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Scarica il quaderno - Vicenza Jazz

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Allonsanfàn<strong>il</strong> jazz di là dalle alpi2010QUINDICESIMA EDIZIONE


Quindici annidi NuoveConversazioni2Dopo quindici anni, “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”è più che una realtà consolidata: èun patrimonio della città e di tutto <strong>il</strong>territorio vicentino e veneto, oltreche un punto fermo nella geografia nazionale ed europea dei festivaldi primavera.Quando siamo partiti, nel ’96, pensavamo semplicemente di farequalcosa di diverso, se possib<strong>il</strong>e di significativo, qualcosa che incittà non c’era e che, secondo noi, la città avrebbe apprezzato.Certamente non pensavamo a quanta strada avremmo potutofare ma non vi è dubbio che quindici anni di festival sembrano oraaver dato ragione alle intuizioni di allora.La nostra idea si chiamò “New Conversations”, nuove conversazioni,nuovi modi di parlarsi, di incontrarsi, di confrontarsi: nel jazz,nella musica, nella società e con tutti quelli che avevano voglia dimettersi in gioco per ritrovarsi in una <strong>Vicenza</strong> nuova, se possib<strong>il</strong>epiù europea.Così, ancora una volta, anche quest’anno <strong>Vicenza</strong> uscirà di casa,per le strade e nelle piazze, per entrare nei teatri e nei locali, nellechiese e nei musei, nei cinema e ancora all’aperto. Il tutto, conuno scopo sostanzialmente semplice: guardarsi intorno, e dentrodi sé, grazie all’unico linguaggio che non ha bisogno di traduzioni,quello della musica.E di tutte le musiche, <strong>il</strong> jazz è quella che da sempre più di tutte hacercato nuovi incontri, senza <strong>il</strong> bisogno di traduttori, né di mediatori.Perché <strong>il</strong> jazz è comunque sinonimo di libertà.Francesca LazzariAssessore alla Cultura del Comune di <strong>Vicenza</strong>


Quindici sono fatti.Pensiamoal ventesimoIn quindici edizioni “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”ha visto passare per le vie dellacittà <strong>il</strong> miglior jazz del mondo: tantamusica (suonata, ascoltata, vista,letta, vissuta) e tanti solisti, gruppi, produzioni, ospitalità, tradizione,avanguardia, vecchi, giovani, studiosi, giornalisti, operatori,addetti ai lavori e migliaia di appassionati.È un punto d’arrivo? Sicuramente sì, ma è anche qualcosa dipiù. Nel ’96, quando cominciò l’avventura, dissi che questo progettoe questo sforzo potevano avere un senso se visti in unarco di almeno dieci anni. Il decennio è giunto nel 2005 e abbiamosubito r<strong>il</strong>anciato pensando al quindicesimo, quello che orastiamo consumando, quasi fosse una scelta naturale.Nel mezzo, sono cambiati gli scenari politici e quelli economicie sociali, persino su scala internazionale, ma <strong>il</strong> festival si ècomunque rafforzato, come deve essere per ciò che fa oramaiparte della quotidianità: insomma, “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” lo si può certamentediscutere, ma solo per migliorarlo.D’altra parte, vi sono dei dati oggettivi che non lasciano dubbi:non vi sono altre città, in Italia e in Europa, che non siano metropolio di grosso impatto turistico-estivo, capaci come <strong>Vicenza</strong> diproporre un festival di dieci giorni consecutivi. Non dimentichiamocidunque che <strong>il</strong> jazz fest è qualcosa di grande, frutto di precisescelte consapevoli. Quelle che ci porteranno a vivere“<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” per tanto tempo ancora.3Luca Trivellatoper <strong>il</strong> main sponsor Trivellato Merces Benz


4PROGRAMMAPrologoKurt Rosenwinkel TrioKurt Rosenwinkel (chitarra); Eric Revis (basso); Rodney Green (batteria)Gaudino-Dal Bo-SoldanoFrancesco Gaudino (tromba); Nicola Dal Bo (organo);Oreste Soldano (batteria)Marco Palmieri TrioMarco Palmieri (chitarra); Michele Todescato (contrabbasso);Sandro Montanari (batteria)Quartetto MaledettoNicola Andretta (voce recitante); Giulio Campagnolo (piano);Michele Todescato (contrabbasso); Remo Straforini (batteria)Sidol Brass-QuintetElisabetta Buson, Domenico De Nichelo (tromba); Nicola Fiorio(trombone); Thomas Riato (basso tuba); Massimo Cogo (batteria)Chuck Israels European GroupChuck Israels (contrabbasso); Paolo Birro (piano);Alex Hagen (chitarra); Alfred Kramer (batteria)Richard Galliano & stringscon l’Orchestra del Teatro Olimpico di <strong>Vicenza</strong>dir. Giancarlo De Lorenzo - Richard Galliano (fisarmonica)Enrico Balboni, Vinicio Marchiori, Monica Zampieri, Nicola Possente,Francesca Crismani (violini I); Michele Bettinelli, Franco Turra,Nadia Dal Belin, Maria Rosa Cannistraci, Dora Serafin (violini II);Michele Sguotti, Mariano Doria, Marina Nardo, Daniela Gaidano (viole);Gionata Brunelli, Anna Chiamba, Annalisa Petrella (violoncelli);Daniela Georgieva (contrabbasso); Diedier Bellon (percussioni);Massimo Barbieri (pianoforte, tastiere); Stefania Rizzo (arpa);Giancarlo De Lorenzo (direttore)Nelson Faria Trio feat. Gaetano Partip<strong>il</strong>oNelson Faria (chitarra); Alfredo Paixao (basso e voce);Reinaldo Santiago (percussioni); Gaetano Partip<strong>il</strong>o (sax)Nicky Nicolai con Stefano Di BattistaNicky Nicolai (voce); Stefano Di Battista (sax tenore e soprano);Valentino Corvino (violino e live electronics);Roberto Tarenzi (piano); Dario Rosciglione (contrabbasso);Marcello Di Leonardo (batteria)Les Manouches BohémiensFederico Zaltron (violino); Michele Prontera (chitarra);Nicolò Apolloni (chitarra); Marco Penzo (contrabbasso)a seguire Djset con <strong>il</strong> dj <strong>Jazz</strong>renéGiovedì 6 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Smeraldo - ore 19Moplen - ore 19.30Degusto - ore 21Il Borsa Caffè - ore 21Venerdì 7 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Astra - ore 19


PROGRAMMAEEnoteca Malvasia - ore 19.30Ostaria Marosticana - ore 21Sartea - ore 21.30My-a - ore 21.30Entertainer Wind 4et + GuestRossana Carraro (voce); Corrado Vezzaro (sax soprano);Claudio Barbiero (sax alto); Matteo Riato (sax tenore);Enrico Riva (sax baritono); Claudio Preato (basso);Claudio Marchetti (batteria)MaukNicola Fazzini (sax alto); Andrea Massaria (chitarra);Alessandro Fedrigo (basso acustico); Jimmy Weinstein (batteria)Double Sextet Workshop condotto da Alex SipiaginSwing Out 5etMassimo De Mari (voce); Daniele Calore (sax);Alessandro Lucato (piano); Damiano Parolini (basso);Alessandro Montanari (batteria)Sabato 8 MAGGIOConcerti per le vie delle città - dalle 16a cura della Confcommercio di <strong>Vicenza</strong>Corso SS. Felice e FortunatoPiazza CastelloPiazza MatteottiPalazzo Leoni Montanari - ore 17Piazza dei Signori - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30New Project 4et + Diego FerrarinGianluca Carollo (tromba); Diego Ferrarin (chitarra);Giuliano Pastore (tastiere,synt);Davide Pezzin (basso, contrabbasso); Davide Devito (batteria)Swing Out 5tetMassimo De Mari (voce); Daniele Calore (sax);Alessandro Lucato (piano); Damiano Parolini (basso);Alessandro Montanari (batteria)Gabriele Bolcato 4et + Andrea PimazzoniAndrea Pimazzoni (sax); Gabriele Bolcato (tromba);Beppe Guizzardi (piano); Nicola Ferrarin (contrabbasso);Adelino Zanini (batteria)Lezione-concertoAndrea Bacchetti (pianoforte) con Michele Mannucci (giornalista)IncognitoJean-Paul "Bluey" Maunick (leader, chitarra); Matt Cooper (tastiere);Francis Hylton (basso); Pete Biggin (batteria); Daniel Carpenter(tromba); Simon W<strong>il</strong>lescroft (sax); Dave W<strong>il</strong>liamson (trombone);Vanessa Haynes, Joy~Rose, Tony Momrelle (voci)Francesco Cafiso "Island Blue Quartet”+ Stefano BagnoliFrancesco Cafiso (sax alto); Dino Rubino (tromba);Giovanni Mazzarino (piano); Rosario Bonaccorso (contrabbasso);Stefano Bagnoli (batteria)5


PROGRAMMA6NdjaKass FallMaguette Gueye (voce, percussioni); Sidi Mbaye (percussioni);Michele Manzo (chitarra); Marc Abrams (contrabbasso)A seguire Djset con <strong>il</strong> dj Loba-loBeppe Calamosca & FriendsBeppe Calamosca (pianoforte); Gigi Gambarotto (voce);Edoardo Brunello (sax tenore);Andrea Bev<strong>il</strong>acqua (basso elettrico); Mattia Calamosca (batteria)Les Manouches BohémiensFederico Zaltron (violino); Michele Prontera (chitarra);Nicolò Apolloni (chitarra); Marco Penzo (contrabbasso)BifunkChristian Stanchina, Alessio Tasin, Arnold Lunger (trombe);Stefano Menato (sax contralto); Fiorenzo Zeni,Matteo Cuzzolin (sax tenore); Giorgio Beberi,Marco Pisoni (sax baritono); Hannes Petermair (susaphone);Gigi Grata, Hannes Mock (tromboni); Roland Gruber (tuba);Bernhard Stauder, Claudio Ischia, Luca Merlini (percussioni)Sauro’s BandFiorenzo Martini (tromba); Sergio Gonzo (tromba);Marco Ronzani (sax soprano); Roberto Beraldo (sax contralto);Mauro Ziroldi (sax tenore); Carlo Salin (sax baritono);Luca Moresco (trombone, tuba); Mauro Carollo (trombone);Glauco Benedetti (tuba); Giulio Faedo (batteria)Les Manouches BohémiensFederico Zaltron (violino); Michele Prontera (chitarra);Nicolò Apolloni (chitarra); Marco Penzo (contrabbasso)Scledum <strong>Jazz</strong> BandMarco Carollo, Diego Fantinelli, Gians<strong>il</strong>vio Bertacche, Michele Mura,Dario Coppello, (sax); Michele Zamunaro, Alessandro Rizzi, ChristianCarlassara, Remigio Cocco, Patrizia Pozzan, (trombone);Davide Romare, Berardo Da Schio, S<strong>il</strong>via Morbiato,Emanuele Zampieri, Paolo Dalla Vecchia (tromba); Lorenzo Orsini,Francesco Balasso, Giacomo Valente, Elisa Zappata, (ritmica);Claudia Scapolo, (voce); Tranqu<strong>il</strong>lo Forza (direttore)Jelly Rolls BandSergio Gonzo (tromba e flicorno); Fìorenzo Martini (tromba); MarcoRonzani (sax soprano); Bobo Beraldo (sax contralto, clarinetto basso);Marco Bressan (sax tenore); Luca Moresco (trombone, tuba);Giovanni Carollo, Andrea Miotello (chitarra elettrica, synth);Federico Valdemarca (contrabbasso e basso elettrico);Giulio Faedo (batteria)Bar Astra - ore 19EOstaria Marosticana - ore 21Sartea - ore 21.30Domenica 9 MAGGIOConcerti per le vie delle città:piazza Matteotti - ore 16piazza Castello - ore 16Palazzo Trissino - ore 17.30Giardini Salvi - ore 16.30piazza Matteotti - ore 18


Concerti nei palazzi antichi:EPalazzo Leoni Montanari - ore 17Museo Diocesano - ore 18Teatro Comunale - ore 21PROGRAMMARenaud Garcia-Fons TrioRenaud Garcia-Fons (contrabbasso a 5 corde);Kiko Ruiz (chitarra flamenco); Rollando Pascal (batteria, percussioni)Maalouf-DuranteIbrahim Maalouf (tromba) con Mauro Durante (tamburello, violino)Duo Joshua Redman & Brad MehldauJoshua Redman (sax tenore); Brad Mehldau (pianoforte)Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astraore 15-1616-17.3017.30-18.3018.30-19.45ore 21ore 22ore 24Enoteca Malvasia - ore 18Bar Astra - ore 19Opera food & drinks - ore 20.30Il Borsa Caffè - ore 21Sartea - ore 21.30Thelonious School BandsFrancesca Bertazzo-Elisabeth Geel-Alessia Obino+ Thelonious Vocal EnsembleMichele Polga-Gianluca Carollo 5et<strong>Jazz</strong> <strong>Vicenza</strong> Orkestra feat. Alex SipiaginThelonious 20° Anniversary Band Monk ProjectMichele Calgaro (chitarra); Alex Sipiagin (tromba, flicorno);Robert Bonisolo (sax); Ettore Martin (sax);Beppe Calamosca (trombone); Lorenzo Calgaro (contrabbasso);Mauro Beggio (batteria)The Rolling Stones ProjectBernard Fowler (vocals); Darryl Jones (basso);Michael Davis (trombone); Tim Ries (sax e piano);Ben Monder (chitarra); Elemer Balazs (batteria)Open JamCherry's <strong>Jazz</strong> QuintetCherry Laxamana (voce); Beppe Corazza (sax);Mauro Facchinetti (chitarra); Federico P<strong>il</strong>astro (contrabbasso);Antonio Flores (batteria)Carlo Atti QuartetCarlo Atti (sax); Michele Manzo (chitarra);Marc Abrams (contrabbasso); Giancarlo Bianchetti (batteria)Irene Jalenti QuintetIrene Jalenti (voce); Eric Cisbani (batteria);Riccardo Bertuzzi (chitarra); Antonio Gallucci (sax);Luca Peruzzi (contrabbasso)AreazioneAlan Bedin (voce, Steel Percussion);F<strong>il</strong>ippo Rinaldi (basso elettrico, contrabbasso);Cristiano Fracaro (piano elettrico, tastiere);Daniele Sartori (chitarra); Massimo Tuzza (batteria, percussioni)Blues in Different FormPaolo Mele (voce narrante,armonica); Andrea Tadiotto (chitarre);Marco Matteuzzi (voce, chitarra acustica, armonica, kazoo);Stefano Faresin (basso); Massimo Marcante (batteria)7


8PROGRAMMAMcCoy Tyner QuartetMcCoy Tyner (pianoforte); Gary Bartz (sax);Gerald Cannon (contrabbasso); Eric Kamau Gravatt (batteria)Kjærgaard- Street- Cyr<strong>il</strong>leSøren Kjærgaard (piano); Ben Street (contrabbasso); Andrew Cyr<strong>il</strong>le (batteria)Jerome Sabbagh Quartet feat. Ben MonderJerome Sabbagh (sax); Ben Monder (chitarra);Joe Martin (contrabbasso); Jochen Rueckert (batteria)Hommage a Serge GainsbourgKicca (voce); Oscar Marchioni (Hammond); Tommaso Cappellato (batteria)Gianluca Carollo QuartetGianluca Carollo (tromba); Giuliano Pastore (tastiere, synt);Davide Pezzin (basso, contrabbasso); Davide Devito (batteria)La Brigata Del CantautoreSabrina Turri (voce); Mirco Maistro (fisarmonica);Andrea Neresini (chitarra); Simone Piccoli (pianoforte)Gonzalo Rubalcaba (piano)Roy Haynes Fountain of Youth BandRoy Haynes (batteria); Martin Bejerano (pianoforte);Jaleel Shaw (sax); David Wong (contrabbasso)Kjærgaard- Street- Cyr<strong>il</strong>leGiovanni Falzone Quartet Around Jimi HendrixGiovanni Falzone (tromba); Valerio Scrignoli (chitarra); MicheleTacchi (basso); Riccardo Tosi (batteria)Oscar Marchioni TrioOscar Marchioni (hammond); Lino Brotto (chitarra);Tommaso Cappellato (batteria)Totally FreeMichele Polga (sax, live electronic);Dj Butch (synth, program. sampler); Massimo Tuzza (percussioni)M.O.F. QuintetF<strong>il</strong>ippo Vignato (trombone); Manuel Trabucco (sax alto);Frank Martino (chitarra, live electronic);Stefano Dallaporta (basso elettrico); Diego Pozzan (batteria)Regno di SchienaSabrina Turri (voce); Simone Piccoli (piano); Alberto De Rossi (chitarra);Davide Pezzin (basso); Davide Devito (batteria)ELunedì 10 MAGGIOTeatro Comunale - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Astra - ore 19Sartea - ore 21.30Julien - ore 21.30Martedì 11 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Astra - ore 19Il Borsa Caffè - ore 21Sartea - ore 21.30Julien - ore 21.30


PROGRAMMAMercoledì 12 MAGGIOETeatro Comunale - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Astra - ore 19House Of Blues - ore 20Pestello - ore 21Sartea - ore 21Il Borsa Caffè - ore 21Opera food & drinks - ore 21Julien - ore 21.30Enoteca Malvasia - ore 21.30Roberto Gatto carte blanche (batteria)Roberto Gatto Quintet “Tribute to Shelly Manne”con Marco Tamburini (tromba); Luca Mannutza (pianoforte);Max Ionata (sassofoni); Giuseppe Bassi (contrabbasso)Duo con Dan<strong>il</strong>o Rea (pianoforte)Roberto Gatto I-<strong>Jazz</strong> Ensemble 2010con Gaetano Partip<strong>il</strong>o (sax alto); Max Ionata (sax tenore);Giovanni Falzone (tromba); Roberto Rossi (trombone);Alessandro Lanzoni (pianoforte); Battista Lena (chitarra);Dario Deidda (contrabbasso)Kjærgaard- Street- Cyr<strong>il</strong>leBenny Golson meets Massimo Faraò TrioBenny Golson (sax); Massimo Faraò (piano);Carmelo Leotta (contrabbasso); Carmen Intorre (batteria)Quartetto MaledettoNicola Andretta (voce recitante); Giulio Campagnolo (piano);Michele Todescato (contrabbasso); Remo Straforini (batteria)Rhythm WaveGigi Gambarotto (voce); Elisa Balzarini (voce e cori);Paola Bonato (voce e cori); Gastone Bortoloso (tromba);Beppe Calamosca (trombone, piano); Mauro Baldassarre (sax);Edo Bruni (sax); Stefano Olivato (basso); Davide Ragazzoni (batteria);special guest Paolo Mele (voce, armonica)Elisabeth Geel & Toni MorettiElisabeth Geel (voce, chitarra); Toni Moretti (contrabbasso)Kicca & IntrigoKicca (voce); Oscar Marchioni (hammond); Lino Brotto, Nicola Tamiozzo(chitarra); F<strong>il</strong>ippo Rinaldi (basso); Tommaso Cappellato (batteria)Gio’s GarageGiovanni Clemente (chitarra); Andrea Marrama (basso);Andrea Comparin (batteria)Luma Heloisa QuartetLuma (voce); Dario "Cico" Zennaro (chitarra); Luca Peruzzi (basso);Francesco Casale (batteria)Tribossa + FasinoSabrina Turri (voce); Lele Sartori (chitarra);Massimo Tuzza (percussioni); Lucio Enrico Fasino (basso)Lucio Paggiaro <strong>Jazz</strong> 4etLucio Paggiaro (piano); Franco Lion (contrabbasso);Matteo Scalchi (chitarra); Stefano Picello (batteria)9


PROGRAMMA10“Una serata col jazz francese”Bosso-Laurent-Texier-Romano "Complete Communion”Aldo Romano (batteria); Fabrizio Bosso (tromba);Géraldine Laurent (sax); Henri Texier (contrabbasso)Barbara Casini "Formidable!"Hommage à Charles TrenetBarbara Casini (voce); Fabrizio Bosso (tromba);Pietro Lussu (pianoforte); Ares Tavolazzi (contrabbasso)Kjærgaard- Street- Cyr<strong>il</strong>leDonny McCaslin TrioDonny McCaslin (sax tenore); Scott Colley (contrabbasso);Antonio Sanchez (batteria)Nesso G.Michele Polga (sax); Dan<strong>il</strong>o Gallo (contrabbasso);Tommaso Cappellato (batteria)<strong>Jazz</strong> ClanGianfranco Barbieri (sax); Enzo Gorgoglione (chitarra);Nicola Ceron (chitarra); Alberto Degioanni (basso);Adriano Ferracin (batteria)Paesani-Evangelista-Cappellato + GuestsLorenzo Paesani (piano elettrico);Gabriele Evangelista (contrabbasso);Tommaso Cappellato (batteria)G.I.T. BoxBeppe Corazza (sax tenore e flauto); Andrea Miotello (chitarra);Federico Valdemarca (contrabbasso); Marco Carlesso (batteria)Honolulu Blues BandAnna Ambrosini (voce); Antonio Cunico (armonica, voce);Anselmo Dal Lago (chitarra); Paolo Vicari (basso);Carlo Bedin (batteria)Les Manouches Bohemiens + GuestFederico Zaltron (violino); Michele Prontera (chitarra);Nicolò Apolloni (chitarra); Marco Penzo (contrabbasso)Kyle Gregory & Francesco CartaKyle Gregory (tromba); Francesco Carta (pianoforte)Note SconosciuteSabrina Turri (voce); Lele Sartori (chitarra);Simone Piccoli (pianoforte); Enrico Santangelo (batteria)Giovedì 13 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Astra - ore 19Degusto - ore 21Bar Smeraldo - ore 21Ostaria Marosticana - ore 21Sartea - ore 21Il Borsa Caffè - ore 21Pestello - ore 21Julien - ore 21.30


PROGRAMMAVenerdì 14 MAGGIOTeatro Comunale - ore 21Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Scuola elementare “Zanella” - ore 11Galleria d’Arte Liberismo - ore 18.30Bar Astra - ore 19Magazzino del Caffè - ore 19Moplen - ore 19.30Da Gustò - ore 20.30Ostaria Marosticana - ore 21Pestello - ore 21Sartea - ore 21Duo Dan<strong>il</strong>o Rea & Paolo Damiani + Pietro TonoloDan<strong>il</strong>o Rea (pianoforte); Paolo Damiani (violoncello, effetti elettronici);Pietro Tonolo (sax tenore e soprano)Rita Marcotulli “La femme d’à côté” - Hommage à Truffautconcerto multimediale ispirato al f<strong>il</strong>m “La signora della porta accanto"Rita Marcotulli (pianoforte e tastiere); Daniele Tittarelli (sax);Roberto Gatto (batteria); Michel Benita (contrabbasso);Aurora Barbatelli (arpa celtica); Luciano Biondini (fisarmonica);Maria Teresa De Vito (regia)Kjærgaard- Street- Cyr<strong>il</strong>leEli Degibri Quartet feat. Aaron GoldbergAaron Goldberg (piano); Eli Degibri (sax); Obed Calvaire (batteria);Barak Mori (basso)Les Manouches BohemiensFederico Zaltron (violino); Michele Prontera (chitarra);Nicolò Apolloni (chitarra); Marco Penzo (contrabbasso)Una morte trendyPaolo Mele (performer, armonica); Marco Matteuzzi (chitarra acustica,armonica); Massimo Roma (piano, tastiere)Fazzini-Alfonso-Conte-CanevaliNicola Fazzini (sax); Matteo Alfonso (piano);Lorenzo Conte (contrabbasso); Carlo Canevali (batteria)a seguire Djset con <strong>il</strong> dj Paolo BertoRonzani & ZatteraStefania B<strong>il</strong>le TrioStefania B<strong>il</strong>le (voce); Matteo Titotto (chitarra);Alessandro Arcuri (contrabbasso)Todescato Palmieri DuoMichele Todescato (contrabbasso); Marco Palmieri (chitarra)Sidol Brass QuintetElisabetta Buson (tromba); Domenico De Nich<strong>il</strong>o (tromba);Francesco Pampanin (corno); Nicola Fiorio (trombone);Thomas Riato (basso tuba)Francesca Bertazzo Hart & Beppe P<strong>il</strong>ottoFrancesca Bertazzo Hart (voce e chitarra); Beppe P<strong>il</strong>otto (contrabbasso)The Fair Monks Antonio Gallucci TrioAntonio Gallucci (sassofoni); Alessandro Lanzoni (pianoforte);Gabriele Evangelista (contrabbasso)11


PROGRAMMABeautifulpeter <strong>Jazz</strong> 4etAndrea Miotello (chitarra); Franco Pietrobelli (pianoforte);Giorgio Pietrobelli (basso); S<strong>il</strong>vio Miotto (batteria)Cherry's <strong>Jazz</strong> QuintetCherry Laxamana (voce); Beppe Corazza (sax);Mauro Facchinetti (chitarra); Federico P<strong>il</strong>astro (contrabbasso);Antonio Flores (batteria)Baldo & FriendsMauro Baldassarre (sax); Carlo Dal Monte (piano);Nicola Ferrarin (contrabbasso); Edoardo Zocca (batteria)Enoteca Malvasia - ore 21EOpera food & drinks - ore 21Jeckocafè - ore 21.3012Jeff Ballard TrioJeff Ballard (batteria, percussioni); Lionel Loueke (chitarra);Miguel Zenón (sax)Elio in “Pierino e <strong>il</strong> lupo”con l’Orchestra <strong>Jazz</strong> dei Conservatori del Veneto,dir. Roberto SpadoniElio (voce recitante)Gianluca Carollo, Francesco Minutello, Nazzareno Brischetto,Hugo Deleon Pereira Dos Santos (trombe); Roberto Rossi,Michele Bianco, F<strong>il</strong>ippo Vignato (tromboni); Dario Duso (tuba);Mauro Ribichini, Giuseppe Corazza (sax alto); Mauro Negri,Tommaso Troncon (sax tenore); Antonio Carraio (sax baritono);Paolo Birro (piano); Salvatore Maiore (contrabbasso);Giacomo Aio (batteria); Roberto Spadoni (arrangiamento e direzione)Nicola Babini Quartetto FuturistaConcerto di musiche futuriste per pianoforte, violoncello e voce recitanteSaverio Mazzoni (voce recitante); Maria Claudia Bergantin (soprano);Nicola Babini (violoncello); Giulio Giurato (pianoforte)Kjærgaard- Street- Cyr<strong>il</strong>leKenny Garrett QuartetKenny Garrett (sax); Kona Khasu (basso);Johnny Mercier (hammond organ, tastiere);Nathan Webb (batteria)Miss Marple - Musical InvestigationsAlice Testa (voce); Matteo Alfonso (piano);Lorenzo Conte (contrabbasso); Carlo Canevali (batteria)A seguire Djset con <strong>il</strong> dj Chiaretta - l’orso delle Alpi2x1acousticGiulia Rosa Casalatina (voce);Giuseppe Citro (chitarra); Vittorio Bordin (basso)Sabato 15 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Palazzo Leoni Montanari - ore 17Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Bar Astra - ore 19Magazzino del Caffè - ore 19


1Degusto - ore 21Sartea - ore 21Il Borsa Caffè - ore 21Enoteca Malvasia - ore 21Jeckocafè - ore 21.30PROGRAMMADEF TrioDiego Ferrarin (chitarra); Ettore Martin (sax);Federico Valdemarca (contrabbasso)Gibellini Tavolazzi Beggio TrioSandro Gibellini (chitarra); Ares Tavolazzi (contrabbasso);Mauro Beggio (batteria)Durante la serata verrà presentato <strong>il</strong> loro terzo albumdal titolo "Put on a happy face" (Caligola Records)Soul Travel Acoustic BandFrancesca Portinari (voce);Dario Valle (chitarra, armonica, voce);Valentina Zocca (violoncello): Paolo Florio (basso);Nicola Dal Lago (percussioni)X-Lab + GuestPaolo D'Ambrosio (piano); Federico Ceccato (basso);Alessandro Lupatin (batteria)Rossaja’zz 4etRossana Carraro (voce); Enrico Mecenero (tastiere);Stefano Dallaporta (basso); Claudio Marchetti (batteria)ALTRE INIZIATIVECINEMACinema Odeon ore 16.30, 18.30, 21Lunedì 26 APRILEin francese senza sottotitoliLunedì 3 MAGGIOin italianoLunedì 10 MAGGIOin francese con sottotitoli in italianoUltimo <strong>Jazz</strong> a ParigiRound Midnight - A mezzanotte circa(“Autour de Minuti”) B.Tavernier (1986)Ultimo tango a ParigiB. Bertolucci (1972)La signora della porta accanto(“La femme d’à côtè”) F. Truffaut (1981)13Saletta Lampertico - Cinema Odeonore 16.30, 18.45, 21Martedì 11 MAGGIOMercoledì 12 MAGGIOGiovedì 13 MAGGIOVenerdì 14 MAGGIOFarenheit 451F. Truffaut (1966)Effetto NotteF. Truffaut (1973)L’ultimo metròF. Truffaut (1980)La signora della porta accantoF. Truffaut (1981)


PROGRAMMACoro e Orchestra di <strong>Vicenza</strong> Dir. Giuliano FracassoMessa <strong>Jazz</strong>Messa Congolesein memoria di Suor Bert<strong>il</strong>la Masolo“La distruzione della quadratura”Luigi Russolo, Francesco Bal<strong>il</strong>la Pratellae l’avventura della musica futuristaOggetti, quadri, libri, partiture e…intonarumoriMESSESabato 8 MAGGIOChiesa di S. Giuliano - ore 18Domenica 9 MAGGIOChiesa di S. Marco - ore 11MOSTRE E MUSEIdall’1 al 23 MAGGIOLAMeC - Bas<strong>il</strong>ica PalladianaOrari:martedì-domenica 10.30-13 e 15-19sabato 9 e 15 maggio fino alle 2414Alice Testa 4etVisite guidate alle collezioni etnografiche ogni 45 minutiCaccia ai tesori - Cherchez le TresorsAlla scoperta di capolavori francesi e italiani”“Lost and found”opere di Barbara BarbantiniLA NUIT DES MUSÉESSabato 15 MAGGIOmusei e mostre aperti dalle 21 alle 24Palazzo Chiericati - ore 22(ingresso libero)Museo Diocesano(ingresso ridotto euro 3)Gallerie di Palazzo Leoni Montanari(ingresso libero fino ai 14 anni e per unadulto con un ragazzo/a. Ingressoridotto, euro 3, per altri partecipanti)Casa Cogollo detta “del Palladio”(ingresso libero)”The <strong>Jazz</strong> Vocal Performance"workshop di canto con Pete Church<strong>il</strong>l (per info 0444 507551)Concerto conclusivodel workshop di canto con Pete Church<strong>il</strong>lIL JAZZ IN CONSERVATORIOda lunedì 3 a mercoledì 5 MAGGIOConservatorio “A. Pedrollo”-<strong>Vicenza</strong>mercoledì 5 MAGGIOSala Concerti del Conservatorioore 21Concerto degli allievi della scuola di fisarmonicasabato 8 MAGGIOOratorio di Santa Chiara - ore 17Seminario con Maurizio Franco“Django Reinhardt: <strong>il</strong> centenario di un artista contemporaneo”"Ad Est della Musica. Le facce della guerra"musiche di S. Rachmaninov;liriche di M. Musorgskij, P. Âajkovskij , S. ProkofievAllievi ed ex allievi del Conservatorioore 10.30venerdì 14 MAGGIOsabato 15 MAGGIOSala Concerti del Conservatorioore 20.30


AllonsanfànLa Franciama non solodi Riccardo BrazzaleDa alcuni anni, esattamente dal2006, una costola di “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>”si occupa continuativamente di Europa.I musicisti europei, per la verità, sanno “fare <strong>il</strong> jazz” da sempree non occorre spolverare i vecchi vin<strong>il</strong>i a settantotto giri perricordarci che molto del primo jazz americano era suonato dagliemigranti europei (e, fra questi, da molti italoamericani).Certo è che, passata la geniale anticipazione di Django Reinhardt, ijazzisti europei hanno continuato a pensare, per lungo tempo, chela scelta migliore fosse quella di copiare al meglio <strong>il</strong> jazz americano.E ci son voluti decenni (e la spinta ideologico-libertaria dello stessofree jazz americano) perché gli europei capissero che, non solosi poteva proporre una musica con una propria identità, ma pureche un “jazz europeo” sarebbe stato, a medio e a lungo termine,essenziale e vivifico per tutta la vicenda della musica nata ai primidel XX secolo principalmente in seno alla cultura afroamericana.Così, un po’ per volta, abbiamo cercato di capire cosa fosse accadutoe cosa oggi continuasse ad accadere nell’Europa del jazz.Dunque, ci siamo incamminati dall’Ingh<strong>il</strong>terra e subito dopo abbiamopassato la Manica, per poter guardare <strong>il</strong> cielo di Berlino direttamenteda Alexanderplatz, poi è stata la volta dei Balcani e dell’Egeo,quindi - lo scorso anno - degli immensi spazi della Scandinavia.Quest’anno, <strong>il</strong> ricordo di Django Reinhardt ci ha portato di là dalleAlpi, a ripercorrere dagli inizi l’avventura del jazz europeo ma,dando atto a Parigi di esser stata a lungo la capitale europea anchedi questa nostra musica, <strong>il</strong> viaggio parallelo nel vecchio continenteè diventato quest’anno la rotta principale, quasi la via maestra.Del resto, come dimenticare che Parigi è stata e continua ad esse-15


Allonsanfàne quello più “americano” di Jerome Sabbagh, senza poi dire deitanti colori manouche che contribuiranno a rendere variopinto <strong>il</strong>centro storico di <strong>Vicenza</strong>, soprattutto la domenica dell’8 maggio.“New Conversations 2010” non vivrà ovviamente di sole baguettes.Ricorderemo B<strong>il</strong>l Evans con <strong>il</strong> quartetto europeo di Chuck Israels (<strong>il</strong>suo set precederà quello di Galliano), daremo grande spazio ai pianisti,come è tradizione del nostro festival (e i nomi si sprecano: daMehldau a McCoy Tyner, da Gonzalo Rubalcaba ad Aaron Goldberg,da Soren Kjaergaard a Dan<strong>il</strong>o Rea) ma, pure, metteremo sullaribalta chi di solito sta dietro: i drivers delle sezioni ritmiche.Oltre ai tanti bassisti, vi è infatti una bella fetta di festival dedicataanche ai batteristi. E pure qui ci sarà l’imbarazzo della scelta: dalvecchio, immarcescib<strong>il</strong>e Roy Haynes a un non più giovane comeAndrew Cyr<strong>il</strong>le, e poi <strong>il</strong> batterista italiano più noto, Roberto Gatto,che dedica a sua volta un terzo della sua corposa serata a ShellyManne, un poeta della batteria d’annata; e, last but not least, JeffBallard, uno dei nomi portanti del nuovo drumming internazionale.Su un’idea, però, val la pena si soffermarsi: quella di Elio che raccontaalla sua maniera la favola di “Pierino e <strong>il</strong> lupo”. È un progettoche abbiamo covato a lungo, dopo che Roberto Spadoni ciaveva parlato della sua idea di un Pierino jazz. Abbiamo coinvolto <strong>il</strong>consorzio dei conservatori di musica del Veneto, accanto alla cuiorchestra jazz dovevamo mettere una voce recitante, diciamo, sufficientementedisinibita di fronte a un Pierino di derivazione afroamericana.E allora, chi meglio di Elio? Chi meglio di un artista trasversalecome lui, capace di abbattere steccati e far sintesi?Infine, una parola va spesa per tutto ciò che fa festival al di fuoridei teatri. “<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>” da tanti anni incontra ovunque la città ela gente, per le vie e nelle piazze, nei musei come nelle chiese,oltre che in tutti i bar e i locali. Per la quindicesima volta, insomma(e non solo per la grande occasione di esserci gratuitamente congli Incognito a Piazza dei Signori), a <strong>Vicenza</strong> accadrà qualcosa percui si respirerà musica, si vedranno i colori dell’Europa, ci si sentiràparte di qualcosa di nostro ma anche di immensamente grande.Ci si sentirà nel mondo del jazz.17


Giovedì 6 MAGGIOKurt Rosenwinkel TrioPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.3018Giustamente acclamatocome uno dei più convincentiinnovatori deljazz contemporaneo, <strong>il</strong>chitarrista di Ph<strong>il</strong>adelphia – da qualche anno residente a Berlino –ci presenta nel concerto inaugurale del Festival, sul palco del Panic<strong>Jazz</strong> Café Trivellato, <strong>il</strong> suo ottavo lavoro discografico: Reflections.Sostanzialmente costituito da ballads, <strong>il</strong> nuovo lavoro di Rosenwinkelvuole tornare alle radici più genuine del <strong>Jazz</strong>. Dopo unalbum – The Remedy: Live at the V<strong>il</strong>lage Vanguard – in cui si prodigavain lunghi e densi soli su temi originali, torna ora ad affrontaregli standards riscoprendo peraltro una vena bluesy che era finorarimasta pressoché inespressa.Attivo fin dai primi anni novanta, Rosenwinkel (classe 1970) si èfatto notare dapprima nelle bands di Gary Burton, Paul Motian,Brian Blade e Joe Henderson. Inparticolare le registrazioni con laElectric Bebop Band di Motiangli sono valse l’attenzione unanimedi pubblico e critica. Dal1994 comincia a pubblicaredischi a proprio nome, legandosi,come leader o collaboratore,a nomi che sono ora figure centralidella scena newyorkese edinternazionale tout court: JeffBallard, Mark Turner, Brad Mehldau.Contestualmente ha partecipatoad innumerevoli registrazionicome sidemen tra cui citiamoper lo meno quelle con LarryGoldings e Chris Potter.Kurt Rosenwinkel - photo@lourdesdelgado.com


Chuck IsraelsVenerdì 7 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Chuck Israels European GroupChuck Israels (NewYork, 1936), bassistae compositore, collaboracon <strong>il</strong> pianista Steve Kuhn, poi con Coleman Hawkinse B<strong>il</strong>lie Holiday, oltre a registrare con John Coltrane e KennyDorham. Nel ’61 viene chiamato a sostituire Scott Lafaro nel triodi B<strong>il</strong>l Evans. Qui inizia un quinquennio esaltante in cui partecipaa registrazioni storiche quali The Town Hall Concert,Moonbeams, The Second Trio, Trio ’65, Time Remembered,Live at Shelly’s Manne-Hole.Ma lo si può ascoltare in incisioni di, tra gli altri, J. J. Johnson,Stan Getz, Gary Burton, Jim Hall, Herbie Hancock. Dagli anni ‘70ha diradato la sua attività concertistica, concentrandosi maggiormentesul ruolo di compositore ed educatore.19Teatro Olimpico - ore 21Il f<strong>il</strong>o rosso che lega <strong>il</strong> fisarmonicistaRichardGalliano e l’Orchestradel Teatro Olimpico ciRichard Galliano & StringsOrchestra del Teatro Olimpicodir. Giancarlo De Lorenzoriporta al 1994, quando con “Rava l’Opera Va” entrava in scenaanche Galliano e inaugurava un rapporto tra <strong>il</strong> teatro palladiano e <strong>il</strong>jazz - per la verità un precedente <strong>il</strong>lustre, ma isolato, fu <strong>il</strong> concertodel Modern <strong>Jazz</strong> Quartet trent’anni prima - che si è poi concretizzatonel Festival New Conversations che qui celebriamo. Ed eccoche ora, a sedici anni di distanza, lo stesso palcoscenico li vedràancora insieme. E ora come allora aleggerà anche lo spirito di AstorPiazzolla, che di Galliano è stato mentore e ispiratore.Figlio d’arte, Richard Galliano, è nato nel 1950 a Cannes da padre


Venerdì 7 MAGGIORichard Galliano20italo francese, ottiene i primi ingaggia Parigi come arrangiatore e direttored’orchestra. Ma qui entra in contattocon <strong>il</strong> jazz, collaborando anchecon Chet Baker, Toots Thielemans e<strong>il</strong> violoncellista Jean-Charles Capon (con cui firma <strong>il</strong> suo primodisco). Del 1990 è poi un importante disco in duo con Ron Carter.Ma è del 1993 <strong>il</strong> suo disco manifesto, quel New Musette che glivalse <strong>il</strong> premio Django-Reinhardt dell’Académie du <strong>Jazz</strong>.L’Orchestra del Teatro Olimpico festeggia 20 anni di storia. Ilprimo nucleo si costituì infatti nel 1990, sotto la guida del M°Giancarlo De Lorenzo - tuttora Direttore Principale e DirettoreArtistico - e, grazie a collaborazioni di livello internazionale, l’ensembleha raggiunto una maturità artistica che l’ha portata a importanticonsensi di pubblico e critica. L’OTO si è esibita nelle principalisale italiane ed europee, partecipando a prestigiosi Festival esvolgendo tournèe in Europa e negli USA - a New York (CarnegieHall, Barge Music, Merkin Hall) e Ph<strong>il</strong>adelphia.Nicky Nicolai& Stefano Di BattistaPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Entrambi romani, la cantanteNicky Nicolai e <strong>il</strong>sassofonista StefanoDi Battista sono fautoridi un jazz br<strong>il</strong>lante ed evocativo. Il loro sodalizio risale al 2001quando i due vengono chiamati dall’allora sindaco Walter Veltroni apromuovere nel mondo l’immagine della capitale con <strong>il</strong> brano“Roma... io senza te”. Un sodalizio che è diventato presto ancheumano. Del 2004 è l’album di debutto del loro <strong>Jazz</strong> Quartet intitolatoTutto passa, con ospiti quali Lucio Dalla e Renzo Arbore. L’annosuccessivo la vittoria al “Festival di Sanremo” con “Che mistero èl’amore” li troviamo in un tour non-stop cui fa seguito, nel 2006,una nuova partecipazione a Sanremo con “Lei ha la notte”.


Sabato 8 MAGGIOCentro Storico - dalle ore 16Novità di quest’anno è l’apporto dato dalla Confcommercio, cheoffre tre eventi musicali nel centro storico.Nell’ultimo tratto di Corso SS. Felice e Fortunato si esibiranno<strong>il</strong> New Project 4et, del trombettista Gianluca Carollo, chediventa un quintetto grazie alla chitarra di Diego Ferrarin e, neltardo pomeriggio, <strong>il</strong> Blue Mama, formazione vicentina blues &soul. In Piazza Castello suonerà invece <strong>il</strong> Swing Out 5et. Il vocalistMassimo De Mari ed i suoi compagni affrontano con energia egarbo, in questo progetto, <strong>il</strong> repertorio degli standards. Un progettodedicato alla musica di M<strong>il</strong>es Davis è invece quello del GabrieleBolcato 4et, che si esibirà in Piazza Matteotti, e che ospita perl’occasione <strong>il</strong> sax tenore di Andrea Pimazzoni.21Gallerie di PalazzoLeoni Montanari - ore 17Lezione concertoBacchetti-MannucciLa lezione-concerto saràpiù che una conferenzasonorizzata. Del restola qualità di un pianista come AndreaBacchetti, nato a Genova nel 1977 e che già a11 anni debuttava con l’Orchestra dei SolistiVeneti diretta da Claudio Scimone, è garanzia dieccellenza. Così come è eccellente <strong>il</strong> curriculumdi Michele Mannucci, musicologo e critico,conduttore di Rai Radio 3 nonché docente alDams della Università di Genova. I due ricostruirannoper noi un percorso di “passione e rigorenella musica di J.S. Bach, Chopin e Debussy”.Andrea Bacchetti


Sabato 8 MAGGIOIncognitoore 21 - Piazza dei Signori22Gli Incognito costituisconouna delle avventuremusicali più longevee vitali della riccama dispersiva scena britannica. Formatisi nel 1980 dalle ceneri delprecedente progetto “Light Of The World” festeggiano proprioquest’anno trent’anni di carriera. A volerli fortemente è stato Jean-Paul ‘Bluey’ Maunick, insieme al fedele Paul ‘Tubs’ W<strong>il</strong>liams. I modellimusicali di Bluey sono stati i grandi della musica funk e R&B:Stevie Wonder, Marvin Gaye, Earth Wind & Fire, Kool & The Gang,ma anche Santana. Il sound della band è da sempre più orientatoalla commistione di <strong>Jazz</strong>, Funk e anche un po’ di Pop: in una parolaAcid <strong>Jazz</strong>, di cui la band è per molti <strong>il</strong> manifesto. Non è un casoquindi se <strong>il</strong> loro album d’esordio si intolava proprio <strong>Jazz</strong> Funk (1981).Ma è all’inizio degli anni ’90 che <strong>il</strong> gruppo ottiene <strong>il</strong> vero successointernazionale: Positivity, del ’93, vendette quasi un m<strong>il</strong>ione di copiein tutto <strong>il</strong> mondo. Da allora la band inglese ha raccolto sempre maggioreconsenso e per i lavori in studio, curatissimi, e per le esibizionidal vivo, energiche e capaci di instaurare la necessaria empatiacon <strong>il</strong> pubblico che <strong>il</strong> genere impone. Dopo trent’anni la grandeavventura degli Incognito continua più agguerrita che mai.Incognito


Francesco CafisoSabato 8 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Appena ventunenne, <strong>il</strong>contraltista FrancescoCafiso è già una stellainternazionale del <strong>Jazz</strong>.Francesco Cafiso Quartet“Island Blue”+ Stefano BagnoliNato a Vittoria, in Sic<strong>il</strong>ia, nel 1989, già a dodici anni fa la sua primaapparizione in cd, affiancato nientemeno che da Stefano Bollani,Fabrizio Bosso, Franco D’Andrea. Non a caso <strong>il</strong> titolo della registrazioneera Very Early! Da lì in poi le tournèe anche negli Stati Uniti, lesedute di registrazione, le partecipazioni a Festival e Show televisivisi sono susseguite incessanti. La lista delle sue collaborazioni - daWynton Marsalis a Dave Brubeck a Enrico Rava - dimostra la capacitàdi saper adattare <strong>il</strong> suo linguaggio a situazioni anche moderne.La formazione con cui si esibisce nel concerto dell’8 maggio è <strong>il</strong>suo Island Blue Quartet, formato da Dino Rubino alla tromba,Giovanni Mazzarino al pianoforte e Nello Toscano al contrabbasso,cui si aggiungerà per l’occasione (solitamente questa formazioneè senza batteria) <strong>il</strong> drummer Stefano Bagnoli.23Chiesa di S. GiulianoGiuliano Fracasso“Repertorio liturgico”Il Maestro Giuliano Fracassoci propone anchequest’anno un repertorioliturgico connesso al <strong>Jazz</strong>.Nel primo caso, nella chiesa di S. Giuliano (alle 18) eseguirà laMessa in Blue che W<strong>il</strong>l Todd ha composto (in latino per solo, coroe ensemble jazz) per David Temple e <strong>il</strong> Coro Hertfordshire nel2003. Alle 11 di domenica 9, nella chiesa di S. Marco, condurrà poiuna Messa Congolese (in Lingala e Francese), occasione che si rinnovaogni anno per ricordare Suor Bert<strong>il</strong>la Masolo.


Domenica 9 MAGGIOConcerti per ledalle ore 16 - vie della cittàCom’è consuetudine anche quest’anno la domenica pomeriggioè animata da concertini nelle strade e nelle piazze del centrostorico. Si comincia alle 16.00 con la Sauro’s Band e iBifunk: due marching band che si incroceranno nel percorsotra Piazza Castello e Piazza Matteotti. Alle 16.30 comincia anche<strong>il</strong> concerto della storica Scledum <strong>Jazz</strong> Band, ai Giardini Salvi. Siprosegue alle 17.30 con un doveroso omaggio a DjangoReinhardt proposto dai Les Manouches Bohémien nel cort<strong>il</strong>e diPalazzo Trissino per finire in Piazza Matteotti dove, dalle 18.00, siesibirà la Jelly Rolls Band.24Renaud Garcia-FonsRenaud Garcia-Fons (ph. Jan Scheffner)Gallerie di Palazzoore 17 - Leoni MontanariFiglio del pittore di originicatalane Pierre Garcia-Fons,Renaud è natonei pressi di Pariginel 1962. Iscrittosi al conservatorio di Parigi, entra incontatto con <strong>il</strong> <strong>Jazz</strong> e inizia a collaborare con <strong>il</strong> trombettistaRoger Guérin. Passa poi come membro stab<strong>il</strong>eall’Orchestre National de <strong>Jazz</strong> diretta da Claude Barthélémy.Nei progetti discografici da lui firmati trovano spazio<strong>il</strong> flamenco e la World Music a fianco della musicaafroamericana e <strong>il</strong> new musette francese, ma anchereminiscenze mediorientali (ha collaborato anche conesponenti di spicco di quell’area musicale come KudsiErguner, Dhafer Youssef e Cheb Mami). Da segnalareun’altra particolarità del musicista che si esibisce conun contrabbasso a cinque corde che ne amplia le possib<strong>il</strong>itàimprovvisative e la tessitura timbrica.


Domenica 9 MAGGIOMuseo Diocesano - ore 18Ibrahim Maaloufcon Mauro DuranteIl trombettista libaneseIbrahim Maalouf (natonel 1980) è figlio d’arte.Proprio <strong>il</strong> padre NassimMaalouf gli fornisce i primi rudimenti classici e moderni, ma avvicina<strong>il</strong> figlio anche alla musica classica araba di cui tuttora è l’unicoesecutore alla tromba microtonale. Specializzatosi a Parigi conGérard Boulanger e con Antoine Curé, Maalouf è un trombettistadi grande talento e comunicativa, ciò che gli ha consentito di vincereanche numerosi - ben quindici - premi internazionali.Mauro Durante è da sempre dedito all’approfondimento dellamusica popolare del Salento sia come tamburellista che come violinista(e questo ben prima di perfezionarsi al conservatorio “TitoSchipa” di Lecce). Oltre alle manifestazioni più tradizionali - comela Notte della Taranta, cui partecipa dal 2000 - ha avuto modo diampliare le sue esperienze musicali arrivando a collaborare, tra glialtri, con Tr<strong>il</strong>ok Gurtu, Richard Galliano, ma anche Noa, JoeZawinul, Mauro Pagani, Lucio Dalla, Vinicio Capossela, FrancoBattiato, Gianna Nannini, Francesco De Gregori.Jan Garbarek25Ibrahim Maalouf


Domenica 9 MAGGIO26Joshua Redman& Brad Mehldau Duoore 21 - Teatro ComunaleUno degli eventi delfestival è <strong>il</strong> duo compostodal sassofonistaJoshua Redman edal pianista Brad Mehldau.Joshua Redman, nato nel 1969 a Berkeley in California, è un sassofonistacui va riconosciuto <strong>il</strong> merito di aver saputo trovare unavoce personale e accattivante nel panorama jazzistico degli ultimivent’anni. E questo “nonostante” l’ingombrante presenza del padreDewey Redman, acclamato sassofonsta alla cui lezione peròJoshua non si è omologato. Semmai ha trovato una strada propriache ha nella perfetta consequenzialità melodica e in una energiacontrollata e mai debordante le più evidenti qualità. Nel 1991 vince<strong>il</strong> prestigioso Thelonious Monk International <strong>Jazz</strong> Saxophone Competition.Trasferitosi a New York viene dapprima notato da ElvinJones, e di lì a poco firma per la Warner Bros,cominciando a registrare a proprio nome.Quasi coetaneo (è del 1970), <strong>il</strong> pianista BradMehldau studia a New York con Fred Hersh eKenny Werner. Inizia quindi a collaborare congli esponenti più interessanti della scena newyorkese:Peter Bernstein, Mark Turner, ChrisPotter tra gli altri. Dopo <strong>il</strong> fortunato IntroducingBrad Mehldau, con <strong>il</strong> decisivo supporto dellaWarner Bros si dedica ad una serie di progettia proprio nome che lo impongono definitivamenteall’attenzione della critica: la serie dei cddenominati “The Art of the Trio”.L’incontro tra Redman e Mehldau risale aiprimi anni ’90, con la realizzazione del discoMoodswing, incontro poi bissato con TimelessTale (1998).Joshua Redman


Domenica 9 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - dalle ore 15Thelonious 20 th AnniversaryIl Festival rende omaggioquest’anno ad unadelle realtà più attive nel nostro panorama musicale (ed educativo)qual’è la Scuola di musica Thelonious. Una struttura cheda vent’anni ha nell’educazione musicale e nell’insegnamento del<strong>Jazz</strong> in particolare la sua ragion d’essere. Per tutto <strong>il</strong> pomeriggio didomenica 9 maggio assisteremo dunque ad un lunga carrellata dieventi musicali con gli insegnanti della scuola, la <strong>Jazz</strong> <strong>Vicenza</strong>Orkestra con un ospite d’eccezione: <strong>il</strong> trombettista Alex Sipiagin,di origine russa, che da anni vive e lavora negli Stati Uniti dove siè fatto notare soprattutto tra le f<strong>il</strong>a della Mingus Dynasty.Come già lo scorso anno, l’esibizione della <strong>Jazz</strong> <strong>Vicenza</strong> Orkestrasarà anche l’occasione per ricordare in musica <strong>il</strong> M° Sergio Montinie <strong>il</strong> dott. Antonio Cavalloni, che tanto hanno contribuito allo sv<strong>il</strong>uppoe alla crescita del jazz a <strong>Vicenza</strong>.27Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 22The Rolling Stones ProjectLa seconda serata delPanic offre un concertopensato per un pubblico più vasto di quello dedito al <strong>Jazz</strong>. Si esibirannoinfatti i componenti del Rolling Stones Project. Ossiaun manipolo di musicisti che hanno in diverse occasioni collaboratocon i veri Rolling, e che ripropongono i loro successi in versionefunky-jazz. Tra loro l’ideatore del progetto, <strong>il</strong> sassofonista Tim Ries,<strong>il</strong> vocalist Bernard Fowler e <strong>il</strong> bassista Darryll Jones, tutti regolarmentein tour con gli Stones. Ma anche <strong>il</strong> chitarrista Ben Monder,più avezzo a situazioni sperimentali e che avrà qui <strong>il</strong> non fac<strong>il</strong>e compitodi confrontarsi con gli storici riffs di Keith Richard. Del resto lasua presenza è più che giustificata, avendo anch’egli partecipato alsecondo doppio cd realizzato dalla formazione: Stones World.


McCoy Tyner (ph. Gene Martin)Lunedì 10 MAGGIOMcCoy Tyner Quartetore 21 - Teatro Comunale28McCoy Tyner è, insiemea B<strong>il</strong>l Evans, <strong>il</strong>pianista che più hainfluito sulla storiadel pianismo jazz contemporaneo. Dopo i giganti del periodo bop,che pure restano le iniziali influenze - Bud Powell soprattutto -Tyner ha sv<strong>il</strong>uppato <strong>il</strong> suo st<strong>il</strong>e in cui entrano un poderoso sensodel blues e un’inedita sensib<strong>il</strong>ità armonica, che si evidenzia soprattuttocon un uso intenso e percussivo della mano sinistra e unaspiccata pred<strong>il</strong>ezione per gli accordi costruiti per quarte, cui fa dacontraltare l’abbondante uso delle pentatoniche nel fraseggio delladestra. Uno st<strong>il</strong>e che ha influenzato fortemente i pianisti dellegenerazioni successive, a partire da Chick Corea.Nato a Ph<strong>il</strong>adelphia nel 1938, conosce e frequenta Bud e RichiePowell, Lee Morgan, Bobby Timmons, Reggie Workman. Incoraggiatodalla madre, a tredici anni inizia regolari studi pianistici.Dopo l’ingaggio nel superbo Jezztet di Benny Golson e Art Farmer,viene chiamato da Coltrane per registrare una pietra m<strong>il</strong>iare dellastoria del jazz: My favourite things (1960). Nei cinque anni cheseguono, dal gruppo di Coltrane nascono una serie di capolavoriassoluti quali Live at the V<strong>il</strong>lage Vanguard, Ballads, Live at Birdland,Crescent, A Love Supreme, tutti per la Impulse. Alla Impulse è inizialmentelegata anche la carriera discografica di Tyner, che già inquegli anni registra in trio <strong>il</strong> suo Reaching Fourth. Dopo <strong>il</strong> ’65, intraprendela carriera da bandleader. Il disco che lo rivela compiutamentein questa nuova veste è The Real McCoy. Da allora si sonosusseguiti decine di dischi (un’ottantina solo quelli a suo nome),tutti di altissimo livello. Pur assim<strong>il</strong>ando influenze dalla musicadegli altri continenti, Tyner ha mantenuto una vocazione costanteagli st<strong>il</strong>emi che lo hanno imposto agli onori della critica ed al successodi pubblico, semmai approfondendo ancor più la ricerca suiritmi africani e la visceralità del blues.


Lunedì 10 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Kjærgaard-Street-Cyr<strong>il</strong>leDal 10 al 15 maggio l’aperturadei concertidel Panic <strong>Jazz</strong> Cafè Trivellato è affidata al nuovo trio del pianistaSøren Kjærgaard, con Ben Street al contrabbasso e <strong>il</strong>veterano del Free <strong>Jazz</strong> Andrew Cyr<strong>il</strong>le alla batteria.Pianista, tastierista, ma anche compositore e persino rapper (èinfatti membro di un collettivo dadaista che ha coniato un propriovocabolario e che si esibisce con <strong>il</strong> nome di Ikscheltaschel), SørenKjærgaard è senza dubbio una delle figure più interessanti dellavivacissima scena musicale danese. Nel 2000, appena ventiduenne,vince <strong>il</strong> “Nordic jazz competition, Young Comets”, con <strong>il</strong> suotrio Fuchsia. Da allora in poi ha svolto una incessante attività ecome sideman (ad esempio con i Blake Tartare del sassofonistaMichael Blake) e, soprattutto, alla testa delle sue formazioni. Il trioè certo la situazione in cui meglio si può apprezzare <strong>il</strong> suo approccioalla musica improvvisata. Partendo da istanze tipicamente freeegli riesce a convogliare in modo omogeneo, nella sua musica,modalità vicine al minimalismo ed una buona dose di swing, riuscendoperaltro nella diffic<strong>il</strong>e impresa di costruire atmosfere fortementeevocative. In questo lo aiutanon poco la presenza di un batteristacome Andrew Cyr<strong>il</strong>le, che puòconiugare la propulsione del bebop(nato nel 1939, è stato allievo diPh<strong>il</strong>ly Joe Jones ed ha iniziato la suacarriera collaborando con ColemanHawkins, Kenny Dorham, FreddieHubbard) e le libertà addirittura “rumoristiche”del free jazz (fondamentalela sua lunga permanenza,dal 1964 e per ben undici anni, nelgruppo di Cec<strong>il</strong> Taylor).29Søren Kiærgaard (ph. Kristian Saederup)


Lunedì 10 MAGGIO30Jerome Sabbagh Quartetfeat. Ben MonderJerome SabbaghPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Il quartetto di JeromeSabbagh (nato a Pariginel 1973, ma residentea New York dal 1995),ha <strong>il</strong> suo punto diforza nella complementaritàdel sassofonista,apprezzatoper un suono caldo er<strong>il</strong>assato degno ditenori d’altri tempi ecapace di attualizzareun fraseggio pur intrisodella lezione bop,e lo spigoloso chitarristaBen Monder,tutto proteso a spostarei limiti armonicidel proprio strumento.Affascinato indubbiamentedalla lezioneholdswortiana,ma ricco di suggestionipersonalissimee ricercate e sorrettoda una tecnica impeccab<strong>il</strong>e,Monder èuno dei chitarristi piùinteressanti e attivi (oltre novanta le sue collaborazioni discograficheanche con personaggi del calibro di Lee Konitz, Paul Motian,Tim Berne e Jack McDuff, cui si aggiungono i quattro cd a proprionome) della scena jazzistica attuale.


Martedì 11 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21GonzaloRubalcabaNato all’Avana, nel1963, <strong>il</strong> pianista GonzaloJulio GonzalezFonseca Rubalcaba è cresciuto assorbendo la ricca culturamusicale cubana. Ma attraverso alcuni dischi (Thelonious Monk,Bud Powell e Oscar Peterson, ma anche Charlie Parker, DizzyG<strong>il</strong>lespie and Art Blakey) scopre anche <strong>il</strong> <strong>Jazz</strong>. Con la sua inaspettataapparizione a fianco di Charlie Haden e Paul Motian alMontreux <strong>Jazz</strong> Festival, nel 1990, si trova proiettato nella scena jazzisticainternazionale. Dopo un inizio all’insegna del virtuosismo,basti pensare a Diz (1994) in compagnia del superbo Ron Carter, havia via rivelato tratti più intimistici, come nel pensoso Inner Voyagee a tratti sperimentale (vedi <strong>il</strong> disco in duo con Joe Lovano FlyingColors). Qui lo vedremo in una solo performance, in cui potrà sfoggiaretutta la profondità del suo tocco, raffinato e controllatissimo.Teatro Olimpico - ore 21Roy Haynes Fountainof Youth BandCon i suoi 66 anni di carrieraprofessionale,Roy Owen Haynes(nato nel 1925 nel quartiere di Roxbury a Boston, Massachusetts)è un testimone vivente e tuttora centrale della storiadel <strong>Jazz</strong>. E ancor oggi, a 85 anni, <strong>il</strong> suo batterismo è energico e br<strong>il</strong>lante.Non è dunque un caso che <strong>il</strong> suo gruppo rimandi fin dalnome alla mitica “Fonte della giovinezza”. Fin dagli esordi, all’etàdi 17 anni, si è affiancato ai nomi più prestigiosi della musica afroamericana:Lester Young (dal 1947 al 1949) Charlie Parker (dal 1949al 1952), Bud Powell, Stan Getz, Sarah Vaughan (1953-1958),Thelonious Monk, Lennie Tristano, Eric Dolphy, M<strong>il</strong>es Davis, ArtPepper, Dizzy G<strong>il</strong>lespie, John Coltrane e, in anni più recenti, ChickGonzalo Rubalcaba (ph. C.P. McBride)31


Martedì 11 MAGGIORoy Haynes32Corea e Pat Metheny. Con tutto ciò ha contribuito in modo fondamentalea definire l’evoluzione del <strong>Jazz</strong> dallo swing degli albori(aveva suonato anche con Louis Armstrong) al Bebop e all’HardBop per toccare via via tutte le innumerevoli declinazioni del jazz.Il suo batterismo, con la sua propulsione energica e creativa e <strong>il</strong>personalissimo uso dei piatti - che gli valse <strong>il</strong> soprannome azzeccatissimodi “Snap Crackle” - è un concentrato di storia del <strong>Jazz</strong>che rappresenta anche per le giovani generazioni (i membri del suogruppo sono tutti dei ventenni) un solido legame con <strong>il</strong> passatoproteso però con forza verso <strong>il</strong> futuro; egli quindi definisce giustamentei suoi progetti recenti (Whereas e lo stesso Fountain OfYouth) Hard Swing. A testimonianza del suo enorme contributoalla storia del jazz, nel 2004 Haynes è stato <strong>il</strong> centounesimo musicistaa venire inserito nella Down Beat Hall of Fame.Giovanni Falzone Quartet“Around Jimi Hendrix”Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Il concerto di GiovanniFalzone, al <strong>Jazz</strong> CaffèTrivellato, prende lemosse dall’ultima pubblicazionediscografica dello stesso dal titolo eloquente di AroundJimi (Cam <strong>Jazz</strong>). Con lui una formazione che, pur di estrazione jazzistica,ben supporta un’operazione musicale a cavallo tra jazz,rock ed elettronica: le Mosche Elettriche, per l’appunto, ovveroValerio Scrignoli alla chitarra, Michele Tacchi al basso eRiccardo Tosi alla batteria.Falzone ha un curriculum di tutto rispetto tanto in ambito classico(ha collaborato con artisti quali Sinopoli, Abbado, Giulini, Cha<strong>il</strong>ly)che in ambito jazzistico, avendo partecipanto a registrazioni eFestival importanti ed avendo ricevuto ottimi consensi anche investe di leader per <strong>il</strong> maniacale controllo del suono e la freschezzadelle idee.


Teatro Comunale - ore 21Roberto Gatto (ph. R. Cifarelli)Roberto Gatto, romanoclasse 1958, è sicuramente<strong>il</strong> batteristaitaliano più noto e apprezzatoanche in ambitoMercoledì 12 MAGGIORoberto Gatto Carte Blanche“Tribute to Shelly Manne”Duo con Dan<strong>il</strong>o ReaI-<strong>Jazz</strong> Ensemble 2010internazionale (è stato inserito da Leonard Feather & Ira Gitler nellaloro prestigiosa “Biographical Encyclopedia of <strong>Jazz</strong>”). Dotato digrande musicalità e versat<strong>il</strong>ità, ha esordito appena diciassettennenel Trio di Roma con Dan<strong>il</strong>o Rea ed Enzo Pietropaoli cominciandouna fortunata carriera che lo ha portato a collaborare con alcuni deinomi più importanti della storia del jazz (Bob Berg, Johnny Griffin,George Coleman, Ph<strong>il</strong> Woods, James Moody, Curtis Fuller, CedarWalton, Joe Zawinul, Pat Metheny...) Da qualche anno Gatto si èconcentrato perlopiù sulla sua attività di leader.In questa occasione Gatto ha deciso di mettere in campo trediversi aspetti della sua personalità musicale. Nel primo set si esibiràin duo proprio con Dan<strong>il</strong>o Rea, la situazione ideale per metterein luce <strong>il</strong> virtuosismo solistico. A seguire lo ascolteremo in quintetto;<strong>il</strong> più tradizionale degli organici per rendere omaggio al piùblasonato dei batteristi-leader della storia del jazz: Shelly Manne.Per chiudere Gatto si presenterà alla testa del suo più recentegruppo, l’I-<strong>Jazz</strong> Ensemble 2010 (produzione firmata dall’associazionenazionale i-jazz, cui partecipa anche <strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong>). Un ottettoin cui confluiscono musicisti capaci di fornire uno spaccato delmigliore jazz nostrano. Alcuni sono da lungo tempo compagni dimusica di Gatto, altri invece entrano per la prima volta nell’orbitadel batterista, come <strong>il</strong> giovanissimo pianista Alessandro Lanzoni.L’ensemble vive dell’equ<strong>il</strong>ibrio tra l’anima più creativa e avanguardisticarappresentata da Lena, Partip<strong>il</strong>o, Falzone e <strong>il</strong> carattere piùmainstream di Ionata, Rossi e Lanzoni. La musica del gruppo (ingran parte firmata dal leader) si sposta dal jazz al funk alla r<strong>il</strong>etturadi celebri temi cinematografici.33Stefano Bollani


Mercoledì 12 MAGGIO34Benny Golsonmeets Massimo Faraò TrioPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Il Panic <strong>Jazz</strong> Cafè Trivellatoospita, in secondaserata, un’autentica leggendadel <strong>Jazz</strong>: BennyGolson. Nato a Ph<strong>il</strong>adelphia nel 1929, Golson ha un curriculumstellare, avendo fatto parte dei gruppi di Benny Goodman, DizzyG<strong>il</strong>lespie, Lionel Hampton e Art Blakey. Soprattutto la lunga m<strong>il</strong>itanzanei <strong>Jazz</strong> Messengers di Art Blakey, ne ha fatto una figura centralee ha messo in luce soprattutto le sue doti di compositore.Ad accompagnarlo è <strong>il</strong> trio del “più nero dei pianisti italiani”:Massimo Faraò. Nato a Genova nel 1965 e da sempre attratto dallinguaggio del Bebop e del Hard Bop, fin dall’inizio degli anni novantacomincia a lavorare negli Stati Uniti. Inizialmente un tour con RedHolloway e Albert ‘Tootie’ Heath, poi come direttore artistico dellacantante Shawnn Monteiro, in cui figuravano Keter Betts e BobbyDurham. Da qui le collaborazioni internazionali si susseguono continuee prestigiose come Nat Adderly e Archie Shepp.Benny Golson (ph. Riccardo Schwamenthal)


Giovedì 13 MAGGIOTeatro Olimpico - ore 21Bosso-Laurent-Texier-Romano“Complete Communion”Il batterista Aldo Romano,figura storica del<strong>Jazz</strong> d’oltralpe, ha raccoltointorno a sé un quartetto di altissima caratura per rendereomaggio al grande trombettista Don Cherry (1936 - 1995). Fra iprotagonisti più originali e di diffic<strong>il</strong>e collocazione nella storia del<strong>Jazz</strong> - sia pur sbrigativamente assim<strong>il</strong>ato alla corrente Free - Cherryfu <strong>il</strong> primo ingaggio importante per Romano, che qui intende ricordarlosoprattutto come compositore e riarrangiando alcune suecomposizioni e fornendo materiale originale a lui ispirato. Per farloha voluto con sè <strong>il</strong> contrabbassista Henry Texier - un altro compagnodi strada di Cherry nei suoi tour europei degli anni ’60 - unautentico veterano della scena jazzistica francese. Ma anche duegiovani solisti allo stesso tempo virtuosi e capaci di grande aderenzaal progetto, come sono <strong>il</strong> trombetista Fabrizio Bosso (unicoitaliano in organico) e la sassofonista Géraldine Laurent.35Bosso - Laurent - Texier - Romano (ph. Giampaolo Solitro)


Giovedì 13 MAGGIO36Barbara Casini“Formidable!”Hommage à Charles TrenetBore 21 - Teatro Olimpicoarbara Casini, cantantee chitarrista, è nataa Firenze nel 1954. Siè guadagnata sul campo<strong>il</strong> titolo di più importante interprete di musica bras<strong>il</strong>iana in Italiae, com’è logico, <strong>il</strong> mondo del <strong>Jazz</strong> ha cominciato presto ad interessarsia lei. Fra i suoi lavori vale la pena citare <strong>il</strong> fortunato cd Ventocon Enrico Rava cui fa seguito la partecipazione, nel 1996 ad ItalianBallads. Ha collaborato inoltre con Ph<strong>il</strong> Woods (nel cd Você e Eu,Ph<strong>il</strong>ology, 2001) e con Lee Konitz (in Outra Vez, Ph<strong>il</strong>ology 2002).A cavallo tra jazz e bossanova è anche la curiosa rivisitazione dialcuni brani dei Beatles uscita nel 1998 (sempre per la Ph<strong>il</strong>ology).La sua ultima produzionediscografica che ci presentaqui, è <strong>il</strong> cd Formidable!,in cui Barbara Casini interpreta12 classici dell’indimenticab<strong>il</strong>echansonnier CharlesTrenet. Con <strong>il</strong> prezioso aus<strong>il</strong>iodi Fabrizio Bosso alla tromba,Pietro Lussu al pianofortee Ares Tavolazzi al contrabbasso,la cantante toscanarivisiterà, senza rinunciaread un pizzico di sound latino,brani immortali della musicafrancese quali “La mer”,“J’ai connus de vous”,“Boum!”, “Le sole<strong>il</strong> et lalune”, oltre all’immancab<strong>il</strong>e“Que Reste-t-<strong>il</strong> de nosamours”.Barbara Casini (ph. Giampaolo Solitro)


Giovedì 13 MAGGIOPanic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Donny McCaslin TrioDonny McCaslin, natonel 1966 a Santa Cruz(California), si fa notaresul finire degli anni Ottanta nel quintetto di Gary Burton.Trasferitosi a New York, nel ’91, collabora con Eddie Gomez e gliSteps Ahead (al posto di Michael Brecker), con le orchestre di G<strong>il</strong>Evans e Maria Schneider (con la quale ottiene una nomination aiGrammy per <strong>il</strong> “Migliore Assolo Strumentale di <strong>Jazz</strong>” nel 2004),e a fianco del più sperimentale Dave Douglas. Ha registrato conDan<strong>il</strong>o Perez e Luciana Souza e partecipato ai tour di Tom Harrell,Brian Blade, John Patitucci, Mingus Dynasty, Pat Metheny.McCaslin ha al suo attivo numerosi album come leader. Nel 2008ha vinto <strong>il</strong> referendum dei critici di Down Beat come migliorerising star del sax tenore.37Donny McCaslin


Venerdì 14 MAGGIO38Dan<strong>il</strong>o Rea & Paolo Damianiplus Pietro Tonoloore 21 - Teatro ComunaleLa collaborazione tra Dan<strong>il</strong>oRea (<strong>Vicenza</strong>1957) e Paolo Damiani(Roma 1952) è tra lepiù longeve del nostro panorama musicale. Da venticinque anni lestrade del pianista e del violoncellista (e contrabbassista) si incrocianofino ad arrivare al recente, fortunato, lavoro discografico Altempo che farà. Il repertorio che propongono dimostra tutta la lorocuriosità e versat<strong>il</strong>ità musicale, comprendendo oltre le composizionioriginali anche r<strong>il</strong>etture di De André, dei Beatles, di ChicoBuarque, persino citazioni delle colonne sonore di John W<strong>il</strong>liams.La cantab<strong>il</strong>ità e l’eleganza sono da sempre, poi, <strong>il</strong> terreno in cui simuovono i loro racconti sonori.Con loro, per questa serata, un ospite di riguardo com’è <strong>il</strong> venezianoPietro Tonolo. Senz’ombra di dubbio <strong>il</strong> più noto sassofonistaitaliano all’estero, Tonolo può vantare collaborazioni con G<strong>il</strong>Evans, Steve Lacy, Joe Lovano, Steve Swallow e soprattutto conla Electric Bebop Band di Paul Motian.Dan<strong>il</strong>o Rea (ph. Beniamino Girotti)


Venerdì 14 MAGGIOTeatro Comunale - ore 21Rita Marcotulli“La femme d’à côté”Hommage à TruffautConcerto multimediale ispirato al f<strong>il</strong>m“La signora della porta accanto”L’omaggio a Truffaut, ein particolare al suoceleberrimo «La femmed’à côté», risale,da parte di Rita Marcotulli,al 1998, quando pubblicòper la Label Bleu <strong>il</strong> cd che divenne presto un caso discografico.Quale migliore occasione per riproporre quel progetto chequesta edizione del Festival, che ha per tema proprio la musica ela cultura francese.Personalità di spicco nel panorama musicale nazionale e internazionale,la pianista Rita Marcotulli è nata a Roma nel 1959.Proveniente da una solida formazione classica, si è però molto prestointeressata al <strong>Jazz</strong>. Nell’ 1987 <strong>il</strong> riconoscimento più ambito daimusicisti emergenti: la menzione di Miglior Nuovo Talento nelReferendum della rivista Musica <strong>Jazz</strong>. Il suono limpido e controllatol’ha fatta apprezzare da artisti di prima grandezza e proiettatasulla scena internazionale: Chet Baker, Peter Erskine, Steve Grossman,Joe Henderson, Joe Lovano, Charlie Mariano, Pat Metheny,Sal Nistico, Michel Portal, EnricoRava, Dewey Redman, AldoRomano, Kenny Wheeler, B<strong>il</strong>lyCobham sono solo alcune dellesue collaborazioni.Il pubblico del New Conversations<strong>Vicenza</strong> <strong>Jazz</strong> Festival,la ricorda anche per aver partecipato,nel 1996, ad unasuperba esibizione al TeatroOlimpico in un insolito trio disoli pianoforti, al fianco di PaulBley e John Taylor.39Rita Marcotulli


Venerdì 14 MAGGIO40Eli Degibri Quartetfeat. Aaron GoldbergPanic <strong>Jazz</strong> Café Trivellatoore 21.30 - Teatro AstraLa fama di Eli Degibri,sassofonista israeliano,è legata alla lunga permanenzacon <strong>il</strong> sestettodi Herbie Hancock. Fin dal 1999, ossia appena dopo <strong>il</strong> diplomaal Thelonious Monk Institute, <strong>il</strong> grande pianista lo ha voluto nellasua band. Questa fondamentale esperienza, durata tre anni, lo hasubito qualificato come una delle voci più interessanti del panoramajazzistico internazionale.Nel suo quartetto spicca la presanza di Aaron Goldberg, uno deipianisti più richiesti sulla scena newyorkese che è stato, tra gli altri,al fianco di Betty Carter, Joshua Redman, Tom Harrell, WyntonMarsalis, Kurt Rosenwinkle, Mark Turner.Eli Degibri


Sabato 15 MAGGIOGallerie di PalazzoLeoni Montanari - ore 17Nicola BabiniEnsemble PratellaQuartetto FuturistaComplice la mostra chesi tiene al LAMeC sulfuturismo dal titolo “Ladistruzione della quadratura”, l’Ensamble Pratella - diretto dalvioloncellista Nicola Babini - eseguirà musiche di FrancescoBal<strong>il</strong>la Pratella corredate da testi di Marinetti, Ginna, Russolo,Bacchelli, Pratella. Un happening in pieno st<strong>il</strong>e futurista (con tantodi panciotti riprodotti dai disegni di Giacomo Balla e FortunatoDepero, ma anche dello stesso Babini). L’occasione è data anchedal centenario della pubblicazione del primo manifesto della musicafuturista. Oltre alla musica live potremo ascoltare anche registrazionid’epoca dei famosi “Intonarumori” di Luigi Russolo, maanche proiezioni di foto d’epoca relative agli artisti e alle opere piùimportanti del Futurismo.41Teatro Olimpico - ore 21Jeff Ballard TrioJeff Ballard è da molti considerato <strong>il</strong> batterista più innovativodella scena newyorkese. Non a caso lo hanno voluto con séChick Corea (che ne determinò anzi la rapida ascesa avendolorichiesto per <strong>il</strong> suo trio nel 1999),Pat Metheny, Joshua Redman, KurtRosenwinkle, Brad Mehldau, MarkTurner (con cui codirige anche <strong>il</strong> fortunatogruppo Fly).Nato nel 1963 a Santa Cruz, in California,non ha cominciato subitocon <strong>il</strong> jazz. A venticinque anni èstato anzi chiamato da Ray Charlese per tre lunghi e intensi anni lo haJeff Ballard


Sabato 15 MAGGIOto <strong>il</strong> classico spartito di Sergei Prokofiev, del 1936, incui si narra la fiaba di “Pierino e <strong>il</strong> Lupo”, facendone unarrangiamento per orchestra <strong>Jazz</strong> - la cui esecuzionesarà affidata all’Orchestra <strong>Jazz</strong> dei Conservatori delVeneto. E ad impersonare la voce recitante sarà nientemenoche l’istrionico Elio. Stefano Belisari (questo <strong>il</strong>vero nome del leader delle “Storie Tese”) accetta conslancio la sfida di un ruolo che in passato era statoanche di Roberto Benigni. Forte di un curriculum che loha visto anche attore di teatro (nell’Opera da tre soldi ein Storia d’amore e di anarchia di Lina Wertmuller) edotato di un carisma comico innato, avrà certamentebuon gioco nel coinvolgere <strong>il</strong> pubblico dell’Olimpico.Nato a M<strong>il</strong>ano nel 1961 da genitori di origine marchigiana,<strong>il</strong> nostro ha un diploma di flauto traverso e unalaurea in ingegneria, presa però (nel 2002) più per sfizioche per necessità, visto che dagli anni novantaimperversa sulle scene italiane con <strong>il</strong> suo gruppo (fonseguitonei suoi interminab<strong>il</strong>i tour. Proprio dopo questa esperienzadecide di trasferirsi a New York e qui entra in contatto con i musicistiche ancora oggi con lui collaborano e con cui, fin dall’iniziodegli anni ’90, ha contribuito a rinnovare <strong>il</strong> linguaggio jazzistico. Inquesto concerto lo vedremo affiancato da due musicisti altrettantoinnovativi come <strong>il</strong> chitarrista Lionel Loueke e <strong>il</strong> sassofonistaMiguel Zenòn in una insolita formazione senza basso.42Elioin Pierino e <strong>il</strong> Lupocon l’Orchestra <strong>Jazz</strong>dei Conservatori del Venetodir. e arr. Roberto SpadoniElioore 21 - Teatro ComunaleLa chiusura del Festivalè quest’anno una produzioneoriginale davveroaccattivante. RobertoSpadoni ha ripensa-


Sabato 15 MAGGIOdato nel 1979) con <strong>il</strong> quale ha anche partecipato a Sanremo.L’arrangiamento pensato da Spadoni (chitarrista, arrangiatore edirettore d’orchestra) ha <strong>il</strong> pregio di rispettare i tratti distintivi dell’operaoriginale, tra cui la caratteristica assegnazione degli strumentisolisti ai personaggi della storia, riuscendo a preservare peròle peculiarità di un’orchestra jazz. Anche l’improvvisazione avràdunque un ruolo importante nell’esecuzione all’Olimpico.Panic <strong>Jazz</strong> Café TrivellatoTeatro Astra - ore 21.30Kenny Garrett QuartetL’ultimo appuntamentodel Festival, sul palcodel <strong>Jazz</strong> Caffè Trivellato,è affidato al sassofonista Kenny Garrett.Nato a Detroit nel 1960, Garrett ha esordito con l’orchestradi Mercer Ellington nel 1978, per poi passare alla MelLewis Orchestra, e alla band di Denny Richmond. Del1984 è <strong>il</strong> suo primo disco solista (Introducing KennyGarrett, per la CrissCross records), lavoro seguito da fortunatepubblicazioni per la Atlantic e la Warner.Ma la fama del sassofonista è anche legata alla sua quinquennalepartecipazione alla band di M<strong>il</strong>es Davis. Unperiodo esaltante ed intenso che ha definitivamente consacratola figura di Garrett come quella di una star di primagrandezza nella scena jazzistica mondiale.Tra i suoi lavori discografici vale la pena ricordare Pursuance:The Music of John Coltrane (Warner, 1996) chevedeva la partecipazione di Pat Metheny. Ma molte altresono le collaborazioni prestigiose che egli può vantare.La band con cui si esibisce è la sua ultima, ben rodata,formazione composta da Johnny Mercier (organohammond, tastiere); Kona Khasu (basso) e NathanWebb (batteria).Kenny Garrett43


44Django Reinhardt


Django Reinhardt:<strong>il</strong> centenariodi un artistacontemporaneodi Maurizio FrancoNella celebrazione dei “centenaridella nascita” che si susseguonoormai costantemente anche neljazz, quest’anno si festeggia quello di Django Reinhardt, <strong>il</strong> chitarristadi origine zingara, ceppo manouche, che per molti aspettirappresenta uno dei vertici della chitarra non accademica del ‘900.E’ una ricorrenza importante perché può soprattutto diventarel’occasione per accantonare finalmente i classici luoghi comunisulla figura di questo grande artista, che nella pubblicistica correntesono tuttora ben presenti nonostante nel corso dell’ultimaquindicina di anni sia stata prodotta una seria bibliografia intornoalla sua opera. I testi di studio, come spesso avviene, sono peròrimasti circoscritti a un numero limitato di lettori, principalmentestudiosi o studenti, mentre l’aneddotica, che interessa l’ambitodella comunicazione di base e quindi si ramifica con fac<strong>il</strong>ità, continuaad offrire una immagine distorta di questo musicista; immagineche va invece ricostruita attraverso l’analisi e la riflessioneculturale. E’ quanto ci proponiamo di fare in questo ricordo dellasua arte, che alla luce della scena musicale contemporanea ciappare attualissima. Non solo, ma anche tecnicamente insuperata.Proprio da questa considerazione possiamo far partire una ricostruzionedel musicista Django Reinhardt che sfugga da considerazioniormai logore; per esempio, <strong>il</strong> suo stupefacente virtuosismofu raggiunto nonostante la menomazione della mano sinistra,nella quale <strong>il</strong> terzo e quarto dito restarono seriamente offesidall’incendio scoppiato nel carrozzone nel quale viveva, ma sottoquesto aspetto suscita meraviglia più per l’handicap in sé, che perla sostanza musicale a cui dava vita. Che cosa comportasse, in45


Maurizio Franco46termini di diteggiatura e di linguaggio resta oscuro ai più, anche seoggi esiste uno studio, di Benjamin Givan, approfondito anche dalpunto di vista medico, assolutamente <strong>il</strong>luminante (1) . Anche le coloritestorie legate al suo personaggio, con tutti gli stereotipi sugenio e sregolatezza, che sono ancora oggi presenti in gran misuraquando si parla o si scrive di lui, non sono poi così diverse daquelle di molti altri musicisti di jazz e andrebbero riconsiderateanche alla luce della cultura zigana, come del resto fece, prima dialtri, Patrick W<strong>il</strong>liams (2) . Un secondo punto da mettere in luce è lascarsa considerazione per un aspetto cruciale del suo modo disuonare, cioè in quale modo esso si collochi, e con quale ruolo,all’interno della storia del jazz, nella quale generalmente vieneposto in un angolo appartato, emarginato dalle correnti principalidella musica afroamericana quando è ormai evidente la sua posizionedi anticipatore della linea jazzistica sv<strong>il</strong>uppatasi in Europa,così come l’attualità del suo pensiero se considerato alla lucedella multiculturalità del mondo odierno. Modesto r<strong>il</strong>ievo ha anchela ricerca dell’influsso da lui esercitato sui chitarristi americani,mentre quasi del tutto ignorato è lo studio del suo dinamico muoversinelle correnti st<strong>il</strong>istiche del jazz, che lo portò a seguire conpersonalità di tratto gli sv<strong>il</strong>uppi di questa musica tra gli anni ’30 e’40. In fondo, come avvenuto per Coleman Hawkins e, in manierapiù eclatante, con M<strong>il</strong>es Davis, anche Django ha saputo portarela propria personalità all’interno di contesti diversificati, trovandonel corso del tempo sia nuovi partner, sia altrettanto nuovemodalità espressive. Proprio su questi aspetti mi sembra interessantesoffermarsi, in quanto sono tra i più trascurati quando siaffronta la sua arte, riducendosi al massimo a un generico inquadramentodel chitarrista come caposcuola del cosiddetto “jazzmanouche”, cioè lo st<strong>il</strong>e legato principalmente al periodo delquintetto di corde e riprodotto in maniera più o meno f<strong>il</strong>ologica dauno stuolo di chitarristi, per lo più di origine gitana. Ripercorrendola sua vicenda artistica (tralasciando la produzione banjoisticadegli anni ’20), troviamo invece una varietà linguistica e compositivache si riflette anche negli organici dei suoi gruppi, che vanno


Django Reinhardt: <strong>il</strong> centenariodal solo alla big band e tra i quali <strong>il</strong> celebre quintetto dell’Hot Clubde France fu soltanto quello maggiormente identificab<strong>il</strong>e con lasua tradizione culturale gitana: tre chitarre, un violino e un contrabbasso.Questo gruppo di sole corde ha però segnato inmaniera indeleb<strong>il</strong>e la sua immagine, diventando <strong>il</strong> simbolo stessodell’agire artistico del chitarrista, al punto di porre in ombra gli altriaspetti della sua personalità. Infatti, per quanto importante e originale,questo gruppo non è esaustivo del suo intero mondo poetico,così come non lo sono, per esempio, la sola Cappella degliScrovegni per Giotto, le cantate per Bach o <strong>il</strong> quintetto con JohnColtrane per M<strong>il</strong>es Davis. E del resto nessuno ha mai pensato dirinchiudere questi artisti all’interno di un unico momento della lorostoria, mentre per Django questa metonimia è diventata, conpoche eccezioni, la regola, con la conseguenza di isolarlo dal piùgenerale cammino del jazz. Sebbene <strong>il</strong> gruppo di corde abbiaindubbiamente rappresentato un vertice della sua carriera musicale,gettando le fondamenta dell’idea europea di jazz, esso hafinito per diventare una comoda gabbia in cui rinchiudere, senzafarsi troppi problemi, la sua originalità artistica. Per “<strong>Jazz</strong> europeo”intendiamo naturalmente la proiezione dell’estetica jazzisticaall’interno di un contesto culturale non americano, sia sul pianodella concezione poetica, sia sotto l’aspetto dei materiali ut<strong>il</strong>izzati,e in questo senso si dovrebbe considerare la formazione legataal circolo del jazz di Parigi, ricordandosi però che é stata solo <strong>il</strong>punto di partenza, per quanto importantissimo, di un percorsoarticolato e singolare. Riguardo infatti al ruolo di Django nell’averaperto la strada a una linea europea del jazz, occorre sottolineareche quel processo fu assolutamente inconscio; o, meglio, fu <strong>il</strong>frutto non della dichiarata volontà di agire in maniera diversarispetto ai modelli americani (del resto, a quel tempo era un ragionamentoassolutamente prematuro), bensì di trovare nel jazzl’ambito ideale per esprimere la propria sensib<strong>il</strong>ità artistica e valorizzarela sua cultura d’origine. La comprensione del suo percorsoparte proprio da qui, cioè dal fatto di trovare nel jazz un terrenofert<strong>il</strong>e nel quale portare un ricco retroterra culturale, basato alme-47


Maurizio Franco48no in parte (come la musica africana americana a cui si guardava)sul concetto di audio tatt<strong>il</strong>ità. Pur mancando della scrittura, quinditrasmettendosi esclusivamente per via orale, l’espressione musicalegitana tende infatti, come <strong>il</strong> jazz, alla personalizzazione deimateriali ut<strong>il</strong>izzati attraverso processi estemporizzativi e semiimprovvisati, presentando anche un moderato grado di interplay.Inoltre, pone particolare attenzione al suono e alla ricchezza dell’articolazioneritmica, trovando così un altro ponte con <strong>il</strong> linguaggiojazzistico. Il modello di Django, ciò che gli consentì di mantenerela sua originalità e di trasformare la lingua jazz con cui venivaa contatto, non fu quindi un musicista specifico, ma <strong>il</strong> modostesso di fare musica tipico dei jazzisti, scoperto ascoltando LouisArmstrong e Duke Ellington. Il processo creativo che si attua neljazz fu dunque la chiave di volta per la sua maturazione e per <strong>il</strong> raggiungimentodella piena consapevolezza dei propri mezzi, non l’imitazionedi musicisti d’oltreoceano. Chi, del resto, avrebbe potutorealmente influenzare Django? Non certo <strong>il</strong> chitarrista EddieLang, che ascoltò con attenzione finendo con l’affermare che dalui non aveva proprio nulla da imparare. E nemmeno i mostri sacrisopra citati, la cui musica nasceva da tutt’altra radice. La prospettivadi analisi necessaria per inserire Django nel più generale quadrodel jazz degli anni ’30 e ’40, va quindi spostata nella direzionedell’analisi delle linee st<strong>il</strong>istiche ed espressive del jazz negli StatiUniti in relazione al suo modo di esprimersi in ambito europeo,non tanto per trovare delle concordanze esteriori, ma per evidenziareanalogie nei processi, nella costruzione fraseologica, nellatensione espressiva. Come sappiamo, nel jazz degli anni ’30 siassiste alla maturazione dell’invenzione improvvisata, soprattuttograzie a figure della r<strong>il</strong>evanza di Louis Armstrong, ColemanHawkins, Lester Young, Earl Hines, Teddy W<strong>il</strong>son, Art Tatum,Charlie Christian, Benny Goodman, Thomas Waller, per citare soloalcuni dei nomi più conosciuti, a cui naturalmente se ne aggiungonomolti altri. Come si colloca Django in questo panorama digrandi solisti? Dall’ascolto della sua musica, si può rispondere che<strong>il</strong> suo livello artistico, la sua ab<strong>il</strong>ità di strumentista e la sua com-


Django Reinhardt: <strong>il</strong> centenariopetenza complessiva lo pongono al più alto livello nel gruppo deipiù avanzati jazzisti americani del periodo. Lo testimonia la stimache nutrivano per lui Duke Ellington, Louis Armstrong, ColemanHawkins (che nelle jam sessions parigine finiva per lasciare lascena sempre prima di lui) e praticamente tutti i musicisti americaniche conoscevano la sua arte. Django era infatti un autenticoimprovvisatore, anzi anticipava modalità espressive che sarebberomaturate soltanto nel bebop, come dimostra la sua evolutaconcezione armonica, frutto della ricchezza della musica per banjoe fisarmonica dei musicisti zingari, che nella Francia dei primivent’anni del secolo scorso catturavano la profondità e l’originalitàche proveniva dal mondo impressionista. In tal senso, quandoscoprirà <strong>il</strong> bebop non avrà alcuna difficoltà a comprendere la naturadei suoi accordi, in quanto parte integrante di un mondo che gliapparteneva. Sul piano prettamente solistico, la sua visione dellamusica lo poneva addirittura tra gli antesignani del linguaggio dellapiena modernità; ascoltandolo si avverte che, al pari di Tatum eLester Young, la sua musica sfugge dalle rigorose simmetrie dellost<strong>il</strong>e Swing, per proporre ardite asimmetrie e un senso drammaturgicobasato sulla discontinuità, sull’imprevedib<strong>il</strong>ità del tratto,sulla irregolare lunghezza dei periodi ritmici. Ciò determina unaespressività che non ha certo <strong>il</strong> vitalistico ottimismo dello Swing,aprendo le porte a scenari emotivi differenti, animati da una sott<strong>il</strong>enevrosi esistenziale, da una foga espressionistica che annidopo avrebbe caratterizzato la nuova scena jazzistica americana.Per esempio, fu tra i primi a introdurre nell’esecuzione delle balladdelle sequenze a tempo doppio, secondo una pratica che troverànel bebop la sua definizione poetica, e che ebbe in Tatum unaltro grande anticipatore. Ma la concordanza con <strong>il</strong> mondo americano,a cui guardava dalla prospettiva unica offerta dal suo universoculturale d’origine, accompagnò <strong>il</strong> suo intero cammino. Intal senso, per quanto protagonista di una fantastica epopea, <strong>il</strong>quintetto di sole corde non poteva rappresentare l’unico ambitoespressivo per un musicista di così vasta cultura ed esperienza.Così, la seconda versione del gruppo intestato all’Hot Club de49


Maurizio Franco50France, con <strong>il</strong> clarinetto e la batteria al posto del violino e di unachitarra, rispondeva adeguatamente alla sua esigenza di trovareuna dimensione ritmica più congeniale, così come la formazionedi quartetti di stampo bebop, con piano, basso e batteria, chesegnerà gli ultimi anni della sua vita (Django morirà nel maggio del1953) si rivelerà idonea per le ultime, ormai post boppisticheesperienze con la chitarra elettrica. Proprio intorno all’uso di questostrumento, e alle sue ultime opere, la visione critica è particolarmentecarente. Per esempio, é passata inosservata l’originalitàdella dimensione timbrica delle pagine degli anni ‘50, di cuiinvece alcuni sottolinearono addirittura l’imperizia nell’uso dell’amplificatore,lasciandosi sfuggire <strong>il</strong> senso stesso della sua concezionetimbrica, nella quale <strong>il</strong> suono ottenuto veniva spessosaturato per permettergli di sv<strong>il</strong>uppare un fraseggio rotondo elegato, quasi da sassofonista, oltre a consentirgli di ottenere unsound fortemente elettrico. Un suono anticipatore del futuro dellostrumento, persino di Jimi Hendrix, se si ascoltano brani del 1953quali, ad esempio, Blues For Ike e Deccaphonie, nei quali dimostradi saper usare “l’elettricità” come un vero e proprio strumento,in fondo come faranno i maestri del jazz rock, da alcuniappunto definito jazz elettrico. Tra i due estremi del sound totalmenteacustico degli anni ’30 e di quello fortemente elettrificatodell’ultimo periodo, troviamo lavori con grandi orchestre di stampoSwing, da lui arrangiati con piglio quasi surreale, la serie dellesolistiche Improvisations, i duetti, trii e persino un bolero per unmedio ensemble cameristico, che nell’insieme costituiscono unquadro sfaccettato e ben più articolato di quello generalmenteconsiderato; comunque, ben al di la dell’ambito del jazz manouchein cui si vuole relegarlo. Il mondo di Django vive dunque dentroquello del jazz, portandovi quegli elementi europei che connotano<strong>il</strong> suo linguaggio, e sv<strong>il</strong>uppa un percorso dinamico, che leprofonde modificazioni avvenute nel corso del tempo contribuisconoa rendere interessante, mai statico e sorprendente nei suoisv<strong>il</strong>uppi; esattamente <strong>il</strong> contrario di una poetica basata su unavisone univoca, come si può fac<strong>il</strong>mente constatare ascoltando, in


Django Reinhardt: <strong>il</strong> centenariosuccessione, un brano con <strong>il</strong> quintetto di corde, un altro con <strong>il</strong>secondo quintetto, i brani con orchestra swing, quelli con <strong>il</strong> quartettobebop, completando <strong>il</strong> quadro con qualche capolavoro perchitarra sola e un paio di incontri con grandi maestri americani deljazz. Si scoprirà una varietà linguistica impressionante, l’uso distrategie improvvisative e di formule ritmico-melodiche differentia seconda del contesto e del periodo storico, nel quale sono palesisia la logica da “strumento a fiato” con cui si accosta alla chitarraelettrica, sia quella più orchestrale legata all’uso dello strumentoacustico. Vista la loro evidenza, come mai questi aspettitardano a essere compresi a livello generale? Forse per la staticitàcon la quale la pubblicistica del jazz affronta la lettura dei momentistorici di questa musica, per cui chi si forma in un determinatocontesto st<strong>il</strong>istico, vi resta confinato sino alla fine dei suoi giorni etralasciando M<strong>il</strong>es Davis o John Coltrane, sono pochi i musicistisfuggiti a questa regola. Il rapporto di Django con gli Stati Unitinon si limita però alla ricezione e rielaborazione che <strong>il</strong> chitarristafece delle linee musicali del jazz americano, ma con un processoancora oggi rarissimo, egli fu <strong>il</strong> primo, e certo <strong>il</strong> più autorevole, trai musicisti europei a esercitare un’influenza sugli artisti americani,in primo luogo su Charlie Christian. Riguardo al fatto che <strong>il</strong> musicistaafroamericano studiasse nota per nota diverse improvvisazionidi Django, credo ci siano pochi dubbi e non soltanto per latestimonianza di Mary Lou W<strong>il</strong>liams, ma perché la personalizzazionedi frasi evidentemente legate al chitarrista gitano è presentein buona parte dei pezzi di Christian. Spiace constatare cheanche eccellenti e recenti studi americani, tendono a mettere indubbio questo fatto, o a sottovalutarlo, fedeli a quel atteggiamentodi distacco e superiorità da sempre assunto dal mondo jazzisticostatunitense quando guarda quello europeo; ancora oggi, infatti,rimane una caratteristica del modo di analizzare e pensare <strong>il</strong> jazzoltreoceano. Invece, sono innumerevoli le testimonianze di chitarristiamericani (da Joe Pass a Barney Kessel sino a JohnScofield) riguardo all’influenza importante esercitata dal chitarristamanouche sulla loro formazione. Alla luce di queste considerazio-51


Maurizio Franco52ni, appare chiaro che <strong>il</strong> mondo di Reinhardt è quello del jazz vistoda una prospettiva europea, multiculturale e quindi differente daquella americana. Forse questa originalità di tratto, avvenuta inepoche lontane, quando era impensab<strong>il</strong>e muoversi in direzioninon conformi ai modelli africano americani, ha determinato la difficoltàdi collocazione di Django, paradossalmente respinto dallagrande strada maestra del jazz in quanto troppo originale. Anchein questo è stato un anticipatore, poiché la scena attuale, basatasulla multiculturalità e perciò centrifuga, sfaccettata, staccata daun mondo americano che, esso stesso, evidenzia la mancanza diuna centralità linguistica di riferimento, ci suggerisce una letturadel jazz assai diversa da quella del passato. Sino agli anni ’70 vierano infatti le “figure di riferimento”, i musicisti che rappresentavanomodelli influenti a cui ispirarsi e dai quali prendere lemosse, le personalità che delimitavano <strong>il</strong> percorso principale deljazz. Oggi la contemporaneità ci propone invece <strong>il</strong> ruolo centraledella scena europea, la frantumazione di quella americana indiversi f<strong>il</strong>oni, ormai senza guide stab<strong>il</strong>i, anche se restano ovviamentein vita i suoni storici del jazz, ma convivono con quelli diculture che non si erano mai avvicinate a questa musica e oggi,con l’immigrazione e la globalizzazione, scoprono che <strong>il</strong> jazz èun’arte capace di favorire l’integrazione, perché la sua stessaestetica nasce dall’idea di incontro tra culture e sulla relazione,cioè l’interplay che si determina nella performance tra gli uominimusicisti.Alla luce di queste considerazioni, si può meglio comprenderel’attualità del pensiero di Django, oggi più fac<strong>il</strong>e dainquadrare perché <strong>il</strong> nostro mondo musicale è finalmente in lineacon <strong>il</strong> suo, in quanto nel jazz, da almeno quarant’anni, un grannumero di musicisti, principalmente europei, hanno portato nelloro personale modo di intendere <strong>il</strong> jazz <strong>il</strong> consapevole rapportocon <strong>il</strong> proprio retroterra culturale, colto o popolare poco importa.Ma, soprattutto, c’é la presenza di artisti appartenenti ad altre culturemusicali, da loro praticate sin dall’infanzia, che si sono avvicinatial jazz esattamente come fece Django. Questa policulturalità,che costituisce <strong>il</strong> fulcro della scena attuale, non può però essere


Django Reinhardt: <strong>il</strong> centenariopienamente compresa senza cambiare <strong>il</strong> nostro modo di vedere <strong>il</strong>jazz, cioè andando oltre alle sue “sonorità tradizionali” per giungerealla pura natura estetica di questa musica, superando unavisione appiattata sull’idea di sound espressa dai suoi st<strong>il</strong>i ormaiampiamente storicizzati (che pure continuano creativamente avivere nel presente) per cercare di intendere nel profondo <strong>il</strong> sensoe <strong>il</strong> modo di fare musica tipico del jazz. Solo così potremo capirela realtà che ci circonda e, al tempo stesso, porre Django nel ruoloche gli spetta, cioè quello di un grande jazzista del suo tempocapace di farci intravedere gli scenari del futuro. Alla luce di questaanalisi, quale può essere la sua eredità? Certamente non quelladel citato jazz manouche, la cui autenticità nei confronti delmodello, unico e immutab<strong>il</strong>e, è in realtà proposizione degli st<strong>il</strong>emifraseologici ricorrenti soprattutto nella fase del quintetto di cordee di quello, successivo, con <strong>il</strong> clarinetto. Non manca di impeto,anche di sincerità di tratto, può persino essere coinvolgente ecerto è apprezzab<strong>il</strong>e per <strong>il</strong> virtuosismo, l’ab<strong>il</strong>ità dei suoi interpreti,ma resta ster<strong>il</strong>e e non coglie nel profondo la lezione del suo maestro(in questo ambito si differenzia, almeno in parte, la poetica diBireli Lagrene per la varietà del suo percorso artistico). I veri continuatorisono però altri, per esempio John McLaughlin, camaleonticoartista che ha saputo esplorare dimensioni sonore moltodiverse tra loro restando legato a un’identità espressiva semprericonoscib<strong>il</strong>e. Ma, soprattutto, quegli artisti contemporanei cheprovengono da altre culture e hanno scelto <strong>il</strong> jazz, cioè la sua estetica,quale ambito nel quale potersi esprimere compiutamente.Tra loro ci sono i veri eredi di un artista che sentiamo molto piùcontemporaneo di tanti giovani musicisti, e del quale celebrare <strong>il</strong>centenario della nascita appare davvero anacronistico. 53


Maurizio FrancoNote:1. Givan, Benjamin: The Music of Django Reinhardt, The University ofMichigan Press, Ann Arbor 2010;2. W<strong>il</strong>liams, Patrick: Django Reinhardt, Editions du Limon, Montpellier1991;54Si segnalano anche:Colombo, Roberto: Django oltre <strong>il</strong> mito – la via non americana al jazz,Erga Edizioni, Genova 2007:Fargeton, Pierre: La modernité chez Django – L’influence du be-bopsur le langage de DjangoReinhardt entre 1947 et 1953, Memoire d’Oc Editions, Aubais2005;Franco, Maurizio: Django Reinhardt – dalla chitarra gitana al jazz,Sinfonica <strong>Jazz</strong>, Brugherio 2002;


56Boris Vian


<strong>Jazz</strong> in FranciaLa culladel jazz europeodi Francesco MartinelliAnche se l’arrivo della prima jazzband “ufficiale” in Europa si può datareal 1919, con la tournée dellaOriginal Dixieland <strong>Jazz</strong> Band che suonò e incise nel VecchioContinente, artisti afroamericani che si esibivano in “coon songs”e “cakewalk” erano però già venuti in Europa, tant’è che se netrova traccia nella musica di Ravel e Debussy, tra gli altri: ad esempionel 1902 la troupe degli Elks si esibiva al Circo di Parigi in unnumero di cakewalk, e venne lì f<strong>il</strong>mata – naturalmente senza musica– dai fratelli Lumière.Tra le prime orchestre che suonavano una musica con le fondamentalicaratteristiche del jazz c’è sicuramente quella di JamesReese Europe, la cui band m<strong>il</strong>itare eseguiva già dei break solisticiimprovvisati di carattere jazzistico, e cominciava ad allentare la rigiditàritmica in direzione dello swing. La band degli Hellfighters –così erano soprannominati i fanti del battaglione di Harlem – siesibì in Francia durante la guerra e per le celebrazioni della vittoriaa Parigi in agosto, e la sua musica lasciò una traccia profonda; nell’occasioneEurope stesso rimase impressionato dalle bande m<strong>il</strong>itariafricane – delle colonie d’oltremare francesi - che aveva sentitoin Europa, e se la sua carriera non fosse stata tragicamenteinterrotta nel 1919 avrebbe potuto sv<strong>il</strong>uppare concezioni pan-africanedi portata rivoluzionaria: non va dimenticato che nel 1912Europe si era già esibito alla Carnegie Hall con le sue concezioniorchestrali del ragtime.Ma gli anni Venti sono per tutta l’Europa i veri anni della scopertadel jazz e della creatività afroamericana. Mentre però inGermania questa avventura si interrompe brutalmente con la57


Francesco Martinelli58fine della Repubblica di Weimar, in Francia continua e si intensificanegli anni Trenta, fino all’invasione tedesca e anche oltre.Dopo la Grande Guerra suonano a Parigi tra gli altri i Mitchell<strong>Jazz</strong> Kings, e Buddy G<strong>il</strong>more diventa la prima star della batteria.Gli altri generi musicali aprono un dialogo con <strong>il</strong> jazz: la chansonfrancese si modernizza, e Mistinguett lancia <strong>il</strong> brano “MonHomme” che sarà portato al successo in campo jazzistico daB<strong>il</strong>lie Holiday come “My Man”; nel campo della musica classicaJean Wiener organizza i primi concerti di jazz e musica contemporanea.Lo stesso Wiener suona al “Boeuf sur le Toit” dove sitrovano ad ascoltare jazz Ravel, Honegger e M<strong>il</strong>haud, che proprioin quegli anni scrive “La Création du Monde”, partitura dallaforte influenza jazzistica.Artisti come Josephine Baker, e prima di lei Ada “Bricktop”Smith, si trasferiscono permanentemente in Francia: la Smithnel 1928 apre un proprio night-club in cui si esibiscono i più celebrimusicisti afroamericani, e ben presto <strong>il</strong> fascino esercitato daljazz su intellettuali e artisti si fonde con la popolarità della nuovamusica da ballo, di cui la Baker diventa <strong>il</strong> simbolo. Il rapportodella cultura francese con <strong>il</strong> jazz è complesso a causa della contemporaneapresenza nel paese di immigrati dalle colonie africanee dell’esotismo dominante in letteratura e pittura. Nelcorso della prima guerra mondiale l’esercito francese comprendevaoltre 200.000 soldati di origine africana, e solo un atteggiamentopatriarcale consentiva di accettare questo contributodi vite e di sangue senza stab<strong>il</strong>ire una relazione tra uguali.Questa asimmetria si accentua con l’entusiasmo riservato adaltri africani, provenienti però dall’America: tra essi la Baker riuscìa combinare al meglio le due correnti di pensiero e diventareun simbolo nella cultura popolare francese.Ma questa tensione permane alta nella storia dei rapporti delpaese transalpino con <strong>il</strong> jazz, e viene rivelata da dettagli significativicome la citazione del colonialismo e della guerra di Algeria in duef<strong>il</strong>m francesi di interesse jazzistico prodotti in decenni diversi come“Ascenseur pour l’échafaud” (1957, Louis Malle, colonna sonora


La culla del jazz europeodi M<strong>il</strong>es Davis) e “‘Round Midnight” (1986, Bertrand Tavernier,con Dexter Gordon). Nel primo <strong>il</strong> protagonista è un ex mercenariodella Legione Straniera, mentre nel secondo <strong>il</strong> tema della guerrad’Algeria emerge nel racconto biografico di Francis, che scappadalla caserma per andare a sentire “Dale” (Gordon) e che poi vieneaiutato nelle sue ricerche negli ospedali da un’infermiera chiaramentedi origine nordafricana.Negli anni Venti la cultura francese si apre ad una seria valutazionedelle culture “altre” iniziando a criticare i valori assoluti della culturaeuropea nel campo delle arti visive e della musica: in questo processo<strong>il</strong> jazz gioca un ruolo decisivo. “New Orleans sulla Senna”:così viene definita la città che accoglie con entusiasmo la nuova efrenetica musica afroamericana, con i suoi ritmi sensuali e la suacapacità di fare a meno delle note scritte. Musicisti come RayVentura e Grégor sono i primi a suonare un jazz “francese” e l’entusiasmodegli appassionati si manifesta attraverso la creazionedello Hot Club de France, sv<strong>il</strong>uppato soprattutto grazie a HuguesPanassié e Charles Delaunay (figlio degli artisti d’avanguardiaRobert e Sonia Delaunay), la cui attività diventerà un modello pertutto <strong>il</strong> Continente. Già nel 1919 <strong>il</strong> grande direttore d’orchestraErnest Ansermet aveva scritto in francese <strong>il</strong> primo ed ancora attualearticolo approfondito sul jazz, che considerava come musicad’arte e musica del futuro, “la strada su cui tutto <strong>il</strong> mondo si incammineràdomani”. Non mancano certo in Francia personaggi capacidi attacchi retrogradi e razzisti, si arriva ad accusare <strong>il</strong> jazz di tornareaddirittura indietro a una musica “scimmiesca”, ma pittori emusicisti d’avanguardia percepiscono <strong>il</strong> jazz allo stesso tempocome ispirazione profonda dalla civ<strong>il</strong>tà africana, come le mascheree le statue che ispirano Modigliani o Picasso, e suono della modernità,delle macchine, della città moderna, aspetto questo che affascinai futuristi e i dadaisti i quali anch’essi fanno ricorso al jazz,attratti dal suo aspetto anti-sentimentale.Nello stesso tempo, accanto ai musicisti che danno <strong>il</strong> benvenutoai colleghi americani da cui sperano di imparare direttamente isegreti di questa musica, ci sono coloro che vedono minacciata la59


Francesco Martinelli60propria possib<strong>il</strong>ità di lavoro e fanno ricorso alle autorità:nel 1924 oltre venti musicisti afroamericani vengono privatidei permessi di lavoro e praticamente espulsi dalpaese dopo le proteste di una associazione di musicistifrancesi, e negli anni Trenta viene instaurata una percentualeobbligatoria di musicisti francesi da assumere per iproprietari dei night, che spesso se la cavano ingaggiandoquelli a minor costo e facendoli sedere in platea, mentrequelli americani suonano sul palco.Al dibattito viene messa fine in pratica con l’affermazionedelle prime autentiche orchestre jazz francesi che riesconoa trovare un modo “locale” di suonare jazz. Laprima è certamente quella di Grégor, un armeno naturalizzatofrancese con <strong>il</strong> senso dello spettacolo di un CabCalloway e una grande capacità organizzativa: ‘‘mimo,ballerino, cantante, sempre in movimento, capace diestrarre lamenti dalla tromba e di far piangere <strong>il</strong> violino’’.Dopo aver lavorato nel varietà, Grégor nel 1927 crea lasua big band per <strong>il</strong> Cirque de Paris, suonando in unavarietà di st<strong>il</strong>i tra cui ‘‘spagnolo, ungherese, tedesco,cubano, russo e alla fine anche francese”, <strong>il</strong> tutto mescolatosotto la precisa egida di un “jazz francese” liberatodai modelli americani come lo stesso Grégor afferma,anche se molti critici lo vedono semplicemente comeuna replica del modello inglese di Jack Hylton.Dopo Grégor è Ray Ventura con i suoi Collégians a trovareuna formula vincente, presentando versioni “jazzate”di canzoni francesi che erano già fam<strong>il</strong>iari al pubblico:mentre Grégor cercava uno “st<strong>il</strong>e” francese,Ventura presenta direttamente un repertorio di celebri“chansons”.Nelle due orchestre di Grégor e Ventura crescono iprimi solisti della scena parigina. Il clarinettista e trombettistaPh<strong>il</strong>ippe Brun inizia in piccoli caffé ed entra nell’orchestradei Gregoriens fino a quando non viene


La culla del jazz europeoingaggiato con una solida offerta economica proprio da JackHylton; molti lo considerano <strong>il</strong> primo importante solista francese,capace di assim<strong>il</strong>are non solo <strong>il</strong> linguaggio, ma anche lo spiritoe la poesia del jazz.André Ekyan impara a suonare jazz imitando i dischi americani,mentre Stéphane Mougin studia piano al Conservatorio e poi,con grande scandalo, passa al jazz. Nel 1929 nasce <strong>il</strong> primoperiodico dedicato al jazz: La Revue du <strong>Jazz</strong>, creata proprio suiniziativa di Grégor; negli anni Trenta sarà <strong>Jazz</strong>-Tango-Dancing(all’inizio <strong>Jazz</strong>-Tango) a diventare la più importante pubblicazionejazzistica; essa funziona anche da elemento di organizzazione edi coesione della comunità jazzistica, mettendo a disposizionenon solo notizie e critiche ma anche offerte di ingaggio. Aprendo<strong>il</strong> primo numero, <strong>il</strong> direttore esprime la volontà di promuovere <strong>il</strong>jazz francese e di aggiornarlo su quello che accade all’estero. Su<strong>Jazz</strong>-Tango è proprio Stéphane Mougin a porre esplicitamente <strong>il</strong>problema della “negromania” del pubblico, che automaticamentepreferisce un musicista di colore a un bianco, considerando<strong>il</strong> colore della pelle un fattore determinante nella capacitàdi suonare jazz. La rivista chiuderà nel 1936, ma uno dei suoicollaboratori sarà a capo del successivo sv<strong>il</strong>uppo del movimentojazzistico francese.Nel 1932, anno del primo concerto parigino di Louis Armstrong,<strong>Jazz</strong>-Tango annuncia la formazione dello Hot Club de France <strong>il</strong>cui obiettivo è di riunire gli appassionati che amano <strong>il</strong> jazz “hot”e di “educare <strong>il</strong> pubblico francese”. Il gruppo era nato come<strong>Jazz</strong>-Club Universitaire per iniziativa di due studenti, ElwynDirats e Jac Auxenfans, che avevano cominciato organizzandofeste da ballo per i loro compagni. Dirats e Auxenfans cercaronol’appoggio di Hugues Panassié, un appassionato di vent’anniche già collaborava a <strong>Jazz</strong>-Tango. Panassié era <strong>il</strong> figlio di un riccoingegnere del Sud della Francia e, dopo essere stato colpitodalla poliomielite da ragazzo, chiese al padre di poter studiare <strong>il</strong>sassofono. Il padre ingaggiò <strong>il</strong> sassofonista jazz ChristianWagner per dargli lezioni, e fu Wagner a fargli conoscere i dischi61


Francesco Martinelli62e i club di jazz. Panassié diventò l’alfiere dell’hot jazz, scrivendoinnumerevoli articoli, andando personalmente a conoscere imusicisti americani e cercando di convincere le etichette francesia inciderli. Nel 1934 pubblica “Le jazz hot”, <strong>il</strong> primo tentativodi sistematizzare una estetica del jazz e uno dei primissimistudi seri sul jazz a livello mondiale. Malgrado la storia dell’HotClub de France sia lunga e ramificata in molte sezioni nate nellaprovincia francese, <strong>il</strong> nome dell’organizzazione è per gli appassionatidi jazz di tutto <strong>il</strong> mondo legato al Quintetto creato con DjangoReinhardt e Stéphane Grappelli.Già nel 1933 <strong>il</strong> direttore di <strong>Jazz</strong>-Tango, Léon Fiot, aveva suggeritol’idea di una “all stars” dei musicisti francesi; in quell’anno l’HotClub al contrario comincia a sponsorizzare una Hot Club Orchestracomposta largamente di musicisti americani residenti a Parigicome Freddie Johnson, Garland W<strong>il</strong>son, Spencer W<strong>il</strong>liams, LouisCole, Arthur Briggs e Big Boy Goodie. Quando Pierre Nourry, unodei leader del club, sente parlare di un chitarrista zingaro che vivevain un carrozzone alla periferia di Parigi, subito va a cercarlo, e giànel 1934 Django comincia a suonare nei concerti dell’Hot Club:viene accolto più che altro con curiosità, anche se Jacques Bureau- scrivendo <strong>il</strong> suo nome all’americana, ‘‘Jungo’’ - scrisse: “Questochitarrista bianco (sic!) procede con piccole e strane frasi, costruitein modo bizzarro... Ora abbiamo anche a Parigi un grandeimprovvisatore”. L’idea di affidargli un gruppo nasce in un periodonel quale Reinhardt e Grappelli fanno parte della stessa orchestra,quella diretta da Louis Vola al Claridge, di cui fanno parte i migliorimusicisti francesi del momento. Un giorno Reinhardt suonava perconto suo nei camerini, e Grappelli si unì a lui in una jam sessionimprovvisata; <strong>il</strong> giorno dopo si misero a suonare insieme “Dinah”e prima Roger Chaput e poi Louis Vola si aggiunsero al gruppo.Con l’aggiunta del fratello di Django, Joseph “Nin-Nin,” e dopo unaserie di prove al club di Ada Bricktop Smith, la prima formazionedel “Quintette du Hot Club de France” diventa ufficiale, e <strong>il</strong> resto,come si dice, è storia.


La culla del jazz europeoLa Tristezza di San LuigiDopo la terrib<strong>il</strong>e sconfitta del 1940 inizia l’occupazione dellaFrancia da parte delle truppe naziste, la guerra al jazz di Hitler eGoebbels viene portata sul suolo francese. Il nazismo avevadichiarato <strong>il</strong> jazz “musica degenerata” come quella dei compositoriebrei, fossero essi classici o d’avanguardia, da Mendelssohna Mahler. Suonata su brani spesso firmati da compositoridi origine ebrea, ed eseguita da musicisti di origine africana,<strong>il</strong> jazz non poteva che essere inaccettab<strong>il</strong>e per una ideologiache si basava sulla supposta superiorità della razza “ariana”.Malgrado ciò, <strong>il</strong> nazismo ut<strong>il</strong>izzerà big band e brani swing per lapropria propaganda, e a Parigi si applica una curiosa “doppiamorale” per cui brani di jazz vengono in realtà eseguiti nei localifrequentati dagli ufficiali tedeschi, che si limitano ad applicaresolo formalmente le regole sulla proibizione. Questo consente aDjango Reinhardt, che oltre a suonare jazz è zingaro e quindiappartiene ad un’altra minoranza perseguitata dai nazisti, di continuarela sua carriera in un non fac<strong>il</strong>e equ<strong>il</strong>ibrio che lo mette adisagio e che infatti lo porta a tentare inut<strong>il</strong>mente di espatriarein Svizzera. Meno fortunato è <strong>il</strong> chitarrista Oscar Aleman, chesuona con la Baker e che Duke Ellington tenta di ingaggiare perla sua orchestra: minuto e di pelle scura, cerca di proteggereuna ragazza che m<strong>il</strong>iari nazisti tormentano per la strada, e vieneviolentemente percosso. La disavventura lo convince a tornarein Argentina. Il più celebre tema di Django, <strong>il</strong> malinconico “Nuages”rappresenta per molti un simbolo della tristezza dellaFrancia occupata, quasi un sostituto della vietata Marsigliese: èinteressante notare che negli stessi anni in Grecia un brano dallaanaloga atmosfera e sim<strong>il</strong>e anche nel titolo, “SinnefiasmeniKiriaki” (“Domenica Nuvolosa”, di Vass<strong>il</strong>i Tsitsanis) diventa unasorta di inno ufficioso della Resistenza antifascista. SecondoBoris Vian, “durante l’Occupazione, <strong>il</strong> jazz creò un mondo sott<strong>il</strong>ee segreto in cui i giovani potevano rifugiarsi”.63


Francesco Martinelli1945: lo shock del bebop64Simbolicamente la fine dell’infanzia del jazz europeo ha luogoquando Coleman Hawkins - che era da cinque anni in Europa -salpa per gli USA nel 1939, costretto a tornare in patria per fuggirealla guerra e alla minaccia nazista. Ma la sua adolescenza cominciasolo una decina d’anni dopo, quando finita la guerra gli appassionatifrancesi cominciano a ricevere di nuovo notizie e dischidall’America. Il risveglio è assai brusco: cessati i contatti al suonodelle big band dello swing, essi riprendono con i nuovi e taglientisuoni di Charlie Parker e Dizzy G<strong>il</strong>lespie. I bopper sono tra le stelledel jazz che cercano di saziare la sete di musica degli appassionatifrancesi con una serie di festival e concerti tra <strong>il</strong> 1945 e <strong>il</strong> 1948,che li presentano a fianco del jazz classico di Armstrong eEllington. La Francia, sia pure con le contraddizioni cui abbiamoaccennato, era stata tra le culture europee più ricettive al jazz, main quegli anni infuocati del dopoguerra si crea uno scisma di caratterequasi politico-religioso – qualcosa che sta tra l’Anti-Papato e lacreazione della Quarta Internazionale - tra gli appassionati di jazztradizionale, capeggiati da Hugues Panassié che ottiene l’espulsionedei dissidenti dalla Federazione degli Hot Clubs, e i modernistiguidati da Charles Delaunay e André Hodeir. In locali come <strong>il</strong>Caveau de la Huchette, aperto nel 1946 e ancora in attività, o LesLorientais, si balla a ritmo di Dixieland o Swing, a pochi isolati didistanza l’atmsofera diventa intellettuale nei club dove si ritrovanoappassionati di bebop, letterati e f<strong>il</strong>osofi: <strong>il</strong> Saint-Germain, <strong>il</strong> BlueNote, <strong>il</strong> Ringside e <strong>il</strong> Tabou. Lo scisma ripercorre quello tra appassionatidi swing e seguaci dello st<strong>il</strong>e di New Orleans che si manifestòalla fine degli anni Trenta negli USA, per poi riaccendersi conl’avvento del bebop e ricomporsi quando <strong>il</strong> jazz viene comunquescacciato dalla scena della musica popolare dopo l’avvento deicantanti e dei gruppi elettrificati. In Francia <strong>il</strong> jazz di New Orleansgode del fascino aggiuntivo dato dagli storici legami della città conla lingua e la cultura francese: i musicisti creoli enfatizzano questoelemento, e Bechet non solo canta in francese ed esegue canzo-


La culla del jazz europeoni francesi, ma recupera anche dalla sua memoria nostalgici braniin patois della Louisiana che hanno grandissimo successo.Ma l’icona di quest’epoca del jazz francese è Boris Vian, modestocome trombettista ispirato da Bix ma grande poeta, commediografoe straordinario polemista di jazz: gli strali diretti contro Panassié,da lui definito <strong>il</strong> Papa di Montauban, sono specialmente es<strong>il</strong>arantie hanno avuto una eccellente traduzione italiana. Vian dirigela rivista “<strong>Jazz</strong> News”, di risoluta impostazione modernista, esostiene Django Reinhardt. Il chitarrista tuttavia non si preoccupavacerto degli scontri tra fazioni di appassionati di jazz o delle scomunichecontro <strong>il</strong> bebop emanate dal Papa di Montauban. Quandoascoltò per la prima volta “Ko-ko” riconobbe immediatamente lastruttura di “Cherokee” ma soprattutto si preoccupò di vedersisuperato dal punto di vista tecnico: “Questi ragazzi suonano cosìveloce che non so se saprei tenergli dietro” pare abbia detto. Nellesue ultime registrazioni <strong>il</strong> chitarrista manouche conferma di essereancora più avanti di tutti: passando quasi simbolicamente la torciaa una nuova generazione di musicisti, non solo cita Monk eParker ma modifica <strong>il</strong> suono della sua chitarra adottando accorgimenti“casalinghi” per creare effetti fuzz e wa-wa, e anticipa <strong>il</strong> jazz“modale” in brani stupefacenti come “Fléche d’Or” in cui portaalle estreme conseguenze le intuizioni del bridge di “Douce Ambience”registrata nel 1943. E’ un peccato che lo straordinario successoincontrato dalle sue registrazioni degli anni Trenta con <strong>il</strong>primo Quintetto dell’Hot Club abbia oscurato <strong>il</strong> valore profetico deisuoi anni “elettrici” tra <strong>il</strong> 1946 e <strong>il</strong> 1954, anno della morte.Gli anni Cinquanta sono ricchissimi per <strong>il</strong> jazz francese come perquello americano: le figure guida del jazz revival sono ancora in attivitàe in piena forma, si riscopre <strong>il</strong> ragtime e si afferma l’esteticacool, nascono sintetizzatori e basso elettrico, inizia la produzionedell’Hammond B3 e alla fine del decennio esplode <strong>il</strong> free: tutti questielementi hanno specifiche manifestazioni nel jazz transalpino.Una nuova generazione di musicisti americani si trasferisce inFrancia, e in generale in Europa, sfruttando la possib<strong>il</strong>ità di suonarenei jazz club delle capitali europee, l’intracciab<strong>il</strong>ità dei compensi65


Francesco Martinelli66e delle prestazioni per <strong>il</strong> fisco americano, la possib<strong>il</strong>ità di assistenzamedica gratuita e di una rete di appassionati pronta a risponderea qualsiasi necessità. Qualcuno torna in Francia, dopo essercistato a combattere, per studiare al Conservatorio sfruttando le fac<strong>il</strong>itazioniriservate ai veterani, come Marshall Allen, storico sassofonistadell’Arkestra; qualcuno viene invitato per un festival ebutta via <strong>il</strong> biglietto di ritorno, come Kenny Clarke; poi arriverannoB<strong>il</strong>l Coleman, Ben Webster e Don Byas, seguiti nel 1959 da BudPowell. Il tenorista Barney W<strong>il</strong>en, b<strong>il</strong>ingue e di famiglia euro-americana,fa da ufficiale di collegamento, e ben presto i musicisti francesicominciano a recuperare <strong>il</strong> tempo perduto. René Urtregerinsieme a Kenny Clarke forma una sezione ritmica fissa, arricchitadal basso di Pierre Michelot, ex allievo di Gaston Laugerot dell’orchestradell’Opéra. Michelot, che aveva cominciato in st<strong>il</strong>e dixieland,con Sidney Bechet, e swing, con Rex Stewart, passa senzasforzo al nuovo st<strong>il</strong>e e diventa <strong>il</strong> bassista dei bopper, locali e in visita,per centinaia di serate e sedute.La nuova maturità del jazz francese viene segnalata proprio daM<strong>il</strong>es, sempre alla ricerca di nuove possib<strong>il</strong>ità espressive, cheapprofitta di una seduta improvvisata a Parigi non solo per visitarevecchie e nuove fidanzate ma anche per registrare una storicacolonna sonora per <strong>il</strong> primo f<strong>il</strong>m di Louis Malle, “Ascenseur pourl’échafaud” / “Ascensore per <strong>il</strong> patibolo”. In essa sperimenta queiconcetti di modalità “aperta” che troveranno piena applicazionedue anni dopo con “Kind of Blue”. Si tratta del primo f<strong>il</strong>m della storiadel cinema in cui <strong>il</strong> jazz non è usato come “marcatore” di unperiodo (<strong>il</strong> proibizionismo) o di una zona geografica (<strong>il</strong> Sud degliUSA) ma per esprimere una inquietudine tipica dell’uomo moderno,anzi, <strong>il</strong> che rende la cosa ancora più signficativa, di una donnabianca come Jeanne Moreau; e d’altra parte <strong>il</strong> flicorno di M<strong>il</strong>esinterpreta un “ruolo” femmin<strong>il</strong>e anche in un’altra registrazione diispirazione europea, la “Saeta” della Nina de los Peines riarrangiatada G<strong>il</strong> Evans. Grazie all’attività di etichette indipendenti come laBarclay e la Vogue Chet Baker, Stan Getz, Lee Konitz, CliffordBrown e Lucky Thompson tra gli altri registrano dischi importanti


La culla del jazz europeoa Parigi, spesso invitando musicisti francesi ad entrare nei lorogruppi; <strong>il</strong> batterista Daniel Humair e <strong>il</strong> bassista Paul Rovere creanoun’altra coppia ritmica stab<strong>il</strong>e, mentre tra i solisti è soprattuttola voce cristallina dell’alto di Hubert Fol a caratterizzarel’ambiente con un suono personale e poetico. Al termine deldecennio e all’inizio degli anni Sessanta l’ambiente jazzisticofrancese esprime gruppi di livello internazionale anche senza lapartecipazione di visitatori americani. Tra le principali personalitàdi questo periodo troviamo <strong>il</strong> pianista Martial Solal, nato adAlgeri, che si esibisce nel 1963 al Festival di Newport con TeddyKotick e Paul Motian, creando poi una sua big band dal suonostraordinariamente personale, e scrivendo musica in cui si fondono<strong>il</strong> jazz e la musica contemporanea: la sua collezione di branipianistici per studenti, intitolata “<strong>Jazz</strong> Preludes”, è considerata<strong>il</strong> Mikrokosmos del jazz.Il Maggio e <strong>il</strong> Free67Gli anni Sessanta sono un periodo di grande creatività artistica, certamentestimolata dal generale clima politico e sociale, e vedonoarrivare la rivoluzione anche in musica. Non è tanto <strong>il</strong> free jazz piùincendiario di New York a lasciare <strong>il</strong> segno a Parigi, quanto quellopiù sott<strong>il</strong>mente dadaista del contingente della AACM di Chicagoche si stab<strong>il</strong>isce in Francia alla fine degli anni Sessanta. Ma ancorprima dell’arrivo di Steve McCall, Anthony Braxton, Leo Smith,Leroy Jenkins, Roscoe Mitchell, Joseph Jarman, Lester Bowie eMalachi Favors che trovano proprio a Parigi <strong>il</strong> nome del loro gruppo- Art Ensemble of Chicago - e <strong>il</strong> loro batterista - Don Moye -Michel Portal aveva già cominciato ad abbattere muri, cercando dicollegare, malgrado le resistenze in tutti i campi, tre aree differenti:la musica folk della sua regione basca, <strong>il</strong> free jazz che pratica conFrançois Tusques e Bernard Vitet e l’avanguardia classica, nellaquale non solo è l’interprete favorito di Boulez, Stockhausen, Berioe Kagel, ma combatte per l’autonomia dell’improvvisatore proprioin occasione della registrazione per Stockausen con Vinko Glo-


Francesco Martinelli68bokar and Jean-Pierre Drouet.Con la sua Unit degli anni Settanta Portal lancia un nuovo gruppodi musicisti, spericolati, teatrali e dotati un non comune umorismo.Bernard Lubat, Henri Texier, François Jeanneau, Joachim Kühn,Jean-François Jenny-Clarke e Aldo Romano stab<strong>il</strong>iscono un dialogopartitario con i musicisti americani che visitano la Francia, el’ambiente diventa attraente anche dal punto di vista musicale:Steve Lacy si trasferisce definitivamente a Parigi, e la sua musicaha una grande influenza, come quella degli altri espatriati americanidel free Sunny Murray, Barre Ph<strong>il</strong>lips e Kent Carter.Ispirati dall’esempio dei colleghi americani e seguendo <strong>il</strong> sentierosegnalato da Portal e i suoi sodali, si muovono anche i musicistidella “provincia” come quelli che fondano a Lione <strong>il</strong> collettivo ARFI(Associazione per la Ricerca sul Folklore Immaginario) da cui emergonogruppi ancora attivi come <strong>il</strong> Workshop de Lyon e la MarmiteInfernale e voci soliste come negli anni Ottanta quella di LouisSclavis. Jean-Luc Ponty negli anni Sessanta si era mosso da unaformazione classica per arrivare al jazz elettrico con Zappa eMcLaghlin, mentre i Magma del batterista Christian Vander, anchelui proveniente dalla musica classica, cercano una sintesi tra jazz erock che avrà notevole influenza in generazioni successive. DidierLockwood e Dominique Pifarély rappresentano l’ultima ondata diviolinisti francesi, certamente tutti ispirati all’inizio da Grappelli macapaci di incorporare nella loro musica ispirazioni provienenti dallamusica etnica e dalla libera improvvisazione europea.Negli anni Ottanta emerge la personalità per molti versi unica diMichel Petrucciani, che suona con Kenny Clarke, Lee Konitz,Bernard Lubat e Aldo Romano prima di trasferirsi negli USA perentrare nel gruppo di Charles Lloyd; purtroppo <strong>il</strong> suo divoranteappetito per la musica e per la vita viene spezzato nel 1999 dallamalattia gravissima con cui Petrucciani convive da sempre, all’etàdi 37 anni.Malgrado Parigi ed in particolare <strong>il</strong> suo Conservatorio abbiano tradizionalmenteesercitato una grande attrazione sui musicisti di jazz– Charlie Parker dichiarò che gli sarebbe piaciuto passarci sei mesi


La culla del jazz europeol’anno a studiare <strong>il</strong> sassofono con Marcel Mule – la celebre istituzioneè stata anche uno dei bastioni di resistenza al jazz della culturaufficiale. Un compositore della portata innovativa di OlivierMessiaen, che introduce nell’orchestra classica <strong>il</strong> gamelan e leOndes Martenot e allo stesso tempo è titolare della cattedra diimprovvisazione organistica, è anche dichiaratamente nemico deljazz e punisce <strong>il</strong> suo allievo Lalo Schifrin quando apprende della suafrequentazione dei jazz club. La situazione non è molto cambiataquando la bassista Joëlle Léandre arriva dalla Provenza, e scopre <strong>il</strong>jazz solo grazie a un Lp (di Slam Stewart) che è l’unico disco chelei abbia mai visto con un contrabbasso in copertina. Senza avermai suonato “jazz” tra virgolette, la Léandre crea un proprio universoche del jazz assume <strong>il</strong> nomadismo musicale e <strong>il</strong> senso dell’avventura,ma che include elementi provenienti dall’opera e dall’avanguardiacontemporanea.Fisarmonicisti come Richard Galliano e organisti come EddyLouiss dal canto loro attraversano con eleganza e grande successodi pubblico le linee di confine tra <strong>il</strong> jazz, <strong>il</strong> folk, <strong>il</strong> tango e lacanzone francese, continuando così un’opera di impollinazioneincrociata che è alla radice di quanto di meglio <strong>il</strong> jazz francese hadato nella sua storia.Negli ultimi venti anni, emblematica dell’importanza e delle contraddizionidel jazz francese è la tormentata storia della ONJ.Creata nel 1986 su iniziativa governativa, l’Orchestre National de<strong>Jazz</strong> (ONJ) non è una big band nella tradizione di quelle delle radioeuropee ma un esperimento di orchestra jazzistica basata su unprogramma artistico e diretta a rotazione da vari musicisti. L’ideaera di applicare l’estetica aperta delle grandi orchestre del jazzeuropeo, dall’ICP alla Globe Unity, dalla Vienna Art Orchestra allaLondon <strong>Jazz</strong> Composers’ Orchestra, a un organico stab<strong>il</strong>e. Direttaall’inizio da François Jeanneau, lo sv<strong>il</strong>uppo della ONJ ha mostratoun approccio positivo alla diversità di possib<strong>il</strong>i impostazioni st<strong>il</strong>istiche.Una istituzione di tale importanza non poteva non essere alcentro di lotte politiche e di potere, a cui spesso è stato sacrificatol’ideale di partenza, e questo ha influito sull’altanenante valore69


Francesco Martinelli70musicale della formazione, che ora nella sua nona “incarnazione”è diretta da Daniel Yvinec. Tra i direttori hanno figurato ClaudeBarthélémy, Antoine Hervé e Didier Levallet fino agli arrangiamentidi ispirazione G<strong>il</strong> Evansiana curati da Laurent Cugny. L’unico direttorenon francese è stato l’italiano Paolo Damiani, sotto la cui guidal’orchestra ha raggiunto ottimi risultati, ospitando solisti comeGianluigi Trovesi e Anouar Brahem. Tra i talenti che l’orchestra haaiutato a valorizzare ci sono Marc Ducret, Yves Robert, Nguyên Lê,Jean-Louis Matinier, Renaud Garcia-Fons e Ramon Lopez.Malgrado le recenti crisi, e grazie a una struttura regionalizzatadei finanziamenti, <strong>il</strong> jazz francese è uno dei più aperti e vivi delContinente. Con oltre 250 jazz festival di tutti i tipi, una rete dijazz club centrata a Parigi, <strong>il</strong> jazz è inserito nelle stagioni delleCase della Cultura come delle grandi istituzioni concertistichefinanziate dallo Stato; nel 2005 vengono stimati finanziamenticentrali per 4 m<strong>il</strong>ioni di euro di cui 800.000 solo per l’OrchestreNational de <strong>Jazz</strong> (ONJ).La musica afroamericana conferma <strong>il</strong> suo status centrale nella culturad’oltralpe, e non a caso attrae anche molti musicisti italiani, dalbassista Riccardo Del Fra che dirige la sezione jazz del Conservatoriodi Parigi a Paolo Fresu o Emmanuele Cisi, che risiedonoanche nella capitale francese, dove lo Stato conferisce regolarmentela massima onorificenza – la Legion d’Onore – ai musicisti dijazz che hanno dato lustro all’estero al nome della Francia.


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George RussellChristian McBride & Ray Brown (ph. Ron Hudson)72


Breve storiadi uno strumentorinatodi Mauro BonaldoQuasi tutte le grandi conquiste nellastoria della musica afroamericananascono non solo da istintive reinvenzionidella tradizione, ma anche e da uno straordinario spirito diadattamento ad iniziali condizioni di estremo disagio, spesso fruttodi una considerevole povertà di mezzi, come accadde ad esempioquando, a Shreveport, nel 1911, durante un concerto della“Original Creole <strong>Jazz</strong> Band”, si ruppe improvvisamente l’archettodel contrabbassista B<strong>il</strong>l Johnson, costringendo <strong>il</strong> malcapitato a pizzicarecon le dita per l’intera serata le corde del suo strumento, edinducendolo così, nella sfortuna, a porre le basi per l’affermazionedi quella tecnica che di lì a poco avrebbe favorito l’unanime accettazionedel contrabbasso in ogni organico di musica jazz.“Di lì a poco” significa, storicamente parlando, circa un ventennio,periodo durante <strong>il</strong> quale ancora gli si preferiva <strong>il</strong> basso tuba, strumentosia più reperib<strong>il</strong>e che maneggevole, così come molto più“presente”, a livello acustico, in studio di registrazione. Le ragionidi questa preferenza appaiono st<strong>il</strong>isticamente ovvie anche se siconsidera <strong>il</strong> fatto che <strong>il</strong> primo jazz degno di tal nome, che avevacome terra d’incubazione la zona di New Orleans, era direttodiscendente della musica da banda e delle fanfare.Pian piano però, con <strong>il</strong> graduale declino del cosiddetto fenomeno“Dixieland” a favore di una musica sempre più moderna e megliodelineata nei suoi aspetti estetici, l’ut<strong>il</strong>izzo del contrabbasso si diffusein modo preponderante, assumendo sin dal primo istante <strong>il</strong>ruolo di perno fondamentale nella sezione ritmica di ogni organicoproduttore di jazz. Il motivo principale di tale ascesa è da ricercarsiproprio nello sv<strong>il</strong>uppo della tecnica del “pizzicato”, che diede mag-73


Mauro Bonaldo74gior funzionalità all’impulso ritmico di base, conferendo anche alsuono risultante un timbro più rotondo e scuro, meglio amalgamatoalla grancassa della batteria, sempre più chiamata secondo inuovi canoni esecutivi, a marcare quattro accenti per misura.A favorire l’avvento del contrabbasso furono proprio gli stessi suonatoridi tuba, la cui maggioranza aveva la peculiarità di ut<strong>il</strong>izzareentrambi gli strumenti. Oltre al già citato B<strong>il</strong>l Johnson è opportunoricordare anche Pete Briggs, Red Callender, B<strong>il</strong>l Taylor, BobYsaguirre e John Lindsay, che invece come primo strumento suonava<strong>il</strong> trombone.A questi primi grandi maestri si deve <strong>il</strong> primo lavoro di esplorazioneper quanto riguarda le capacità armoniche e timbriche dellostrumento, soprattutto per l’elaborazione dell’originale tecnica“slap”, basata sul tirare con forza in avanti la corda pizzicata, al finedi farla sbattere contro <strong>il</strong> manico una volta r<strong>il</strong>asciata, creando cosìun effetto percussivo supplementare alla nota suonata.I campioni dello slapping furono senza dubbio George ‘Pops’Foster e Wellman Braud, musicisti che con la loro potenza e precisionecontribuirono all’affermazione del contrabbasso nelleprime big bands, dimostrando quanto questo potesse competerecon <strong>il</strong> basso tuba anche sul piano del volume e dell’espressivitàdinamica. Furono in definitiva le concezioni melodiche di questidue a gettare le basi per l’avvento del “walking bass” dei successivianni Trenta, sv<strong>il</strong>uppato in particolar modo da bassisti quali JohnKirby e, più di tutti, Walter Page, e consistente nell’esposizionesistematica ed estemporanea di quattro note per misura seguendo<strong>il</strong> giro armonico di base. La causa più ovvia di tale evoluzione èda ricercarsi nella funzionalità che ebbe <strong>il</strong> contrabbasso in rapportoa quella nuova musica “Swing” che andava affermandosi; in conseguenzaa ciò scaturì quello che fu l’elemento più evidente dellaprima evoluzione, ovvero l’abbandono dello slap a favore di unsostegno più ag<strong>il</strong>e, incalzante ma anche morbido, meno compromettenterispetto allo st<strong>il</strong>e precedente. Con <strong>il</strong> progressivo passaggioda una musica in 2/4 ad una in 4/4, le quattro semiminime permisura iniziarono la loro ascesa, assumendo da subito la funzione


Breve storia di uno strumentodi indispensab<strong>il</strong>e metronomo e di centro gravitazionale per qualsivogliatipo di formazione jazz.Verso la fine degli anni Trenta lo sv<strong>il</strong>uppo del contrabbasso era affidatoa musicisti come M<strong>il</strong>ton Hinton, Slam Stewart, Israel Crosby,Elmer James ed <strong>il</strong> bianco Bob Haggart, giovani che non essendostati inizialmente legati al bassotuba, a differenza dei loro colleghidi poco più anziani, ebbero la possib<strong>il</strong>ità di svincolarsi da determinatist<strong>il</strong>i d’accompagnamento, iniziando così ad elaborare dei primiveri e propri modelli contrabbassistici di riferimento.E poi arrivò improvvisamente Jimmy Blanton. Con soli due anni diattività svolti nella storica orchestra di Duke Ellington, suo scopritore,a cavallo fra <strong>il</strong> 1939 ed <strong>il</strong> 1941, rivoluzionò in maniera “totale”<strong>il</strong> modo di suonare <strong>il</strong> contrabbasso. Munito di un suono che mai siera udito prima di allora, corposo e br<strong>il</strong>lante allo stesso tempo, fu<strong>il</strong> primo ad unire, per mezzo di una tecnica di gran lunga superiorerispetto agli altri bassisti del periodo, ag<strong>il</strong>ità esecutiva a robustezzaarmonica, svincolando <strong>il</strong> basso dal mero ruolo di accompagnatoresubordinato e procurandogli maggiori possib<strong>il</strong>ità di partecipazioneattiva negli organici, allo stesso livello dei fiati. Il merito indiscussoche gli spetta è quello di aver guardato non soltanto all’approvvigionamentoritmico, ma anche alla cantab<strong>il</strong>ità delle linee e dei primiveri assoli che lo strumento ricordi nella storia della musica afroamericana,apportando così una svolta radicale dal punto di vistamelodico alle mansioni del contrabbasso.Probab<strong>il</strong>mente però non molti avrebbero capito la lezione diBlanton se a spiegarla non ci fosse subito stato Oscar Pettiford,che ne proseguì <strong>il</strong> lavoro dettando a tutte le generazioni future digrandi e piccoli bassisti i nuovi parametri estetico-tecnici per l’accompagnamentoed <strong>il</strong> solismo. Fu Pettiford infatti <strong>il</strong> principale fautoredi quel classico “bassismo” jazzistico di matrice squisitamentebebop che ancora oggi viene studiato e praticato.Negli anni Quaranta si assiste infatti ad una radicale trasformazionedel <strong>Jazz</strong>: <strong>il</strong> contesto della big band, coi suoi arrangiamenti e lasua armonia prettamente “verticale”, lascia spazio a piccoli gruppidove l’orizzontalità melodica prende <strong>il</strong> sopravvento, ed <strong>il</strong> contrab-75


Mauro Bonaldo76basso si ritrovò ben presto ad essere <strong>il</strong> responsab<strong>il</strong>e unico ed indispensab<strong>il</strong>edi ciò che si può definire “esposizione armonica”. Ilnuovo modello incarnato da Pettiford doveva essere un campionedi solidità ritmica unita ad un rapido pensiero nella scelta dellenote, in grado di generare contrappunti fluidi e stab<strong>il</strong>i che facesseroperfettamente capire, in ogni momento, i cambi degli accordi.Non si può parlare di Pettiford senza citare <strong>il</strong> suo alter ego RayBrown, molto più longevo del primo ed altrettanto importante nelladefinizione del moderno vocabolario contrabbassistico, soprattuttoper quanto riguarda la possenza ritmica e l’incomparab<strong>il</strong>e espressivitàdinamica.Charles Mingus, dal canto suo, prosecutore di Pettiford così comequesto lo era stato di Blanton, è ricordato come un inimitab<strong>il</strong>eesempio di sintesi fra tradizione e nuovi linguaggi semantici; la suamusica ipnotica, ricercata, ma nondimeno diretta e coinvolgente,intrisa di una sbalorditiva capacità esecutiva, ha aperto la strada aquello straordinario fiorire di bassisti negli anni Cinquanta, sia bianchiche neri, siano questi stati alfieri del “Cool” o dell’”Hard Bop”,i due principali movimenti di metà Novecento.Fra i primi, attivi soprattutto nella West Coast californiana, si rammentanoCurtis Counce, Leroy Vinnegar, Joe Mondragon e, principalmente,Red Mitchell, mentre, per la seconda corrente si ha,oltre all’indiscusso capof<strong>il</strong>a Paul Chambers, anche Percy Heath,Doug Watkins, W<strong>il</strong>bur Ware e Jimmy Merritt.Il jazz di inizio anni Sessanta, sulla scia dei disordini sociali e politici,inerenti soprattutto alla condizione disagiata vissuta dagli afroamericani,conosce un nuovo stravolgimento, passato alla storia colnome di “Free <strong>Jazz</strong>”.La nuova leva di musicisti inizia sistematicamente ad ignorare lelinee guida dettate dall’esperienza bebop, come senso della tonalità,mantenimento ritmico di base, adeguamento armonico al circolodelle quinte: in pochi anni vengono alla ribalta contrabbassistidel calibro di Charlie Haden, Richard Davis, Gary Peacock, e, inbuona parte, ma più conforme alla tradizione tipicamente “nera”,Ron Carter, <strong>il</strong> cui lavoro al fianco di M<strong>il</strong>es Davis, dal 1963 al 1968,


Breve storia di uno strumentoresta a tutt’oggi di primissimo livello.Ma chi più d’ogni altro apportò innovazione e nuova linfa allo strumentofu senza dubbio Scott La Faro, musicista di origini calabresiche con le sue intuizioni melodiche e ritmiche condusse <strong>il</strong> contrabbassoverso la sua terza grande emancipazione, dopo quelle diBlanton e Pettiford.In brevissimo tempo, fra <strong>il</strong> 1958 ed <strong>il</strong> 1961, accanto a B<strong>il</strong>l Evans dauna parte ed a Ornette Coleman dall’altra, riscrisse le sorti dellostrumento distruggendo quella stessa tradizione da cui così distintamenteprese le mosse, conc<strong>il</strong>iando, attraverso l’elaborazione diuno st<strong>il</strong>e personale ed originalissimo, sia <strong>il</strong> ruolo “storico” delbasso che le nuove concezioni avanguardistiche e sperimentali.La Faro è stato <strong>il</strong> musicista più destab<strong>il</strong>izzante che la storia del contrabbassomoderno abbia mai conosciuto ed ancor oggi rimane unmodello tanto imitato quanto inimitab<strong>il</strong>e nello st<strong>il</strong>e e nell’approccio.Con l’avvento degli anni Settanta mutarono nuovamente le lineeguida, che si rivolsero maggiormente a tentativi di commistione fravari generi musicali provenienti da culture diverse del mondo. Nona caso fu dall’Europa a giungere una nutrita compagine di virtuosidel contrabbasso, come l’inglese Dave Holland, i cecoslovacchiMiroslav Vitous e George Mraz, <strong>il</strong> francese Henri Texier, ed <strong>il</strong> piùtecnicamente sbalorditivo, <strong>il</strong> danese Niels-Henning ØrstedPedersen.Il tipico jazz di questi prolifici anni, aperto ad ogni soluzione e adogni situazione, fu colpito in pieno anche dall’innovazione tecnologicache portò alla ribalta l’ut<strong>il</strong>izzo dell’elettricità nella musica. Conl’avvento del basso elettrico <strong>il</strong> contrabbasso fu probab<strong>il</strong>mente lostrumento che più d’ogni altro risentì di tale passo evolutivo.Inizialmente disdegnato e confinato al rhythm ‘n’ blues ed al rock,<strong>il</strong> basso elettrico entrò veementemente negli organici jazz con laprima genesi della “Fusion” e, più propriamente, con le inizialiforme del “Funk <strong>Jazz</strong>” di stampo davisiano.Le nuove esigenze estetiche che andavano via via delineandosi,stab<strong>il</strong>ite in primis dalle industrie discografiche, che vedevano nel<strong>Jazz</strong>-Rock una lauta fonte di introiti, contribuirono ad una rapida e77


Mauro Bonaldo78cap<strong>il</strong>lare diffusione dello strumento, che vide fra i suoi primi grandiesponenti Steve Swallow e Stanley Clarke, entranbi partiti dalcontrabbasso.Ma fu col fretless di Jaco Pastorius, melodicamente, e con lo slap‘attualizzato’ di Marcus M<strong>il</strong>ler, ritmicamente, che <strong>il</strong> Basso, a neppuretrent’anni dalla sua nascita, avvenuta nel 1951, ebbe la consapevolezzadelle sue sterminate potenzialità timbriche e lessicali.Dagli anni Ottanta in poi le storie di entrambi gli strumenti, nel<strong>Jazz</strong>, sono scivolate parallele, raggiungendo livelli tecnici edespressivi sempre più alti, grazie a musicisti di qualsiasi estrazionee provenienza che hanno saputo adattare lo st<strong>il</strong>e bassistico allediverse tendenze musicali in costante mutamento, ora sul contrabbasso,come Rufus Reid, o Christian Mc Bride, o come <strong>il</strong> virtuosissimoRenaud Garcia-Fons, ora sul basso elettrico, comeJeff Berlin, Victor Ba<strong>il</strong>ey, o Victor Wooten, se non addirittura suentrambi assieme, come ad esempio John Patitucci.Tutto questo cospicuo magma in cui nuotano gli st<strong>il</strong>i bassistici (enon solo) degli ultimi vent’anni, seppur di pregiatissima fattura, èancora materia incandescente dalle infinite forme e sfacettature, equindi non ancora annoverab<strong>il</strong>e sotto a quell’insegna conosciutacol nome di “Storia”; almeno fino a quando qualcuno non decideràdi fare della propria musica un appassionato veicolo ispiratore, indicandoai più una nuova avvincente strada da perseguire.


Né con te né senza di te.La signoradella porta accantodi François Truffautdi Mario CalderaleL’ostinato d’archi di GeorgesDelerue che accompagna la celebresequenza conclusiva della Signoradella porta accanto, quella della ripresa aerea che segue l’autoambulanzache trasporta i corpi senza vita di Math<strong>il</strong>de e Bernard, è digrande intensità emotiva ma anche di estrema semplicità melodica,suggello perfetto a un f<strong>il</strong>m che canta l’amour fou senza f<strong>il</strong>triintellettuali né appannamenti retorici. François Truffaut, qui purtroppoalla sua penultima opera (morirà tre anni dopo), riprende <strong>il</strong>tema forte della passione d’amore depurandola dalla “triangolarità”dei f<strong>il</strong>m precedenti - La calda amante (lui, lei, l’altra), Jules eJim (lei, lui, l’altro), Le due inglesi (lui, e le altre due) - e mettendoa nudo l’alterità assoluta della coppia prigioniera di un legame cosìimplosivo da non potersi rapportare agli altri, mariti mogli figli amiciche siano: non per v<strong>il</strong>tà o vacuità bensì per una sorta d’irreprimib<strong>il</strong>eestraneità empatica.Math<strong>il</strong>de (Fanny Ardant) e Bernard (Gérard Depardieu) si (ri)trovanofreschi dirimpettai di casa appena fuori Grenoble dopo esserestati, otto anni prima, legatissimi amanti (in)soddifatti: le lacerazionidel loro passato si sono mimetizzate nel matrimonio, torpidamenterassicurante per lei sposata a un borghese troppo condiscendente,quietamente conformista per lui con mite sposa ebiondo pargolo a fianco. Fingono di non conoscersi, ma <strong>il</strong> tourb<strong>il</strong>londei sensi ha <strong>il</strong> sopravvento sulla volontà di non rivivere una storiad’amore che ha lasciato dietro di sé soprattutto macerie interiori.Che prontamente si rigenerano crollando loro addosso in un vorticesenza riparo che si concluderà in tragedia.Come, e più, delle altre storie (d’amore e di passione) di Truffaut,79


Mario Calderale80La signora della porta accanto porta in sé le impronte ostinate delmelodramma, messo in scena però con una compostezza figurativache ne raffredda le fiamme senza spegnere <strong>il</strong> fuoco che bruciadal di dentro della coppia Math<strong>il</strong>de-Bernard: perché se, come dicelui, tutte le storie d’amore devono avere un inizio, un centro e unafine, Truffaut ci mostra solo la fine (gli ultimi sei mesi, senza mairiandare a otto anni prima), e le ultime parole di lei - né con te nésenza di te - cercano di dare un senso a quella fine. Fine che proprioi continui improvvisi svenimenti di Math<strong>il</strong>de anticipavano dietro<strong>il</strong> paravento del disturbo funzionale. L’amore, quello fou, non ènegoziab<strong>il</strong>e né fungib<strong>il</strong>e con nient’altro.Una verità da canzonette? Niente di strano, perché anche qui,come in L’uomo che amava le donne, Truffaut non teme di far direai suoi personaggi che sono proprio le canzoni a dire la verità, perché“più sono stupide più sono vere”, in quanto fatte di sentimentivivi, carnali. Sarà anche per questo che <strong>il</strong> sodalizio del regista colmusicista Delerue - cominciato con Tirate sul pianista (1960) e proseguitoquasi senza interruzione sino alla fine - si è rivelato felicissimo:<strong>il</strong> grande compositore (scomparso nel 1992) è un amantedella frase melodica accattivante, non teme la trasposizione deisentimenti in musica, in più è un ottimo orchestratore, e tende ascrivere partiture estese, mettendo <strong>il</strong> regista nelle condizioni discegliere. Insomma, non è azzardato dire che Georges Delerue dàun contributo importante alla cifra st<strong>il</strong>istica complessiva del cinemadi François Truffaut.Con La signora della porta accanto si avverte che l’arte di Delerueè giunta all’apogeo: come detto, <strong>il</strong> motivo principale si staglia su unostinato d’archi emotivamente vibrante, dalla melodia piana seppureproveniente da un discorso tematico molto elaborato, quasi <strong>il</strong>compositore dovesse scrivere una canzone sentimentale di scuolafrancese. Lo spartito sovente s’intorbida, si addensano masseminacciose di accordi da cui la melodia magari riemerge ma conpesantezza. Molto interessante è la sequenza del parcheggio sotterraneo,in cui <strong>il</strong> Delerue più cupo, in un disegno fugato emergealla fine di un dialogo sofferto tra Gérard Depardieu e Fanny


Né con te né senza di teArdant, un dialogo di una finzione insostenib<strong>il</strong>e per i due personaggi,e che viene calato in una tessitura di rumori d’ambiente.Anche se con ogni certezza <strong>il</strong> climax musicale è quello della scenafinale dell’omicidio-suicidio, quando la partitura raggiunge <strong>il</strong> puntodi massima incandescenza, ad assecondare <strong>il</strong> furore erotico dellacoppia, e poi s’interrompe allo sparo della pistola.LA SIGNORA DELLAPORTA ACCANTO(La femme d’à côté)81Regia: François Truffaut.Soggetto e Sceneggiatura:François Truffaut, Suzanne SchiffmanFotografia: W<strong>il</strong>liam Lubtchansky.Musica: Georges Delerue.Montaggio: Martine Barraqué.Interpreti:Gérard Depardieu (Bernard Coudray)Fanny Ardant (Math<strong>il</strong>de Bauchard)Henry Garcin (Ph<strong>il</strong>ippe Bauchard)Michèle Baumgartner (Arlette Coudray)Véronique S<strong>il</strong>ver (Od<strong>il</strong>e Jouve)Produzione: Les F<strong>il</strong>ms du CarrosseOrigine: Francia, 1981.Durata: 105 min.


82T-Bone Walker


Cent’anni diT-Bone Walker:un ricordodi Luciano FederighiHumor, pathos, swing, senso delracconto e dello spettacolo, finezzae veracità nella definizione di unbrano: qualità e valori di un bluesman e showman tra i più influentie versat<strong>il</strong>i del dopoguerra. Cantante meraviglioso dall’inconfondib<strong>il</strong>esound castano, dalle ombre scavate e dalla grana spessa,palpab<strong>il</strong>e, <strong>il</strong> texano Aaron Thibeaux Walker, detto “T-Bone”, hadato alla chitarra elettrica un prominente ruolo “vocale” sullascena del Rhythm & Blues: un ruolo tanto innovativo quantoessenziale. Echeggiando quello del grande Lonnie Johnson, <strong>il</strong> suosolismo dal nitore pungente e dalla elegante incisività, una combinazionefluida e dinamica di accordi, arpeggi, frasi melodiche staccatee singole note torturate con grazia, ha fatto scuola nel panoramadell’Ovest (da Gatemouth Brown a Wayne Bennett, da PeeWee Crayton a Lowell Fulsom, da Ph<strong>il</strong>lip Walker – nessuna parentela- a Albert Collins) e ha ispirato a fondo anche maestri di altrearee geografiche e st<strong>il</strong>istiche, come B.B. King e Buddy Guy, oltrea innumerevoli, br<strong>il</strong>lanti epigoni bianchi come <strong>il</strong> suo conterraneoAnson Funderburgh o Duke Rob<strong>il</strong>lard.Nato <strong>il</strong> 28 maggio del 1910 a Linden, nei pressi del confine conArkansas e Louisiana, cresciuto a Dallas e morto a Los Angeles <strong>il</strong>16 marzo del 1975, T-Bone Walker - di sangue in parte Cherokee -era radicato nella complessa tradizione rurale e cittadina del Sud-Ovest. Il suo percorso fu significativo e intrigante, sin dagli inizi nelsacro e profano del folclore texano: da bambino, come racconta lasua biografa Helen Oakley Dance, Walker aveva ascoltato lo shoutingora mesto e ora gioioso che si levava dalla chiesa pentecostale,ma anche <strong>il</strong> verace e lirico canto blues di Blind Lemon83


Luciano Federighi84Jefferson, sul cui modello, e con <strong>il</strong> rustico nom de plume di “OakCliff T-Bone”, avrebbe debuttato su disco nel 1929, con “TrinityRiver Blues”. Quindi era passato attraverso esperienze come cantante,banjoista e ballerino nel medicine show del “dottor”Breeding, nelle massacranti walkathons di cui raccontano anchesuoi contemporanei del Midwest quali Anita O’Day e FrankieLaine, nello spettacolo della popolare blues lady Ida Cox, e - comepremio per aver vinto una serata del d<strong>il</strong>ettante al Majestic Theatre- nell’orchestra di Cab Calloway. Sulla West Coast giunse neglianni Trenta, stab<strong>il</strong>endosi in quella Watts che presto – assorbendoun formidab<strong>il</strong>e flusso migratorio dagli Stati Sud-occidentali - sarebbedivenuta la Harlem dell’Ovest: e dopo le prime affermazioni inlocali come <strong>il</strong> Trocadero o lo stesso Little Harlem, T-Bone emersecome vedette dell’orchestra del sassofonista contralto Les Hite,mostrandosi vocalista blues dal tratto ormai urbano e sofisticato.Registrato a New York per la Varsity, con gli uomini di Hite, “T-Bone Blues” definì le singolari qualità di versat<strong>il</strong>e shouter/croonerdel texano. Preceduto dalla languida e riverberante chitarrahawaiiana di Frank Pasley, l’alto e r<strong>il</strong>assato baritono dai contornifumé di T-Bone Walker dava un vivido spessore e un colore pastosoal conflittuale racconto blues, riecheggiando <strong>il</strong> Leroy Carr di“How Long” ma anche gli “urlatori” di Kansas City, e in particolare<strong>il</strong> basiano Jimmy Rushing, allora nella fase più visib<strong>il</strong>e della suacarriera. Il buon successo del disco favorì <strong>il</strong> passaggio alla giovanee già dinamica etichetta hollywoodiana di Johnny Mercer, laCapitol. I classici “Mean Old World” (“I drink to keep fromworryin’, I sm<strong>il</strong>e to keep from cryin’…”) e “I Got a Break Baby”,realizzati nel 1942 con <strong>il</strong> trio di Freddie Slack, accentuano la capacitàevocativa del Walker raconteur, la sua emotività contrastata (ecerta icastica rotondità della sua scrittura), mentre introducono lasua chitarra come “voce” altrettanto caratterizzata e autorevole,dall’eloquenza tagliente. Successive registrazioni effettuate aChicago, dove <strong>il</strong> bluesman affinò le sue qualità di uomo-spettacolosul palcoscenico del Rhumboogie, creando una dialettica anchevisuale (e funambolica, danzante) con lo strumento, sottolineanoWalter Benjamin


Cent’anni di T-Bone Walkerinvece quell’eclettismo e quella sensib<strong>il</strong>ità melodica che Walkercondivideva con suoi maestri e contemporanei come Louis Jordane lo stesso Rushing: in particolare <strong>il</strong> misterioso “Evenin’” (1945),un song in minore sul quale la chitarra chiosava i chiaroscuri delcanto piazzando pochi accordi succintamente arpeggiati e un assolodal respiro essenziale e penetrante. Ma la piena <strong>il</strong>luminazionest<strong>il</strong>istica dell’artista, in simbiosi con <strong>il</strong> definitivo affermarsi del linguaggioblues postbellico nella sua fondamentale espressionetexano-californiana, avvenne attraverso le performances losangelenedel 1946-47 per la Black & White: su tempi shuffle o su pensosislow, con la cornice di archetipici, dinamici quintetti R&B gui-85


Luciano Federighi86dati da pianisti come Lloyd Glenn e W<strong>il</strong>lard McDaniel, animati dallatromba di Teddy Buckner o dal tenore di Bumps Meyers, <strong>il</strong> trentacinquenneT-Bone Walker mostra tutta l’ampiezza ritmica e varietàarchitettonica del suo improvvisare, la piena, ombreggiata maturitàdel canto, con le sue morbide curve e i suoi margini incisivi e asprigni.Il topico “Bobby Sox Blues”, con gli all stars di Jack McVea,fu <strong>il</strong> primo grande successo, un disco che nei jukebox delle cittànere si alternava ai prodigiosi hit di Louis Jordan, da “Choo ChooCh’ Boogie” a “Ain’t Nobody Here But Us Chicken”. Ma è “Call ItStormy Monday” (“…but Tuesday is just as bad:” un succintocatalogo di tormenti, oppressioni e gioie liberatorie nel corso deigiorni della settimana) che rimane l’episodio più significativo, conla sua “coolness” carica di suggestioni, le sue frasi penetranti ememorab<strong>il</strong>i, la perfetta interazione tra voce e strumento, la compostaintensità dell’interpretazione. Nelle ripetute letture di Walker(ma anche, in epoca soul, in quelle ben personalizzate di Bobby“Blue” Bland e di Benny Latimore) <strong>il</strong> brano si sarebbe impostocome lo standard per eccellenza del blues postbellico. T-Bone vantavaallora anche un gustoso aspetto di swinger e umorista,appunto à la Louis Jordan, come nella canzone AABA “She’s theNo-Sleepin’est Woman” (rimasta a lungo inedita): e rivelava unvolto di caldo e intimo balladeur, dalla f<strong>il</strong>igrana ironica, in “I’m St<strong>il</strong>lin Love with You”, con i secchi accordi di chitarra che andavano acomplementare un fraseggio canoro r<strong>il</strong>assato quanto elastico.Da quegli ultimi anni Quaranta, accompagnando l’affermazione dialtri importanti bluesman dell’Ovest che a lui facevano in qualchemodo riferimento, come l’estroso “poeta del blues”, PercyMayfield, o lo shouter Jimmy Witherspoon, T-Bone continuò adarricchire la colonna sonora dell’America nera con episodi memorab<strong>il</strong>i:“I’m Waiting For Your Call”, sempre su Black & White,“West Side Baby” e “T-Bone Shuffle”, su Comet, “The Hustle IsOn” e “Ev<strong>il</strong> Hearted Woman”, “Alimony Blues” e “Cold ColdFeeling”, tutti su Imperial – e gli ultimi due in compagnia diMaxwell Davis, sax tenore e arrangiatore, un altro prezioso ingegneredel R&B californiano. Poi, come è accaduto a tante impor-


Cent’anni di T-Bone Walkertanti figure del blues, ha cominciato a rivisitare i luoghi della propriaarte e del proprio repertorio: dall’alto, come nelle tre classiche sessionAtlantic del 1955 (a Chicago), 1956 e 1957 (a Los Angeles), diuna maturità esemplare. Raccolte nell’album T-Bone Blues, questesession lo videro liberare <strong>il</strong> suo fraseggio strumentale e <strong>il</strong> suodenso canto baritonale con arguzia e pensosa determinazione: econ quella versat<strong>il</strong>ità (in realtà una capacità di p<strong>il</strong>otare i diversi contestiespressivi, adattandoli alla propria immagine st<strong>il</strong>istica) evidentesin dalle prove con i piccoli maestri chicagoani, divisa tra l’esteticacity blues dei brani con la seconda chitarra di Jimmy Rogers(fitto è <strong>il</strong> dialogo tra i due in “Vida Lee”, qui ribattezzato “T-BoneBlues Special”) e l’armonica “parlante” del giovane Junior Wells,87


Luciano Federighi88e quella jump dei titoli con la band del sax tenore Eddie Chamblee.In questi ultimi - e particolarmente in due gioielli come “Papa Ain’tSalty” e “T-Bone Shuffle” - <strong>il</strong> cangiare di marcia e respiro della chitarra,<strong>il</strong> suo alternare toni predicatorii e accenti sferzanti, <strong>il</strong> suo fluidorispondere e chiosare, <strong>il</strong>lumina e dinamicizza <strong>il</strong> racconto liricosottolineato dal baritono con cauto sarcasmo, in quel peculiarissimoregistro ombreggiato: scuro, ma al contempo morbido e insinuante.Un colore vocale dalla profonda e incisiva sobrietà nera che dominale magistrali r<strong>il</strong>etture dei tre classici walkeriani al centro dellaprima session losangelena, con <strong>il</strong> pianoforte di Lloyd Glenn (allaguida di un trio di R&B cameristico) capace di creare con la chitarracornici di dialettica e chiaroscurale eleganza. Sul ritmo shuffledelle r<strong>il</strong>etture di “T-Bone Blues” e di “Mean Old World” (raccontodi crudeltà e solitudine, moderna proiezione di antiche tattichedi sopravvivenza degli schiavi: “Bevo per non tormentarmi, sorridoper non dover piangere / E per non far sapere al pubblico quelloche porto nella mente”) T-Bone si esprime con economia e conintensità: e nel plastico remake di “Call It Stormy Monday” le quotidianepene dell’uomo del ghetto, i suoi spassi e le sue preghiere,sono resi in un’intrigante altalena di palpiti confidenziali e pugnaciaccenti da pulpito. L’ultima session, in compagnia del grasso, ruggentee lucente tenore di Plas Johnson e della chitarra jazz diBarney Kessel, rende omaggio a Leroy Carr e a Jimmy Rushing –con un “How Long” cantato con quieta ed evocativa cupezza econ una magistrale interpretazione di quella strana, inquietante ballata,“Evenin’”. L’armonia in minore si apre e rasserena mentre neltesto “cadono le ombre” - un effetto di contrasto che Walkerasseconda con la sua notturna lettura insieme drammatica e ironica,da impareggiab<strong>il</strong>e, compassato istrione.Un istrione che avrebbe apprezzato a fondo anche <strong>il</strong> pubblico europeo,grazie alle tournée con l’American Folk Blues Festival (da unrecente DVD è emerso <strong>il</strong> fosco “Don’t Throw Your Love On Me SoStrong” di un T-Bone cauto e concentratissimo, fotografato inprimi piani che <strong>il</strong>lustrano tutta la mob<strong>il</strong>e espressività della sua


Cent’anni di T-Bone Walkermimica facciale) e alle apparizioni in diversi festival jazz tra gli anniSessanta e i primi Settanta. In quella fase declinante della sua carriera,sempre segnata, tuttavia, da una grande classe di interpretee di performer, T-Bone lasciò altre incisioni significative: I Want aLittle Girl, una session parigina del 1968, con <strong>il</strong> sax di Hal Singer,su Delmark; Bosses of the Blues, seduta “all star” dell’anno successivoper la Bluebird, con Big Joe Turner, Otis Spann, George“Harmonica” Smith; e ancora una session dal piglio funky per laBluesWay, Funky Town, e lo stesso ep<strong>il</strong>ogo su un doppio LpReprise del 1973, Very Rare – gioco di parole tra la “bistecca” delnome d’arte del bluesman, <strong>il</strong>lustrata in copertina, e la “cottura alsangue” – disco crepuscolare ma comunque incantevole per lafelice varietà di programma e arrangiamenti, da “Fever” a “Well IDone Got Over It”, e l’eccellenza dei partner, da James Booker aFathead Newman, da Charles Brown a Dizzy G<strong>il</strong>lespie. E si ritrovòpiù volte a fianco di altri veterani del panorama losangeleno. Il“Padrino del R&B”, Johnny Otis, amava raccontare della “battagliadel blues” da lui messa in scena nei primi anni Settanta inseno alla propria orchestra: protagonisti Big Joe Turner, Eddie“Cleanhead” Vinson e – appunto – T-Bone Walker, “uomini straordinari,che si amavano e rispettavano l’un altro, ma quasi perennementeubriachi fradici. I problemi iniziavano quando si entravanel vivo della competizione. Guardalo là, quant’è br<strong>il</strong>lo, mi dicevauno dei tre. E’ meglio che mi ci faccia andare ME sul palcoscenico,aggiungeva un altro. E tutti e tre si bisticciavano sempre a propositodi chi fosse <strong>il</strong> più adatto a chiudere lo show. Ma appena lospettacolo era finito, ecco che ricominciavano a ridere e a abbracciarsie a scherzare a ruota libera, come niente fosse.” 89


ColoPhonCOMUNE DI VICENZAsindacoassessore alla culturae alla progettazione e innovazione del territorioAch<strong>il</strong>le VariatiFrancesca LazzariNEW CONVERSATIONSVICENZA JAZZ 2010direzione artisticaufficio festivaldirettore settore cultura e turismoriccardo brazzaleassessorato alla cultura; levà degli angeli, 11 - vicenzaloretta simoni91tel.faxe-ma<strong>il</strong>httpcoordinamento generaleallestimenti e logisticaattività espositiveamministrazionesegreteriapromozioneufficio stampa0444 221541 - 0444 2221010444 222155vicenzajazz@comune.vicenza.it - info@vicenzajazz.orgwww.vicenzajazz.org - www.comune.vicenza.itmarianna fabrellocarlo gent<strong>il</strong>inmattia bertolinidavid cubert vidaurrestefania portinariida beggiatoannalisa moseleeleonora toscanopatrizia lorigiolaluisa mercuriomargherita bonettodiego contezelda bedindaniele cecchinidiego ferrarin


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Indice2Quindici anni di Nuove Conversazionidi Francesca Lazzari3Quindici sono fatti. Pensiamo al ventesimodi Luca Trivellato4Programma generale15Allonsanfàn. La Francia ma non solodi Riccardo Brazzale18Le schede sui protagonistia cura di Daniele Cecchini e Diego Ferrarin45Django Reinhardt: <strong>il</strong> centenariodi un artista contemporaneodi Maurizio Franco9557<strong>Jazz</strong> in Francia. La culla del jazz europeodi Francesco Martinelli73Breve storiadi uno strumento rinatodi Mauro Bonaldo79Né con te né senza di te.La signora della porta accanto di François Truffautdi Mario Calderale83Cent’anni di T-Bone Walker: un ricordodi Luciano Federighi


96finito di stampare nel mese di maggio 2010dalla cooperativa tipografica degli operai - viper la collana “I quaderni del jazz”

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