricerca di “tattiche di gestione” che consentanoil rispetto dei vincoli (come “nella settimana degli esami non si usa FB”); organizzata, perchéla giornata feriale, e diversamente il week-end, è mo<strong>del</strong>lata su un palinsesto di molteplici attività(dall’incastro di attività lavorative precarie ai diversi impegni sportivi) che richiedono il rispettodei tempi e la capacità di gestire una complessità notevole di ruoli, attività e relazioni; gerarchizzata22-24 aprile 2010 16


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeperché, anche quando si è online e l’orientamento è multitasking all’interno di un tipo di utilizzo deinew media che abbiamo definito “ambientale”, ci sono diverse gradazioni di coinvolgimento, e, aseconda <strong>del</strong> momento <strong>del</strong>la giornata e <strong>del</strong>l’attività principale in corso, lo spazio online passa in primopiano o resta sullo sfondo (per esempio con la modalità “invisibili”, un atteggiamento “monitorante”,per vedere cosa succede senza farsi coinvolgere se non c’è il tempo di farlo), che è una modalità“gestaltica” interessante di articolare lo spazio online e quello offline (dove la rilevanza, equindi il criterio <strong>del</strong>la valutazione, è stabilita principalmente dall’offline); e infine, orientata allarelazione, poiché tanto nell’online quanto nell’offline, se si esclude la dimensione lavorativa in sensostretto, le attività hanno tutte una forte componente sociale e l’uso dei new media, pur nelle diverseforme che assume, è tendenzialmente relazionale: essi contribuiscono in modo decisivo allagestione di una complessità crescente, e al mantenimento <strong>del</strong>le relazioni in un regime di attivitàmolteplici e frenetiche sovrapposizioni (quello che Augé chiama “eccesso di tempo”) che renderebberoaltrimenti molto difficile coltivare i rapporti.Una rilevanza significativa <strong>del</strong>la “durata” come dimensione <strong>del</strong>le relazioni altamente investite, chesi radicano in un passato non necessariamente recente, e quella <strong>del</strong>la “potenzialità” come riserva relazionalenon attualizzata e non investita, ma passibile di attivazione nel futuro. Non si verificherebbequindi quella “mancanza di avvenire” che per molti autori caratterizza la vita sociale contemporanea(Bourdieu 2000:246), con effetti gravemente limitanti sulle dimensioni <strong>del</strong>la responsabilitàe <strong>del</strong>la libertà. Il futuro è, in ogni caso, un “futuro breve” (Leccardi), per una serie di condizionistrutturali ineludibili (precarietà, mutevolezza <strong>del</strong> mercato <strong>del</strong> lavoro, crisi) oltre che culturali; ciononostante,la dimensione <strong>del</strong> futuro è tutt’altro che assente, anche se non esplicitamente tematizzata.In entrambi i casi (il permanere <strong>del</strong> passato e l’apertura verso il futuro) la dimensione temporalesfugge ai limiti di quel “presente assoluto” che caratterizza la declinazione iperindividualista <strong>del</strong>lasoggettività contemporanea (Bauman 2000) e il tempo riacquista pienamente la sua dimensione “estatica”,dove quelle che Ricoeur chiama “le tre estasi <strong>del</strong> tempo” (passato, presente e futuro) svolgonoun ruolo significativo e dove, al di là <strong>del</strong> presente immediato, il passato e il futuro definisconorispettivamente un repertorio di esperienza significativa che va custodita e un orizzonte di attesa. Vaaggiunto, come nota problematica, il fatto che il passato è considerato soprattutto un ambito che dàspessore e garantisce autenticità al presente, ma meno come un vincolo che prefigura traiettorie preferenzialidi comportamento; così, il futuro è visto come un ambito di potenzialità sul quale affacciarsi,possibilmente senza vincoli. Ma questo è un aspetto su cui è possibile avviare una riflessioneanche in termini educativi.Una stretta intersezione tra dimensione spaziale e temporale, che richiama alla memoria l’idea di“cronotopo” usata da Bachktin a proposito <strong>del</strong> romanzo pare utile anche per interpretare gli“account” dei soggetti intervistati.Secondo Bachtin “Ogni ingresso nella sfera dei significati avviene soltanto attraverso la porta deicronotopi” ( p. 405). Il cronotopo è infatti un tempo incarnato in un luogo, un concetto fisico primaancora che letterario o sociologico, che si afferma in polemica con uno spazio e tempo astratti di tipoeuclideo, raccogliendo le sollecitazioni <strong>del</strong>la teoria <strong>del</strong>la relatività di Einstein. Il tempo è sempre“embedded”, come già ricordava S. Agostino: non è mai una dimensione astratta, standardizzata,disancorata, secondo il mo<strong>del</strong>lo spazializzato e meccanico <strong>del</strong>la modernità9. Il continente digiltale,con le possibilità di mantenere una pluralità di livelli in relazione tra loro, consente, più che altri“habitat” che lo hanno preceduto, il superamento <strong>del</strong>l’astrazione spaziotemporale e anche<strong>del</strong>l’astrazione meccanizzante dei tempo frammentato. Il cronotopo, usato come chiave interpretativa<strong>del</strong>la nostra analisi, non rappresenta solo una sintesi di spazio e tempo, ma di diversi spazi e diversitempi (biografici, relazionali e sociali).22-24 aprile 2010 17


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeSe si mantiene il cronotopo come unità di analisi <strong>del</strong>l’esperienza e <strong>del</strong>la relazione, è possibile rileggereanche la dimensione <strong>del</strong>l’evento, che non si caratterizza come unità esperienziale intensa mapuntuale, in una logica di assolutizzazione <strong>del</strong> presente, dentro un tempo discontinuo a “stagni epozzanghere”, come lo definiva Bauman, ma come un momento denso che rimanda a un prima e aun dopo, che sintetizza in sé i vari spazi e i vari tempi, contribuendo alla “tessitura” <strong>del</strong>l’identità e<strong>del</strong>la vita relazionale <strong>del</strong> soggetto. L’esistenza non si caratterizza quindi per una radicale “evenemenzialità”(nel segno <strong>del</strong> trionfo <strong>del</strong>la cronaca, <strong>del</strong>l’autonomia degli eventi, <strong>del</strong>la giustapposizionee collezione che preclude l’intelligibilità): nel cronotopo ogni evento include tutto lo spazio e tuttoil tempo, è una sorta di “Aleph” di borgesiana memoria.Nel cronotopo, inoltre, spazio e tempo hanno sempre una coloritura valutativo-emozionale, poichésono legati alla dimensione <strong>del</strong>l’esperienza come vissuto: non sono solo dunque qualcosa che “ciaccade” in modo contingente, , così come capita che piova o ci sia il sole, ma qualcosa che ha unlegame con la nostra storia, la costruisce e viene valutato in rapporto ad essa.Dalle interviste realizzate, ci è parso che il tempo fosse radicato (nell’esistenza offline, nelle relazioni),e non disancorato, e, inoltre, esteso e non “istantaneizzato”.Secondo Bachtin, poi, in letteratuta è possibile cogliere dei “valori cronotopici”, ovvero <strong>del</strong>le figurein grado di cogliere il cronotopo in tutta a sua pienezza. Per esempio, il cronotopo <strong>del</strong>l’”incontro”,dove predomina la sfumatura temporale (promessa di futuro) e l’alto grado di intensità valutativoemozionale(positivo-intenso per la ricchezza e l’apertura <strong>del</strong>le nuove possibilità10): un cronotipomolto presente nelle nostre interviste, come “potenziale relazionale” attivabile nel tempo (ma anchecome suo corrispettivo, il “distacco”, nel caso in cui venga negata l’amicizia, o si elimini qualcuno daipropri contati a seguito di un “raffreddamento” <strong>del</strong>la relazione); “la strada” (il luogo <strong>del</strong>la casualità,<strong>del</strong>lasollecitazione sensoriale e percettiva, anche se di intensità valoriali ed emozionale minore) siconfigura come possibile luogo di incontro e scontro dei destini diversi, di persone che sono lontanebiograficamente ma contigue fisicamente o “comunicativamente” (la “cerchia” relazionale, in uno spaziomolto frequentato, funziona da dispositivo di riduzione <strong>del</strong>la casualità o di casualità controllata). Lastrada diventa anche la metafora <strong>del</strong> passare <strong>del</strong> tempo e <strong>del</strong>la progressione personale (“cammino”), e ilcronotopo <strong>del</strong>la riduzione <strong>del</strong>la distanza (s) nell’istante (t).Caratteristico <strong>del</strong> cronotopo, e <strong>del</strong>la comunicazione nello spazio digitale, è poi l’“Intrecciarsi <strong>del</strong>lo storicoe <strong>del</strong> pubblico-sociale col privato e con l’intimo” (Bachtin 394). La “Soglia” è un altro cronotopoimportante e denso dal punto di vista valutativo-emozionale, poiché ha a che fare con la possibilità diaccesso (a un mondo, a una nuova cerchia) e quindi con il tema <strong>del</strong> cambiamento, ma anche con il sensodi incertezza (entrare? lasciar entrare?). Nel cronotopo <strong>del</strong>la soglia il tempo è un “momento sospeso”, unintervallo “liminale”11 che può segnare un mutamento (legato al’accettazione in una nuova cerchia relazionale)oppure un’attesa, che può anche trasformarsi in rifiuto.Il cronotopo è sempre metaforico e simbolico, poiché implica un allargamento <strong>del</strong>lo spazio-tempo, unadilatazione <strong>del</strong> qui-ora verso le altre estasi <strong>del</strong> tempo. E’ un centro organizzativo degli eventi, una unitàdi contesto, un “morfema abitativo”. (397). È il punto in cui si allacciano, sciolgono, alimentano le relazioni.Rappresenta una materializzazione <strong>del</strong> tempo nello spazio, una condensazione e concentrazione <strong>del</strong>tempo <strong>del</strong>la vita e <strong>del</strong> tempo storico in determinate porzioni di spazio. Si configura quindi come unaunità di significato, capace a sua volta di unificare, ma non come un punto chiuso, bensì come un luogodi rimandi ad altri spazi e altri tempi. Svolge quindi una funzione connettiva fondamentale. Il cronotopoè un dispositivo di management <strong>del</strong>la complessità, di gestione degli “eccessi di spazio” e degli “eccessidi tempo”.Il cronotopo è anche un dispositivo di “mobilità <strong>del</strong> confine” (<strong>del</strong>le cerchie, <strong>del</strong>le stesse piattaforme):identifica infatti un rassicurante “dentro”, una safe zone, rimuovendo il minaccioso e lasciando l’incertofuori, ma senza rigidità assolute.22-24 aprile 2010 18


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmediale• Usi principalmente orientati alla relazione, e in particolare: usi relazionali-organizzativi, orientatial management <strong>del</strong>le relazioni; e all’organizzazione di incontri ed eventi principalmente offline;usi relazionali-referenziali, dove l’accento è sui contenuti di cui si parla; usi relazionalimonitoranti,finalizzati a vedere “cosa fanno gi altri”; usi relazionali-fatici, dove si enfatizza ilcontatto e la chiacchiera come collante relazionale.• Usi principalmente orientati alla produzione, alla condivisione non focalizzata e al consumocome modalità più “individuali” , in particolare: usi orientati alla performance – produzione escambio di materiali, orientati alla consultazione – con scopo informativo-conoscitivo, e orientatiall’intrattenimento – videogiochi, visione di video divertenti su YouTube.Gli usi <strong>del</strong> secondo tipo, pur presenti, risultano meno significativi sia quantitativamente che qualitativamente(come investimento affettivo e temporale).Scendendo più nel dettaglio nella gestione <strong>del</strong>le reti di relazione, possiamo evidenziare una serie dielementi interessanti:• Le piattaforme, tendenzialmente, definiscono diversi livelli di uno “spazio prossemico” che ha ilsoggetto in relazione come proprio centro, da cui si allargano cerchie dove l’estensione è inversamenteproporzionale all’attaccamento e all’investimento. Distinguiamo quindi una sfera “intima”,un nucleo relazionale stabile e generalmente di vecchia data, che costruisce precipuamenteattraverso MSN lo spazio <strong>del</strong>l’interazione (e/o il cellulare o, in misura minore, Skype), con uninteressante slittamento di significato dal radicamento nel passato <strong>del</strong>la piattaforma (quella chesi usava quando si era adolescenti) e <strong>del</strong>le relazioni (quelle più radicate nel passato, gli amici disempre); e cerchie più ampie, generalmente “ancorate” a luoghi offline (gli amici <strong>del</strong>la palestra,i compagni <strong>del</strong>l’università), <strong>del</strong>imitate da confini presenti ma non totalmente impermeabili, oppurepresenti nella forma meno investita di “riserve di contatti”, in attesa di verifica e brevetermine o passibili di attivazione nel futuro. FB è lo spazio <strong>del</strong>le cerchie più ampie, dove il regimecomunicativo è quello <strong>del</strong>la pubblicità e <strong>del</strong>la visibilità. Se MSN è maggiormente deputatoal “management in profondità” <strong>del</strong>le relazioni, FB è il luogo <strong>del</strong> mantenimento e<strong>del</strong>l’ampliamento <strong>del</strong>le cerchie relazionali.• La sicurezza: poiché il mondo di FB è un mondo ad accessibiltà controllata, viene percepitocome uno spazio tendenzialmente sicuro e privo di pericoli; gli scrupoli maggiori riguardanopiuttosto la salvaguardia <strong>del</strong>la propria privacy (specialmente in chi lavora), evitando di condividereargomenti e informazioni troppo personali.• La fiducia e l’intersezione tra le cerchie: a parte il contatto MSN e il numero di cellulare, chesono forniti solo alle persone con le quali esiste già un rapporto di fiducia, l’accesso a FB è relativamentecontrollato, generalmente attraverso due tipi di filtri: se qualcuno “chiede l’amicizia”si può lasciarlo in sospeso, per capire nel frattempo qualcosa in più (soprattutto attraverso osservazioneoffline), oppure capire se esistono amici in comune: molto tipicamente essere “amici<strong>del</strong>l’amico” (la forma digitale <strong>del</strong> passa-parola, o una sorta di “two-step flow” nelle relazioni)costituisce una sorta di garanzia di affidabilità. Quindi se è vero che l’accesso a FB non è indiscriminatoe che entra in gioco la questione <strong>del</strong>la fiducia, è anche vero che i criteri di verificasono piuttosto superficiali e deboli: per accettare un nuovo amico spesso l’unica verifica è la“prima impressione” sulla base <strong>del</strong>la foto; per “importare” un gruppo di amici è sufficiente la“garanzia” di qualcuno che si conosce.La dimensione relazionale è centrale anche rispetti all’adozione <strong>del</strong>le tecnologie e <strong>del</strong>le piattaforme,che spesso seguono un percorso “imitativo”.Riguardo a questa dimensione relazionale vorrei approfondire soprattutto un aspetto, che mi paresignificativo: la costruzione di uno spazio pubblico prevalentemente fatico, caratterizzato dalla centralità<strong>del</strong>l”essere-con”, e il prevalere di una modalità relazionale più empatica e orientataall’armonia che finalizzata all’esibizione di sé o all’argomentazione (sul mo<strong>del</strong>lo <strong>del</strong>la sfera pubbli-22-24 aprile 2010 20


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeca di Habermas): lo spazio digitale è un ambiente dove ci si “accorda” reciprocamente più nel senso<strong>del</strong>la sintonia e <strong>del</strong> vibrare all’unisono che nel senso di una capacità <strong>del</strong>iberativa. In questa “musicapratica”, per usare una bella espressione di Barthes, si esprime una socialità in cui, comunque, nonsi può non tener conto degli altri.La parola come chiacchiera e la parola come donoFrasi molto ricorrenti nelle interviste effettuate, <strong>del</strong> tipo “Ci parliamo, due chiacchiere senza dirciniente, così…” oppure “MSN io lo uso per chiacchierare con i miei amici, parliamo di scemenze,cavolate…” e moltre altre analoghe, dove ci si parla per sentirsi, per rimanere in contatto, rientrano,dal punto <strong>del</strong>l’analisi linguistica, in quella che Jakobson ha definito “funzione fàtica”, una sorta diuso residuale e marginale <strong>del</strong>la comunicazione usato per verificare che il contatto si attivo, primaancora che per dire qualche cosa. E’ l’unica funzione che l’essere umano ha in comune con gli animali(che si trasmettono, attraverso l’emissione di segnali, la reciproca presenta) e che caratterizzauno stadio “primitivo” <strong>del</strong>la comunicazione, quale quello dei bambini molto piccoli, che prima ancoradi poter pronunciare <strong>del</strong>le parole atte a comunicare, emettono suoni e vocalizzi in grado di rassicurarlisulla propria capacità espressiva e sulla possibilità di “farsi sentire”, pur senza dire qualcosadi comprensibile. Scrive infatti Jakobson: “Questa accentuazione <strong>del</strong> contatto può dare luogo auno scambio sovrabbondante di formule stereotipate, a interi dialoghi, il cui unico scopo è prolungarela comunicazione (…) E’ anche la prima funzione verbale che viene acquisita dai bambini, neiquali la tendenza a comunicare precede la capacità di trasmettere e ricevere un messaggio comunicativo”.Quella che Jakobson considera una curiosità semipatologica <strong>del</strong> linguaggio, acquista oggiun ruolo centrale.Con quale significato? La risposta va ricercata non nella linguistica, ma nell’antropologia. E’ statoMalinowsky, infatti, a fornire un’interessante interpretazione <strong>del</strong> ruolo sociale di quella che, significativamente,chiama “comunione fàtica”: non parola come “veicolo di significato”, ma parola come“atto”, come “evento” e come “dono” che crea un luogo comune da abitare insieme. La pragmaticaprecede la semantica. Infatti “Fàtico deriva dal greco phatikos (da phatizo) che significa ‘affermato’,detto’, ma detto senza prova, irresponsabilmente, come quando si dice qualcosa così, per il puropiacere di dire- Questa comunicazione fine a se stessa, questa glossolalia insignificante, viene postada Malinowski letteralmente al centro <strong>del</strong>a vita <strong>del</strong> villaggio primitivo. Essa risulta centrale non soloperché ha luogo ‘attorno al fuoco di un villaggio’, nei momenti di ozio, quando la comunità si ritrova‘a godere <strong>del</strong>la compagnia reciproca’. Essa è centrale anche per una ragione etica. Il tipo diazione che si fa chiacchierando di niente (…) è l’azione fondamentale per la costituzione e la ricostituzione<strong>del</strong>la comunità” (Ronchi 2003:41-42).Se è vero che “ogni prassi comunicativa presuppone un tipo di comunità” (Ronchi 2003:5), è anchevero che la prassi comunicativa va valutata sullo sfondo <strong>del</strong>le più ampie condizioni esistenziali diun gruppo sociale. In un mondo, come lo definisce Augé, di eccesso di spazio, e di eccesso di tempo,dove il rischio <strong>del</strong>lo sfilacciamento <strong>del</strong> legame sociale è altissimo e dove la moltiplicazione deglispazi e la complessificazione dei tempi rende sempre più difficile l’incontro, la comunione faticacontinuamente ritesse il luogo comune e gli dà stabilità, configurandosi come una risposta non individualisticaall’angoscia per quella che De Martino chiamava la “labilità <strong>del</strong>la presenza”.Anche la parola scambiata in rete con funzione fatica possiede questo potere “topogenetico”, piuttostoche referenziale, capace di creare e stabilizzare un luogo di incontro e convivialità prima ancorache di comunicazione (in senso “semantico”, come condivisione di contenuti). E se è vero che, ingrandissima parte, “non si comunica nulla, si comunica “per comunicare’” (Ronchi 2003:39), la verifica<strong>del</strong> contatto assume una fondamentale funzione di tessitura <strong>del</strong>la trama <strong>del</strong>la quotidianità. La“comunità <strong>del</strong>la rete” si insedia dunque nello spazio pubblico <strong>del</strong>la comunicazione fatica, anziché inquello habermasiano <strong>del</strong>l’agire comunicativo razionale, e mira a un’intesa fondata sull’armoniosoessere-con piuttosto che sul libero e critico consenso, come nella teoria <strong>del</strong>l’azione comunicativa.Se si possono cogliere gli aspetti positivi di questa risposta non individuale alle criticità contempo-22-24 aprile 2010 21


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeranee, non sfugge tuttavia l’ambivalenza di una condizione che per quanto positiva, non può proporsicome orizzonte ultimo <strong>del</strong>la comunicazione; casomai, come costituzione <strong>del</strong>le condizioni dipossibilità, come premessa forse necessaria, date le condizioni di complessità <strong>del</strong> nostro ambiente diesperienza, ma certo non sufficiente. La parola allestisce una prossimità, rompe un’estraneità, trasformalo spazio in un luogo. Non costruisce però ancora un vincolo, un legame (non è parolalogos).E i rischi e le derive sono ben chiari, come riconosce lo stesso Ronchi: “La vuota chiacchierarisponde all’esigenza di fondare una micro comunità occasionale tra estranei che restano estranei.Per questo il bravo conversatore occasionale sa come evitare determinati argomenti che potrebberoprodurre divergenze nel momentaneo luogo comune e, se si tratta di fare affermazioni, si attiene prudentementea quanto pensa la maggioranza (…).La chiacchiera, insomma, ha una sua grammatica”(2003:40).Se la funzione fatica svolge il ruolo di collante relazionale e di stabilizzatore <strong>del</strong> luogo<strong>del</strong>l’interazione (un luogo, come si è visto, sempre meno definito da coordinate spaziali, e semprepiù da coordinate relazionali, quindi “a geometria variabile” poiché le cerchie sono mutevoli), è veroche il prevalere di questa funzione nella comunicazione dei giovani ha le sue “grammatiche”. Inparticolare, a seconda <strong>del</strong> livello di coinvolgimento che si mette in gioco (che si accompagna spessoalla scelta di una piattaforma piuttosto che un’altra), si verificano diversi mo<strong>del</strong>li di “costruzione difamiliarità”, e alcuni soggetti sono in grado di agire come “costruttori di familiarità”, facilitando lacostruzione di “luoghi comuni“ allargati. Il mo<strong>del</strong>lo prevalente <strong>del</strong>la socialità pare proprio quello<strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong>la familiarità, sia nell’accezione minimale di “riduzione <strong>del</strong>la distanza” (trasformandoun contatto occasionale in un “amico”), sia nella forma più investita <strong>del</strong>la “comunionefatica”.E l’etichetta <strong>del</strong>l’essere-con prevede (a differenza <strong>del</strong>le retoriche dominanti, e anche <strong>del</strong>le nostreaspettative) la limitazione <strong>del</strong>l’espressività individuale per non rompere l’equilibrio <strong>del</strong> gruppo: unorientamento all’armonia che è tipico <strong>del</strong>le culture collettiviste, e che, unitamente al prevalere <strong>del</strong>lafunzione fatica, ci aveva inizialmente fatto pensare, in termini Mcluhaniani, a una sorta di “neotribalismo”,ma che in realtà rivela piuttosto i caratteri di una individualità relazionale, consapevole<strong>del</strong>la presenza degli altri, preoccupata che il luogo intessuto dalla comunicazione resti veramente“comune”. Per questo le appartenenze, quando si verificano, sono estremamente deboli (i vari gruppivengono fondati su aspetti curiosi, più per fare gruppo attorno a sé e per sentirsi parte con altri diqualcosa che per l’adesione a un principio, a un’idea o a un’iniziativa: è significativo che la stragrandemaggioranza degli intervistati non ricorda nemmeno uno dei gruppi a cui è iscritta). L’esserecon prevale sul configgere (chi esprime posizioni polemiche viene allontanato; si tende a non toccarequestioni che possono generare contrapposizioni e divisioni, come quelle legate alla politica o allareligione. Appare evidente come questo bisogno, che rappresenta certamente un positivo sforzodi superamento de’individualismo radicale, richiede però risposte più alte. Anche perché la regolaimplicita di evitare ciò che può generare conflitto, produce, oltre a un dilagare <strong>del</strong>la banalità, ancheun effetto “spirale <strong>del</strong> silenzio”: piuttosto che affrontare questioni potenzialmente controverse, si e-clissano tutta una serie di questioni dal parlare comune.Costruzione e gestione <strong>del</strong>l’identitàSulla presentazione <strong>del</strong> sé in rete i risultati <strong>del</strong>l’indagine hanno smontato alcune aspettative legate aun uso “narcisistico”, esibizionista e autoreferenziale o, viceversa, di un nascondimento e di un mascheramento<strong>del</strong> sé. Intanto, proprio per la forma che il social network assume data la sua finalitàrelazionale, non ha senso “nascondersi” dietro enigmatici nickname, perché lo scopo è quello di rintracciareed esser rintracciabili. Inoltre, data la natura pubblica <strong>del</strong>lo spazio di FB, l’eccesso appareinopportuno, pur nella ricerca di una rappresentazione <strong>del</strong> sé il più gradevole possibile (la foto è ilprimo “biglietto da visita” e spesso assume un ruolo decisivo rispetto alla fiducia). I profili sonotendenzialmente essenziali e non sono oggetto di investimento particolare: la presentazione di sé èsubordinata alla relazione, non è un fine in se stessa.22-24 aprile 2010 22


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeL’ingresso in FB svolge per molti la funzione di “rito di passaggio” dall’età adolescenziale a quellaadulta (e traduce la volontà di avere un maggiore controllo sulla propria identità sociale), o dallospazio ristretto degli amici intimi a uno spazio pubblico allargato, spesso a seguito di una svolta esistenziale(come l’accesso all’università).D’altra parte, il modo di “stare” su FB è molto legato alle condizioni di vita offline, e per chi lavorao vive in u piccolo centro dove tutti si conoscono c’è maggiore consapevolezza che le azioni on linepossono avere dirette ed esplicite conseguenze sulla propria quotidianità off line.Rispetto alla presentazione <strong>del</strong> sé on line si possono riconoscere alcune strategie comuni:• Controllo (soprattutto femminile): esprime il desiderio di controllare in maniera diretta e strategicala propria identità on line, per cui si sceglie e si confeziona con attenzione il materiale dapubblicare; si cerca di dare di sé informazioni chiare, univoche, complete; si monitora. e quandonecessario si “censurano” interventi altrui nel proprio profilo. Tale atteggiamento si collega aldesiderio di dare di sé un’immagine desiderabile, alla paura di finire vittime di equivoci, di interpretazionierronee, al timore di creare <strong>del</strong>le discrasie tra la propria immagine off line e on line• Marginalizzazione: soprattutto maschile, consiste in una riduzione o trattamento minimalista<strong>del</strong> “discorso sul sé” nelle pratiche di utilizzo <strong>del</strong>la piattaforma e in particolare ci si limita a toniludici, ironici; ci si focalizza per lo più su temi, personaggi al centro dei discorsi sociali (per e-sempio personaggi tv); ci si limita a commentare, “linkare” contenuti prodotti da altri; anchequando il discorso ricade su aspetti <strong>del</strong>la propria vita privata, si tende ad inserirsi in un gruppo,in una precisa cerchia relazionale (gli amici, i compagni di classe, di squadra) piuttosto che e-sporsi in maniera individuale (si preferiscono, per esempio, le foto di gruppo a quelle personali).Questo atteggiamento sembra dettato da un lato dalla paura di poter essere giudicato anche incontesti off line (soprattutto nei centri piccoli dove le cerchie relazionali off line e on line tendonoa sovrapporsi), dall’altro dal desiderio di non connotare eccessivamente un profilo socialee/o lavorativo che è ancora in via di definizione• Omologazione: trasversale a maschi e femmine. Si presta grande attenzione alle azioni, ai comportamenti<strong>del</strong>la maggioranza dei propri contatti per imitarli. In particolare si cerca di comprenderequal è l’etichetta <strong>del</strong>la piattaforma, e si tende a rispettarla; si mostra un atteggiamento allineato,di modo da evitare di essere criticati e giudicati, preferendo il passare inosservati al divenireoggetto di critiche o curiosità eccessiva. In particolare all’interno di questa modalità si precisanoin maniera chiara le linee di una “etichetta” <strong>del</strong>lo spazio virtuale, definendo i “paletti”entro cui si iscrive un comportamento “corretto” attraverso la stigmatizzazione e la critica (spessoanche aspra) di tutti i comportamenti “eccentrici”, o eccessivamente individualizzati e quindinon condivisibili (per esempio: chi commenta ogni azione <strong>del</strong>la sua giornata, chi parla di cosetroppo personali). La diffusione di questo atteggiamento è interessante perché, come già sottolineato,va nella direzione contraria all’individualismo spinto che caratterizza il mondo socialecontemporaneo ( e che forse appartiene più alla generazione degli adulti, dei loro genitori) e rileggein chiave “digitale” il tema <strong>del</strong> monitoraggio reciproco, <strong>del</strong> “controllo sociale”, <strong>del</strong>la capacità<strong>del</strong> gruppo di disciplinarsi privilegiando l’armonia e l’equilibrio complessivo piuttostoche l’espressività individuale, confermando l’ipotesi di una “individualità relazionale” piuttostoche “narcisista”.Per un nuovo umanesimo <strong>del</strong> continente digitaleNella realizzazione <strong>del</strong>la nostra ricerca ci ha guidato, certamente, un interesse “scientifico”: capirecosa sta succedendo nell’ambiente mediatizzato, quali sono le forme di adattamento e mo<strong>del</strong>lamentoche stanno prendendo forma nel modo digitale. Ma la motivazione che ci guida non è distaccata eneutrale, bensì partecipe e coinvolta, e la finalità non è puramente esplorativa, ma antropologica nelsenso più profondo: quali sono, nel nuovo contesto sempre in divenire, le condizioni per un nuovoumanesimo, per azioni, relazioni e pratiche che siano capaci di accrescere la nostra umanità, chepromuovano la persona nella sua integrità, che lascino aperto quello spazio <strong>del</strong>la trascendenza senza ilquale l’umanesimo diventa disumano.22-24 aprile 2010 23


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeDalla nostra indagine emergono alcuni aspetti che, pur conservando una certa ambivalenza, rappresentanoun correttivo rispetto alle derive antiumanistiche <strong>del</strong>la cultura contemporanea(l’individualismo spinto, l’implosione nel presente assoluto, il rifiuto <strong>del</strong> vincolo e <strong>del</strong>la durata) eaprono <strong>del</strong>le prospettive nelle quali un umanesimo attento alla totalità <strong>del</strong>la persona può trovarespazio. I possibili correttivi scaturiscono da due fonti: quella <strong>del</strong>lo studioso, che analizzando la situazionee le dinamiche in corso, può identificare aree di criticità e opportunità di promozione umana;ma, siamo contenti di poterlo dire, anche dalle pratiche di frequentazione <strong>del</strong> continente digitaleda parte degli stesi “attori” che, pur con diversi gradi di consapevolezza, “rispondono” alle ovvietàculturali ormai divenute normative con comportamenti che, a livello <strong>del</strong>la prassi, mettono in campoun primo abbozzo di critica costruttiva attraverso un agire non allineato agli imperativi <strong>del</strong>la contemporaneità.Dal punto di vista <strong>del</strong> nostro ruolo di scienziati sociali, possiamo affermare in conclusione che la ricercaci ha consentito sia di superare alcune dicotomie che impedivano di cogliere le dinamiche inatto, sia di ridefinire alcuni concetti fondamentali per le scienze sociali in termini nuovi, più relazionalie dunque più compatibili con una “nuova sintesi umanistica”.Tra le dicotomie che risultano a nostro avviso ormai inutili, quando non fuorvianti, per interpretarela dimensione relazionale in rete possiamo includere individuale/collettivo, pubblico/privato, particolare/universale.In luogo di una contrapposizione (che rende sempre difficile la composizionesenza cadere in una qualche forma di determinismo), abbiamo potuto rilevare una disposizione relazionaledei soggetti nell’ambiente digitale (un ambiente tessuto narrativamente e attraverso una comunicazione“fatica”, quindi intrinsecamente intersoggettivo), una sorta di “intersoggettività pratica”che definisce la modalità di presenza in rete: né individuo né tribù, quindi, ma cerchie che si intersecano,gradazioni di prossimità in un ambiente strutturalmente relazionale, dove essere significaessere-con. In questo quadro, le dimensioni <strong>del</strong> pubblico e <strong>del</strong> privato non sono contrapposte, marappresentano un continuum in divenire, a seconda dei gradi di prossimità e <strong>del</strong> trasformarsi <strong>del</strong>lerelazioni (stabilizzazione, management in profondità, raffreddamento relazionale…). Poichénell’universo <strong>del</strong> web è fondamentale il coinvolgimento personale, in un certo senso tutto è “particolare”,ma le pratiche di condivisione, il monitoraggio reciproco, il sintonizzarsi anche non esplicitamentesu un’etichetta <strong>del</strong>la relazione online compongono una costellazione di regole che vannoben al di là <strong>del</strong> comportamento <strong>del</strong> singolo o <strong>del</strong>la contingenza <strong>del</strong>la comunicazione.Tra i concetti che i risultati <strong>del</strong>la ricerca ci hanno costretto a ridefinire ci sono certamente quelli dispazio e di tempo. Il primo perde tutta l’astrazione euclidea che già McLuhan aveva contestato, perradicarsi nella relazionalità: proprio perché non si definisce come un supporto o un contenitore “dato”,va continuamente alimentato, ritessuto, riconosciuto. L’espressione <strong>del</strong>la filosofa Sheila Benhabib,“viviamo in reti di interlocuzioni e di storie” appare oggi particolarmente appropriata. Comeabbiamo notato la prevalenza <strong>del</strong>la dimensione narrativa e di quella fatica è assolutamente evidente,e questa prevalenza rappresenta una risposta – e quindi una critica implicita - allo sfilacciamento<strong>del</strong>le relazioni, all’erosione <strong>del</strong> capitale sociale, alla frammentazione e all’individualismo ma anchealla contrapposizione tra online e offline, la cui discontinuità è suturata, appunto, dalla coralità <strong>del</strong>lanarrazione e dalla transitività che le pratiche relazionali consentono.Dalla centralità <strong>del</strong>l’azione individuale, che rende difficile arrivare alla composizione, abbiamospostato quindi l’attenzione alla tessitura di spazi per l’interazione, e ai diversi livelli di coinvolgimentoche essi richiedono. L’unità di analisi è quindi la persona nei suoi molteplici coinvolgimentie i con i diversi gradi d’impegno messi in gioco. La dimensione pragmatica acquista quindi preminenzarispetto alla semantica <strong>del</strong>l’azione. Il problema non è quindi analizzare chi sono i soggetti,com’è l’ambiente e come si comportano i soggetti nell’ambiente, ma quali pratiche dei soggetti inrelazione (con gli altri, con l’ambiente che attraverso le relazioni prende forma) configurano un u-niverso comune e abitabile, dove “abitare” è il modo propriamente umano di esistere nel mondo.22-24 aprile 2010 24


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeAnche rispetto al tempo, come si è visto, è necessario un ripensamento e un re-embedding nelle pratiche,capaci di gestire la “complessità degli eccessi” attraverso figure spazio-temporali che organizzano,danno stabilità e visibilità al proprio universo relazionale. Come si è visto, possiamo identificare,nelle pratiche, dei “cronotopi” che legano spazio, tempo e relazione, superando la frammentazionedegli spazio e l’implosione <strong>del</strong> tempo nell’istante e riaprendo l’arco <strong>del</strong>le tre “estasi”<strong>del</strong> tempo.Il focalizzarsi sui regimi di impegno nel mondo condiviso, e sulle grammatiche <strong>del</strong>la prossimità chequesto comporta, ci ha consentito di rileggere altri termini chiave <strong>del</strong>l’analisi sociale, come quellodi “autonomia”: crediamo che alla luce di un nuovo umanesimo l’idea liberista di autonomia comelibertà dai vincoli vada ripensata, e che la ricerca offra, seppure in embrione, gli elementi per pensarea un’autonomia in chiave intersoggettiva e relazionale, come capacità di esercitare libertà e responsabilitàprecisamente dentro i vincoli (relazionali e ambientali) che caratterizzano l’abitare:l’attenzione agli altri (sia nell’evitare eccessi nella presentazione di sé, sia nel rifuggire argomentipotenzialmente conflittuali, sia semplicemente nel posizionarsi rispetto a un mondo che si trova giàorganizzato dalle relazioni preesistenti, solo per fare qualche esempio, evidenziano una consapevolezzarelazionale ed ecologica, oltre che consentire al mondo comune, attraverso i reciproci aggiustamenticontinui e gli sforzi di sintonizzazione, di restare perennemente in divenire. Come scriveIrigaray [La libertà] è, in ogni istante, costretta a ri-definirsi o modularsi in funzione degli enti o e-sistenti, umani o non, che la circondano. Non deve, nondimeno, rinunciare al suo impulso proprio,ma scoprirgli un’economia compatibile con quella <strong>del</strong>l’altro (…) La libertà deve , in ogni momento,limitare la sua espansione per rispettare gli altri esistenti e, ancor più, trovare il modo di formarecon loro un mondo sempre in divenire” (Irigaray 2009: 16). E ancora: “La prossimità all’altro, siscopre nella possibilità di elaborare con lui, o lei, un mondo comune che non distrugga il mondoproprio a ciascuno. Questo mondo comune è sempre in divenire”.L’autonomia, dunque, non solo non è incompatibile con i vincoli <strong>del</strong>la relazione, ma non può e-sprimersi al di fuori di essa; di più, non può esprimersi fuori <strong>del</strong>la costruzione relazionale di unmondo comune. Se la comunicazione “fatica”, così abbondantemente presente nelle modalità di abitarela rete, può sembrare a prima vista un chiacchiericcio fine a se stesso, un accessibile e poco impegnativoriempitivo <strong>del</strong> vuoto esistenziale (e occorre vigilare perché non si riduca a questo, che èun rischio sempre presente), guardata più da vicino può svolgere la funzione di “manutenzione <strong>del</strong>luogoLe pratiche che abbiamo potuto ricostruire a partire dalla prospettiva scelta ci hanno confermatol’importanza <strong>del</strong>la dimensione <strong>del</strong> “comune” sul “proprio”33. Più in particolare, ci hanno consentitodi identificare, a partire dall’intensità di coinvolgimento e dalle loro gradazioni34, diversi regimi dispazio-temporalità, diversamente investiti dal punto di vista emotivo-valutativo e collegati a diversegrammatiche comunicative (per esempio nascondimento-disvelamento, tipo di accessibilità etc.). Inparticolare penso si possano distinguere tre regimi di impegno e intensità relazionale-esperienziale,che definirei prossimo (o intimo), comune e pubblico. Mi pare che la dimensione <strong>del</strong>la “commonality”sia particolarmente rilevante perché, anche s e si esprime attraverso forme “leggere” e prevalentementeludiche come appartenenze deboli a gruppi o <strong>del</strong>imitazione flessibile di cerchie relazionalistabili ma implementabili, esprime un bisogno di superamento <strong>del</strong>l’atomizzazione sociale, emette in campo risorse, ancorché limitate, per rispondervi.Naturalmente fin qui si sono evidenziate soprattutto le opportunità, e le possibili premesse, per losviluppo di un nuovo umanesimo digitale. I rischi non mancano, e ne elenco solo qualcuno: il rischio<strong>del</strong>la banalità (nel linguaggio, nei contenuti, che rischia di rendere “povero” il luogo comuneche si costruisce insieme, tanto povero da impedire, anziché agevolare, l’incontro35; il rischio chela dimensione <strong>del</strong>la nostalgia, molto presente sia in riferimento alle relazioni, che alle tecnologiecome marcatori di una fase rimpianta <strong>del</strong> sé, finisca con l’assumere una funzione regressiva e consolatoria,facendo nuovamente implodere le tre dimensioni <strong>del</strong> tempo, anziché nel presente assoluto,22-24 aprile 2010 25


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialein una mitica età <strong>del</strong>l’oro36; una certo sbilanciamento <strong>del</strong>la relazione sulla dimensione <strong>del</strong>la philìa,<strong>del</strong>l’affinità con il simile, che potrebbe limitare le potenzialità di costruzione di prossimitànell’ambiente digitale, e impoverire la comunicazione lasciando ai margini ciò che più propriamentela costituisce, ovvero il rapporto con l’alterità (e, auspicabilmente, anche con l’Alterità con la Amaiuscola, almeno come orizzonte di possibilità: senza di essa, infatti, è difficile fondare una fraternitàcon chi è totalmente “altro”). Quella alterità che sola, come scrive Lévinas, inaugura la possibilitàdi prossimità e di fratellanza: “L’alterità che infinitamente obbliga fende il tempo con un intervallo– un frattempo – insuperabile: l’”uno” è per l’altro di un essere che si dis-tacca, senza fare disé il contemporaneo <strong>del</strong>l’altro, senza potersi mettere accanto a lui in una sintesi esponibile come untema; l’uno-per-l’altro, in quanto l’uno-guardiano-di-suo-fratello, in quanto l’uno-responsabile<strong>del</strong>l’altro.Tra l’uno che io sono e l’altro di cui rispondo, che è anche la non-indifferenza <strong>del</strong>la responsabilità,significanza <strong>del</strong> significato, irriducibile a un sistema qualsiasi, si spalanca una differenzasenza fondo. Non-in-differenza che è la prossimità stessa <strong>del</strong> prossimo, nella quale soltanto si<strong>del</strong>inea uno sfondo di comunanza tra l’uno e l’altro, l’unità <strong>del</strong> genere umano, tributaria alla fratellanzadegli uomini. (Lévinas 2009: 24). Tuttavia, a fronte di queste ambivalenze, ci pare di poter affermareche i presupposti per un nuovo umanesimo sono più favorevoli rispetto alla cultura di cui èportatrice la generazione degli adulti.Se è vero che il risultato più significativo <strong>del</strong>la nostra ricerca è stata la centralità <strong>del</strong>la dimensionerelazionale ( e la sua capacità di operare una serie di ricomposizioni, prima fra tutte quella tra onlinee offline) , questo rappresenta una buona notizia: come scrive Benedetto XVI, infatti “La rivelazionecristiana sull’unità <strong>del</strong> genere umano presuppone un’interpretazione metafisica <strong>del</strong>l’humanum incui la relazionalità è un elemento essenziale” (CV 55).Come è sempre stato, ma oggi più che mai, sono allora i giovani la speranza per un futuro più umano:“Giovane sta a indicare il sovrappiù <strong>del</strong> senso rispetto all’essere che lo regge (…) La giovinezza èautenticità. Giovinezza però definita dalla sincerità, che non è la brutalità <strong>del</strong>la confessione, néla violenza <strong>del</strong>l’atto, ma è il farsi incontro agli altri, farsi carico <strong>del</strong> prossimo, sincerità che nascedalla vulnerabilità umana. Capace di ritrovare le responsabilità sotto la spessa coltre <strong>del</strong>le letteratureche ce ne assolvono, la gioventù (…) cessa di essere l’età <strong>del</strong>la transizione e <strong>del</strong> passaggio,per rivelarsi l’umanità <strong>del</strong>l’uomo” (Lévinas 2009: 156).I profili <strong>del</strong>la generazione digitale -Il Social Network e la sua centralità nellepratiche comunicativeSimone Carlo PhD – Università Cattolica <strong>del</strong> Sacro Cuore – MilanoIntroduzione: né polvere, né monoliteLa ricerca condotta dal nostro gruppo di lavoro ha significativamente confermato l'importanza deisiti di social network tra i ragazzi. Non si tratta di una centralità, come vedremo, solo d'uso (cioè intermini di “quantità” di minuti passati o di qualità, rispetto al coinvolgimento e profondità nell’usodi tali servizi), ma in primis si tratta di una centralità valoriale.Quando si parla di centralità dei social network si fa riferimento non solo alla capacità che hannoquesti servizi di dialogare, fraseggiare, inserirsi con estrema forza nel tempo quotidiano dei giovani,ma ci si riferisce anche a una centralità che fa percepire ai ragazzi tali servizi sempre più “indispensabili”.Indispensabili in quanto legati a una contemporaneità in alcuni casi accelerante e complessa,che necessita di strumenti che semplificano e stabilizzano relazioni e tempi. Ma, viceversa, indispensabilianche perché strumenti in grado di aumentare la molteplicità <strong>del</strong> reale e le occasioni disocialità: spiegheremo meglio questa concetto fra poco. Prima di descrivere le principali emergenza<strong>del</strong>la nostra ricerca, è forse opportuno partire da una definizione di social network.22-24 aprile 2010 26


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeI social network sono siti che hanno l’obiettivo di costruire relazioni tra utenti: la relazione si basanosullo scambio di informazioni e contenuti. Da una parte favoriscono la costruzione di reti socialivirtuali (ma non, come vedremo, totalmente “altre” rispetto a quelle reali), dall'altra si inseriscononella tendenza generale alla crescita di produzione, diffusione, condivisione di contenuti generatidagli utenti, i cosidetti UGC, user generated content.Il social network più diffuso in Italia, come è noto, è Facebook. Ma Facebook non è né l'unico né ilprimo social network: MySpace, Badoo, Hi5, NetLog sono altri servizi con popolarità, caratteristichee funzionamento assai diverse tra di loro.Anche tra i nostri soggetti Facebook rappresenta il social network più utilizzato e centrale nelle pratichediscorsive.Al di là <strong>del</strong>le caratteristiche dei singoli servizi, ciò che emerge con estrema forza dalla nostra indagineè la capacità di questi strumenti di essere fortemente piegati all'utilizzo dei giovani: l'importanzageneralizzata, trans-generazionale, trans-geografica dei social network non significa che talistrumenti vengano utilizzati nella stessa maniera, con gli stessi obiettivi, con lo stesso investimentosimbolico.Le nostre interviste mostrano come i social network non siano monoliti impenetrabili e sempre u-guali a se stessi o viceversa strumenti che prevedono un uso talmente personale ed eccentrico dasfuggire a qualsiasi forma di possibile analisi e codifica. Abbiamo a che fare piuttosto con strumentiche presuppongo tra gli utenti una sorta di reciprocità: è come se si raccogliessero dei cluster d'usoche presuppongono, tra soggetti che si considerano amici, omofile e simili modalità di utilizzo.In una sorta di reciproco riconoscimento, le modalità di utilizzo di tali strumenti ruotano prevalentementeattorno a medesime modalità di gestione <strong>del</strong>la privacy, <strong>del</strong>le reti sociali, dei contenuti, formandocosì <strong>del</strong>le vere e proprie famiglie di utilizzatori che si approcciano a tale mondo con particolarecoerenza interna.Da un certo punto di vista, tali famiglie non si comprendo e sono tra di loro un poco diffidenti: l'esempiopiù lampante è la diversità di gestione <strong>del</strong>l’intimità, dove la chiusura e l'attenzione allaprivacy di taluni diventa per i più aperti sintomo di nascondimento e dove l'estrema trasparenza dialtri diventa per i più riservati esibizionismo da condannare.A dimostrazione di tale processo di reciprocità, i soggetti sembrano prestare grande attenzioneall’azioni, ai comportamenti <strong>del</strong>la maggioranza dei propri contatti per imitarli. Si cerca di comprenderequal è l’etichetta <strong>del</strong>la piattaforma, al fine di rispettarla: l’intento di fondo è quello di mostrareun atteggiamento omologato, allineato di modo tale da evitare di essere criticati, giudicati.Contrariamente a una vulgata che vuole i social network come gli “ambienti <strong>del</strong>l’eccentrico a ognicosto”, <strong>del</strong> “sopra le righe”, <strong>del</strong>la “rincorsa all’eccesso”, sembra quasi che per questi soggetti il rischiodi passare inosservati, “di non lasciare un segno” risulti comunque preferibile al rischio di divenireoggetto di critiche o di curiosità morbosa.Sono queste etichette che costruiscono le famiglie e le tribù che animano i social network: famigliee profili che si articolano attorno a pratiche in alcuni casi profondamente diverse e, come vedremo,inconciliabili. Ma andiamo con ordine.Le funzioni dei social networkCome introdotto dall’intervento <strong>del</strong>la Professoressa Chiara Giaccardi, il nostro lavoro ha cercato diindividuare tali famiglie, tali profili di comportamento e d’uso. Non si tratta evidentemente di profiliche esauriscono tutti i possibili comportamenti dei ragazzi nell’utilizzo dei social network, macercano di descrivere <strong>del</strong>le tendenze, a nostro parere, assai interessanti e che mostrano, anche attraversoun necessario processo di semplificazione, le potenzialità contenute in tali servizi e nell’usoche concretamente ne fanno i giovani intervistati. Prima di addentrarci nella descrizione dei profili,22-24 aprile 2010 27


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeè forse utile descrivere brevemente le funzioni che sono attribuite ai social network dai soggetti. Essesono principalmente di natura relazionale: innanzitutto quella che abbiamo chiamato nella nostraricerca la “funzione monitorante”, cioè il controllo continuo dei “movimenti” dei propri contatti. Ilsocial network si dimostra essere strumento indispensabile per “tracciare” gli spostamenti degli a-mici e conoscenti. In particolare, nei cosiddetti “salti relazionali” (quei momenti di passaggio tra idiversi gradi di istruzione, o tra periodo scolastico e lavoro, o nel trasferimento da una cittàall’altra), i social network diventano straordinari strumenti sia di continuità rispetto alle cerchie a-micali di cui si teme l’allontanamento sia di “riposizionamento” sociale nella costruzione di nuoveamicizie e relazione da monitorare, in un mix strategico di on e off-line. Tramite il monitoraggio deiprofili altrui, si ricostruiscono le abitudini, i gusti, gli atteggiamenti dei soggetti recentemente incontrati,alimentando nuovi gruppi amicali (per esempio il gruppo dei nuovi compagni<strong>del</strong>l’università).Una ulteriore funzione è quella <strong>del</strong> “management in profondità”: i social network sembrano aiutarei soggetti a “prendersi cura” <strong>del</strong>le diverse cerchie amicali consolidate. Di fronte alla complessitànel gestire gruppi di amici, e di fronte alla articolazione frammentata <strong>del</strong>le relazioni, specie nei periodidi transito e cambiamento, il social network riesce, in maniera visibile e tangibile, a organizzarele reti di interessi, continuando a sentire “tutti vicini” i propri contatti, attraverso la profondità<strong>del</strong>le relazioni intrattenuti anche, ma non solo, nell’on-line. Da questo punto di vista il socialnetwork si dimostra uno strumento straordinario di organizzazione affettiva.Infine una terza funzione dei social network, centrale per i soggetti intervistati, è quella fatica: talistrumenti attivano e coltivano il desiderio di mantenere sempre aperta la comunicazione con i propriamici, rimanendo sempre connessi, raggiungibili, rintracciabili durante ampie fasce <strong>del</strong>la giornata.E’ “il non sentirsi mai soli” e isolati, ma sempre al centro dei pensieri <strong>del</strong>la propria rete amicale.Al di fuori <strong>del</strong>la dimensione relazionale, altre funzioni caratterizzano l’uso dei social network: innanzituttola funzione performativa. E’ essa parzialmente diffusa e riguarda la produzione e condivisionedi contenuti. Si tratta di una pratica considerata dai soggetti non centrale e comunque conricadute fortemente relazionali: si condividono contenuti per intessere relazioni Ma ciò che caratterizzasostanzialmente i differenti usi dei social network è legato alla gestione <strong>del</strong>l’identità e <strong>del</strong>le retisociali: sono questi gli elementi che più di altri <strong>del</strong>ineano i profili individuati.I profili: chi fa cosaPartiamo dal primo profilo: i riservati. Sono i soggetti caratterizzati da un uso strumentale (nellepratiche) e stabilizzante (nelle relazioni) dei social network.Si tratta di quei soggetti che hanno un uso dei social network limitato e disincantato. Molto spessol'adozione è avvenuta per imitazione <strong>del</strong> gruppo dei pari o di amici: si percepisce quasi una sorta diobbligo sociale, un dovere relazionale. Un po’ come se, senza un proprio profilo su un socialnetwork, mancasse uno strumento fondamentale per essere fino in fondo cittadini e giovani. Il paragonepiù vicino è quello con il telefono mobile: senza cellulare non si può vivere, non si può farne ameno, ma non lo si ama.Tale profilo si accosta ai diversi mezzi di comunicazioni quasi sempre in un'ottica strumentale: gliimpegni legati alla crescita lavorativa o legati al percorso scolastico universitario (si tratta in particolaredi soggetti prevalentemente over 20) portano ad assumere un atteggiamento finalizzato efunzionale nella gestione dei social network, dove il tempo dedicato è limitato e relegato in momentiparticolari <strong>del</strong>le giornata.Tale approccio morigerato non sempre si traduce in un’attenta gestione <strong>del</strong>la privacy: in alcuni casii soggetti dimostrano un approccio non completamente consapevole dei rischi legati all’esposizionedi dati sensibili. Il distacco nei confronti dei social network si traduce in taluni casi in non totale22-24 aprile 2010 28


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialecomprensione <strong>del</strong> funzionamento dei servizi stessi, generando utenti freddi ma non attenti rispetto,per esempio, alla possibilità che soggetti sconosciuti possano vedere liberamente contenuti caricatisul proprio profilo.In altri casi, soprattutto presso il campione femminile, la riservatezza passa prevalentemente dalcontrollo dei contenuti caricati. Si sceglie con attenzione il materiale da pubblicare, si cerca di daredi sé informazioni chiare, complete, si monitora e quando necessario si “censurano” interventi altruinel proprio profilo.Tale atteggiamento si collega al desiderio di dare di sé un’immagine desiderabile, ma anche alla pauradi finire vittime di equivoci e al timore di creare <strong>del</strong>le discrasie tra la propria immagine off linee on line: è un atteggiamento legato a un certo distacco dai social network, di cui si percepisconopiù i rischi che i benefici.Il distacco nei confronti <strong>del</strong> mezzo si conferma anche nella gestione <strong>del</strong>le relazioni sociali on-line:da una parte c’è una certa resistenza ad accettare nella propria rete di amici “virtuali” soggetti nonconosciuti faccia a faccia, dall’altra anche le attività su Facebook si limitano al dialogo, confronto,contatto con i pochi soggetti che fanno parte <strong>del</strong>la propria rete amicale.Il riservato è spesso infatti un soggetto caratterizzato da un orizzonte relazionalmente limitato, conpochi amici, con frequentazioni abitudinarie. Da questo punto di vista il social network non è percepitocome strumento per estendere la propria rete di amicizie né di approfondire relazioni con conoscentilontani con cui si è avuto sempre poco rapporto: il social network si inserisce discretamentein una realtà relazionale stabile e consolidata da mantenere e monitorare.Un secondo profilo è quello degli ipersocievoli, caratterizzati da un uso dei social network ambientale(nelle pratiche) e stabilizzante (nelle relazioni). Sono quei soggetti che utilizzano i socialnetwork per rimanere sempre connessi con la propria rete di contatti, vicini e lontani. L’obiettivo èmantenere una relaziona fatica continua, controllando e monitorando i propri contatti, senza una eccessivaenfasi alla scoperta di “nuove amicizie”, ma piuttosto con un utilizzo strategico dei socialnetwork in quanto strumenti per saldare e coltivare le relazioni profonde. I social network diventanocosì sottofondo abituale <strong>del</strong>la quotidianità: centrale è la possibilità di risultare sempre reperibile e dipoter mantenere un contatto diretto con i propri amici. L’uso intenso dei social network da parte ditali soggetti non significa un “abbandono” o una “sostituzione” con le relazioni sociali “reali”, anzi:tali ragazzi continuano a credere che solo la relazione face to face sia realmente in grado di generaredei processi di approfondimento dei rapporti amicali.Gli ipersocievoli sono soggetti con una gestione <strong>del</strong>l’identità caratterizzata da un processo di marginalizzazionedei discorsi sul sé, nelle pratiche di utilizzo <strong>del</strong>la piattaforma.Questo atteggiamento sembra dettato da un lato dalla paura di poter essere giudicato anche in contestioff line (specie nelle città di provincia o nelle regioni <strong>del</strong> sud) dall’altro dal desiderio di non“sporcare” il profilo sociale e lavorativo che, con la crescita anagrafica, inizia a <strong>del</strong>inearsi.Rispetto alla gestione <strong>del</strong>la rete sociale, gli ipersocievoli sembrano utilizzare i social network prevalentementein termini di organizzazione funzionale, come bussole di socialità attraverso il quale o-rientare e “pianificare” le proprie amicizie, anche quelle “nuove” che arrivano dall’inserimento innuovi contesti. Gli strumenti di socialità on-line vengono utilizzati come tool per organizzare inmaniera efficace, funzionale e non dispersiva le diverse cerchie relazionali che fanno parte <strong>del</strong>lapropria quotidianità, offrendo una mappatura immediata di tutte le proprie amicizie, permettendo dimantenere un contatto continuativo e facile con numeri anche molto elevati di soggetti, con un bassodispendio in termini di risorse emotive, cognitive, temporali.Un terzo profilo, che abbiamo definito collezionista, si caratterizza per un uso ambientale degli22-24 aprile 2010 29


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialestrumenti <strong>del</strong>la comunicazione e dinamizzante <strong>del</strong>le relazioni. Sono cioè quei soggetti che utilizzanoi social network con l’obiettivo di ampliare la propria cerchia amicale, anche al di là <strong>del</strong>la possibilitàdi trasformare tale contatti on-line in reali amici off-line. In alcuni significativi casi tali soggettihanno un uso quasi compulsivo <strong>del</strong>la comunicazione mediata e <strong>del</strong>la rete sia come strumentodi svago sia come strumento per mantenere e ampliare la propria rete sociale sia in modo mediatosia non mediato. Tali soggetti hanno un atteggiamento di esibizione nell’utilizzo dei social networknella gestione dei contenuti personali caricati: non solo le proprie foto, i filmati, ma anche attraversola condivisione di foto di terzi, link e gruppi che riguardano gli hobby e gli interessi. L’esibizionepassa, inoltre, dalla gestione <strong>del</strong>le amicizie: in una sorta di uso strategico dei contatti, l’ampiezza<strong>del</strong>la rete amicale (in termini quantitativi di numero di connessioni) ma anche le caratteristiche ditale rete (la presenza di molte belle ragazze, per i maschi, per esempio, ma non solo), diventano unelemento da esibire e di cui vantarsi, una sorta di portfolio da mostrare agli amici e su cui costruireuna propria reputazione. Ma l’esibizione passa soprattutto da un uso spregiudicato <strong>del</strong>le impostazionidi privacy: la reperibilità e riconoscibilità è legata alla necessità di offrire il più possibile informazionisu di sé (foto, dati anagrafici) ai potenziali amici non ancora appartenenti alla propriarete di contatti (virtuale e non). E’ interessante notare come per tali soggetti il livello <strong>del</strong> mostrarsiimplica sia un livello esibitorio (“il mostrarmi”) sia un livello di non nascondimento (“sono sincero,non nascondo”). L’anonimato non rappresenta un’esigenza, anzi, i soggetti con una eccessiva attenzioneper la riservatezza e l’anonimato vengono giudicati dai collezionisti come utenti che potenzialmentehanno qualcosa da nascondere, che non dimostrano “reciprocità” nelle relazioni: a unatrasparenza di contenuti e materiali mostrati si pretende la medesima trasparenza nei confronti deisoggetti che vogliono accedere alla propria rete amicale virtuale. Le forme di garanzia non sono datedall’essere in un giardino chiuso e protetto dall’esterno, ma dalle dinamiche di reciprocità che a-nimano lo spazio (virtuale, ma non solo) all’interno <strong>del</strong> quale le relazioni si articolano.Tali soggetti non operano una sostituzione dei contatti reali con quelli interpersonali mediati, ma u-tilizzano i social network in maniera ludica per ampliare la rete di conoscenze, senza che queste necessariamentesi debbano trasformare in contatti reali, costruendo piuttosto un repertorio di relazioniin potenza: ciò nonostante la rete di contatti on-line deve avere comunque una aderenza con passioni,interessi, comportamenti, età dei soggetti, mostrando come, pur in relazioni in taluni casi totalmentesradicate dai contesti di vita off-line, le identità <strong>del</strong>le amicizie on-line continuino a contare.Un ultimo profilo individuato è quello dei conviviali, soggetti con un uso dei social network strumentalee dinamizzante <strong>del</strong>le relazioni. Rispetto ai collezionisti, tali soggetti credono nell’utilizzodei social network come strumenti per approfondire e mantenere relazioni sociali con un certo gradodi profondità: i conviviali gestiscono le proprie relazioni sia per poterle incrementare sia per approfondirele relazioni già fortemente strutturate.I conviviali hanno il desiderio di creare nuovi rapporti da inserire nel proprio contesto relazionaleoff-line: in molti casi questi “nuovi” rapporti nascono grazie a momenti di svolta <strong>del</strong>la vita dei soggetti,come il cambio di città, l’inizio <strong>del</strong>l’università, la fine di un rapporto amoroso. I socialnetwork diventano risorsa importante per costruire rapporti e ricostruire reti di relazioni che possonoavere una ricaduta nella vita quotidiana <strong>del</strong> soggetto. In particolare, alcuni soggetti femminili intervistatiutilizzano i social network per conoscere passioni, interessi, personalità di “nuovi” ragazzi,consentendo loro di implementare le possibilità di relazione off-line. La chiacchiera, il gioco, ilcommento diventano strategie per conoscersi, per condividere momenti che costruiscono intimità ecomplicità da spendere poi nella vita off-line.Per questi soggetti diventa essenziale il controllo <strong>del</strong>la propria identità on-line, la costruzione <strong>del</strong>proprio profilo e la gestione dei contenuti, inserendo elementi che non risultino né troppo eccentriciné troppo anonimi, cercando di non passare completamente inosservati ma, attraverso un attentomanagement <strong>del</strong> sé, poter risultare gradevoli e speciali. L’esibizione è così controllata e non spre-22-24 aprile 2010 30


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialegiudicata, proprio perché necessaria ad attirare solo soggetti e contatti considerati significativi o potenzialmentetali..In questi soggetti, i social network diventano così uno strumento di socialità ampliata che necessitaperò di una conferma nella vita reale, attraverso la conoscenza diretta dei contatti implementati online.Ancora una volta non siamo di fronte a soggetti che abbandonano la vita off-line in favore disurrogati di relazioni, ma hanno la capacità di utilizzare strategicamente on-line e off-line per moltiplicarela propria socialità.Conclusioni: un moderato ottimismo?Giunti alla conclusione <strong>del</strong>l'intervento è forse necessario rispondere a due domande: da una partedomandarsi quali siano le ragioni profonde che stanno decretando la centralità dei social network trai consumi e gli immaginari giovanili, dall'altra se tale successo ci deve allarmare o meno. Facciamoun piccolo passo indietro: la coltivazione di rapporti sociali in Internet non è una novità <strong>del</strong> 2.0.Internet è popolato da decenni da spazi di socialità: bacheche elettroniche, chat, forum.Ciò che cambia con i social network è l’intensità di queste relazioni che diventano meno volatili,più radicate e si avvicinano di più a relazioni off-line. I social network diventano cioè strumenti pergestire con estrema efficacia la socialità e il proprio ruolo nella rete di amicizie, conoscenze e potenzialitali.In particolare, l’adozione di Facebook sembra legata alla capacità <strong>del</strong> sito di offrire la possibilità dicontattare potenzialmente tutti, anche se non sempre tale potenzialità viene sfruttata realmente e ciòdipende dalle predisposizioni e caratteristiche dei soggetti. I social network diventano cioè un “retedi possibilità”: la possibilità di contattare tutti e di non perdere nessuno.Un elemento assai interessante è in questo senso la dimensione <strong>del</strong>la nostalgia: pur di fronte a soggettigiovani, Facebook sembra indurre un tipo particolare di meccanismo “nostalgico” legato a unasorta di management <strong>del</strong>la lontananza spaziale o temporale. Il social network si fa strumento per“ricordarsi” <strong>del</strong>le persone lontane e passate. Non solo, la stessa piattaforma sembra animata anchedal punto di vista dei contenuti da una forte dimensione nostalgica: la condivisione di link, filmati,immagini legate ai consumi culturali <strong>del</strong>l’adolescenza e <strong>del</strong>l’infanzia è pratica assai diffusa. Il socialnetwork diventa una piattaforma in grado perciò di accompagnare i giovani verso un futuro relazionalipotenzialmente in via di complessificazione, non dimenticando però le vecchie amicizie e contatti,e con un immaginario <strong>del</strong> passato usato spesso come materiale su cui mantenere vecchie relazionie fondare nuove conoscenze.Una ulteriore riflessione riguarda il ruolo <strong>del</strong>la famiglia: diversi soggetti intervistati hanno raccontatodi avere tra i loro contatti i propri famigliari. Si tratta in massima parte <strong>del</strong>la famiglia “allargata”:cugini coetanei o parenti lontani (rimasti al paese d’origine o in alcuni casi residenti all’estero). Conquesti ultimi in particolare, si intessono relazioni finalizzate al mantenimento <strong>del</strong> contatto, che nonfaccia “perdere” il legame con la rete familiare estesa. Da questo punto di vista Facebook rappresentauna grande risorsa per includere nelle cerchie amicali anche i parenti più lontani, condividendo,per esempio, foto <strong>del</strong>l’infanzia, alimentando così un po’ di quella nostalgia <strong>del</strong>le origini di cuiparlavamo poco prima.Meno presenti i genitori, sprovvisti per lo più di profilo Facebook: non si dimostra una pregiudizialenell’accettare i propri parenti stretti, quanto piuttosto una percepita non utilità nell’avere soggettigià “vicini”, se non, ancora una volta, nella condivisione dei contenuti <strong>del</strong>l’infanzia. Anche questoultima riflessione può farci essere moderatamente ottimisti circa la possibile virtuosità <strong>del</strong>l’utilizzodei social network da parte dei ragazzi. La ricerca condotta ha mostrato come i ragazzi siano più intelligentie moderati nell’utilizzo di tali strumenti di quanto certe rappresentazioni mediali voglianofar passare: spesso le critiche ai social network risentono da una parte di un velato conservatorismo22-24 aprile 2010 31


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialee luddismo, dall’altra di una certa pregiudizio da parte degli adulti nei confronti di un mondo cheancora capiscono in parte.La caratteristica dei social network nell’essere acceleratori e organizzatori di relazioni e socialitànon deve dunque spaventarci, se, come accade per la maggior parte dei nostri soggetti, tali relazionie socialità hanno la capacità di arricchirsi di affettività e significati profondi.I profili <strong>del</strong>la generazione digitale -I giovani tra mass media e personal mediaMassimo Scaglioni PhD – Ricercatore Università Cattolica <strong>del</strong> Sacro Cuore – MilanoIl titolo di questa sessione recita “I profili <strong>del</strong>la generazione digitale” ed evoca immediatamente dueimmagini. In primo luogo, il fatto che esista oggi una generazione di “giovani” cresciuti, a partiredagli anni Novanta, in un ambiente progressivamente <strong>digitali</strong>zzato: dunque, per usareun’espressione correntemente impiegata, una generazione di “nativi <strong>digitali</strong>”. La seconda immagineche viene in mente fa riferimento a un ambiente “digitale” nel quale sono centrali i cosiddetti “nuovimedia”, quell’universo di mezzi di comunicazione sociale e personale che ruota attorno aInternet, nelle sue molteplici funzioni e usi, e in particolare al World Wide Web.Il presente intervento ha l’obiettivo di offrire una “fotografia”, inevitabilmente sintetica ma – speriamo– anche sufficientemente chiara ed efficace, dei consumi e <strong>del</strong>le pratiche mediali <strong>del</strong>la “generazionedigitale”, costituita da “giovani” con età comprese fra l’adolescenza e la prima fase <strong>del</strong>la vitaadulta. Questa fotografia restituirà un quadro – è il mio augurio – un po’ più articolato e complessodi quanto le due immagini iniziali non lascino immediatamente pensare. Un quadro, cioè, nelquale i nuovi media (come Internet) s’innestano su un sistema di “vecchi media” (come, in particolare,la televisione) che, lungi dal venire marginalizzati, restano centrali sia nelle pratiche di consumomediale sia negli immaginari.Non vorrei entrare qui in noiose precisazioni di carattere metodologico: basti semplicemente indicareche questo intervento si fonda sull’intersezione e la conseguente interpretazione di due ordini didati empirici: da un lato, un insieme di dati quantitativi relativi alle diete mediatiche e ai consumitelevisivi dei giovani, ricavate sia da ricerche pubblicate sia dall’analisi ad hoc di profili di consumomediale e televisivo; dall’altro lato, un insieme di dati qualitativi che emergono dalla concreta attivitàdi ricerca condotta, nel corso <strong>del</strong>l’ultimo anno, dal Ce.R.T.A. (Università Cattolica), finalizzatia focalizzare l’attenzione sulle concrete pratiche di fruizione dei media, che tendono a incrociare e asovrapporre un medium tradizionale come la tv e i nuovi strumenti <strong>digitali</strong>, in quella che è stata definitauna cultura progressivamente convergente.Come “sfondo” di questo discorso, vorrei innanzitutto sintetizzare le principali “tendenze” che caratterizzanole diete mediali giovanili. Il quadro che emerge dai principali dati sull’uso dei media (ein particolare <strong>del</strong> recente rapporto Censis sulla comunicazione in Italia) mette in evidenza alcunespecificità <strong>del</strong>la relazione tra i giovani e i media che vorrei rapidamente ricordare.Una progressiva disaffezione per le forme di comunicazione alfabetiche, e in particolare per la lettura;una persistente centralità <strong>del</strong>la cultura visuale, in particolare <strong>del</strong>l’audiovisivo e <strong>del</strong>la tv; la navigazionefra i contenuti, spesso audiovisivi, <strong>del</strong> web 2.0 e l’utilizzo <strong>del</strong>la rete con funzioni socialicome tratto generazionale specifico: sono questi gli elementi più rilevanti che emergono dall’analisitrasversale dei principali dati di consumo quantitativi <strong>del</strong>la generazione digitale.Se il cosiddetto press divide – ovvero il gap tra quanti contemplano nell'ambito <strong>del</strong>le proprie dietemediali la fruizione di mezzi a stampa e quanti invece non li hanno più o non li hanno ancora – è increscita sull’intera popolazione, questo dato assume una sua specificità fra i giovani: è infatti nellafascia tra i 14 e i 29 anni che il fenomeno cresce in maniera più consistente, a un ritmo doppio(10%) rispetto al resto <strong>del</strong>la popolazione.22-24 aprile 2010 32


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeIn questo quadro di progressiva disaffezione alla lettura, la stampa viene particolarmente marginalizzatanella sua funzione informativa: se la tv resta centrale come fonte più efficace per informarsisu avvenimenti di attualità politica per tutti i profili d’età (giovani, adulti, anziani), per i più giovania essa si affiancano canali legati alla comunicazione personale (confronto con parenti e amici) e ainuovi media (pagine web, blog, forum, social network).Proprio l’utilizzo <strong>del</strong> web rappresenta il primo fattore distintivo <strong>del</strong>la generazione più giovane: comeè noto il digital divide – il gap esistente fra coloro che includono e coloro che non includono larete nelle proprie diete mediali – è un fenomeno di carattere geografico (utilizza il web il 48,3% deiresidenti al Nord, contro il 46,8% al Centro e solo il 38% nel Mezzogiorno), socio-culturale (il67,2% degli individui più scolarizzati dichiara un consumo anche solo occasionale di Internet), masoprattutto generazionale (oltre l'84% dei giovani in età compresa tra i 14 e i 29 anni utilizzaInternet anche solo occasionalmente)La rete presenta ovviamente una varietà di utilizzi, fra cui spiccano l’uso relazionale, da un lato, equello più legato alla visione/condivisione/commento di materiale mediale, e in particolare di contenutiaudiovisivi. La notorietà (che s’aggira sul 90% nella fascia 14-29 anni) e l’utilizzo di duestrumenti/brand come Facebook, sul primo fronte, e YouTube, sul secondo, ne sono evidente testimonianza.Tra le ragioni che spingono i giovani a iscriversi a Facebook ritroviamo, in primo piano,motivi relazionali: la possibilità di “rincontrare vecchi amici” e di “mantenere i contatti con amici econoscenti”, ben più importanti rispetto allo scambio e all'approfondimento di contenuti e notizie(“diffondere informazioni e scambiare opinioni su una causa”, “dare visibilità a un'iniziativa”).Alle tendenze che caratterizzano il consumo dei mezzi a stampa e dei nuovi media da parte deisegmenti più giovani <strong>del</strong>la popolazione, fa da contraltare il dato relativo alla fruizione <strong>del</strong> mezzo televisivo:uno strumento che, declinato nelle sue diverse forme, rimane indiscutibilmente quello concui anche le fasce meno mature <strong>del</strong>la popolazione hanno maggiore familiarità.Si potrebbe perciò giustamente affermare che la televisione continui a occupare il centro <strong>del</strong> sistemadei media nazionale e che rappresenti il “linguaggio comune” – la koinè – che accomuna fasce d’etàmolto più differenziate sul piano di altri consumi mediali (come la stampa o il web). L’affermazioneè senz’altro corretta, ma va precisata con un’analisi più dettagliata <strong>del</strong>le specifiche caratteristiche<strong>del</strong> consumo televisivo giovanile, che mostra elementi peculiari sia sul piano <strong>del</strong>le forme <strong>del</strong> consumoche su quello dei contenuti privilegiati e valorizzati.Nel rapporto fra la generazione digitale e il medium televisivo appare infatti rilevante una duplicespinta: da un lato, la <strong>digitali</strong>zzazione <strong>del</strong>la tv e la diffusione di molte piattaforme di trasmissione(fra cui anche il web) moltiplica le occasioni di “contatto” con i contenuti televisivi, rende più flessibilii tempi di fruizione, che diventano fluidi e personali, almeno potenzialmente sganciati dallerigidità <strong>del</strong> palinsesto predefinito dai broadcaster. E le generazioni giovani sono quelle più propensea “moltiplicare” i percorsi d’accesso alla tv. D’altra parte, però, l’universo dei contenuti televisividi riferimento per la generazione digitale tende a essere anche meno vario, più centrato su alcunigeneri mainstream e su funzioni specifiche (l’intrattenimento, oppure la condivisione dei consumicon i propri coetanei, la rete di pari) rispetto alle fasce d’età adulte.Vorrei provare a dettagliare maggiormente questi due aspetti che riguardano le forme e le pratiche<strong>del</strong> consumo televisivo da un lato, e i contenuti privilegiati e valorizzati dall’altro lato. Se la televisioneresta il mezzo centrale per le diverse fasce <strong>del</strong>la popolazione italiana, e dunque il terreno dicondivisione – l’ambiente mediale più trasversale – anche con le fasce più adulte, sono gli spettatorigiovani quelli più abituati a intraprendere percorsi di consumo che possiamo chiamare “convergenti”,capaci di distendersi oltre i confini <strong>del</strong> piccolo schermo, con una particolare predilezione per larete. È in particolare per le fasce più giovani che la televisione non coincide più con il televisore.22-24 aprile 2010 33


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeAlcuni dati quantitativi confermano questa ipotesi. L’incidenza <strong>del</strong>la web tv e, in misura minore,<strong>del</strong>la mobile tv è particolarmente rilevante nelle fasce giovani e giovani-adulte. Nel 2009 oltre il41% degli individui di fascia 14-29 anni ha seguito almeno una volta un programma tv via web,mentre l’utilizzo <strong>del</strong>la tv mobile, poco capace di entrare nelle abitudini di consumo degli italiani, siconcentra quasi totalmente in soggetti <strong>del</strong>la stessa fascia d’età.Ma è soprattutto la fenomenologia <strong>del</strong>le pratiche di fruizione <strong>del</strong>la televisione da parte dei giovaniche illustra il quadro in tutta la sua complessità e articolazione.Una serie di pratiche d’uso <strong>del</strong>la televisione si mostrano come <strong>del</strong> tutto acquisite e “date oer scontate”per la generazione digitale. Sono pratiche, in primo luogo, relative alla personalizzazione deitempi <strong>del</strong> consumo: sempre più spesso la visione dei contenuti audiovisivi prescinde dal flusso televisivotradizionale, e si utilizzano sistemi di personal video recording (come MySky), e soprattuttoil web per vedere i programmi in modo più flessibile, personalizzato e indipendente da appuntamentie logiche fisse di programmazione e di palinsesto.La coesistenza, la complementarietà e la sovrapposizione fra web e medium tv trovano poi formedifferenti di manifestazione, soprattutto nelle generazioni più giovani, che proveremo a illustraresommariamente, tracciando un breve profilo di questa “cultura convergente”.La modalità più ovvia è senz’altro quella che <strong>del</strong>l’utilizzo contemporaneo di tv e rete. Il media multi-taskingè un fenomeno che coinvolge in particolare le nuove generazioni, che, soprattutto nellafascia oraria serale corrispondente al prime time televisivo e nei weekend, praticano un uso contemporaneo<strong>del</strong>la tv e di Internet. Questo “spostamento” in direzione <strong>del</strong>la rete si concentra ovviamentenel corso dei break pubblicitari.Tra le attività svolte su Internet durante la visione tv compaiono la navigazione generica, la postaelettronica, i social network e gli strumenti di instant messaging, la lettura di vari contenuti, tra cuil’approfondimento di notizie e la ricerca di informazioni legate al programma che si sta vedendo. Inquesto processo la rete svolge un ruolo a dir poco fondamentale. Soprattutto tra gli adolescenti (17-18 anni), infatti, si osserva un utilizzo relativamente frequente di portali on line – uno su tutti Megavideo– per la visione in streaming di film, di serie di produzione statunitense e, in misura minore,anche di fiction di produzione nazionale (come I Cesaroni). Tale modalità di consumo serve arecuperare le puntate perse in tv, anche se non è raro lo streaming per la visione in anticipo di episodinon ancora andati in onda nel nostro Paese. Meno frequente, per questa fascia, è invece il downloadingillegale (eMule, BitTorrent), più usuale tra i giovani-adulti (25-30 anni).Proprio a partire da queste dinamiche di consumo “alternativo”, emergono veri e propri gruppi perlo scambio di contenuti ottenuti attraverso il download illegale, attività che richiede un notevole dispendiosia in termini di competenze tecnico-informatiche che di tempo.Rientra in un’ottica di condivisione, pur partendo da presupposti molto diversi, anche l’utilizzo <strong>del</strong>social network Facebook, impiegato sempre più spesso soprattutto dai giovanissimi (17-19 anni)come luogo di scambio di spezzoni divertenti o significativi (serie, fiction, ma pure animazione oestratti da reality e talent), e dai soggetti di fascia 25-30 anni come strumento per commentare imomenti salienti di alcuni programmi. Per entrambi i target, così, non risulta centrale tanto la compartecipazioneal momento <strong>del</strong>la visione, quanto un confronto su quanto fruito. Lo stesso discorsovale per YouTube, utilizzato tra gli adolescenti per rivedere contenuti “memorabili” e tra i giovaniadulti per convincere amici e familiari <strong>del</strong>la validità di un determinato programma tv.Una relazione tandem, quindi, caratterizza la rete e la televisione: una forma di convergenza semprepiù <strong>del</strong>ineata e netta, che consiste non solo nella possibilità di reperire e consumare i programmicon un mezzo differente da quello tradizionale (Internet e personal computer vs. tv), ma anche di ottenerenotizie e anticipazioni sui propri programmi preferiti propri grazie alla rete, attraverso siti22-24 aprile 2010 34


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialededicati, blog e forum, andando così a integrare con informazioni supplementari la specifica testualitàdei programmi tv, nonché di condividere e commentare i propri consumi mediali con la rete dipari.Se sul piano <strong>del</strong>le forme di consumo si evidenzia la moltiplicazione <strong>del</strong>le modalità e occasioni difruizione di contenuti televisivi, sul versante dei contenuti emerge invece una chiara predilezioneper generi e canali precisi, in un vero e proprio codice <strong>del</strong>la fruizione giovanile <strong>del</strong> medium tv.Nello specifico, secondo i dati audiometrici elaborati da Auditel relativi alle cento emissioni “inchiaro” più fruite nel corso <strong>del</strong> 2009 dagli individui di fascia 15-24 anni1, si osserva un assolutoprimato <strong>del</strong> principale brand di rete commerciale, Canale 5: sue sono le prime 20 posizioni, conprogrammi come la terza stagione <strong>del</strong>la fiction I Cesaroni, il reality show Grande fratello e il tg satiricoStriscia la notizia. Sono assai poco presenti, invece, le tre reti Rai; solo Raiuno compare nelranking (dopo la ventesima posizione) con la 59° edizione <strong>del</strong> Festival di Sanremo, la serie Un medicoin famiglia e alcuni appuntamenti sportivi di grande attrattiva, come le partite <strong>del</strong>la Nazionaledi calcio. Nella seconda parte <strong>del</strong>la classifica domina ancora Canale 5: ai programmi già indicati siaggiungono appuntamenti di intrattenimento come Zelig, Scherzi a parte, Chi ha incastrato PeterPan e il talent show Amici di Maria de Filippi, mentre Italia 1 compare esclusivamente con alcuniepisodi <strong>del</strong>la serie animata I Simpson.Da questi dati emerge, in generale, un’utenza giovanile <strong>del</strong> piccolo schermo caratterizzata da unagrande familiarità con il mezzo, che ne usufruisce prevalentemente durante la fascia <strong>del</strong> prime time(unica eccezione, tra quelle viste, I Simpson programmati in daytime) e preferisce alcuni generi(l’intrattenimento, il reality, il talent e la fiction), escludendone per lo più altri (l’informazione,l’approfondimento). Un novero, dunque, più ristretto e meno vario di prodotti e di funzioni che la tvè chiamata ad assolvere: in particolare si osserva una decisa prevalenza <strong>del</strong> bisogno di storie e diracconto anziché di attualità; un predominio <strong>del</strong>la narrazione (in generi come fiction, serialità ereality) sull’attualità.Quello che emerge, in conclusione, è il profilo di una generazione digitale che pratica concretamentequella “cultura <strong>del</strong>la convergenza” che connette vecchi e nuovi media. Questi ultimi, e il web inparticolare, consentono forme di fruizione più articolate, caratterizzate insieme dalla personalizzazionedei tempi e dalla condivisione dei gusti, in particolare con la propria rete di prossimità (amici,pari etc.). La televisione, da parte sua, conserva il ruolo di medium in grado di produrre materialiche non semplicemente vengono “consumati”, ma che forniscono risorse e immaginari da spenderenella vita sociale: l’universo televisivo e le sue narrazioni rappresentano uno sfondo costante, unpunto di riferimento rispetto al quale – grazie alla rete Internet e nella rete dei propri pari – si fannoglosse, si prendono posizioni – anche critiche – sui temi affrontati nelle “narrazioni” tv, si condividonoo si discutono valori, assunzioni, dinamiche.Se alcuni dati qui illustrati possono sembrare a prima vista allarmanti (la perdita di terreno <strong>del</strong>la tradizionale“cultura alfabetica”, l’evasione che sembra sovrastare l’attenzione al reale), in seguito aun’analisi più approfondita si può scoprire come il pervasivo immaginario televisivo (anche quelloche presenta problematicità sul piano etico) non è mai semplicemente “fatto proprio” in maniera a-critica: la sua costante ri-discorsivizzazione da parte di spettatori altamente “attivi” e spesso “interattivi”sul web consente infatti prese di distanza e sguardi niente affatto scontati.Ed è forse questa cultura convergente il terreno più interessante per immaginare un dialogo fruttuosocon la generazione digitale.I profili <strong>del</strong>la generazione digitale- Quali significati per la tecnologia?Matteo Tarantino PhD – Università Cattolica <strong>del</strong> Sacro Cuore – Milano22-24 aprile 2010 35


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeIntroduzioneIl tema <strong>del</strong> senso, o più specificamente <strong>del</strong> significato rappresenta, negli studi sui media e sullatecnologia più in generale, un ambito <strong>del</strong>icato. La letteratura sull’argomento ha rivelato che gli oggettitecnologici si trovano immersi in un reticolo di significati sociali continuamente negoziati,che concorrono in maniera rilevante nel dare forma a usi e pratiche. L’oggetto tecnologico non èmai inerte né neutrale: significa cose diverse per soggetti diversi. Questi significati vengono codificatiall’interno narrazioni (relative, spesso, alle trasformazioni – agli “effetti”- che queste tecnologiesono immaginate condurre) che, come veri e propri miti, funzionano da repositori e socializzatoridi significati condivisi e aiutano a orientarsi davanti all’ “ignoto” costituito dai nuovi strumenti.Senza mappare e comprendere correttamente i significati che un soggetto conferisce a un oggettotecnologico, si corre il rischio di fraintendere gli usi e le pratiche che il soggetto organizza in relazionealla piattaforma. Nel caso <strong>del</strong> nostro progetto di ricerca, questo ha significato mappare i significatiattribuiti al telefono cellulare, alle piattaforme di instant messaging (segnatamenteMicrosoft Messenger e, in misura minore, Skype) e a quelle per il social networking (soprattuttoFacebook e in misura residuale Netlog e Myspace).In questo intervento sintetizzeremo alcune <strong>del</strong>le risultanze principali emerse all’interno <strong>del</strong> nostrocampione.1 A differenza <strong>del</strong>le pratiche e degli usi, i processi di attribuzione di significato appaionopiù difficilmente incasellabili con lo strumento dei profili; ciononostante, sono riscontrabili alcunelinee di tendenza. L’asse portante <strong>del</strong>la nostra mappatura è costituito da un’attribuzione-cardine dicui sono oggetto nel campione, in maniera più o meno esplicita, gli strumenti in esame: quella diintimità.IntimitàLo spazio <strong>del</strong>l’ambiente mediale così come emerge dal campione appare segmentato in cerchieconcentriche, centrate sul soggetto, che muovono da uno spazio “intimo” verso un “fuori”. I confinifra queste cerchie appaiono talvolta labili e mobili, ma la loro rilevanza appare indiscussa.Nell’attribuzione di “intimità” a una piattaforma (o meglio, allo spazio da essa proiettato) giocanoun ruolo tanto il grado percepito di prossimità al sé <strong>del</strong>la piattaforma (quali piattaforme si “sentonopiù vicine”, significazione in cui intervengono una pluralità di fattori anche biografici) quanto lacapacità attribuita allo strumento di proiettare uno spazio relazionale protetto. In questo senso, lepiattaforme sono, nel campione, percepite come “intime” quando:1. Pongono il soggetto nella condizione di esprimersi liberamente, senza timore di essere giudicatoo criticato;2. Creano intorno al soggetto un ambiente sicuro, protetto in cui possa sentirsi a proprio agio;3. Mettono il soggetto nella condizione di creare dei processi relazionali esclusivi, prioritari (inparticolare la conversazione, lo scambio di messaggi a due);Tendenzialmente, l’attribuzione di intimità appare inversamente proporzionale all’ampiezza <strong>del</strong>contesto relazionale proiettato dalla piattaforma, e al controllo che esso offre all’utente. Nel campione,gli spazi “non intimi” sono come marcati da:1. Rischio di pubblicità di azioni e comportamenti;2. Rischio di fuga di notizie di natura privata;3. Rischio per il soggetto di divenire oggetto di commenti e giudizi.Questi parametri appaiono, nel campione, sufficientemente socializzati da definire una “gerarchiadi massima” che, con alcune eccezioni, risulta dominante. In questa gerarchia al cellulare è attribuitoil primato di intimità; MSN viene considerato come “territorio di mezzo” (comunque la piùintima fra le piattaforme web) e Facebook come lo strumento meno intimo e più problematico ditutti. Quest’ordine replica anche la cronologia dei percorsi di adozione (che vedono, nel campione,l’adozione <strong>del</strong> cellulare nella preadolescenza, di MSN durante l’adolescenza e di Facebook intornoai 18-20 anni), segnalando un passaggio da una relazione “uno-a-uno” (cellulare) o “pochi-a-22-24 aprile 2010 36


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialepochi” (msn) a una “uno-a-molti” o “molti-a-molti” (Facebook). Come vedremo, le tappe appaionoinvece percorse in senso inverso nella maggior parte dei processi di socializzazione: quando si conosceuna persona, gli si dà prima il contatto Facebook, quindi quello MSN, e solo alla fine il telefonocellulare.Nella negoziazione di questa gerarchizzazione giocano un ruolo rilevante gli specifici processi disignificazione che investono a ciascuno strumento.FacebookLa piattaforma Facebook appare attualmente inserita in discorsi sociali estremamente diffusi e potenti(tanto da essere ormai entrati nel senso comune), socializzati tanto a livello macro dai massmedia quanto a livello micro nei discorsi quotidiani. Questi discorsi attribuiscono a Facebook elevatasalienza attraverso i consueti meccanismi <strong>del</strong>l’hype, per cui quel che riguarda - o accadeall’interno di - Facebook diventa automaticamente rilevante. A sua volta, questa narrazione è radicatain un “mito originario” su Facebook ha fondato il suo successo, che lo vuole come in grado dilenire l’ineludibile sentimento <strong>del</strong>la nostalgia, promettendo il recupero di un tempo perduto attraversola riattivazione <strong>del</strong> contatto comunicativo con le soggettività che ne facevano parte.2L’attribuzione di salienza appare ben socializzata nel nostro campione, e, come già accennato inaltre relazioni, vincola il soggetto – soprattutto in età giovane - ad una sorta di “obbligo relazionale”:nel momento in cui “tutti” hanno un account Facebook, ed è socializzata una buona ragioneper averlo (il recupero dei “bei tempi andati”, killer application che mancava, ad esempio, aMyspace, rapidamente caduto in disuso), la spinta all’adozione acquisisce notevole forza. Allostesso tempo, una volta approcciato, lo spazio di Facebook – lo spazio <strong>del</strong>la socialità adulta, complessa,spesso forzata, rischiosa e non sempre selettiva - è largamente considerato nel campionecome uno spazio poco sicuro; come una “jungla” (F 23 S).Da cosa appare determinata questa insicurezza? Se da un lato, come esplorato nella relazione <strong>del</strong>dott. Carlo, il criterio prevalente che determina l’accettazione di un’amicizia su Facebook è la sussistenzadi un legame fra il richiedente e il soggetto, dall’altro, il valore minimo di tale legame appare,anche dai soggetti più conservatori (quali i “riservati”) limitarsi a un solo grado di separazione:se il soggetto e il richiedente hanno un amico in comune, l’amicizia verrà tendenzialmente accettata."Siccome c'è tanta gente che in Facebook ti chiede l'amicizia tanto per allora io controllodi avere qualche amico in comune e guardo anche la foto" (f, 20, s)La vasta socializzazione di cui appare oggetto questo criterio implica un meccanismo di obbligo direciprocità ( “sta male rifiutare l’amicizia <strong>del</strong>l’amico di un mio amico”) che forza tendenzialmenteil soggetto a stabilire legami con soggetti non egualmente significativi (e quindi non obbligati allamedesima etichetta di correttezza e riservatezza) ma esposti allo stesso regime di pubblicità <strong>del</strong>leinformazioni, esponendo il soggetto a quelle “fughe” e a quei “giudizi” indicati poco sopra. Questaattribuzione di problematicità, quand’anche esplicitamente tematizzata, non pregiudica, come giàle relazioni <strong>del</strong>la prof.ssa Giaccardi e <strong>del</strong> dott. Carlo hanno sottolineato, l’utilizzo <strong>del</strong>la piattaforma.Contribuisce a dare forma, però, a diverse dimensioni <strong>del</strong> paradigma tattico attraverso cui ilsoggetto approccia questo strumento. Ad esempio, conduce a una autolimitazione dei contenutiimmessi in questo spazio onde diminuire al minimo le possibilità di conflitto: tematiche come lapolitica e la religione sono esplicitamente marginalizzate perché espongono più facilmente il soggettoa rischi di giudizio che si desidera evitare.Non pubblico cose sulla politica e sulla religione, perché ognuno ha la sua opinione enon voglio invitare discussioni. La religione è una cosa intima e personale. Ci sono moltilink razzisti, io non li pubblico. (F, 19, s)Fanno parziale eccezione di quei soggetti che vivono questa insicurezza come un’opportunità – ossiadei “collezionisti”. Costoro, come già accennato, fanno uso strategico precisamente <strong>del</strong>la labilitàdei criteri di inclusione, capitalizzando a ogni occasione l’opportunità di estendere il proprionetwork relazionale. Per costoro, le piattaforme appaiono tendenzialmente equiparate in funzionestrategica:22-24 aprile 2010 37


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeAlla fine facebook e MSN li posso mettere sullo stesso piano. Il mio contatto di facebooke quello di msn posso darlo a chiunque, a parte che quello di facebook sanno il mio nomee cognome e vanno cercano e mi trovano. Anche MSN lo do punto, non trovo intimo néuno né l’altro (M 23 W)MSNL’incontro con la complessità relazionale <strong>del</strong>l’età adulta (di cui è, in un certo senso, simbolo lagiungla di Facebook) appare spingere infatti un diffuso investimento emotivo in termini di nostalgiadi cui è oggetto MSN. MSN rappresenta, per la quasi totalità <strong>del</strong> campione, la piattaformaprincipe<strong>del</strong>l’adolescenza, spesso scalzando il telefono cellulare. L’origine di questo superamentoè, nel campione, di natura prevalentemente economica, relativa alla (percepita) gratuità <strong>del</strong>la comunicazionetelematica:Il cellulare […] ho iniziato a utilizzarlo quasi subito, [appena] ho iniziato ad avere qualchenumero sulla rubrica. MSN … più che altro quando eri ragazzo avevi meno disponibilitàeconomica e ti veniva più comodo MSN perché potevi sentire gli amici e non spenderesoldi. Penso sia quello il motivo per cui si utilizza MSN anche oggi dai ragazzini. Eanch’io ho incominciato a usare in maniera assidua quell’altro anziché gli sms. (M)In questo modo, su MSN si viene a replicare sin da subito (sin dall’adolescenza) il nucleo di relazionipercepite come maggiormente significative per il soggetto, ossia gli amici più cari."Io non andavo in giro a chiedere i contatti, all’inizio era la novità e con gli amici cisiamo scambiati i contatti […] (F) MSN è più intimo, lo uso con gli amici e basta...sua MSNho una ventina di contatti, solo gli amici.(M) I miei contatti di MSN sono i soliti, quelli chefrequento abitualmente. Amici, colleghi...Sì perché su msn alla fine lo utilizzo di più conle persone che ho un più stretto contatto. Con Facebook con alcuni non ci si parla neanchemai invece su msn lo uso con chi parlo di più."(f)Si tratta di una rete dalla quale, peraltro, risultano sin da subito esclusi i controllori (genitori, insegnantiecc.), e che si offre pertanto, soprattutto a uno sguardo retrospettivo, come “autenticamente”propria <strong>del</strong>l’adolescenza. In questo senso, attraverso l’investimento su MSN si esercita la nostalgiaper quella relazione pochi-a-pochi tipica <strong>del</strong>l’adolescenza (e quindi, in ultima analisi, perl’adolescenza stessa). Si registra (soprattutto nel Nord italia) l’esplicita tematizzazione di MSNcome “lo strumento <strong>del</strong>la mia adolescenza”, che arriva la punto di dichiarare la coincidenza <strong>del</strong>lapropria rete di contatti con la classe <strong>del</strong>le superiori. La verifica <strong>del</strong>le reti relazionali mostra tuttaviaun numero di contatti su MSN ben superiore alla “compagnia” <strong>del</strong>l’adolescenza, a dimostrazioneche la sua idealizzazione è un processo attivato a posteriori:[Msn è solo per] Gli amici più…quelli con cui esco il sabato sera, o amici <strong>del</strong>la piscinacon cui ho più confidenza. Lo tengo quasi sempre aperto e sempre disponibile con chi hopiù voglia di stare. [ne fanno parte] un’ottantina [di persone].” (m)" Msn per me rimaneu un legame affettivo, un ritorno al passato (f)Nel campione, questo processo di idealizzazione appare tendenzialmente più forte nei soggetti lavoratori,in cui lo stacco fra adolescenza ed età adulta è più netto e dove le occasioni di socialità“autentiche”, “non-funzionali” sono più ristrette che per le controparti universitarie, dotate di maggiortempo libero e bacini di socialità più vasti e differenziati. Per i soggetti lavoratori, già inseritiin un regime di socialità che impone rapporti più funzionali e meno emotivamente investiti, appareancora più importante salvaguardare questo “spazio <strong>del</strong>l’intimo”.In linea di principio, questa maggiore “intimità” attribuita a MSN fa sì che su questa piattaformasiano affrontabili questioni di ogni tipo, in maniera analoga al telefono cellulare. Tuttavia, per alcunisoggetti questa “intimità” di MSN è problematizzata dalla percezione di una maggiore permanenza<strong>del</strong>la comunicazione veicolata da questa piattaforma rispetto a quella, volatile e transeunte,<strong>del</strong> telefono cellulare (o <strong>del</strong> faccia-a-faccia). In altre parole, preoccupa alcuni utenti (appartenentiin massima parte al profilo dei “riservati”) la possibilità che gli scambi, che rimangono sul PC deiconversanti in forma di log, siano mostrati a terzi.22-24 aprile 2010 38


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeNo, anche nella chat non scrivo cose private […] C’è sempre qualcuno che ti può guardare"(m) Perché su MSN tu parli, parli, ti fidi; ma non sai mai se quello con cui parlimostra poi la finestra di chat a qualcun altro (F)Telefono cellulareNel campione, il telefono cellulare appare quasi uniformemente considerato come lo strumento“più intimo”, trasversalmente a tutti i parametri <strong>del</strong> campione, con la parziale eccezione di alcuni“collezionisti”. Questa attribuzione è sottesa dalla ampiamente socializzata concettualizzazione (datempo messa a fuoco dalla letteratura sul tema – cfr. ad es. Katz 2000) <strong>del</strong> telefono cellulare comeestensione <strong>del</strong> corpo fisico. Ritroviamo questa attribuzione nel continuo riconoscimento <strong>del</strong> caratteredi necessità <strong>del</strong>l’inclusione <strong>del</strong> cellulare nel proprio ambiente mediale:[uso il cellulare] sempre, non potrei stare senza […] è Indispensabile " (F)Il cellulare [lo uso] in qualsiasi momento. Quello orami è diventato di pari passo con latua vita perché se non ce l’hai se un po’ scagliato fuori [sic]. (M)Nella gerarchizzazione <strong>del</strong>l’intimità che emerge nel campione, il numero di cellulare viene a costituireuna marca di appartenenza alla “cerchia degli intimi”. Rispetto anche solo a dieci anni fa, lavasta diffusione di strumenti alternativi per il management <strong>del</strong>le relazioni (principalmente Facebook,che ha preso il posto <strong>del</strong>l’email, di uso ormai ridottissimo nel campione) fa sì che si possanostabilire e mantenere contatti senza dover condividere il numero di telefono cellulare. Peraltro, ilricorso a questo strumento è considerato implicare una serie di implicazioni fastidiose, qualil’esborso economico e l’interruzione <strong>del</strong>la routine cui obbliga la comunicazione vocale (a differenzadi Facebook o MSN, la cui comunicazione offre temporalità più malleabili: è possibile ad esempionon rispondere immediatamente a un messaggio su MSN senza che questo implichi un problemadi etichetta analogo al non rispondere a una telefonata).Per queste ragioni, il telefono cellulare appare attribuito dal campione di due significati centrali. Daun lato, esso rappresenta “l’ultima risorsa”, utilizzata laddove le altre (MSN e Facebook) non sianodisponibili, ossia essenzialmente in situazioni outdoor: appare quasi nullo, nel campione, l’utilizzodi terminali che integrino le funzioni di telefonia e connessione a Internet (i cosiddetti smartphone,fra cui l’Apple iPhone). Dall’altro lato (particolarmente nei soggetti di sesso femminile), in situazionidi compresenza di varie possibilità di accesso, il telefono cellulare viene comunque selezionatoper comunicare con le persone maggiormente significative:può capitare che [le persone] hanno solo il mio contatto su msn o facebook ma non il mionumero di cellulare, il numero di cellulare lo vedo come una cosa un po’ più privata.Amici di amici che ho conosciuto un sabato o persone che mi aggiungono così quindinon mi sento di darglielo insomma. (f)Di solito tendo a non dare il numero di cellulare a tutti quelli di facebook perché la vedouna cosa un po’ più personale. I conoscenti hanno sempre solo l’amicizia su facebook.Che come dicevo prima è un errore spesso che si fa comunque. (f)Allo stesso modo, il cellulare viene tematizzato come piattaforma d’elezione per veicolare contenutimaggiormente investiti emotivamente:Su FB non parlo di cose serie. Un equivoco, un discorso pesante e reale. Per queste cosepreferisco un telefono) (m)Se un mio amico mi ha fatto arrabbiare, se ci sono stati dei problemi, è logico che ci sentiamoper telefono!”(m)Per questa ragione, nella relazione fra tappe dei percorsi di socializzazione e piattaforme per lacomunicazione, il cellulare è generalmente indicato come “punto di arrivo”, che segue Facebook(primo contatto) e, eventualmente, MSN (accesso al territorio intimo).Per esempio persone che ho conosciuto sui giochi online, siamo passati a MSN ed eventualmenteal cell.(F)Quando conosci un ragazzo prima gli dai FB poi su MSN poi se ti interessa gli dai il telefono(F).22-24 aprile 2010 39


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeAltre piattaforme: Skype, Telefono FissoPer quanto l’ambiente comunicativo <strong>del</strong>la grande maggioranza <strong>del</strong> campione si esaurisca in MSN,telefono cellulare e Facebook, altre piattaforme fanno talvolta capolino, portando con sé significatispecifici. In alcuni soggetti (soprattutto femminili) emerge talvolta il ruolo di Skype (solamentenella sua funzione di videochiamata) come territorio di intimità situato fra MSN e il cellulare, grazieal maggior coinvolgimento <strong>del</strong> corpo:Il mio contatto Skype ce l’hanno solo i miei familiari e il mio ragazzo perché sono le personecon cui o un rapporto più intimo, più personale per ché la videochiamata è una cosapiù personale. Skype è ancora più intimo [di MSN], come se fosse quasi il cellulare, anziancora più ristretto.(F)In misura ancora più residuale viene tematizzato il telefono di casa come piattaforma massimamenteintima. Tale attribuzione fa sì che il numero di casa risulti per questi soggetti come marca di intimitàmassima, e venga socializzato (per quanto sia in generale pubblicamente accessibile tramiteelenchi cartacei o <strong>digitali</strong>) solo con la cerchia più ristretta di conoscenze.Attribuzioni ProblematicheEmerge nel campione un diffuso rimpianto per la relazione faccia-a-faccia. Si tratta diun’attribuzione dai contorni piuttosto nebulosi, centrata su un’idea di “deprivazione” ed in ultimaanalisi di “perdita di senso” cui condurrebbe la predominanza <strong>del</strong>la mediazione tecnologica nellagestione <strong>del</strong>le relazioni interpersonali.FB è una relazione virtuale. FB ha un limite forte deve essere usata come inizio, è chiaroche a Milano le relazioni sono difficili e uno pensa di risolvere chiudendosi in casa conFB, ma non è più una vita vera. (m) "Credo meno di Facebook ma comunque anche MSN penso sia un modo sbagliato di comunicarecon la gente. Non sbagliato però…dipende sempre dalle persone con cui si sta parlando,perché magari con una persona che posso benissimo vedere e parlarci in quell’oretta, al postodi scendere quell’oretta e si perde così la possibilità di vedersi, avere contatti reali. A voltemi rendo conto che priva certe cose Facebook e MSN. (F)Attribuzioni analoghe hanno accompagnato la diffusione di tutte le tecnologie <strong>del</strong>la comunicazione sindai tempi <strong>del</strong> telegrafo (Marvyn 2000); si tratta di discorsi sociali molto forti e ben socializzati, chesemplicemente cambiano il proprio oggetto di applicazione. Tradizionalmente, tuttavia, essi appaionoappannaggio di attori sociali tendenzialmente periferici rispetto alle tecnologie: è interessante osservarliqui articolati da utilizzatori intensivi, che non pensano neppure a ridurre il proprio coinvolgimento inqueste piattaforme.La salvaguardia <strong>del</strong>la coerenza avviene con un artificio retorico: nello stesso momento vengono messea tema l’inevitabilità <strong>del</strong>la mediazione tecnologica (la percezione di un carattere di inescapabile “datodi fatto” <strong>del</strong> nuovo ambiente mediale) e una sua percepita problematicità:[Facebook è]un modo per comunicare con chiunque ormai, anche se credo che venga utilizzatotroppo spesso. Comunque occupa <strong>del</strong> tempo che magari potrebbe essere impiegato inmodo diverso, parlando faccia a faccia. (f)In questo senso, questi discorsi appaiono come indicatori <strong>del</strong>la coazione alla mediazione digitale <strong>del</strong>lacomunicazione attiva nel campione, ossia <strong>del</strong>l’ “obbligo” percepito (di cui ha già accennato il dott. Carlo)di ricorrere a queste piattaforme di comunicazione per non essere “tagliati fuori”.ConclusioniDalla mappatura dei significati tracciata nei paragrafi precedenti, è possibile trarre alcune considerazionidi carattere generale:1. I processi di attribuzione di significato alle tecnologie non sono mai statici, quanto dinamici econtinuamente rinegoziati. Non solo: l’ambiente mediale costituisce un sistema che va consideratonella sua interezza: l’introduzione di una nuova piattaforma in questo ambiente (ad es. Fa-22-24 aprile 2010 40


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialecebook) conduce a una rinegoziazione e dei significati attribuiti alle altre presenti nel sistema.Ad esempio, l’attribuzione di “intimità” a MSN appare, con tutta evidenza, un processo avvenutoex-post; se ne trova conferma confrontando l’attribuzione registrata (“MSN è solo per gli a-mici intimi”) con l’estensione reale <strong>del</strong>la rete di contatti <strong>del</strong>l’utente (che spesso conta centinaiadi persone). E’, verosimilmente, l’ingresso di Facebook nell’ambiente mediale (avvenuto in largamisura grazie a un mito altamente credibile) ad aver innescato questi processi di risemantizzazionele cui implicazioni sono ancora tutte da studiare.2. Appare opportuno sottolineare come le concrete geografie <strong>del</strong>l’intimità costruite dagli utenti investanospesso, più che singole piattaforme, le loro singole funzioni: così la bacheca di Facebookfa parte <strong>del</strong>l’”esterno” non-intimo (e la sua centralità nella piattaforma stessa trascina spessouna generica attribuzione, perlomeno iniziale, di non-intimità), ma la funzione di posta e la chatpresenti nella piattaforma sono invece percepite come più “protette” e “prossime” al soggetto.3. Infine, una considerazione di carattere più generale. Nel nuovo ambiente mediale, appaionoprendere forma nuovi miti (o forse nuove forme di vecchi miti) che attribuiscono alla tecnologiala capacità di recuperare il tempo (nello specifico <strong>del</strong> nostro campione, il tempo<strong>del</strong>l’adolescenza – ma il discorso si potrebbe estendere). Dal punto di vista <strong>del</strong>lo studio dei discorsisociali sulle tecnologie, si tratta di uno spostamento rilevante rispetto alle tradizionali“mitologie <strong>del</strong> Web”, che tradizionalmente si concentravano sul presentare la miracolosa capacità<strong>del</strong>lo strumento di recuperare uno spazio mitico (quello <strong>del</strong>la “comunità perduta”). In questosenso, la nostalgia (termine che torna più volte nelle relazioni di questo <strong>convegno</strong>) appareacquisire sempre maggiore centralità nei processi di adozione e significazione.La fede nella Rete <strong>del</strong>le relazioni: comunione e connessioneP. Antonio Spadaro, Redattore de La Civiltà CattolicaInternet è una realtà che ormai fa parte <strong>del</strong>la vita quotidiana di molte persone. Se fino a qualchetempo fa era legata all’immagine di qualcosa di tecnico, che richiedeva competenze specifiche sofisticate,oggi è diventato un «luogo» da frequentare per stare in contatto con gli amici che abitanolontano, per leggere le notizie, per comprare un libro o prenotare un viaggio, per condividere interessie idee.L’avvento di internet è stato, certo, una rivoluzione. E tuttavia è necessario sfatare un mito: che laRete sia un’assoluta novità <strong>del</strong> tempo moderno. Essa è una rivoluzione che potremmo definire «antica»,cioè con salde radici nel passato: replica antiche forme di trasmissione <strong>del</strong> sapere e <strong>del</strong> viverecomune, ostenta nostalgie, dà forma a desideri e valori antichi quanto l’essere umano. Quando siguarda a internet occorre non solo vedere le prospettive di futuro che offre, ma anche i desideri e leattese che l’uomo ha sempre avuto e alle quali prova a rispondere, e cioè: connessione, relazione,comunicazione e conoscenza. Nella Rete ogni informazione (un’immagine, un video, una registrazioneaudio, un link, un testo,…) entra in una rete di relazioni di persone che collega tra loro i contenutie ne potenzia ed estende il valore e il significato.Internet: mezzo o ambiente?Sappiamo bene come da sempre la Chiesa abbia nell’annuncio di un messaggio e nelle relazioni dicomunione due pilastri fondanti <strong>del</strong> suo essere. L’allora card. Ratzinger, nel suo intervento al <strong>convegno</strong>C.E.I. Parabole mediatiche <strong>del</strong> 2002, ha chiaramente individuato la domanda <strong>del</strong>la Chiesa:«come il vangelo può superare la soglia fra me e l’altro? Come si può giungere ad una comunionenel vangelo, così che esso non solo mi unisca all’altro, ma unisca entrambi con la parola di Dio ecosì ne nasca un’unità che vada veramente in profondità?»1. L’uomo «non è una “tabula rasa”, comesecondo Aristotele e Tommaso d’Aquino è lo spirito umano nel primo momento <strong>del</strong> risvegliarsialla vita. No, la tavola <strong>del</strong>lo spirito, alla quale giunge la nostra predicazione, è riempita di molteplici22-24 aprile 2010 41


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialescritte e viene continuamente in contatto con innumerevoli comunicazioni»2. La Chiesa che evangelizzaè dunque naturalmente presente – ed è chiamata ad esserlo – lì dove l’uomo sviluppa la suacapacità di conoscenza e di relazione. Ecco perché la Rete e la Chiesa sono due realtà da sempre destinatead incontrarsi.Internet non è affatto un semplice «strumento» di comunicazione che si può usare o meno, ma un«ambiente» culturale, che determina uno stile di pensiero e crea nuovi territori e nuove forme di e-ducazione, contribuendo a definire anche un modo nuovo di stimolare le intelligenze e di stringerele relazioni, addirittura un modo di abitare il mondo e di organizzarlo. L’uomo non resta immutatodal modo con cui manipola la realtà: a trasformarsi non sono soltanto i mezzi con i quali comunica,ma l’uomo stesso e la sua cultura. La Chiesa dunque, per attuare sino in fondo la sua missione, èchiamata a vivere nella Rete e incarnare in essa il messaggio <strong>del</strong> Vangelo.In questo senso la Rete non è un nuovo «mezzo» di evangelizzazione, ma innanzitutto un contestoin cui la fede è chiamata ad esprimersi non per una mera «volontà di presenza», ma per una connaturalità<strong>del</strong> cristianesimo con la vita degli uomini. Già nella Redemptoris missio leggevamo chel’impegno nei cosiddetti media «non ha solo lo scopo di moltiplicare l’annunzio: si tratta di un fattopiù profondo, perché l’evangelizzazione stessa <strong>del</strong>la cultura moderna dipende in gran parte dal loroinflusso. Non basta, quindi, usarli per diffondere il messaggio cristiano e magistero <strong>del</strong>la Chiesa, maoccorre integrare il messaggio stesso in questa “nuova cultura” creata dalla comunicazione moderna.È un problema complesso, poiché questa cultura nasce, prima ancora che dai contenuti, dal fattostesso che esistono nuovi modi di comunicare con nuovi linguaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamentipsicologici» (Redemptoris missio, n. 37).In effetti una <strong>del</strong>le sfide maggiori, specialmente per coloro che non sono «nativi <strong>digitali</strong>» è quella dinon vedere nella Rete una realtà parallela, cioè separata rispetto alla vita di tutti i giorni, ma unospazio antropologico interconnesso in radice con gli altri <strong>del</strong>la nostra vita. La Rete sempre di piùtende a diventare trasparente e invisibile, tende esponenzialmente a non essere più «altro» rispettoalla nostra vita quotidiana. Del resto lo sappiamo bene: per essere wired, cioè «connessi», non c’èpiù bisogno di sedersi al computer, ma basta avere uno smartphone in tasca, magari con il serviziodi notifica push attivato. La Rete è un piano di esistenza sempre più integrato con gli altri piani.Persino Second Life non fa eccezione rispetto a questa logica di lettura. Infatti anche quando unuomo agisce in quanto avatar non vive in realtà uno sdoppiamento di personalità. L’avatar èun’estensione digitale <strong>del</strong>lo stesso soggetto che vive e agisce nella prima vita, non un essere autonomoo una parte staccata di se stessi. Tutta la libertà e la responsabilità <strong>del</strong>l’uomo <strong>del</strong>la «prima vita»dunque sono anche attributi <strong>del</strong> suo avatar, perché sono esse a muoverlo. È la stessa personache tramite il suo avatar si muove nel mondo simulato. Questo avatar non è «altro» da sé. Al contrario,è sempre la stessa persona che vive in un differente spazio antropologico.È evidente, dunque, come la Rete con tutte le sue «innovazioni dalle radici antiche» ponga una seriedi questioni rilevanti di ordine educativo e pastorale. Tuttavia le questioni più rilevanti sono quelleche riguardano la stessa comprensione <strong>del</strong>la fede e <strong>del</strong>la Chiesa. La logica <strong>del</strong> web ha un impattosulla logica teologica e internet comincia a porre <strong>del</strong>le sfide alla comprensione stessa <strong>del</strong> cristianesimo.Quale sono i punti di maggiore contatto dialettico tra la fede e la Rete? Occorre provare a individuarequesti punti critici per avviare una loro discussione alla luce anche di palesi connaturalitàcome anche di evidenti incompatibilità.L’uomo religioso: radar o decoder?La «navigazione», in generale, è una via per la conoscenza. Oggi capita sempre più spesso che,quando si necessità di una informazione, si interroghi la Rete per avere la risposta da un motori diricerca come Google o Bing o altri ancora. Internet sembra essere il luogo <strong>del</strong>le risposte. Esse peròraramente sono univoche: la risposta è un insieme di link che rinviano a testi, immagini e video.Ogni ricerca può implicare una esplorazione di territori differenti e complessi dando persinol’impressione di una certa esaustività.22-24 aprile 2010 42


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeQuale fede troviamo in questo spazio antropologico che chiamiamo web? Digitando in un motore diricerca la parola God oppure anche religion, Christ, spirituality, otteniamo liste di centinaia di milionidi pagine. Nella Rete si avverte una crescita di bisogni religiosi che la «tradizione» religiosariesce a fatica a soddisfare. L’uomo alla ricerca di Dio oggi avvia una navigazione. Quali sono leconseguenze?Si può cadere nell’illusione che il sacro o il religioso sia a portata di mouse. La Rete, proprio grazieal fatto che è in grado di contenere tutto, può essere facilmente paragonata a una sorta di grande supermarket<strong>del</strong> religioso, in cui è possibile trovare ogni genere di «prodotto» religioso con grande facilità:dalle riflessioni più serie e valide alle religioni che una persona annoiata si inventa per gioco.Ciascuno può attingere dalla Rete non secondo reali esigenze spirituali, ma secondo bisogni da soddisfare.Ci si illude dunque che il sacro resti «a disposizione» di un «consumatore» nel momento <strong>del</strong>bisogno.Per comprendere il pericolo <strong>del</strong>l’omogeneizzazione religiosa sono da visitare siti come Beliefnet,dove le religioni sono messe in mostra, una al pari <strong>del</strong>l’altra, in un cocktail spesso disarmante7. Etuttavia, proprio attraversando questi siti e gli strumenti che essi mettono a disposizione, è anchepossibile farsi un’idea <strong>del</strong> bisogno profondo di Dio che agita il cuore umano.In questo contesto occorre però considerare un possibile cambiamento radicale nella percezione <strong>del</strong>ladomanda religiosa. Una volta l’uomo era saldamente attratto dal religioso come da una fonte disenso fondamentale. L’uomo era una bussola, e la bussola implica un riferimento unico e preciso.Poi l’uomo ha sostituito nella propria esistenza la bussola con il radar che implica una apertura indiscriminataanche al più blando segnale e questo, a volte, non senza la percezione di «girare a vuoto».L’uomo però era inteso comunque come un «uditore <strong>del</strong>la parola», alla ricerca di un messaggio<strong>del</strong> quale sentiva il bisogno profondo. Oggi queste immagini, sebbene sempre vive e vere, reggonomeno. L’uomo da bussola prima e radar poi si sta trasformando in un decoder, cioè in un sistena didecodificazione <strong>del</strong>le domande sulla base <strong>del</strong>le molteplici risposte che lo raggiungono. Viviamobombardati dai messaggi, subiamo una sovrainformazione, la cosiddetta information overload. Ilproblema oggi non è reperire il messaggio di senso ma decodificarlo, riconoscerlo sulla base <strong>del</strong>lemolteplici risposte che io ricevo. La testimonianza digitale diventa sempre di più un «rendere ragione<strong>del</strong>la speranza» (1Pt 3, 15) in un contesto in cui le ragioni si confrontano rapidamente e «selvaggiamente».A farsi largo è il classico meccanismo <strong>del</strong>la pubblicità, che offre risposte a domande cheancora non sono state formulate. La domanda religiosa in realtà si sta trasformando in un confrontotra risposte plausibili e soggettivamente significative.La grande parola da riscoprire, allora, è una vecchia conoscenza <strong>del</strong> vocabolario cristiano e, in particolare,<strong>del</strong>la spiritualità ignaziana: il discernimento. Le domande radicali non mancheranno mai,ma oggi sono mediate dalle risposte che si ricevono e che richiedono il filtro <strong>del</strong> riconoscimento. Larisposta è il luogo di emersione <strong>del</strong>la domanda. Tocca all’uomo d’oggi, dunque, e soprattutto alformatore, all’educatore, dedurre e riconoscere le domande religiose vere dalle risposte che lui sivede offrire continuamente. E’ un lavoro complesso, che richiede una grande preparazione e unagrande sensibilità spirituale.La ricerca di Dio: motore o domanda?Forse anzi è il caso di educare le persone al fatto che ci sono realtà che sfuggono sempre e comunquealla logica <strong>del</strong> «motore di ricerca» e che la googlizzazione <strong>del</strong>la fede è impossibile perché falsa.E’ certamente da privilegiare invece la logica dei motori semantici. E’ il caso di Wolfram|Alpha, un«motore computazionale di conoscenza», cioè un motore che decodifica ed elabora, intrecciando idati a sua disposizione, le parole chiave inserite dall’utente e propone direttamente una risposta. Vistoche, al momento, l’unica lingua che comprende è l’inglese, è interessante notare la risposta alladomanda Does God exist? (Dio esiste?): «Mi dispiace, ma un povero motore computazionale di co-22-24 aprile 2010 43


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialenoscenza, non importa quanto potente possa essere, non è in grado di fornire una risposta semplice aquesta domanda»8. Lì dove Google va a colpo sicuro fornendo centinaia di migliaia di risposte indirette,Wolfram|Alpha fa un passo indietro. La differenza è che il motore «sintattico» quale è Google,si preoccupa unicamente di «censire» le parole che ci sono all’interno di un testo senza in alcunmodo tentare di determinare il contesto in cui queste parole vengono utilizzate. La ricerca semanticatenta di invece di avvicinarsi al modo di apprendere <strong>del</strong>l’uomo, cercando di interpretare il significatologico <strong>del</strong>le frasi e tentando di carpirne il significato dal contesto. Dunque il modo in cui si ponela domanda può influenzare l’efficacia <strong>del</strong>la risposta, e dunque deve essere ben posta. La ricerca diDio è sempre semantica e il suo significato nasce e dipende sempre da un contesto.Il cristiano non è mai un «consumatore di servizi religiosi» né una persona che ha in pugno una risposta.Il cristianesimo si autocomprende come portatore di un messaggio, quello <strong>del</strong>la morte e resurrezionedi Cristo, resistente alle assimilazioni, «scandaloso», capace di superare la stessa domanda<strong>del</strong>l’uomo.La presenza cristiana in Rete deve far leva sul fatto che la parola <strong>del</strong> Vangelo scuote, non acquieta oappaga: non serve a «far star bene», ma, al contrario, rischia sul serio di mettere in crisi le coscienze,cioè di «far star male», potremmo dire. La strada da affrontare è quella dialetticamente attraversata«dal gioco accorto <strong>del</strong>la spontaneità e <strong>del</strong>la reticenza, <strong>del</strong>la trasparenza e <strong>del</strong>la simulazione,<strong>del</strong>l’azzardo <strong>del</strong>la esposizione pubblica e <strong>del</strong>la custodia <strong>del</strong>l’intimità altrimenti inaccessibile»9all’interno di un «mercato» già saturo di messaggi.«Forse il vangelo non è un’informazione fra le altre – si chiedeva nel 2002 l’allora card. Ratzingerdurante il <strong>convegno</strong> Parabole <strong>digitali</strong> –, una riga sulla tavola accanto ad altre, ma la chiave, unmessaggio di natura totalmente diversa dalle molte informazioni, che ci sommergono giorno dopogiorno? Dalla questione <strong>del</strong>la caratteristica di questo messaggio dipende anzi anche la questione<strong>del</strong>la forma giusta <strong>del</strong>la sua comunicazione. Se il vangelo appare solo come una notizia fra molte,può forse essere scartato in favore di altri messaggi più importanti. Ma come fa la comunicazione,che noi chiamiamo vangelo, a far capire che essa è appunto una forma totalmente altra di informazione- nel nostro uso linguistico, piuttosto una “performazione”, un processo vitale, per mezzo <strong>del</strong>quale soltanto lo strumento <strong>del</strong>l’esistenza può trovare il suo giusto tono?». E la sfida è seria perchésegna la demarcazione tra la fede come «merce» da vendere in maniera seduttiva, e la fede come atto<strong>del</strong>l’intelligenza <strong>del</strong>l’uomo che, mosso da Dio, dà a Lui liberamente il proprio consenso.L’amicizia: connessione o comunione?La pastorale dunque deve infatti confrontarsi con la Rete in quanto ambiente di vita, spazio antropologicoe di domanda religiosa. Ma lo spazio è abitato da persone e questo concretamente significaun confronto con le nuove «identità di Rete». Che cosa significa essere persone che abitano la Retecome un ambiente di vita? Internet connette persone, ma ciascuno al suo interno può costruire unapropria identità fittizia, simulata e intendere la relazione come un gioco. I rischi sono connessi innanzituttoalla fragilità di identità e relazioni. In Rete ciascuno può far credere di essere ciò che nonè a livello di età, sesso e professione, esprimendosi senza i limiti dati dalla propria identità pubblica.In Rete si diventa sostanzialmente messaggio. Insomma si dialoga per quel che ci si sente di esseree per il «pensiero puro», diciamo così, che si esprime.Ma proprio per questo dunque, la Rete è potenzialmente anche molto confidenziale, perché permettedi dire di sé cose che altrimenti difficilmente una persona direbbe nei suoi panni quotidiani. Sipuò avere un’apertura completa e un grande livello di autenticità, fino a scadere anche nello spontaneismosenza limiti e senza pudori. Il cyberspazio comunque è un «luogo» emotivamente caldo enon tecnologicamente algido, come qualcuno sarebbe tentato di immaginare. Certo, basta disconnettersio chiudere il programma per chiudere la relazione. In alcuni casi, però, al contrario, si «buca»la Rete e le persone si incontrano in uno spazio reale. Se questo avviene nei casi tristemente notidegli approcci erotici, avviene anche nel caso di relazioni di aiuto spirituale.22-24 aprile 2010 44


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeLo sviluppo <strong>del</strong> web 2.0 ha fatto comprendere come i rapporti tra le persone siano al centro <strong>del</strong> sistema e<strong>del</strong>lo scambio dei contenuti, che sempre più appaiono fortemente legati a chi li produce o li segnala.Riemergono dunque con forza i concetti di persona, autore, relazione, amicizia, intimità… Occorrecomprendere bene come il concetto stesso di «prossimo» e, più specificamente di «amicizia» si modifichie si evolva proprio a causa <strong>del</strong>la Rete.Tutte le piattaforme di social network sono insieme un potenziale aiuto alla relazioni ma anche unaloro minaccia. La relazione umana non è così un semplice gioco, e richiede tempi, conoscenza diretta.La relazione mediata dalla Rete è sempre necessariamente monca se non ha un aggancio nellarealtà. Benedetto XVI ha insistito molto sulla assoluta necessità di non banalizzare il concetto el’esperienza <strong>del</strong>l’amicizia: «Sarebbe triste se il nostro desiderio di sostenere e sviluppare on-line leamicizie si realizzasse a spese <strong>del</strong>la disponibilità per la famiglia, per i vicini e per coloro che si incontranonella realtà di ogni giorno, sul posto di lavoro, a scuola, nel tempo libero. Quando, infatti,il desiderio di connessione virtuale diventa ossessivo, la conseguenza è che la persona si isola, interrompendola reale interazione sociale. Ciò finisce per disturbare anche i mo<strong>del</strong>li di riposo, di silenzioe di riflessione necessari per un sano sviluppo umano». Se la Rete, chiamata a connettere, in realtàfinisce per isolare, allora tradisce se stessa in ciò che è nel suo significato.D’altra parte è evidente, come Benedetto XVI ha scritto nel suo messaggio per la Giornata <strong>del</strong>laComunicazioni 2010, che «i moderni mezzi di comunicazione sono entrati da tempo a far parte deglistrumenti ordinari attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto conil proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio». Insomma la«connessione» è chiamata ad essere luogo di «comunione», a tal punto che – scrive il Papa – essadiventa importante nell’ambito <strong>del</strong>lo stesso ministero sacerdotale. La missione dei consacrati cheoperano nei media è, tra l’altro, proprio quello di «spianare la strada a nuovi incontri, assicurandosempre la qualità <strong>del</strong> contatto umano».La Chiesa: fili di rete o tralci di vite?Tuttavia, certo, non è possibile immaginare una vita ecclesiale essenzialmente di Rete: una «chiesadi Rete» in sé e per sé è una comunità priva di qualunque riferimento territoriale e di concreto riferimentodi vita. Non è una comunità locale o omogenea di quartiere o di villaggio, ma emerge comeun fungo, potremmo dire, dal «villaggio globale». Ciò ha alcuni risvolti positivi perché rende possibiliaggregazioni spontanee per sensibilità e comunanze elettive. Tuttavia in tal modo rischia di annullareil confronto, anche difficile, con le differenze di età, di cultura, di mestiere, di idee, di sensibilità.Potrebbe così, ad esempio, dare alla pastorale un impulso eccessivo alla segmentazione, diciamocosì, «di mercato»: pastorale giovanile, <strong>del</strong>la famiglia, <strong>del</strong>la terza età, dei malati, e così via.Pensiamo alle «chiese» generate dai telepredicatori, che producono una pratica religiosa individuale,la quale conferma l’esasperata privatizzazione degli scopi <strong>del</strong>la vita e l’individualismo estremo<strong>del</strong>la società dei consumi capitalistica per il quale vale il motto «ciascuno per sé e Dio per tutti».Non è dovuto al caso il successo dei siti di spiritualità diffusa, svincolata da qualunque forma dimediazione storica, comunitaria e sacramentale (tradizione, testimonianza, celebrazione,…), tendentea includere tutti i valori religiosi unicamente nella coscienza individuale e spesso di ispirazionenew age.Queste tensioni ovviamente hanno una ricaduta sul significato <strong>del</strong>l’«appartenenza» ecclesiale. Essa rischiadi essere considerata il frutto di un «consenso» e dunque «prodotto» <strong>del</strong>la comunicazione. In questocontesto i passi <strong>del</strong>l’iniziazione cristiana rischiano di risolversi in una sorta di «procedura di accesso»(login) all’informazione, forse anche sulla base di un «contratto», che permette anche una rapida disconnessione(logoff). Il radicamento in una comunità si risolverebbe in una sorta di «installazione» (install)di un programma (software) in una macchina (hardware), che si può dunque facilmente anche «di-22-24 aprile 2010 45


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeI Sacramenti: «presenza reale» o «presenza virtuale»?Legata alla questione ecclesiologica appare essere quella dei sacramenti. È possibile immaginare isacramenti nel mondo <strong>del</strong>la Rete? La domanda è complessa: andrebbe articolata e compresa bene, ecerto non lo si può fare in poche battute. Il primo livello <strong>del</strong>la questione ha radici negli anni che havisto trasmettere la celebrazione eucaristica per televisione, e oggi si allarga a una possibile partecipazionea suo modo «interattiva» in videoconferenza. La questione si apre toccando la possibilità<strong>del</strong>l’assoluzione sacramentale via internet, che prosegue quella <strong>del</strong>la confessione telefonica. Poitocca anche quello <strong>del</strong>la consacrazione a distanza. Ma alla fine tocca questioni più complesse e tipichelegate all’evoluzione <strong>del</strong>la Rete, cioè quella <strong>del</strong>la possibilità di «sacramenti virtuali».Cerco di chiarire la questione con una applicazione concreta. Un avatar in Second Life non è un essereautonomo o una parte staccata di se stessi ma un’estensione digitale <strong>del</strong>lo stesso soggetto chevive e agisce nella «prima vita». Posto ciò, allora, un avatar può partecipare a un evento di preghiera?Ciò che sembra di poter osservare è che col crescere degli spazi virtuali, molti hanno cominciatoad avvertire il bisogno di creare luoghi di preghiera o addirittura chiese, cattedrali, chiostri e conventiper tempi di sosta e di meditazione. L’elenco <strong>del</strong>le chiese nella Second Life è lungo: esistonoanche cattedrali, come le simulazioni <strong>del</strong>le cattoliche Notre-Dame di Parigi o <strong>del</strong>la cattedrale di Salisburgoo <strong>del</strong>la anglicana St. Paul di Londra, ma anche la basilica di San Francesco in Assisi14.Ma che cosa significa pregare nella Second Life? «Io metto il mio avatar in posizione di preghiera enello stesso tempo io prego. La mia preghiera nella mia stanza è valida e la mia preghiera online èsimbolica», ha scritto un fe<strong>del</strong>e. Ma – ecco la questione chiave – è possibile anche che gli avatarvivano anche una forma di preghiera comune che sia da considerare liturgica? Da alcuni anni esisteuna cattedrale anglicana in Second Life dove si tengono regolarmente services liturgici a orari precisi.Ma, in particolare, la domanda è se sia possibile pensare a una celebrazione eucaristica virtualedove gli avatar ricevono le specie eucaristiche nel mondo simulato. Si è occupato <strong>del</strong>la questione,ad esempio il pastore battista Paul S. Fiddes, professore di Teologia Sistematica ad Oxford in un testobreve che ha fatto il giro <strong>del</strong>la Rete, provocando un ampio dibattito.La Chiesa cattolica insiste sempre sul fatto che sia impossibile e antropologicamente errato considerarela realtà virtuale come capace di sostituire l’esperienza reale, tangibile e concreta <strong>del</strong>la comunitàcristiana visibile e storica, e così dunque anche i sacramenti. Il documento La Chiesa e Internet(2002) <strong>del</strong> Pontificio Consiglio <strong>del</strong>le Comunicazioni Sociali, è stato quanto mai chiaro: «La realtàvirtuale non può sostituire la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, la realtà sacramentale degli altrisacramenti e il culto partecipato in seno a una comunità umana in carne e ossa. Su Internet non cisono sacramenti. Anche le esperienze religiose che vi sono possibili per grazia di Dio sono insufficientise separate dall’interazione <strong>del</strong> mondo reale con altri fe<strong>del</strong>i» (n. 9).La risposta è netta e mette al riparo da qualunque deriva che astragga la dimensione sacramentale daquella incarnata dei segni visibili e tangibili. Del resto il concetto di «sacramento virtuale» in sensostretto si fonderebbe sul fatto che sarebbe un avatar a ricevere la grazia di Dio, e da questo si trasferirebbealla persona <strong>del</strong>la quale è estensione. È chiaro che dietro questo pensiero c’è la considerazioneriduttiva che ricevere un sacramento significhi sostanzialmente essere coinvolto semplicementein maniera psicologica a un evento, reale o virtuale che sia. In questo senso pane e vino, cosìcome l’acqua nel caso <strong>del</strong> battesimo, sarebbero tutti elementi accessori e, alla fine, privi di reale rilevanza.Chiarito la «realtà» <strong>del</strong> sacramento, resta aperta però la questione di come l’abitudine alla virtualitàpossa in qualche modo incidere nella stessa comprensione <strong>del</strong> sacramento, e di come sia possibileevitare il rischio di una deriva «magica» capace di sbiadire fino a cancellarlo il senso <strong>del</strong>la comunitàe <strong>del</strong>la mediazione ecclesiale. È questa la vera sfida alla comprensione dei sacramenti posta dallaRete.22-24 aprile 2010 47


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeL’Autorità: emittenza o testimonianza?In questa medesima linea di riflessione si colloca il problema <strong>del</strong>l’autorità nella Chiesa e <strong>del</strong>le mediazioniecclesiali in senso più generale. Il primo ordine di problemi nasce dal fatto che internet permetteil collegamento diretto col centro <strong>del</strong>le informazioni, saltando ogni forma di mediazione visibile.In sé ciò è un fatto positivo, perché permette di attingere dati, notizie, commenti alla fonte, saltandoogni forma di passaggio intermedio, e il tutto in tempo reale. Pensiamo alla reperibilità deidocumenti ufficiali <strong>del</strong>la Santa Sede, ad esempio. D’altra parte la fede non è fatta soltanto di informazioni,né la Chiesa è luogo di mera «trasmissione», cioè non è una pura «emittente». Essa è luogodi «comunicazione» e «testimonianza» vissuta <strong>del</strong> messaggio che si «annuncia». Il rapporto diretto,che si crea in Rete, tra centro e qualsiasi punto <strong>del</strong>la periferia forma un’abitudine all’inutilità<strong>del</strong>la mediazione incarnata in un certo momento e in un certo luogo, e dunque anche alla testimonianzae alla comunicazione autorevole. Qualcuno, per fare un esempio, potrebbe chiedersi: perchédevo leggere la lettera <strong>del</strong> parroco se posso realizzare la mia formazione attingendo materiali direttamentedal sito <strong>del</strong>la Santa Sede? Molti, <strong>del</strong> resto già, grazie alla televisione, ben conoscono il volto<strong>del</strong> Santo Padre, ma non riconoscerebbero il vescovo <strong>del</strong>la propria diocesi.Un secondo ordine di problema è legato al riconoscimento <strong>del</strong>l’autorità «gerarchica». La Rete, disua natura, è fondata sui link, cioè sui collegamenti reticolari, orizzontali e non gerarchici. La Chiesavive di un’altra logica, cioè di un messaggio donato, cioè ricevuto, che «buca» la dimensione o-rizzontale. Non solo: una volta bucata la dimensione orizzontale, essa vive di testimonianza autorevole,di tradizione, di magistero: sono tutte parole queste che sembrano fare a pugni con una logicadi Rete. In fondo potremmo dire che sembra prevalere nel web la logica <strong>del</strong>l’algoritmo Page Rankdi Google che determina per molti l’accesso alla conoscenza. Esso si fonda sulla popolarità: in Googleè più accessibile ciò che è maggiormente linkato, quindi le pagine web sulle quali c’è più accordo.Il suo fondamento è nel fatto che le conoscenze sono, dunque, modi concordati di vedere lecose. Questa a molti sembra la logica migliore per affrontare la complessità. Ma la Chiesa non puòsposare questa logica, che nei suoi ultimi risultati, è esposta al dominio di chi sa manipolarel’opinione pubblica. L’autorità non è sparita in Rete, e anzi rischia di essere ancora più occulta.Ma il terzo e più decisivo e generale momento critico di questa orizzontalità è l’abitudine a farea meno di una trascendenza, l’indebolimento <strong>del</strong>la capacità di rinvio a una realtà e una alterità checi supera a favore <strong>del</strong>l’appiattimento sull’immediatezza e <strong>del</strong>l’autoreferenzialità. «Il punto di riferimento<strong>del</strong>le dinamiche simboliche accese nello spazio digitale non è più un’alterità trascendente,ma la mia identità: il mondo virtuale è una promanazione <strong>del</strong> mio io; un mondo che alla fine non mispiega, non mi apre a una percezione <strong>del</strong>l’universo e <strong>del</strong>la storia che non sia egocentrica. […] Ilmondo digitale rischia quindi di strutturasi come uno spazio simbolico autoreferenziale, chiusoall’alterità. Uno spazio alla fine alienante: mi attira nel suo contesto fino a farsi percepire comel’unico spazio di realtà, pur non essendo in grado di soddisfare la mia ricerca di verità, la mia sete dicomprensione e di collocazione dentro un universo che vada oltre le mie percezioni e i miei pensieri».Tuttavia, nonostante i tre ordini di problemi qui illustrati, esiste anche un aspetto importante sulquale riflettere: la società digitale non è più pensabile e comprensibile solamente attraverso i contenuti,ma soprattutto attraverso le relazioni e lo scambio dei contenuti che avviene all’interno <strong>del</strong>lerelazioni. È necessario dunque non confondere nuova complessità con «dis-ordine» e aggregazionespontanea con «an-archia».Occorre così comprendere la grammatica <strong>del</strong>la Rete e l’articolazione <strong>del</strong>l’autorità in un contestofondamentalmente orizzontale. Determinante appare la categoria e la prassi <strong>del</strong>la testimonianza. Èquesto l’aspetto positivo su quale far leva. Oggi l’uomo <strong>del</strong>la Rete si fida <strong>del</strong>le opinioni in forma ditestimonianza. Facciamo un esempio: se oggi voglio comprare un libro o farmi una opnione sullasua validità vado su un social network come aNobii o visito una libreria on line e leggo le opinionidi altri lettori. Esse hanno più il taglio <strong>del</strong>le testimonianze che <strong>del</strong>le classiche recensioni: spesso22-24 aprile 2010 48


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialefanno appello al personale processo di lettura e alle reazioni che ha suscitate. E lo stesso accade sevoglio comprare una applicazione o un brano musicale su iTunes. Esistono anche testimonianze sullacorrettezza <strong>del</strong>le persone nel caso in cui esse sono venditrici di oggetti su eBay. Ma gli esempi sipossono moltiplicare: si tratta sempre e comunque di quegli user generated content che hanno fattola «fortuna» e il significato dei social network. La «testimonianza» è da considerare dunque,all’interno <strong>del</strong>la logica <strong>del</strong>le reti partecipative, un «contenuto generato dall’utente».La Chiesa in Rete è chiamata dunque non solo a una «emittenza» di contenuti, ma a una «testimonianza»in un contesto di relazioni ampie: «una pastorale nel mondo digitale, infatti, è chiamata atener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e diverità non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credentidi ogni religione, con non credenti e persone di ogni cultura».La Rivelazione: codice «proprietario» o «aperto»?Il problema <strong>del</strong>l’auctoritas in Rete si è posto nella sua ampia portata soprattutto con la nascita diWikipedia. Questa forma di enciclopedia collaborativa, redatta dai suoi stessi utenti, ha spinto qualcunoa porre una domanda radicale. È il caso, ad esempio, di Justin Baeder, creatore di RadicalCongruency, un blog legato al fenomeno <strong>del</strong>la cosiddetta emerging ecclesiology («ecclesiologiaemergente»), che si è chiesto: «Quali implicazioni potrebbero avere per la chiesa questi siti web?Quali implicazioni potrebbero avere per un approccio comunitario alla teologia?».Non è facile definire il fenomeno <strong>del</strong>la emerging ecclesiology a cui corrisponde una emergingchurch. Queste espressioni fanno riferimento a un movimento complesso e fluido <strong>del</strong>l’area evangelico-carismatica,che intende reimpiantare la fede cristiana nel nuovo contesto post-cristiano. Essova al di là <strong>del</strong>le singole confessioni cristiane e si caratterizza per il rifiuto <strong>del</strong>le strutture ecclesialicosiddette «solide». Molta enfasi è invece posta sui paradigmi relazionali, su tutte le espressioni che– citando Zygmunt Bauman – potremmo definire «liquide» <strong>del</strong>la comunità, su approcci inediti efortemente creativi alla spiritualità e al culto. Qualcuno parla di Liquid Church.La domanda, nelle intenzioni di Baeder, non riguarda solamente un’applicazione pastorale. Essa intendechiedere se il wiki non possa ispirare un modo di fare teologia, una sorta di metodo teologico.Egli risponde alla domanda indicando la cosiddetta open source theology. L’espressione utilizza ilgergo informatico che indica un tipo di licenza per software, la open source appunto, per la quale il«codice sorgente» (source) di un programma per computer è lasciato alla disponibilità di eventualisviluppatori, così che con la collaborazione, in genere libera e spontanea, il prodotto finale possaraggiungere una complessità maggiore di quanto potrebbe ottenere un singolo gruppo di programmazione.Con teologia open source Andrew Perriman, l’ideatore di questa espressione, intende dunque indicareun metodo teologico, quello di una teologia «esplorativa, aperta nelle conclusioni, incompleta,meno preoccupata di stabilire punti fissi e confini che a nutrire un dialogo sollecito e costruttivo tratesto e contesto»21. È giusto notare subito l’importanza che questo metodo di «teologia collaborativa»,come viene anche definita, attribuisce alla riflessione teologica, intesa non come puro studioaccademico, ma come attività comunitaria che si sviluppa dinamicamente all’interno di precisi contestistorici.Tuttavia il «caso serio» qui è il seguente: qual è il «codice sorgente» <strong>del</strong>la teologia? È la Rivelazione,che dunque resta «aperta» alle forme più disparate di lettura, applicazione e presentazione. Laopen sourche theology è molto ambigua perché chiaramente cede al rischio di un appiattimento diordine sociologico o vagamente umanistico, e a uno smarrimento o al fraintendimento <strong>del</strong> depositumfidei. Infatti, se il «codice sorgente» <strong>del</strong>la teologia, la Rivelazione, non venisse solamente elaboratoa livello di «interfaccia», cioè a livello di categorie di comprensione e comunicazione, maanche modificato in se stesso, non saremmo più davanti a una teologia cristiana, ma a una più gene-22-24 aprile 2010 49


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialerale discussione su temi di significato teologico-religioso. A questa vaghezza si accompagna il rifiutodi ogni forma di carisma d’autorità e il disinteresse per la tradizione considerata forma «imperiale»,come l’ha definita Brian McLaren. Il cristianesimo tenderebbe ad assumere i caratteri di una«narrazione partecipativa» realizzata da individui o gruppi in cornici e contesti culturali disparati.In ogni caso è con questa forma mentis che la fede cattolica dovrà confrontarsi sempre di più e che richiedeuna nuova forma di «apologetica» che non potrà non partire dalle mutate categorie di comprensione<strong>del</strong> mondo e di accesso alla conoscenza.La Grazia: «peer-to-peer» o «face-to-face»?Uno dei punti critici <strong>del</strong>la riflessione su ciò che in Rete va sotto il nome di open è in realtà il concettodi «dono», reso ancora più radicale dal freeware, dal «software libero». Per la Chiesa la Rivelazioneè un dono indeducibile e l’agire ecclesiale ha in questo dono il suo fondamento e la sua origine.Ma è il concetto stesso di «dono» che oggi sta mutando. E, di conseguenza, questo non potrànon avere qualche riflesso (o anche qualcosa di più) nel campo <strong>del</strong>la comprensione ulteriore e <strong>del</strong>laformulazione migliore, anche a livello pastorale, <strong>del</strong>la Rivelazione.La Rete è il luogo <strong>del</strong> dono, infatti. Concetti come file sharing, free software, open source, creativecommons, user generated content, social network hanno tutti al loro interno, anche se in manieradifferente, il concetto di «dono», di abbattimento <strong>del</strong>l’idea di «profitto». A ben guardare, però, piùche di «dono» si tratta di uno «scambio» libero reso possibile e significativo grazie a forme di reciprocitàche risulta «proficua» per coloro che entrano in questa logica di scambio. Comunque c’è unaidea «economica» che ha in mente il concetto di «mercato».Il mo<strong>del</strong>lo di Rete che più radicalmente riflette questa dimensione è quella «paritaria» detta peer-topeer(o P2P) che non possiede nodi gerarchizzati come i client e i server fissi, ma un numero di nodiequivalenti (in inglese peer) aperti verso altri nodi <strong>del</strong>la Rete e che mentre ricevono trasmettono eviceversa. Quando effettuo un download all’interno <strong>del</strong> P2P il mio computer prende «pezzi» <strong>del</strong> documento(video, musica, testi,...) da molti singoli computer che sono contemporaneamente connessiin Rete e che contengono quel documento. A loro volta il mio computer mentre scarica permette adaltri computer di caricare pezzi di quello o di altri file che io metto a disposizione. Poi tutto alla fineviene ricomposto nei singoli computer. Il processo si chaima file sharing ed è, dunque, all’insegna<strong>del</strong>la condivisione. Questa tecnologia permette in maniera agevole di scaricare anche file multimedialimolto pesanti in tempi ragionevoli o comunque di trovare una molteplicità di materiali rari. Ilmotivo per cui questa tecnologia è stata spesso contestata è che permette di scaricare qualsiasi cosaa costo zero e violando tutte le norme <strong>del</strong> copyright.Quindi, in altri termini, la logica peer-to-peer si basa sul fatto che io ricevo qualcosa nella sua interezzanon da un depositum (cioè un client) unico che la contiene tutta intera in un rapporto 1 a 1.Essa si basa su un processo per cui io condivido ciò che ho nel momento stesso in cui lo ricevo. Manon ricevo mai un contenuto nella sua interezza: lo ricevo in un processo che rende me stesso il nododi una rete condivisa di scambio e che mi fa più «ricco», diciamo così, nel momento in cui doquel che ho ricevuto fino a quel momento.Se questa logica di condivisione viene applicata in genere a livello etico sulla distribuzione dei beni,essa appare senza problemi e, anzi, decisamente virtuosa. Tuttavia già a livello commerciale comprendiamoche essa pone un problema di «diritti» perché permette lo «scambio», cioè la «condivisione»di materiali protetti da copyright per i quali la condivisione, anche da parte di chi legalmentedetiene i diritti, è invece «reato». Per questo sta emergendo un movimento che sostiene – specialmentein contesti ecclesiali – il software dal codice libero, cioè open source, e il copyleft o «permessod’autore».Se però spostiamo questa logica sul piano teo-logico comprendiamo che la questione invece si fapiù problematica proprio perché la natura <strong>del</strong>la Chiesa e la dinamica <strong>del</strong>la Rivelazione cristiana22-24 aprile 2010 50


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialesembrano seguire un mo<strong>del</strong>lo client-server che è invece l’opposto di quello peer-to-peer. Esse nonsono il prodotto di uno scambio (che possiamo definire più propriamente un «baratto» fluido) orizzontale,ma l’apertura a una Grazia indeducibile e inesauribile che passa attraverso mediazioni gerarchichee sacramentali, storiche e di «tradizione». Se ci fermassimo qui rischieremmo di giungerealla incompatibilità radicale tra la «logica» <strong>del</strong>la teologia e quella <strong>del</strong>la Rete.In realtà il nodo consiste nel fatto che la logica <strong>del</strong> dono in Rete sembra sostanzialmente essere legataa ciò che in slang viene chiamato freebie, cioè qualcosa che non ha prezzo nel senso che noncosta nulla. Essa si fonda sulla domanda implicita: «quanto costa?» e l’ottica è tutta spostata su chi«prende» (e non «riceve», dunque). Il freebie è ciò che si può prendere liberamente. La gratia gratisdata invece non si «prende» ma si «riceve», ed entra sempre in un rapporto al di fuori <strong>del</strong> quale nonsi comprende. La Grazia non è un freebie, anzi, per citare Bonhoeffer, è «a caro prezzo». Nello stessotempo la Grazia si comunica attraverso mediazioni incarnate e si diffonde capillarmente in unalogica compatibile con quella peer-to-peer ma non riducibile ad essa, la quale può essere benissimoanonima, su base individuale, e impersonale: si può prendere tutto ciò che è a disposizione e non sisa quanto dei propri file verrà condiviso.La logica <strong>del</strong>la Grazia invece crea «legami» face-to-face come è tipico <strong>del</strong>la logica <strong>del</strong> dono, cosache invece è estranea di per sé alla logica <strong>del</strong> peer-to-peer, che in se stessa è una logica di connessionee di scambio, non di comunione. E un «volto» non è mai riducibile a semplice «nodo». Certo,tra l’anonimo peer-to peer <strong>del</strong> file sharing e la logica <strong>del</strong>lo user generated content dei socialnetwork la seconda appare formalmente più «compatibile» con una logica ecclesiale perché il contenutocondiviso viene «donato» all’interno di una relazione e ha come «ricompensa» la relazionestessa, cioè l’incremento e il miglioramento <strong>del</strong>le relazioni reciproche.Sia chiaro che questo non significa che la logica peer-to-peer sia sbagliata o negativa di per sé: essaè importante in una logica di condivisione generale e diffusa. Si dice qui solamente che la logica teologicanon è riducibile ad essa: è «altro» e «più» di essa.Ma proprio in questa differenza si fonda la sfida per i credenti: la Rete da luogo di «connessione» èchiamata a diventare, come si è detto, luogo di «comunione». Il rischio di questi tempi è di confonderei due termini: la connessione non produce automaticamente una comunione, anche se ne è conditiosine qua non. La connessione di per sé non basta a fare <strong>del</strong>la Rete un luogo di condivisionepienamente umana. È vero che la connessione crea communities, come si suol dire, ma ad esse nonsono affatto indispensabili le effettive relazioni, i legami, la familiarità, e le loro conseguenze23. Lenuove community rischiano di considerare accessorie la fisicità, e tutto il corredo di codici legati allinguaggio «incarnato» <strong>del</strong> corpo. La relazione finisce per essere fondata sostanzialmente su praticheretoriche, e questo sarebbe un grosso impoverimento. La parola chiave è dunque l’integrazionetra differenti livelli di vissuto. D’altra parte, se il «cuore umano anela ad un mondo in cui regnil’amore, dove i doni siano condivisi», come ha scritto Benedetto XVI24, allora la Rete può esseredavvero un ambiente privilegiato in cui questa esigenza profondamente umana possa prendere forma.E questo riguarda anche la fede per una condivisione ad ampio raggio, come lo stesso Pontefice haprospettato ponendo una domanda a conclusione <strong>del</strong> suo Messaggio per la 43a Giornata <strong>del</strong>le ComunicazioniSociali: «Come il profeta Isaia arrivò a immaginare una casa di preghiera per tutti i popoli(cfr Is 56,7), è forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio – come il “cortile dei gentili”<strong>del</strong> Tempio di Gerusalemme – anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto?». Ancorauna volta è la testimonianza la categoria fondamentale.L’Eschaton: coscienza collettiva o Parusia?La Rete, come abbiamo visto fino a questo momento, pone sfide davvero significative alla comprensione<strong>del</strong>la fede cristiana. La cultura digitale ha la pretesa di rendere l’uomo più aperto alla co-22-24 aprile 2010 51


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialenoscenza e alle relazioni. Fin qui abbiamo identificato alcuni nodi critici che questa cultura pone allavita di fede e alla Chiesa. L’immagine che forse rende meglio il ruolo e la pretesa <strong>del</strong> cristianesimonei confronti <strong>del</strong>la cultura digitale è quella <strong>del</strong>l’ «intagliatore di sicomori» mutuata dal profetaAmos (7, 14) e interpretata da san Basilio. Il card. Ratzinger nel suo discorso al <strong>convegno</strong> Parabolemediatiche usò questa fortunata immagine per dire che il cristianesimo è come un taglio su un fico.Il sicomoro è un albero che produce molti frutti che restano senza gusto, insipidi, se non li si incidefacendone uscire il succo. I frutti, i fichi, dunque, rappresentano per Basilio la cultura <strong>del</strong> suo tempo.Il Logos cristiano è un taglio che permette la maturazione <strong>del</strong>la cultura. E il taglio richiede saggezzaperché va fatto bene e al momento giusto. La cultura digitale è abbondante di frutti da intagliaree il cristiano è chiamato a compiere quest’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale.E il compito non è esente da difficoltà e appare oggi più che mai complesso.Forse il genio religioso che, pur tra ombre e ambiguità, ha inciso anzi tempo un taglio profondo nellacultura digitale è stato p. Teilhard de Chardin. Lo ha fatto – per intuizioni a loro modo «profetiche»,essendo lui morto nel 1955 – con il suo concetto di «Noosfera», una sorta di «coscienza collettiva»che si sviluppa con l’interazione degli esseri umani a mano a mano che essi hanno popolatola Terra e poi si sono (e si stanno) organizzando in forma di reti sociali complesse.Già negli anni Venti Teilhard aveva teorizzato la nozione di un sistema nervoso tecnologico planetario.Aveva inoltre capito che le tecnologie non solo formano un sistema nervoso planetario, maformano anche una sorta di intelligenza collettiva. Oggi possiamo affermare che essa è resa possibiledalla telematica, dalle connessioni, dalla Rete. Ma per Teilhard la noosfera sta espandendosi versouna crescente integrazione e unificazione che culminerà in quello che egli definisce «Punto O-mega», che è il fine <strong>del</strong>la storia. Il Punto Omega è il massimo <strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la coscienza,ed è indipendente dall’universo che si evolve, è cioè ad esso «trascendente». È il Logos ossia il Cristo,attraverso cui tutte le cose furono create. Il Punto Omega non è un’idea astratta, ma un essere personaleche unisce il creato attraendolo magneticamente verso di Sé. Questo Punto Omega non costituisceil risultato <strong>del</strong>la complessità e <strong>del</strong>la coscienza: preesiste all’evoluzione <strong>del</strong>l’universo, perché è lacausa <strong>del</strong>l’evolvere <strong>del</strong>l’universo verso la maggiore complessità, coscienza e personalità. Il punto di maturazione<strong>del</strong>la Noosfera nella visione di Teilhard coincide con la Parusia.La sua complessa visione, così sbilanciata in direzione escatologica, sposta gli accenti <strong>del</strong>la riflessioneteologica sulla «logica» <strong>del</strong>la Rete. L’intuizione teologica teilhardiana intravede e manifestauna attrazione magnetica che parte dalla fine e dal di fuori <strong>del</strong>la storia e che rende ragione e valorizzatutti gli sforzi <strong>del</strong>l’interazione fra le menti umane in reti sociali sempre più complesse. In questosenso dà un significato di fede alle dinamiche proprie <strong>del</strong>lo spazio antropologico che è la Rete che aquesto punto diventa anch’essa parte <strong>del</strong>l’unico milieu divin, di quell’unico «ambiente divino» che èil nostro mondo.La fede nella Rete <strong>del</strong>le relazioni: comunione e connessioneGuido Gili, Docente di sociologia dei processi culturali e comunicativi, Università <strong>del</strong> MoliseVorrei partire da una breve premessa per tracciare la cornice di questo intervento. E’ una osservazioneche ricavo dalle prime pagine di un recente bel saggio <strong>del</strong> sociologo <strong>del</strong>la religione Peter Berger,intitolato Questioni di fede. Sebbene con profonde differenze, le condizioni <strong>del</strong>la fede oggi assomiglianoa quelle dei primi cristiani che vivevano nel mondo greco-romano, un contesto sociale eculturale caratterizzato da un vivace pluralismo, per cui la fede era possibile solo come scelta <strong>del</strong>iberata.Sotto questo aspetto la nostra situazione è simile a quella di Paolo, quando predicavanell’agorà di Atene, dove una moltitudine di dèi convivevano e competevano tra loro. Quindi, percerti aspetti, siamo diventati o siamo tornati, contemporanei dei primi cristiani.Pur nella similitudine, c’è però qualcosa di specifico nella situazione attuale ed è che la modernità,di cui tutti siamo figli, “mina progressivamente l’ambiente sociale in cui la religione e qualsiasi al-22-24 aprile 2010 52


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialetra cosa nella quale le persone credono sono date per scontate”. Le persone normalmente danno perscontate le loro credenze nella misura in cui ciascuno intorno a loro fa lo stesso. In altri termini, “lecredenze appaiono auto-evidenti se intorno ad esse c’è un consenso sociale più o meno omogeneo”.La modernità mina questo consenso, per cui “l’individuo è spinto a confrontarsi in maniera crescentecon credenze, valori, stili di vita assai differenti ed è perciò costretto a scegliere tra di essi”. Questovale anche per la fede cristiana, che non è più assimilata – o molto meno che in passato – comeparte <strong>del</strong>l’ambiente culturale e <strong>del</strong>l’ethos condiviso, ma torna ad essere di nuovo una questionepersonale, una questione di adesione personale.Ora noi sappiamo che l’annuncio di Cristo si inserisce sempre in un contesto spazio-temporale, psicologico,sociale e culturale specifico, interpella e incontra gli uomini nelle loro condizioni storichee concrete. “In quel tempo” si scandisce sempre all’inizio di ogni episodio evangelico, così come“in questo tempo” noi dobbiamo pensare alle condizioni <strong>del</strong>la fede e <strong>del</strong>la comunicazione <strong>del</strong>la fedeoggi.Questo tempo è stato definito in vari modi, ma sicuramente un tratto assolutamente centrale, determinantenella sua definizione è l’importanza che vi hanno assunto le nuove tecnologie <strong>del</strong>la comunicazionetanto che possiamo dire che ambiente sociale e ambiente mediale costituiscono le duefacce, le due dimensioni di una stessa realtà. E le nostre relazioni hanno sempre questi due caratteri,per cui le relazioni <strong>del</strong>la vita quotidiana si intrecciano e si compenetrano con le relazioni che creiamoe manteniamo attraverso i media. L’ambiente mediale che caratterizza questo tempo è una realtàcomplessa e, come abbiamo visto in questi giorni può essere rappresentato in vari modi, anche contrastanti,e ogni rappresentazione illumina alcuni aspetti, alcuni caratteri di questo ambiente.Vorrei dunque in questo intervento riflettere su queste diverse rappresentazioni e cercare di capirequali implicazioni e quali indicazioni è possibile trarre per la presenza <strong>del</strong>la Chiesa in questo ambientemediatico e per l’azione di tutti coloro che in questo ambiente assumono una responsabilitàpersonale.1. Una prima immagine con cui si rappresenta l’ambiente mediatico e la rete di relazioni comunicativeche lo caratterizza, soprattutto con l’avvento e lo sviluppo dei cosiddetti media interattivi e partecipativi,è quella <strong>del</strong>la “piazza” o <strong>del</strong>l’agorà (cioè l’immagine per eccellenza <strong>del</strong>lo spazio pubblico).Nell’immagine <strong>del</strong>la piazza sono presenti tre aspetti:a) Innanzitutto la piazza esprime l’idea di uno spazio libero e “aperto” nel quale sono possibili ipiù diversi incontri, è il luogo di incontri molteplici e solo in parte predeterminati e predeterminabili.Vi si può incontrare chiunque, chi si conosce bene e a cui si è legati da forti relazioni, chisi conosce appena, e anche gli sconosciuti (anche se, seguendo questa metafora, va detto che anchenelle piazze vi sono relazioni preferenziali tra gruppi e gruppetti già costituiti).b) In secondo luogo la piazza è uno spazio “pubblico” dove si parla e si discute, in cui l’opinione“privata”, personale, può essere espressa, scambiata, condivisa, paragonata con quella degli altri.E’ quindi il luogo in cui trovano spazio tutte le opinioni senza particolari gerarchie o priorità,senza che nessuna possa arrogare per sé un primato, che non emerga dalla discussione e dal confronto.Tutte sono poste potenzialmente sullo stesso piano. Si esprime qui anche la dimensionepolitica <strong>del</strong>la “sfera pubblica mediata” come luogo di confronto e aggregazione democratica.c) Infine, spesso nelle nostre rappresentazioni, la piazza è contrapposta al palazzo: è il luogo <strong>del</strong>lerelazioni orizzontali, circolari, e quindi questa metafora esprime l’idea che l’ambiente comunicativoveda il tramonto dei vecchi sistemi di relazioni comunicative centralizzate, unidirezionalie a-simmetriche <strong>del</strong> passato, cioè le relazioni proprie dei tradizionali mass media,che rispondevano unicamente ai valori e agli interessi di chi ne deteneva la proprietà o il controllo.22-24 aprile 2010 53


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeQuesta prima immagine <strong>del</strong>l’ambiente mediale è stata evocata in modo diretto o indiretto anche inquesti giorni in vari interventi e si è espressa nell’invito alla Chiesa, alla comunità cristiana e ai singolicristiani a “giocarsi”, a coinvolgersi entro queste relazioni orizzontali, dialogiche, discorsive,insomma in questo ambiente di relazioni che sembra ricordare da vicino l’Areopago di Atene, dovePaolo prese la parola. Quindi, secondo questa prima immagine, il sistema dei media si configuracome un Nuovo Areopago e quindi chiede un atteggiamento che si ponga in una continuità idealecon quello di Paolo.E tuttavia bisogna capire la reale natura <strong>del</strong>la piazza, perché le metafore per certi aspetti aiutano acapire, ma a volte propongono semplificazioni fuorvianti. E’ una piazza particolare in cui, possiamodire, coloro che vi camminano hanno una visione focalizzata, vedono solo ciò che è oggetto <strong>del</strong>laloro attenzione selettiva. In questo senso la direzione <strong>del</strong>la navigazione è sempre costruita a posterioridal percorso <strong>del</strong> navigante, piuttosto che a priori dall’intenzione <strong>del</strong> comunicatore. Questo processoha un carattere sicuramente positivo: significa che nella rete <strong>del</strong>le relazioni <strong>digitali</strong> è il fruitorea decidere, attraverso le sue scelte di navigazione, il percorso da compiere ed è quindi sempre ilco-autore <strong>del</strong>la comunicazione (Cantoni 2001). Ma ha anche una implicazione negativa: la predeterminazionedi ogni incontro che si farà sulla piazza, perché l’esposizione e l’attenzione selettiva dicoloro che vi si affacciano si dirige prevalentemente su ciò verso cui nutrono già un interesse e solomolto difficilmente è possibile entrare nel cono di luce <strong>del</strong>la loro attenzione.“Raramente gli uomini apprendono ciò che già credono di sapere” osservava l’economista ingleseBarbara Ward. Questo aspetto, che è esattamente l’effetto contrario rispetto a quello <strong>del</strong>la piazzaaperta, contiene però un’indicazione: identifica come fondamentale l’aspetto <strong>del</strong>la credibilità<strong>del</strong>l’emittente, cioè l’aspetto <strong>del</strong>l’apertura di fiducia che il ricevente è disposto ad attribuirgli primaancora di impegnarsi in una relazione con lui. Perché se non c’è questa credibilità anticipata, questaaspettativa positiva, che apre alla relazione, in realtà la possibilità di incontro come sorpresa, comepossibilità non predeterminata, come “incontro” nel senso forte <strong>del</strong> termine non avviene. Una voltaentrati in un rapporto è possibile indirizzare o accompagnare l’altro su dei percorsi, suggerirgli deipercorsi, altri incontri, ma se non c’è questo incontro iniziale, gli altri prendono tutt’altre strade.2. Accanto a questa prima immagine ce ne sono altre due altrettanto significative ed “esplicative”,che ricavo dall’ultima opera Mediapolis di Roger Silverstone, un grande studioso di media recentementescomparso.La prima è quella <strong>del</strong>l’ambiente mediale come “lo spazio <strong>del</strong>la cacofonia”, come uno spazio aperto,ma proprio perché aperto, sempre più caotico e frammentato, soggetto alla più grande confusione.In questo spazio c’è di tutto e di più. E’ lo spazio di una pluralità di voci disordinate e casuali, che sisusseguono e si sovrappongono, voci invasive, disturbanti o seduttive, che urlano o sussurrano, cheadescano, che ingannano. Ma anche voci contraffatte, come ad esempio nel caso di molti blog che sifingono indipendenti e amatoriali e in realtà sono al servizio di imprese, governi o gruppi politici(Gaggi, Bardazzi, L’ultima notizia). E’ insomma il luogo <strong>del</strong>le dissonanze, <strong>del</strong>la confusione, <strong>del</strong>rumore. Questa immagine ripropone e amplia l’idea di alluvione o inflazione comunicativa che erastata introdotta qualche tempo fa e all’esperienza soggettiva di un bombardamento continuo e caoticodi messaggi, suggestioni, slogan. E’ ancora Silverstone che ne descrive bene alcuni caratteri: laspettacolarizzazione <strong>del</strong>l’io, la commercializzazione ossessiva, la richiesta continua di aver fiduciae di credere in ciò che viene proposto, il crollo <strong>del</strong>le distanze e <strong>del</strong>le differenze, la confusione e lacommistione di pubblico e privato, la perdita <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>la privacy, la volgarizzazione di ciò cheè serio e la legittimazione di ciò che è banale, lo sfruttamento di chi è debole e vulnerabile,l’erosione dei confini tra reale e immaginario, tra realtà e la finzione, tra notizia e intrattenimento.Secondo questa immagine, il sistema dei media attuale realizza pienamente e praticamente uno deicaratteri propri <strong>del</strong>la modernità: il relativismo dei valori e degli stili di vita. Da questo punto di vista,infatti, il sistema dei media – in particolare la televisione e Internet – costituiscono l’esempiopiù eclatante di relativismo applicato. Il relativismo <strong>del</strong>la TV o di Internet non è un fatto filosofico oteoretico, ma un è un fatto eminentemente pratico, pragmatico. Tutti i contenuti e tutti i programmi22-24 aprile 2010 54


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialee generi hanno lo stesso valore potenziale e a tutti è riconosciuto lo stesso valore purché si “faccianovedere”, siano in grado di suscitare l’interesse di qualcuno, assicurino audience e introiti pubblicitari.Tutto ciò corrisponde ad una visione <strong>del</strong> mondo nella quale si perdono relazioni e gerarchie di valoree di importanza, in cui, per usare una bella espressione <strong>del</strong> filosofo Ignatieff, “non c’è niente di sacro”.Questa immagine <strong>del</strong>lo spazio cacofonico, con le sue implicazioni culturali, mi sembra suggerire treosservazioni:a) In questo contesto diventa essenziale saper riconoscere, valutare le voci, discriminare le voci sullabase <strong>del</strong> criterio <strong>del</strong> rispetto <strong>del</strong>la dignità <strong>del</strong>le persone. Non è mai indifferente il modo in cui si parla<strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>la sua vita. Un primo aspetto è che si può parlare <strong>del</strong>l’uomo e <strong>del</strong>le relazioni umane –come l’amicizia, l’amore, l’affetto, ma anche il conflitto, l’odio o il risentimento – in un modo apertoalla ricchezza e alla complessità dei fattori che comprendono la sua umanità o in modo stereotipato eriduttivo. Ad esempio si possono usare formule semplificatorie e banali per descrivere e interpretarele azioni umane o si può cercare di coglierne la profondità e le cause. Ma discernere tutto questo nonsempre è facile perché mai come in questo tempo, per usare una bella espressione di Theodor Adorno,la “menzogna veste la maschera <strong>del</strong>la verità”. Occorre dunque vagliare, riconoscere e allearsicon tutto ciò che è difesa e promozione <strong>del</strong>la dignità umana, ovunque sia e da qualunque esperienzasociale emerga. Questo è un aspetto fondamentale <strong>del</strong>la lotta per il “rispetto” <strong>del</strong>la dignità umana,che è un tratto fondamentale <strong>del</strong> nostro tempo (R. Sennett, Il rispetto).b) La seconda implicazione riguarda direttamente la Chiesa. Nello spazio cacofonico, la Chiesa deveparlare non con una sola voce, ma con una pluralità di voci, che corrispondono alla pluralità <strong>del</strong>leesperienze e <strong>del</strong>le sensibilità ecclesiali, personali e di gruppo, ma queste voci devono esprimereuna sostanziale unità. La verità è sinfonica, ricordava il grande teologo von Balthasar e la voce <strong>del</strong>laChiesa deve essere come uno spartito comune nel quale converge la ricchezza <strong>del</strong>le voci e deglistrumenti. Purtroppo negli ultimi tempi, si è assistito a dichiarazioni, prese di posizioni, che hannocreato molti problemi all’immagine e alla credibilità <strong>del</strong>la Chiesa, per protagonismo, sprovvedutezza,ingenuità, mancanza di conoscenza dei meccanismi dei media. Questo pericolo, che sempre èesistito, aumenta enormemente con Internet, che offre una insolita amplificazione anche a voci isolate,casuali o periferiche, per cui una dichiarazione o un intervento in un sito o in una piccola televisione<strong>del</strong>la Nuova Zelanda o <strong>del</strong> Perù il giorno dopo ha già fatto il giro <strong>del</strong> mondo. Questo valeinnanzitutto come richiamo per tutti, ognuno nel suo ruolo e per la sua responsabilità, a considerareche ogni atto comunicativo finisce per coinvolgere, come mandante, <strong>del</strong>la comunicazione la Chiesaintera. In secondo luogo forse è necessaria una maggiore responsabilità collettiva e anche un professionismomaggiore nel consigliare, indirizzare, aiutare a prevenire errori comunicativi che poi sipagano duramente.c) C’è poi una terza implicazione. La voce va allenata, va addestrata. Questo è il tema <strong>del</strong>la competenzacomunicativa. Ormai, nell’epoca di Internet e dei media diffusi, dei social network e degli u-ser generated contents, non può riguardare solo la voce di chi ha le maggiori responsabilità, quindidegli specialisti, dei professionisti, ma anche di tutti coloro che si uniscono al coro.- Occorre quindi una forte autorevolezza dei comunicatori professionali e questo implica sostenerechi ha una particolare vocazione ad impegnarsi in questo campo con una adeguata formazione;- ma questa è anche una vocazione diffusa. Tutti sono chiamati ad essere comunicatori efficaci. Daun lato perché questo attiene alla dinamica propria <strong>del</strong>la fede, ma anche perché è la cifra comunicativadi questo tempo, in cui ognuno può essere efficacemente emittente e ricevente nella rete <strong>del</strong>larelazioni. Il problema <strong>del</strong>la credibilità <strong>del</strong>la comunicazione, oggi non riguarda più solo i professionistio gli specialisti, riguarda tutti.22-24 aprile 2010 55


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmediale3. C’è poi anche una terza immagine, assai interessante e realistica, per quanto forse sgradevole.L’ambiente mediatico, dice ancora Silverstone, è un “campo di tensioni”, un campo di lotte e diconflitti. In una parola, ci piaccia o no, è un campo di battaglia. Un campo in cui si scontrano e sicontrappongono grandi gruppi economici, politici ed editoriali, in cui vi è una lotta accanita perconquistare i consumatori e gli elettori, dove si ritagliano un loro spazio anche posizioni estremistichee violente (che promuovono l’odio in rete). Molto più che in passato, i media sono diventatidunque un gigantesco campo di battaglia per conquistare consumatori, per la propaganda politica,per l’affermazione di ideologie. E ognuno cerca di allargare il proprio spazio, il proprio dominio.Questo campo è anche ricco di “voci alternative, di minoranze, e di azioni individuali”, che trovanonelle nuove tecnologie una importante opportunità di azione e di espressione: pensiamo ad esempioa tutta la ricchezza dei cosiddetti media non mainstream o alle esperienze <strong>del</strong> citizen journalism(queste esperienze sono importanti, anche se presentano molti limiti, vedi Gaggi e Bardazzi). Contutto questo, però, non tutti possono scendere in campo, perché non tutti hanno le risorse economiche,tecnologiche e le competenze per accedervi. E comunque, la grandissima maggioranza di quelliche vi accedono restano presenze <strong>del</strong> tutto marginali, irrilevanti e insignificanti, come rivela impietosamente,ma realisticamente, il titolo <strong>del</strong> libro di Lovink, Zero Comments. Sei in rete, ma è comenon ci fossi perché nessuno di accorge di te e non hai la forza per importi, per “farti vedere”.Anche questa terza immagine ha <strong>del</strong>le implicazioni:a) Prima implicazione: l’ambiente mediatico è e resta un campo di interessi forti, aggressivi espesso non proprio benevoli verso la Chiesa e la fede cattolica. Per questo occorre presidiare ilterritorio mediatico, tenere la posizione, non farsi travolgere, individuando anche strategicamentei media più utili ed efficaci. Per questo è il campo in cui la Chiesa deve continuare a generaree rafforzare mezzi di comunicazione autoprodotta, cioè mezzi propri, ma anche deve cercare ilpiù possibile di influenzare la comunicazione eteroprodotta, cioè la comunicazione di altri soggettiperché parlino <strong>del</strong>la esperienza <strong>del</strong>la fede in modo non riduttivo o deformato. Questo è infattiun campo nel quale la Chiesa può ricevere, e ce ne stiamo accorgendo in questi mesi, <strong>del</strong>leferite terribili.b) C’è una seconda implicazione: questo è un campo attraversato dall’ingiustizia in cui alcunicombattono con i carri armati e altri con le fionde e a mani nude. Tutti noi sappiamo che cos’è ilknowlege divide, di cui il digital divide è un aspetto. E’ l’idea che c’è una conoscenza utile, checonta, che fa arricchire, che è motore <strong>del</strong>l’economia, di cui la competenza digitale è una partesignificativa (Petrella 2002). Questa conoscenza utile, questa conoscenza che è una risorsa importanteper la vita <strong>del</strong>le persone, <strong>del</strong>le famiglie e dei popoli, è distribuita in modo ineguale.Nell’enciclica Caritas in veritate, Benedetto XVI parla di una giustizia distributiva, ma nel casodei media, questa giustizia distributiva è anche una giustizia relazionale. Allora questo è uncampo privilegiato di una azione per la giustizia, e anche di una critica sociale, di cui i cristianidevono farsi protagonisti. Nell’enciclica il Papa parla di uno stretto rapporto tra ecologia ambientaleed ecologia <strong>del</strong>le relazioni umane, <strong>del</strong>le relazioni sociali. Esiste un rapporto altrettantostretto tra l’ecologia umana e sociale e l’ecologia dei media. Poiché ecologia umana ed ecologiadei media sono oggi due facce <strong>del</strong>la stessa realtà. La giustizia o l’ingiustizia nelle relazioni u-mane si rispecchia, si riverbera in quella <strong>del</strong>le relazioni comunicative e viceversa,l’inquinamento <strong>del</strong>le une produce l’inquinamento <strong>del</strong>le altre e la libertà e la trasparenza <strong>del</strong>leune interagisce e influenza quella <strong>del</strong>le altre. E la dignità <strong>del</strong>le persone riconosciuta in una sferasi ripercuote nell’altra.Un’ultima considerazione a conclusione di questo primo punto. Globalizzazione e nuovo ambientemediatico sono strettamente legati. La piazza è la piazza globale, ma globale è anche lo spazio <strong>del</strong>lacacofonia e il campo <strong>del</strong>le tensioni, il campo <strong>del</strong> conflitto per l’egemonia comunicativa.Ciò che caratterizza la globalizzazione non è solo il fatto che si crea una interdipendenza a livelloglobale dei sistemi giuridici, politici, economici e comunicativi, cioè il fatto di vivere in un unico22-24 aprile 2010 56


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialecontesto, ma è anche la “consapevolezza” di vivere in un unico contesto. La riflessività, la coscienzadi vivere in un mondo globalizzato è dunque un fattore essenziale <strong>del</strong>le globalizzazione (Robertson).Questo aspetto ha una implicazione immediata: in questo mondo siamo provocati, interrogati, datutto ciò che accade ovunque. McLuhan ha bene espresso questa idea quando, nei suoi ultimi scrittiha osservato che viviamo in un teatro globale, dove non ci sono spettatori, ma tutti siamo attori perchétutti coinvolti, volenti o nolenti, nelle vittorie e nelle sconfitte, nei progressi e nelle tragedie deglialtri.Se ciò vale in tutti i campi e per tutti gli aspetti <strong>del</strong> nostro agire, vale anche e a maggiore ragione perla nostra identità di credenti. La globalizzazione rende ancor più evidente il carattere universale <strong>del</strong>laChiesa, rende più chiaro, soggettivamente percepibile, che il respiro <strong>del</strong>la Chiesa è universale,che essa è un corpo unico. E’ la sfida di una rinnovata coscienza <strong>del</strong>l’universalità, <strong>del</strong>la cattolicità<strong>del</strong>la Chiesa. Tutto ciò che accade nella Chiesa e alla Chiesa ci riguarda direttamente, mi riguardadirettamente. Ed io sono chiamato a risponderne, io personalmente come individuo, gruppo, movimento,associazione, parrocchia, diocesi, etc. Io non posso dire: la mia parrocchia, la mia diocesi ola mia associazione va bene, quando la Chiesa soffre nel mondo, è attaccata o perseguitata. O nonposso non soffrire di ciò che macchia l’immagine <strong>del</strong>la Chiesa e mette a repentaglio la sua credibilità,la fiducia che gli uomini ripongono in essa. Perché in queste situazioni certo contano le dichiarazioniufficiali, i comunicati, le prese di posizione chiare di chi ha responsabilità nella Chiesa, maconta la testimonianza di ognuno nella sua parrocchia, nel suo ambiente di lavoro, nelle relazioni divita quotidiana, ma anche nelle relazioni in rete. Ognuno di noi è corpo <strong>del</strong>la Chiesa e volto <strong>del</strong>laChiesa. E in questo ambiente globalizzato ciò diventa più chiaro, più evidente, anche drammaticamenteevidente.Il senso di tutto ciò è espresso poeticamente e potentemente da Thomas Stearn Eliot nei Cori dallaRocca,: una Chiesa per tutti e un lavoro per ciascuno [e aggiungerei: non un lavoro qualsiasi, un lavoropurchessia, ma un lavoro da protagonisti, corrispondente alle capacità e alla vocazione specificadi ciascuno].Scenari <strong>digitali</strong> e nuove forme di presenza <strong>del</strong>la Chiesadi Francesco Casetti, -Direttore dipartimento Scienza <strong>del</strong>la Comunicazione, Università CattolicaVorrei ritornare su una immagine tradizionale, quella che associa i media all’agorà. L’immagine potrebbesembrare un po’ logora, in un momento come quello che stiamo vivendo, in cui i media appaionopiù come un campo di battaglia che come un punto di incontro. Tuttavia questa immaginetrova una nuova linfa – e insieme un nuovo spessore problematico – con l’avvento <strong>del</strong> web 2.0 econ l’esplosione dei cosiddetti social network: dispositivi che consentono appunto alle persone dientrare in rapporto reciproco, di confrontarsi, di interagire. Insomma, è proprio il nuovo paesaggiomediale, con la sua enfasi sulle possibilità di relazione interpersonale, che ci spinge a ragionare ancorain termini di agorà. Ora non c’è dubbio che queste nuove tecnologie presentino <strong>del</strong>le grandiopportunità.Lo sanno bene i molti che nel mondo cattolico operano in questo campo con impegno ed entusiasmo.Il loro lavoro è proficuo, e già <strong>del</strong>inea una particolare linea di intervento – potremmo dire: unaparticolare forma di testimonianza. Non c’è dubbio però che il modo in cui queste tecnologie sonostate spesso concepite, così come il modo in cui spesso si stanno sviluppando, fanno affiorare anchedegli aspetti più problematici. Proverò allora a confrontare qui potenzialità e limiti, avanzandoqualche osservazione su di un piano più generale.22-24 aprile 2010 57


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeInnanzitutto i social network nati con il web 2.0 tendono spesso ad offrire, e a consentire, quello cheè un puro e semplice contatto. Quel che conta, è l’accessibilità, e cioè il raggiungere e l’essere raggiunti.Le modalità di partecipazione a Facebook, o anche a Twitter, per non parlare <strong>del</strong> più recenteChatroulette, sono assai indicative al proposito. Ma un contatto non esaurisce il senso di una relazione:quest’ultima si basa su una offerta di sé e insieme su un ascolto reciproco. Di qui, credo, unprimo impegno a cui siamo chiamati, come uomini e come cristiani: non basta usare “intelligentemente”i media <strong>del</strong>la rete (sostanzialmente i tre “new screens”: tv digitale, computer e telefonino),bisogna anche un po’ “rifondarli”, facendo sì che essi tornino ad essere strumenti di relazione vera.Ora, che cosa dà verità alla relazione che il web sembra offrire? Almeno tre cose. La prima è unnuovo senso <strong>del</strong>la gratuità. La maggior parte degli scambi sul web oggi non comportano una transazionedi denaro, ma non per questo sono gratuiti: sono sostenuti da interessi che si concretano economicamentealtrove – o che comunque comportano un “pagamento” in svariate forme, compresequelle <strong>del</strong> “debito simbolico”. Reintrodurre la logica <strong>del</strong> dono – intercettando e rilanciando tutte leforme di committment che pure troviamo sulla rete – può essere un passo rilevante.La seconda cosa è un nuovo senso <strong>del</strong>l’intimità. In rete sempre di più si sta perdendo il pudore.Sempre di più si “paga” l’interesse <strong>del</strong>l’altro mettendosi spudoratamente a nudo, anche in senso letterale.Ne deriva una mercificazione di sé, ma anche una perdita di quella che è la sfera più preziosae spesso più autentica <strong>del</strong>l’io. Ristabilire colloqui che sappiano andare al cuore <strong>del</strong>l’uomo rispettandolo,e rispettando la fatica e il rischio che ciò comporta, può costituire un altro passo rilevante.La terza cosa è un nuovo senso di fe<strong>del</strong>tà. I contatti in rete sono molte volte occasionali, quando noncasuali. Ai social network, più che partecipare, ci si affaccia. E’ però possibile trovare in rete ancheforme di comunità virtuali in senso più proprio, basate sull’impegno e la condivisione. Prendendoesempio da esse, diventa estremamente utile far emergere mo<strong>del</strong>li positivi di disponibilità, in cui lepersone coinvolte rafforzano il senso <strong>del</strong>la loro presenza e insieme evidenziano la loro volontà diascolto.La gratuità, l’intimità e la fe<strong>del</strong>tà non sono <strong>del</strong> tutto assenti dalle attuali forme di comunicazione inrete: la loro presenza appare però spesso o marginale o nascosta. Si tratta allora di fare emergerequesti tratti, perché la relazione mediale acquisti o riacquisti una sua più profonda autenticità.Ma oltre che cercare di essere “vera”, una relazione dovrebbe anche diventare “densa”. Mi spiego.Oggi le reti mediali tendono a presentarsi non come una metonimia, ma come una metafora <strong>del</strong>lereti sociali: quasi che esse non fossero semplicemente una parte <strong>del</strong> complesso sistema di relazioniche regge una società, ma ne fossero un sostituto. Ne deriva l’idea che i media costituiscano ormail’ossatura <strong>del</strong> sistema: un’idea che indubbiamente coglie alcuni processi in atto, ma che rischia peròanche di creare una illusione ottica. Se infatti è vero che la realtà sociale tende a smaterializzarli, aessere riassorbita in una dimensione spesso virtuale, è anche vero che essa continua a mantenereuna sua concretezza e una sua consistenza precise. Così come se è vero che le comunità umane e iloro singoli membri hanno bisogno di un surplus comunicativo per affermarsi e riconoscersi ai lorostessi occhi, è anche vero che continuano ad esistere molte altre pratiche che lavorano a questo. Insomma,la dimensione comunicativa non riassorbe in sé né esaurisce la dimensione sociale, o ancordi più la nostra natura umana. Al contrario: la dimensione comunicativa acquista peso e senso nellamisura in cui si innesta sul nostro essere uomini, e uomini appartenenti ad una comunità di uomini.Di qui appunto il bisogno di far ritornare “densa” la relazione che i medi ci propongono.Di nuovo, due passi possono esser utili. Il primo è riscoprire il senso <strong>del</strong>la cittadinanza. In un mondoglobalizzato – anche e soprattutto a causa <strong>del</strong>le reti mediali – la cittadinanza non si presenta piùcon i caratteri tradizionali. E nondimeno la percezione di appartenere alla medesima civitas, di essereuniti da un comune destino, di poter contribuire assieme ad una “vita buona” (e non solo di fronteggiarela “nuda vita” <strong>del</strong>le biopolitiche) mi pare un tratto ancora essenziale.22-24 aprile 2010 58


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeIl secondo passo è tener viso il senso <strong>del</strong>l’alterità. Le reti mediali tendono a costruire comunità fortementeomologhe, in cui all’immaginazione di sé non corrisponde una eguale immaginazione<strong>del</strong>l’altro. Ma lo scambio comunicativo può e deve essere pensato appunto come apertura all’altro.All’altro che si affianca al sé, orizzontalmente; e all’altro che ci trascende, verticalmente. Solo cosìsi esce da una autoriflessività che rende il dialogo in realtà un monologo mascherato.Insomma, rendere la relazione più autentica; renderla più densa. Sono questi, almeno mi pare, degliobbiettivi urgenti, per noi che siamo diventati ormai, e inevitabilmente, uomini mediali. Ora, lo ripeto,non è tornando indietro che riusciamo a realizzare questi obbiettivi: i media sono ormai parteessenziale – e talvolta ingombrante – <strong>del</strong> nostro paesaggio quotidiano; la nostra esperienza si dispiegalargamente ormai attraverso e grazie ad essi. Di qui la necessità di accettare alcuni postulati<strong>del</strong>la cultura mediale: sapere che si è anche perché ci si espone, e che si vive anche perché ci si sintonizza.Ma proprio perché immersi in questa realtà, noi possiamo e dobbiamo letteralmente vivificarla,con coraggio e con fantasia.I semi ci sono, come dimostra anche la ricerca presentata qui da Chiara Giaccardi; si tratta di farlisbocciare. E’ lungo questo cammino che potremmo presentarci – o almeno ambire a presentarci –sempre più come “testimoni <strong>digitali</strong>”, e cioè interlocutori che hanno qualcosa da dire e da dare – ancheperché hanno ricevuto – e insieme interlocutori che sanno operare con e sui media. Questa volontàe questa capacità di testimonianza ci porterà forse ad abbandonare qualche scelta con cui puresiamo convissuti. Penso all’idea di usare i media come semplici altoparlanti, quasi che parlare adalta voce ci porti ad essere più persuasivi; o penso all’idea di usare i media come scettri, quasi chebrandendoli come segno di potere dia per questo più forza. Nell’agorà – anche in quella mediatica –non serve imporsi. Serve piuttosto esporsi: offrire se stessi e la propria vita; offrire se stessi e lapropria capacità di ascolto. Serve appunto testimoniare il faticoso e apparentemente indecifrabilecammino in cui siamo impegnati. Facendolo anche in questo nostro mondo, sempre più orientato adiventare, ma non a ridursi, a world wide web.Scenari <strong>digitali</strong> e nuove forme di presenza <strong>del</strong>la ChiesaMichele Sorice,Docente di Sociologia <strong>del</strong>la Comunicazione e Media Research, LuissABSTRACTI nuovi scenari socio--‐culturali rappresentati dai social media costituiscono una formidabileevoluzione <strong>del</strong>le modalità di connessione e relazione. Sull'asse <strong>del</strong>la fiducia e su quello <strong>del</strong>lacredibilità si giocano non solo relazioni sociali e politiche ma anche nuove forme di aggregazione.La rete rappresenta uno spazio indefinito in cui è possibile costruire micro-spazi identitari (e quindifortemente definiti), talvolta disarticolati rispetto alle forme tradizionali <strong>del</strong>l'aggregazione sociale.In questo nuovo scenario convivono il rischio <strong>del</strong>la superficialità e <strong>del</strong>la frammentazione socialecon le opportunità derivanti dai nuovi protagonismi e dalla creazione di luoghi in cui sperimentarerelazioni significative.Se è vero che la Chiesa non può essere semplicemente un gruppo in un social network, è altrettantovero che essa non può sottrarsi al suo ruolo di essere sale e lievito in uno spazio che, per quantovirtuale, è popolato da avatar ma abitato da persone. Quale presenza <strong>del</strong>la Chiesa allora nel nuovoscenario digitale? Difendersi dal nuovo o sporcarsi le mani con esso?Un’anima cristiana per il mondo digitale: comunità, strumenti, animatoriCardinale Angelo Bagnasco- Arcivescovo di Genova -Presidente Conferenza Episcopale ItalianaA poche ore dal grande incontro con il Santo Padre Benedetto XVI, che già da ora ringraziamo peraver accolto l’invito ad essere presente domani con gli animatori <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong>la cultura<strong>del</strong>la Chiesa italiana, vorrei riprendere alcune questioni messe a fuoco in questo Convegno promossodall’Ufficio Comunicazione sociale <strong>del</strong>la nostra Conferenza Episcopale, sentendole in sintoniacon la domanda che Benedetto XVI poneva alla Chiesa italiana all’Assise ecclesiale di Verona:“Noi siamo eredi degli apostoli, di quei testimoni vittoriosi! Ma proprio da questa constatazione na-22-24 aprile 2010 59


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialesce la domanda: che ne è <strong>del</strong>la nostra fede? In che misura sappiamo noi oggi comunicarla?” (BenedettoXVI, Convegno ecclesiale di Verona, 19 ottobre 2006).L’impegno <strong>del</strong>la comprensione e <strong>del</strong>la progettazione <strong>del</strong>la presenza <strong>del</strong>la Chiesa nel mondo dei media<strong>digitali</strong> – al centro <strong>del</strong>le riflessioni di queste nostre giornate - è, come dice il Papa, “un ambitopastorale vasto e <strong>del</strong>icato”, richiede cioè di soffermarsi anzitutto sull’azione <strong>del</strong>la Chiesanell’attuale contesto per individuare forme attestabili di fe<strong>del</strong>tà al Vangelo oggi. Infatti, l’opera dievangelizzazione “non è mai – afferma Benedetto XVI – un semplice adattarsi alle culture, ma èsempre anche una purificazione, una taglio coraggioso che diviene maturazione e risanamento,un’apertura che consente di nascere a quella ‘creatura nuova’ (2Cor, 5,17; Gal 6,15) che è il frutto<strong>del</strong>lo Spirito Santo” (Benedetto XVI, Discorso ai partecipanti al IV Convegno Nazionale <strong>del</strong>laChiesa italiana, Verona, 19 ottobre 2006).Mi pare che siano almeno due gli ordini dei problemi che gli scenari definiti dai media <strong>digitali</strong> presentanoall’intelligenza credente e alla responsabilità progettuale <strong>del</strong>la nostra Chiesa.a) Anzitutto la questione di come la fede cristiana possa innervare le realtà che si vanno definendo,sia dal punto di vista <strong>del</strong>la costruzione <strong>del</strong>le simboliche culturali personali che dal punto di vista<strong>del</strong>le strutture sociali. Si tratta, in sostanza, <strong>del</strong>la prospettiva missionaria <strong>del</strong>l’animazione culturale.b) Inoltre il Convegno ha avviato una riflessione per comprendere le strade attraverso le quali risponderealla domanda di come si possa esprimere il Vangelo nella contemporaneità. E se la primaquestione fa i conti con la situazione di coloro che sono in ricerca, o nel dubbio, o sono non credenti,il problema circa le forme per ri-dire il Vangelo <strong>del</strong>la Risurrezione oggi attesta le buoni ragioni<strong>del</strong>la fede consolidandone l’iniziale appartenenza. Cercherò di offrire alcune riflessioni per indicarele strade possibili di un’anima cristiana per il mondo digitale.«Fino agli estremi confini <strong>del</strong>la terra» (Atti 1,8)“Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé[…]. Aiutate gli uomini a scoprire la vera stella che ci indica la strada:Gesù Cristo” (Benedetto XVI, La rivoluzione di Dio, San Paolo, Milano, 2005, p.74). Per megliocomprendere il significato <strong>del</strong>la nostra testimonianza di Gesù Cristo nel mondo dei media <strong>digitali</strong>,voglio partire dal libro degli Atti degli Apostoli, riferimento esplicito <strong>del</strong>l’autocoscienza <strong>del</strong>la Chiesa.E’ interessante notare come Luca, nel prologo degli Atti, dica di aver già inviato a Teofilo unprimo libro (cfr Atti 1,1). Luca ha dunque concepito la propria opera in due libri distinti, ma in fortissimacontinuità, un vero e proprio corpus testuale unitario. In questo senso dunque il suo primolibro, il Vangelo, potrebbe essere detto anche «Atti di Gesù», il secondo «Atti degli apostoli», in cuil’Autore ci racconta come i discepoli divenuti apostoli iniziano a portare la testimonianza <strong>del</strong> loroMaestro ovunque, “sino agli estremi confini <strong>del</strong>la terra”.Vorrei ancora richiamare alcune coordinate storiche e contestuali <strong>del</strong>lo scritto lucano che meglio cipermettono di comprendere la qualità <strong>del</strong>la testimonianza oggi. Nonostante il dibattito in seno aglistudi biblici, pare che la maggior parte degli studiosi dati l’opera lucana attorno agli anni Ottanta,ovvero a una decina di anni di distanza dal martirio di Paolo e dalla distruzione <strong>del</strong> Tempio di Gerusalemme.Ciò che resta decisivo per Luca, a proposito <strong>del</strong>la storia <strong>del</strong>la testimonianza cristiana avviatadal dono <strong>del</strong>lo Spirito Santo a Pentecoste, è proprio la vicenda <strong>del</strong>l’Apostolo <strong>del</strong>le genti. Lucaè affascinato osservatore <strong>del</strong> modo in cui la salvezza, che ha cominciato a “prendere corpo” nellavicenda <strong>del</strong> popolo di Israele, si è definitivamente incarnata nella storia di Gesù e nella testimonianza<strong>del</strong>la Chiesa.Ciò che unisce e lega il Vangelo di Luca e gli Atti è Gerusalemme, luogo dove trovano compimentole antiche promesse di Dio al suo popolo e dove inizia l’annuncio cristiano destinato a tutte le genti.Proprio da Gerusalemme prende il via la missione che porterà il Vangelo dai giudei ai pagani,dall’Asia all’Europa. Con l’evangelista Luca, uomo <strong>del</strong>la seconda generazione che non conobbeGesù personalmente, noi condividiamo la fede che si fonda sulla testimonianza di altri discepoli e22-24 aprile 2010 60


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeapostoli e siamo chiamati, a nostra volta, a farci testimoni <strong>del</strong>l’incontro salvifico con il Maestro.Anche noi oggi, come i primi discepoli, siamo chiamati a seguire Gesù, siamo mandati per continuarela sua missione in obbedienza al suo stile. Questo dunque significa che per la missione è decisivonon solo avere attenzione per i contenuti <strong>del</strong>l’annuncio evangelico, ma anche per la forma. “Gesùparla <strong>del</strong>l’annuncio <strong>del</strong> Regno di Dio come <strong>del</strong> vero scopo <strong>del</strong>la sua venuta nel mondo e il suoannuncio non è solo un ‘discorso’. Include, nel medesimo tempo, il suo stesso agire: i segni e i miracoliche compie indicano che il Regno viene nel mondo come realtà presente, che coincide ultimamentecon la sua stessa persona. In questo senso, è doveroso ricordare che parola e segno sonoindivisibili. La predicazione cristiana non proclama ‘parole’ ma la Parola, e l’annuncio coincide conla persona stessa di Cristo” (Benedetto XVI, Udienza Generale, 24 giugno 2009).La Rete, in un certo senso, rappresenta per noi gli “estremi confini <strong>del</strong>la terra” che il Signore Gesùdomanda di abitare in nome <strong>del</strong>la nostra responsabilità per il Vangelo. La nostra è anzitutto testimonianzadi Gesù, cioè capacità di rimandare, di rinviare alla trascendenza <strong>del</strong>la sua opera e <strong>del</strong>la suamissione.Se volessimo indicare uno dei molti tratti in cui Gesù stesso ha abitato la storia degli uomini, possiamofar riferimento all’itineranza. Egli, a differenza di Giovanni Battista, non ha semplicementeaccolto coloro che accorrevano a lui, ma lui stesso è andato là dove la gente viveva la propria quotidianità.L’itineranza di Gesù rende Dio vicino perché nessuno si senta dimenticato o abbandonatodal Padre. Il Figlio <strong>del</strong>l’uomo non ha dove posare il capo perché la benevolenza di Dio è davveroper tutti. E’ questo il motivo per cui il Maestro può frequentare i ricchi e i poveri, stare in compagniadei giusti dei peccatori: lui conosce i cuori, i bisogni e le nostalgie e attende tutti alla sua mensa.E’ ciò che viene chiesto a noi, animatori <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong>la cultura nella grande Retedigitale: continuare a far sì che nessuno si senta privato <strong>del</strong>la vicinanza di Dio e <strong>del</strong>la sua consolazioneche promette “io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine <strong>del</strong> mondo” (Mt. 28.20) La forma<strong>del</strong>l’annuncio <strong>del</strong> Regno implica, come per Gesù, essere continuamente in movimento, segna la necessitàdi andare e farsi ovunque presente; tale dinamismo nella Rete può divenire dissoluzione <strong>del</strong>sé, mentre guardando al Maestro è capacità di non farsi catturare da nessun luogo e da nessuna situazione.Infatti, come nessuno ha potuto pretendere di possedere Gesù al punto che anche i chiodi<strong>del</strong>la croce e la pietra <strong>del</strong> sepolcro non hanno potuto trattenerlo, così nessuno di noi deve correre ilrischio, nei nuovi scenari <strong>digitali</strong> e nelle rinnovate modalità di relazione, di farsi imbrigliare. La libertàcustodisce e nomina la trascendenza di Dio e fa sì che “i cristiani appartengono a una societànuova, verso la quale si trovano in cammino e che, nel loro pellegrinaggio, viene anticipata” (BenedettoXVI, Lettera Enciclica Spe Salvi, n. 4).“Far trasparire il cuore” (Benedetto XVI)L’urgenza e la qualità <strong>del</strong> vostro impegno è quello di “dare un’anima non solo al proprio impegnopastorale ma anche all’ininterrotto flusso comunicativo <strong>del</strong>la Rete” (Benedetto XVI, Messaggio perla XLIV Giornata Mondiale <strong>del</strong>le comunicazioni sociali, Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale:nuovi media al servizio <strong>del</strong>la Parola, 24 gennaio 2010). Cosa significa dare un’anima se nonrestituire densità alle relazioni leggere <strong>del</strong>la Rete?La Scrittura – da Abramo a Mosè fino ai profeti – rinnova la chiamata a lasciare, a partire, ad intraprendereun’itineranza, ad accogliere una promessa che pone in cammino. Dunque non ci si ritrovase non a prezzo di un esodo, di un’uscita. Come afferma Lévinas . “La gloria si glorifica attraversol’uscita <strong>del</strong> soggetto fuori dagli angoli bui <strong>del</strong> ‘quanto a sé’ che offrono – come i cespugli <strong>del</strong> paradisoin cui si nascondeva Adamo mentre udiva la voce <strong>del</strong>l’Eterno Dio (…) – una scappatoia allaconvocazione in cui si mette in moto la posizione <strong>del</strong>l’Io all’inizio e la possibilità stessa<strong>del</strong>l’origine” (E. Lévinas, Altrimenti che essere o aldilà <strong>del</strong>l’essenza, Jaca Book, Milno 1983, pp.181-182). Dunque “solo un io può rispondere all’ingiunzione di un volto” (E. Lévinas, Totalità èinfinito, Jaca Book, Milano 1980, p. 313): risposta esodica distante dall’itinerario di Ulisse e <strong>del</strong> tut-22-24 aprile 2010 61


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeto assimilabile al cammino di Abramo che vive un’“avventura assoluta in un’imprudenza primordiale”(E. Lévinas, Totalità è infinito, Jaca Book, Milano 1980, p. 313). Le riflessioni <strong>del</strong> filosofolituano ci avviano ad alcune note per quell’ umanesimo a cui tutti gli animatori <strong>del</strong>la comunicazionee <strong>del</strong>la cultura sono chiamati a contribuire, perché realmente la Rivelazione sia “la vera stella di o-rientamento per l’uomo che avanza tra i condizionamenti <strong>del</strong>la mentalità immanentista e le strettoiedi una logica tecnocratica” (Giovanni Paolo II, Lettera enciclica, Fides et ratio, n. 15).Infatti, andare oltre, partire da sé per dirigersi verso l’altro, significa uscire dalla mera ogica<strong>del</strong>l’accesso per entrare nella dinamica <strong>del</strong> dialogo, categoria che non esaurisce la propria pregnanzasemantica nel rapporto fra un io e un tu, ma esprime qualcosa che trascende entrambi gli interlocutori.Dia-logos, ovvero parola che sta in mezzo, parola a cui tutti possono accedere e che, proprioper questo, sfugge ai tentativi di impossessamento. Del resto è “dalla certezza <strong>del</strong>la propria identità,non artificialmente costruita ma gratuitamente e divinamente donata ed accolta” che nascono rinnovati,giorno dopo giorno, la forza, il coraggio e il fascino <strong>del</strong>la missione evangelizzatrice. Questo amotivo <strong>del</strong> fatto che essere cristiani nasce da un “incontro con un avvenimento, con una Persona,che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI, Lettera enciclicaDeus caritas est, n. 1).Cari animatori <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong>la cultura, alla smaterializzazione dei luoghi siete chiamatia far corrispondere l’intreccio stabile <strong>del</strong>le relazioni dense, a dare al mondo digitale un’anima cristiana.Un’anima cristiana per il mondo digitaleI media <strong>digitali</strong> creano le condizioni per nuove esperienze e per nuove modalità relazionali. Traqueste ultime e la vita reale sembra non esserci una contrapposizione, ma differenti forme di relazioniunificate dal medesimo soggetto. Essere testimoni <strong>digitali</strong> domanda di saper offrire qualcosa aquella parola che sta in mezzo, dia - logo, e che, proprio perché ci trascende, è senso <strong>del</strong>la nostra vita.La sfida, per la comunità cristiana, è quella di riuscire a sfuggire al consenso acritico a favore di undialogo costante; è quella di riuscire a usare i social media come prefigurazione di uno stile di maggiorecondivisione.Poiché “non possiamo certo disinteressarci <strong>del</strong>l’orientamento complessivo <strong>del</strong>la società a cui apparteniamo,<strong>del</strong>le tendenze che la animano e degli influssi positivi o negativi che essa esercita sullaformazione <strong>del</strong>le nuove generazioni” (Benedetto XVI, Discorso di apertura <strong>del</strong> Convegno <strong>del</strong>la Diocesidi Roma, 11 giugno 2007), la logica <strong>del</strong>la condivisione apre necessariamente anche alla riflessionecirca la responsabilità educativa e ad alcuni snodi etici.Infatti, “l’educazione e la formazione <strong>del</strong>la persona sono influenzate da quei messaggi e da quelclima diffuso che vengono veicolati dai grandi mezzi di comunicazione e che si ispirano ad unamentalità e cultura caratterizzate dal relativismo, dal consumismo e da una falsa e distruttiva esaltazione,o meglio profanazione, <strong>del</strong> corpo e <strong>del</strong>la sessualità” (Benedetto XVI, Discorso di apertura<strong>del</strong> Convegno <strong>del</strong>la Diocesi di Roma, 11 giugno 2007). L’impegno <strong>del</strong>la Chiesa e degli animatori<strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong>la cultura nella Rete assume i tratti <strong>del</strong>l’educativo, “servizio inestimabileverso il bene comune e specialmente verso i ragazzi e i giovani che si stanno formando e preparandoalla vita” (Benedetto XVI, Discorso di apertura <strong>del</strong> Convegno <strong>del</strong>la Diocesi di Roma, 11 giugno2007).Voi, animatori <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong>la cultura, siete chiamati ad integrare in modo corretto edefficace la missione educativa - che si avvale <strong>del</strong>le dinamiche tradizionali insostituibili - con le piùrecenti tecnologie mediatiche. E’ questo un compito da affrontare con intelligenza e fiducia, senzaassolutismi ingenui e acritici o demonizzazioni apocalittiche. Perché tale processo educativo possa22-24 aprile 2010 62


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialecompiersi, è necessario che coloro che operano in ambito educativo sappiano anzitutto essere lorostessi familiari dei media <strong>digitali</strong>, sperimentino cioè cosa significhi navigare, essere on line, abbandonandole retoriche unilaterali e ricorrenti.Proprio conoscendo, facendo esperienza <strong>del</strong>la Rete si potrà, come educatori, cogliere le potenzialitàdei vari contesti e avviare una prospettiva capace di integrare le differenti modalità di relazione coni media <strong>digitali</strong>. In questo, non possiamo infatti dimenticare che “l’autentico sviluppo <strong>del</strong>l’uomo riguardaunitariamente la totalità <strong>del</strong>la persona in ogni sua dimensione […]. Un tale sviluppo richiede,inoltre, una visione trascendente <strong>del</strong>la persona, ha bisogno di Dio: senza di Lui lo sviluppo oviene negato, o viene affidato unicamente alle mani <strong>del</strong>l’uomo, che cade nella presunzione<strong>del</strong>l’autosalvezza e finisce per promuovere uno sviluppo disumanizzato” (Benedetto XVI, Letteraenciclica Caritas in veritate, n. 11). Tutto ciò nella consapevolezza che “l’educazione non crea lapersona, ma la trova e la riconosce, ponendo una relazione […] di autentico servizio all’uomo e alledonne cui è destinata. Ma ciò è possibile solo se coloro che sono chiamati ad educare, possiedono ilsenso profondo <strong>del</strong>le loro irriducibilità e capacità di relazione, sapendo cogliere, anchenell’esperienza di educatori, ulteriori possibilità di crescita e maturazione per se stessi oltre che percoloro cui è destinato il loro impegno” (A. Bagnasco, Istanze educative e questione antropologica,Convegno sulla sfida educativa, Milano 18 marzo 2010).Dal punto di vista etico vorrei richiamare l’attenzione almeno su un problema: la Rete, pur essendoun’ occasione per ritessere la dinamica relazionale, se da una parte fa sì che gli interlocutori si avvicinino,dall’altra però essi rimangono facilmente estranei nella chiacchiera di superficie e nella curiositàsenza interesse. Nella Rete si assiste infatti ad una migrazione semantica dalla categoria diappartenenza a quella <strong>del</strong> consenso, al punto che temi <strong>del</strong>icati e decisivi, che coinvolgono le decisioni<strong>del</strong>le personali libertà, vengono tralasciati per non rischiare di infrangere l’irenica armonia digitale,alimentando così i rapporti con parole banali. Oggi sembra, dice il Papa, che “rimane comesuprema istanza solo il consenso <strong>del</strong>la maggioranza. Poi il consenso <strong>del</strong>la maggioranza divental’ultima parola alla quale dobbiamo obbedire e questo consenso – lo sappiamo dalla storia <strong>del</strong> secoloscorso – può essere anche un consenso nel male. Così vediamo che la cosiddetta autonomia nonlibera l’uomo”. (Benedetto XVI, Omelia pronunciata alla Messa per i Membri <strong>del</strong>la PontificiaCommissione Biblica, 15 aprile 2010). Il consenso <strong>del</strong>la maggioranza, come suprema istanza, avvianella Rete il processo <strong>del</strong>la spirale <strong>del</strong> silenzio per cui alcuni temi - come l’impegno personale e<strong>del</strong>la Chiesa per la vita, la famiglia, la libertà educativa, la giustizia sociale, la solidarietà nella fe<strong>del</strong>tàal Vangelo - sono destinati spesso all’oblio. E’ invece urgente “il recupero di un giudizio chiaroed inequivocabile sul primato assoluto <strong>del</strong>la grazia di Dio”, <strong>del</strong> suo amore che salva e che fonda,garantendola, la vera e incomprimibile dignità di ogni uomo (Benedetto XVI, Udienza Generale, 1luglio 2009).A chi si rivolge l’animazione culturale?Siete dunque chiamati a “essere presenti nel mondo digitale nella costante fe<strong>del</strong>tà al messaggio e-vangelico, per esercitare il proprio ruolo di animatori di comunità” (Benedetto XVI, Messaggio perla XLIV Giornata Mondiale <strong>del</strong>le comunicazioni sociali, Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale:nuovi media al servizio <strong>del</strong>la Parola, 16 maggio 2010). Al termine <strong>del</strong>la mia riflessione, permettetemiqualche ulteriore sottolineatura rispetto alle tre parole contenute nel sottotitolo <strong>del</strong>la miarelazione: comunità, strumenti, animatori.La comunità è certamente la comunità dei discepoli, di coloro che sono stati affascinatidall’incontro con il Maestro e a lui hanno affidato la propria libertà e il proprio cuore. La Rete connettedifferenti paradigmi esperienziali di relazione, che vanno mantenuti in equilibrio per evitare,da una parte, che la dimensione smaterializzata e disincarnata affondi e si radichi nelle patologietecnocratiche; e dall’altra che, per paura di correre rischi, la persona si privi <strong>del</strong>le possibili familiaritàcon le relazioni <strong>del</strong>la Rete. E’ stato detto in questi giorni che la Rete è luogo di convivialità piùche di comunicazione, un ambiente dove ci si accorda in maniera sintonica. Le relazioni <strong>del</strong>la Rete22-24 aprile 2010 63


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialemostrano la preferenziale strada <strong>del</strong>l’emozione vibrante piuttosto che la più faticosa via <strong>del</strong>la capacità<strong>del</strong>iberativa, <strong>del</strong>la parola che accomuna o differenzia. Ciò nonostante, la parola avviene comecostruzione di un luogo comune da abitare e questo ha sempre una rilevanza etica, in ordine, cioè,alla verità e al bene.Alcune relazioni in questa Assise hanno riflettuto anche sugli strumenti e i linguaggi dei media <strong>digitali</strong>,sulla necessità di integrare i contorni semantici di alcune categorie, sulla necessaria coestensionetra le modalità relazionali tradizionali e quelle on line. A tale proposito ho già ricordato comenon si deve cedere all’illusoria quanto errata idea di una evangelizzazione mediatica, sintesi frettolosae carica di fraintendimenti. Se ricordiamo, come dice il Santo Padre, che “come primo passo[…] dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale<strong>del</strong>la sua esistenza”, (Benedetto XVI, Presentazione degli auguri natalizi alla Curia, 21 dicembre2009), la Rete è, come ogni altro ambito di relazione, un luogo di evangelizzazione per annunciareCristo e per annunciare l’uomo. Ben sappiamo come questo sia il tempo di riscoprirel’alfabeto <strong>del</strong>l’umano, poiché le grandi categorie – come la persona, la vita e la morte, la famiglia el’amore – rischiano di diventare evanescenti e distorte nei loro significati, di essere risucchiate esfinite da un individualismo dominante ed esasperato. E’ nella persona viva di Gesù, vero Dio e verouomo, che l’umano risplende e si compie, ed è anche garantito di fronte ad ogni deformazioneculturale. Come ricordava il Concilio Vaticano II, incontrare Cristo, l’uomo perfetto, e accoglierlonella propria vita, introduce nella umanità vera e piena a cui tutti sono chiamati.In questo dinamismo missionario, di continua e aerea itineranza, voi, animatori <strong>del</strong>la comunicazionee <strong>del</strong>la cultura, siete protagonisti nella Chiesa. Siete chiamati ad essere sale di sapienza e lievito dicrescita. Sale di sapienza, che in concreto significa non essere conformisti e non cercare inutiliquanto sterili forme di consenso consolatorio; lievito di crescita, cioè soggetti attivi, terminali diconnessioni, attivatori di partecipazione gratuita e responsabile. La Rete non è fatta di confini, ma diponti. Così la comunità non può e non deve essere quella <strong>del</strong>le identità escludenti, ma quella<strong>del</strong>l’amore che include nella verità, e che continuamente impariamo da “colui che hanno trafitto”(Gv. 19,37). E’ guardando al volto di Cristo crocifisso e glorioso, infatti, che possiamo guardare almondo e abbracciarlo con il cuore di Dio che non ha confini.Vino nuovo in otri nuoviMons. Domenico Pompili -Sottosegretario e portavoce <strong>del</strong>la CEI1. Il nuovo <strong>del</strong> Vangelo e il vecchio <strong>del</strong>la comunicazionePaul Ricoeur scriveva che “solo interpretando i simboli possiamo credere”, dato che il simbolo èuna “immagine-verbo” che fa di noi ciò che esprime (Il simbolo dà a pensare, 2002:13). Il frammentodi Luca (5,33-39), appena risuonato in quest’Aula, invita a lasciarci trasformare da una immagineche è quasi una parabola concentrata, un effetto spot, tagliente ed ironico, efficace come sepronunciato oggi per la prima volta. Possiamo immaginare che gli interlocutori di Gesù abbianosorriso o siano stati spiazzati dalle sue parole. Cosa avverrebbe infatti in quella cantina di otri vecchi,con i cocci e l’intera annata perduta che schiuma per terra? Dietro questa immagine ad effettoc’è una convinzione che sfugge a colui che non vuole assaggiare nessuna novità e - dal momentoche ‘non vi è nulla di nuovo sotto il sole” - ritiene la sua bottiglia l’unico e miglior elisir che si possamai bere, in barba al frizzantino che traspira negli otri nuovi, giù in cantina. Ciò che gli sfugge èche per poter cogliere il nuovo bisogna far piazza pulita <strong>del</strong> vecchio.Anche nella comunicazione <strong>del</strong> Vangelo oggi c’è qualcosa di nuovo e qualcosa di vecchio. Il nuovoè, naturalmente, la buona notizia, spumeggiante e dirompente come un vino novello; il vecchio èparadossalmente la comunicazione, che è soggetta a innovazioni rapide e presto datate, a mutamentiche cominciamo a comprendere solo quando sono passati; come scriveva McLuhan, noi guardiamo22-24 aprile 2010 64


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialesempre i media nello specchietto retrovisore: “Di fronte a una situazione assolutamente nuova, tendiamosempre ad attaccarci agli oggetti, all’aroma <strong>del</strong> passato più prossimo.Guardiamo il presente in uno specchietto retrovisore. Arretriamo nel futuro” (Il medium è il massaggio,1981:75). Il digitale è solo il più recente, mutevole scenario che ci interpella, il futuro in cuirischiamo di arretrare. A chi come noi è chiamato ad assaggiare e far gustare la novità dentro questacondizione in perenne divenire è richiesta a prima vista una impossibile missione. Che però non puòessere elusa. Come uscirne?2. Gli otri nuovi: l’intenzionalità, l’interesse, l’impegno, la responsabilitàNon esiste una risposta a buon mercato, beninteso. Ci sono però una serie di condizioni preliminari,ineludibili per ciascuno di noi, senza le quali è impossibile attivare qualsiasi comunicazione umana,ivi compresa quella <strong>del</strong> Vangelo. La prima è certamente l’intenzionalità, cioè la consapevolezza diciò che ci sta a cuore e l’impegno a condividerlo, senza dissimulare la propria identità. Non si puòcomunicare senza volerlo, lasciando all’eventualità <strong>del</strong> caso l’emergere <strong>del</strong>le nostre convinzioni.Poi è fondamentale la capacità di avvicinare l’altro, cioè il nostro interlocutore. Se manca la disponibilitàad ascoltare chi ci sta di fronte, cioè realmente la voglia di entrare nel suo mondo e di ospitarlonel nostro, qualsiasi comunicazione è depotenziata, perché manca il terreno per allestire lecondizioni <strong>del</strong>l’incontro, al di là di differenze che restano altrimenti insormontabili.Ma per intendersi bisogna fare lo sforzo di imparare i linguaggi e le nuove forme di comunicazione,cioè entrare dentro il mondo per noi cifrato che altri abitano con naturalezza (pensiamo a quel chescrivono i nostri adolescenti su Facebook!) e cercare di acquisire le capacità per entrare in sintoniacon loro, per comprendere il mondo <strong>del</strong>le loro immagini e percezioni, raggiungendoli sul loro terreno.Accanto a queste condizioni di partenza c’è su tutte una qualità che occorre saper realizzare, ed è lacredibilità che ciascun testimone, anche in versione digitale, deve poter assicurare per garantire latenuta <strong>del</strong> proprio agire comunicativo. Essere credibili significa saper rispondere di sé, anzitutto. Lachiesa non fa testimonianza nei media (solo) perché ne possiede e gestisce alcuni. Per esserci occorreprima essere, giacché la responsabilità è una questione di ontologia prima che di etica <strong>del</strong>la comunicazione.Aver cura di sé significa per ciascun animatore <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la comunicazione,così come per qualsiasi professionista dei media, porre in prima istanza l’autenticità e l’affidabilità<strong>del</strong>la propria vita.Ma responsabilità è anche rispondere <strong>del</strong> contenuto <strong>del</strong>la comunicazione non solo ovviamente nelsenso <strong>del</strong>la sua integralità [integrità? Verità?], ma anche in quello <strong>del</strong>la sua comprensibilità, <strong>del</strong>lasua capacità di parlare agli uomini e alle donne di oggi. La sfida è di ampia portata. Essa ci chiamaad un linguaggio non meno razionale, ma certo meno intellettuale, meno argomentativo ed astratto,in favore di un linguaggio più simbolico e poetico che lasci emergere il legame profondo tra la fedee la vita vissuta; lo stesso linguaggio <strong>del</strong>le parabole di Gesù insomma. Un linguaggio capace, cioè,di risvegliare i sensi, di riaccendere le domande sulla vita, di mostrare un Dio dal volto umano, diproporre la fede in modo non esterno alle battaglie e alle speranze degli uomini.Quindi responsabilità significa rispondere <strong>del</strong>la relazione che la comunicazione instaura. E’ sorprendenteche nel marketing si usi target, cioè bersaglio, per designare il destinatario. Ben altro èevidentemente quello che si richiede dalla nostra comunicazione, che deve essere giocata per unverso sull’ascolto e per altro verso sulla trasparenza. Ma essa non può prescindere anche da un radicamentosul territorio, che è la parete mancante <strong>del</strong>la Rete, mentre è invece uno dei motivi di forza<strong>del</strong>la Chiesa. E’ a partire da questo radicamento, da questa concretezza relazionale e da questo intrecciodi vite e di storie che si può pensare a un’azione comunicativa capace di costruire unità, anzichéa singoli, sporadici interventi.22-24 aprile 2010 65


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeInfine responsabilità è rispondere degli effetti <strong>del</strong>l’agire comunicativo, cioè interrogarsi su quelloche accade e su quello che produce la nostra comunicazione. Il che significa non solo pianificare,ma anche verificare; non soltanto progettare a tavolino restyling accattivanti, ma anche monitorarepoi i risultati <strong>del</strong>le nostre innovazioni. La mancanza di questa capacità di analisi conduce spesso aripetere gli errori <strong>del</strong> passato e impedisce qualsiasi reale innovazione, giocando solo sul susseguirsidi superficiali novità.3. Un impegno per gli anni avvenire: la credibilità di ciascunoNegli anni avvenire siamo chiamati a stare dentro il mondo dei media, sempre più pervasivo ed i-stantaneo come internet, alla maniera di credenti capaci di rendere ragione, cioè responsabili, inconcreto credibili. Allora si realizza il detto <strong>del</strong> Maestro “vino nuovo in otri nuovi” che è un invito aritrovare l’eccedenza <strong>del</strong> Vangelo che sorpassa ogni nostra aspettativa dentro “otri nuovi”, cioè rinnovatida questa credibilità che non fa sconti a nessuno e tutti provoca a lasciarsi plasmare da quelloche si intende comunicare. Come efficacemente detto da Gregorio Magno:”Parlerò affinché la spada<strong>del</strong>la Parola di Dio anche per mezzo di me arrivi a trafiggere il cuore <strong>del</strong> prossimo. Parlerò affinchéla parola di Dio risuoni contro di me per mezzo di me (Omelie su Ezechiele, I,11, 5).La durezza di queste parole, che ci richiamano a una responsabilità cui non vogliamo sottrarci, nonci impedisce di esplorare il nuovo ambiente digitale con la leggerezza, la curiosità, l’abilità e la passione<strong>del</strong> surfer. “La sua percezione – scriveva McLuhan - offre un possibile stratagemma per comprenderela nostra situazione, il nostro gorgo configurato elettricamente” (1981:150). Il “gorgo” <strong>del</strong>lavelocità <strong>del</strong> cambiamento non ci inghiottirà, se sapremo interpretare la sua azione, guardando congli occhi e non in uno specchio: imparando, come il surfer, a stare sulla superficie <strong>del</strong>l’onda perchéconosciamo la profondità <strong>del</strong>le correnti…Udienza degli Operatori <strong>del</strong>la Comunicazione Sociale con il Santo Padre BenedettoXVI - Indirizzo di salutoPadre Santo, “Chi crede non è mai solo…Non siamo soli, siamo circondati, condotti e guidati dagliamici di Dio…Noi tutti siamo la comunità dei santi, noi battezzati, noi che viviamo <strong>del</strong> dono <strong>del</strong>lacarne e <strong>del</strong> sangue di Cristo, per mezzo <strong>del</strong> quale egli ci vuole trasformare e renderci simili a se medesimo”(dall’Omelia per l’inizio <strong>del</strong> ministero petrino, 24 aprile 2005). Era il 24 aprile di cinqueanni fa quando Lei, Santità, pronunciava queste parole, nel giorno in cui iniziava il ministero petrino.Padre Santo, oggi siamo qui anzitutto per esprimerLe dal profondo <strong>del</strong> cuore il nostro ringraziamentoper aver accettato la missione di essere nostro pastore e guida nel cammino attraverso questotempo. Con la sua parola e la sua testimonianza non ha smesso di dirci che “la Chiesa è viva”, che“la Chiesa è giovane” e che “porta in sé il futuro <strong>del</strong> mondo e perciò mostra anche a ciascuno di noila via verso il futuro” (ivi).Questa realtà rimane vera anche nei momenti in cui sperimentiamo la prova; quando – per riprenderele Sue stesse parole – “desidereremmo che Dio si mostrasse più forte (…), che sconfiggesse ilmale”. Non sono, infatti, proprio questi momenti di sofferenza quelli nei quali più entriamo nel mistero<strong>del</strong>la “pazienza di Dio”, con la quale Egli redime il mondo?Padre Santo, iniziando il ministero petrino Lei ci additava il buon Pastore, confermandoci che “tuttinoi siamo portati da Cristo”, il quale “nello stesso tempo ci invita a portarci l’un l’altro”. Sullosfondo, le sue parole davano voce alle tante forme di deserto in cui l’umanità si dibatte:”il deserto<strong>del</strong>la povertà, il deserto <strong>del</strong>la fame e <strong>del</strong>la sete, il deserto <strong>del</strong>l’abbandono, <strong>del</strong>la solitudine,<strong>del</strong>l’amore distrutto; il deserto <strong>del</strong>l’oscurità di Dio, <strong>del</strong>lo svuotamento <strong>del</strong>le anime senza più coscienza<strong>del</strong>la dignità e <strong>del</strong> cammino <strong>del</strong>l’uomo”(ivi).Padre Santo, oggi davanti a Lei sono riuniti gli operatori e gli animatori <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la comunicazione.In questi giorni abbiamo riflettuto sul grande potenziale costituito dalle tecnologie digita-22-24 aprile 2010 66


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeli e su come esse stiano modificando non soltanto il nostro modo di informarci e di comunicare, maanche e più in profondità le stesse relazioni tra le persone. Siamo consapevoli che aprono grandiopportunità anche per la diffusione <strong>del</strong>l’annuncio cristiano.Siamo qui con la disponibilità a nostra volta a non rimanere indifferenti davanti alle tante personeche oggi vivono nei deserti <strong>del</strong> mondo. Intendiamo valorizzare tutte le strade che il continente <strong>digitali</strong>offre per farci sempre più prossimi all’uomo; intendiamo, con la forza che ci viene dal Suo limpidoMagistero, portare avanti la missione di costruire ponti di comprensione e di comunione, perchécresca il dialogo e la pace nella società e “mostrare agli uomini <strong>del</strong> nostro tempo, all’umanitàsmarrita di oggi, che Dio è vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda” (dal Messaggio perla XLIV Giornata mondiale <strong>del</strong>le comunicazioni sociali). Grazie, Padre Santo, di quanto vorrà oradirci: accogliamo la Sua parola con gratitudine grande e devozione filiale.Angelo Card. Bagnasco Arcivescovo di GenovaPresidente <strong>del</strong>la Conferenza Episcopale ItalianaDiscorso <strong>del</strong> Santo PadreCari amici, sono lieto di questa occasione per incontrarvi e concludere il vostro <strong>convegno</strong>, dal titoloquanto mai evocativo: "Testimoni <strong>digitali</strong>. Volti e linguaggi nell’era crossmediale". Ringrazio ilPresidente <strong>del</strong>la Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, per le cordiali paroledi benvenuto, con le quali, ancora una volta, ha voluto esprimere l’affetto e la vicinanza <strong>del</strong>la Chiesache è in Italia al mio servizio apostolico. Nelle sue parole, Signor Cardinale, si rispecchia la fe<strong>del</strong>eadesione a Pietro di tutti i cattolici di questa amata Nazione e la stima di tanti uomini e donne a-nimati dal desiderio di cercare la verità.Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento <strong>del</strong>le frontiere <strong>del</strong>la comunicazione, realizzaun’inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l’interattività. La rete manifesta, dunque,una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovofossato: si parla, infatti, di digital divide. Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersiagli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno. Aumentano pure i pericolidi omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nellaflessione <strong>del</strong>lo spirito critico, nella verità ridotta al gioco <strong>del</strong>le opinioni, nelle molteplici forme didegrado e di umiliazione <strong>del</strong>l’intimità <strong>del</strong>la persona. Si assiste allora a un "inquinamento <strong>del</strong>lo spirito,quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, anon guardarci in faccia…" (Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009). Questo Convegno,invece, punta proprio a riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che possonofarci smarrire la percezione <strong>del</strong>la profondità <strong>del</strong>le persone e appiattirci sulla loro superficie:quando ciò accade, esse restano corpi senz’anima, oggetti di scambio e di consumo.Come è possibile, oggi, tornare ai volti? Ho cercato di indicarne la strada anche nella mia terza Enciclica.Essa passa per quella caritas in veritate, che rifulge nel volto di Cristo. L’amore nella veritàcostituisce "una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione"(n. 9). I media possono diventare fattori di umanizzazione "non solo quando, grazie allo sviluppotecnologico, offrono maggiori possibilità di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quandosono organizzati e orientati alla luce di un’immagine <strong>del</strong>la persona e <strong>del</strong> bene comune che ne rispettile valenze universali" (n. 73). Ciò richiede che "essi siano centrati sulla promozione <strong>del</strong>la dignità<strong>del</strong>le persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio<strong>del</strong>la verità, <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong>la fraternità naturale e soprannaturale" (ibid.). Solamente a tali condizioniil passaggio epocale che stiamo attraversando può rivelarsi ricco e fecondo di nuove opportunità.Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con lastessa passione che da duemila anni governa la barca <strong>del</strong>la Chiesa. Più che per le risorse tecniche,pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, checontribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo <strong>del</strong>la rete.22-24 aprile 2010 67


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeÈ questa la nostra missione, la missione irrinunciabile <strong>del</strong>la Chiesa: il compito di ogni credente cheopera nei media è quello di "spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità <strong>del</strong>contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini chevivono questo tempo «digitale» i segni necessari per riconoscere il Signore" (Messaggio per la 44 aGiornata mondiale <strong>del</strong>le comunicazioni sociali, 16 maggio 2010). Cari amici, anche nella rete sietechiamati acollocarvi come "animatori di comunità", attenti a "preparare cammini che conducano allaParola di Dio", e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti "sono sfiduciati ed hanno nelcuore desideri di assoluto e di verità non caduche" (ibid.). La rete potrà così diventare una sorta di"portico dei gentili", dove "fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto" (ibid.).Quali animatori <strong>del</strong>la cultura e <strong>del</strong>la comunicazione, voi siete segno vivo di quanto "i moderni mezzidi comunicazione siano entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali lecomunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, moltospesso, forme di dialogo a più vasto raggio" (ibid.). Le voci, in questo campo, in Italia non mancano:basti qui ricordare il quotidiano Avvenire, l’emittente televisiva TV2000, il circuito radiofonicoinBlu e l’agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete capillare dei settimanali diocesanie agli ormai numerosi siti internet di ispirazione cattolica. Esorto tutti i professionisti <strong>del</strong>lacomunicazione a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventatensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto. Vi aiuterà in questouna solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentatanel continuo dialogo con il Signore. Le Chiese particolari e gli istituti religiosi, dal canto loro, nonesitino a valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica<strong>del</strong> Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranzapersone e risorse. Il mondo <strong>del</strong>la comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazionepastorale.Mentre vi ringrazio <strong>del</strong> servizio che rendete alla Chiesa e quindi alla causa <strong>del</strong>l’uomo, vi esorto apercorrere, animati dal coraggio <strong>del</strong>lo Spirito Santo, le strade <strong>del</strong> continente digitale. La nostra fiducianon è acriticamente riposta in alcuno strumento <strong>del</strong>la tecnica. La nostra forza sta nell’essereChiesa, comunità credente, capace di testimoniare a tutti la perenne novità <strong>del</strong> Risorto, con una vitache fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in relazione, si dona con gratuità.Vi affido alla protezione di Maria Santissima e dei grandi Santi <strong>del</strong>la comunicazione e di cuore tuttivi benedico.AllegatiCulture e Fede - linguaggio, diversità e dialogo in una cultura digitaleMons. Paul TIGHE -Segretario <strong>del</strong> Pontificio Consiglio <strong>del</strong>le Comunicazioni SocialiGli ultimi venticinque anni hanno visto un tasso di sviluppo esponenziale nelle funzioni <strong>del</strong>le tecnologiedisponibili per supportare e facilitare la comunicazione umana. L’associazione di questi sviluppinella telefonia mobile, nelle tecnologie informatiche, nella fibra ottica e nei satelliti significache molti di noi portano ora con sé dispositivi che ci permettono di avere accesso istantaneo ad unastraordinaria gamma di informazioni, notizie ed opinioni provenienti da tutto il pianeta e che ci consentonodi comunicare tramite parole, testi o la condivisione di immagini con persone e istituzioniin ogni angolo <strong>del</strong> mondo. Questa rivoluzione nelle tecnologie di informazione e comunicazionenon può tuttavia essere intesa in termini puramente strumentali: non si tratta semplicemente di unaquestione di crescita <strong>del</strong>la comunicazione e <strong>del</strong>lo scambio di informazioni in termini di volume, velocità,efficienza ed accessibilità, ma piuttosto <strong>del</strong> fatto che stiamo assistendo anche a cambiamenti22-24 aprile 2010 68


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeconcomitanti nei modi in cui le persone utilizzano queste tecnologie per comunicare, imparare edinteragire – stiamo vivendo un cambiamento di paradigma nella cultura stessa <strong>del</strong>la comunicazione.Nel Messaggio per la Giornata Mondiale <strong>del</strong>le Comunicazioni Sociali <strong>del</strong> 2009, Papa Benedetto hasottolineato e celebrato“lo straordinario potenziale <strong>del</strong>le nuove tecnologie, se usate per favorire la comprensionee la solidarietà umana”. In particolare, ha osservato, “le nuove tecnologie hanno ancheaperto la strada al dialogo tra persone di differenti paesi, culture e religioni. La nuova a-rena digitale, il cosiddetto cyberspace, permette di incontrarsi e di conoscere i valori e letradizioni degli altri”.In questa riflessione, vorrei considerare alcune <strong>del</strong>le sfide a cui dobbiamo prestare attenzione se vogliamoche le nuove tecnologie realizzino la loro indubbia potenzialità per fornire una piattaformaper un’agorà o forum, pubblico globale in cui possa emergere una conversazione o un dialogo umanoveramente inclusivo. La mia preoccupazione principale non riguarda le limitazioni tecniche dasuperare, ma piuttosto le sfide culturali2; inizialmente, ci si concentrerà su quelle sfide che sonospecifiche <strong>del</strong>la cultura <strong>del</strong>la comunicazione digitale e questo dovrà essere seguito da un’analisi <strong>del</strong>lesfide che da molto tempo sono state identificate dai dibattiti sul linguaggio <strong>del</strong> forum pubblico.Vorrei tuttavia cominciare con una nota più positiva, sottolineando il fatto che uno dei maggiori“driver” <strong>del</strong>l’espansione dei nuovi media è stato l’uso di tali tecnologie da parte dei giovani in particolare,come strumenti di comunicazione personale. L’espansione straordinaria dei siti di socialnetworking testimonia il desiderio dei giovani di essere connessi, di formare amicizie e relazioniumane. Questo desiderio, nonostante la natura casuale e superficiale di gran parte <strong>del</strong>le attuali comunicazioni,è in ultima istanza un’espressione <strong>del</strong>la verità <strong>del</strong>la natura umana; il desiderio di essereconnessi è innato negli esseri umani. Dal punto di vista <strong>del</strong>la teologia, questo può essere presentatocome una manifestazione <strong>del</strong>la nostra natura creata; fatti ad immagine e somiglianza di Dio, unDio la cui essenza è relazionale, gli uomini desiderano l’unione reciproca e sono chiamati,nell’intimo <strong>del</strong> proprio essere, a diventare soggetti di amore. In un contesto digitale, il linguaggio diPapa Benedetto XVI durante la visita in Australia per la Giornata Mondiale <strong>del</strong>la Gioventù <strong>del</strong> 2008è particolarmente appropriato: amare è ciò che siamo programmati a fare, ciò per cui siamo statiprogettati dal nostro Creatore3. La verità di questa percezione di che cosa significhi essere umani –che tutte le persone, indipendentemente dal credo, dalla razza o dalla cultura, hanno la fondamentaledisposizione a cercare l’unità e la comprensione – ci offre un appoggio fondamentale per sperareche forme universali di dialogo possano recare frutti anche di fronte alle sfide di cui dobbiamoprendere atto.La più grande sfida nei confronti <strong>del</strong> dialogo è il relativismo, spesso inespresso, così prevalente nellacultura occidentale e il cui rifiuto è stato un elemento chiave <strong>del</strong> magistero di Papa Benedetto. Sela verità non esiste, se non esistono risposte giuste o sbagliate, allora il dialogo diventa privo di senso.E’ un impegno condiviso a cercare la verità, radicata nella convinzione <strong>del</strong>la suprema oggettività<strong>del</strong>la verità, che conferisce al dialogo e al dibattito umano il loro valore ultimo – altrimenti questidiventano esercizi di coercizione e manipolazione, in cui ciascuno cerca di affermare la propria visionesenza alcun riferimento alle istanze <strong>del</strong>la verità. L’accoglienza generalizzata e acritica deidogmi <strong>del</strong> relativismo trova particolare espressione nel mondo digitale, dove il volume stesso <strong>del</strong>leinformazioni e <strong>del</strong>le opinioni, in gran parte contraddittorie, può portare all’accettazione quasi rassegnatache è inutile parlare di verità e di oggettività. Di fronte a così tante asserzioni, argomentazionie contro-argomentazioni, è difficile decidere dove risiedano una vera autorità e competenza. Data ladubbia e spesso anonima provenienza di gran parte di ciò che compare nel cyberspazio, diventamolto facile diffondere le proprie opinioni per coloro che desiderano ingannare e manipolare. La filosofainglese Onora O’Neill ha evidenziato i gravi rischi sociali che ne conseguono: “Quando imedia sono fuorvianti o i lettori non sono in grado di valutare quello che essi riferiscono, le fonti<strong>del</strong> pubblico discorso e <strong>del</strong>la vita pubblica vengono contaminate. Le nuove tecnologie informatichepossono essere antiautoritarie, ma la cosa curiosa è che spesso sono utilizzate in modi che sono22-24 aprile 2010 69


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeanche antidemocratici. Esse mettono a rischio le nostre capacità di giudicare le affermazioni deglialtri e di fidarci”.Una risposta comune a questo fenomeno è che le persone si rivolgono soltanto a fonti di informazionee opinione che ritengono degne di fiducia. Questo è un approccio naturale e comprensibile,ma non privo di rischi. Spesso il giudizio sull’affidabilità <strong>del</strong>le fonti è radicato nella visione prestabilitache ciascuno ha <strong>del</strong> mondo e serve soltanto a confermare le persone nelle proprie opinioni, invecedi condurre ad una vera ricerca <strong>del</strong>la verità e <strong>del</strong>la comprensione.Nell’agone politico, c’è il rischio che le persone vogliano avere a che fare soltanto con i media chesanno essere a favore dei loro particolari punti di vista e non si esporranno a posizioni alternative oa un dibattito o una discussione ragionata. Questo creerà, a sua volta, forme di politica sempre piùpolarizzate e provocatorie, all’interno <strong>del</strong>le quali c’è poco spazio per le voci <strong>del</strong>la moderazione o<strong>del</strong> consenso. Un fenomeno analogo sta emergendo nel mondo dei media cattolici, specialmentenella blogosfera, dove spesso i protagonisti non ritengono sufficiente proporre i propri punti di vistae le proprie convinzioni, ma tendono anche ad attaccare le argomentazioni di chi non è d’accordocon loro, e perfino la persona. E’ naturale che i dibattiti sulla fede e sulla morale siano pieni di convinzionee di passione, ma c’è il rischio crescente che alcune forme di espressione stiano danneggiandol’unità <strong>del</strong>la Chiesa ed è inoltre improbabile che queste creino, nei curiosi e nelle persone inricerca, un desiderio di conoscere meglio la Chiesa e il suo messaggio.Una particolare sfida alla possibilità che i nuovi media servano da canali di dialogo e di crescita nellacomprensione reciproca tra le persone è che la straordinaria gamma di parole e di immagini generateda questi media, la velocità con cui esse sono prodotte e l’esistenza di un flusso costante di notiziee di informazioni significa che c’è molto poco spazio e tempo per un impegno ponderato e alungo termine e che esiste il reale pericolo che il nostro discorso culturale cada nella superficialità.L’arcivescovo americano Charles Chaput ha espresso succintamente questo rischio:“I media visivi ed elettronici, i media dominanti di oggi, hanno bisogno di un certo tipo dicontenuti. Essi prosperano nella brevità, nella velocità, nel cambiamento, nell’urgenza,nella varietà e nelle sensazioni. Ma il pensiero ha bisogno <strong>del</strong> contrario. Il pensiero ha bisognodi tempo. Ha bisogno di silenzio e <strong>del</strong>le capacità metodiche <strong>del</strong>la logica”.La graduale scomparsa <strong>del</strong> confine tra la fornitura di informazioni e l’intrattenimento testimonia econtribuisce ulteriormente alla scomparsa <strong>del</strong>l’appetito sociale per un serio impegno verso le questioniimportanti. L’attenzione dei media può anche essere molto volubile e una questione apparentementeurgente viene abbandonata non appena si pensa che un’altra possa più facilmente attirare ilpubblico. E’ soltanto un caso che la concentrazione <strong>del</strong>l’attenzione dei media sulle proteste in Irandopo le elezioni presidenziali di giugno e la conseguente presa di coscienza e preoccupazione <strong>del</strong>pubblico sembrino essersi esaurite quando è morto Michael Jackson? La necessità di lavorare sullemutevoli condizioni culturali trovando un “nuovo linguaggio” non è nuova per le persone di fede.Durante tutta la sua storia, la Chiesa ha imparato a proclamare il messaggio invariato di Cristo connuovi idiomi e in modi che rispondono a contesti culturali diversi.La Chiesa è “poliglotta” da molto tempo. Il nuovo linguaggio, che essa deve conoscere bene per poteressere presente nel nuovo forum di idee e di informazioni, affiancherà gli altri linguaggi <strong>del</strong>lasua tradizione. Coloro che si preoccupano che il linguaggio <strong>del</strong>la cultura digitale sia eccessivamentebanale o effimero per tradurre la profondità <strong>del</strong> messaggio cristiano devono tenere presente che nonsi tratta di un linguaggio che andrà a sostituire il linguaggio preciso <strong>del</strong> dogma e <strong>del</strong>la teologia o ilricco linguaggio <strong>del</strong>l’omiletica o <strong>del</strong>la liturgia, ma servirà invece a stabilire un punto iniziale di contattocon coloro che sono lontani dalla fede. Coloro che rispondono a questo contatto iniziale sarannoinvitati a forme più profonde di impegno, dove apprenderanno questi altri linguaggi nel loro contestoappropriato. Il Rabbino Capo <strong>del</strong>la Gran Bretagna, Jonathan Sacks, fa una distinzione istruttivatra il linguaggio <strong>del</strong> “broadcasting”, il cui scopo è quello di attirare il pubblico in generale, e22-24 aprile 2010 70


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialequello <strong>del</strong> “narrowcasting”, dove l’attenzione si concentra su coloro che già condividono la nostravisione <strong>del</strong> mondo.All’interno <strong>del</strong>la Chiesa, siamo abituati all’uso dei testi come nostra prima lingua di comunicazione.Molti siti web che sono stati sviluppati dalle varie istituzioni ecclesiastiche continuano ad utilizzarequel linguaggio. Sul web è possibile trovare tante meravigliose omelie, discorsi e articoli, ma non èchiaro se parlino ad un pubblico più giovane che conosce una lingua diversa; una lingua radicatanella convergenza tra testo, suono e immagini. Molti testi sono stati mo<strong>del</strong>lati per un pubblico particolare,un pubblico che è disposto a studiare e analizzare il testo, ma il loro interesse può essere limitatoper coloro che navigano e che si sposteranno molto rapidamente se la loro attenzione nonverrà immediatamente attirata. Le difficoltà si aggravano quando i testi reali utilizzano un vocabolarioe forme espressive che sono percepite come incomprensibili e poco attraenti anche da pubblicibendisposti, ma il problema più profondo riguarda appunto l’eccessiva fiducia nei testi.Nell’affrontare questa sfida, la Chiesa si ispirerà all’esempio di Cristo, che ha parlato ai Suoi contemporaneiper mezzo di parole, storie e parabole, ma anche attraverso i Suoi gesti e le Sue azioni.La Chiesa può inoltre ricorrere al suo ricco patrimonio di arte e musica. Come le immagini sulle vetrateistoriate <strong>del</strong>le cattedrali medievali parlavano a un pubblico analfabeta, così dobbiamo trovareforme espressive che siano appropriate per una generazione che è stata descritta come “postliterate”.L’apprendimento di qualsiasi lingua nuova comporta un elemento di rischio, con errori imbarazzantispesso caratteristici di tale apprendimento, ma l’alternativa è rischiare di parlare soltanto con noistessi. I nuovi media offrono indubbiamente alla Chiesa una maggiore opportunità di far conoscereil proprio insegnamento in modo più esteso e diretto a numeri sempre maggiori e al di là di qualsiasiconfine culturale e politico. Utilizzando le nuove tecnologie, è possibile raggiungere nuovi pubblici,invitarli a prendere in considerazione le grandi questioni che riguardano il significato e lo scopo<strong>del</strong>la vita e offrire loro la grande sapienza <strong>del</strong>la nostra tradizione. Dobbiamo capire meglio come ilnostro messaggio viene ascoltato e compreso dai vari pubblici. Siamo sempre, e giustamente, statiattenti al contenuto <strong>del</strong> nostro insegnamento; oggi dobbiamo essere più attenti al nostro pubblico oai vari pubblici a cui ci rivolgiamo, e capire le loro preoccupazioni e i loro interrogativi. Dobbiamocapire meglio e tenere conto dei contesti e degli ambienti in cui essi incontreranno il nostro messaggio.La comparsa di Internet come mezzo interattivo, in cui gli utenti cercano di agire da soggetti enon soltanto da consumatori, ci richiama a sviluppare forme più esplicitamente dialogiche di insegnamentoe presentazione.Nell’imparare a parlare i linguaggi dei nuovi media, i credenti stanno aprendo la strada non soltantoad un uso efficiente dei nuovi media come strumenti di evangelizzazione, ma anche alla promozionedi quella discussione e di quel dibattito universale necessari perché questi media realizzino lapropria potenzialità di servire il bene di tutti. Come ha osservato Papa Benedetto nella sua recentelettera enciclica sullo sviluppo umano integrale:“I mezzi di comunicazione sociale non favoriscono la libertà né globalizzano lo sviluppo ela democrazia per tutti, semplicemente perché moltiplicano le possibilità di interconnessionee di circolazione <strong>del</strong>le idee. Per raggiungere simili obiettivi bisogna che essi sianocentrati sulla promozione <strong>del</strong>la dignità <strong>del</strong>le persone e dei popoli, siano espressamente a-nimati dalla carità e siano posti al servizio <strong>del</strong>la verità, <strong>del</strong> bene e <strong>del</strong>la fraternità naturalee soprannaturale”I credenti devono portare le idee <strong>del</strong>la nostra fede all’interno <strong>del</strong> dibattito sulla dignità umana, maper essere efficace ciò deve essere fatto tramite un linguaggio che sia accessibile a coloro che noncondividono la nostra fede, ma sono disposti a condividere il nostro interesse per il bene <strong>del</strong>la comunitàumana. Una sfida, questa, non limitata alla sfera dei media <strong>digitali</strong>, ed un problema di cui laChiesa ha lunga esperienza. Nella nostra tradizione cattolica, siamo avvantaggiati dal fatto che moltidei nostri insegnamenti etici, in particolare, siano stati formulati all’interno <strong>del</strong>la tradizione <strong>del</strong>diritto morale naturale e siano radicati in un’antropologia che invita all’impegno tutti coloro che22-24 aprile 2010 71


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialecondividono la nostra convinzione sulla centralità <strong>del</strong>la ragione. Molti commentatori hanno parlato<strong>del</strong>la necessità che gli uomini di fede acquisiscano due linguaggi; un primo linguaggio <strong>del</strong>la cittadinanza,che permetta loro di impegnarsi con tutti gli altri nel forum pubblico, e un secondo linguaggio,che possa essere condiviso con coloro che appartengono alla stessa tradizione. Il primo linguaggioè spesso meno ricco <strong>del</strong> linguaggio <strong>del</strong>le nostre Scritture e <strong>del</strong>le nostre liturgie, ma permetteuna conversazione ininterrotta tra i vari componenti <strong>del</strong>la società. Come sostiene Jonathan Sacksnel contesto <strong>del</strong>la società britannica:“Mantenere vivo questo primo linguaggio comporta notevoli limitazioni per tutte le parti.Per i cristiani, significa permettere ad altre voci di partecipare alla conversazione. Per lepersone di altre religioni, significa riconciliarsi con una cultura nazionale. Per i laicisti,significa prendere atto <strong>del</strong>la forza di impegni che a loro devono sembrare irrazionali. Pertutti, significa accontentarsi di meno di quanto non cercheremmo di ottenere se tutti fosserouguali a noi, e perseguire qualcosa che vada oltre i nostri interessi puramente settoriali;in breve, il bene comune”.L’uso di questo primo linguaggio non deve essere confuso con la tendenza di alcuni laicisti ad e-scludere il linguaggio religioso o le idee <strong>del</strong>la fede religiosa dal forum pubblico, ma rappresentapiuttosto un equilibrio tra forme intolleranti di secolarismo e integralismo. Papa Benedetto ha toccatoquesto argomento:“La negazione <strong>del</strong> diritto a professare pubblicamente la propria religione e ad operareperché le verità <strong>del</strong>la fede informino di sé anche la vita pubblica comporta conseguenzenegative sul vero sviluppo. L'esclusione <strong>del</strong>la religione dall'ambito pubblico come, per altroverso, il fondamentalismo religioso, impediscono l'incontro tra le persone e la loro collaborazioneper il progresso <strong>del</strong>l'umanità. Nel laicismo e nel fondamentalismo si perde lapossibilità di un dialogo fecondo e di una proficua collaborazione tra la ragione e la federeligiosa. La ragione ha sempre bisogno di essere purificata dalla fede; questo vale ancheper la ragione politica, che non deve credersi onnipotente. A sua volta, la religione hasempre bisogno di venire purificata dalla ragione per mostrare il suo autentico volto u-mano. La rottura di questo dialogo comporta un costo molto gravoso per lo sviluppo<strong>del</strong>l'umanità”.La cultura digitale rappresenta un enorme ostacolo per coloro che desiderino utilizzare i nuovi mediaper parlare di significato e di verità, per condividere la propria fede e le proprie credenze. Nel1990, Papa Giovanni Paolo II aveva già identificato la particolare sfida nei confronti di coloro chedesiderano far conoscere il messaggio di Cristo. E’ inoltre necessario integrare quel messaggio nella“nuova cultura” creata dalle comunicazioni moderne. Si tratta di una questione complessa, in quantola “nuova cultura” nasce non soltanto da qualsiasi contenuto finisca per essere espresso, madall’esistenza stessa di nuovi modi di comunicare, attraverso nuovi linguaggi, nuove tecniche e unanuova psicologia. Per la Chiesa, la sfida è quella di trovare un linguaggio che sia idoneo a questonuovo forum, ma che non tradisca le profondità e le sfumature <strong>del</strong> messaggio che le è stato affidato.Per molti aspetti, il messaggio <strong>del</strong>la Chiesa è più radicalmente contro-culturale che mai – la Chiesaparla di verità in un ambiente in cui lo scetticismo è la norma, essa cerca di parlare a tutti in uncampo in cui l’attenzione è concentrata su mercati di nicchia e gruppi di interesse e invita le personeall’impegno in un mondo in cui regna la novità.Lettera aperta ai “bambini <strong>digitali</strong>”don Fortunato Di Noto parroco e presidente Associazione Meter onlus(www.associazionemeter.org)Cari Bambini, ho pensato di scrivervi questa lettera per comunicarvi che voi più piccoli (o, come vichiamano gli esperti “nuovi nati <strong>digitali</strong>”), sarete i nuovi annunciatori e portatori di Gesù nel web.Perché è proprio vero, e ne sono convinto: i bambini salveranno la bellezza <strong>del</strong> web e la vera comunicazione<strong>del</strong> Vangelo nell’era digitale. La Chiesa italiana (come spero vi abbiano comunicato lecatechiste e i vostri parroci), si sta preparando a vivere un momento di incontro a Roma dal 22 al 24aprile prossimi, che culminerà nell’udienza da Papa Benedetto XVI, dove si rivolgerà ai “testimoni22-24 aprile 2010 72


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmediale<strong>digitali</strong>”, cioè a tutti coloro che utilizzano i nuovi mezzi di comunicazione per annunciare il Vangeloall’uomo globalizzato. Si rifletterà insieme su come utilizzare bene tutti gli strumenti di navigazioneche la tecnologia ci offre, non solo per chattare (perdendo solo <strong>del</strong> tempo!) ma soprattutto, perlo studio e per la didattica, per la solidarietà e per l’annuncio <strong>del</strong>l’amico Gesù, il Figlio di Dio, chetutti voi (come noi) avete incontrato e al quale siete felici di appartenere. Chi di voi, come regalo<strong>del</strong>la Prima Comunione, non ha ricevuto un cellulare o un Computer o un iPod e non si è avventuratoa “navigare” ‐ una navigazione che preferiremmo fosse accompagnata dai genitori, con regoleben definite ‐? Forse, i genitori o i nonni hanno un po’ esagerato nel regalo, ma bisogna essere“trendy”, cioè alla moda, (un processo irreversibile!) e in esso vogliamo vedere il positivo e non soloil negativo. Comunque tanti di voi ormai hanno il cellulare e navigano su Internet (circa il 90%dei minori, solo in Europa). Si naviga e gioca, si scrive e studia, si guardano i film e leggono libri eriviste. Ci si incontra con gli amici, quelli veri (vi ricordate il detto “chi trova un amico, trova un tesoro”?,ma attenzione, capita spesso che su internet si facciano incontri di falsi amici che voglionofarvi <strong>del</strong> male), e se ne cercano tanti altri. Bellissima cosa: chi di noi non vorrebbe avere un amico,e in casi significativi qualche minore ha trovato anche la gioia di essere ascoltato nelle giornate diprofonda solitudine e amarezza.Internet è bello veramente! Su Internet si può incontrare anche Gesù, che parla attraverso la Paroladi Dio (chi di voi sa che esistono tanti siti adatti a questo?) oppure attraverso le pagine web <strong>del</strong>la tuaparrocchia, <strong>del</strong> tuo gruppo. Pensate a una chat solo per voi, fatta per incontrarvi e discutere <strong>del</strong>le“cose <strong>del</strong> Padre mio” (come ci dice Gesù stesso), o sui social network dove possiamo creare dei“gruppi per stare insieme”, e anche su Youtube per caricare dei filmati su <strong>del</strong>le attività di solidarietàe diffondere un messaggio di pace. Chi di voi, cari bambini, non ha un profilo su Facebook o nonmi sa tradurre queste faccine (linguaggio universale) chiamate anche emoticons ? Per dire che stopregando , oppure che ho incontrato il vescovo ed anche che ti voglio tanto bene .22-24 aprile 2010 73


Testimoni <strong>digitali</strong>Volti e linguaggi nell’era crossmedialeSono nuovi linguaggi: attraverso le immagini si comunica pensando e parlando di Lui, Gesù il Figlio diDio che è in mezzo a noi e ci parla attraverso i nuovi mezzi di comunicazione, e noi siamo suoitestimoni e annunciatori mediatici. Accadeva anche ai primi cristiani, i quali comunicavano attraversodei segni che rimandavano al significato <strong>del</strong>l’Eucarestia, e <strong>del</strong>la preghiera. E li incidevano dovunque:sui muri, nelle pergamene, nelle tombe e nelle case. Un segno che comunicava la bella notizia <strong>del</strong> Vangeloe che tutti comprendevano, anche i lontani e i non cristiani. Erano i segni nuovi che significavanoVerità per tutti gli uomini.Pensate al pesce che in greco si dice IXTHYC (ichtùs). Disposte verticalmente, le lettere di questa parolaformano un acròstico: Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr = Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore. Acròsticoè una parola greca che significa …. cercatela nel vocabolario online! Questo è un simbolo diffusodi Cristo, emblema e compendio <strong>del</strong>la fede cristiana.E pensate anche alla colomba, con il ramoscello d'olivo nel becco, simbolo <strong>del</strong>l'anima nella pace divina;o all'àncora, simbolo <strong>del</strong>la salvezza, <strong>del</strong>l'anima che ha felicementeraggiunto il porto <strong>del</strong>l'eternità.Faccine <strong>del</strong> 2° e 3° secolo dopo Cristo, che possiamo altrettanto chiamare“emoticons”, che rimandavano al senso <strong>del</strong>la vita, <strong>del</strong>la fede, <strong>del</strong>la resurrezione. Non solo una sempliceemozione:raccontavano la vita cristiana. Un vecchio e nuovo modo di comunicare tra i coetanei, tra voi bambini etra voi giovani, che spessonoi adulti non comprendiamo. Voi siete i primi ad essere coinvolti in questo nuovo e affascinantemondo digitale e noi adulti dobbiamo responsabilizzarci per aiutarvi ad incarnare, attraverso Internet,col vivere bene con gioia ed entusiasmo, l’essere di Gesù, che ha salvato l’uomo dal peccato e dallebrutture <strong>del</strong>la vita ed èvenuto a portarci non “eventi di sventura, ma di pace”, amicizia tra Dio, suo Padre, e gli uomini. Saràuna bella e nuova avventura essere “bambini che diffondono Gesù” nelle chat, attraverso un sito (magariquello <strong>del</strong>la parrocchia), ed anche attraverso un sms mattutino ai tuoi amici, non solo per dire“ciao”, ma per scrivere una frase <strong>del</strong> Vangelo di Gesù. I bambini <strong>digitali</strong> saranno i portatori di Gesù nelweb. Perché è proprio vero: i bambini salveranno la bellezza <strong>del</strong> web e la vera comunicazione <strong>del</strong>Vangelo. Non dimenticate mai di andare a Messa (in parrocchia), confessarvi (con il parroco e non online),pregare e vivere insieme realmente. Perché il reale non esclude il virtuale, e il virtuale ha più significatose parimenti giochiamo insieme al pallone, nel campetto <strong>del</strong>l’oratorio, e ci incontriamo nonfare una bella passeggiata guardando le stelle e il sole tramontare e sorgere.solo in webcam, ma nel Avola, 4 febbraio 201022-24 aprile 2010 74

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