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Note di Analisi Matematica 2 - Esercizi e Dispense - Università degli ...

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Annamaria Mazzia<strong>Note</strong> <strong>di</strong> <strong>Analisi</strong> <strong>Matematica</strong> 2Università <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> <strong>di</strong> Padovacorso <strong>di</strong> laurea in Ingegneria E<strong>di</strong>le-Architetturaa.a. 2011-2012Questo lavoro è pubblicato sotto una Creative Commons Attribution-Noncommercial-No DerivativeWorks 2.5 Italy License,(http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it/)


1. Funzioni reali <strong>di</strong> più variabili1.1 Lo spazio R nDallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> funzioni reali <strong>di</strong> variabili reali f : R −→ R che alla variabile x ∈ R associa ilvalore f(x) ∈ R, passiamo a stu<strong>di</strong>are funzioni reali <strong>di</strong> più variabili: non c’è più una sola variabile xcome variabile <strong>di</strong> input della nostra funzione, ma possiamo avere due o più variabili <strong>di</strong> input mentreil valore che assume la funzione rimane un valore reale (detto anche scalare).Se (x, y) è la coppia <strong>di</strong> variabili, ciascuna delle quali varia in R, possiamo definire una funzione fche alla coppia (x, y) associa il valore f(x, y).Analogamente, data la terna <strong>di</strong> variabili reali (x, y, z), si può definire una funzione f che, incorrispondenza <strong>di</strong> (x, y, z), assume il valore reale f(x, y, z),Il <strong>di</strong>scorso si può generalizzare con una n−nupla <strong>di</strong> valori (x 1 , x 2 , . . . , x n ) introducendo unafunzione f che, per ogni n−nupla (x 1 , x 2 , . . . , x n ) associa il valore reale f(x 1 , x 2 , . . . , x n ).Introduciamo, dunque, lo spazio R n , dove n è un intero naturale, per definire lo spazio a n<strong>di</strong>mensioni.Un punto P ∈ R n è definito da una n−nupla or<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> numeri reali (x 1 , x 2 , . . . , x n ). Ciascunvalore x i , i = 1, 2, . . . , n, prende il nome <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nata i−sima del punto P . Data una funzione fdefinita in R n , possiamo scrivere f(x 1 , x 2 , . . . , x n ) o f(P ) per <strong>di</strong>re che stiamo valutando la funzionenel punto P .G Per n = 1 si ha lo spazio reale R. I punti che vi appartengono prendono anche il nome <strong>di</strong> scalari.G Per n = 2 si ha lo spazio R 2 e il generico punto è in<strong>di</strong>cato me<strong>di</strong>ante la coppia (x, y) (x prende ilnome <strong>di</strong> ascissa del punto, mentre y è l’or<strong>di</strong>nata del punto).G Per n = 3 si ha lo spazio R 3 e il generico punto è in<strong>di</strong>cato me<strong>di</strong>ante la coppia (x, y, z),rispettivamente ascissa, or<strong>di</strong>nata e quota del punto.Esempi <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> più variabili in R 2 sono:G f 1 (x, y) = x + yG f 2 (x, y) = |x| + |y|G f 3 (x, y) = (x + y) cos (x + y)Di queste funzioni è possibile fare il grafico: così come una funzione reale <strong>di</strong> una variabile reale generauna curva nello spazio R 2 una funzione reale <strong>di</strong> due variabili reali genera una superficie nello spazioR 3 .Figura 1.1: Grafici delle tre funzioni f 1 , f 2 e f 3 .1


1. FUNZIONI REALI DI PIÙ VARIABILIPer il grafico <strong>di</strong> funzioni reali <strong>di</strong> tre o più variabili reali il <strong>di</strong>scorso si complica perchè va fatto inuno spazio che ha una <strong>di</strong>mensione in più rispetto a quello <strong>di</strong> partenza (che non riusciamo quin<strong>di</strong> avisualizzare). In tal caso il grafico genera un’ipersuperficie. Esempi <strong>di</strong> funzioni reali in R 3 sono:G f 1 (x, y, z) = x 3 + xyz + y 2 + zG f 2 (x, y, z) = sin (xyz)G f 3 (x, y, z) = e x+y+z1.2 Definizioni preliminariCome per le funzioni <strong>di</strong> una sola variabile reale (funzioni scalari) sono stati definiti e analizzati iconcetti <strong>di</strong> continuità, <strong>di</strong>fferenziabilità, limite, integrale e derivata, anche per le funzioni <strong>di</strong> più variabilipossono essere fatti gli analoghi stu<strong>di</strong>.A tale scopo, dobbiamo introdurre alcune definizioni (che valgono in generale per uno spazio R nma che noi vedremo poi in particolare per gli spazi R 2 e R 3 )Definizione 1.2.1 Si definisce funzione <strong>di</strong> n variabili reali una legge che assegna un unico numero realef(x 1 , x 2 , . . . , x n ) ∈ R a ciascun punto (x 1 , x 2 , . . . , x n ) contenuto in un sottoinsieme D(f) <strong>di</strong> R n . L’insiemedei punti D(f) prende il nome <strong>di</strong> insieme <strong>di</strong> definizione o dominio della funzione f. L’insieme <strong>di</strong> tutti inumeri reali f(x 1 , x 2 , . . . , x n ) al variare dei punti nel dominio prende il nome <strong>di</strong> insieme dei valori o codominiodella f (o range, per usare il termine matematico inglese) e si denota con R(f) oppure con f(A) se il dominiodella funzione è stato in<strong>di</strong>cato con l’insieme A.Per in<strong>di</strong>care una funzione f si possono usare le seguenti scritture:f : D(f) −→ R(f) dove D(f) ⊂ R n , R(f) ⊂ Rf : A −→ B dove A ⊂ R n , B ⊂ R, f(A) ⊂ BPer funzioni <strong>di</strong> una variabile reale, è usuale in<strong>di</strong>care la funzione con la notazione y = f(x), dalmomento che il valore della funzione viene rappresentato sull’asse delle y nel piano cartesiano xy. Allastessa maniera, è usuale in<strong>di</strong>care funzioni reali <strong>di</strong> due variabili reali me<strong>di</strong>ante la notazione z = f(x, y),visto che il valore <strong>di</strong> questa funzione viene rappresentato sull’asse delle z. Per quanto riguarda ilgrafico <strong>di</strong> una funzione f in R 2 , si può dare la seguente definizione:Definizione 1.2.2 Data una funzione f : D(f) −→ R(f) in R 2 , il grafico ad essa associato è dato dall’insieme{}G(f) = (x, y, z) ∈ R 3 : (x, y) ∈ D(f), z = f(x, y)In Figura 1.2 è rappresentato il grafico <strong>di</strong> una generica funzione <strong>di</strong> due variabili reali, nello spazio R 2 .I valori della funzione sono rappresentati sull’asse delle z, dove in rosso è rappresentato l’insieme deivalori della funzione R(f), mentre sul piano xy, in blu, è rappresentato l’insieme <strong>di</strong> definizione D(f).Generalmente, il dominio <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> due variabili può essere o l’intero spazio R 2 o un suosottoinsieme (come nella Figura 1.2).A volte, il dominio <strong>di</strong> una funzione non è specificato. Come capire qual è l’insieme dei punti per iquali la funzione f esiste? Ci soffermiamo sul caso <strong>di</strong> una funzione definita in R 2 .1.2.1 Come determinare il dominio <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> due variabili?Come regola generale, se è data una funzione f(x, y) ma non vi è nessuna informazione sul dominio,allora il dominio sarà dato da tutti i punti del piano xy ad eccezione (o escludendo) quei punti (sece ne sono) nei quali la funzione non può essere definita. Sono due le situazioni in cui una funzionef non può essere definita in un punto (x 0 , y 0 ): se il valore f(x 0 , y 0 ) non è un numero reale o se lafunzione in (x 0 , y 0 ) assumerebbe valori ±∞.2


1.2. Definizioni preliminariFigura 1.2: Rappresentazione grafica <strong>di</strong> una generica funzione <strong>di</strong> due variabili reali f(x, y).Ve<strong>di</strong>amo <strong>degli</strong> esempi.Esempio 1.2.1 Sia data la funzione z = f(x, y) = x 3 + x 2 y. Questa funzione è ben definita per tutti ivalori <strong>di</strong> x e y perchè qualunque sia la coppia (x, y), la funzione assume sempre valori reali. Quin<strong>di</strong> f èdefinita in tutto R 2 .(Esempio 1.2.2 Sia ora z = f(x, y) = 5 1 − x 4 − y )per 0 ≤ x ≤ 2 e per 0 ≤ y ≤ 8 − 4x.8In tal caso la funzione è assegnata su uno specifico dominio, quin<strong>di</strong>, anche se la funzione è ben definita pertutti i valori <strong>di</strong> x e <strong>di</strong> y, il dominio in cui va stu<strong>di</strong>ata, in questo esempio, è quello dato, vale a <strong>di</strong>re perx ∈ [0, 2], e per y che varia nell’intervallo [0, 8] quando x = 0, mentre y = 0 quando x = 2. Ciò significache l’insieme <strong>di</strong> definizione è dato dal triangolo <strong>di</strong> estremi (0, 0), (0, 8) e (2, 0) (si veda Figura 1.3).Esempio 1.2.3 Ve<strong>di</strong>amo ora la funzione z = f(x, y) = √ 16 − x 2 − y 2 .Questa funzione è ben definita solo quando l’espressione sotto ra<strong>di</strong>ce è non negativa. Perciò il suo dominio èdato dai punti (x,y) che sod<strong>di</strong>sfano la con<strong>di</strong>zione16 − x 2 − y 2 ≥ 0 ⇐⇒ x 2 + y 2 ≤ 16Questa con<strong>di</strong>zione definisce il dominio: si tratta del cerchio <strong>di</strong> centro l’origine e raggio 4 nel piano xy.Infatti √ x 2 + y 2 è la definizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> un punto (x, y) dall’origine del piano, da cui la con<strong>di</strong>zionex 2 + y 2 ≤ 16 è equivalente a √ x 2 + y 2 ≤ 4 ovvero l’insieme dei punti la cui <strong>di</strong>stanza dall’origine è minoreo uguale a 4, vale a <strong>di</strong>re il cerchio <strong>di</strong> centro l’origine e raggio 4. Il grafico <strong>di</strong> questa funzione è una semisferanel semipiano per z ≥ 0.3


1. FUNZIONI REALI DI PIÙ VARIABILI(Figura 1.3: Grafico della funzione z = f(x, y) = 5 1 − x 4 − y ).8Esempio 1.2.4 Sia z = f(x, y) = 10 . In tal caso, il dominio non è specificato ma ci accorgiamo subitox − yche la funzione, per essere definita, deve avere il denominatore <strong>di</strong>verso da zero. Quin<strong>di</strong> la funzione non èdefinita per x = y. Il dominio della f è dunque tutto il piano xy privato della retta x = y.Per poter andare avanti nello stu<strong>di</strong>o delle funzioni, dobbiamo riprendere o generalizzare altriconcetti <strong>di</strong> base. Incominciamo dai vettori.1.2.2 Sui vettoriUn punto P ∈ R n può essere visto anche come vettore <strong>di</strong> R n . Abbiamo infatti la seguentedefinizioneDefinizione 1.2.3 Un vettore <strong>di</strong> R n è un’n−nupla or<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> numeri reali.Un vettore lo si in<strong>di</strong>ca me<strong>di</strong>ante il simbolo ⃗x. Quin<strong>di</strong> ⃗x è definito me<strong>di</strong>ante (x 1 , x 2 , . . . , x n ).Una funzione che generalizza ai vettori il valore assoluto <strong>di</strong> un numero reale prende il nome <strong>di</strong> norma.Esistono <strong>di</strong>versi tipi <strong>di</strong> norme. Noi consideriamo la norma euclidea e la chiameremo brevementenorma o modulo. Abbiamo la seguente definizione.Definizione 1.2.4 Dato un vettore ⃗x ∈ R n , si definisce modulo (o norma euclidea <strong>di</strong> ⃗x) la quantità scalare datada∑|⃗x| = √ n (x i ) 2i=1(con il simbolo ∑ ni=1 (x i) 2 in<strong>di</strong>chiamo la somma (x 1 ) 2 + (x 2 ) 2 + . . . (x n ) 2 ).Definizione 1.2.5 Dati due vettori ⃗x e ⃗y in R n si definisce <strong>di</strong>stanza tra i due vettori la quantità |⃗x − ⃗y|.4


1.2. Definizioni preliminariFigura 1.4: Distanza tra due vettori ⃗p e ⃗q o <strong>di</strong>stanza tra due punti P e Q.Geometricamente, la <strong>di</strong>stanza tra due vettori non è altro che la <strong>di</strong>stanza euclidea tra due punti.Esempio 1.2.5 Siano dati i due vettori ⃗p = (7, 1) e ⃗q = (3, 4). La <strong>di</strong>stanza tra i due vettori è data da|⃗p − ⃗q| = √ (7 − 3) 2 + (1 − 4) 2 = √ 16 + 9 = √ 25 = 5Se ve<strong>di</strong>amo i due vettori come i punti del piano P e Q che hanno coor<strong>di</strong>nate rispettivamente (7, 1) e (3, 4)e vogliamo calcolare la <strong>di</strong>stanza tra i due punti, dobbiamo applicare esattamente la stessa formula (si vedaFigura 1.4).Quin<strong>di</strong> due punti nello spazio R n possono essere visti come vettori e viceversa. Di conseguenza, inR 2 o R 3 , quella che per noi è la <strong>di</strong>stanza tra due punti P e Q, e che ricaviamo applicando il teorema <strong>di</strong>Pitagora, può essere vista come la <strong>di</strong>stanza tra i due vettori.Presi due punti P e Q in R n possiamo fare P + Q o P − Q considerandoli come vettori e quin<strong>di</strong>sommando o facendo la <strong>di</strong>fferenza delle componenti omonime dei punti-vettori. Tutte le operazioniche possiamo fare tra vettori si ripetono tra punti.Esempio 1.2.6 Siano dati i due punti <strong>di</strong> R n , P (p 1 , p 2 , . . . , p n ) e Q(q 1 , q 2 , . . . , q n ) (usiamo questa notazioneper rappresentare il punto P (o Q) <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (p 1 , p 2 , . . . , p n ) (o (q 1 , q 2 , . . . , q n )). Allora il punto P + Qha componenti (p 1 +q 1 , p 2 +q 2 , . . . , p n +q n ), mentre il punto P −Q è dato da (p 1 −q 1 , p 2 −q 2 , . . . , p n −q n ).Dato uno scalare α, il punto αP è dato da (αp 1 , αp 2 , . . . , αp n ).Si veda Figura 1.5 per vedere l’interpretazione geometrica lavorando tra vettori.Definizione 1.2.6 Dati due vettori ⃗x e ⃗y, si definisce prodotto scalare tra i due vettori il numero reale in<strong>di</strong>catocon il simbolo ⃗x · ⃗y dato dan∑⃗x · ⃗y = x i y ii=15


1. FUNZIONI REALI DI PIÙ VARIABILIFigura 1.5: A sinistra: somma e <strong>di</strong>fferenza tra punti in R 2 . A destra: prodotto <strong>di</strong> uno scalare per unpunto. I vettori αQ, βQ, γQ e δQ sono messi sfalsati per ragioni pratiche <strong>di</strong> visibilità ma sono sullastessa linea.Figura 1.6: Intervallo aperto ]a 1 , a 2 ]×]b 1 , b 2 [1.2.3 Intorno <strong>di</strong> un punto, insieme aperto, chiuso, frontiera...Definizione 1.2.7 Dati due punti <strong>di</strong> R n , A (a 1 , a 2 , . . . , a n ) e B (b 1 , b 2 , . . . , b n ), con a i < b i (per i =1, 2, . . . , n), si definisce intervallo aperto <strong>di</strong> R n <strong>di</strong> vertici A e B l’insieme dato daT = {P ∈ R n <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (x 1 , x 2 , . . . , x n ) t. c. a i < x i < b i , i = 1, 2, . . . , n}In R 2 un intervallo aperto <strong>di</strong> vertici A e B è dato dal rettangolo i cui punti (x, y) sono presi, rispettivamente,negli intervalli aperti ]a 1 , a 2 [ e ]b 1 , b 2 ], che possiamo in<strong>di</strong>care come ]a 1 , a 2 ]×]b 1 , b 2 [ (si vedaFigura 1.6)Definizione 1.2.8 I ⊂ R n si definisce insieme limitato <strong>di</strong> R n se esiste un intervallo aperto che lo contiene.Passiamo ora a considerare l’intorno <strong>di</strong> un punto. In R sappiamo che vale la seguente definizione.Definizione 1.2.9 Dato x 0 ∈ R e ɛ > 0, l’insieme dei punti x sull’asse reale che hanno <strong>di</strong>stanza da x 0 minore<strong>di</strong> ɛ è un intervallo aperto <strong>di</strong> centro x 0 e raggio ɛ che prende il nome <strong>di</strong> intorno <strong>di</strong> x 0 . Se in<strong>di</strong>chiamo con A ɛ (x 0 )questo insieme, possiamo <strong>di</strong>re che6A ɛ (x 0 ) = {x ∈ R : |x − x 0 | < ɛ}


1.2. Definizioni preliminariFigura 1.7: Esempio <strong>di</strong> insieme limitato in R 2 .Generalizziamo questa definizione in R n .Definizione 1.2.10 Dato P 0 ∈ R n e ɛ > 0, l’insieme dei punti P <strong>di</strong> R n che hanno <strong>di</strong>stanza da P 0 minore <strong>di</strong> ɛprende il nome <strong>di</strong> intorno circolare <strong>di</strong> centro P 0 e raggio ɛ.In<strong>di</strong>chiamo con A ɛ (P 0 ) questo insieme, possiamo <strong>di</strong>re cheA ɛ (P 0 ) = {P ∈ R n : |P − P 0 | < ɛ}G In R 2 , considerando P 0 (x 0 , y 0 ), e il generico punto P (x, y) si ha{A ɛ (P 0 ) = P (x, y) ∈ R 2 : √ }(x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 < ɛOsserviamo che l’equazione(x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 = ɛ 2rappresenta l’equazione <strong>di</strong> una circonferenza <strong>di</strong> centro il punto (x 0 , y 0 ) e raggio ɛ. Quin<strong>di</strong> l’intorno<strong>di</strong> (x 0 , y 0 ) è dato da tutti i punti contenuti all’interno della circonferenza (nel cerchio), manon i punti che si trovano sulla circonferenza.G In R 3 , preso P 0 (x 0 , y 0 , z 0 ) e considerato P (x, y, z) il generico punto <strong>di</strong> R 3 , si ha{A ɛ (P 0 ) = P (x, y, z) ∈ R 3 : √ }(x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 + (z − z 0 ) 2 < ɛDal momento che l’equazione(x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 + (−z 0 ) 2 = ɛ 2rappresenta l’equazione della sfera <strong>di</strong> centro P 0 e raggio ɛ, l’intorno <strong>di</strong> P 0 è dato da tutti i puntiche si trovano all’interno della sfera ma non sulla superficie della sfera.Ve<strong>di</strong>amo ora altre definizioni che saranno utili nel seguito.Definizione 1.2.11 Dato I ⊂ R n :G Diremo che un punto P 0 ∈ R n è un punto <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I se ogni intorno <strong>di</strong> P 0 contiene almeno unpunto <strong>di</strong> I e un punto che non appartiene a I.G Diremo che un punto P 0 ∈ R n è un punto interno <strong>di</strong> I se esiste un intorno <strong>di</strong> P 0 tutto contenuto in I.7


1. FUNZIONI REALI DI PIÙ VARIABILIFigura 1.8: Esempio in R 2 <strong>di</strong> punti interni, <strong>di</strong> frontiera, <strong>di</strong> intorno <strong>di</strong> un punto.G Diremo che I è un insieme chiuso se ciascun punto <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I appartiene a I.G Diremo che I è un insieme aperto se nessun punto <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I appartiene a I.G L’insieme interno <strong>di</strong> I è l’insieme dei punti interni <strong>di</strong> I che non sono <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I.G L’insieme <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I è l’insieme <strong>di</strong> tutti i punti <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I.G L’insieme esterno <strong>di</strong> I è l’insieme dei punti che non sono <strong>di</strong> I e che non sono <strong>di</strong> frontiera <strong>di</strong> I.Definizione 1.2.12 Dato I ⊂ R n :G Diremo che P 0 ∈ R n è punto <strong>di</strong> accumulazione <strong>di</strong> I se per ogni intorno <strong>di</strong> P 0 ci sono infiniti punti cheappartengono a I.G Diremo che P 0 ∈ I è punto isolato <strong>di</strong> I se non è punto <strong>di</strong> accumulazione per I.Esempi:G L’intorno circolare <strong>di</strong> un punto P 0 , A ɛ (P 0 ) è un insieme aperto perchè nessun punto dellafrontiera appartiene ad esso.G L’insieme che denotiamo con il simbolo C ɛ (P 0 ), dato daC ɛ (P 0 ) = {P ∈ R n : |P − P 0 | ≤ ɛ}è un insieme chiuso perchè ciascun punto della frontiera appartiene ad esso.G Gli insiemi R n e ∅ sono sia insiemi chiusi sia insiemi vuoti per convenzione.Definizione 1.2.13 Dato un insieme I ⊂ R n si definisce chiusura <strong>di</strong> I l’insieme formato dall’unione <strong>di</strong> I edella sua frontiera.Ad esempio, l’insieme C ɛ (P 0 ) rappresenta la chiusura <strong>di</strong> A ɛ (P 0 ).Definizione 1.2.14 Se I ⊂ R n è chiuso e limitato, esso si <strong>di</strong>ce compatto.8


2. Limiti, continuità, <strong>di</strong>fferenziabilità <strong>di</strong> funzioni<strong>di</strong> più variabili2.1 Limite <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> più variabiliIl concetto <strong>di</strong> limite <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> più variabili è molto simile a quello per funzioni <strong>di</strong> una solavariabile.Consideriamo una funzione <strong>di</strong> due variabili, f(x, y). Diciamo che il limite della funzione f(x, y) èL per (x, y) che tende a (x 0 , y 0 ) e scriviamolim f(x, y) = L(x,y)→(x 0,y 0)se tutti i punti <strong>di</strong> un qualunque intorno <strong>di</strong> (x 0 , y 0 ) (senza considerare il punto (x 0 , y 0 )) appartengonoal dominio della funzione e se f(x, y) tende a L quando (x, y) tende a (x 0 , y 0 ). Più vicino è il punto(x, y) a (x 0 , y 0 ), più il valore della funzione tende al valore del limite.Formalmente, la definizione è la seguente.Definizione 2.1.1 Siano dati una funzione f : I −→ R, con I ⊂ R 2 , il punto P 0 (x 0 , y 0 ), punto <strong>di</strong>accumulazione per I, e L ∈ R, allora <strong>di</strong>ciamo chelim f(x, y) = L(x,y)→(x 0,y 0)se:G ciascun intorno <strong>di</strong> P 0 contiene punti del dominio <strong>di</strong> definizione della f (unica eccezione può essere datadal punto P 0 )G se e solo se, per ogni numero ɛ > 0, esiste un altro numero δ > 0 tale chese 0 < √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 < δ allora |f(x, y) − L| < ɛqualunque sia il punto P (x, y) ∈ I.Dalla definizione segue che, qualunque sia il valore <strong>di</strong> ɛ piccolo a piacere, è possibile trovare un intornoA δ (P 0 ) tale che per ogni punto in questo intorno <strong>di</strong>verso da P 0 (0 < √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 < δ), valela relazione |f(x, y) − L| < ɛ, cioè il valore f(x, y) si trova in un intorno <strong>di</strong> L <strong>di</strong> raggio ɛ.La definizione <strong>di</strong> limite per funzioni <strong>di</strong> due variabili si estende facilmente a funzioni <strong>di</strong> piùvariabili.Definizione 2.1.2 Siano dati una funzione f : I −→ R, con I ⊂ R n , il punto P 0 (x 1 , x 2 , . . . , x n ), punto <strong>di</strong>accumulazione per I, e L ∈ R, allora <strong>di</strong>ciamo chelim f(P ) = LP →P 0se:G ciascun intorno <strong>di</strong> P 0 contiene punti del dominio <strong>di</strong> definizione della f (unica eccezione può essere datadal punto P 0 )G se e solo se, per ogni numero ɛ > 0, esiste un altro numero δ > 0 tale chese 0 < |P − P 0 | < δ allora |f(P ) − L| < ɛqualunque sia il punto P ∈ I.9


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILIIl limite <strong>di</strong> una funzione può valere anche ±∞ e si può anche parlare <strong>di</strong> limite per P che tende ainfinito.Definizione 2.1.3 Data f : I −→ R, con I ⊂ R n e dato il punto P 0 <strong>di</strong> accumulazione per I si haG lim P →P0 f(P ) = +∞ se per ogni valore M > 0, esiste δ > 0 tale chese 0 < |P − P 0 | < δ allora f(P ) > MG lim P →P0 f(P ) = −∞ se per ogni valore M > 0, esiste δ > 0 tale chese 0 < |P − P 0 | < δ allora f(P ) < −MG lim P →∞ f(P ) = L se per ogni valore ɛ > 0, esiste M > 0 tale chese |P | > M allora |f(P ) − L| < ɛAlcune regole sui limiti che già conosciamo dalle funzioni scalari si estendono facilmente ai limiti <strong>di</strong>funzioni <strong>di</strong> più variabili. Ad esempio, date due funzioni f e g, se lim P →P0 f(P ) = L e lim P →P0 g(P ) =M con L, M ∈ R, si haG lim P →P0 f(P ) ± lim P →P0 g(P ) = L ± MG lim P →P0 f(P )g(P ) = LMf(P )G lim P →P0g(P ) = L (questo si ha se M ≠ 0).MAnche per funzioni <strong>di</strong> più variabili vale il teorema del confronto (noto anche come teorema deicarabinieri in italiano o squeeze theorem in inglese)Teorema 2.1.1 Se f(x, y) ≤ g(x, y) ≤ h(x, y) per (x, y) in un intorno <strong>di</strong> (x 0 , y 0 ) e se valelim f(x, y) = lim g(x, y) = L(x,y)→(x 0,y 0) (x,y)→(x 0,y 0)allora anchelim g(x, y) = L.(x,y)→(x 0,y 0)Osserviamo adesso alcuni punti importanti:G Se esiste il limite <strong>di</strong> una funzione per P che tende a un punto P 0 , questo limite è unico.G Per funzioni <strong>di</strong> una sola variabile f(x), l’esistenza del limite lim x→x0 f(x) implica che la funzionesi avvicina allo stesso numero finito per x che si avvicina a x 0 sia da sinistra sia da destra.G Per funzioni <strong>di</strong> due variabili (e il <strong>di</strong>scorso vale in maniera del tutto analogo anche per funzioni <strong>di</strong>tre e più variabili), il limite lim (x,y)→(x0,y 0) f(x, y) = L esiste solo se f(x, y) tende allo stesso numeroL qualunque sia il percorso che fa (x, y) per avvicinarsi a (x 0 , y 0 ) nel piano cartesiano. Ciòsignifica che (x, y) può avvicinarsi a (x 0 , y 0 ) lungo qualunque curva che possiamo in<strong>di</strong>viduarenel piano xy e il limite deve valere sempre L (si veda Figura 2.1).Abbiamo perciò la seguente proposizioneProposizione 2.1.1 Data f : I −→ R, I ⊂ R 2 , e dato P 0 punto <strong>di</strong> accumulazione per I, se esiste il limitelim (x,y)→(x0,y 0) f(x, y) e tale limite vale L numero reale, allora lo stesso limite si deve avere per P che tende aP 0 su qualunque sottoinsieme <strong>di</strong> I che ha P 0 come punto <strong>di</strong> accumulazione.Al contrario, se esistono anche solo due sottoinsiemi <strong>di</strong> I in cui esiste il limite della f per P che tendea P 0 , ma il valore del limite nei due sottoinsiemi non è lo stesso, allora non può esistere il limite dellafunzione sull’insieme I <strong>di</strong> partenza (proprio in virtù della proposizione precedente).Ve<strong>di</strong>amo <strong>degli</strong> esempi <strong>di</strong> calcolo del limite <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili.10


2.1. Limite <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> più variabiliFigura 2.1: Percorsi che possono essere fatti da (x, y) per tendere a (x 0 , y 0 ).Esempio 2.1.1 Consideriamo i seguenti limiti:lim(x,y)→(2,2) 3x − y2 =?lim(x,y)→(3,4) xy2 + x 2 y =?In tutti questi esempi il limite esiste e coincide con il valore della funzione nel punto <strong>di</strong> limite:lim(x,y)→(2,2) 3x − y2 = 6 − 4 = 2lim(x,y)→(3,4) xy2 + x 2 y = 48 + 36 = 84Per la prima funzione il risultato è banale perchè la funzione la possiamo vedere come somma <strong>di</strong> due funzioniscalari per le quali sappiamo calcolare facilmente il limite. La seconda funzione è data dalla somma <strong>di</strong> duefunzioni, ciascuna delle quali può essere vista come il prodotto <strong>di</strong> una funzione nella sola variabile x e <strong>di</strong> unafunzione nella sola variabile y. Quin<strong>di</strong> calcoliamo il limite <strong>di</strong> queste funzioni, applichiamo la regola sul limite<strong>di</strong> prodotto <strong>di</strong> funzioni e otteniamo il risultato.3xyEsempio 2.1.2 Consideriamo ora lim (x,y)→(0,0)x 2 + y 2 .Questo limite non esiste perchè si trovano facilmente due strade <strong>di</strong>verse per fare tendere il punto (x, y) a(0, 0) attraverso le quali otteniamo due valori <strong>di</strong>versi del limite.Pren<strong>di</strong>amo il punto (x, y) sulla retta y = kx con k numero reale arbritrario, <strong>di</strong>verso da zero. Facciamotendere dunque (x, kx) al punto (0, 0). Il limite <strong>di</strong>venta3xkxlim(x,kx)→(0,0) x 2 + (kx) 2 = lim(x,kx)→(0,0)3kx 2x 2 + k 2 x 2 =2k1 + k 2 11


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILIQuesto valore del limite, che abbiamo ottenuto facilmente in quanto la funzione si è ridotta a funzione dellasola variabile x, <strong>di</strong>pende da k, e quin<strong>di</strong> cambia al cambiare <strong>di</strong> k. Ciò significa che la funzione non può averelimite per (x, y) → 0.Osserviamo che la funzione data è un esempio <strong>di</strong> funzione che non è definita nel punto (0, 0) in quantof(0, 0) = 0/0 è una forma indeterminata.8xy 2Esempio 2.1.3 Stu<strong>di</strong>amo ora lim (x,y)→(0,0)x 2 + y 4 .Anche questa funzione è indeterminata in (0, 0).Proviamo a calcolare il limite sulle rette y = kx con k ∈ R, k ≠ 0. Otteniamolim(x,kx)→(0,0)8k 2 x 3x 2 + k 4 x 4 = limx→08k 2 x1 + k 2 x 2 = 0Questo limite non <strong>di</strong>pende dunque dalla retta, in quanto non <strong>di</strong>pende da k. Ci verrebbe da concludere cheallora il limite esiste e vale 0. Ma la risposta non sarebbe corretta perchè con le rette non abbiamo esauritotutti i percorsi che può fare il punto per avvicinarsi a (0, 0).Proviamo ad avvicinarci a (0, 0) lungo la parabola x = ky 2 In tal caso abbiamo8ky 4lim(ky 2 ,y)→(0,0) k 2 y 4 + y 4 = 8kk 2 + 1In questo caso, il limite <strong>di</strong>pende dalla curva x = ky 2 e il valore non è più 0 ma cambia al cambiare <strong>di</strong> k.Quin<strong>di</strong> il limite non esiste.Esempio 2.1.4 Proviamo invece che4x 2 ylim(x,y)→(0,0) x 2 + y 2 = 0In tal caso, non conviene scegliere particolari curve per mostrare che il limite vale 0 perchè dovremmo <strong>di</strong>mostrareche qualunque sia il cammino per avvicinarsi a (0, 0) il limite è sempre quello e, quin<strong>di</strong>, dovremmolavorare su infiniti percorsi! In tal caso, dobbiamo applicare la definizione <strong>di</strong> limite.Ora, poichè x 2 ≤ x 2 +y 2 x 2si hax 2 + y 2 ≤ 1, mentre da y2 ≤ x 2 +y 2 , ricaviamo |y| ≤ √ x 2 + y 2 . Possiamodunque <strong>di</strong>re che4x 2 y|x 2 + y 2 − 0| = | 4x 2 yx 2 + y 2 | ≤ |4y| ≤ 4√ x 2 + y 2Dalla definizione <strong>di</strong> limite, preso ɛ > 0, dobbiamo provare che esiste δ > 0 tale che per 0 < √ x 2 + y 2 < δ,4x 2 yrisulta |x 2 − 0| < ɛ.+ y2 Se scegliamo δ = ɛ/4, abbiamo:4x 2 y|x 2 + y 2 − 0| ≤ 4√ x 2 + y 2 < 4 ɛ 4 = ɛ4x 2 yQuin<strong>di</strong> abbiamo provato che |x 2 − 0| < ɛ, cioè il limite della nostra funzione per (x, y) → (0, 0) vale+ y2 esattamente 0.12


2.2. Continuità <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> più variabili2.2 Continuità <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> più variabiliDefinizione 2.2.1 Una funzione f : I −→ R, con I ⊂ R n è continua in P 0 (P 0 ∈ I e punto <strong>di</strong> accumulazioneper I), selim f(P ) = f(P 0 )P →P 0Nel caso <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili, si ha:Definizione 2.2.2 Una funzione f : I −→ R, con I ⊂ R 2 è continua in P 0 (x 0 , y 0 ) (P 0accumulazione per I), se∈ I e punto <strong>di</strong>lim f(x, y) = f(x 0, y 0 )(x,y)→(x 0,y 0)Definizione 2.2.3 Una funzione si <strong>di</strong>ce continua se è continua in ogni punto del suo insieme <strong>di</strong> definizione.Proposizione 2.2.1 Date due funzioni f e g continue in I ⊂ R 2 , alloraf + g è continua;G fg è continua;G f è continua in tutti quei punti in g non si annulla;gG f ◦ g è continua (f ◦ g(x, y) = f(g(x, y)) funzione composta)Esempio 2.2.1 lim (x,y)→(x0,y 0) x sin (xy) = x 0 sin (x 0 y 0 )La funzione f(x, y) = x sin (xy) è una funzione continua. Infatti la possiamo vedere come il prodottodella funzione x e della funzione sin (xy). La funzione sin (xy) la ve<strong>di</strong>amo come la funzione composta dellafunzione seno applicata al prodotto delle funzioni x e y. Poichè x e y sono funzioni continue anche il loroprodotto è una funzione continua. La funzione composta <strong>di</strong> funzioni continue è continua (quin<strong>di</strong> sin (xy) ècontinua) e il prodotto <strong>di</strong> x per sin (xy) dà ancora una funzione continua.Osserviamo che il concetto <strong>di</strong> continuità non è ovvio! Ci sono funzioni che ammettono limite per(x, y) che tende a (x 0 , y 0 ) ma il valore del limite non necessariamente è uguale al valore della funzionein (x 0 , y 0 ).Esempio 2.2.2 La{funzione definita come0 se (x, y) ≠ (0, 0)f(x, y) =1 se (x, y) = (0, 0)ammette limite per (x, y) → (0, 0) ma il limite non è il valore della funzione in (0, 0). Questa funzione nonè continua in (0, 0). Difatti lim (x,y)→(0,0) f(x, y) = 0 ≠ f(0, 0) dal momento che la funzione è <strong>di</strong> costantevalore 0 ad eccezione del punto (0, 0) in cui vale 1. Questa funzione è <strong>di</strong>scontinua in (0, 0).13


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILI2.3 Derivate parzialiEsten<strong>di</strong>amo ora il concetto <strong>di</strong> derivata che abbiamo visto per funzioni <strong>di</strong> una sola variabile,introducendo le derivate parziali.Data una funzione <strong>di</strong> una sola variabile, f(x), la derivata prima f ′ (x) rappresenta la velocità <strong>di</strong>variazione della funzione al variare <strong>di</strong> x.Con le funzioni <strong>di</strong> più variabili, ci sono due casi da considerare: cosa fare se varia solo una variabilementre le altre non variano? cosa fare se varia più <strong>di</strong> una variabile?Concentriamo ora la nostra attenzione facendo cambiare una variabile alla volta e lasciando le altrefisse.Partiamo con un esempio, lavorando con una funzione <strong>di</strong> due variabili.Esempio 2.3.1 Sia data f(x, y) = 4x 3 y 5 . Determiniamo la velocità con cui la funzione cambia in unpunto fissato (x 0 , y 0 ), se non facciamo variare la y mentre facciamo variare la x, e viceversa, determiniamola velocità con cui cambia la funzione in (x 0 , y 0 ) fissando x e variando y.Nel primo caso, in cui lasciamo y fissato mentre x varia, dal momento che siamo interessati alla velocitàdella funzione nel punto (x 0 , y 0 ), per y fissato, vuol <strong>di</strong>re che dobbiamo considerare la funzione per y =y 0 . Consideriamo quin<strong>di</strong> f(x, y 0 ) = 4x 3 (y 0 ) 5 . Adesso abbiamo una funzione <strong>di</strong> una sola variabile, la x.Possiamo quin<strong>di</strong> considerare la funzione g(x) = f(x, y 0 ) = 4x 3 (y 0 ) 5 . Di questa funzione in una solavariabile, sappiamo cosa dobbiamo fare se vogliamo determinare la velocità <strong>di</strong> cambiamento della funzione perx = x 0 : dobbiamo calcolare la derivata prima g ′ (x 0 ). Nell’esempio, abbiamo g ′ (x 0 ) = 12(x 0 ) 2 (y 0 ) 5 .Quello che abbiamo ottenuto prende il nome <strong>di</strong> derivata parziale <strong>di</strong> f(x, y) rispetto a x, nel punto (x 0 , y 0 ).Denotiamo questa derivata parziale con uno dei seguenti simboli:f x (x 0 , y 0 )∂f∂x (x 0, y 0 ) D x f(x 0 , y 0 )Al posto <strong>di</strong> (x 0 , y 0 ) si può scrivere anche P 0 intendendo per P 0 il punto <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (x 0 , y 0 ).Quin<strong>di</strong>, nel nostro esempio, f x (x 0 , y 0 ) = 12(x 0 ) 2 (y 0 ) 5 .Ve<strong>di</strong>amo ora cosa succede se lasciamo fissa la variabile x e variamo y. In tal caso, dobbiamo considerare lafunzione h(y) = f(x 0 , y) = 4(x 0 ) 3 y 5 e calcolare la derivata prima <strong>di</strong> questa funzione che <strong>di</strong>pende dalla solavariabile y nel punto y 0 . Abbiamo h ′ (y 0 ) = 20(x 0 ) 3 (y 0 ) 4 .Ciò che abbiamo ottenuto è la derivata parziale della f rispetto alla variabile y, nel punto (x 0 , y 0 ). In<strong>di</strong>chiamoquesta derivata parziale con uno dei seguenti simboli:∂ff y (x 0 , y 0 )∂y (x 0, y 0 ) D y f(x 0 , y 0 )Quin<strong>di</strong>, per l’esempio considerato, f y (x 0 , y 0 ) = 20(x 0 ) 3 (y 0 ) 4 .Passiamo dunque alla definizione generale delle derivate parziali prime <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> duevariabili (considerando le derivate non più in (x 0 , y 0 ) ma nel generico punto (x, y)).Definizione 2.3.1 Data una funzione f(x, y), le derivate parziali prime rispetto alle variabili x e y sono dateda:f(x + h, y) − f(x, y)(x, y) = limh→0 h∂f∂x∂f(x, y) = lim∂y h→0f(x, y + h) − f(x, y)h14


2.4. Interpretazione delle derivate parzialiDerivate per funzioni scalari e derivate per funzioni <strong>di</strong> due variabilif(x) =⇒ f ′ (x) = dfdxf(x, y) =⇒ f x (x, y) = ∂f∂x&f y (x, y) = ∂f∂yPer calcolare le derivate parziali prime <strong>di</strong> una funzione bisogna fare questo ragionamento: se dobbiamocalcolare f x (x, y) dobbiamo trattare la variabile y come una costante e trattare la funzione comese <strong>di</strong>pendesse dalla sola x; se dobbiamo calcolare f y (x, y), dobbiamo trattare x come una costante ecalcolare la derivata rispetto a y come se la funzione fosse <strong>di</strong>pendente dalla sola variabile y.Esempio 2.3.2 Calcolare le derivate parziali prime della funzione f(x, y) = 3x 5 + 2 √ y − 10xy.Per calcolare la derivata f x (x, y) trattiamo la y come una costante, da cui f x (x, y) = 15x 4 − 10y. Notiamoche la derivata rispetto a x <strong>di</strong> 2 √ y vale zero perchè la y è una costante.Al contrario, per calcolare f y (x, y) dobbiamo ora trattare x come una costante, da cui f y (x, y) = 1 √ y− 10x.2.4 Interpretazione delle derivate parzialiSono possibili due interpretazioni sul significato delle derivate parziali prime.G Se consideriamo la derivata parziale come la velocità <strong>di</strong> cambiamento della funzione alloraf x (x, y) rappresenta la velocità <strong>di</strong> cambiamento della funzione al variare <strong>di</strong> x per y fissato, mentref y (x, y) rappresenta la velocità <strong>di</strong> cambiamento della funzione al variare <strong>di</strong> y per x fissato.Quin<strong>di</strong> se f x (x 0 , y 0 ) > 0 vuol <strong>di</strong>re che la funzione è crescente in quel punto al variare <strong>di</strong> x, per y 0fissato, mentre se f x (x 0 , y 0 ) < 0 vuol <strong>di</strong>re che la funzione è decrescente in quel punto al variare <strong>di</strong>x, per y 0 fissato. Stesso <strong>di</strong>scorso vale su f y (x 0 , y 0 ): se f y (x 0 , y 0 ) > 0 allora la funzione è crescentein quel punto al variare <strong>di</strong> y, per x 0 fissato, mentre se f y (x 0 , y 0 ) < 0 la funzione è decrescente inquel punto al variare <strong>di</strong> y, per x 0 fissato. È possibile che una funzione sia crescente fissato y edecrescente fissato x o viceversa.G L’altra interpretazione, geometrica, estende il concetto <strong>di</strong> pendenza della retta tangente che abbiamoper funzioni <strong>di</strong> una sola variabile, per cui f ′ (x 0 ) rappresenta la pendenza della retta tangentealla funzione f(x) nel punto x 0 . Nel caso <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili, f x (x 0 , y 0 ) rappresentala pendenza della traccia della funzione f(x, y) nel piano y = y 0 nel punto (x 0 , y 0 ) (in altre paroleè la pendenza della retta tangente alla curva che si ottiene intersecando la superficie che rappresentala funzione f(x, y), cioè il grafico della f, con il piano verticale y = y 0 ), mentre f y (x 0 , y 0 )rappresenta la pendenza della traccia della funzione f(x, y) con il piano x = x 0 nel punto (x 0 , y 0 ).2.5 Derivate parziali <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne più elevatoCosì come per le funzioni <strong>di</strong> una sola variabile è possibile definire le derivate <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne più elevato(derivata seconda, terza, quarta, n-sima), anche per le funzioni <strong>di</strong> più variabili è possibile definire lederivate <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne più elevato. Ci soffermiamo al caso <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili.Data una funzione f(x, y), dal momento che abbiamo due derivate parziali prime f x e f y , su ciascuna<strong>di</strong> queste funzioni possiamo pensare <strong>di</strong> applicare ancora la definizione <strong>di</strong> derivata parziale rispettoa x e rispetto a y, ottenendo, in tal modo, quattro possibili combinazioni.15


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILIAbbiamo le seguenti scritture:(f x ) x = f xx = ∂ ( ) ∂f∂x ∂x(f x ) y = f xy = ∂ ( ) ∂f∂y ∂x(f y ) x = f yx = ∂ ( ) ∂f∂x ∂y(f y ) y = f yy = ∂ ( ) ∂f∂y ∂y= ∂2 f∂x 2= ∂2 f∂y∂x= ∂2 f∂x∂y= ∂2 f∂y 2Le derivate f xy e f yx sono dette anche derivate parziali miste perchè le derivate sono fatte rispettoa più <strong>di</strong> una variabile.Osserviamo che, dal punto <strong>di</strong> vista della notazione usata, quando l’in<strong>di</strong>ce della derivata parziale èposta in basso della funzione, per esempio f xy , dobbiamo derivare da sinistra verso destra: in questocaso prima facciamo la derivata rispetto a x e poi rispetto a y. Quando invece usiamo la notazionefrazionale ( ∂2 f) la notazione è opposta: si va da destra verso sinistra. Nell’esempio, il risultato è lo∂y∂xstesso, prima si deriva rispetto a x e poi rispetto a y.Esempio 2.5.1 Calcolare le derivate seconde <strong>di</strong> f(x, y) = sin (xy) − x 3 e 4y + 4y 2 .Prima <strong>di</strong> tutto calcoliamo le derivate parziali prime:f x (x, y) = y cos (xy) − 3x 2 e 4yf y (x, y) = x cos (xy) − 4x 3 e 4y + 8yPassiamo ora alle derivate seconde:f xx (x, y) = −y 2 sin (xy) − 6xe 4yf xy (x, y) = cos (xy) − xy sin (xy) − 12x 2 e 4yf yx (x, y) = cos (xy) − xy sin (xy) − 12x 2 e 4yf yy (x, y) = −x 2 sin (xy) − 16x 3 e 4y + 8Nell’esempio appena visto, le derivate parziali miste sono coincidenti. Si tratta <strong>di</strong> una “coincidenza”o no? In realtà la funzione data gode <strong>di</strong> una proprietà importante che ci permette <strong>di</strong> avere questorisultato.Teorema 2.5.1 (<strong>di</strong> Clairaut-Schwarz) Data la funzione f definita in un insieme aperto A che contiene ilpunto (x 0 , y 0 ), se le funzioni f xy e f yx sono continue in A, alloraf xy (x 0 , y 0 ) = f yx (x 0 , y 0 ).2.6 Differenziabilità <strong>di</strong> una funzionePrima <strong>di</strong> entrare a parlare <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziabilità <strong>di</strong> una funzione, introduciamo una notazione per<strong>degli</strong> spazi <strong>di</strong> funzioni definite in un insieme aperto I ⊂ R 2 .G Si in<strong>di</strong>ca con C 0 (I) l’insieme delle funzioni continue in I (si <strong>di</strong>ce anche che la funzione è <strong>di</strong> classeC 0 ).16


2.6. Differenziabilità <strong>di</strong> una funzioneG Si in<strong>di</strong>ca con C 1 (I) l’insieme delle funzioni definite in I le cui derivate parziali prime sonocontinue in I (si <strong>di</strong>ce anche che la funzione è <strong>di</strong> classe C 1 ).G Si in<strong>di</strong>ca con C 2 (I) l’insieme delle funzioni definite in I le cui derivate parziali prime e secondesono continue in I (si <strong>di</strong>ce anche che la funzione è <strong>di</strong> classe C 2 ).Definizione 2.6.1 Sia data una funzione f : A −→ R con A ⊂ R 2 , A aperto, e un punto P 0 (x 0 , y 0 ) ∈ A.Diremo che f è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 se esistono due numeri reali λ e µ tali chef(x, y) − f(x 0 , y 0 ) − [λ(x − x 0 ) + µ(y − y 0 )]lim√ = 0(x,y)→(x 0,y 0)(x − x0 ) 2 + (y − y 0 ) 2In maniera del tutto equivalente si può <strong>di</strong>re che f è <strong>di</strong>fferenziabile sef(x, y) − f(x 0 , y 0 ) − [λ(x − x 0 ) + µ(y − y 0 )]è infinitesima <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne superiore rispetto all’infinitesimo √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 .Applicando la definizione <strong>di</strong> limite, <strong>di</strong>re che f è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 , vuol <strong>di</strong>re che, qualunque siaɛ > 0 esiste δ > 0 tale che per ogni (x, y) ∈ A, con 0 < √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 < δ risulta|f(x, y) − f(x 0 , y 0 ) − [λ(x − x 0 ) + µ(y − y 0 )] | < ɛ √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2In modo equivalente, possiamo anche <strong>di</strong>re che f è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 se esistono due numeri λ eµ e una funzione σ(x, y) definita in un intorno T <strong>di</strong> P 0 e infinitesima per (x, y) → (x 0 , y 0 ) tale che, perogni (x, y) ∈ T , vale:f(x, y) − f(x 0 , y 0 ) = λ(x − x 0 ) + µ(y − y 0 ) + σ(x, y) √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 .Vale la seguente proposizione.Proposizione 2.6.1 Se f : A −→ R, con A ⊂ R 2 , A aperto, è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 ∈ A, allora esistono lederivate parziali prime <strong>di</strong> f in P 0 e vale: f x (P 0 ) = λ e f y (P 0 ) = µ.µ.Dimostrazione. Sappiamo che la f è <strong>di</strong>fferenziabile, dobbiamo provare che f x (P 0 ) = λ e f y (P 0 ) =Fissiamo la variabile y, prendendo y = y 0 . Dalla definizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziabilità si ha:f(x, y 0 ) − f(x 0 , y 0 ) = λ(x − x 0 ) + |x − x 0 |σ(x, y 0 )con σ la funzione infinitesima definita prima. Il termine che moltiplica µ si annulla (abbiamo y 0 − y 0 )come pure √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 si riduce a |x − x 0 | per y = y 0 .Divi<strong>di</strong>amo la relazione trovata per x − x 0 , ricavandof(x, y 0 ) − f(x 0 , y 0 )x − x 0= λ + |x − x 0|x − x 0σ(x, y 0 )Passando al limite per x → x 0 , poichè σ(x, y 0 ) è infinitesima e |x − x 0|è limitata (vale ±1), la funzionex − x 0|x − x 0 |σ(x, y 0 ) è ancora infinitesima. Quin<strong>di</strong> si hax − x 0f(x, y 0 ) − f(x 0 , y 0 )lim= λx→x 0 x − x 0Il limite che abbiamo calcolato rappresenta la derivata prima della funzione f(x, y 0 ) che <strong>di</strong>pende dallasola variabile x, nel punto x 0 : essa è, quin<strong>di</strong>, la derivata parziale prima della f rispetto a x. Abbiamoottenuto che f x (x 0 , y 0 ) = λ.17


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILICon lo stesso ragionamento, si prova che f y (x 0 , y 0 ) = µ. Si deve far variare il punto (x, y) su unaretta parallela all’asse y, per x = x 0 . In tal caso, la definizione <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziabilità <strong>di</strong> dà:f(x 0 , y) − f(x 0 , y 0 ) = µ(y − y 0 ) + |y − y 0 |σ(x 0 , y)Dividendo per y − y 0 si haf(x 0 , y) − f(x 0 , y 0 )y − y 0= µ + |y − y 0|y − y 0σ(x 0 , y)Passando al limite per y → y 0 si ha che |y − y 0|y − y 0σ(x 0 , y) → 0 e quin<strong>di</strong>f(x 0 , y) − f(x 0 , y 0 )lim= µy→y 0 y − y 0vale a <strong>di</strong>re f y (x 0 , y 0 ) = µ.Quin<strong>di</strong> se f è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 , la f ammette le derivate parziali prime in P 0 e valef(x, y) − f(x 0 , y 0 ) = f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) + σ(x, y) √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 .✔Come conseguenza, una funzione <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 è continua in P 0 .Proposizione 2.6.2 Sia f : A −→ R, con A aperto <strong>di</strong> R 2 . Sia f <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 ∈ A, allora f è continuain P 0 .Dimostrazione. Poichè f è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 , esiste una funzione infinitesima per (x, y) →(x 0 , y 0 ) , σ(x, y) , tale checioèf(x, y) − f(x 0 , y 0 ) = f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) + σ(x, y) √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2 .Per (x, y) → (x 0 , y 0 ) il secondo membro della relazione appena scritta tende a zero, quin<strong>di</strong>lim f(x, y) − f(x 0, y 0 ) = 0(x,y)→(x 0,y 0)lim f(x, y) = f(x 0, y 0 )(x,y)→(x 0,y 0)La f è continua in P 0 . ✔Teorema 2.6.1 Se f ∈ C 1 (A), con A aperto <strong>di</strong> R 2 , allora f è <strong>di</strong>fferenziabile in A.2.7 DifferenzialeRicor<strong>di</strong>amo ora il concetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> una sola variabile.Definizione 2.7.1 Data una funzione f(x) e assumendo che la derivata f ′ (x) = dfdx<strong>di</strong>fferenziale totale df della funzione è dato da( ) dfdf = dx = f ′ (x)dx.dxesiste in un punto x, il18


2.8. Derivata <strong>di</strong>rezionaleLa quantità df può essere interpretata come il cambiamento infinitesimale del valore della funzionef(x) quando x cambia <strong>di</strong> una quantità infinitesima dx. Per esprimere questo da un punto <strong>di</strong> vistaformale, consideriamo l’incremento ∆f = f(x + ∆x) − f(x) che rappresenta l’incremento sulla fquando x è incrementato <strong>di</strong> una quantità finita ∆x.Applicando il teorema del valor me<strong>di</strong>o, possiamo riscrivere∆f = f ′ (x + θ∆x)∆x, dove θ ∈ (0, 1).Ora passando al limite per ∆x → dx, ∆f → df, essendo df un incremento infinitesimale. Dalmomento che dx è molto piccolo, possiamo <strong>di</strong>re che dx ≪ x e quin<strong>di</strong> x + θdx ≈ x da cuidf = f ′ (x)dx.Ritroviamo la formula data per il <strong>di</strong>fferenziale df.Qualcosa <strong>di</strong> simile si ritrova nelle funzioni <strong>di</strong> due variabili.Definizione 2.7.2 Data f(x, y) funzione <strong>di</strong> due variabili, con derivate parziali prime continue, si definisce<strong>di</strong>fferenziale totale della fdf =( ) ∂fdx +∂x( ) ∂fdy = f x dx + f y dy.∂yIl <strong>di</strong>fferenziale df rappresenta la variazione della f quando le variabili x e y cambiano <strong>di</strong> una quantità infinitesimadx e dy.Per arrivare a questa formula, definiamo ∆f la variazione che si ha variando x e y <strong>di</strong> una quantità∆x e ∆y rispettivamente.∆f = f(x + ∆x, y + ∆y) − f(x, y)aggiungiamo e sottraiamo f(x, y + ∆y)f(x + ∆x, y + ∆y) − f(x, y + ∆y) + f(x, y + ∆y) − f(x, y)} {{ } } {{ }incremento con y+∆y fissato incremento con x fissatoAbbiamo sud<strong>di</strong>viso ∆f in due pezzi, il primo contenente una variazione solo in x e l’altrocontenente una variazione solo in y. Applicando il teorema del valor me<strong>di</strong>o come prima, otteniamo∆f = f x (x + θ 1 ∆x, y + ∆y)∆x + f y (x, y + θ 2 ∆y)∆y con θ 1 , θ 2 ∈ (0, 1).Per ∆x → dx e per ∆y → dy, con dx e dy incrementi infinitesimali (da cui dx ≪ x e dy ≪ y), risultache ∆f → f, ricavando l’espressione df = f x dx + f y dy.2.8 Derivata <strong>di</strong>rezionaleLa derivata <strong>di</strong>rezionale <strong>di</strong> una funzione permette <strong>di</strong> calcolare la velocità <strong>di</strong> variazione della funzionein una assegnata <strong>di</strong>rezione. Le derivate parziali rispetto a x e rispetto a y rappresentano la velocità<strong>di</strong> variazione lungo le <strong>di</strong>rezioni x e y rispettivamente. Supponiamo ora <strong>di</strong> voler calcolare come cambiauna funzione f(x, y) nel punto (x 0 , y 0 ), lungo la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> un arbitrario vettore unitario ⃗v <strong>di</strong>componenti α 1 e α 2 . Dire che ⃗v è unitario, significa che la norma euclidea del vettore vale uno, cioè(α 1 ) 2 + (α 2 ) 2 = 1.Geometricamente, se consideriamo la superficie <strong>di</strong> equazione z = f(x, y) (il grafico della f), ilpiano verticale che passa attraverso il punto (x 0 , y 0 , f(x 0 , y 0 )), nella <strong>di</strong>rezione data da ⃗v, interseca lasuperficie in una curva. La pendenza della tangente alla curva nel punto (x 0 , y 0 , f(x 0 , y 0 )) rappresentala velocità <strong>di</strong> variazione della f nella <strong>di</strong>rezione ⃗v, cioè la derivata <strong>di</strong>rezionale della f lungo ⃗v.19


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILIAl fine <strong>di</strong> calcolare questa derivata <strong>di</strong>rezionale, consideriamo un punto P (x, y) che si trova sulpiano xy lungo la retta passante per P 0 (x 0 , y 0 ) e avente <strong>di</strong>rezione data da ⃗v. La retta si può scriverecome P = P 0 + h⃗v con h scalare. Ciò significa che le coor<strong>di</strong>nate del punto P si possono scrivere comex = x 0 + hα 1 y = y 0 + hα 2La variazione della f tra il punto P e il punto P 0 è data da f(x 0 + hα 1 , y 0 + hα 2 ) − f(x 0 , y 0 ).Definizione 2.8.1 Definiamo derivata <strong>di</strong>rezionale della f lungo la <strong>di</strong>rezione ⃗v il limite, se esiste ed è finito,f(x 0 + hα 1 , y 0 + hα 2 ) − f(x 0 , y 0 )limh→0hQuesto limite si in<strong>di</strong>ca in modo equivalente tramite la scrittura ∂f∂⃗v (x 0, y 0 ) o D ⃗v f(P 0 ).Dalla definizione data, risulta evidente che se ⃗v = ⃗i in<strong>di</strong>cando con ⃗i il versore unitario dell’assex, <strong>di</strong> componenti (1, 0), allora D ⃗v f(P 0 ) = f x (P 0 ), mentre se ⃗v = ⃗j il versore unitario dell’asse y, <strong>di</strong>componenti (0, 1), allora D ⃗v f(P 0 ) = f y (P 0 ). Quin<strong>di</strong> le derivate parziali rispetto a x e rispetto a y sonoun caso particolare <strong>di</strong> derivate <strong>di</strong>rezionali.Vale il seguente teorema, detto formula del gra<strong>di</strong>ente perchè la derivata <strong>di</strong>rezionale, sottodeterminate con<strong>di</strong>zioni, è legata al gra<strong>di</strong>ente della funzione assegnata.Definizione 2.8.2 Data una funzione f che ammette derivate parziali in P 0 , il vettore in<strong>di</strong>cato con il simbolo⃗∇f(P 0 ) o grad f(P 0 ) prende il nome <strong>di</strong> gra<strong>di</strong>ente della funzione in P 0 e ha come componenti le derivate parzialiprime della f in P 0 :⃗∇f(P 0 ) = (f x (P 0 ), f y (P 0 )).Teorema 2.8.1 (Formula del gra<strong>di</strong>ente) Data f : A −→ R con A ⊂ R 2 , se f è <strong>di</strong>fferenziabile in P 0 (x 0 , y 0 )allora f ammette derivata <strong>di</strong>rezionale lungo una qualsiasi <strong>di</strong>rezione unitaria ⃗v(α 1 , α 2 ) e risulta∂f∂⃗v (P 0) = f x (P 0 )α 1 + f y (P 0 )α 2Quin<strong>di</strong> la derivata <strong>di</strong>rezionale si può vedere come il prodotto scalare tra il gra<strong>di</strong>ente della funzione in P 0 e ilvettore ⃗v.∂f∂⃗v (P 0) = ⃗ ∇f(P 0 ) · ⃗vDimostrazione.Poichè f è <strong>di</strong>fferenziabile, valef(x, y) − f(x 0 , y 0 ) = f x (P 0 )(x − x 0 ) + f y (P 0 )(y − y 0 ) + σ(x, y) √ (x − x 0 ) 2 + (y − y 0 ) 2dove σ è una funzione infinitesima per (x, y) → (x 0 , y 0 ).Poichè devo calcolare la derivata <strong>di</strong>rezionale, considero come punto (x, y) il punto che si trova sullaretta passante per (x 0 , y 0 ) e avente <strong>di</strong>rezione data dal vettore ⃗v. Quin<strong>di</strong>, come prima, x = x 0 + hα 1 ey = y 0 + hα 2 .Sostituendo nella formula della <strong>di</strong>fferenziabilità si ricava:f(x 0 +hα 1 , y 0 +hα 2 )−f(x 0 , y 0 ) = f x (P 0 )(hα 1 )+f y (P 0 )(hα 2 )+σ(x 0 +hα 1 , y 0 +hα 2 ) √ h 2 (α 1 ) 2 + h 2 (α 2 ) 2Divi<strong>di</strong>amo ambo i membri per h, ricordando anche che, poichè il vettore è unitario, si ha√h2 (α 1 ) 2 + h 2 (α 2 ) 2 = |h| √ (α 1 ) 2 + (α 2 ) 2 = |h|. Quin<strong>di</strong> si ottiene:20f(x 0 + hα 1 , y 0 + hα 2 ) − f(x 0 , y 0 )h= f x (P 0 )α 1 + f y (P 0 )α 2 + |h|h σ(x 0 + hα 1 , y 0 + hα 2 )


2.9. Derivazione nelle funzioni compostePassando al limite per h → 0, a primo membro si ha proprio il limite della definizione <strong>di</strong> derivata<strong>di</strong>rezionale lungo ⃗v, mentre a secondo membro si ottiene f x (P 0 )α 1 + f y (P 0 )α 2 in quanto la quantità|h|h σ(x 0 + hα 1 , y 0 + hα 2 ) tende a 0 poichè è prodotto <strong>di</strong> un infinitesimo (la funzione σ) per la costante|h|h = ±1).Si ricava quin<strong>di</strong> l’asserto. ✔2.9 Derivazione nelle funzioni compostePer funzioni scalari, è frequente avere a che fare con funzioni del tipo y = f(x) dove però x è a suavolta funzione <strong>di</strong> un’altra variabile t, x = g(t).Se scriviamo F (t) = f(g(t)), sappiamo che F ′ (t) = f ′ (g(t))g ′ (t): applichiamo la regola <strong>di</strong>derivazione sulle funzioni composte.C’è una notazione alternativa a questa: da y = f(x) con x = g(t), abbiamodydt = dy dxdx dt .Per funzioni <strong>di</strong> più variabili, abbiamo <strong>di</strong>versi casi da considerare. Ne consideriamo i principali.G Primo caso: Sia z = f(x, y) con x = g(t) e y = h(t). Supponiamo che la f sia una funzione<strong>di</strong>fferenziabile <strong>di</strong> (x, y) e che g e h siano funzioni <strong>di</strong>fferenziabili <strong>di</strong> t. Allora z è una funzione<strong>di</strong>fferenziabile <strong>di</strong> t e si hadzdt = ∂f dx∂x dt + ∂f dy∂y dtOsserviamo che la derivata <strong>di</strong> z rispetto a t è una derivata totale.Esempio 2.9.1 Sia z = f(x, y) = x 3 y + 3xy 2 con x = sin (2t) e y = cos (t). Calcoliamo dzdtapplicando la formula. Poichè ∂f∂x = 3x2 y + 3y 2 , ∂f∂y = x3 + 6xy, dxdy= 2 cos (2t) e = − sin (t),dt dtricaviamo:dzdt = (3x2 y + 3y 2 )2 cos (2t) + (x 3 + 6xy)(− sin (t))A questo punto abbiamo calcolato la derivata. Per completare, dobbiamo scrivere x e y in funzione <strong>di</strong> t:dzdt = (3 sin2 (2t) cos (t) + 3 cos 2 (t))2 cos (2t) + (sin 3 (2t) + 6 sin (2t) cos (t)(− sin (t))e sistemando meglio i termini a destra ricaviamodzdt = 6(sin2 (2t) cos (2t) cos (t) + cos 2 (t) cos (2t)) − (sin 2 (2t) sin (t) + 6 sin (2t) sin (t) cos (t)).G Secondo caso: : z = f(x, y) con x = g(s, t) e y = h(s, t). Le funzioni f, g e h siano <strong>di</strong>fferenziabili.In questo caso possiamo calcolare le derivate parziali della f rispetto a s e t. Otteniamo∂z∂s = ∂f ∂x∂x ∂s + ∂f ∂y∂y ∂s∂z∂t = ∂f ∂x∂x ∂t + ∂f ∂y∂y ∂t21


2. LIMITI, CONTINUITÀ, DIFFERENZIABILITÀ DI FUNZIONI DI PIÙ VARIABILIEsempio 2.9.2 Sia z = f(x, y) = e 2x sin (y) con x = st e y = s 2 t.In tal caso, applicando la formula abbiamo:∂z∂s = 2e2x sin (y)t + e 2x cos (y)(2s) = 2e 2st (t sin (s 2 t) + s cos (s 2 t))∂z∂t = 2e2x sin (y)s + e 2x cos (y)s 2 = se 2st (2 sin (s 2 t) + s cos (s 2 t))2.10 Piano tangente ad una superficiePer funzioni <strong>di</strong> una variabile, se facciamo uno zoom intorno ad un punto del grafico <strong>di</strong> una funzione<strong>di</strong>fferenziabile, il grafico si <strong>di</strong>scosta <strong>di</strong> poco dalla sua retta tangente in quel punto e possiamoapprossimare la funzione, in un intorno del punto, tramite l’equazione <strong>di</strong> una retta.Un <strong>di</strong>scorso simile si può sviluppare per funzioni <strong>di</strong> due variabili. Qui lo zoom si deve fare intornoad un punto della superficie che rappresenta il grafico <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong>fferenziabile. E il grafico si<strong>di</strong>scosterà poco da un piano (il suo piano tangente in quel punto), così che potremo approssimare lafunzione, in un intorno del punto, tramite l’equazione del piano tangente.Sia S la superficie dell’equazione z = f(x, y), con f <strong>di</strong>fferenziabile e <strong>di</strong> classe C 1 . SiaP 0 (x 0 , y 0 , f(x 0 , y 0 ) un punto <strong>di</strong> S. Consideriamo le curve che intersecano i piani verticali y = y 0 ex = x 0 sulla superficie S. Il punto <strong>di</strong> intersezione della due curve è proprio il punto P 0 . Siano T 1 eT 2 le rette tangenti alle due curve nel punto P 0 (le pendenze <strong>di</strong> queste rette sono date dalle derivateparziali rispetto a x e y). Allora il piano tangente alla superficie S nel punto P 0 è definito come il pianoche contiente entrambe le rette tangenti T 1 e T 2 . Possiamo pensare a questo piano tangente come ilpiano in cui ci sono tutte le possibili rette tangenti per P 0 alle curve che giacciono su S e passano attraversoP 0 (considerando le derivate <strong>di</strong>rezionali). Il piano tangente è quin<strong>di</strong> il piano che più approssimala superficie S intorno al punto P 0 .Un piano passante per il punto P 0 ha equazione nella formaa(x − x 0 ) + b(y − y 0 ) + c(z − f(x 0 , y 0 )) = 0Dividendo per c e ponendo A = −a/c e B = −b/c, possiamo scriverez − f(x 0 , y 0 ) = A(x − x 0 ) + B(y − y 0 )Se questa equazione deve rappresentare l’equazione del piano tangente a P 0 sulla superficie, vuol <strong>di</strong>reche l’intersezione con il piano y = y 0 deve essere la retta tangente T 1 . Ponendo y = y 0 , l’equazione siriduce az − f(x 0 , y 0 ) = A(x − x 0 ), y = y 0Ora questa è l’equazione <strong>di</strong> una retta che ha pendenza A. Ma la pendenza della tangente T 1 è f x (x 0 , y 0 ).Perciò A = f x (x 0 , y 0 ).Allo stesso modo, considerando il piano x = x 0 , il piano tangente si riduce az − f(x 0 , y 0 ) = B(y − y 0 ), x = x 0che rappresenta la retta tangente T 2 con pendenza B = f y (x 0 , y 0 ).Quin<strong>di</strong> l’equazione del piano tangente è data da22z − f(x 0 , y 0 ) = f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ).


2.11. Formula <strong>di</strong> Taylor2.11 Formula <strong>di</strong> TaylorQuando si considerano funzioni scalari <strong>di</strong>fferenziabili e continue, la formula <strong>di</strong> Taylor è utileper approssimare la funzione in un intorno <strong>di</strong> un punto. Data la funzione f(x) e x 0 un punto cheappartiene all’insieme <strong>di</strong> definizione della f, possiamo scrivere:f(x) = f(x 0 ) + f ′ (x 0 )(x − x 0 ) + (x − x 0) 2f ′′ (ξ x )2dove ξ x è un punto che si trova nell’insieme <strong>di</strong> definizione della f ed è compreso tra x e x 0 .La formula appena scritta prende il nome <strong>di</strong> formula <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> centro x 0 e permette <strong>di</strong> approssimarela funzione f(x) in un intorno <strong>di</strong> x 0 utlizzando i valori della funzione in x 0 . Il polinomioT 1 (x) = f(x 0 ) + f ′ (x 0 )(x − x 0 ) è il polinomio <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> primo grado. In questo caso rappresenta laretta tangente alla funzione f nel punto x 0 . Se noi approssiamo f(x) me<strong>di</strong>ante il polinomio <strong>di</strong> Taylor<strong>di</strong> primo grado, commettiamo un errore dato da R 1 (x) = (x − x 0) 2f ′′ (ξ x ), che possiamo maggiorare,2in valore assoluto, considerando M = max |f ′′ (x)| per x che varia nell’insieme <strong>di</strong> definizione della f,ottenendo | (x − x 0) 2f ′′ (ξ x )| ≤ |M (x − x 0) 2|, un errore del secondo or<strong>di</strong>ne.22In generale, il polinomio <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> grado n è dato daT n (x) = f(x 0 ) + f ′ (x 0 )(x − x 0 ) + f ′′ (x 0 )2!(x − x 0 ) 2 + f (3) (x 0 )3!(x − x 0 ) 3 + . . . + f (n) (x 0 )(x − x 0 ) nn!Se approssimiamo f(x) con il polinomio <strong>di</strong> Taylor T n (x), l’errore che si commette è <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n + 1,poichè vale R n (x) = f (n+1) (ξ x )(x − x 0 ) n+1 .(n + 1)!Nel caso <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> più variabili, il polinomio <strong>di</strong> Taylor deve considerare le derivate parzialidella funzioni.Teorema 2.11.1 Consideriamo una funzione f(x, y) <strong>di</strong> classe C 2 . Allora per ogni punto P 0 nell’insieme <strong>di</strong>definizione della f, vale la formula <strong>di</strong> Taylor data daf(x, y) = f(x 0 , y 0 ) + f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 )+ 1 2 f xx(ξ x , η y )(x − x 0 ) 2 + f xy (ξ x , η y )(x − x 0 )(y − y 0 ) + 1 2 f yy(ξ x , η y )(y − y 0 ) 2dove Q(ξ x , η y ) è un opportuno punto che si trova sul segmento <strong>di</strong> estremi P e P 0 .Se approssimiamo la funzione f(x, y) con il polinomio <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> primo grado dato daT 1 (x, y) = f(x 0 , y 0 ) + f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 )commettiamo un errore dato daR 1 (x) = 1 2 f xx(ξ x , η y )(x − x 0 ) 2 + xy (ξ x , η y )(x − x 0 )(y − y 0 ) + 1 2 f yy(ξ x , η y )(y − y 0 ) 2che è un errore del secondo or<strong>di</strong>ne (abbiamo infatti le potenze (x − x 0 ) 2 , (x − x 0 )(y − y 0 ), (y − y 0 ) 2 ).Osserviamo che il polinomio <strong>di</strong> Taylor T 1 (x, y) altro non è che l’equazione del piano tangente allasuperficie della funzione f(x, y) nel punto (x 0 , y 0 , f(x 0 , y 0 )).Se consideriamo il polinomio <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne zero per approssimare la funzione f(x, y),abbiamo il cosidetto teorema <strong>di</strong> Lagrange.Teorema 2.11.2 (<strong>di</strong> Lagrange) Data f : A −→ R con A ⊂ R 2 , f <strong>di</strong> classe C 1 , e dato P 0 (x 0 , y 0 ) ∈ A, si haf(x, y) = f(x 0 , y 0 ) + f x (ξ x , η y )(x − x 0 ) + f y (ξ x , η y )(y − y 0 )dove Q(ξ x , η y ) è un opportuno punto che si trova sul segmento <strong>di</strong> estremi P e P 0 .23


3. Massimi e minimi3.1 Forme quadratichePrima <strong>di</strong> passare a definire i massimi e minimi <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong> più variabili, ci convieneintrodurre il concetto <strong>di</strong> forma quadratica perchè ci servirà per poter calcolare i massimi e i minimi.Nello spazio R 2 , una forma quadratica è un polinomio omogeneo <strong>di</strong> secondo grado nelle variabilix e y. Ad esempio, F (x, y) = 3x 2 + 5xy + 2y 2 o F (x, y) = x 2 + 10xy − 7y 2 sono forme quadratiche.Una forma quadratica si può scrivere utilizzando prodotti <strong>di</strong> matrici e vettori comeF (x, y) = ( x y ) ( ) ( )a 11 a 12 xa 21 a 22 ydove il vettore(<strong>di</strong> componenti)(x, y) è scritto prima come vettore riga e poi come vettore colonna.a11 aLa matrice A =12è la matrice dei coefficienti della forma quadratica. Eseguendo il prodottoa 21 a 22<strong>di</strong> A con il vettore colonna (x, y) otteniamo:( ) ( ) ( )a11 a 12 x a11 x + a=12 ya 22 y a 21 x + a 22 ya 21Dobbiamo poi moltiplicare il vettore riga (x, y) per il vettore colonna appena ottenuto (facendo unprodotto scalare tra vettori) ricavando:( ) ( )a x y 11 x + a 12 y= x(aa 21 x + a 22 y11 x + a 12 y) + y(a 21 x + a 22 y) = a 11 x 2 + a 12 xy + a 21 xy + a 22 y 2In definitiva, abbiamo F (x, y) = a 11 x 2 + (a 12 + a 21 )xy + a 22 y 2 .La matrice dei coefficienti della forma quadratica si può scrivere come una matrice simmetrica(con a 12 = a 21 ). Se così non fosse, la si può rendere simmetrica prendendo come coefficiente <strong>di</strong> riga 1e colonna 2 (e <strong>di</strong> riga 2 e(colonna 1))la semisomma dei valori a 12 e a 21 della matrice non simmetrica:a12 + a 21vale infatti a 12 + a 21 = 2.2Esempio 3.1.1 Sia F (x, y) = x 2 + 10xy − 7y 2 . Possiamo scrivere questa forma quadratica in formamatriciale ponendo A in forma non simmetrica:F (x, y) = ( x y ) ( ( )1 2 x8 −7)yoppure possiamo scrivere A in forma simmetrica prendendo come valore per gli elementi extra <strong>di</strong>agonali lasemisomma dei corrispondenti elementi della matrice non simmetricaF (x, y) = ( x y ) ( ( )1 5 x5 −7)yIn entrambi i casi, il risultato è sempre lo stesso, la forma quadratica F (x, y) = x 2 + 10xy − 7y 2 .In generale, una forma quadratica in R 2 viene rappresentata utilizzando una matrice simmetricanella formaF (x, y) = ( x y ) ( ( )a b xb c)y25


3. MASSIMI E MINIMIda cuiF (x, y) = ax 2 + 2bxy + cy 2 .Nel caso dello spazio R n si generalizza la definizione <strong>di</strong> forma quadratica nel modo seguente.Definizione 3.1.1 Una forma quadratica in R n è un polinomio omogeneo <strong>di</strong> secondo grado nelle n variabilix 1 , x 2 , . . . , x n , a coefficienti reali. Una forma quadratica si può scrivere comeF (x 1 , x 2 , . . . , x n ) =n∑a ij x i x ji,j=1In forma matriciale si può scrivere come⎛⎞a 11 a 12 . . . a⎛ ⎞1n x 1F (x 1 , x 2 , . . . , x n ) = ( )a 21 a 22 . . . a 2nx 1 x 2 . . . x n ⎜⎟ ⎜x 2⎟⎝ . . . . . . ⎠ ⎝. . . ⎠a n1 a n2 . . . a nnx nSe la matrice della forma quadratica non è simmetrica la si può rendere simmetrica come abbiamovisto in R 2 .Torniamo ora a considerare forme quadratiche in R 2 visto che lavoreremo soprattutto in questospazio.Definizione 3.1.2 Una forma quadratica F (x, y) si <strong>di</strong>cedefinita positiva se, per ogni (x, y) ≠ (0, 0), F (x, y) > 0;semidefinita positiva se, per ogni (x, y) ≠ (0, 0), F (x, y) ≥ 0;definita negativa se, per ogni (x, y) ≠ (0, 0), F (x, y) < 0;semidefinita negativa se, per ogni (x, y) ≠ (0, 0), F (x, y) ≤ 0;G indefinita se esistono almeno due punti (x 1 , y 1 ) e (x 2 , y 2 ) tali che F (x 1 , y 1 ) > 0 e F (x 2 , y 2 ) < 0.Come fare a capire se una forma quadratica è definita positiva, negativa o indefinita? Abbiamo ilseguente teorema.Teorema 3.1.1 Data la forma quadrata F (x, y) = ax 2 + 2bxy + cy 2 :G se det(A) = ac − b 2 > 0 e a > 0 allora F (x, y) è definita positiva;G se det(A) = ac − b 2 > 0 e a < 0 allora F (x, y) è definita negativa;G se det(A) = ac − b 2 < 0 allora F (x, y) è indefinita.Vale anche il viceversa:G se F (x, y) è definita positiva allora det(A) = ac − b 2 > 0 e a > 0;G se F (x, y) è definita negativa allora det(A) = ac − b 2 > 0 e a < 0;G se F (x, y) è indefinita allora det(A) = ac − b 2 < 0.Dimostrazione. Ricor<strong>di</strong>amo innanzitutto che det(A) rappresenta il determinante della matrice Ache caratterizza la forma quadratica e che vale det(A) = ac − b 2 .Scriviamo ora la forma quadratica mettendo in evidenza il coefficiente a e aggiungendo esottraendo b2a 2 y2 , otteniamo:F (x, y) = ax 2 + 2bxy + cy 2= a(x 2 + 2 b a xy + c )a y2= a(x 2 + 2 b b2xy +a a 2 y2 − b2a 2 y2 + c )a y226


3.1. Forme quadraticheOsserviamo che x 2 + 2 b b2xy +a a 2 y2 = (x + b a y)2 . Inoltre − b2a 2 y2 + c a y2 =Abbiamo dunqueF (x, y) = a((x + b )ac −a y)2 b2+a 2 y 2ac − b2a 2 y 2 .La forma quadratica è dunque data dal prodotto <strong>di</strong> a per la somma <strong>di</strong> due termini: il termine (x+ b a y)2ac − b2è il quadrato <strong>di</strong> un binomio ed è sempre positivo; il terminea 2 y 2 può essere positivo o negativoa seconda del segno <strong>di</strong> ac − b 2 .Se a > 0 e ac − b 2 > 0 allora la forma quadratica è sempre maggiore <strong>di</strong> zero e quin<strong>di</strong> è definitapositiva.Se a < 0 e ac − b 2 > 0, la forma quadratica è definita negativa.Se invece ac − b 2 < 0 possiamo avere valori <strong>di</strong> (x, y) per cui la forma quadratica è positiva e altrivalori per cui la forma quadratica è negativa.Viceversa, supponiamo che la F sia definita positiva, negativa o indefinita. Mettiamo in evidenzail termine y 2 nella forma quadratica. Si ha()F (x, y) = y 2 a x2y 2 + 2bx y + cPoniamo t = x yin modo da poter scrivereF (x, y) = y 2 (at 2 + 2bt + c)Supponiamo che la forma quadratica sia definita positiva: vuol <strong>di</strong>re che y 2 (at 2 + 2bt + c) > 0 per ognicoppia (x, y) ≠ (0, 0), quin<strong>di</strong> deve essere at 2 + 2bt + c > 0 per ogni t: questo si ha con a > 0 e con il<strong>di</strong>scriminante dell’equazione <strong>di</strong> secondo grado in t negativo, cioè 4b 2 − 4ac < 0, vale a <strong>di</strong>re ac − b 2 > 0.Se invece la forma quadratica è definita negativa, vuol <strong>di</strong>re che at 2 + 2bt + c < 0 per ogni valore <strong>di</strong>t, quin<strong>di</strong> deve essere a < 0 e il <strong>di</strong>scriminante negativo, quin<strong>di</strong> ancora ac − b 2 > 0.Se invece la forma quadratica è indefinita, possiamo avere sia valori positivi che valori negativi,perciò il <strong>di</strong>scriminante dell’equazione <strong>di</strong> secondo grado in t deve essere positivo, cioè ac − b 2 < 0. 1 ✔Nel caso <strong>di</strong> forme quadratiche in R n , l’analogo teorema per vedere se una forma quadratica èdefinita positiva, negativa o indefinita è dato dal teorema <strong>di</strong> Sylvester, che considera i determinanti <strong>di</strong>tutti i minori principali delle matrice A che definisce la forma quadratica.Definizione 3.1.3 Data A matrice <strong>di</strong> n righe e n colonne, si definisce minore principale <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne k e si in<strong>di</strong>cacon A k la matrice che si forma dalla matrice A prendendo le prime k righe e k colonne della matrice stessa.1 Per la seconda parte <strong>di</strong> questo teorema ci siamo rifatti alle note proprietà:G ax 2 + bx + c = 0– se ∆ = b 2 − 4ac < 0 ⇒ non esistono ra<strong>di</strong>ci reali all’equazione;– se ∆ = 0 ⇒ le ra<strong>di</strong>ci sono coincidenti x 1 = x 2 = −b2a ;– se ∆ > 0 ⇒ esistono due ra<strong>di</strong>ci reali e <strong>di</strong>stinte date da −b ± √ ∆.2aG ax 2 + bx + c > 0, a > 0– se ∆ = b 2 − 4ac < 0 ⇒ l’insieme delle soluzioni che sod<strong>di</strong>sfano la <strong>di</strong>sequazione data è tutto R– se ∆ = 0 ⇒ l’insieme delle soluzioni è tutto R privato della ra<strong>di</strong>ce dell’equazione ax 2 + bx + c = 0– se ∆ > 0 ⇒ l’insieme delle soluzioni è dato dai valori esterni all’intervallo delle due ra<strong>di</strong>ci dell’equazione <strong>di</strong>secondo grado.G ax 2 + bx + c < 0, a > 0– se ∆ ≤ 0 ⇒ non ci sono soluzioni per questa <strong>di</strong>sequazione;– se ∆ > 0 ⇒ l’insieme delle soluzioni è dato dai valori interni all’intervallo delle due ra<strong>di</strong>ci dell’equazione.27


3. MASSIMI E MINIMIQuin<strong>di</strong> A 1 = (a 11 ), A 2 =( )a11 a 12, Aa 21 a k =22⎛⎞a 11 a 12 . . . a 1ka 21 a 22 . . . a 2k⎜⎟⎝ . . . . . . ⎠ .a k1 a k2 . . . a kkTeorema 3.1.2 (<strong>di</strong> Sylvester) Data una forma quadratica in R n , F (x 1 , x 2 , . . . , x n ) = ∑ ni,j=1 a ijx i x j , alloraG F è definita positiva se e solo se det(A k ) > 0 per ogni k = 1, 2, . . . , n;G F è definita negativa se e solo se (−1) k det(A k ) > 0 per ogni k = 1, 2, . . . , n.3.2 Massimi e minimiPer funzioni scalari, le derivate della funzione aiutano a capire e a trovare i suoi valori massimi eminimi e i punti in cui la funzione assume tali valori. Per funzioni <strong>di</strong> due variabili, sono <strong>di</strong> aiuto lederivate parziali.Definizione 3.2.1 Sia data una funzione <strong>di</strong> due variabili f(x, y) definita in un sottoinsieme I ⊂ R 2 .G Se esiste un punto P 0 (x 0 , y 0 ) tale che per ogni P (x, y) ∈ I, risultaf(x, y) ≤ f(x 0 , y 0 )allora P 0 si <strong>di</strong>ce punto <strong>di</strong> massimo assoluto per la funzione f e il valore f(x 0 , y 0 ) si <strong>di</strong>ce massimo assolutodella funzione.G Se esiste un punto P 0 (x 0 , y 0 ) tale che per ogni P (x, y) ∈ I, P ≠ P 0 risultaf(x, y) < f(x 0 , y 0 )allora P 0 si <strong>di</strong>ce punto <strong>di</strong> massimo assoluto proprio per la funzione f e il valore f(x 0 , y 0 ) si <strong>di</strong>ce massimoassoluto proprio della funzione.Cambiando il segno alle <strong>di</strong>seguaglianze abbiamo la definizione <strong>di</strong> minimo assoluto e minimo assoluto proprio.G Se esiste un punto P 0 (x 0 , y 0 ) tale che per ogni P (x, y) ∈ I, risultaf(x, y) ≥ f(x 0 , y 0 )allora P 0 si <strong>di</strong>ce punto <strong>di</strong> minimo assoluto per la funzione f e il valore f(x 0 , y 0 ) si <strong>di</strong>ce minimo assolutodella funzione.G Se esiste un punto P 0 (x 0 , y 0 ) tale che per ogni P (x, y) ∈ I, P ≠ P 0 risultaf(x, y) > f(x 0 , y 0 )allora P 0 si <strong>di</strong>ce punto <strong>di</strong> minimo assoluto proprio per la funzione f e il valore f(x 0 , y 0 ) si <strong>di</strong>ce minimoassoluto proprio della funzione.Se queste definizioni valgono non in tutto l’insieme <strong>di</strong> definizione della funzione f ma localmente, inun intorno <strong>di</strong> P 0 , allora si ottengono le definizioni <strong>di</strong> punto <strong>di</strong> massimo (o minimo) relativo (o relativoproprio).Definizione 3.2.2 Sia data una funzione <strong>di</strong> due variabili f(x, y) definita in un sottoinsieme I ⊂ R 2 .G Se esiste un punto P 0 (x 0 , y 0 ) e un intorno <strong>di</strong> centro P 0 e opportuno raggio r tale che per ogni P (x, y) ∈A r (P 0 ), risulta28f(x, y) ≤ f(x 0 , y 0 )allora P 0 si <strong>di</strong>ce punto <strong>di</strong> massimo relativo per la funzione f e il valore f(x 0 , y 0 ) si <strong>di</strong>ce massimo relativodella funzione.


3.3. Ricerca <strong>di</strong> massimi e minimi relativiG Se esiste un punto P 0 (x 0 , y 0 ) e un intorno <strong>di</strong> centro P 0 e opportuno raggio r tale che per ogni P (x, y) ∈A r (P 0 ), P ≠ P 0 , risultaf(x, y) < f(x 0 , y 0 )allora P 0 si <strong>di</strong>ce punto <strong>di</strong> massimo relativo proprio per la funzione f e il valore f(x 0 , y 0 ) si <strong>di</strong>ce massimorelativo della funzione.Cambiando il segno alle <strong>di</strong>seguaglianze abbiamo la definizione <strong>di</strong> minimo relativo e minimo relativo proprio.Definizione 3.2.3 I valori massimo e minimo (assoluti o relativi) assunti dalla funzione si chiamano ancheestremi (assoluti e relativi) della funzione.Un punto <strong>di</strong> estremo relativo interno all’insieme <strong>di</strong> definizione della funzione f si chiama punto <strong>di</strong> estremorelativo interno.Teorema 3.2.1 Se una funzione f : I −→ R, con I ⊂ R 2 , I aperto, f ∈ C 1 (I), ammette un punto <strong>di</strong>massimo o minimo relativo interno nel punto P 0 (x 0 , y 0 ) allora esistono le derivate parziali della f in P 0 e valef x (P 0 ) = f y (P 0 ) = 0Dimostrazione. Sia P 0 (x 0 , y 0 ) un punto <strong>di</strong> massimo (o minimo) relativo interno. Poniamo g(x) =f(x, y 0 ). Come conseguenza la funzione g ammette in x = x 0 un punto <strong>di</strong> massimo (o minimo) relativointerno e, quin<strong>di</strong>, g ′ (x 0 ) = 0. Ma g ′ (x 0 ) = f x (x 0 , y 0 ). Perciò vale f x (x 0 , y 0 ) = 0.Allo stesso modo, posto h(y) = f(x 0 , y), si ha che y 0 è punto <strong>di</strong> massimo (o minimo) relativo internoper la funzione h, da cui h ′ (y 0 ) = 0. Ma h ′ (y 0 ) = f y (x 0 , y 0 ) e quin<strong>di</strong> f y (x 0 , y 0 ) = 0. ✔Perciò, se P 0 è un punto <strong>di</strong> estremo relativo interno per la funzione f, necessariamente il gra<strong>di</strong>entedella f in P 0 è il vettore nullo:⃗∇(f)(P 0 ) = (00).Non vale il viceversa, tuttavia se dobbiamo cercare i punti <strong>di</strong> massimo e minimo relativo interni all’insieme<strong>di</strong> definizione <strong>di</strong> una funzione, dobbiamo analizzare quei punti che hanno il gra<strong>di</strong>ente nulloperchè tra questi ci saranno i punti <strong>di</strong> massimo e minimo relativi. Se l’insieme <strong>di</strong> definizione dellafunzione è un insieme aperto, i punti <strong>di</strong> massimo e minimo relativo sono tutti punti interni all’insieme<strong>di</strong> definizione.Vale la seguente definizione.Definizione 3.2.4 Un punto P 0 (x 0 , y 0 ) tale che ⃗ ∇(f)(P 0 ) = (00) si <strong>di</strong>ce punto critico (o stazionario) dellafunzione f.3.3 Ricerca <strong>di</strong> massimi e minimi relativiPer capire se una funzione ha un punto <strong>di</strong> massimo o minimo relativo in un suo punto critico, vienein aiuto il cosiddetto test sulle derivate seconde. A tale scopo introduciamo la seguente definizione.Definizione 3.3.1 Data una funzione f ∈ C 2 (I), con I ⊂ R 2 , I aperto, e dato un punto P 0 ∈ I, si definiscehessiano della f in P 0 il determinante H f (P 0 ) della matrice( )fxx (P 0 ) f xy (P 0 )f xy (P 0 ) f yy (P 0 )Poichè la funzione è <strong>di</strong> classe C 2 , vale f xy = f yx .Quin<strong>di</strong>H f (P 0 ) =∣ f xx(P 0 ) f xy (P 0 )f xy (P 0 ) f yy (P 0 ) ∣ = f xx(P 0 )f yy (P 0 ) − (f xy (P 0 )) 2 29


3. MASSIMI E MINIMITeorema 3.3.1 (Test sulle derivate seconde) Data una funzione f ∈ C 2 (I), con I ⊂ R 2 , I aperto, e datoP 0 punto critico per f, avente come hessiano H f (P 0 ) = f xx (P 0 )f yy (P 0 ) − (f xy (P 0 )) 2 , si ha:G se H f (P 0 ) > 0 e f xx (P 0 ) > 0, allora P 0 è un punto <strong>di</strong> minimo relativo interno proprio e f(P 0 ) è unvalore <strong>di</strong> minimo relativo;G se H f (P 0 ) > 0 e f xx (P 0 ) < 0, allora P 0 è un punto <strong>di</strong> massimo relativo interno proprio e f(P 0 ) è unvalore <strong>di</strong> massimo relativo;G se H f (P 0 ) < 0 allora P 0 non è nè punto <strong>di</strong> massimo nè punto <strong>di</strong> minimo relativo e si chiama punto <strong>di</strong>sella.Osserviamo che se vale H f (P 0 ) = 0, P 0 può essere punto <strong>di</strong> minimo, massimo o <strong>di</strong> sella: bisogna indagare casoper caso.Dimostrazione.funzione f:Per <strong>di</strong>mostrare questo teorema, applichiamo la formula <strong>di</strong> Taylor <strong>di</strong> centro P 0 allaf(x, y) = f(x 0 , y 0 ) + f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 )+ 1 2 f xx(ξ x , η y )(x − x 0 ) 2 + f xy (ξ x , η y )(x − x 0 )(y − y 0 ) + 1 2 f yy(ξ x , η y )(y − y 0 ) 2Considerando x = x 0 + h e y = y 0 + k, poichè P 0 è un punto critico, la formula si riduce af(x 0 + h, y 0 + k) = f(x 0 , y 0 ) + 1 2 f xx(ξ x , η y )h 2 + f xy (ξ x , η y )hk + 1 2 f yy(ξ x , η y )k 2= f(x 0 , y 0 ) + 1 (fxx (ξ x , η y )h 2 + 2f xy (ξ x , η y )hk + f yy (ξ x , η y )k 2)2dove (ξ x , η y ) è un punto che non conosciamo, sul segmento <strong>di</strong> estremi P e P 0 .In un opportuno intorno <strong>di</strong> P 0 , per il teorema della permanenza del segno, se vale f xx (x 0 , y 0 ) > 0vale anche f xx (x, y) > 0 nell’intorno <strong>di</strong> P 0 . Alla stessa maniera, sempre per lo stesso teorema sullapermanenza del segno, se H f (P 0 ) > 0 anche H f (P ) > 0 nell’intorno <strong>di</strong> P 0 .Supponiamo, allora <strong>di</strong> trovarci nelle ipotesi in cui H f (P 0 ) > 0 e f xx (P 0 ) > 0. Allora la formaquadratica data daF 0 (h, k) = f xx (P 0 )h 2 + 2f xy (P 0 )hk + f yy (P 0 )k 2ha il determinante della matrice ad essa associata che vale det(A) = f xx (P 0 )f yy (P 0 ) − (f xy (P 0 )) 2cioè det(A) = H f (P 0 ). Poichè per ipotesi, H f (P 0 ) > 0 e f xx (P 0 ) > 0, allora la forma quadraticaè definita positiva. La stessa cosa vale per la forma quadratica definita in un opportuno intorno<strong>di</strong> P 0 , considerando il punto (ξ x , η x ) della formula <strong>di</strong> Taylor: la forma quadratica data daF ξ,η (h, k) = f xx (ξ x , η y )h 2 + 2f xy (ξ x , η y )hk + f yy (ξ x , η y )k 2 è una forma quadratica positiva, cioèF ξ,η (h, k) > 0. Riprendendo la formula <strong>di</strong> Taylor, in un intorno <strong>di</strong> P 0 risulta quin<strong>di</strong>da cuicioèf(x, y) = f(x 0 , y 0 ) + 1 2 F ξ,η(h, k)f(x, y) − f(x 0 , y 0 ) = 1 2 F ξ,η(h, k) > 0f(x, y) > f(x 0 , y 0 ).Il punto P 0 è perciò un punto <strong>di</strong> minimo relativo proprio.Analogamente si provano gli altri due casi: se l’hessiano in P 0 è positivo e f xx (P 0 ) < 0 allora laforma quadratica associata è definita negativa e, dalla formula <strong>di</strong> Taylor, risulta che P 0 è un punto <strong>di</strong>30


3.3. Ricerca <strong>di</strong> massimi e minimi relativiFigura 3.1: Grafico della funzione f(x, y) = x 4 + y 4 − 4xy + 2.massimo relativo. Se invece l’hessiano è negativo, la forma quadratica associata è indefinita e quin<strong>di</strong>P 0 non può essere nè <strong>di</strong> massimo nè <strong>di</strong> minimo, ma è un punto <strong>di</strong> sella. ✔Esempio 3.3.1 Calcolare i punti <strong>di</strong> massimo e minimo relativo e i corrispondenti valori <strong>di</strong> massimo e minimodella funzione f(x, y) = x 4 + y 4 − 4xy + 2.Calcoliamo i punti critici della funzione calcolando le derivate parziali prime e ponendole uguali a zero:{f x (x, y) = 4x 3 − 4y = 0f y (x, y) = 4y 3 − 4x = 0Dalla prima equazione abbiamo y = x 3 e sostituendo nella seconda equazione ricaviamo0 = 4(x 9 −x) = 4x(x 8 −1) = 4x(x 4 −1)(x 4 +1) = 4x(x 2 −1)(x 2 +1)(x 4 +1) = 4x(x−1)(x+1)(x 2 +1)(x 4 +1)Le ra<strong>di</strong>ci reali sono tre x = 0, x = 1, x = −1, che, insieme alla relazione y = x 3 , ci danno i tre punti criticiP 0 (0, 0), P 1 (1, 1) e P 2 (−1, −1).Per ciascuno <strong>di</strong> questi punti critici applichiamo il teorema del test sulle derivate seconde. In questo caso lederivate parziali seconde sono:f xx = 12x 2 , f xy = −4, f yy = 12y 2Per il punto P 0 abbiamo H f (P 0 ) = −16 < 0, quin<strong>di</strong> possiamo <strong>di</strong>re subito che P 0 è un punto <strong>di</strong> sella.Per P 1 si ha H f (P 1 ) = 128 > 0, f xx (P 1 ) = 12 > 0, quin<strong>di</strong> P 1 è un punto <strong>di</strong> minimo relativo internoproprio con valore minimo f(P 1 ) = 0.Per P 2 vale H f (P 2 ) = 128 > 0, f xx (P 2 ) = 12 > 0, quin<strong>di</strong> P 2 è un altro punto <strong>di</strong> minimo relativo internoproprio con valore minimo f(P 2 ) = 0.In Figura 3.1 possiamo osservare come P 1 e P 2 siano punti <strong>di</strong> minimo mentre P 0 è un punto <strong>di</strong> sella.31


3. MASSIMI E MINIMIFigura 3.2: Grafico della funzione f(x, y) = 2y 2 .Esempio 3.3.2 Consideriamo ora la funzione f(x, y) = 2y 2 e cerchiamo i punti <strong>di</strong> massimo e minimorelativo. Per i punti critici, imponiamo che il gra<strong>di</strong>ente della funzione sia uguale a zero, quin<strong>di</strong>{f x = 0f y = 4y = 0La f x vale sempre zero perchè la f non <strong>di</strong>pende da x, Dalla seconda equazione ricaviamo y = 0, da cui i punticritici della funzione sono tutti i punti <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (x, 0), cioè tutti i punti dell’asse delle x.An<strong>di</strong>amo a calcolare l’Hessiano in questi punti. Poichè f xx = 0, f xy = 0, e f yy = 4, segue che H f (x, 0) = 0.Quin<strong>di</strong> il teorema sul test delle derivate seconde non ci può <strong>di</strong>re nulla.In tal caso, dobbiamo vedere come è fatta la funzione e cercare <strong>di</strong> capire cosa succede in un intorno <strong>di</strong> questipunti critici.Fissato x = x 0 , per il punto (x 0 , 0), in un suo qualunque intorno vale f(x, y) = 2y 2 ≥ 0 = f(x 0 , 0) (possoprendere anche un punto che ha y = 0 ma x ≠ x 0 ). Si conclude quin<strong>di</strong> che (x 0 , 0) è un punto <strong>di</strong> minimorelativo. Questo vale per tutti i punti (x, 0), che sono, dunque, tutti punti <strong>di</strong> minimo relativo (non proprio).Si veda la Figura 3.2 per confrontare i risultati.3.4 Sui massimi e minimi assolutiPer funzioni scalari, il teorema <strong>di</strong> Weierstrass assicura che se una funzione è continua in unintervallo chiuso e limitato allora essa ammette massimo e minimo (assoluti).Lo stesso teorema vale anche per funzioni <strong>di</strong> più variabili.Teorema 3.4.1 (<strong>di</strong> Weierstrass) Data una funzione continua f : I −→ R, con I ⊂ R 2 , I insieme chiuso elimitato (quin<strong>di</strong> compatto), la f ammette massimo e minimo (assoluti) in I.Questo teorema è utile per trovare massimi e minimi assoluti <strong>di</strong> una funzione continua in uninsieme compatto I. Si può applicare questo metodo:32


3.4. Sui massimi e minimi assoluti1. si calcola il valore della f nei punti critici della f che si trovano all’interno <strong>di</strong> I;2. si stu<strong>di</strong>a la funzione sulla frontiera <strong>di</strong> I e si cercano i valori estremi della f sulla frontiera;3. il più grande dei valori trovati ai passi 1 e 2 rappresenta il valore assoluto massimo della funzione;il più piccolo dei valori trovati rappresenta il valore minimo assoluto della funzione. Icorrispondenti punti sono rispettivamente i punti <strong>di</strong> massimo e minimo assoluti della funzione.Osserviamo, quin<strong>di</strong>, che la procedura per trovare i valori estremi assoluti <strong>di</strong> una funzione, in uninsieme compatto, è <strong>di</strong>versa dalla procedura per trovare gli estremi relativi <strong>di</strong> una funzione me<strong>di</strong>anteil test delle derivate seconde.A volte, si cercano sia gli estremi assoluti sia gli estremi relativi <strong>di</strong> una funzione e, in questo caso,vanno seguite entrambe le strade.Esempio 3.4.1 Si devono trovare gli estremi assoluti della funzione f(x, y) = x 2 − 4xy + 4y sul rettangoloD = {(x, y) : 0 ≤ x ≤ 2, 0 ≤ y ≤ 4}.L’insieme D è un insieme chiuso e limitato (il rettangolo <strong>di</strong> vertici A(0, 0), B(2, 0), C(2, 4), D(0, 4)), lafunzione è polinomiale, perciò continua. Ci troviamo nelle ipotesi del teorema <strong>di</strong> Weierstrass, quin<strong>di</strong> esistonoil massimo e il minimo assoluti della funzione in D.Cerchiamo i punti critici interni: da f x = 2x − 4y e f y = −4x + 4, ponendo queste derivate uguali a zeroabbiamo il sistema <strong>di</strong> equazioni{2x − 4y = 04 − 4x = 0Dalla seconda equazione ricaviamo x = 1, da cui, nella prima, 4y = 2, cioè y = 1 . Otteniamo il punto2critico P 0 (1, 1 2 ). Il punto P 0 si trova all’interno dell’insieme D (se così non fosse non lo dovremmo prenderein considerazione). Calcoliamo f(P 0 ) = 1. Non dobbiamo vedere se questo è un punto <strong>di</strong> massimo o minimorelativo (non è richiesto), quin<strong>di</strong> passiamo a vedere cosa succede alla funzione sulla frontiera (se invece dovessimocalcolare anche gli estremi relativi, a questo punto dovremmo applicare il test della derivata seconda).La frontiera dell’insieme I è dato dall’unione dei segmenti AB, BC, CD e DA.Il segmento AB ha equazione y = 0 con 0 ≤ x ≤ 2. Su questo segmento la funzione f si riduce aduna funzione della sola variabile x, g(x) = f(x, 0) = x 2 , con 0 ≤ x ≤ 2. Si vede facilmente (poichèg ′ (x) = 2x ≥ 0 nell’intervallo dato) che la g è una funzione crescente in [0, 2]: il suo valore minimo si haper x = 0 (g(0) = 0) e il suo valore massimo per x = 2 (g(2) = 4). Quin<strong>di</strong> dal segmento AB dobbiamoricordare i punti A e B dove la funzione vale 0 e 4 rispettivamente.Il segmento BC ha equazione x = 2 con 0 ≤ y ≤ 4. Qui la funzione si riduce a h(y) = f(2, y) =4 − 8y + 4y = 4 − 4y nell’intervallo [0, 4]. La funzione è decrescente (h ′ (y) = −4 < 0), quin<strong>di</strong> assumevalore massimo in 0 (h(0) = 4) e minimo in 4 (h(4) = −12). Per y = 0 ritroviamo il punto B, per y = 4troviamo il vertice C.Sul segmento CD, <strong>di</strong> equazione y = 4, con 0 ≤ x ≤ 2, la funzione <strong>di</strong>venta g(x) = f(x, 4) = x 2 − 16x + 16per x ∈ [0, 2]. La derivata g ′ (x) = 2x − 16 si annulla per x = 8 che è un punto all’esterno dell’intervallo incui deve variare la x (se fosse all’interno avremmo trovato un punto critico da considerare ai fini del calcolo<strong>degli</strong> estremi della f). Si ha g ′ (x) < 0 per 2x − 16 < 0 cioè x < 8: quin<strong>di</strong> nell’intervallo [0, 2] la g èdecrescente e assume valore massimo in 0 (g(0) = 16) e valore minimo in 2 (g(2) = −12). Per x = 0abbiamo il vertice D, per x = 2 ritroviamo C.Arriviamo infine al segmento AD dato dall’equazione x = 0, per 0 ≤ y ≤ 4. La funzione <strong>di</strong>venta h(y) =f(0, y) = 4y. La funzione è crescente e assume valore minimo e massimo rispettivamente agli estremi 0 e 4.Ritroviamo i punti A e D.33


3. MASSIMI E MINIMIFigura 3.3: Grafico della funzione f(x, y) = x 2 − 4xy + 4y nell’insieme compatto [0, 2] × [0, 4].Quin<strong>di</strong> i valori da confrontare sono: P 1 (1, 1 2 ) dove f(P 1) = 1, A dove f(A) = 0, B con f(B) = 4, C dovef(C) = −12, e D con f(D) = 16.Dal confronto segue che il massimo assoluto vale 16 e punto <strong>di</strong> massimo assoluto è D, mentre il minimoassoluto è −12 con punto <strong>di</strong> minimo assoluto C.3.5 Funzioni impliciteNello stu<strong>di</strong>are funzioni scalari, abbiamo visto funzioni del tipo y = f(x): la variabile y è funzioneesplicita della variabile y:y = sin (x), y = √ x 3 + 2, y = ln x + 4, . . . . . .Ma ci sono anche funzioni che sono definite implicitamente da una relazione tra x e y come, adesempio,x 2 + y 2 = 9 o x 3 + y 3 = 12xy o xye xy2 + 3ye −x = 0 o . . .In alcuni casi è possibile risolvere questo tipo <strong>di</strong> equazioni scrivendo y come una funzione esplicita (opiù funzioni esplicite) <strong>di</strong> x.Nel caso <strong>di</strong> x 2 +y 2 = 9, si ottiene y = ± √ 9 − x 2 , quin<strong>di</strong> due troviamo due funzioni f(x) = √ 9 − x 2e g(x) = − √ 9 − x 2 . I grafici della f e della g sono rispettivamente il semicerchio superiore e inferioredella circonferenza x 2 + y 2 = 9 e, insieme, ci danno il grafico <strong>di</strong> tutta la circonferenza.Non è altrettanto facile trovare un’espressione esplicita <strong>di</strong> y come funzione <strong>di</strong> x nel caso <strong>di</strong> x 3 +y 3 =12xy: potremmo usare la formula per trovare le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> un polinomio <strong>di</strong> terzo grado (supponendo xcostante). Ma le formule sono talmente complicate che non le scriviamo neanche! Ci accontentiamo <strong>di</strong>sapere che è possibile risolvere il problema.34


3.5. Funzioni implicitePer la funzione xye xy2 + 3ye −x = 0 non riusciamo a trovare una formula esplicita che ci permetta<strong>di</strong> scrivere y in funzione <strong>di</strong> x o viceversa x come funzione <strong>di</strong> y.Si ha quin<strong>di</strong> questo problema: data un’equazione f(x, y) = 0 è possibile scrivere y = g(x) tale chef(x, g(x)) = 0? In tal caso <strong>di</strong>remo che la y = g(x) è definita implicitamente dalla f. Si ha la seguentedefinizione.Definizione 3.5.1 Data una funzione f(x, y) definita in un sottoinsieme <strong>di</strong> R 2 , <strong>di</strong>ciamo che la funzione y =g(x) definita in un intervallo <strong>di</strong> R è definita implicitamente dall’equazione f(x, y) = 0 se, per ogni x cheappartiene all’intervallo <strong>di</strong> definizione della g, si ha cheG il punto (x, g(x)) appartiene all’insieme <strong>di</strong> definizione della f;G f(x, g(x)) = 0.Dire f(x, y) = 0 vuol <strong>di</strong>re intersecare il grafico della superficie della funzione f con il piano z = 0, cioècon il piano xy, ricavandone quin<strong>di</strong> una curva. Per tutti quei punti per cui (x, g(x)) ∈ I e f(x, g(x)) = 0il grafico della g coincide con il grafico della curva f(x, y) = 0.Per capire se esiste una funzione g definita implicitamente dalla f e se è unica, si ha il seguenteteorema.Teorema 3.5.1 (delle funzioni implicite o teorema <strong>di</strong> Dini) Sia data una funzione f : I −→ R con I ⊂R 2 , I aperto, f ∈ C 1 (I). Sia P 0 (x 0 , y 0 ) ∈ I tale che f(x 0 , y 0 ) = 0 e f y (x 0 , y 0 ) ≠ 0. Allora esiste un’unicafunzione y = g(x) definita in un opportuno intorno <strong>di</strong> x 0 (]x 0 − ɛ, x 0 + ɛ[), <strong>di</strong> classe C 1 , tale che, per ognix ∈]x 0 − ɛ, x 0 + ɛ[ risultaG y 0 = g(x 0 )G (x, g(x)) ∈ IG f(x, g(x)) = 0G g ′ (x) = − f x(x, g(x))f y (x, g(x)) .La formula della derivata prima <strong>di</strong> g si ottiene applicando le regole <strong>di</strong> derivazione per le funzionicomposte. Poichè f y (x 0 , y 0 ) ≠ 0, per il teorema della permanenza del segno si ha f y (x, g(x)) ≠ 0 in unintorno <strong>di</strong> (x 0 , y 0 ). Deriviamo ambo i membri dell’equazione f(x, g(x)) = 0 rispetto alla variabile x (ècome se avessimo x = t, y = g(x) = g(t) ma continuiamo a chiamare la variabile t con x). Abbiamodfdx = 0Ma (considerando che dxdx = 1)Dunquedfdx = f x(x, g(x)) + f y (x, g(x))g ′ (x).f x (x, g(x)) + f y (x, g(x))g ′ (x) = 0Poichè, per l’ipotesi f y (x 0 , y 0 ) ≠ 0 (quin<strong>di</strong> anche f y (x, g(x)) ≠ 0) possiamo <strong>di</strong>videre tutto per f yricavandog ′ (x) = − f x(x, g(x))f y (x, g(x))Osserviamo che il teorema <strong>di</strong> Dini dà una con<strong>di</strong>zione sufficiente ma non necessaria per l’esistenzae unicità delle funzioni implicite.35


3. MASSIMI E MINIMICome conseguenza del teorema, possiamo ricavare l’equazione della retta tangente alla funzioney = g(x) definita implicitamente dalla f nel punto x 0 . Infatti l’equazione della retta tangente in x 0 perla funzione g è data day − g(x 0 ) = g ′ (x 0 )(x − x 0 ) cioè y − y 0 = − f x(x 0 , y 0 )f y (x 0 , y 0 ) (x − x 0)Moltiplicando ambo i membri per f y (x 0 , y 0 ) troviamof y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) = −f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) da cui f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) = 0Quest’ultima relazione <strong>di</strong>ce che il gra<strong>di</strong>ente della f in (x 0 , y 0 ) è ortogonale alla retta tangente allacurva f(x, y) = 0 in P 0 .3.5.1 Equazione <strong>di</strong> una retta e vettore normale alla rettaFacciamo un breve richiamo <strong>di</strong> geometria analitica per comprendere meglio che la relazionef x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) = 0scritta prima significa <strong>di</strong>re che il gra<strong>di</strong>ente della f in (x 0 , y 0 ) è ortogonale alla retta tangente a f(x, y) =0 in P 0 .Sia assegnata una retta nello spazio R 2 e sia P 0 = (x 0 , y 0 ) un punto che giace sulla retta.Sia ⃗n = (a, b) (n sta per normale) un vettore ortogonale (normale, perpen<strong>di</strong>colare) alla retta: ilvettore è detto vettore normale.Sia dato un altro generico punto P = (x, y) sulla retta.In<strong>di</strong>chiamo con ⃗r e ⃗r 0 i vettori che ci in<strong>di</strong>cano i due punti P e P 0 rispettivamente (si veda figura 3.4).Il segmento P P 0 è dato dal vettore ⃗r − ⃗r 0 .Figura 3.4: retta nel pianoOra, poichè ⃗n è ortogonale alla retta, esso è ortogonale al vettore ⃗r − ⃗r 0 , cioè il prodotto scalare trai due vettori è nullo:⃗n · (⃗r − ⃗r 0 ) = 0Poichè ⃗r − ⃗r 0 = (x − x 0 , y − y 0 ), il prodotto scalare <strong>di</strong>ventaa(x − x 0 ) + b(y − y 0 ) = 036


3.5. Funzioni impliciteQuesta che abbiamo scritto rappresenta l’equazione della retta passante 2 per P e P 0 .Quin<strong>di</strong>, data l’equazione <strong>di</strong> una retta nella forma a(x − x 0 ) + b(y − y 0 ) = 0 il vettore che ha comecomponenti i due coefficienti a e b, rappresenta il vettore normale alla retta: ⃗n = (a, b). 3Riprendendo la retta f x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) = 0, questa retta rappresenta la rettatangente a y = g(x) nel punto x 0 . Poichè il grafico della g coincide con il grafico della curva f(x, y) = 0nell’intorno <strong>di</strong> x 0 , vuole <strong>di</strong>re che la retta è tangente alla curva f(x, g(x)) = 0 in (x 0 , y 0 ). Il gra<strong>di</strong>entedella f in (x 0 , y 0 ) è dunque ortogonale alla tangente a questa curva.Dallo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> g ′ e, eventualmente <strong>di</strong> g ′′ (che si ottiene applicando nuovamente la formula <strong>di</strong>derivazione delle funzioni composte) possiamo ottenere informazioni sulla funzione g e, quin<strong>di</strong>, anchesu f(x, y) = 0 nell’intorno <strong>di</strong> un punto (x 0 , y 0 ). Lo ve<strong>di</strong>amo con un esempio.Esempio 3.5.1 Sia data la funzione f(x, y) = xe 4y + 3y − 1. Si vuol vedere se nel punto P 0 (x 0 , y 0 ) =(0, 1 ) sono verificate le ipotesi del teorema <strong>di</strong> Dini e, in caso affermativo, se la funzione y = g(x) definita3implicitamente da f(x, y) = 0 è una funzione crescente o decrescente, concava o convessa in un intorno <strong>di</strong>x 0 .Calcoliamo f(0, 1 3 ) = 0 + 1 − 1 = 0. Inoltre f y(x, y) = 4xe 4y + 3 e f y (0, 1 3 ) = 3 ≠ 0.L’altra derivata parziale è f x = e 4y . Le derivate parziali sono continue, quin<strong>di</strong> f ∈ C 1 . Siamo nelle ipotesidel teorema <strong>di</strong> Dini, quin<strong>di</strong> esiste un’unica funzione y = g(x) definita in un intorno <strong>di</strong> x 0 = 0 tale che(x, g(x)) appartiente all’insieme <strong>di</strong> definizione della f, f(x, g(x)) = 0 e g ′ (x) = − f x(x, g(x))f y (x, g(x)) .Per vedere se la funzione è crescente o decrescente, calcoliamo g ′ (0). Poichè f x (0, 1 3 ) = e4/3 e f y (0, 1 3 ) = 3,risulta g ′ (0) = − e4/3< 0. Quin<strong>di</strong> la g è decrescente in un intorno <strong>di</strong> 0.3Per calcolare g ′′ (0) (e capire quin<strong>di</strong> se la g è convessa o concava) torniamo all’equazionef x (x, g(x)) + f y (x, g(x))g ′ (x) = 0e deriviamo ancora rispetto a x, ottenendof xx (x, g(x)) + f xy (x, g(x))g ′ (x) + f yx (x, g(x))g ′ (x) + f yy (x, g(x))(g ′ (x)) 2 + f y (x, g(x))g ′′ (x) = 0Nelle ipotesi (verificate in questo esempio) <strong>di</strong> derivate parziali seconde continue, vale f xy = f yx . Inoltre,f y (x, g(x)) ≠ 0 quin<strong>di</strong>g ′′ (x) = − f xx(x, g(x)) + 2f xy (x, g(x))g ′ (x) + f yy (x, g(x))(g ′ (x)) 2f y (x, g(x))Adesso possiamo calcolare g ′′ (0). Abbiamo f xx = 0, f xy = 4e 4y , f yy = 16xe 4y , da cui f xx (P 0 ) = 0,f xy (P 0 ) = 4e 4/3 , f yy = 0, quin<strong>di</strong>8e 4/3 (− e4/3g ′′ (0) = − 3 )> 03La funzione è convessa in un intorno <strong>di</strong> 0.Osserviamo che, se f(x 0 , y 0 ) = 0 e f y (x 0 , y 0 ) = 0, non possiamo applicare il teorema <strong>di</strong> Dini.Tuttavia, se, oltre a f(x 0 , y 0 ) = 0, si ha f x (x 0 , y 0 ) ≠ 0, si può applicare il teorema <strong>di</strong> Dini, scambiandoil ruolo <strong>di</strong> x e y. Si ha la seguente formulazione2 Spesso troviamo l’equazione scritta nella formao ancoraax + by = d dove d = ax 0 + by 0y = mx + d dove m = − a b , d = a b x 0 + y 03 ⃗n = (−m, 1), se usiamo la rappresentazione della retta me<strong>di</strong>ante y = mx + d.37


3. MASSIMI E MINIMIFigura 3.5: Curve <strong>di</strong> livello nelle mappe <strong>di</strong> meteorologia.Teorema 3.5.2 (<strong>di</strong> Dini, scambiando il ruolo <strong>di</strong> x e y) Sia data una funzione f : I −→ R con I ⊂ R 2 , Iaperto, f ∈ C 1 (I). Sia P 0 (x 0 , y 0 ) ∈ I tale che f(x 0 , y 0 ) = 0 e f x (x 0 , y 0 ) ≠ 0. Allora esiste un’unica funzionex = h(y) definita in un opportuno intorno <strong>di</strong> y 0 (]y 0 −ɛ, y 0 +ɛ[), <strong>di</strong> classe C 1 , tale che, per ogni y ∈]y 0 −ɛ, y 0 +ɛ[risultaG x 0 = h(y 0 )G (h(y), y) ∈ IG f(h(y), y) = 0G h ′ (y) = − f y(h(y), y)f x (h(y), y) .Possiamo lavorare sulla funzione h così come abbiamo fatto per la funzione g per calcolare l’equazionedella retta tangente o la sua derivata seconda.3.6 Curve <strong>di</strong> livelloUn metodo per visualizzare una funzione <strong>di</strong> due variabili è quello usato per <strong>di</strong>segnare le mappegeografiche, dove i punti che hanno la stessa altezza sono uniti insieme in modo da formare lecosiddette curve <strong>di</strong> livello o linee isometriche (contour lines).Definizione 3.6.1 Si definiscono curve <strong>di</strong> livello <strong>di</strong> una funzione f <strong>di</strong> due variabili, tutte le curve <strong>di</strong> equazionif(x, y) = c con c costante che appartiene all’insieme dei valori della f.La curva <strong>di</strong> livello f(x, y) = c è quin<strong>di</strong> l’insieme <strong>di</strong> tutti i punti del dominio della f in cui lafunzione assume il valore assegnato c. Mostra, quin<strong>di</strong>, dove il grafico della f ha altezza c.In Figura 3.5 troviamo un esempio <strong>di</strong> applicazione delle curve <strong>di</strong> livello per rappresentare la temperaturain Europa. Ciascuna curva rappresenta un valore <strong>di</strong>verso <strong>di</strong> temperatura. Per funzioni matematiche,un esempio <strong>di</strong> curve <strong>di</strong> livello si vede in Figura 3.6 dove, a sinistra, vi è la superficie data daz = √ x 2 + y 2 mentre, a destra, sono rappresentate le sue curve <strong>di</strong> livello.Proposizione 3.6.1 Dato un valore c e P 0 = (x 0 , y 0 ) tale che f(x 0 , y 0 ) = c nell’ipotesi che P 0 non sia criticoper la f, allora il gra<strong>di</strong>ente ⃗ ∇(f)(P 0 ) è ortogonale alla curva <strong>di</strong> livello f(x, y) = c in P 0 .38


3.6. Curve <strong>di</strong> livelloFigura 3.6: Superficie f(x, y) = √ x 2 + y 2 (a sinistra) e le sue curve <strong>di</strong> livello (a destra).Dimostrazione. Per la <strong>di</strong>mostrazione, ci riconduciamo al teorema <strong>di</strong> Dini delle funzioni implicite,considerando F (x, y) = f(x, y) − c.Per ipotesi P 0 non è punto critico, quin<strong>di</strong> almeno una delle due derivate parziali è non nulla in P 0 .Consideriamo il caso in cui f y (x 0 , y 0 ) ≠ 0.Allora F (x 0 , y 0 ) = 0, mentre F y (x, y) = f y (x, y) da cui F y (x 0 , y 0 ) = f y (x 0 , y 0 )Essendo sod<strong>di</strong>sfatte le ipotesi del teorema <strong>di</strong> Dini, esiste un’unica funzione definita implicitamentedalla F , y = g(x). Allora l’equazione della retta tangente alla F in P 0 ha equazioneF x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + F y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) = 0Con lo stesso ragionamento fatto prima F x (x, y) = f x (x, y) da cui ricaviamof x (x 0 , y 0 )(x − x 0 ) + f y (x 0 , y 0 )(y − y 0 ) = 0Quin<strong>di</strong> il vettore ⃗ ∇f(P 0 ) è un vettore perpen<strong>di</strong>colare (normale) alla retta tangente alla curvaf(x, y) = c nel punto P 0 . ✔3.6.1 Significato del vettore gra<strong>di</strong>enteConsideriamo una funzione f <strong>di</strong>fferenziabile. Da quanto abbiamo appena visto, il vettore gra<strong>di</strong>entenel punto P 0 (x 0 , y 0 ), ⃗ ∇f(P 0 ), è perpen<strong>di</strong>colare alla retta tangente alla curva f(x, y) = c che passa perP 0 . Più brevemente, possiamo <strong>di</strong>re che è perpen<strong>di</strong>colare alla curva <strong>di</strong> livello.Il vettore gra<strong>di</strong>ente fornisce anche informazioni sulla <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> massima crescita della funzionef. Infatti, dal momento che la derivata <strong>di</strong>rezionale <strong>di</strong>ce la velocità <strong>di</strong> cambiamento della f in quella<strong>di</strong>rezione, noi possiamo calcolare la derivata <strong>di</strong>rezionale della f in P 0 lungo tutte le possibili <strong>di</strong>rezionie vedere qual è il valore massimo e per quale <strong>di</strong>rezione si ottiene.Per la formula del gra<strong>di</strong>ente, si ha (considerando ⃗v vettore unitario)∂f(P 0 )∂⃗v= ⃗ ∇f(P 0 ) · ⃗v = | ⃗ ∇f(P 0 )||⃗v| cos θ = | ⃗ ∇f(P 0 )| cos θdove θ è l’angolo in<strong>di</strong>viduato dai vettori ∇f(P ⃗ 0 ) e ⃗v. Osserviamo che il prodotto scalare scritto inquesta maniera è del tutto equivalente alla formula che abbiamo dato utilizzando le componenti deivettori. 4 Poichè il massimo valore <strong>di</strong> cos θ è 1 e questo si ha quando θ = 0, vuol <strong>di</strong>re che il valoremassimo della derivata <strong>di</strong>rezionale ∂f(P 0)vale | ∇f(P∂⃗v⃗ 0 )| e si ha quando θ = 0 cioè quando ⃗v ha lastessa <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> ∇f(P ⃗ 0 ).4 Proviamo che, dati due vettori ⃗a = (a 1 , a 2 ) e ⃗ b = (b 1 , b 2 ), il prodotto scalare ⃗a ·⃗b = a 1 b 1 + a 2 b 2 si può scrivere, in mododel tutto equivalente come ⃗a ·⃗b = |⃗a|| ⃗ b| cos θ con θ l’angolo in<strong>di</strong>viduato dai due vettori ⃗a e ⃗ b.39


3. MASSIMI E MINIMIFigura 3.7: Sul prodotto scalare.3.7 Estremi vincolati e moltiplicatori <strong>di</strong> LagrangeIn molti problemi che <strong>di</strong>scendono da applicazioni pratiche, si cerca il massimo o il minimo <strong>di</strong> unafunzione soggetta ad una particolare con<strong>di</strong>zione che viene chiamata vincolo. Si <strong>di</strong>ce, allora, che sicercano gli estremi vincolati.A tal proposito ricor<strong>di</strong>amo il teorema <strong>di</strong> Carnot (o del coseno) per cui dato un triangolo qualsiasi e dati due lati (che scriviamocome vettori) ⃗a e ⃗ b che formano un angolo θ, per il terzo lato ⃗c vale|⃗c| 2 = |⃗a| 2 + | ⃗ b| 2 − 2|⃗a|| ⃗ b| cos θdove |⃗a|, | ⃗ b|, |⃗c| sono i moduli dei tre vettori (cioè le lunghezze dei lati del triangolo).Se consideriamo il vettore ⃗a + ⃗ b, applicando sia la regola del parallelogramma sia il teorema <strong>di</strong> Carnot, tenendo conto cheadesso l’angolo compreso tra i due lati è π − θ (si veda Figura 3.7) e che cos (π − θ) = − cos θ, si ha|⃗a + ⃗ b| 2 = |⃗a| 2 + | ⃗ b| 2 − 2|⃗a|| ⃗ b| cos (π − θ) = |⃗a| 2 + | ⃗ b| 2 + 2|⃗a|| ⃗ b| cos θDa questa relazione ricaviamo|⃗a|| ⃗ b| cos θ = 1 “|⃗a + ⃗ b| 2 − |⃗a| 2 − | ⃗ b| 2”2Scrivendo in modo esplicito i moduli dei vettori, |⃗a + ⃗ b| 2 = (a 1 + b 1 ) 2 + (a 2 + b 2 ) 2 , |⃗a| 2 = (a 1 ) 2 + (a 2 ) 2 e | ⃗ b| 2 = (b 1 ) 2 + (b 2 ) 2 ,e sostituendo, si ha proprio|⃗a|| ⃗ b| cos θ = a 1 b 1 + a 2 b 2Quin<strong>di</strong> il prodotto scalare può essere scritto sia in un modo che nell’altro.40


3.7. Estremi vincolati e moltiplicatori <strong>di</strong> LagrangeEsempio 3.7.1 Si deve costruire una scatola <strong>di</strong> cartone, priva <strong>di</strong> coperchio, utilizzando 12m 2 (metriquadrati) <strong>di</strong> cartone. Si vuole costruire una scatola con il massimo volume possibile.Il volume della scatola è dato da V = xyz (dove x, y, e z rappresentano lunghezza, larghezza e altezza dellascatola).La superficie della scatola (che non ha coperchio) è data da 2xz + 2yz + xy = 12 (12 dai 12m 2 <strong>di</strong> cartone a<strong>di</strong>sposizione).La superficie rappresenta il vincolo per la funzione volume <strong>di</strong> cui vogliamo calcolare il massimo. Questoesempio può essere risolto in modo semplice andando a scrivere z in funzione <strong>di</strong> x e y dalla relazione 2xz +2yz + xy = 12:12 − xyz =2(x + y)La funzione V <strong>di</strong>venta una funzione <strong>di</strong> due variabili12 − xyV = xyz = xy2(x + y) = 12xy − x2 y 22(x + y)Cerchiamo, <strong>di</strong> questa funzione, gli estremi relativi e tra questi ve<strong>di</strong>amo se c’è una soluzione fisicamenteaccettabile (x e y rappresentano delle lunghezze e devono essere positive).Troveremo (lo si faccia per esercizio) che V ha il suo valore massimo per x = y = 2, da cui z = 1.Tuttavia, questa strada non è sempre percorribile. Perciò ve<strong>di</strong>amo cosa si deve fare, in generale, quando sicercano punti <strong>di</strong> massimo o minimo <strong>di</strong> una funzione soggetta a un vincolo.Ve<strong>di</strong>amo il caso in cui dobbiamo cercare i valori estremi <strong>di</strong> una funzione f(x, y) soggetta al vincoloespresso dall’equazione g(x, y) = c. In maniera del tutto equivalente, possiamo <strong>di</strong>re che dobbiamocercare i valori estremi della f(x, y) quando il punto (x, y) deve appartenere alla curva <strong>di</strong> livellog(x, y) = c. In Figura 3.8 ve<strong>di</strong>amo la curva g(x, y) = c e delle curve <strong>di</strong> livello della funzione f(x, y).Queste curve <strong>di</strong> livello hanno equazione f(x, y) = k con k = 7, 8, 9, 10, 11. Se vogliamo cercare il massimodella f(x, y) soggetta al vincolo g(x, y) = c, dobbiamo cercare il più grande valore <strong>di</strong> k tale che lacurva <strong>di</strong> livello f(x, y) = k interseca g(x, y) = c. Dalla Figura, si può vedere che questo accade quandole due curve si toccano appena l’una con l’altra, cioè quando hanno in comune una retta tangente.Ciò significa che le normali alle rette tangenti sia a g(x, y) = c sia a f(x, y) = k, nel punto (x 0 , y 0 ),che è il punto in cui g(x, y) = c e f(x, y) = k si incontrano, sono identiche. Ricordando che il vettorenormale alla retta tangente ad una funzione f(x, y) è il gra<strong>di</strong>ente della f, vuol <strong>di</strong>re che ⃗ ∇f(x 0 , y 0 )e ⃗ ∇g(x 0 , y 0 ) sono vettori paralleli, cioè le loro componenti <strong>di</strong>fferiscono <strong>di</strong> una costante. Seguiremoquesto approccio per il metodo dei moltiplicatori <strong>di</strong> Lagrange.Teorema 3.7.1 Data una funzione f ∈ C 1 (I), con I ⊂ R 2 aperto, con<strong>di</strong>zione necessaria affinchè P 0 (x 0 , y 0 ) ∈I sia un punto <strong>di</strong> massimo o minimo relativo della f soggetta al vincolo g(x, y) = c è cheg(x 0 , y 0 ) = cG la matrice( )fx (P 0 ) f y (P 0 )g x (P 0 ) g y (P 0 )abbia determinante nullo: f x (P 0 )g y (P 0 ) − g x (P 0 )f y (P 0 ) = 0Proposizione 3.7.1 Se P 0 (x 0 , y 0 ) è un estremo vincolato della funzione f soggetta al vincolo g(x, y) = c ese P 0 è punto interno all’insieme <strong>di</strong> definizione della f e non è punto critico nè per la f nè per la g, allorag(x, y) = c e f(x, y) = f(x 0 , y 0 ) hanno in P 0 la stessa retta tangente.41


3. MASSIMI E MINIMIFigura 3.8: Sul prodotto scalare.Dimostrazione. Se scriviamo le equazioni delle rette tangenti a f(x, y) = f(x 0 , y 0 ) e alla curvag(x, y) = c nel punto P 0 , abbiamo f x (P 0 )(x−x 0 )+f y (P 0 )(y−y 0 ) = 0 e g x (P 0 )(x−x 0 )+g y (P 0 )(y−y 0 ) = 0.Poichè P 0 è un estemo vincolato, vale la con<strong>di</strong>zione f x (P 0 )g y (P 0 ) − g x (P 0 )f y (P 0 ) = 0, ma questarelazione rappresenta una con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parallelismo tra le due rette tangenti. 5 ✔Il vincolo si può anche rappresentare come una funzione Φ(x, y) = 0 (caso particolare: Φ(x, y) =g(x, y) − c). Il teorema si riscrive in maniera del tutto analoga.La matrice( )fx (P 0 ) f y (P 0 )g x (P 0 ) g y (P 0 )prende il nome <strong>di</strong> matrice jacobiana della f e della g. Vale infatti la seguente definizione.Definizione 3.7.1 Date le due funzioni f 1 (x, y) e f 2 (x, y) si definisce matrice jacobiana, la matrice∂(f 1 , f 2 )∂(x, y)⎛∂f 1⎜=∂x⎝∂f 2∂x⎞∂f 1∂y ⎟∂f ⎠ 2∂ySi definisce jacobiano, il determinante della matrice jacobiana.Osserviamo che il teorema che abbiamo enunciato prima è un teorema che ci dà una con<strong>di</strong>zionenecessaria ma non sufficiente.Il metodo dei moltiplicatori <strong>di</strong> Lagrange ci permette <strong>di</strong> trovare gli estremi <strong>di</strong> una funzione f(x, y)soggetta al vincolo Φ(x, y) = 0 (sempre che il problema ammetta soluzione). Per applicare questometodo deve essere ⃗ ∇Φ(x, y) ≠ 0.Abbiamo detto che, se P 0 è un punto <strong>di</strong> estremo vincolato, il gra<strong>di</strong>ente della f e della funzione<strong>di</strong> vincolo sono tra loro paralleli, cioè le componenti dei due vettori gra<strong>di</strong>ente <strong>di</strong>fferiscono per unacostante. Introduciamo questa costante me<strong>di</strong>ante la variabile λ detta moltiplicatore <strong>di</strong> Lagrange: vuol<strong>di</strong>re che f x (x 0 , y 0 ) = λΦ x (x 0 , y 0 ) e f y (x 0 , y 0 ) = λΦ y (x 0 , y 0 ).Ora, per capire chi possa essere (x 0 , y 0 ), definiamo la funzione H(x, y, λ) = f(x, y) + λΦ(x, y), che<strong>di</strong>pende dalle variabili x, y e λ. Il metodo dei moltiplicatori <strong>di</strong> Lagrange consiste dei seguenti passi:5 Ricor<strong>di</strong>amo che, date due rette ax + by + c = 0 e a ′ x + b ′ y + c ′ = 0 la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parallelismo è a a ′ = b b ′ ovveroab ′ − a ′ b = 0.42


3.7. Estremi vincolati e moltiplicatori <strong>di</strong> LagrangeFigura 3.9: Curve <strong>di</strong> livello della funzione f(x, y) = x 2 + 4y 2 e il vincolo x 2 + y 2 = 1.1. risolviamo il sistema <strong>di</strong> equazioni dato da⃗∇H(x, y, λ) = 0vale a <strong>di</strong>re:⎧⎪⎨ f x (x, y) + λΦ x (x, y) = 0f y (x, y) + λΦ y (x, y) = 0⎪⎩Φ(x, y) = 0(a meno del segno ritroviamo la con<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> parallelismo detta prima);2. valutiamo la funzione f nella/e soluzione/i trovate e identifichiamo i valori <strong>di</strong> massimo eminimo, (se esistono).Esempio 3.7.2 Si devono cercare i valori estremi della funzione f(x, y) = x 2 +4y 2 sul cerchio x 2 +y 2 = 1.In questo caso il vincolo è dato dall’equazione della circonferenza. Applichiamo il metodo dei moltiplicatori<strong>di</strong> Lagrange,⎧introducendo la funzione H(x, y, λ) = x 2 + 4y 2 + λ(x 2 + y 2 − 1) Il sistema da risolvere è⎪⎨ 2x + 2λx = 08y + 2λy = 0⎪⎩x 2 + y 2 = 1Dalla prima equazione ricaviamo x = 0 e λ = −1 mentre dalla seconda otteniano y = 0 e λ = −4.Sostituendo x = 0 nella terza equazione (il vincolo) abbiamo y 2 = 1 da cui y = ±1. Sostituendo y = 0nel vincolo ricaviamo x = ±1. Il valore <strong>di</strong> λ non ci interessa perchè abbiamo trovato tutti i punti (x, y)che verificano il sistema <strong>di</strong> equazioni. Abbiamo P 0 (0, 1), P 1 (0, −1), P 2 (1, 0) e P 3 (−1, 0). Calcoliamo la fin questi punti: f(P 0 ) = f(P 1 ) = 4, f(P 2 ) = f(P 3 ) = 1. Il valore massimo sul vincolo è dato da 4, neipunti P 0 e P 1 . Il valore minimo sul vincolo è dato da 1 nei punti P 2 e P 3 . Controllando la Figura 3.9 dove cisono le curve <strong>di</strong> livello della f e la circonferenza, si può vedere come i valori trovati applicando il metodo deimoltiplicatori <strong>di</strong> Lagrange siano effettivamente quelli che corrispondono a punti <strong>di</strong> massimo e minimo della fsul vincolo, in quanto le rette tangenti alla curva <strong>di</strong> livello e alla circonferenza, nei punti trovati, coincidono.43


4. Le curve4.1 Equazioni parametriche <strong>di</strong> una curvaSupponiamo che una particella si muova lungo una curva γ come quella mostrata in Figura 4.1.Non riusciamo a descrivere la curva me<strong>di</strong>ante un’equazione della forma y = f(x) (cioè attraverso ilgrafico <strong>di</strong> una funzione) perchè ci sono <strong>di</strong>verse rette verticali che intersecano la curva più <strong>di</strong> una volta(mentre per una funzione del tipo y = f(x), ad ogni valore <strong>di</strong> x deve corrispondere un solo valoref(x)). Tuttavia, possiamo pensare alle coor<strong>di</strong>nate (x, y) della particella che si muove lungo la curvacome funzioni del tempo t in modo da poter scrivere x = f(t) e y = g(t). Questa coppia <strong>di</strong> funzioni cipermette <strong>di</strong> descrivere la curva e <strong>di</strong> dare la definizione <strong>di</strong> curva sotto forma <strong>di</strong> equazioni parametriche.Definizione 4.1.1 Se x e y sono entrambe funzioni <strong>di</strong> una terza variabile t (t è detto parametro), le equazionix = f(t),y = g(t)sono dette equazioni parametriche.Ogni valore <strong>di</strong> t determina un punto (x, y): al variare <strong>di</strong> t varia il punto (x, y) che, sul piano cartesiano,descrive una curva γ, che chiamiamo curva parametrica.Il parametro t non rappresenta necessariamente il tempo e quin<strong>di</strong> si può anche utilizzare un’altralettera per rappresentare il parametro. Poichè, in molte applicazioni, t denota il tempo, ci è più facilevedere (x, y) = (f(t), g(t)) come la posizione della particella al tempo t.Esempio 4.1.1 Proviamo a fare il grafico per capire quale curva è rappresentata me<strong>di</strong>ante le equazioniparametriche{x = t 2 + ty = 2t − 1Figura 4.1: Una particella che si muove su una curva γ.45


4. LE CURVEFigura 4.2: Curva data da x = t 2 + t, y = 2t − 1Ciascun valore <strong>di</strong> t dà un punto della curva. Perciò consideriamo <strong>di</strong>versi valori <strong>di</strong> t e i corrispondenti puntiche si ottengono:t x y-2 2 -5-1 0 -3-1/2 -1/4 -20 0 -11 2 1In Figura 4.2 abbiamo messo su un piano cartesiano i punti (x, y) che si ottengono per molti valori delparametro t e li abbiamo uniti in modo da ottenere il grafico <strong>di</strong> una curva.Osserviamo che una particella, la cui posizione è data dalle equazioni parametriche x = f(t), y = g(t),si muove lungo la curva nella <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> t crescente. Ciò significa che una curva parametrica ha una<strong>di</strong>rezione, un orientamento dato da valori crescenti <strong>di</strong> t. Sul grafico la <strong>di</strong>rezione del movimento della curvaè in<strong>di</strong>cata me<strong>di</strong>ante freccette. Inoltre, osserviamo che a valori <strong>di</strong> t equi<strong>di</strong>stanti non corrispondono, sulla curva,punti equi<strong>di</strong>stanti: ciò è dovuto al fatto che la particella rallenta o aumenta la sua velocità al variare <strong>di</strong> t.Dalla Figura 4.2, appare evidente che la curva tracciata dalla particella è una parabola. In effetti, seeliminiamo il parametro t dalle due equazioni parametriche, ricaviamo proprio l’equazione <strong>di</strong> unaparabola. Per far ciò, dalla seconda equazione y = 2t − 1 ricaviamo t = 1 (y + 1) e sostituiamo il valore2trovato per t nell’equazione in x. Troviamo( ) 2 1x =2 (y + 1) + 1 2 (y + 1) = 1 4 y2 + y + 3 4Riconosciamo l’equazione <strong>di</strong> una parabola.46


4.1. Equazioni parametriche <strong>di</strong> una curvaFigura 4.3: Curva data da x = t 2 + t, y = 2t − 1, con −1Nell’esempio, t può variare in tutto R. Se invece t deve variare in un intervallo finito, allora anchela curva risente <strong>degli</strong> effetti del parametro.Esempio 4.1.2 Consideriamo le equazioni parametriche della curva precedente, ma con t ∈ [−1, 1]:x = t 2 + t y = 2t − 1 − 1 ≤ t ≤ 1Abbiamo solo una porzione della curva che abbiamo <strong>di</strong>segnata prima (si veda Figura 4.3).Definizione 4.1.2 La curva <strong>di</strong> equazioni parametrichex = f(t), y = g(t), t 0 ≤ t ≤ t fha punto iniziale (f(t 0 , g(t 0 )) e punto finale (f(t f ), g(t f )).Esempio 4.1.3 Cerchiamo <strong>di</strong> capire qual è la curva rappresentata dalle equazioni parametriche x = cos t,y = sin t, con 0 ≤ t ≤ 2π.Se facciamo un grafico con le coppie <strong>di</strong> punti (x, y) al variare <strong>di</strong> t, otteniamo il grafico <strong>di</strong> una circonferenza. Neabbiamo conferma eliminando il parametro t. Questa volta sfruttiamo le relazioni trigonometriche osservandochex 2 + y 2 = cos 2 t + sin 2 t = 1Quin<strong>di</strong> la circonferenza ha centro nell’origine e raggio 1.In questo esempio il parametro t può essere interpretato come l’angolo in ra<strong>di</strong>anti. Al variare <strong>di</strong> t in [0, 2π],il punto (x, y) = (cos t, sin t) si muove sulla circonferenza in <strong>di</strong>rezione antioraria partendo dal punto (1, 0)e ritornando allo stesso punto.47


4. LE CURVEEsempio 4.1.4 Ve<strong>di</strong>amo ora la curva rappresentata dalle equazioni parametriche x = sin 4t , y = cos 4t,con 0 ≤ t ≤ 2π.Di nuovo, da x 2 + y 2 = sin 2 4t + cos 2 4t = 1 ritroviamo l’equazione della circonferenza <strong>di</strong> centro l’originee raggio 1.Questa volta, però, il punto iniziale della curva si ha in (sin 0, cos 0) = (0, 1). Per valori <strong>di</strong> t crescenti, laparticella si muove in <strong>di</strong>rezione oraria lungo la circonferenza e la percorre 4 volte (il punto (0, 1) si ha pert = 0, π/2, π, 3π/2, 2π.Quin<strong>di</strong> la stessa curva può essere rappresentata in mo<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi. Conviene perciò fare la <strong>di</strong>stinzionetra curva, come insieme <strong>di</strong> punti, da curva parametrica, come insieme <strong>di</strong> punti tracciati in modoparticolare.4.2 Grafico <strong>di</strong> una curva parametricaPer fare il grafico <strong>di</strong> un’equazione della forma x = g(y) possiamo usare le equazioni parametrichex = g(t), y = t.Alla stessa maniera le curve <strong>di</strong> equazioni y = f(x) (le familiari funzioni <strong>di</strong> una variabile reale), possonoessere viste come curve <strong>di</strong> equazioni parametrichex = t,y = f(t).In generale, data una curva parametrica <strong>di</strong> equazioni x = f(t), y = g(t), con t 0 ≤ t ≤ t f , per farneil grafico possiamo far variare t nell’intervallo assegnato (o per valori crescenti in R) e vedere dovegiacciono, sul piano cartesiano, i corrispondenti punti (x, y), in modo da avere l’orientamento dellacurva.A volte conviene eliminare il parametro t per capire <strong>di</strong> che curva si tratta.Altre volte la curva è talmente complicata che conviene affidarsi a programmi <strong>di</strong> grafica alcalcolatore per poterla visualizzare.Esempio 4.2.1 Consideriamo il caso <strong>di</strong> una curva data dax = a cos (αt) y = b cos (αt) 0 ≤ t ≤ 2πdove a, b, α sono delle costanti.Visto che le funzioni sono trigonometriche, conviene sfruttare relazioni della trigonometria per capire <strong>di</strong> checurva si tratta.Facciamo un cambio <strong>di</strong> variabile ponendo u = αt. Allora le equazioni <strong>di</strong>ventanox = a cos u y = b sin u 0 ≤ u ≤ 2απPossiamo scrivere1 = cos 2 u + sin 2 u = x2a 2 + y2b 2trovando l’equazione <strong>di</strong> un’ellisse avente come centro l’origine (se a > b l’ellisse è orizzontale con l’assemaggiore sull’asse delle x, viceversa se a < b l’ellisse è verticale con l’asse maggiore sull’asse delle y, seinvece a = b l’ellisse si riduce ad una circonferenza <strong>di</strong> raggio a).L’ellisse, per u ∈ [0, 2π] viene percorsa tutta. Ma adesso u varia fino a 2απ, il che vuol <strong>di</strong>re che la curvaviene percorsa α volte dal parametro u: è come un circuito <strong>di</strong> formula 1 da ripetere per un numero α <strong>di</strong> giri.48


4.2. Grafico <strong>di</strong> una curva parametricaFigura 4.4: curva x = 4 cos (3t)y = 1 + cos 2 (3t)Esempio 4.2.2 Il cammino <strong>di</strong> una particella è dato dax = 4 cos (3t) y = 1 + cos 2 (3t)Proviamo a descrivere questo cammino cercando <strong>di</strong> capire dove variano x e y e in<strong>di</strong>viduando l’intervallo incui varia t per percorrere la curva solo una volta (nel caso in cui possa percorrerla più <strong>di</strong> una volta).Per eliminare il parametro t, sfruttiamo il fatto che le due equazioni parametriche hanno solo coseni, ricavandocos (3t) dalla prima equazione e sostituendo nella seconda:cos (3t) = x ( x) 2 x 2y = 1 + = 1 +44 16Ricaviamo una parabola. Inoltre−1 ≤ cos (3t) ≤ 1 =⇒ −4 ≤ 4 cos (3t) ≤ 4 =⇒ −4 ≤ x ≤ 40 ≤ cos 2 (3t) ≤ 1 =⇒ 1 ≤ 1 + cos 2 (3t) ≤ 2 =⇒ 1 ≤ y ≤ 2Proviamo ora per alcuni valori <strong>di</strong> t cosa si ricava per x e y:t x y0 4 2π/2 0 1π -4 23π/2 0 12π 4 2L’arco <strong>di</strong> parabola viene ripetuto più volte come un pendolo.Dagli esempi visti possiamo osservare che ci sono curve i cui punti (x, y) sono dati da un solovalore del parametro t, in altri casi lo stesso punto viene ripetuto per <strong>di</strong>versi valori <strong>di</strong> t. Abbiamo leseguenti definizioniDefinizione 4.2.1 Data una curva <strong>di</strong> equazioni parametriche x = f(t), y = g(t),49


4. LE CURVEG se un punto (x, y) si ottiene me<strong>di</strong>ante un solo valore del parametro t, allora il punto è detto semplice;G se un punto (x, y) si ottiene me<strong>di</strong>ante più valori del parametro t, allora il punto è detto multiplo.Definizione 4.2.2 Una curva è chiusa se è definita per t ∈ [t 0 , t f ] e (x(t 0 ), y(t 0 )) = (x(t f ), y(t f )): il puntosulla curva che si ha per il valore iniziale del parametro t coincide con il punto sulla curva che si ha per il valorefinale <strong>di</strong> t.4.3 Parametrizzare una curvaA volte, data una curva come equazione in x e y, vogliamo parametrizzarla.Il caso più interessante è quello <strong>di</strong> un’ellisse (e quin<strong>di</strong>, come caso particolare, un cerchio):x 2a 2 + y2b 2 = 1Come equazioni parametriche, possiamo considerarex = a cos (t) y = b sin (t) 0 ≤ t ≤ 2πIn tal caso l’ellisse parte dal punto (a, 0) e vi termina dopo aver percorso l’ellisse in senso antiorario.Una curva può essere parametrizzata in vari mo<strong>di</strong>, comunque. L’ellisse precedente, ad esempio,può essere parametrizzata comex = a cos (αt)x = a sin (αt)x = a cos (αt)y = b sin (αt)y = b cos (αt)y = −b sin (αt)La presenza della costante α ci <strong>di</strong>ce quante volte viene percorsa l’ellisse. Le ultime due equazioniparametriche ci danno la curva percorsa in senso orario (sempre partendo da t = 0).4.4 Tangente ad una curvaAssegnate le equazioni parametriche <strong>di</strong> una curvax = x(t) y = y(t) t 0 ≤ t ≤ t fvogliamo ricavare una formula per la pendenza delle rette tangenti alla curva in ciascun suo punto.Nel caso <strong>di</strong> una funzione y = F (x), la retta tangente a F per x = a è data dall’equazionep(x) = m(x − a) + F (a), dove m = F ′ (a) = dydx | x=aPer la curva parametrica, se riusciamo a calcolare la derivata della y in funzione <strong>di</strong> x, possiamoutilizzare la formula appena scritta per ricavare l’equazione della tangente alla curva in un genericopunto (x, y) della curva. Noi però abbiamo y in funzione del parametro t e non <strong>di</strong> x.Supponiamo <strong>di</strong> avere (ma non abbiamo) una funzione y = F (x) che ci permetta <strong>di</strong> scrivere la curvanon più in forma parametrica, eliminando cioè il parametro t. In realtà noi sappiamo che y = y(t) ex = x(t), quin<strong>di</strong> sostituendo abbiamoy(t) = y = F (x) = F (x(t)) =⇒ y(t) = F (x(t))Deriviamo rispetto a t:50dydtdF (x(t)) dx=dx dt


4.4. Tangente ad una curvaA noi serve una formula per dydxovvero perdF (x)dxprecedente, nell’ipotesi in cui dxdt ≠ 0 ricaviamody dF (x(t))= =dx dxdydtdxdtper avere la retta tangente.Dalla relazioneAbbiamo trovato, in questo modo, la pendenza della retta tangente alla curva scritta come y =F (x). Se vogliamo avere la tangente alla curva scritta invece come x = H(y), basta scambiare il ruolodella x con la y. L’equazione della retta tangente nel punto f(a) è del tipop(y) = m(y − f(a)) + H ′ (f(a))con m = H ′ (f(a)) = dxdy | y=f(a). In maniera del tutto analoga a quanto visto prima, si ricavadxdxdy = dtdydtper dydt ≠ 0Esempio 4.4.1 Troviamo la tangente alla curva parametrica data dalle equazionix = t 5 − 4t 3 y = t 2nel punto (0, 4).Vedremo, in questo caso, che troveremo più <strong>di</strong> una retta tangente al punto assegnato (e ne capiremo presto ilmotivo).Per prima cosa applichiamo la formula data prima:dydydx = dt 2t=dx 5t 4 − 12t 2 = 25t 3 − 12tdtAttenzione, adesso, perchè la derivata è in termini <strong>di</strong> t ma noi dobbiamo calcolare la tangente in un puntoassegnato in<strong>di</strong>viduato dalle coor<strong>di</strong>nate (x, y) = (0, 4). Dobbiamo quin<strong>di</strong> determinare per quale/i valore/i <strong>di</strong> tsi ottiene questo punto.Per la curva e il punto dati, deve quin<strong>di</strong> valere{x = t 5 − 4t 3 = 0=⇒{t 3 (t 2 − 4) = 0 → t = 0, t = ±2t 2 = 4 → t = ±2y = t 2 = 4Le soluzioni accettabili per le due equazioni sono t = ±2.Per t = −2 la pendenza della retta tangente risultam = dydx | t=−2 = − 1 8e quin<strong>di</strong> la retta tangente èy = 4 − 1 8 xPer t = 2 invece si ham = dydx | t=2 = 1 8e la retta tangente èy = 4 + 1 8 xPerchè due rette tangenti nel punto (0, 4)? Perchè la curva ”gira“ attorno al punto (0, 4) e quin<strong>di</strong> abbiamodue rette tangenti (si veda Figura 4.5).51


4. LE CURVEFigura 4.5: rette tangenti al punto (0.4) della curva x = t 5 − 4t 3 y = t 2Possiamo avere anche tangenti orizzontali o verticali, in un determinato punto <strong>di</strong> una curva, aseconda che la derivata <strong>di</strong> y o x rispetto a t sia nulla:G si ha una tangente orizzontale quando dydt = 0 e dxdt ≠ 0G si ha una tangente verticale quando dxdt = 0 e dydt ≠ 0.Possiamo anche scrivere le equazioni della retta tangente ad una curva parametrica in forma parametrica.Dato il punto P 0 = (x 0 , y 0 ) = (x(t 0 ), y(t 0 ), i valori delle derivate dx(t 0), dy(t 0)rappresentanodt dti valori delle tangenti alla curva, componente per componente. L’equazione della retta tangente a P 0 ,scritta in forma parametrica, deve passare per P 0 e avere come <strong>di</strong>rezione quella data dal vettore ⃗v cheha come componenti le due derivate ⃗v = ( dx(t 0), dy(t 0)). Scritta in forma vettoriale, la retta tangentedt dtdeve essere della forma⃗r t = P 0 + t⃗vdove P 0 è inteso come un vettore, t è il parametro al variare del quale abbiamo i punti della retta, ⃗v è ilvettore che dà la <strong>di</strong>rezione della retta. In forma parametrica abbiamo⃗r t = (x 0 + t dx(t 0)dt, y 0 + t dy(t 0))dtOsserviamo che, dalle equazioni della tangente x = x 0 + t dx(t 0), y = y 0 t dy(t 0), se dalla primadtdtequazione ricaviamo t in funzione <strong>di</strong> x e sostituiamo nella seconda equazione, troviamo l’equazionedella retta tangente che abbiamo ricavato prima.4.5 Lunghezza <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> funzionePrima <strong>di</strong> capire come si calcola la lunghezza <strong>di</strong> una curva parametrica, partiamo dal voler calcolarela lunghezza <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> funzione: data una funzione continua y = f(x) vogliamo determinare lalunghezza dell’arco della curva data dalla funzione nell’intervallo [a, b].52


4.5. Lunghezza <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> funzioneFigura 4.6: Approssimazione della lunghezza <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> funzione me<strong>di</strong>ante segmenti <strong>di</strong> rettaPer prima cosa, <strong>di</strong>amo una stima approssimata della lunghezza <strong>di</strong> questa curva: <strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo l’intervallo[a, b] in n parti uguali <strong>di</strong> ampiezza ∆x ottenendo sulla curva n + 1 punti P i , i = 0, 1, 2, . . . , n.Possiamo quin<strong>di</strong> approssimare la curva me<strong>di</strong>ante una serie <strong>di</strong> segmenti congiungenti questi punti.Ve<strong>di</strong>amo in figura 4.6 un esempio con n = 9. Poichè la lunghezza <strong>di</strong> ciascuno dei segmenti congiungentiP i−1 e P i altro non è che la <strong>di</strong>stanza euclidea tra i due punti |P i − P i−1 |, la curva sarà dunqueapprossimata daL ≈n∑|P i−1 − P i |i=1Prendendo valori <strong>di</strong> n sempre più gran<strong>di</strong> noi avremo valori via via più accurati. Passando al limiteper n → ∞ avremo la lunghezza dell’arco <strong>di</strong> curva:L = limn→∞i=1n∑|P i−1 − P i |Ora, ciascuno punto P i ha coor<strong>di</strong>nate del tipo (x i , f(x i )), da cui|P i−1 − P i | = √ (x i − x i−1 ) 2 + (f(x i ) − f(x i−1 )) 2Dal teorema del valor me<strong>di</strong>o sappiamo che f(x i ) − f(x i−1 ) = f ′ (ξ i )(x i − x i−1 ) dove ξ i è un puntoche non conosciamo all’interno dell’intervallo [x i−1 , x i ]. Ricordando che abbiamo <strong>di</strong>viso l’intervallo[a, b] <strong>di</strong> partenza in n parti uguali, si ha x i − x i−1 = ∆x da cui, f(x i ) − f(x i−1 ) = f ′ (ξ i )∆x da cui lalunghezza del segmento si può anche scrivere come|P i−1 − P i | = √ ∆x 2 + (f ′ (ξ i )∆x) 2 = √ (1 + f ′ (ξ i ) 2 )∆x 2 = √ (1 + f ′ (ξ i ) 2 )∆xInserendo questa formula nel limite che fornisce la lunghezza dell’arco <strong>di</strong> curva si haL = limn→∞i=1n∑ √1 + f′(ξ i ) 2 ∆xUsando la definizione dell’integrale definito, questo limite non è nient’altro che un integrale e,precisamente,L =∫ ba√1 + f′(x) 2 dx53


4. LE CURVEIn maniera equivalente, poichè y = f(x) possiamo riscrivereL =∫ ba√1 +( ) 2 dydxdxSe, invece, abbiamo una funzione scritta in funzione <strong>di</strong> y, vale a <strong>di</strong>re x = h(y) con c ≤ y ≤ d, lastessa formula <strong>di</strong>venta:√∫ d( ) 2 dxL = 1 + dydyc4.6 Lunghezza <strong>di</strong> una curvaCosì come abbiamo trovato una formula per calcolare la lunghezza <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> una funzioney = f(x) o x = h(y), in maniera del tutto analoga, possiamo misurare la lunghezza <strong>di</strong> una curva.Sia data una curva in forma parametrica comex = x(t) y = y(t) t 0 ≤ t ≤ t fAssumiamo che dx ≥ 0: ciò significa che la curva è attraversata solo una volta, da sinistra versodtdestra, per t che aumenta nell’intervallo [t 0 , t f ]. La curva, quin<strong>di</strong>, è semplice.Supponiamo, come per la tangente, <strong>di</strong> poter scrivere y = F (x) o x = H(y) anche se, in realtà,x = x(t) e y = y(t). Applicando le formule viste per l’arco <strong>di</strong> una funzione alla curva scritta non informa parametrica noi dobbiamo applicare una delle due formule:L =L =∫ ba∫ dc√√1 +1 +( ) 2 dydx se y = f(x), a ≤ x ≤ bdx( ) 2 dxdy se x = h(y), c ≤ y ≤ ddySe lavoriamo considerando y = F (x), poichè x = x(t), operiamo un cambio <strong>di</strong> variabile per calcolarel’integrale: si ha dx = dx(t) dt (o equivalentemente, se consideriamo x = H(y), dy = dy dt), mentredtdtper le derivate dy dx(o ) ci riconduciamo alle formule viste per la tangente. Quin<strong>di</strong> la formula perdx dytrovare la lunghezza dell’arco <strong>di</strong> una curva o, più semplicemente, la lunghezza <strong>di</strong> una curva, <strong>di</strong>venta:L =∫ tf⎛√ √√√√√⎜1 + ⎝t 0dydtdxdt⎞2⎟⎠dxdt dt = ∫ tf√ √√√√√√√ ( dydt1 + (t 0 dxdtSemplificando l’espressione sotto ra<strong>di</strong>ce otteniamoL =∫ tf1∣ t 0√ (dx ) 2 dx+dt∣ dt ∣( ) 2 dy dxdt dt dt) 2) 2dxdt dt54


4.6. Lunghezza <strong>di</strong> una curvaNell’ipotesi fatta per cui dx è positiva possiamo semplificare ancora ottenendodt√∫ tf (dx ) 2 ( ) 2 dyL =+ dtdt dtt 0Osserviamo che, nel caso in cui è dydtL =∫ tf⎛√ √√√√√⎜1 + ⎝t 0dxdtdydt⎞2⎟⎠dydt dt≥ 0, usando la formula per x in funzione <strong>di</strong> y, si ottieneda cui si arriva alla stessa formula.Se invece non rappresentiamo la curva me<strong>di</strong>ante la forma y = F (x) o x = H(y), arriviamo allostesso risultato utilizzando un’approssimazione poligonale. Divi<strong>di</strong>amo l’intervall [t 0 , t f ] in n sottointervalli<strong>di</strong> stessa ampiezza ∆t. Chiamiamo t 0 , t 1 , t 2 , . . . , t n = t f i punti finali <strong>di</strong> questi sottointervallie in<strong>di</strong>chiamo con (x i , y i ) i punti che si ottengono sulla curva con il parametro t i . Quin<strong>di</strong> x i = x(t i ) ey i = y(t i ). In<strong>di</strong>chiamo con P i i punti sul piano cartesiano che hanno coor<strong>di</strong>nate date da (x i , y i ).I punti P i si trovano sulla curva γ e possiamo tracciare una poligonale con vertici dati da P i , cheapprossima la curva γ. Con lo stesso <strong>di</strong>scorso fatto per trovare la lunghezza <strong>di</strong> un arco <strong>di</strong> funzione, lalunghezza della curva γ è data dal limite delle lunghezze dei segmenti P i−1 P i = |P i−1 − P i |OraL ≈n∑|P i−1 − P i |i=1|P i−1 − P i | = √ (x i − x i−1 ) 2 + (y i − y i−1 ) 2 = √ (x(t i ) − x(t i−1 )) 2 + (yt i ) − y(t i−1 )) 2Applichiamo il teorema del Valor Me<strong>di</strong>o alla funzione x(t) nell’intervallo [t i−1 , t i ]:x(t i ) − x(t i−1 ) = x ′ (t ∗ i )∆tdove t ∗ i è un punto opportuno che si trova all’interno dell’intervallo [t i−1 , t i ]. Analogamente,applicando lo stesso teorema alla funzione y(t) si hay(t i ) − y(t i−1 ) = y ′ (t ∗∗i )∆tcon t ∗∗i punto opportuno che si trova all’interno dell’intervallo [t i−1 , t i ]. Di conseguenza√√|P i−1 − P i | = [x ′ (t ∗ i )∆t]2 + [y ′ (t ∗∗i )∆t] 2 = [x ′ (t ∗ i )]2 + [y ′ (t ∗∗i )] 2 ∆tSostituendo nell’espressione data per L e passando al limite per n → +∞ si haL =limn→+∞i=1n∑|P i−1 − P i | = limn∑ √n→+∞i=1[x ′ (t ∗ i )]2 + [y ′ (t ∗∗i)] 2 ∆tQuesto limite ci ricorda un integrale (così come abbiamo fatto per la lunghezza dell’arco <strong>di</strong> una funzione)anche se non è esattamente lo stesso in quanto abbiamo due punti t ∗ i e t∗∗ i che sono <strong>di</strong>versi. Sipuò provare, tuttavia, che se x(t) e y(t) sono funzioni continue, il limite scritto prima è lo stesso che siavrebbe con i due punti t ∗ i e t∗∗ i coincidenti. Quin<strong>di</strong> si può passare all’integrale∫ tf √L = [x ′ (t)] 2 + [y ′ (t)] 2 dtt 055


4. LE CURVEFigura 4.7: cicloideSe, al posto <strong>di</strong> x ′ (t) scriviamo dxdt e, al posto <strong>di</strong> y′ (t) scriviamo dydtper la lunghezza <strong>di</strong> una curva.Riassumiamo questo risultato nel teorema.otteniamo la formula vista primaTeorema 4.6.1 Se una curva γ è descritta tramite equazioni parametriche x = x(t) e y = y(t), con t 0 ≤ t ≤ t f ,e x ′ (t) e y ′ (t) sono funzioni continue e γ è una curva semplice (percorsa solo una volta per t crescente da t 0 at f ), allora la lunghezza della curva è data da:L =∫ tft 0√ (dx ) 2+dt( ) 2 dydtdtEsempio 4.6.1 Vogliamo determinare la lunghezza della curvax = 3 sin (t) y = 3 cos (t) 0 ≤ t ≤ 2πRiconosciamo un cerchio <strong>di</strong> centro l’origine e raggio 3.Per applicare la formula ci serve calcolare dxdt e dydt :dxdy= 3 cos (t) = −3 sin (t)dt dtDobbiamo quin<strong>di</strong> calcolare l’integraleL == 3∫ 2π∫0 2π0√9 cos 2 (t) + 9 sin 2 (t)dt =∫ 2π√∫ 2π1dt = 3 dt = 3 · 2π = 6π00√3 cos 2 (t) + sin 2 (t)dt =La lunghezza della curva è esattamente la lunghezza della circonferenza! In questo caso abbiamo una verificaimme<strong>di</strong>ata del risultato che abbiamo ottenuto.4.7 La curva cicloideLa curva tracciata da un punto P sulla circonferenza <strong>di</strong> un cerchio quando il cerchio rotola suuna linea retta è detta cicloide (si veda Figura 4.7). Per rappresentare questa curva scegliamo comeparametro l’angolo <strong>di</strong> rotazione θ con cui si muove il cerchio. Per θ = 0 il punto P si trova all’origine<strong>degli</strong> assi cartesiani. Se il cerchio rotola <strong>di</strong> un angolo θ, poichè la circonferenza rimane sempre incontatto con la linea retta data dall’asse delle x, la <strong>di</strong>stanza del punto <strong>di</strong> contatto tra circonferenza easse delle x (punto che chiamiamo T ) dall’origine coincide con la lunghezza dell’arco P T dove P è ilpunto che osserviamo quando il cerchio rotola (si veda la Figura 4.8):OT = arc(P T )L’angolo <strong>di</strong> rotazione θ è sotteso all’arco <strong>di</strong> estremi P e T . Poichè la lunghezza <strong>di</strong> un arco è proporzio-56


4.8. Sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate polariFigura 4.8: Considerazioni geometriche sul punto P della circonferenza quando il cerchio rotola lungol’asse x.nale all’ampiezza dell’angolo, considerando che all’angolo centrale 2π corrispondenza la lunghezzadella circonferenza 2πr, possiamo scrivereθ2π = arc(P T )2πrDa questa relazione otteniamo arc(P T ) = rθ, da cui OT = rθ.Questo risultato ci serve per trovare le coor<strong>di</strong>nate del punto P . Si ha infatti (aiutandoci con laFigura 4.8):x = OT − P Qy = CT − CQConsiderando il triangolo rettangolo <strong>di</strong> vertici P , Q e il centro della circonferenza C, il lato CP = rmentre i lati P Q e CQ sono dati dalle formule trigonometricheP Q = CP sin θ = r sin θ,CQ = CP cos θ = r cos θ. Il lato CT vale r. Inserendo queste relazioni nelle espressioni precedenti troviamox = OT − P Q = rθ − r sin θ = r(θ − sin θ)y = CT − CQ = r − r cos θ = r(1 − cos θ)Abbiamo trovato, dunque, che le equazioni parametriche della curva cicloide sono date dax = r(θ − sin θ), y = r(1 − cos θ)Osserviamo che, sebbene queste equazioni le abbiamo ricavate considerando 0 < θ < π/2, esse sonovalide anche per altri valori <strong>di</strong> θ. Un arco completo della curva cicloide è dato dalla rotazione completadella circonferenza e si ha, quin<strong>di</strong>, per θ ∈ [0, 2π].4.8 Sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate polariSiamo abituati a rappresentare un punto nel piano utilizzando le coor<strong>di</strong>nate cartesiane. Vi è tuttaviaun altro sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (introdotto da Newton) che può essere conveniente per molti scopi, tra57


4. LE CURVEFigura 4.9: Rappresentazione grafica della curva cicloide per r = 2 e 0 ≤ θ ≤ 2π (a sinistra) e 0 ≤ θ ≤8π (a destra).Figura 4.10: Coor<strong>di</strong>nate polari.cui quello <strong>di</strong> rappresentare alcune curve parametriche. Questo sistema prende il nome <strong>di</strong> sistema <strong>di</strong>coor<strong>di</strong>nate polari.Scegliamo un punto nel piano che chiamiamo polo o origine (lo in<strong>di</strong>chiamo con O). Dall’originetracciamo una semiretta chiamata asse polare (in genere questo asse è tracciato orizzontalmente, adestra del punto O e corrisponde al semiasse positivo dell’asse delle x del sistema cartesiano). SeP è un qualunque altro punto in questo piano, tracciamo il segmento, <strong>di</strong> lunghezza r, che unisce Pall’origine e consideriamo l’angolo θ (<strong>di</strong> solito espresso in ra<strong>di</strong>anti) tra l’asse polare e il segmento OP .Il punto P viene rappresentato dalla coppia or<strong>di</strong>nata (r, θ) e r, θ sono le coor<strong>di</strong>nate polari del punto P(si veda Figura 4.10). Si usa la convenzione che un angolo è positivo se misurato in senso antiorariorispetto all’asse polare. Inoltre il punto (0, θ) rappresenta l’origine, qualunque sia θ.Si estende il sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate polari a valori <strong>di</strong> r negativi, con la convenzione che il puntodel tipo (−r, θ) giace sulla stessa linea del punto (r, θ) e alla stessa <strong>di</strong>stanza |r| da O, ma sul latoopposto rispetto a (r, θ). Dire (−r, θ) è la stessa cosa <strong>di</strong> (r, θ + π). Come conseguenza, un punto nelsistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate polari può avere più <strong>di</strong> una rappresentazione. Dal momento che una completarotazione antioraria è data dall’angolo 2π, si ha che il punto (r, θ) può essere rappresentato anche come(r, θ + 2nπ), e (−r, θ + (2n + 1)π) con n intero.Per passare dalla rappresentazione in coor<strong>di</strong>nate polari al sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate cartesiane, bastaosservare che l’origine del sistema polare corrisponde all’origine del sistema cartesiano, l’asse polarecorrisponde all’asse delle x e, <strong>di</strong> conseguenza, il punto P <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate polari (r, θ), ha coor<strong>di</strong>natecartesiane x e y date dax = r cos θ,y = r sin θ(si veda Figura 4.11: abbiamo applicato le relazioni trigonometriche che legano i lati <strong>di</strong> un triangolorettangolo all’angolo compreso tra ipotenusa e uno dei due cateti). Viceversa, dato un punto P incoor<strong>di</strong>nate cartesiane, per trovare i valori <strong>di</strong> r e θ delle corrispondenti coor<strong>di</strong>nate polari, possiamosfruttare le relazionir 2 = x 2 + y 2 , e tan θ = y xche ricaviamo dalle relazioni precedenti. Poichè tan θ = tan (θ + π), dobbiamo prestare attenzione ascegliere il valore <strong>di</strong> θ che permette <strong>di</strong> avere, nel piano polare, lo stesso punto del piano cartesiano.58


4.9. Curve in coor<strong>di</strong>nate polariFigura 4.11: Passaggio da coor<strong>di</strong>nate polari a coor<strong>di</strong>nate cartesiane.Esempio 4.8.1 Convertiamo il punto (2, π/4) da coor<strong>di</strong>nate polari a coor<strong>di</strong>nate cartesiane. Da x = r cos θe y = r sin θ, sostituendo i valori <strong>di</strong> r e θ otteniamo x = 2 cos (π/4) = 2 √2= √ 2 e y = 2 sin (π/4) =2√2= √ 2. In coor<strong>di</strong>nate cartesiane abbiamo il punto ( √ 2, √ 2).Esempio 4.8.2 Rappresentiamo in coor<strong>di</strong>nate polari il punto dato in coor<strong>di</strong>nate cartesiane (1, −1).Scegliamo la rappresentazione con r > 0 andando a considerare la ra<strong>di</strong>ce positiva <strong>di</strong> x 2 + y 2 . Quin<strong>di</strong>r = √ 1 + 1 = √ 2.Abbiamo da risolvere l’equazione tan θ = y x = −1.Sia θ = 3π 4 + 2nπ sia θ = −π + 2nπ con n intero (n = 0, 1, . . .) hanno come tangente il valore −1.4Scegliamo il valore <strong>di</strong> θ che ci permette (insieme a r = √ 2) <strong>di</strong> avere il punto P posizionato nel correttoquadrante: dobbiamo scegliere θ = − π 4 + 2nπ. Pren<strong>di</strong>amo θ = −π . Il punto in coor<strong>di</strong>nate polari dato da4( √ 2, − π 4 ) corrisponde a (1, −1) in coor<strong>di</strong>nate cartesiane. Se considerassimo il punto (√ 2, 3π 4coor<strong>di</strong>nate cartesiane (−1, 1) (si veda Figura 4.12 per un confronto).) avremmo, in4.9 Curve in coor<strong>di</strong>nate polariUn’equazione polare del tipo r = f(θ) o, più in generale, F (r, θ) = 0 ha come grafico l’insieme <strong>di</strong>tutti i punti P <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate polari (r, θ), che sod<strong>di</strong>sfano l’equazione. Possiamo dunque avere dellecurve rappresentate me<strong>di</strong>ante coor<strong>di</strong>nate polari.59


4. LE CURVEFigura 4.12: Punto (1, −1) in coor<strong>di</strong>nate polari e cartesiane.Esempio 4.9.1 La curva <strong>di</strong> equazione polare r = 4 è data da tutti i punti (r, θ) con r = 4. Dal momento cher rappresenta la <strong>di</strong>stanza dei punti dal polo (l’origine del piano polare), la curva data rappresenta il cerchio<strong>di</strong> centro il polo O e raggio 4.Esempio 4.9.2 La curva polare θ = π/5 consiste <strong>di</strong> tutti i punti (r, θ) con θ = π/5 ra<strong>di</strong>anti. Abbiamoquin<strong>di</strong> una retta che passa per O e che forma un angolo <strong>di</strong> π/5 ra<strong>di</strong>anti con l’asse polare.Esempio 4.9.3 Troviamo le equazioni cartesiane della curva polare r = 2 cos θ.Se proviamo a fare il grafico della curva sul piano polare, al variare <strong>di</strong> θ, ci accorgiamo che il graficorappresenta una circonferenza.Per passare a coor<strong>di</strong>nate cartesiane, da x = r cos θ abbiamo cos θ = x/r quin<strong>di</strong> r = 2 cos θ = 2x/r, cioèr 2 = 2x ma r 2 = x 2 + y 2 , da cui x 2 + y 2 = 2x o ancora x 2 + y 2 − 2x = 0. Aggiungendo e sottraendo 1abbiamox 2 + y 2 − 2x + 1 − 1 = 0 cioè (x − 1) 2 + y 2 = 1Abbiamo l’equazione della circonferenza <strong>di</strong> centro (1, 0) e raggio 1.4.9.1 La curva car<strong>di</strong>oideStu<strong>di</strong>amo ora la curva car<strong>di</strong>oide, chiamata in questo modo perchè a forma <strong>di</strong> cuore, datadall’equazione r = 1 + sin θ.Per farne il grafico, facciamo prima <strong>di</strong> tutto il grafico, in coor<strong>di</strong>nate cartesiane, della funzione r =1 + sin θ (si veda Figura 4.13, a sinistra), che altro non è che la funzione sin a cui è aggiunta un’unità.Per θ che varia da 0 a π/2, r cresce da 1 a 2. Ma r rappresenta la <strong>di</strong>stanza dal polo in coor<strong>di</strong>nate60


4.10. Lunghezza <strong>di</strong> una curva polareFigura 4.13: Car<strong>di</strong>oide.polari, perció nel grafico in coor<strong>di</strong>nate polari dobbiamo far variare r da 1 a 2 (in<strong>di</strong>chiamo con ➀ questaporzione <strong>di</strong> curva). Per θ che varia da π/2 a π, r decresce da 2 a 1 perciò nella corrispondente curvapolare dobbiamo rappresentare questa decrescita (in<strong>di</strong>cata nella regione ➁). Per θ ∈ [π, 3π/2] r decresceda 1 a 0 e si ha la corrispondente portione ➂ della curva polare. Infine, per θ ∈ [3π/2, 2π] r aumentada 0 a 1, come mostrato nella porzione ➃.Se θ dovesse andare oltre 2π, la curva ripercorrebbe lo stesso percorso.4.10 Lunghezza <strong>di</strong> una curva polareSe vogliamo calcolare la lunghezza <strong>di</strong> una curva in coor<strong>di</strong>nate polari, la formula che abbiamo datoper la lunghezza <strong>di</strong> una curva parametrica si semplifica. Infatti, se passiamo a coor<strong>di</strong>nate cartesiane,le equazioni che caratterizzano la curva polare r = f(θ) con θ 0 ≤ θ ≤ θ f sono date dax = r cos θ = f(θ) cos θ,y = r sin θ = f(θ) sin θQuin<strong>di</strong> x e y sono funzioni <strong>di</strong> θ. Assumendo che f ′ sia una funzione continua, la lunghezza della curvaè data dalla formula√∫ θf (dx ) 2 ( ) 2 dyL =+ dθdθ dθθ 0Si ha (considerando che x e y sono date dal prodotto <strong>di</strong> due funzioni):dxdθ = f ′ (θ) cos θ − f(θ) sin θ = dr cos θ − r sin θdθdydθ = f ′ (θ) sin θ + f(θ) cos θ = drdθ sin θ + r cos θ 61


4. LE CURVESfruttando il fatto che cos 2 θ + sin 2 θ = 1 si ha( ) 2 ( ) 2 ( ) 2 dx dy dr+ = cos 2 θ + r 2 sin 2 θ − 2r dr cos θ sin θ+dθ dθ dθdθ( ) 2 dr+ sin 2 θ + r 2 cos 2 θ + 2r dr cos θ sin θdθdθ( ) 2 dr= (cos 2 θ + sin 2 θ) + r 2 (cos 2 θ + sin 2 θ)+dθ− 2r drdrcos θ sin θ + 2r cos θ sin θdθ dθ( ) 2 dr= + r 2dθAndando a sostituire nell’integrale che dà la lunghezza della curva si haL =∫ θfθ 0√r 2 +( ) 2 drdθdθAbbiamo trovato una formula semplificata per la lunghezza della curva polare.4.10.1 Lunghezze <strong>di</strong> alcune curveLa curva car<strong>di</strong>oideCalcoliamo la lunghezza della curva car<strong>di</strong>oide r = 1 + sin θ con θ ∈ [0, 2π].Poichè dr = cos θ la lunghezza della curva è data dall’integraledθL ==∫ 2π0∫ 2π0√(1 + sin θ)2 + cos 2 θdθ =∫ 2π∫√ 2π √ √2 + 2 sin θdθ = 2 1 + sin θdθ00√1 + sin 2 θ + 2 sin θ + cos 2 θdθPer calcolare questo integrale moltiplichiamo e <strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo per √ 1 − sin θ ricavandoL = √ 2= √ 2∫ 2π0∫ 2π0√√ 1 − sin θ1 + sin θ √ dθ = √ ∫ 2π21 − sin θ 0√cos2 θ√ dθ = √ ∫ 2π| cos θ|2 √ dθ1 − sin θ 0 1 − sin θ√1 − sin 2 θ√1 − sin θdθAbbiamo un integrale che <strong>di</strong>pende dal valore assoluto <strong>di</strong> cos θ: poichè cos θ è positivo per 0 ≤ θ ≤ π/2e per 3π/2 ≤ θ ≤ 2π, mentre è negativo per π/2 ≤ θ ≤ 3π/2, l’integrale si spezza nei tre integraliL = √ ∫ 2π| cos θ|2 √ dθ =1 − sin θ= √ 20∫ π/2Osserviamo che∫cos θ√ dθ 1 − sin θ0cos θ√ dθ − √ ∫ 3π/221 − sin θ π/2cos θ√ dθ + √ ∫ 2π21 − sin θ 3π/2cos θ√1 − sin θdθ62


4.10. Lunghezza <strong>di</strong> una curva polareFigura 4.14: Spirale <strong>di</strong> Archimede con k = 2 e θ f = 2π (a sinistra) e θ f = 10π (a destra)si può risolvere facendo il cambiamento <strong>di</strong> variabile u = sin θ da cui du = cos θdθ ricavando∫∫∫1−1D(1 − u)√ du = − √ du = − √ du = −2 √ 1 − u + costante1 − u 1 − u 1 − uAbbiamo considerato che la derivata <strong>di</strong> 1 − u vale −1 (l’abbiamo in<strong>di</strong>cata con D(1 − u) e che ∫ x n dx =x n+1n + 1 + costante.Ritornando a L e sostituendo quanto abbiamo trovato nei tre integrali, abbiamoL = √ [ ∣∣∣−2 √ ∣ ∣∣θ=π/2∣2 1 − sin θ − ∣−2 √ 1 − sin θ∣ θ=3π/2∣+ ∣−2 √ ]1 − sin θ∣ θ=2πθ=0θ=π/2θ=3π/2= √ 2 [( −2 √ 1 − 1 + 2 √ 1 − 0 ) − ( −2 √ 1 + 1 + 2 √ 1 − 1 ) + ( −2 √ 1 − 0 + 2 √ 1 + 1 )]= √ (2 2 + 2 √ 2 − 2 + 2 √ )2= √ (2 4 √ )2 = 8La lunghezza della curva car<strong>di</strong>oide vale 8.La spirale <strong>di</strong> ArchimedeLa spirale <strong>di</strong> Archimede è una curva la cui equazione polare è ρ(θ) = kθ con k parametro assegnato,positivo e θ che varia nell’intervallo [0, θ f ] (si veda figura 4.14 per vedere cosa succede aumentandoθ f ).Per calcolare la lunghezza <strong>di</strong> questa curva, poichè dρ = k si hadθL =∫ θf0√∫ θf √k2 + (kθ) 2 dθ = k 1 + θ2 dθ0L’integrale da risolvere non è imme<strong>di</strong>ato nè semplice.Per capire come si arriva al risultato, ve<strong>di</strong>amo nei dettagli la sua risoluzione (specie perchè si tratta<strong>di</strong> un integrale che può capitare <strong>di</strong> incontrare anche in altre occasioni). 1Calcoliamo quin<strong>di</strong> l’integrale ∫ √ 1 + x 2 dx (per semplicità consideriamo l’integrale indefinito eusiamo x al posto <strong>di</strong> θ).1 Se ci dovesse capitare <strong>di</strong> risolvere un esercizio arrivando ad un integrale del genere, dovremo ricordarci che esiste tuttaquesta lunga procedura che ci apprestiamo a descrivere per giungere alla formula finale (e quin<strong>di</strong> torneremo su questi appuntiper ricordarci quale sia il risultato dell’integrale).63


4. LE CURVEFacciamo un cambiamento <strong>di</strong> variabile ponendo x = tan u. Sappiamo che D(tan u) = 1cos 2 u . La1funzione viene chiamiata anche secante (trigonometrica) e in<strong>di</strong>cata con il simbolo sec u (sec u =cos u1). Per semplicità useremo anche noi questa terminologia.cos uConsideriamo, inoltre, queste relazioni che useremo nel seguito:G 1 + tan 2 u = 1 + sin2 ucos 2 u = cos2 u + sin 2 ucos 2 = 1u cos 2 u = sec2 u1G D(sec u) = D(cos u ) = sin ucos 2 u = tan u = tan u sec ucos uTornando all’integrale, da x = tan u si ha dx = D(tan u)du = 1cos 2 u du = sec2 udu. Sostituendo sihaI =∫ √1+ x2 dx =∫ √1 + tan 2 u sec 2 uduPer la relazione 1 + tan 2 u = sec 2 u si haI =∫ √sec2u sec 2 uduPoichè u = arctan x, si ha −π/2 ≤ u ≤ π/2 e in questo intervallo cos u ≥ 0 da cui sec u ≥ 0, quin<strong>di</strong>√ sec u = sec u. Allora∫ √sec2∫I = u sec 2 udu = sec 3 uduL’integrale in sec 3 u si risolve riconducendosi all’integrale <strong>di</strong> sec u. Risolviamo prima quest’ultimointegrale (usando <strong>degli</strong> accorgimenti: come vedete, la strada per risolvere l’integrale <strong>di</strong> partenza èmolto lunga).∫∫sec udu ==sec u + tan usec usec u + tan u du∫ sec 2 u + sec u tan udusec u + tan uA questo punto si fa un cambiamento <strong>di</strong> variabile (ancora!), ponendo w = sec u + tan u (l’espressioneal denominatore della funzione integranda), da cui dw = D(sec u + tan u)du = (sec u tan u + sec 2 u)du(ritroviamo l’espressione al numeratore della funzione integranda), da cui∫ sec 2 ∫u + sec u tan u 1du = dw = ln |w| + costantesec u + tan uw= ln | sec u + tan u| + costante64Torniamo ora all’integrale <strong>di</strong> sec 3 u riscrivendo <strong>di</strong>versamente la funzione integranda:sec 3 u = sec3 u2= sec3 u2= sec3 u2= sec3 u2+ sec3 u2+ sec2 u sec u2+ (tan2 u + 1) sec u2+ tan2 u sec u+ sec u2 2= sec3 + tan 2 u sec u2+ sec u2


4.11. Funzioni a valori vettorialiPer calcolare l’integrale <strong>di</strong> sec 3 u dobbiamo integrare i due termini della somma in cui abbiamoscomposto sec 3 u. Del secondo termine sappiamo già quanto vale l’integrale. Per il primo, bastaosservare cheD(sec u tan u) = D(sec u) tan u + sec uD(tan u)= sec u tan u tan u + sec u sec 2 u= sec u tan 2 u + sec 3 uMa allora∫ sec u tan 2 u + sec 3 ∫u 1du =22 D(sec u tan u)du = 1 sec u tan u + costante2Ritornando all’integrale <strong>di</strong> prima e mettendo insieme i vari pezzi si ha∫sec 3 udu = 1 (sec u tan u + ln | sec u + tan u|) + costante2Quin<strong>di</strong> (finalmente siamo arrivati alla conclusione!!!!):∫ √1 ∫+ x2 dx = sec 3 udu = 1 (sec u tan u + ln | sec u + tan u|) + costante2Per tornare alla variabile originale x, da x = tan u si ha u = arctan x, da cui (sfruttando le proprietàviste prima <strong>di</strong> sec u e tan u) sec u = √ 1 + tan 2 u = √ 1 + x 2 . Perciò, sostituendo∫ √1+ x2 dx = 1 (x √ 1 + x2 2 + ln | √ )1 + x 2 + x| + costanteSappiamo ora calcolare la lunghezza della spirale <strong>di</strong> Archimede.Tornando alla formula∫ θf √L = k 1 + θ2 dθabbiamoL = k0[ 1(θ √ 1 + θ2 2 + ln | √ ) ] θ f1 + θ 2 + θ| = k √√)(θ f 1 + (θ f )022 + ln | 1 + (θ f ) 2 + θ f |4.11 Funzioni a valori vettorialiAbbiamo visto che una curva può essere rappresentata me<strong>di</strong>ante due equazioni parametriche chein<strong>di</strong>viduano l’ascissa e l’or<strong>di</strong>nata <strong>di</strong> ogni suo punto (se avessimo una curva nello spazio 3D avremmotre equazioni, una per x, una per y, una per z).Queste equazioni sono un esempio <strong>di</strong> funzione a valori vettoriali. Nel caso della curva in 2Dpossiamo definire una funzione f definita nell’insieme [t 0 , t f ] e a valori in R 2 : f : [t 0 , t f ] → R 2 tale chef = (x(t), y(t)) Al parametro t è associato il punto (x(t), y(t)), che possiamo vedere anche come unvettore <strong>di</strong> R 2 .Più in generaleDefinizione 4.11.1 f : I → R n con I ⊂ R k , (k, n interi) è una funzione vettoriale.Se la funzione vettoriale è data da f(t) = (f 1 (t), f 2 (t), . . . , f n (t)), possiamo calcolare la sua derivata,che è il vettore che ha come componenti le derivate delle componenti della funzione: f ′ (t) =(f 1(t), ′ f 2(t), ′ . . . , f n(t)). ′ Di questo vettore possiamo calcolare il modulo (che è una funzione <strong>di</strong> t):|f ′ (t)| = √ ∑ ni=1 (f i ′(t))2 .Nel caso 2D, se f(t) = (x(t), y(t)), si ha f ′ (t) = ( dxdt , dydt ) e |f ′ (t)| =√ (dx ) 2+dt( ) 2 dydt65


4. LE CURVE4.12 Le curve riviste come funzioni vettorialiDefinizione 4.12.1G Si <strong>di</strong>ce curva <strong>di</strong> R n ogni applicazionef : [a, b] → R nG Si <strong>di</strong>ce sostegno (oppure traccia o traiettoria) della curva l’insieme f([a, b]) (il codominio della funzione).G Un curva f si <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> classe C k se f è <strong>di</strong> classe C k ([a, b]) (cioè se ogni sua componente è <strong>di</strong> classe C k ).La curva rappresentata dalla f viene detta anche curva γ.Definizione 4.12.2 Una curva γ si <strong>di</strong>ce regolare se1. la f è <strong>di</strong> classe C 1 ([a, b])2. ∀t ∈]a, b[: |f ′ (t)| > 03. Se la f è una corrispondenza biunivoca tra [a, b] e f([a, b]) (si può avere una sola eccezione se la curva èchiusa, per cui f(a) = f(b))Definizione 4.12.3 Due funzioni vettoriali f : [a, b] → R n e g : [α, β] → R n rappresentanto la stessa curvaγ se esiste una funzione Φ : [α, β] → [a, b], <strong>di</strong> classe C 1 e Φ ′ (u) > 0 ∀u ∈ [α, β], tale cheΦ(α) = a Φ(β) = bG ∀u ∈ [α, β] : g(u) = (f ◦ Φ)(u) = f(Φ(u))Definizione 4.12.4 Una curva si <strong>di</strong>ce generalmente regolare o regolare a tratti se1. f è continua2. esiste un numero finito <strong>di</strong> punti a = t 0 < t 1 < . . . < t r = b tali che la f ristretta a ciascun sottointervallo[t i−1 , t i ], i = 1, 2, . . . , r rappresenti una curva regolareEsempio 4.12.1 La curva data dax = t y = |t| − 1 ≤ t ≤ 1non è regolare perchè non è derivabile per t = 0, ma la curva è generalmente regolare perchè ristretta a [−1, 0]e [0, 1] è regolare.4.13 Retta tangente ad una curvaDefinizione 4.13.1 Data una curva γ <strong>di</strong> classe C 1 , data dalla funzione vettorialef : [a, b] → R nsia t p ∈]a, b[, con f ′ (t p ) ≠ 0.Si definisce retta tangente alla curva γ nel punto f(t p ) la retta passante per f(t p ) e avente come <strong>di</strong>rezionequella del vettore f ′ (t p ):⃗r t = f(t p ) + tf ′ (t p )t ∈ RNel caso 2D ritroviamo la retta che avevamo introdotto a pag. 52:⃗r t = (x(t p ) + dx(t p)dtt, y(t p ) + dy(t p)t)dtDefinizione 4.13.2 Il vettore f ′ (t p ) si <strong>di</strong>ce vettore tangente alla curva γ in f(t p ).In R 2 il vettore tangente si in<strong>di</strong>ca anche come66f ′ (t p ) = x ′ (t)⃗i + y ′ (t)⃗j


4.14. Curve orientate4.14 Curve orientateL’orientamento naturale <strong>di</strong> una curva è quello dato da valori crescenti <strong>di</strong> t. Per <strong>di</strong>re che la curva hal’orientamento naturale la si in<strong>di</strong>ca come +γ.L’orientamento <strong>di</strong> una curva può essere data dal versoreτ(t) = f ′ (t)|f ′ (t)|Definizione 4.14.1 Data una curva γ <strong>di</strong> classe C 1 , data da f : [a, b] → R n si chiama curva opposta la curva Γdata da F : [−b, −a] → R n per la quale F(u) = f(−u)La curva orientata +Γ ha orientamento naturale opposto a quello della curva +γ. Proprio per questomotivo, si può in<strong>di</strong>care con −γ la curva opposta +Γ.4.15 Di nuovo sulla lunghezza <strong>di</strong> una curvaDiamo qualche cenno su come si arriva alla lunghezza <strong>di</strong> una curva.Data una curva γ <strong>di</strong> classe C 0 , sia data una sud<strong>di</strong>visione dell’intervallo [a, b] me<strong>di</strong>ante i puntia = t 0 < t 1 < . . . < t r = b. Si consideri la poligonale che congiunge i punti f(t i ). Si <strong>di</strong>ce lunghezzadella curva γ l’estremo superiore dell’insieme costituito dalle lunghezze delle poligonali così create,considerando tutte le possibili sud<strong>di</strong>visioni dell’intervallo [a, b] fatte con un numero finito <strong>di</strong> punti.Una curva che ha lunghezza finita si <strong>di</strong>ce rettificabile.Una curva regolare è rettificabile e la sua lunghezza è data daL =∫ ba|f ′ (t)|dtOsserviamo che questa formula è esattamente quella che abbiamo ricavato in precedenza.Per una curva regolare a tratti si ha un’analoga definizione, considerando la somma dellelunghezze delle curve regolari <strong>di</strong> cui è composta.Proposizione 4.15.1 L’integrale che fornisce la lunghezza <strong>di</strong> una curva non cambia se si considera la curvaopposta a quella data o se si considera la curva me<strong>di</strong>ante rappresentazioni equivalenti.4.16 L’ascissa curvilineaData una curva regolare orientata +γ data da f : [a, b] → R n si definisca la funzione reale s(t) datada{∫ ta |f ′ (u)|du per t ≠ as(t) =0 per t = aQuesta funzione rappresenta la lunghezza dell’arco <strong>di</strong> curva tra f(a) e f(t) ed è detta ascissa curvilinea.È una funzione crescente poichè s ′ (t) = |f ′ (t)| > 0 (essendo la curva regolare).La sua inversa è una funzione Φ(s) tale che Φ(s) = t e tale che ∀s ∈ [0, L] (dove L è la lunghezzadella curva γ) si ha Φ(0) = a, Φ(L) = b e Φ ′ (s) > 0.Ma, allora, f è equivalente alla funzione g = f ◦ Φ. La funzione g <strong>di</strong>pende dall’ascissa curvilinea s.La rappresentazione <strong>di</strong> una curva me<strong>di</strong>ante l’ascissa curvilinea non <strong>di</strong>pende dalla rappresentazioneparametrica da cui si è partiti.Proposizione 4.16.1 La derivata <strong>di</strong> g ha modulo unitario (o norma unitaria).67


4. LE CURVEDimostrazione.|g ′ (s)| = |(f ◦ Φ) ′ (s)| = |f ′ (Φ(s))Φ ′ (s)| = |f ′ (Φ(s))|Φ ′ (s)Non abbiamo considerato il modulo <strong>di</strong> Φ ′ (s) essendo questa funzione positiva e scalare. Poichè Φ èla funzione inversa <strong>di</strong> s, per la derivata vale Φ ′ 1(s) =s ′ (la derivata della inversa <strong>di</strong> una funzione(Φ(s))è uguale al reciproco della derivata della funzione stessa), andando a sostituire, si trova:|g ′ (s)| = 1✔Considerando il <strong>di</strong>fferenziale dell’ascissa curvilinea si ha la cosiddetta lunghezza dell’arcoelementare:ds = |f ′ (t)|dt68


5. Superfici parametriche5.1 Superfici parametricheCosì come una curva è stata rappresentata in forma parametrica, anche una superficie può essererappresentata in forma parametrica me<strong>di</strong>ante tre funzioni (una per x, una per y, una per z) <strong>di</strong>pendentida due parametri, dette equazioni parametriche della superficiex = x(u, v) y = y(u, v) z = z(u, v).Alla stessa maniera con cui abbiamo visto le equazioni <strong>di</strong> una curva parametrica come una funzionevettoriale, anche una superficie parametrica può essere vista come una funzione vettoriale che <strong>di</strong>pendeda due variabili ⃗r : R 2 −→ R 3 , tale che⃗r(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v))La funzione vettoriale è definita su una regione D del piano uv e l’insieme dei punti (x, y, z) ∈ R 3 ,che sono i valori della funzione vettoriale, prende il nome <strong>di</strong> superficie parametrica S.Esempio 5.1.1 Sia data la superficie <strong>di</strong> equazioni parametrichex = 4 cos u, y = v, z = 4 sin uCerchiamo <strong>di</strong> capire <strong>di</strong> quale superficie si tratta.Da x 2 + z 2 = 16 cos 2 u + 16 sin 2 u = 16 deduciamo che sezioni verticali parallele al piano xz, vale a <strong>di</strong>reper y costante, sono tutte circonferenze <strong>di</strong> raggio 4. Dal momento che l’equazione parametrica per y è proprioy = v, e v ∈ R, la superficie è un cilindro circolare <strong>di</strong> raggio 4 il cui asse è l’asse delle y (si veda Figura 5.1).Figura 5.1: Cilindro <strong>di</strong> equazioni x = 4 cos u, y = v, z = 4 sin u.69


5. SUPERFICI PARAMETRICHEFigura 5.2: Cilindro <strong>di</strong> equazioni x = 4 cos u, y = v, z = 4 sin u con 0 ≤ u ≤ π/4, 0 ≤ v ≤ 1.Esempio 5.1.2 Nell’esempio <strong>di</strong> prima, non c’erano limitazioni ai parametri u e v. Se invece poniamo dellelimitazioni avremo una porzione <strong>di</strong> cilindro. Facciamo variare u in [0, π/4] e v in [0, 1]. In Figura 5.2possiamo osservare la superficie che otteniamo.Se una superficie parametrica S è data dalla funzione vettoriale ⃗r(u, v), è utile definire due famiglie<strong>di</strong> curve che si trovano sulla superficie: una famiglia <strong>di</strong> curve che si ha considerando u costante e l’altrache si ha considerando v costante. Queste due famiglie corrispondono a linee verticali e orizzontalinel piano uv.Prendendo u = u 0 , la funzione vettoriale ⃗r(u 0 , v) <strong>di</strong>venta una funzione vettoriale <strong>di</strong>pendente dalsolo parametro v e definisce una curva γ 1 che giace sulla superficie S. Analogamente, per v = v 0 , si hala curva γ 2 data da ⃗r(u, v 0 ) sulla superficie S.Le due curve prendono il nome <strong>di</strong> curve coor<strong>di</strong>nate o curve <strong>di</strong> griglia. I grafici che abbiamo fattoper visualizzare le superfici <strong>degli</strong> esempi precedenti mostrano queste curve coor<strong>di</strong>nate.5.1.1 Sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate sferichePer visualizzare il grafico delle superfici, a volte è utile rappresentare le superfici in un sistema <strong>di</strong>coor<strong>di</strong>nate che non è quello cartesiano. Ve<strong>di</strong>amo nel dettaglio il sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate sferiche, dove unpunto P che ha coor<strong>di</strong>nate (x, y, z) nello spazio cartesiano viene rappresentato in coor<strong>di</strong>nate sfericheme<strong>di</strong>ante (ρ, θ, φ) (si veda Figura 5.3): ρ rappresenta la <strong>di</strong>stanza del punto P dall’origine dello spaziocartesiano (ρ = √ x 2 + y 2 + z 2 ), θ rappresenta l’angolo che si ha tra la proiezione del punto P sul pianoxy e l’asse positivo dell’asse x (in altri termini, è la coor<strong>di</strong>nata polare θ della proiezione <strong>di</strong> P sul pianoxy), mentre φ è l’angolo tra l’asse positivo dell’asse z e il segmento OP . Quin<strong>di</strong> ρ ≥ 0 e 0 ≤ φ ≤ π.Questo sistema <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate è utile in presenza <strong>di</strong> simmetrie intorno all’origine.La relazione tra coor<strong>di</strong>nate cartesiane e coor<strong>di</strong>nate sferiche, tiene conto delle relazioni trigonometriche.In Figura 5.4 ve<strong>di</strong>amo i due triangoli rettangoli OP Q e OP P ′ . Il triangolo OP Q ha i lati OQe OP <strong>di</strong> lunghezza z e ρ rispettivamente, e, per le relazioni sui lati e angoli <strong>di</strong> un triangolo rettangolovale z = ρ cos φ. Il triangolo OP P ′ ha uno dei suoi cateti, in<strong>di</strong>cato con r, che è dato dalla proiezione<strong>di</strong> OP sul piano xy. Vale r = ρ sin φ. Le coor<strong>di</strong>nate x e y sono cateti del triangolo che si forma sulpiano xy e che ha come ipotenusa proprio r, da cui x = r cos θ e y = r sin θ, vale a <strong>di</strong>re x = ρ sin φcosθe y = ρ sin φ sin θ.70


5.1. Superfici parametricheFigura 5.3: Rappresentazione delle coor<strong>di</strong>nate sferiche.Figura 5.4: Relazione tra coor<strong>di</strong>nate cartesiane e sferiche.Riassumendo, le coor<strong>di</strong>nate sferiche <strong>di</strong> P sono date dax = ρ sin φ cos θ, y = ρ sin φ sin θ, z = ρ cos φViceversa, considerando la formula della <strong>di</strong>stanza <strong>di</strong> un punto P dall’origine e sosituendo i valoriappena trovati si ricava:√x2 + y 2 + z 2 =√ρ 2 sin 2 φ cos 2 θ + ρ 2 sin 2 φ sin 2 θ + ρ 2 cos 2 φ = ρEsempio 5.1.3 L’equazione <strong>di</strong> una sfera <strong>di</strong> centro l’origine e raggio r è data da x 2 + y 2 + z 2 = r 2 . Possiamodescrivere la sfera usando equazioni parametriche del tipox = x, y = y, z = ± √ r 2 − x 2 − y 2 71


5. SUPERFICI PARAMETRICHEFigura 5.5: Superficie sferica. Il grafico è fatto usando coor<strong>di</strong>nate cartesiane (a sinistra) e coor<strong>di</strong>natesferiche (a destra).Osserviamo che abbiamo due funzioni per z. Usando queste equazioni e unendo i grafici, otteniamo la sferache si vede in Figura 5.5 a sinistra: parti della sfera non sono rappresentate ma ci sono dei buchi, perchè x ey sono fatti variare in un dominio rettangolare e, in corrispondenza dei buchi abbiamo delle ra<strong>di</strong>ci quadrate<strong>di</strong> valori negativi! Se usiamo invece coor<strong>di</strong>nate sferiche, i punti hanno coor<strong>di</strong>nate con ρ = r, da cui,x = r sin φ cos θ, y = r sin φ sin θ, z = r cos φ, 0 ≤ φ ≤ π, 0 ≤ θ ≤ 2πIl grafico della sfera usando le coor<strong>di</strong>nate sferiche è in Figura 5.5 a destra. Osserviamo come la superficiesia ben rappresentata. In questo caso le curve coor<strong>di</strong>nate per φ costante sono delle circonferenze <strong>di</strong> valorecostante (che corrispondono ai noti paralleli che si stu<strong>di</strong>ano in geografia). Per θ costante abbiamo invece imeri<strong>di</strong>ani (semicirconferenze perchè 0 ≤ φ ≤ π) che collegano polo nord e polo sud.5.2 Piano tangente a una superficie parametricaData una superficie parametrica S <strong>di</strong> equazione ⃗r(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)), vogliamo calcolarel’equazione del piano tangente alla superficie in un punto P 0 (x 0 , y 0 , z 0 ) che vi appartiene. Esistequin<strong>di</strong> una coppia <strong>di</strong> valori (u 0 , v 0 ) tale che P 0 = ⃗r(u 0 , v 0 ).Per calcolare il piano tangente, facciamo questo tipo <strong>di</strong> ragionamento. Fissando u = u 0 , le equazioniparametriche della superficie <strong>di</strong>ventano ⃗r(u 0 , v) = (x(u 0 , v), y(u 0 , v), z(u 0 , v)): abbiamo una funzionevettoriale che <strong>di</strong>pende dalla sola variabile v e che definisce una curva parametrica γ 1 nello spazioR 3 . Questa curva giace sulla superficie S.Scriviamo le equazioni parametriche della retta tangente a questa curva (si veda pag. 66), considerandoche quella che è la derivata della funzione x(u 0 , v) rispetto a v nel punto v = v 0 altro non è chela derivata parziale della funzione x(u, v) rispetto a v nel punto (u 0 , v 0 ) (stesso <strong>di</strong>scorso vale per y eper z). Otteniamoretta ⃗ tv = (x 0 + t ∂x(u 0, v 0 )∂v, y 0 + t ∂y(u 0, v 0 )∂v, z 0 + t ∂z(u 0, v 0 ))∂vAbbiamo chiamato questa retta con retta ⃗ tv perchè è la retta tangente alla curva che <strong>di</strong>pende dallavariabile v poichè u = u 0 costante. Di conseguenza, la pendenza <strong>di</strong> questa retta, vale a <strong>di</strong>re, la tangentealla curva γ 1 nel punto x(u 0 , v 0 ), y(u 0 , v 0 ) è data dal vettore72⃗r tv = ( ∂x(u 0, v 0 )∂v, ∂y(u 0, v 0 )∂v, ∂z(u 0, v 0 ))∂v


5.2. Piano tangente a una superficie parametricaAllo stesso modo, possiamo fissare v = v 0 e considerare che le equazioni parametriche della superficie,in questo caso, si riducono alle equazioni parametriche <strong>di</strong> una curva nello spazio R 3 che <strong>di</strong>pendonodalla variabile u. Analogamente, possiamo scrivere le equazioni parametriche della retta tangente aquesta curva nel punto P 0 , ottenendoretta ⃗ tu = (x 0 + t ∂x(u 0, v 0 )∂u, y 0 + t ∂y(u 0, v 0 )∂uLa pendenza <strong>di</strong> questa retta è data dal vettore⃗r tu = ( ∂x(u 0, v 0 )∂u, ∂y(u 0, v 0 )∂u, ∂z(u 0, v 0 ))∂u, z 0 + t ∂z(u 0, v 0 ))∂uUna volta ottenute queste due rette, il piano tangente alla superficie è il piano in<strong>di</strong>viduato dalle <strong>di</strong>rezioni<strong>di</strong> queste due rette, cioè dai due vettori ⃗r tu e ⃗r tv . Consideriamo dei brevi richiami sulle equazioni<strong>di</strong> un piano in R 3 .5.2.1 Equazione <strong>di</strong> un piano e vettore normale al pianoSupponiamo <strong>di</strong> avere un punto P 0 = (x 0 , y 0 , z 0 ) su un piano nello spazio R 3 . Supponiamo <strong>di</strong> avereanche un vettore ⃗n che è normale a questo piano:Assumiamo <strong>di</strong> conoscere un altro generico punto P = (x, y, z) che giace sul piano.In<strong>di</strong>chiamo con ⃗r e ⃗r 0 i vettori che ci in<strong>di</strong>cano i due punti P e P 0 rispettivamente (si veda figura 5.6).Possiamo costruire il vettore ⃗r − ⃗r 0 che giace interamente nel piano. Per semplicità, nella figura 5.6abbiamo messo sul piano il vettore ⃗n (anche se esso potrebbe stare da tutt’altra parte). Ora, poichèFigura 5.6: piano nello spazio⃗n è ortogonale al piano, esso è ortogonale ad ogni vettore che giace nel piano. In particolare esso èortogonale al vettore ⃗r − ⃗r 0 . Vale dunque:⃗n · (⃗r − ⃗r 0 ) = 0Se ⃗n è un vettore <strong>di</strong> componenti (a, b, c), poichè ⃗r − ⃗r 0 = (x − x 0 , y − y 0 , z − z 0 ), il prodotto scalare<strong>di</strong>ventaa(x − x 0 ) + b(y − y 0 ) + c(z − z 0 ) = 0Questa è l’equazione scalare del piano. Spesso troviamo l’equazione scritta nella formaax + by + cz = d dove d = ax 0 + by 0 + cz 073


5. SUPERFICI PARAMETRICHEOsserviamo quin<strong>di</strong> che, data l’equazione <strong>di</strong> un piano possiamo ricavare facilmente un vettore normaleal piano: esso è dato da ⃗n = (a, b, c).Ora, dati due vettori ⃗a e ⃗ b in R 3 , il prodotto vettoriale ⃗a × ⃗ b è un vettore che punta nella <strong>di</strong>rezioneperpen<strong>di</strong>colare al piano in<strong>di</strong>viduato dai due vettori ⃗a e ⃗ b, mentre la sua lunghezza è data da|⃗a × ⃗ b| = |⃗a|| ⃗ b| sin θdove θ è l’angolo compreso dai due vettori (0 ≤ θ ≤ π). Da questa formula deduciamo che se i duevettori sono paralleli allora il loro prodotto vettoriale è nullo e viceversa. Come interpretazione geometricasi ha che la lunghezza del prodotto vettoriale rappresenta l’area del parallelogramma in<strong>di</strong>viduatodai vettori ⃗a e ⃗ b. Per trovare le componenti del prodotto vettoriale si ha la formula legata al determinantedella matrice che ha sulla prima riga i versori dell’asse delle x, delle y e delle z rispettivamente,sulla seconda riga le componenti del vettore ⃗a e sulla terza riga le componenti del vettore ⃗ b. Si calcolail determinante della matrice rispetto alla prima riga in modo da avere come risultato un vettore. Sia⃗a = (a 1 , a 2 , a 3 ) e ⃗ b = (b 1 , b 2 , b 3 ). I versori unitari dei tre assi siano dati da⃗i, ⃗j, ⃗ k. Il prodotto vettoriale⃗a × ⃗ b è dato da∣ ⃗a × ⃗ ⃗i ⃗j ⃗ k ∣∣∣∣∣ b =a 1 a 2 a 3 =⃗i∣ a ∣ 2 a 3∣∣∣− ⃗j∣b 2 b 3∣ a ∣ 1 a 3∣∣∣+b 1 b ⃗ k3∣ a ∣1 a 2∣∣∣b 1 b 2b 1 b 2 b 3=⃗i(a 2 b 3 − b 2 a 3 ) − ⃗j(a 1 b 3 − b 1 a 3 ) + ⃗ k(a 1 b 2 − b 1 a 2 )= (a 2 b 3 − b 2 a 3 , b 1 a 3 − a 1 b 3 , a 1 b 2 − b 1 a 2 )Quin<strong>di</strong> se abbiamo due vettori ⃗a e ⃗ b che si trovano sul piano <strong>di</strong> cui vogliamo scrivere l’equazione, illoro prodotto vettoriale è il vettore normale al piano e può essere utilizzato per scrivere l’equazionedel piano tangente.Tornando al piano tangente ad una superficie parametrica in un punto P 0 , poichè abbiamo trovatoi due vettori tangenti ⃗r tu e ⃗r tv che si trovano sul piano tangente alla superficie, allora il piano tangenteè in<strong>di</strong>viduato dal vettore ⃗n = ⃗r tu × ⃗r tv (i due vettori non devono essere tangenti tra loro).Esempio 5.2.1 Sia data la superficie <strong>di</strong> equazioni parametrichex = 2u 2 , y = 3v 2 , z = 3u + 5vVogliamo trovare l’equazione del piano tangente alla superficie nel punto P 0 (2, 3, 8). Notiamo che questopunto si ha per u = v = 1.Calcoliamo i due vettori tangenti ⃗r tu e ⃗r tv .Poichè∂x∂y∂z∂u = 3∂u = 4u, ∂u = 0,valutando queste derivate in (1, 1) abbiamo⃗r tu = (4, 0, 3)Analogamente, poichè∂x∂v = 0, ∂y∂v = 6v, ∂z∂v = 5valutando queste derivate in (1, 1) abbiamo⃗r tv = (0, 6, 5)Il prodotto vettoriale è⃗i ⃗j ⃗ k⃗r tu × ⃗r tv =4 0 3∣0 6 5∣ = (−18) ⃗i − (12)⃗j + (24) ⃗ k = (−18, −12, 24)74


5.2. Piano tangente a una superficie parametricaQuin<strong>di</strong> il piano tangente è dato daa(x − x 0 ) + b(y − y 0 ) + c(z − z 0 ) = 0dove (a, b, c) = (−18, −12, 24) e (x 0 , y 0 , z 0 ) = (2, 3, 8) = P 0 , da cui−18(x − 2) − 12(y − 3) + 24(z − 8) = 0o ancora−18x + 36 − 12y + 36 + 24z − 192 = 0 =⇒ 24z − 12y − 18x − 120 = 0 =⇒ 2z − y − 1.5x − 10 = 075


6. Integrali6.1 Integrali <strong>di</strong>pendenti da parametriAnalizziamo brevemente gli integrali <strong>di</strong>pendenti da parametri, vedendo il caso in cui la funzioneintegranda <strong>di</strong>pende da una sola variabile e il caso in cui <strong>di</strong>pende da due variabili.6.1.1 Integrali <strong>di</strong>pendenti da parametri per funzioni <strong>di</strong> una sola variabileSe f : I −→ R con I ⊂ R è una funzione continua, fissato x 0 ∈ I si può definire la funzioneF (x) =∫ xx 0f(t)dtQuesta funzione prende il nome <strong>di</strong> funzione integrale della f <strong>di</strong> punto iniziale x 0 .Proposizione 6.1.1 Se G è una primitiva della f (quin<strong>di</strong> G ′ = f) si haF (x) =∫ xx 0f(t)dt = G(x) − G(x 0 )La funzione F è a sua volta una primitiva <strong>di</strong> f.Dimostrazione.Infatti F ′ (x) = d ( ∫ xdxx 0f(t)dt)= d(G(x) − g(x 0))= f(x). ✔dx6.1.2 Integrali <strong>di</strong>pendenti da parametri per funzioni <strong>di</strong> due variabiliSe f : I −→ R con I ⊂ R 2 è una funzione continua, si può definire la funzioneF (y 0 , y 1 , x) =∫ y1y 0f(x, y)dyQuin<strong>di</strong>, fissato un certo valore <strong>di</strong> x, calcoliamo l’integrale della funzione f(x, y), come funzione che<strong>di</strong>pende solo da y, per y 0 ≤ y ≤ y 1 . Al variare <strong>di</strong> x varia l’integrale. E l’integrale varia anche al variare<strong>di</strong> y 0 e y 1 , perciò è una funzione che <strong>di</strong>pende da tre variabili, y 0 , y 1 e x.La F è una funzione continua.Proposizione 6.1.2 Se f è continua, la F è derivabile rispetto a y 0 e y 1 e vale∂F∂y 1= f(x, y 1 )∂F∂y 0= −f(x, y 0 )Dimostrazione.La prima relazione segue dal fatto che, poichè stiamo facendo la derivata rispetto a y 1 (che è ilsecondo estremo dell’intervallo <strong>di</strong> integrazione), posso considerare la F come funzione integrale <strong>di</strong>una funzione <strong>di</strong>pendente da una sola variabile. In particolare, fissati x e y 0 , considero la funzioneg(y) = f(x, y) eF 1 (y 1 ) = F (y 0 , y 1 , x) =∫ y1y 0g(y)dy77


6. INTEGRALIMi riconduco dunque al caso visto prima, da cui F ′ 1(y 1 ) = g(y 1 ). Ma g(y 1 ) = f(x, y 1 ) e F ′ 1(y 1 ) altro nonè che la derivata della funzione F per y 0 e x fissati, quin<strong>di</strong> F ′ 1(y 1 ) = ∂F (y 0, y 1 , x)∂y 1Ricaviamo dunque∂F (y 0 , y 1 , x)∂y 1= f(x, y 1 )Per trovare la seconda formula che abbiamo scritto nella proposizione, basta ricordare che∫ ba g(x)dx = − ∫ ag(x)dx da cui∫ y1y 0bf(x, y)dy = −∫ y0y 1f(x, y)dyUtilizzando questa formula e il risultato precendente, e scambiando il ruolo <strong>di</strong> y 0 e y 1 troviamo chevale 1 ∂F (y 0 , y 1 , x)= −f(x, y 0 )∂y 0✔Si può pensare, della F <strong>di</strong> voler calcolare anche la derivata parziale rispetto alla x. In tal caso valela relazione∫∂Fy1∂x = ∂f(x, y)dyy 0∂xValgono inoltre le seguenti proposizioniProposizione 6.1.3 Se f è <strong>di</strong> classe C 1 anche F è <strong>di</strong> classe C 1 .Se si fa variare y in un certo intervallo definito da due funzioni <strong>di</strong>pendenti da x: α(x) ≤ y ≤ β(x),con α e β funzioni <strong>di</strong> classe C 0 , possiamo definire la funzioneF (x) =∫ β(x)α(x)f(x, y)dyProposizione 6.1.4 Se le funzioni f, α e β sono <strong>di</strong> classe C 1 allora anche la funzione F (x) = ∫ β(x)f(x, y)dyα(x)è <strong>di</strong> classe C 1 e valeF ′ (x) = f(x, β(x))β ′ (x) − f(x, α(x))α ′ (x) +∫ β(x)α(x)Dimostrazione. Ve<strong>di</strong>amo F (x) = F (α(x), β(x), x).Allora, per la derivazione delle funzioni composte:F ′ (x) =∂F∂α(x) α′ (x) +∂F∂β(x) β′ (x) + ∂F∂x∂f(x, y)dy∂xApplicando i risultati già visti per ciascuna <strong>di</strong> queste derivate parziali, ritroviamo l’asserto. ✔1 Possiamo pensare <strong>di</strong> riscrivere la F come F (y 0 , y 1 , x) = R y 1y f(x, y)dy = − R y 00 y f(x, y)dy = −G(y11 , y 0 , x) doveG(y 1 , y 0 , x) = R y 0y f(x, y)dy1Di G (avendo scambiato il ruolo <strong>di</strong> y 0 e y 1 ) sappiamo qual è la derivata rispetto a y 0 (secondo estremo <strong>di</strong> integrazione):∂G= f(x, y 0 )∂y 0Allora∂F (y 0 , y 1 , x)= − ∂G = −f(x, y 0 )∂y 0 ∂y 0Ritroviamo dunque l’asserto.78


6.2. Richiamo sugli integrali sempliciFigura 6.1: Come si arriva alla definizione <strong>di</strong> ∫ ba f(x)dx.6.2 Richiamo sugli integrali sempliciPrima <strong>di</strong> vedere cosa sono gli integrali multipli (doppi o tripli), rive<strong>di</strong>amo brevemente cosa è unintegrale definito <strong>di</strong> una funzione che <strong>di</strong>pende da una sola variabile:∫ baf(x)dxdove a ≤ x ≤ b. Per integrali <strong>di</strong> questo tipo, <strong>di</strong>ciamo che stiamo integrando la funzione f(x)nell’intervallo [a, b]. I punti a e b si <strong>di</strong>cono estremi dell’intervallo <strong>di</strong> integrazione.Il concetto <strong>di</strong> integrale <strong>di</strong> una funzione si deriva considerando l’area che si trova sotto la curvadefinita da y = f(x) nell’intervallo [a, b] (supponiamo per semplicità che la funzione f sia positiva, mail concetto si generalizza a funzioni negative o che hanno valori sia positivi che negativi... il valore <strong>di</strong>un integrale può essere sia positivo che negativo, a seconda della funzione da integrare).Per calcolare l’area sottesa dalla funzione y = f(x) possiamo pensare <strong>di</strong> <strong>di</strong>videre l’intervallo [a, b] inn parti uguali, in modo da avere n sottointervalli <strong>di</strong> ampiezza ∆x. In ciascuno <strong>di</strong> questi sottointervalliscegliamo un punto x ∗ i (ad esempio il punto me<strong>di</strong>o <strong>di</strong> ciascuno dei sottointervalli) e consideriamo ilrettangolo <strong>di</strong> ampiezza ∆x e altezza f(x ∗ i ) (si veda Figura 6.1). Ciascuno <strong>di</strong> questi rettangoli ha areapari a f(x ∗ i )∆x, quin<strong>di</strong> l’integrale può essere approssimato me<strong>di</strong>ante la somma delle aree <strong>di</strong> ciascunrettangolo:∫ baf(x)dx ≈ f(x ∗ 1)∆x + f(x ∗ 2)∆x + . . . + f(x ∗ n)∆x)Per ottenere l’area esatta della nostra funzione, facciamo il limite per n che tende all’infinito.∫ baf(x)dx = limn→∞i=1n∑f(x ∗ i )∆x6.3 Integrali doppi su domini rettangolariVe<strong>di</strong>amo ora cosa accade se abbiamo una funzione <strong>di</strong> due variabili f(x, y). Se per funzioni <strong>di</strong> unasola variabile integriamo su un intervallo (un sottoinsieme <strong>di</strong> R), per funzioni <strong>di</strong> due variabili ha sensointegrare su una regione <strong>di</strong> R 2 .Assumiamo <strong>di</strong> avere una regione <strong>di</strong> R 2 data dal rettangolo D = [a, b] × [c, d]. Ciò vuol <strong>di</strong>re chea ≤ x ≤ b mentre c ≤ y ≤ d.79


6. INTEGRALIFigura 6.2: Grafico <strong>di</strong> una funzione f(x, y) sul rettangolo D.Figura 6.3: Sud<strong>di</strong>visione del rettangolo D in tanti rettangolini.Sia, inoltre, f(x, y) ≥ 0 per ogni coppia <strong>di</strong> punti (x, y) ∈ D, anche se quanto <strong>di</strong>remo ora si puòestendere al caso più generale <strong>di</strong> funzioni che assumono valori sia positivi che negativi.La domanda che ci poniamo è la seguente: qual è il volume della regione che si trova sotto il graficodella funzione f(x, y) e sopra il piano xy? (si veda Figura 6.2)Per prima cosa cerchiamo <strong>di</strong> approssimare il volume (in maniera analoga a quanto abbiamo fattoper l’area nel caso <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> una sola variabile). Per far ciò <strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo l’intervallo [a, b] in n partiuguali e l’intervallo [c, d] in m parti uguali, in modo da <strong>di</strong>videre D in tanti rettangolini (ne abbiamon × m) e, in ciascuno <strong>di</strong> questi, scegliamo un punto <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (x ∗ i , y∗ j ) (si veda Figura 6.3).Su ciascuno <strong>di</strong> questi rettangolini, costruiamo una colonnina (un parallelogramma) <strong>di</strong> altezza datada f(x ∗ i , y∗ j ). Ciascuno dei parallelogrammi ha un volume dato da f(x∗ i , y∗ j )∆x∆y.Approssiamo il volume V che si trova sotto il grafico della funzione f(x, y) sommando i volumi <strong>di</strong>ciascun parallelogrammaV ≈n∑i=1 j=1m∑f(x ∗ i , yj ∗ )∆x∆yPrendendo sud<strong>di</strong>visioni lungo l’asse x e y via via più raffinate, facendo cioè tendere all’infinito n em noi avremo una stima via via più accurata del volume V , vale a <strong>di</strong>re80


6.4. Integrali iteratiV =limn∑n,m→∞i=1 j=1m∑f(x ∗ i , yj ∗ )∆x∆yA questo punto abbiamo la definizione <strong>di</strong> integrale doppio (si noti la somiglianza con la definizionedata per integrale definito per funzioni <strong>di</strong> una singola variabile).In<strong>di</strong>chiamo, infatti come integrale doppio della funzione f sul dominio dato dal rettangolo Dproprio il volume V :∫∫n∑ m∑f(x, y)dA = lim f(x ∗ i , yj ∗ )∆x∆y.D6.4 Integrali iteratin,m→∞i=1 j=1Supponiamo che f sia una funzione continua nel rettangolo D = [a, b] × [c, d]. Utilizziamo lanotazione ∫ df(x, y)dy per <strong>di</strong>re che x è costante e si integra la funzione rispetto alla variabile y per ycche varia da c a d. Una volta che abbiamo calcolato questo integrale, avremo un valore che <strong>di</strong>pendedal valore <strong>di</strong> x, quin<strong>di</strong> questo integrale definisce una funzione <strong>di</strong> x:A(x) =∫ dcf(x, y)dyAdesso integriamo A rispetto a x, per x che varia in [a, b], ottenendo∫ b ∫ [b ∫ ]dA(x)dx = f(x, y)dy dxaacL’integrale scritto a destra dell’equazione precedente prende il nome <strong>di</strong> integrale iterato. Di solito nonsi mettono le parentesi ma si scrive <strong>di</strong>rettamente ∫ b ∫ df(x, y)dydx: quin<strong>di</strong> prima integriamo rispettoa ca y da c a d e poi integriamo rispetto a x da a a b.Alla stessa maniera si può definire l’integrale iterato dato da∫ d ∫ b∫ [d ∫ ]bf(x, y)dxdy = f(x, y)dx dycacaIn questo caso, prima integriamo rispetto alla variabile x da a a b e poi integriamo rispetto a y da c a d.Esempio 6.4.1 Valutiamo ∫ 4 ∫ 30 2 xy2 dydx.Dobbiamo prima integrare rispetto alla variabile y, considerando x costante, ottenendo∫ 3xy 2 dy =[x y332] 32= x 333 − x23 3 = 19 3 xIl valore che abbiamo ottenuto corrisponde alla funzione A(x) introdotta prima. Integriamo questa funzioneper x che varia da 0 a 4. Otteniamo∫ 4 ∫ 3∫ 4[∫ 3]xy 2 dydx = xy 2 dy dx02=0∫ 402193 xdx = [ 193x 2 ] 4= 19 203 8 = 152381


6. INTEGRALIEsempio 6.4.2 Proviamo ora a calcolare ∫ 3 ∫ 42 0 xy2 dxdy.Questa volta dobbiamo integrare prima rispetto a x e poi rispetto a y. Abbiamo∫ 3 ∫ 4∫ 3[∫ 4]xy 2 dxdy = xy 2 dx dy202∫ 30[ ] x2 4=2 2 y2 dy0∫ 3] 3= 8y 2 dy =[8 y3232= 8( 333 − 233 ) = 1523Osserviamo come abbiamo ottenuto lo stesso risultato scambiando l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> integrazione. Si hainfatti il seguente teorema.Teorema 6.4.1 (<strong>di</strong> Fubini) Se f(x, y) è una funzione continua su D = [a, b] × [c, d] allora:o,∫∫f(x, y)dA =∫ b ∫ df(x, y)dydx =∫ d ∫ bDa cc a∫∫f(x, y)dA =∫ b( ∫ )df(x, y)dy dx =∫ dDa cc af(x, y)dxdy( ∫ )bf(x, y)dx dyQuin<strong>di</strong> abbiamo due strade equivalenti per calcolare un integrale doppio <strong>di</strong> una funzione continuasu un dominio rettangolare, riconducendoci a integrali <strong>di</strong> una sola variabile che sappiamo calcolare.Riassumendo:G nel primo caso∫∫∫ b ∫ d∫ (b ∫ )df(x, y)dA = f(x, y)dydx = f(x, y)dy dxDacanoi prima calcoliamo l’integrale che sta all’interno (tra parentesi tonde), vale a <strong>di</strong>re, ∫ df(x, y)dycconsiderando x come una costante e integrando rispetto alla variabile y. Come risultato avremouna funzione che <strong>di</strong>pende solo da x e sarà questa che poi andremo a integrare tra a e b rispettoalla variabile x;G nel secondo caso∫∫∫ d ∫ b∫ (d ∫ )bf(x, y)dA = f(x, y)dxdy = f(x, y)dx dyDcacan<strong>di</strong>amo prima a calcolare l’integrale ∫ bf(x, y)dx rispetto a x, considerando y come una costanteae poi andremo a integrare il risultato ottenuto rispetto a y nell’intervallo [c, d].6.5 Integrali doppi su domini generaliA <strong>di</strong>fferenza <strong>degli</strong> integrali <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> una sola variabile, in cui il dominio <strong>di</strong> integrazione èsempre un intervallo, per integrali <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili, il dominio <strong>di</strong> integrazione non si riduce82ca


6.5. Integrali doppi su domini generaliFigura 6.4: Dominio normale rispetto all’asse x (sinistra) e rispetto all’asse y (destra).ad un rettangolo ma può avere una forma più generale. Consideriamo il caso in cui il dominio <strong>di</strong>integrazione sia un insieme limitato D (perciò esiste un rettangolo R che lo contiene).In tal caso l’integrale <strong>di</strong> una funzione f(x, y) sul dominio R si può ricondurre all’integrale <strong>di</strong> unafunzione F (x, y) sul rettangolo R così definita:{f(x, y) se (x, y) appartiene a DF (x, y) =0 se (x, y) appartiene a R ma non a DAllora∫∫D∫∫f(x, y)dA =RF (x, y)dADa un punto <strong>di</strong> vista pratico, come calcolare questo integrale? La frontiera dell’insieme D devepotersi esprimere me<strong>di</strong>ante funzioni continue <strong>di</strong> x o <strong>di</strong> y. Ci sono due casi da considerare (si vedanoFigure 6.4 e 6.5 per <strong>degli</strong> esempi)1. Caso 1: l’insieme D è dato da{}D = (x, y) ∈ R 2 t. c. a ≤ x ≤ b, g 1 (x) ≤ y ≤ g 2 (x)Si <strong>di</strong>ce che il dominio è normale rispetto all’asse x.2. Caso 2: l’insieme D è dato da{}D = (x, y) ∈ R 2 t. c. h 1 (y) ≤ x ≤ h 2 (y), c ≤ y ≤ dSi <strong>di</strong>ce che il dominio è normale rispetto all’asse y.Se il dominio è normale rispetto all’asse x, vuol <strong>di</strong>re che prendendo una retta x = x 0 con a ≤ x 0 ≤ b,(normale dunque all’asse x), i valori <strong>di</strong> y che sono compresi tra g 1 (x 0 ) e g 2 (x 0 ) giacciono tutti all’internodel dominio <strong>di</strong> integrazione. Analogamente, nel caso in cui il dominio sia normale rispetto all’asse y,prendendo la retta y = y 0 normale all’asse y, con c ≤ y 0 ≤ d, si ha che tutti i punti <strong>di</strong> or<strong>di</strong>nata y 0 e <strong>di</strong>ascissa compresa tra h 1 (y 0 ) e h 2 (y 0 ) sono all’interno del dominio <strong>di</strong> integrazione.In questi casi, il teorema <strong>di</strong> Fubini applicato al rettangolo R in cui uno dei due lati corrispondecon l’intervallo [a, b] o [c, d] a seconda che il dominio sia normale rispetto all’asse x o y, si riduce adun integrale iterato in cui gli estremi dell’integrale interno (da calcolare per primo) sono dati propriodalle due funzioni g 1 , g 2 , o h 1 , h 2 che delimitano la frontiera <strong>di</strong> D, in quanto all’esterno la funzione Fè nulla. Si ha il seguente teorema.Teorema 6.5.1 (<strong>di</strong> Fubini) Data una funzione f(x, y) da integrare su un dominio D,G nel caso in cui il dominio <strong>di</strong> integrazione è normale rispetto all’asse x (Caso 1) si ha:∫∫∫ b ∫ g2(x)f(x, y)dA = f(x, y)dydxDag 1(x)83


6. INTEGRALI}Figura 6.5: A sinitra: D ={(x, y) ∈ R 2 : 1 ≤ y ≤ 2, y ≤ x ≤ y 3 . Il dominio è normale rispetto all’asse{y. A destra: D = (x, y) ∈ R 2 : 0 ≤ x ≤ 1, x 3 ≤ y ≤ √ }x . Il dominio è normale rispetto all’asse x.Figura 6.6: Dominio dato dal triangolo <strong>di</strong> vertici (0, 3), (1, 1) e (5, 3)G nel caso in cui il dominio <strong>di</strong> integrazione è normale rispetto all’asse y (Caso 2) si ha:∫∫∫ d ∫ h2(y)f(x, y)dA =f(x, y)dxdyDch 1(y)Esaminiamo il Caso 1 (il <strong>di</strong>scorso si ripete analogo per il Caso 2). Noi calcoliamo prima l’integraleinterno ∫ g 2(x)g 1(x)f(x, y)dy considerando x come costante, rispetto alla variabile y. Il risultato ora <strong>di</strong>pendeda x in quanto gli estremi <strong>di</strong> integrazione sono funzioni <strong>di</strong> x. Una volta ottenuto questo integrale,integriamo il risultato rispetto alla variabile x con estremi a e b.A volte, un dominio può essere considerato normale sia rispetto all’asse x sia rispetto all’asse y.Altre volte può essere visto come unione <strong>di</strong> due domini. A seconda dell’integrale che si deve fare,conviene scegliere <strong>di</strong> vederlo in un modo piuttosto che in un altro.84


6.5. Integrali doppi su domini generaliFigura 6.7: Dominio <strong>di</strong> integrazione delimitato dalle parabole y = 3x 2 e y = x ∗ 2 + 2.Esempio 6.5.1 Nel caso del triangolo mostrato in Figura 6.6, il dominio può essere visto come l’unione <strong>di</strong>due domini normali rispetto all’asse x, oppure come un dominio normale rispetto all’asse y.Nel primo caso, D = D 1 ∪ D 2 , in quanto la funzione g 1 (x) varia a seconda <strong>di</strong> dove si trovi x:D 1 = {(x, y) t.c. 0 ≤ x ≤ 1, −2x + 3 ≤ y ≤ 3}D 2 ={(x, y) t.c. 1 ≤ x ≤ 5,12 x + 1 }2 ≤ y ≤ 3Se riscriviamo le equazioni delle due rette y = −2x + 3 e y = 1 2 x + 1 2in funzione <strong>di</strong> x otteniamo, dallaprima, x = − 1 2 y + 3 , e dalla seconda x = 2y − 1, e possiamo scrivere l’insieme D come2D ={(x, y) t.c. − 1 2 y + 3 }2 ≤ x ≤ 2y − 1, 1 ≤ y ≤ 3Esempio 6.5.2 Calcoliamo ∫∫ D x2 dA dove D è l’insieme delimitato dalle parabole y = 3x 2 e y = x 2 + 2.Prima <strong>di</strong> tutta facciamo un grafico dell’insieme D (si veda Figura 6.7). I punti <strong>di</strong> intersezione delle dueparabole si hanno per 3x 2 = x 2 + 2 cioè 2x 2 − 2 = vale a <strong>di</strong>re per x = ±1. Si vede facilmente che il dominioè normale rispetto all’asse x: basta considerare −1 ≤ x ≤ 1 e 3x 2 ≤ y ≤ x 2 + 2. Infatti la curva che delimitala porzione inferiore della frontiera dell’insieme è data da y = 3x 2 mentre la porzione superiore della frontieraè y = x 2 + 2. L’integrale <strong>di</strong>venta∫∫∫ 1 ∫ x 2 +2x 2 ydA =x 2 dydxD===−1∫ 1−1∫ 1−1∫ 1−13x 2[x 2 y ] y=x 2 +2y=3x 2x 2 (x 2 + 2 − 3x 2 )dx2x 2 − 2x 4 dx =] 1 [2 x33 − 2x5 = 2 2 5−13 − 22 5 = 81585


6. INTEGRALIFigura 6.8: Dominio <strong>di</strong> integrazione dell’integrale ∫ 1 ∫ 10 y sin x2 dxdy.Esempio 6.5.3 Sia da calcolare l’integrale ∫ 1 ∫ 10 y sin x2 dxdy. Se cerchiamo <strong>di</strong> valutare l’integrale così comeci è stato presentato, abbiamo la <strong>di</strong>fficoltà <strong>di</strong> dover valutare ∫ sin x 2 dx. Si tratta, infatti, <strong>di</strong> uno <strong>di</strong> quegliintegrali impossibili da valutare me<strong>di</strong>ante funzioni elementari! Ci conviene allora cambiare l’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong>integrazione. Cerchiamo{allora <strong>di</strong> capire come è fatto il dominio}<strong>di</strong> integrazione D. Da come è scritto l’integrale,risulta D = (x, y) ∈ R 2 : 0 ≤ y ≤ 1, y ≤ x ≤ 1 . Facciamo il grafico (si veda Figura 6.8). Questodominio lo possiamo vedere come normale rispetto all’asse x prendendo 0 ≤ x ≤ 1 e 0 ≤ y ≤ x. Quin<strong>di</strong>∫ 1 ∫ 1∫∫sin x 2 dxdy = sin x 2 dA0y=== 1 2D∫ 1 ∫ x0∫ 100∫ 1sin x 2 dydx =x sin x 2 dx = 1 20∫ 10∫ 1d(x 2 )dx sin x2 dx = 1 20[y sin x2 ] y=xy=0 dx2x sin x 2 dx[− cos x2 ] 1= 1 (1 − cos 1)026.6 Proprietà <strong>degli</strong> integrali doppiAssumendo che i seguenti integrali esistano, ve<strong>di</strong>amone brevemente alcune proprietà:D (f(x, y) + g(x, y)) dA = ∫∫ D f(x, y)dA + ∫∫ g(x, y)dAD D cf(x, y)dA = c ∫∫ f(x, y)dA, essendo c una costante.D Se f(x, y) ≥ g(x, y) per tutti i punti (x, y) in D, allora ∫∫ D f(x, y)dA ≥ ∫∫ g(x, y)dA.DG Se D = D 1 ∪ D 2 , dove D 1 e D 2 sono domini che non si sovrappongono ma possono avere al piùsolo punti della frontiera in comune, allora∫∫f(x, y)dA =D∫∫f(x, y)dA +D 1∫∫f(x, y)dAD 286


6.7. Cambiamento <strong>di</strong> variabiliFigura 6.9: Esempio <strong>di</strong> trasformazione globalmente invertibile dall’insieme S del piano uv all’insiemeR del piano xy.G Considerando la funzione <strong>di</strong> valore costante 1 si ha∫∫1dA = area(D)Ddove area(D) è l’area dell’insieme D (torneremo su questo punto più avanti).G Se m ≤ f(x, y) ≤ M per tutti i punti (x, y) in D, allora∫∫m area(D) ≤ f(x, y)dA ≤ M area(D)6.7 Cambiamento <strong>di</strong> variabiliDA volte, il calcolo <strong>di</strong> un integrale si può semplificare operando un cambiamento <strong>di</strong> variabili. Atale scopo, per il calcolo <strong>di</strong> integrali doppi, consideriamo un cambiamento <strong>di</strong> variabili dato da unatrasformazione T che permette <strong>di</strong> passare dal piano uv al piano xy: T (u, v) = (x, y) dove x e y sonolegate a u e v me<strong>di</strong>ante equazioni del tipox = x(u, v), y = y(u, v)Questa trasformazione può essere vista come una funzione vettoriale ⃗r = (x(u, v), y(u, v)). L’ipotesifondamentale, allo scopo <strong>di</strong> calcolare un integrale doppio, è che la trasformazione ci permetta <strong>di</strong>ottenere tutti i punti del dominio <strong>di</strong> integrazione.Una trasformazione T è dunque una funzione in cui sia il dominio che il codominio sono sottoinsiemi<strong>di</strong> R 2 . Se T (u 1 , v 1 ) = (x 1 , y 1 ) allora il punto (x 1 , y 1 ) è l’immagine del punto (u 1 , v 1 ) me<strong>di</strong>antela trasformazione. Se la trasformazione è una corrispondenza biunivoca tra l’insieme <strong>di</strong> definizione eil codominio della trasformazione, allora si può definire la trasformazione inversa T −1 e si <strong>di</strong>ce che latrasformazione è globalmente invertibile (si veda Figura 6.9).Definizione 6.7.1 Una trasformazione x = x(u, v) y = y(u, v) definita in un insieme aperto <strong>di</strong> R 2 si <strong>di</strong>ceregolare se1. è <strong>di</strong> classe C 12. è globalmente invertibile3. in ogni punto (u, v) lo jacobiano risulta <strong>di</strong>verso da zero 2∣ ∣∣∣∣∣∣∣∣ ∂x∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ = ∂u∂y∂u∂x∂v= ∂x ∂y∂y∂u ∂v − ∂y ∂x∂u ∂v ≠ 0∣∂v2 Si rimanda alla definizione 3.7.1 per ricordare cosa è lo jacobiano.87


6. INTEGRALIFigura 6.10: Trasformazione dell’elemento S nel piano uv nell’elemento R nel piano xy.Un esempio <strong>di</strong> trasformazione regolare è dato dalle coor<strong>di</strong>nate polarix = x(ρ, θ) = ρ cos (θ) y = y(ρ, θ) = ρ sin (θ) con ρ > 0 e 0 ≤ θ ≤ 2π.Cerchiamo <strong>di</strong> capire, ora, come un cambiamento <strong>di</strong> variabili agisca sul calcolo <strong>di</strong> un integrale doppio.Ricor<strong>di</strong>amo che, nel caso <strong>di</strong> un integrale <strong>di</strong> una funzione scalare il cambiamento <strong>di</strong> variabile portaalla tecnica della sostituzione: data una funzione f(x) da integrare in [a, b] si ha∫ baf(x)dx =∫ dcf(g(u))g ′ (u)dudove x = g(u), a = g(c), b = g(d). Nel caso <strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili, cosa si fa e per quale motivo?6.7.1 Significato dello jacobianoConsideriamo un rettangolino S nel piano uv il cui angolo in basso a sinistra è dato dal punto(u 0 , v 0 ), e <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni ∆u e ∆v. L’immagine della regione S attraverso la trasformazione regolare Tsia la regione R del piano xy. Uno dei punti della frontiera sia proprio l’immagine del punto (u 0 , v 0 ),cioè (x 0 , y 0 ) = T (u 0 , v 0 ). Si veda la Figura 6.10.La trasformazione T sia data me<strong>di</strong>ante due equazioni parametriche del tipo x = x(u, v) e y =y(u, v) che possiamo vedere come una funzione vettoriale ⃗r(u, v) = (x(u, v), y(u, v)). Il lato del rettangolino<strong>di</strong> S che si ha per v = v 0 viene trasformato in R me<strong>di</strong>ante la curva ⃗r(u, v 0 ) (che <strong>di</strong>pende orasolo dal parametro u). Di questa curva il vettore tangente in u = u 0 (quin<strong>di</strong> al punto (x 0 , y 0 )) è dato da⃗r tu = ( ∂x(u 0, v 0 ), ∂y(u 0, v 0 )).∂u ∂uAlla stessa maniera, troviamo che il vettore tangente alla curva ⃗r(u 0 , v) nel punto v = v 0 è dato da⃗r tv = ( ∂x(u 0, v 0 ), ∂y(u 0, v 0 )).∂v ∂vLa regione R = T (S) può essere approssimata dal parallelogramma dato dai vettori secanti (siveda Figura 6.11) dati da⃗a = ⃗r(u 0 + ∆u, v 0 ) − ⃗r(u 0 , v 0 ) ⃗ b = ⃗r(u0 , v 0 + ∆v) − ⃗r(u 0 , v 0 )Ricordando che ∂⃗r(u 0, v 0 )⃗r(u 0 + ∆u, v 0 ) − ⃗r(u 0 , v 0 )= lim ∆u→0 , e ricordando che la derivata parziale<strong>di</strong> una funzione vettoriale è data dalle derivate parziali delle singole componenti della funzione∂u∆uvettoriale, ricaviamo l’approssimazione88⃗a = ⃗r(u 0 + ∆u, v 0 ) − ⃗r(u 0 , v 0 ) ≈ ∆u ∂⃗r∂u


6.7. Cambiamento <strong>di</strong> variabiliFigura 6.11: Approssimazione <strong>di</strong> R me<strong>di</strong>ante i vettori secanti.ma, per quanto detto prima, ∂⃗r∂u = ⃗r tu, da cui⃗a = ⃗r(u 0 + ∆u, v 0 ) − ⃗r(u 0 , v 0 ) ≈ ∆u⃗r tu .Con analogo ragionamento arriviamo all’approssimazione⃗ b = ⃗r(u0 , v 0 + ∆v) − ⃗r(u 0 , v 0 ) ≈ ∆v⃗r tv .Quin<strong>di</strong> l’area della regione R può essere approssimata attraverso dall’area del parallelogramma <strong>di</strong> lati⃗a e ⃗ b cioè ∆u⃗r tu e ∆v⃗r tv . L’area del parallelogramma determinato da due vettori è dato dal modulo delprodotto vettoriale dei due vettori stessi. Quin<strong>di</strong> l’area <strong>di</strong> R si può approssimare tramite |(∆u⃗r tu ) ×(∆v⃗r tv )|. Si ha, quin<strong>di</strong>,area(R) ≈ |⃗a × ⃗ b| = |(∆u⃗r tu ) × (∆v⃗r tv )| = |⃗r tu × ⃗r tv |∆u∆vCalcoliamo il prodotto vettoriale⃗i ⃗j ⃗ k∂x ∂y⃗r tu × ⃗r tv =∂u ∂u 0∂x ∂y∣ 0∣∂v ∂vI sottodeterminanti delle componenti rispetto a x e a y sono nulli, da cui∂x ∂y⃗r tu × ⃗r tv = ⃗ ∂u ∂uk= ∂x ∂y⃗ k( ∂x ∂y∂u ∂v − ∂x ∂y∂v ∂u )∣ ∣∂v ∂vRitroviamo lo jacobiano delle due funzioni x e y rispetto a u e v:∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ . Perciò, area(R) ≈∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ ∆u∆v.∫∫ Supponiamo, ora, <strong>di</strong> dover calcolare l’integrale <strong>di</strong> una funzione f(x, y) su un dominio Rf(x, y)dA. Sia data una trasformazione regolare che trasforma un insieme S del piano uv nellaRregione R. Sud<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo il dominio R in elementini R ij , ciascuno dei quali è immagine <strong>di</strong> un rettangolinoS ij <strong>di</strong> S. Su ciascuno <strong>di</strong> questi elementini R ij consideriamo un punto <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate (x i , y j ) che89


6. INTEGRALIFigura 6.12: Cambio <strong>di</strong> variabili per il calcolo <strong>di</strong> integrali doppi: trasformazione della regione S nellaregione R me<strong>di</strong>ante la trasformazione regolare T .è immagine, me<strong>di</strong>ante la trasformazione T , del punto (u i , v j ) che si trova sull’angolo in basso a sinistradel rettangolino S ij (si veda la Figura 6.12). Allora l’area ∆R ij può essere approssimata me<strong>di</strong>ante larelazione∆R ij ≈∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ ∆u∆vdove ∆u e ∆v sono i lati del rettangolino S ij , mentre lo jacobiano è valutato in (u i , v j ). Allora∫∫Rf(x, y)dA ≈≈m∑i=1 j=1m∑i=1 j=1A questo punto osserviamo chem∑i=1 j=1n∑f(x i , y j )∆R ijn∑f(x(u i , v j ), y(u i , v j ))∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ ∆u∆vn∑∫∫f(x(u i , v j ), y(u i , v j ))∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ ∆u∆v ≈Sf(x(u, v), y(u, v)∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ dudvSi arriva perciò al seguente teorema (che non <strong>di</strong>mostriamo, però tutti i <strong>di</strong>scorsi appena fatti ciportano a intuire che il risultato non può che essere così!).Teorema 6.7.1 Sia data una trasformazione regolare T della regione S del piano uv alla regione R del pianoxy. Inoltre sia assegnata una funzione f continua in R. Supponiamo che le regioni R e S siano domini normalirispetto all’asse x o y. Allora∫∫∫∫f(x, y)dA = f(x(u, v), y(u, v)∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ dudvRS90


6.7. Cambiamento <strong>di</strong> variabiliFigura 6.13: Aree corrispondenti nel piano θρ e nel piano xy.Esempio 6.7.1 Consideriamo il caso della trasformazione data dalle coor<strong>di</strong>nate polari, per cui x(ρ, θ) =ρ cos (θ) e y(ρ, θ) = ρ sin (θ).Il rettangolino ∆θ∆ρ viene trasformato in una specie <strong>di</strong> rettangolino con i lati curvi. Il <strong>di</strong>segno mostrato infigura 6.13 è stato realizzato facendo variare θ nell’intervallino [ 2π 3 , 2π + 0.5] e ρ in [0.5, 0.75].3Lo jacobiano <strong>di</strong> questa ∣ trasformazione è dato da∂(x, y)∣∣∣ ∣ ∂(ρ, θ) ∣ = cos (θ) −ρ sin (θ)sin (θ) ρ cos (θ) ∣ = ρ cos2 (θ) + ρ sin 2 (θ) = ρPerciò, ∫∫ se facciamo un cambiamento ∫∫ <strong>di</strong> variabili utilizzando coor<strong>di</strong>nate polari si ha:f(x, y)dA = f(ρ cos (θ), ρ sin (θ))ρ dρdθRSEsempio 6.7.2 Sia da calcolare ∫∫ 4x + 8ydA dove R è il parallelogramma <strong>di</strong> vertici A(−1, 3), B(1, −3),RC(3, −1) e D(1, 5). Si applichi la trasformazione x = 1 4 (u + v), y = 1 (v − 4u).4Il parallelogramma R è rappresentato in Figura 6.14. Se scriviamo le equazioni dei lati del parallelogrammasi trova facilmente che la retta per AB è data dall’equazione y +3x = 0, la retta per CD è data da y +3x = 8,la retta per BC è x − y = 4 e infine quella per AD è x − y = −4.Da queste relazioni, si vede che ponendo u = x − y e v = y + 3x, si ricava la trasformazione assegnatax = 1 4 (u + v), y = 1 (v − 4u). Inoltre si vede che R è l’immagine del rettangolo S delimitato dalle linee4u = 4, u = −4, v = 0 e v = 8.Se calcoliamo lo jacobiano delle funzioni x e y rispetto a u e v otteniamo∣ ∣∣∣∣∣∣∣ 1 −3∂(x, y)∣ ∣ = 4 4∣∂(u, v)1414= 1 4∣91


6. INTEGRALIFigura 6.14: Insiemi S e R per il calcolo dell’integrale ∫∫ 4x + 8ydA.RAllora∫∫∫∫4x + 8ydA =R= 1 4= 1 4(4 1 4 (u + v) + 81 4 (v − 3u) ) 14 dudv = ∫∫S∫ 4 ∫ 8−4∫ 40(3v − 5u)dvdu = 1 4−4(96 − 40u)du = 1 4∫ 4−4S[ 32 v2 − 5uv] v=8[96u − 20u2 ] u=4u=−4 = 192(u + v + 2v − 6u) 1 4 dudvduv=06.8 Area <strong>di</strong> un dominioDagli integrali doppi si può ricavare un’altra considerazione geometrica, sull’area del dominio <strong>di</strong>integrazione. Come abbiamo già visto tra le proprietà <strong>degli</strong> integrali doppi, si ha∫∫area(D) = dADProviamo a <strong>di</strong>mostrare questo risultato, supponendo che D sia un dominio normale rispetto all’assex, da cui a ≤ x ≤ b e g 1 (x) ≤ y ≤ g 2 (y). L’area compresa tra le curve g 2 (x) e g 1 (x), vale a <strong>di</strong>rel’area <strong>di</strong> D, può essere calcolata proprio come la <strong>di</strong>fferenze <strong>degli</strong> integrali delle due funzioni, tramitel’integralearea(D) =∫ ba(g 2 (x) − g 1 (x))dxD’altra parte, dalla definizione <strong>di</strong> integrale doppio, considerando la funzione f(x, y) = 1, abbiamo∫∫Ddxdy ==∫ b ∫ g2(x)a∫ ba(g 1(x)dy)dx(g 2 (x) − g 1 (x))dxe, per quanto abbiamo appena visto= area(D)92


6.9. Cenni su integrali tripliFigura 6.15: Area <strong>di</strong> D come integrale doppio6.9 Cenni su integrali tripliL’estensione del concetto <strong>di</strong> integrale <strong>di</strong> una funzione <strong>di</strong>pendente da due variabili ad una funzione<strong>di</strong>pendente da tre variabili porta al cosiddetto integrale triplo: ∫∫∫ f(x, y, z)dV .EIl caso più semplice si ha quando il dominio <strong>di</strong> integrazione E è rappresentato da unparallelepipedo [a, b] × [c, d] × [r, s].Allora si ha:∫∫∫∫ s ∫ d ∫ bf(x, y, z)dV =f(x, y, z)dxdydzE=== . .r c a∫ b ∫ d ∫ sa c r∫ d ∫ s ∫ bcraf(x, y, z)dzdydxf(x, y, z)dxdzdyAbbiamo 6 <strong>di</strong>verse possibilità <strong>di</strong> integrazione, prima rispetto a x, poi rispetto a y, poi rispetto a z,oppure lungo y, x, z, o ancora... (tutte le possibili combinazioni che si hanno scambiando l’or<strong>di</strong>nedelle tre variabili). Il risultato che si ottiene non cambia (consideriamo l’integrale <strong>di</strong> funzioni continue,in modo da estendere il teorema <strong>di</strong> Fubini).Si ha, inoltre, che il volume <strong>di</strong> una regione tri<strong>di</strong>mensionale E è dato da un integrale triplo e,precisamente∫∫∫volume(E) = dVESe la regione <strong>di</strong> integrazione E è più generale, le tecniche <strong>di</strong> integrazione sono estese su tre possibilitipi <strong>di</strong> dominio:1. Primo caso: E = {(x, y, z) t.c. (x, y) ∈ D, u 1 (x, y) ≤ z ≤ u 2 (x, y)}, dove D è un regione nel pianoxy (che a sua volta può essere visto come un dominio normale rispetto all’asse x o rispetto all’assey). La regione E viene detta normale rispetto al piano xy e l’integrazione per fili.∫∫∫∫∫ [ ∫ ]u2(x,y)f(x, y, z)dV =f(x, y, z)dz dAEDu 1(x,y)93


6. INTEGRALI2. Secondo caso: E = {(x, y, z) t.c. (y, z) ∈ D, u 1 (y, z) ≤ x ≤ u 2 (y, z)}, dove D è un regione nelpiano yz (che a sua volta può essere visto come un dominio normale rispetto all’asse y o rispettoall’asse z). La regione E viene detta normale rispetto al piano yz. Se si riesce a vedere l’insiemeD come normale rispetto all’asse z allora si parla <strong>di</strong> integrazione per strati o per sezione.∫∫∫∫∫ [ ∫ ]u2(y,z)f(x, y, z)dV =f(x, y, z)dx dAEDu 1(y,z)3. Secondo caso: E = {(x, y, z) t.c. (x, z) ∈ D, u 1 (x, z) ≤ y ≤ u 2 (x, z)}, dove D è un regione nelpiano xz (che a sua volta può essere visto come un dominio normale rispetto all’asse x o rispettoall’asse z). La regione E viene detta normale rispetto al piano xz. Se l’insieme D lo si può vederecome normale rispetto all’asse z allora si parla <strong>di</strong> integrazione per strati o per sezione.∫∫∫∫∫ [ ∫ ]u2(x,z)f(x, y, z)dV =f(x, y, z)dy dA6.10 Integrali curvilineiEDu 1(x,z)Un integrale curvilineo (o <strong>di</strong> linea) ha lo scopo <strong>di</strong> integrare una funzione <strong>di</strong> due (o tre) variabili suun insieme <strong>di</strong> integrazione dato da una curva γ.Ci soffermiamo al caso bi<strong>di</strong>mensionale (quin<strong>di</strong> funzioni <strong>di</strong> due variabili e curve nel piano xy).Consideriamo una curva γ regolare (la funzione vettoriale f che la rappresenta è continua e la suaderivata è <strong>di</strong>versa da zero per ogni valore del parametro t.) Quin<strong>di</strong> f(t) = (x(t), y(t)) con a ≤ t ≤ b.L’integrale curvilineo <strong>di</strong> una funzione g(x, y) lungo la curva γ si denota con il simbolo ∫ g(x, y)dsγdove ds rappresenta il <strong>di</strong>fferenziale dell’ascissa curvilinea, dovuto al fatto che ci stiamo muovendolungo la curva e non su l’asse delle√x o delle y.(dx ) 2 ( ) 2 dyRicor<strong>di</strong>amo che ds = |f ′ (t)|dt = + dtdt dtAllora, andando a sostituire nell’integrale curvilineo e considerando la curva scritta in formaparametrica si ha:∫γg(x, y)ds =∫ ba√ (dx ) 2g(x(t), y(t)) +dt( ) 2 dydtdtPer g(x, y) = 1 si ottiene la lunghezza della curva.Esempio 6.10.1 Vogliamo calcolare ∫ γ (4+xy2 )ds dove γ è la porzione <strong>di</strong> circonferenza <strong>di</strong> centro nell’originee raggio unitario che si ha −1 ≤ x ≤ 0.Scriviamo le equazioni parametriche della curva γ:πx = cos t, y = sin t,2 ≤ t ≤ 3 2 πL’integrale da calcolare <strong>di</strong>venta∫∫ 3π/2√(4 + xy 3 )ds = (4 + cos t sin 2 t) sin 2 t + cos 2 tdtγ=π/2∫ 3π/2π/2(4 + D(sin t) sin 2 t)dt =[ ] 3π/24t + sin3 t= 4π − 2 3π/2394


6.11. Integrali <strong>di</strong> superficieSe la curva è regolare a tratti, l’integrale curvilineo si scrive come somma <strong>degli</strong> integrali curvilinei suciascun tratto <strong>di</strong> curva regolare <strong>di</strong> cui è composta. In pratica se γ = γ 1 ∪γ 2 . . .∪γ n con n numero intero,allora∫g(x, y)ds =γ∫g(x, y)ds +γ 1∫g(x, y)ds + . . . +γ 2∫g(x, y)ds.γ nOgni curva ha un suo orientamento.l’integrale curvilineo?Se cambiamo la <strong>di</strong>rezione <strong>di</strong> moto della curva, cambiaProposizione 6.10.1 Se si cambia l’orientamento <strong>di</strong> una curva, passando dalla curva +γ alla curva −γl’integrale curvilineo non cambia:∫∫g(x, y)ds = g(x, y)dsγ−γSe +γ è data dalle equazioni parametriche (x(t), y(t)) con a ≤ t ≤ b, (primo punto A = (x(a), y(a)),ultimo punto B = (x(b), y(b))), la curva −γ ha equazioni (x(−t), y(−t)) con t che varia in [−b, −a],(primo punto (x(b), y(b)) = B, ultimo punto (x(a), y(a)) = A). Le curve sono le stesse a partel’orientamento, ma questo non influisce sul risultato dell’integrale curvilineo.6.11 Integrali <strong>di</strong> superficieCerchiamo ora <strong>di</strong> integrare una funzione su una superficie S nello spazio tri<strong>di</strong>mensionale.6.11.1 Area <strong>di</strong> una superficiePer capire le formule che scriveremo nel seguito, deriviamo la formula che permette <strong>di</strong> calcolarel’area <strong>di</strong> una superficie data da equazioni parametriche x = x(u, v), y = y(u, v), z = z(u, v), equazioniche possiamo scrivere tramite la funzione vettoriale ⃗r(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)).Con un <strong>di</strong>scorso del tutto simile a quanto abbiamo visto nella sezione 6.7 sul cambiamento <strong>di</strong>variabile, chiamando però adesso D come l’insieme in cui varia (u, v) e S la superficie parametrica,sud<strong>di</strong>videndo D in rettangolini D ij , in S si hanno i corrispondenti elementini S ij . Inoltre, se (u i , v j )è il vertice in basso a sinistra <strong>di</strong> D ij , il punto P ij (x(u i , v j ), y(u i , v j ), z(u i , v j )) è il corrispondente puntosu S ij . L’area dell’elementino S ij può essere approssimata me<strong>di</strong>ante il parallelogramma <strong>di</strong> lati∆u⃗r u (u i , v j ) e ∆v⃗r v (u i , v j ) dove ⃗r u e ⃗r v rappresentano la derivata <strong>di</strong> ⃗r rispetto alle variabili u e v, rispettivamente.Il <strong>di</strong>scorso da fare è del tutto analogo a quanto abbiamo visto nella sezione 6.7. L’areadel parallelogramma, che approssima l’area dell’elementino, è dunque uguale al modulo del prodottovettoriale <strong>di</strong> ∆u⃗r u (u i , v j ) e ∆v⃗r v (u i , v j ).L’area della superficie sarà dunque data dalla somma <strong>di</strong> tutte queste aree, facendo tendere a infinitoil numero <strong>degli</strong> elementini in cui sud<strong>di</strong>vi<strong>di</strong>amo la superficie. Si ha infatti la definizioneDefinizione 6.11.1 Data una superficie S <strong>di</strong> equazione ⃗r(u, v) = (x(u, v), y(u, v), z(u, v)), con (u, v) ∈ D,allora l’area della superficie è data da∫∫area(S) = |⃗r u × ⃗r v |dADdove ⃗r u = ( ∂x∂u , ∂y∂u , ∂z∂u ) e ⃗r v = ( ∂x∂v , ∂y∂v , ∂z∂v ).Nel caso in cui la superficie è data da una funzione z = f(x, y), possiamo ricondurci al casoprecedente considerando ⃗r(u, v) = ⃗r(x, y) = (x, y, f(x, y)).95


6. INTEGRALIIn tal caso⃗i ⃗j ⃗ k∂f1 0⃗r u × ⃗r v =∂x∂f∣0 1∣∂y√ (∂f ) 2Perciò |⃗r u × ⃗r v | = +∂x∫∫A(S) =D√ (∂f ) 2+∂x= (− ∂f∂x , −∂f ∂y , 1)6.11.2 Integrale <strong>di</strong> una superficie( ) 2 ∂f+ 1 e l’area della superficie è∂y( ) 2 ∂f+ 1dA∂ySiamo ora in grado <strong>di</strong> capire la formula da applicare nel caso in cui bisogna calcolare l’integrale <strong>di</strong>una funzione g su una superficie S.L’area dell’elementino dS si riconduce alla formula dell’area <strong>di</strong> una superficie che abbiamo appenavisto. Perciò, se la superficie S è data me<strong>di</strong>ante una funzione z = f(x, y), con (x, y) ∈ D ⊂ R 2 ,l’integrale <strong>di</strong> superficie <strong>di</strong> una funzione g(x, y, z) sulla superficie S è dato da∫∫S∫∫g(x, y, z)dS =D√ (∂f ) 2g(x, y, f(x, y)) +∂x( ) 2 ∂f+ 1dA∂yDobbiamo prestare molta attenzione a questo tipo <strong>di</strong> integrali perchè l’integrale a destra è un integraledoppio mentre l’integrale a sinistra è un integrale <strong>di</strong> superficie. Quin<strong>di</strong> il calcolo <strong>di</strong> un integrale<strong>di</strong> superficie si riconduce ad un integrale doppio.La superficie potrebbe essere scritta come y = f(x, z) o x = f(y, z). La definizione <strong>di</strong> integrale <strong>di</strong>superficie è analoga (con le dovute sostituzioni) a quella appena scritta.Se la superficie, invece, è scritta in forma parametrica :x = x(u, v) y = y(u, v) z = z(u, v) (u, v) ∈ Iallora si ha∫∫∫∫g(x, y, z)dS = g(x(u, v), y(u, v), z(u, v))|⃗r u × ⃗r v |dASIdove |⃗r u × ⃗r v | rappresenta il modulo del prodotto vettoriale dei vettori che si hanno derivando parzialmenterispetto a u e rispetto a v le equazioni parametriche della superficie, in modo da poter averel’area dell’elementino <strong>di</strong> superficie dS.96


6.11. Integrali <strong>di</strong> superficieQuin<strong>di</strong>⃗i ⃗j ⃗ k∂y ∂z∂x ∂z∂x ∂y∂x ∂y ∂z∂u ∂u∂u ∂u⃗n = ⃗r u × ⃗r v =∂u ∂u ∂u=⃗i− ⃗j+ ∂y ∂z∂x ∂z⃗ ∂u ∂uk∂x ∂y∣ ∣ ∣ ∣ ∣ ∣∂x ∂y ∂z∂v ∂v ∂v ∂v ∂v ∂v∣∣∂v ∂v ∂vscambiamo le colonne del sottodeterminante relativo a ⃗j∂y ∂z∂z ∂x∂x ∂y∂u ∂u∂u ∂u=⃗i+ ⃗j+ ∂y ∂z∂z ∂x⃗ ∂u ∂uk∂x ∂y∣ ∣ ∣ ∣ ∣ ∣∂v ∂v ∂v ∂v ∂v ∂vosserviamo che i sottodeterminanti sono <strong>degli</strong> jacobiani=⃗i∂(y, z)∣∂(u, v) ∣ + ⃗j∂(z, x)∣∂(u, v) ∣ + ⃗ k∂(x, y)∣∂(u, v) ∣Chiamando con n 1 , n 2 e n 3 le componenti del vettore normale appena ottenuto, n 1 =∂(y, z)∣∂(u, v) ∣ ,n 2 =∂(z, x)∣∂(u, v) ∣ e n 3 =∂(x, y)∣∂(u, v) ∣ , il modulo <strong>di</strong> ⃗n è dato da |⃗n| = √ (n 1 ) 2 + (n 2 ) 2 + (n 3 ) 2 . Quin<strong>di</strong>∫∫∫∫g(x, y, z)dS = g(x(u, v), y(u, v), z(u, v))|⃗r u × ⃗r v |dASD∫∫= g(x(u, v), y(u, v), z(u, v)) √ (n 1 ) 2 + (n 2 ) 2 + (n 3 ) 2 dADSe g(x, y, z) = 1 l’integrale <strong>di</strong> superficie ci fa ritrovare l’area della superficie.Esempio 6.11.1 Calcoliamo l’integrale <strong>di</strong> superficie I = ∫∫ yzdS dove S è la superficie <strong>di</strong> equazioniSparametriche x = u 2 , y = u sin (v), z = u cos (v), con 0 ≤ u ≤ 1 e 0 ≤ v ≤ π/2.L’integrale da calcolare <strong>di</strong>venta l’integrale doppio∫∫∫ 1 ∫ π/2I = u sin (v)u cos (v)|⃗r u × ⃗r v |dudv = u 2 sin (v) cos (v)|⃗r u × ⃗r v |dvduDCalcoliamo il modulo del prodotto vettoriale. Abbiamo⃗i ⃗j ⃗ k⃗r u × ⃗r v =2u sin (v) cos (v)∣ 0 u cos (v) −u sin (v) ∣ = . . . = ⃗i(−u) + ⃗j(2u 2 sin (v)) + ⃗ k(2u 2 cos (v))Perciò, quando calcoliamo√il modulo, abbiamo (consideriamo anche 0 ≤ u ≤ 1):|⃗r u × ⃗r v | = u 2 + 4u 4 sin 2 (v) + 4u 4 cos 2 (v) = u √ 1 + 4u 2L’integrale èI =∫ 1 ∫ π/200u 2 sin (v) cos (v)u √ 1 + 4u 2 dvdu =00∫ 1 ∫ π/200u 3√ 1 + 4u 2 sin (v) cos (v)dvduOsserviamo che abbiamo funzioni che <strong>di</strong>pendono solo da v e funzioni che <strong>di</strong>pendono solo da u, perciò lefunzioni che <strong>di</strong>pendono solo da u, le possiamo portare fuori dall’integrale in v, ricavando∫ 1I = u 3√ ∫ π/21 + 4u 2 sin (v) cos (v)dvdu0097


6. INTEGRALIOra∫ π/2∫ π/2sin (v) cos (v)dv = sin (v)D(sin (v))dv = sin2 (v)002 ∣Andando a sostituire nell’integrale doppio abbiamoI = 1 2∫ 10u 3√ 1 + 4u 2 duFacciamo un cambiamento <strong>di</strong> variabili ponendo t = 1 + 4u 2 da cui u 2 = t − 14udu = dt8I = 1 2. Inoltre, per u = 0 si ha t = 1 e per u = 1 si ha t = 5. Quin<strong>di</strong>∫ 10∫ 5u 2√ 1 + 4u 2 udu = 1 2∫ 51∫ 5t − 1√ dt t4 8= 1 (t √ t − √ t)dt = 1 (t 3/2 − t 1/2 )dt64 164 1= 1 264 ∣5 t5/2 − 2 ∣ ∣∣∣53 t3/2 = . . . = 5√ 548 + 12401π/20= 1 2e 2udu = dt4 , ovvero6.12 Soli<strong>di</strong> e superfici <strong>di</strong> rotazioneVe<strong>di</strong>amo da un punto <strong>di</strong> vista matematico i concetti <strong>di</strong> massa e baricentro (usualmente visti infisica). Ci serviranno successivamente per calcolare il volume <strong>di</strong> un solido o l’area <strong>di</strong> una superficieottenuti, rispettivamente, me<strong>di</strong>ante rotazione <strong>di</strong> una superficie o <strong>di</strong> una curva attorno ad uno <strong>degli</strong>assi.Ci limitiamo a vedere le definizioni <strong>di</strong> massa, momenti e baricentro, per il caso bi<strong>di</strong>mensionale.Definizione 6.12.1 Si definisce massa <strong>di</strong> un oggetto piano che riempe una regione C, con densità data daµ(x, y) (funzione continua), la quantià m data da∫∫m = µ(x, y)dxdyCSe un oggetto piano riempe una regione C con densità µ(x, y) (continua), i suoi momenti sono datida∫∫M x = yµ(x, y)dxdyC∫∫M y = xµ(x, y)dxdyCIl baricentro (o centro <strong>di</strong> massa) dell’oggetto è il punto (x, y) dato da (m essendo la massa)x = M ∫∫ym = C xµ(x, y)dxdy∫∫µ(x, y)dxdyCy = M ∫∫xm = C yµ(x, y)dxdy∫∫µ(x, y)dxdyC98Nel caso <strong>di</strong> una curva piana γ, omogenea e con densità µ ≡ 1, si ha:


6.12. Soli<strong>di</strong> e superfici <strong>di</strong> rotazioneG la massa m è data da∫m = ds =⇒ m = L (la lunghezza della curva)γG i momenti sono∫∫M x = yds M y = xdsγγG il baricentro ha coor<strong>di</strong>natex = M yL= 1 ∫xdsLγy = M xL= 1 ∫ydsLγDefiniamo, a questo punto, il solido <strong>di</strong> rotazione.Sia D un insieme del piano (x, y), chiuso e limitato (e integrabile). Per semplicità i valori <strong>di</strong> y sianopositivi.Una rotazione del piano (x, y) intorno all’asse x (o y) fa sì che l’insieme D generi un solido I nellospazio (x, y, z), che chiamiamo solido <strong>di</strong> rotazione.Per calcolare il volume <strong>di</strong> un solido <strong>di</strong> rotazione si ha ilTeorema 6.12.1 (Primo teorema <strong>di</strong> Gul<strong>di</strong>no) Il volume dell’insieme I, solido <strong>di</strong> rotazione ottenuto dall’insiemeD è uguale all’area <strong>di</strong> D per la lunghezza della circonferenza descritta nella rotazione dal baricentro <strong>di</strong>D.Supponendo che la rotazione sia fatta attorno all’asse x, il raggio della circonferenza descritta dalbaricentro è data dall’or<strong>di</strong>nata del baricentro (si considera µ ≡ 1). Quin<strong>di</strong>volume(I) = area(D) × lunghezza della circonferenzavolume(I) = area(D) × 2π raggio della circonferenzavolume(I) = area(D)2π y∫∫Dvolume(I) = area(D)2π ∫∫ydxdyD∫∫dxdyDvolume(I) = area(D)2πydxdyarea(D)∫∫= 2π ydxdyDSe la rotazione <strong>di</strong> D avviene attorno all’asse y, il volume del solido <strong>di</strong> rotazione è data da∫∫volume(I) = 2π xdxdyDperchè la circonferenza descritta dal baricentro ha raggio dato da x.Definiamo, ora, la superficie <strong>di</strong> rotazione.Sia γ una curva generalmente regolare del piano (x, y). Sia y > 0. Consideriamo l’asse z ortogonalein (0, 0) al piano (x, y). Una rotazione del piano (x, y) intorno all’asse x (o y) fa sì che la curva γ generiuna superficie S nello spazio (x, y, z), che chiamiamo superficie <strong>di</strong> rotazione.Per misurare l’area <strong>di</strong> una superficie <strong>di</strong> rotazione si ha ilTeorema 6.12.2 (Secondo teorema <strong>di</strong> Gul<strong>di</strong>no) L’area della superficie <strong>di</strong> rotazione S generata dalla curva γè uguale alla lunghezza della curva per la lunghezza della circonferenza descritta nella rotazione dal baricentro<strong>di</strong> γ.99


6. INTEGRALIFigura 6.16: Insieme D da cui calcolare il volume del solido <strong>di</strong> rotazione attorno all’asse x.Sia γ data da equazioni parametriche x = x(t), y = y(t) con t ∈ [a, b] e <strong>di</strong> lunghezza L. La superficie siaottenuta me<strong>di</strong>ante rotazione attorno all’asse x. Allora la circonferenza ha raggio y con y = 1 ∫Lγ yds =1 ∫ bLa y(t)√ (x ′ (t)) 2 + (y ′ (t)) 2 dt. Alloraarea(S) = lunghezza della curva × lunghezza della circonferenzaarea(S) = L2π yarea(S) = L2π 1 Larea(S) = 2π∫ ba∫ bay(t) √ (x ′ (t)) 2 + (y ′ (t)) 2 dty(t) √ (x ′ (t)) 2 + (y ′ (t)) 2 dtSe la rotazione avviene attorno all’asse y invece si haarea(S) = 2π∫ bax(t) √ (x ′ (t)) 2 + (y ′ (t)) 2 dtEsempio 6.12.1 Calcoliamo il volume del solido <strong>di</strong> rotazione ottenuto dalla rotazione completa attornoall’asse x dell’insieme {D = (x, y) ∈ R 2 : x 2 + y 2 ≤ 3 }4 , x2 ≥ y, y ≥ 0, x ≥ 0Per calcolare questo integrale dobbiamo applicare il primo teorema <strong>di</strong> Gul<strong>di</strong>no. Il volume richiesto sarà datoda ∫∫V = 2π ydxdyDL’insieme D è dato dalla regione compresa al <strong>di</strong> sotto della parabola y = x 2 e all’interno della circonferenzacon centro nell’origine e raggio r = √ 3/2, che si trova nel primo quadrante (si veda Figura 6.16).Cerchiamo ⎧ i punti <strong>di</strong> intersezione tra la parabola e la circonferenza risolvendo il sistema⎨y = x 2⎩x 2 + y 2 = 3 4100


6.12. Soli<strong>di</strong> e superfici <strong>di</strong> rotazioneSostituendo y = x 2 nella seconda equazione si ha x 2 + x 4 = 3 4 . Con la sostituzione t = x2 l’equazione<strong>di</strong>venta t 2 + t − 3 4 = 0 da cui t = −1 ± √ 1 + 3= −1 ± 2 : quin<strong>di</strong> le due ra<strong>di</strong>ci sono t = 1 222 e t = −3 2 .Ritornando a x 2 = t, si ha come soluzione del primo quadrante il punto x = √ 1 e y = 1 . Per calcolare2 2l’integrale, possiamo vedere il dominio <strong>di</strong> integrazione come normale rispetto all’asse x, considerando l’unione<strong>di</strong> due insiemi, il primo dato da 0 ≤ x ≤ √ 1 , e 0 ≤ y ≤ x 2 1, e il secondo dato da √ ≤ x ≤ 3 2 2 2 e0 ≤ y ≤√34 − x2 .Quin<strong>di</strong> l’integrale da calcolare va spezzato in due integrali su questi domini. Oppure, si può vedere il dominio<strong>di</strong> integrazione normale rispetto all’asse y, con 0 ≤ y ≤ 1 2 e √ y ≤ x ≤√34 − y2 .In tal caso l’integrale <strong>di</strong>venta∫ 1/2 ∫ √ 34 −y2V =ydxdySi haV =0∫ 1/20= − 1 2= − 1 2√ yy(√34 − y2 − √ y)dy =∫ 1/20(−2y)√34 − y2 dy −∣2∣∣∣1/23 (3 4 − y2 ) 3/20∫ 1/20∫ 1/20y√34 − y2 dy −y 3/2 dy = − 1 2∫ 1/20∫ 1/20y √ ydyD( 3 4 − y2 )− 110 √ 2 = −1 3 (1 2 )3/2 + 1 3 (3 4 )3/2 − 110 √ 2= − 1√36 √ 2 + 8 − 110 √ 2 = − 4√ √ √3 2 314 √ 2 + 8 = − 7 + 8√34 − y2 dy − 2 5 y5/2 ∣ ∣∣∣1/20Esempio 6.12.2 L’arco <strong>di</strong> parabola y = x 2 per 1 ≤ x ≤ 2 è ruotato attorno all’asse y. Vogliamo trovarel’area della superficie <strong>di</strong> rotazione. In questo caso dobbiamo applicare il secondo teorema <strong>di</strong> Gul<strong>di</strong>no, vedendola parabola come la curva <strong>di</strong> coor<strong>di</strong>nate parametriche x = x, y = x 2 , per cuiQuin<strong>di</strong>area(S) = 2πarea(S) = 2π∫ 21∫ 21x √ 1 + 4x 2 dx.8x8= 1 4 π 2(1 + 4x2 ) 3/23√1 + 4x2 dx = 1 ∫ 24 π D(1 + 4x 2 ) √ 1 + 4x 2 dx∣= 1 6 π(17√ 17 − 5 √ 5)21= 1 6 π(173/2 − 5 3/2 )1101


7. Equazioni <strong>di</strong>fferenziali or<strong>di</strong>narie7.1 Cosa è un’equazione <strong>di</strong>fferenziale?Un’equazione <strong>di</strong>fferenziale è un’equazione che coinvolge una funzione incognita y = y(x) (che<strong>di</strong>pende dalla sola variabile x) e le sue derivate. Usualmente si parla <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>fferenziale or<strong>di</strong>naria1 in quanto la funzione incognita, essendo funzione <strong>di</strong> una sola variabile, ammette derivateor<strong>di</strong>narie e non derivate parziali.Un esempio <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare è dato day (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y = b(x)dove i coefficienti a 0 (x), a 1 (x), . . . , a n−1 (x) e b(x) sono assegnate funzioni continue che <strong>di</strong>pendonodalla variabile x, mentre y è la funzione incognita e compare insieme alle sue derivate fino a quella <strong>di</strong>or<strong>di</strong>ne n. Usiamo infatti la notazione y (n) per in<strong>di</strong>care dn ydx n .Se nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale compaiono le derivate <strong>di</strong> y fino all’or<strong>di</strong>ne n, allora si <strong>di</strong>ce che l’equazione<strong>di</strong>fferenziale ha or<strong>di</strong>ne (o grado) n. Bisogna quin<strong>di</strong> vedere l’or<strong>di</strong>ne più elevato della derivatache appare nell’equazione per capire l’or<strong>di</strong>ne dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale.Per n = 1, l’equazione <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> prima <strong>di</strong>ventay ′ + a(x)y = b(x)Per n = 2 si ha, invece,y ′′ + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y = b(x)Il caso più generale <strong>di</strong> un’equazione <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n è dato da un’equazione che ha comevariabili x, la funzione incognita y e le sue derivate fino all’or<strong>di</strong>ne n, me<strong>di</strong>ante una funzione continuaF (in genere non lineare):F (x, y, y ′ , . . . , y (n) ) = 0L’esempio <strong>di</strong> prima, <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare, ha come F la funzioneF (x, y, y ′ , . . . , y (n) ) = y (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y − b(x)Risolvere un’equazione <strong>di</strong>fferenziale (si <strong>di</strong>ce anche integrare un’equazione <strong>di</strong>fferenziale) vuol <strong>di</strong>recercare le possibili (ve ne possono essere più <strong>di</strong> una) funzioni del tipo y = y(x) definite per x chevaria in un opportuno intervallo [a, b], continue e derivabili n volte in [a, b] in modo che sia sod<strong>di</strong>sfattal’equazione <strong>di</strong>fferenziale data.Le funzioni y = y(x) che sod<strong>di</strong>sfano l’equazione <strong>di</strong>fferenziale si <strong>di</strong>cono soluzioni o integralidell’equazione <strong>di</strong>fferenziale.Se un’equazione <strong>di</strong>fferenziale può essere scritta nella formay (n) = f(x, y, y ′ , . . . , y (n−1) )con f funzione continua allora si <strong>di</strong>ce che l’equazione <strong>di</strong>fferenziale è in forma normale.1 In inglese si <strong>di</strong>ce: Or<strong>di</strong>nary Differential Equation, da cui la sigla ODE.103


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEEsempio 7.1.1 Data f, funzione continua in [a, b], si vuole risolverey ′ (x) = f(x) ∀x ∈ [a, b]Questo problema equivale a quello <strong>di</strong> trovare una primitiva della funzione f, una funzione, cioè, la cuiderivata coincide con f.Ogni funzione della forma y(x) = F (x)+y 0 con y 0 costante e F una primitiva <strong>di</strong> f è soluzione del problemaassegnato, ovvero dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale. Come primitiva <strong>di</strong> f, dal teorema fondamentale del calcolointegrale, sappiamo che possiamo scrivere F (x) = ∫ xx 0f(t)dt dove x 0 è un numero reale fissato in [a, b].Quin<strong>di</strong> y(x) = ∫ xx 0f(t)dt + y 0 è soluzione del problema dato.L’esempio che abbiamo descritto ora è molto particolare. Infatti si ha che la soluzione y(x) per x = x 0 valeproprio la costante y 0 :∫ x0y(x 0 ) = f(t)dt + y 0 = y 0x 0In questo{caso, si <strong>di</strong>ce che y(x) è soluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy dato day ′ (x) = f(x)y(x 0 ) = y 0dove y(x 0 ) = y 0 rappresenta la con<strong>di</strong>zione iniziale e x 0 il punto iniziale da cui far partire la soluzione alproblema.Ve<strong>di</strong>amo dunque cosa è un problema <strong>di</strong> Cauchy.7.2 Il problema <strong>di</strong> Cauchy in localePartiamo dal considerare l’equazione <strong>di</strong>fferenzialey ′ = f(x, y)Se la f è non lineare, è ragionevole aspettarsi che le soluzioni dell’equazioni <strong>di</strong>fferenziale sianodefinite non in un intervallo assegnato a priori ma solo in un intorno <strong>di</strong> un punto iniziale assegnato.Fissati, dunque, x 0 e y 0 , supponiamo che:1. la f sia definita in un intorno rettangolare I × J del punto (x 0 , y 0 ) del tipo (siano a e b assegnati){}I × J = (x, y) ∈ R 2 t.c x 0 − a ≤ x ≤ x 0 + a, y 0 − b ≤ y ≤ y 0 + b2. la f sia continua in I × J3. la derivata parziale della f rispetto a y, ∂f , sia continua in I × J.∂ySotto queste ipotesi esiste un intorno <strong>di</strong> x 0 , [x 0 − δ, x 0 + δ] ed un’unica funzione y = y(x) derivabile in[x 0 − δ, x 0 + δ] che è soluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy dato da{y ′ (x) = f(x, y)y(x 0 ) = y 0Abbiamo appena stabilito una formulazione del teorema <strong>di</strong> Cauchy <strong>di</strong> esistenza e unicità locale (inpiccolo).Teorema 7.2.1 (Teorema <strong>di</strong> Cauchy (in piccolo) per equazioni <strong>di</strong>fferenziali del primo or<strong>di</strong>ne) Siaf = f(x, y) una funzione reale definita nell’intervallo I × J (definito in precedenza). Se f e la sua derivata ∂f∂y104


7.3. Teorema <strong>di</strong> Cauchy (esistenza e unicità globale)sono funzioni continue in I × J, allora esiste un numero δ > 0 ed esiste una ed una sola funzione y = y(x)derivabile in [x 0 − δ, x 0 + δ], soluzione in tale intervallo del problema <strong>di</strong> Cauchy{y ′ (x) = f(x, y)y(x 0 ) = y 0Per equazioni <strong>di</strong>fferenziali <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n, il problema <strong>di</strong> Cauchy prevede con<strong>di</strong>zioni iniziali non solosulla funzione incognita y ma anche sulle sue derivate fino a quella <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n − 1.Consideriamo, infatti, un punto (x 0 , y 0 , y 0, ′ y 0 ′′ , . . . , y (n−1)0 ) ∈ R×R n . Sia I l’intervallo [x 0 −a, x 0 +a](con a ∈ R), e J sia un intorno <strong>di</strong> R n del punto Y 0 = (y 0 , y 0, ′ y 0 ′′ , . . . , y (n−1)0 ), quin<strong>di</strong>J = {Y ∈ R n t.c. |Y − Y 0 | ≤ b}dove√b ∈ R e |Y − Y 0 | è il modulo del vettore Y − Y 0 (quin<strong>di</strong> se Y = (y 1 , y 2 , y 3 , . . . , y n ) si ha |Y − Y 0 | =(y 0 − y 1 ) 2 + (y 0 ′ − y 2) 2 + . . . (y (n−1)0 − y n ) 2 ).Vale il seguente teorema.Teorema 7.2.2 (Teorema <strong>di</strong> Cauchy in piccolo per eq. <strong>di</strong>fferenziali <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n) Sia f =f(x, y 1 , y 2 , y 3 , . . . , y n ) una funzione definita per x ∈ I e (y 1 , y 2 , . . . , y n ) ∈ J (I e J definiti prima). Siaf continua insieme alle derivate parziali fatte rispetto a y 1 , y 2 , . . . , y n . Allora esiste un numero reale δ > 0 eduna ed una sola funzione y(x), derivabile n volte in [x 0 − δ, x 0 + δ], che è soluzione del seguente problema <strong>di</strong>Cauchy:⎧y (n) = f(x, y, y ′ , y ′′ , . . . , y (n−1) )y(x 0 ) = y 0⎪⎨ y ′ (x 0 ) = y 0′y ′′ (x 0 ) = y 0′′.⎪⎩y (n−1) (x 0 ) = y (n−1)0Con il teorema <strong>di</strong> Cauchy <strong>di</strong> esistenza e unicità locale, sono date delle con<strong>di</strong>zioni sufficienti perrisolvere localmente, in piccolo, il problema <strong>di</strong> Cauchy, determinando una soluzione in un intorno delpunto iniziale x 0 .7.3 Teorema <strong>di</strong> Cauchy (esistenza e unicità globale)A volte è importante stabilire l’esistenza della soluzione del problema <strong>di</strong> Cauchy per un’equazione<strong>di</strong>fferenziale or<strong>di</strong>naria in un intervallo prefissato (quin<strong>di</strong> non in un intorno <strong>di</strong> x 0 ), cioè assegnato apriori, in cui l’equazione <strong>di</strong>fferenziale è definita.Per stabilire delle con<strong>di</strong>zioni sufficienti per risolvere globalmente, o in grande, il problema <strong>di</strong>Cauchy, occorre avere con<strong>di</strong>zioni più restrittive sulla funzione f.Nel caso <strong>di</strong> un’equazione <strong>di</strong>fferenziale del primo or<strong>di</strong>ne, si hanno queste con<strong>di</strong>zioni:1. f(x, y) è definita in una striscia verticale <strong>di</strong> R 2 data da{}[a, b] × R = (x, y) ∈ R 2 t.c. x ∈ [a, b], y ∈ R2. f è continua3. la derivata parziale <strong>di</strong> f rispetto a y è continua e limitata, quin<strong>di</strong>∂f(x, y)∣ ∂y ∣ ≤ L per ogni (x, y) ∈[a, b] × R, con L numero reale positivo.105


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEIn queste ipotesi, esiste una ed una sola funzione y(x) che risolve il problema <strong>di</strong> Cauchy{y ′ (x) = f(x, y)y(x 0 ) = y 0Possiamo enunciare il teorema:Teorema 7.3.1 (Teorema <strong>di</strong> esistenza e unicità globale (caso <strong>di</strong> eq. <strong>di</strong>ff. del primo or<strong>di</strong>ne)) Se f =∂f(x, y)f(x, y) è continua in [a, b] × R e la sua derivata è continua e limitata in [a, b] × R, allora per ogni∂yx 0 ∈]a, b[ e per ogni y 0 ∈ R esiste una ed una sola funzione y = y(x), derivabile in [a, b] che risolve su tuttol’intervallo [a, b] il problema <strong>di</strong> Cauchy{y ′ (x) = f(x, y)y(x 0 ) = y 0Per equazioni <strong>di</strong>fferenziali <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n il teorema precedente si generalizza considerando funzionif = f(x, y 1 , y 2 , y 3 , . . . , y n ) = f(x, Y ) definite nella striscia [a, b] × R n con{}[a, b] × R n = (x, Y ) = (x, y 1 , y 2 , y 3 , . . . , y n ) ∈ R n+1 , con x ∈ [a, b], y 1 ∈ R, . . . , y n ∈ RTeorema 7.3.2 (Teorema <strong>di</strong> esistenza e unicità globale (caso <strong>di</strong> eq. <strong>di</strong>ff. <strong>di</strong> or<strong>di</strong>ne n)) Se f =f(x, y 1 , y 2 , y 3 , . . . , y n ) è continua in [a, b] × R n e le derivate parziali fatte rispetto a y 1 , y 2 , . . . , y n sonocontinue e limitate in [a, b] × R n , allora per ogni x 0 ∈]a, b[ e per ogni punto <strong>di</strong> R n dato da (y 0 , y 0, ′ . . . , y (n−1)0 )esiste una ed una sola funzione y(x), derivabile n volte in [a, b], che è soluzione del seguente problema <strong>di</strong> Cauchy:⎧y (n) = f(x, y, y ′ , y ′′ , . . . , y (n−1) )y(x 0 ) = y 0⎪⎨ y ′ (x 0 ) = y 0′y ′′ (x 0 ) = y 0′′.⎪⎩y (n−1) (x 0 ) = y (n−1)07.4 DefinizioniConsideriamo ora un’equazione <strong>di</strong>fferenziale del primo or<strong>di</strong>ne e introduciamo le seguentidefinizioni.G Per integrale generale si intende l’insieme delle soluzioni dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale che variaal variare <strong>di</strong> una costante c: qualunque sia la coppia (x 0 , y 0 ) si può stabilire il valore della costantec tale che y(c, x 0 ) = y 0 .G Per integrale particolare si intende invece una soluzione particolare dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale:fissata una coppia (x 0 , y 0 ) esiste una costante c tale che y(c, x 0 ) = y 0 .G Si ha invece un integrale singolare se, data una coppia (x 0 , y 0 ), non esiste una costante c tale chey(c, x 0 ) = y 0 , vale a <strong>di</strong>re che per quella coppia <strong>di</strong> dati, la soluzione dell’equazione <strong>di</strong>fferenzialenon rientra in un integrale particolare.7.5 Equazioni <strong>di</strong>fferenziali lineari del primo or<strong>di</strong>ne106Sia y ′ = f(x, y) con f funzione lineare in y, del tipo f(x, y) = b(x) − a(x)y.Si ha, quin<strong>di</strong>, per l’equazione <strong>di</strong>fferenziale:y ′ = f(x, y) =⇒ y ′ = b(x) − a(x)y =⇒ y ′ + a(x)y = b(x)Ve<strong>di</strong>amo ora tutti i passaggi per trovare l’integrale generale <strong>di</strong> questa equazione <strong>di</strong>fferenziale.


7.5. Equazioni <strong>di</strong>fferenziali lineari del primo or<strong>di</strong>ne1. Sia A(x) = ∫ a(x)dx una primitiva <strong>di</strong> a(x). Poniamo m(x) = e A(x) .2. Moltiplichiamo l’equazione <strong>di</strong>fferenziale per m(x), ottenendo:m(x)y ′ (x) + m(x)a(x)y(x) = m(x)b(x) (7.1)3. Consideriamo ora la derivata <strong>di</strong> m(x). Si hadm(x)dx= deA(x)dxA(x) dA(x)= e = m(x) dA(x)dxdxma essendo A(x) una primitiva <strong>di</strong> a(x) vuole <strong>di</strong>re che dA(x)dxdm(x)dx= m(x)a(x)= a(x), da cui si ricava4. Facciamo ora la derivata <strong>di</strong> y(x)m(x). Abbiamo da fare la derivata <strong>di</strong> un prodotto <strong>di</strong> funzioni,da cuid(y(x)m(x))dx= dy(x)dxm(x) + y(x)dm(x) dxLa derivata <strong>di</strong> m(x) l’abbiamo appena ricavata, la derivata <strong>di</strong> y(x) è y ′ (x), da cuid(y(x)m(x))dx= m(x)y ′ (x) + m(x)a(x)y(x)Abbiamo trovato il primo membro dell’equazione 7.1.5. Possiamo quin<strong>di</strong> riscrivere l’equazione 7.1 comed(y(x)m(x))dx= m(x)b(x)6. Integrando ambo i membri dell’equazione e <strong>di</strong>videndo poi per m(x) (<strong>di</strong>versa da zero perche èe A(x) ) si ha∫ ∫dy(x)m(x)dx = m(x)b(x)dx + costantedx∫y(x)m(x) = m(x)b(x)dx + costantey(x) = 1 (∫)m(x)b(x)dx + costantem(x)7. Riscrivendo la funzione m(x) come e A(x) si ha(∫)y(x) = e −A(x) e A(x) b(x)dx + costanteL’integrale è generale perchè <strong>di</strong>pende da una costante.Osserviamo, inoltre, che se a(x) e b(x) sono continue in un certo intervallo [a, b], allora il problema<strong>di</strong> Cauchy che possiamo associare a questa equazione <strong>di</strong>fferenziale si può risolvere globalmente in[a, b] × R poichè valgono le ipotesi del teorema <strong>di</strong> esistenza e unicità globale (la funzione f = b(x) −a(x)y è continua e la derivata ∂f = −a(x) è continua e limitata (poichè a(x) <strong>di</strong>pende solo da x ed è∂y107


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEcontinua in un intervallo chiuso allora ammette minimo e massimo, cioè è limitata).Esempio 7.5.1 Risolviamo l’equazione <strong>di</strong>fferenziale y ′ +4xy = x. In questo esempio a(x) = 4x e b(x) = x.Applichiamo il proce<strong>di</strong>mento appena descritto.G A(x) = ∫ a(x)dx = ∫ 4xdx = 2x 2 da cui m(x) = e 2x2 .G Moltiplichiamo l’equazione <strong>di</strong>fferenziale per m(x) ricavando:e 2x2 y ′ (x) + e 2x2 4xy(x) = e 2x2 xG Abbiamo allorady(x)e 2x2= e 2x2 xdxG Integrando ambo i membri ∫ e <strong>di</strong>videndo poi per e 2x2 si hay(x) = e −2x2 e 2x2 xdxDobbiamo quin<strong>di</strong> calcolare ∫ e 2x2 xdx: considerando che la derivata dell’esponente è 4x, bastamoltiplicare ∫ e <strong>di</strong>videre per 4 ottenendo:e 2x2 xdx = 1 ∫4xe 2x2 dx = 1 ∫D(2x 2 )e 2x2 dx = 1 444 e2x2 + costanteQuin<strong>di</strong>y(x) = e −2x2 ( 1 4 e2x2 + costante) = 1 4 + Ce−2x2dove C rappresenta la costante.7.6 Metodo <strong>di</strong> separazione delle variabiliSe un’equazione <strong>di</strong>fferenziale del primo or<strong>di</strong>ne può essere scritta nella formay ′ (x) = p(x)q(y)con p(x) e q(y) continue, allora l’equazione si <strong>di</strong>ce a variabili separabili.Ve<strong>di</strong>amo come si risolve questa equazione nel caso in cui q(y) ≠ 0 per ogni y. In tal caso, possiamo<strong>di</strong>videre ambo i membri per q(y), ottenendoy ′ (x)q(y) = p(x)Integriamo ambo i membri dell’equazione rispetto a x, ricavando:∫y ′ ∫(x)q(y(x)) dx = p(x)dx (7.2)In modo equivalente possiamo scrivere anche∫∫1q(y) dy = p(x)dxSia Q(y) una primitiva <strong>di</strong>dQ(y(x))dx= dQ(y(x))dy1e P una primitiva <strong>di</strong> p. Vuol <strong>di</strong>re cheq(y)dydx = 1q(y(x)) y′ (x),108


7.7. Risoluzione <strong>di</strong> alcuni tipi <strong>di</strong> equazioni <strong>di</strong>fferenzialidP (x)mentre = p(x). Tornando alla relazione 7.2, poichè abbiamo trovato le primitive <strong>di</strong> ciascuno deidxdue integrali, si haQ(y(x)) = P (x) + costanteSe è possibile esplicitare la y allora abbiamo una forma esplicita della soluzione (e questo lo si hase la Q è invertibile), altrimenti abbiamo una forma implicita della soluzione me<strong>di</strong>ante la relazioneQ(y(x)) − P (x) = costante.Esempio 7.6.1 Sia da risolvere il problema <strong>di</strong> Cauchy, y ′ = x2con la con<strong>di</strong>zione iniziale y(0) = 4.y2 Risolviamo prima l’equazione <strong>di</strong>fferenziale, applicando il metodo <strong>di</strong> separazione delle variabili (p(x) = x 2 ,q(y) = 1 ). Separando le variabili infatti, abbiamo da risolvere:y2 ∫ ∫y 2 dy = x 2 dxovveroy33 = x33 + costanteRisolvendo ora per y (che è funzione <strong>di</strong> x) otteniamo:y(x) = (x 3 + 3costante) 1/3Poichè la costante è arbitraria possiamo scrivere C = 3costante ricavandoy(x) = (x 3 + C) 1/3Imponiamo ora la con<strong>di</strong>zione iniziale y(0) = 4. Deve essere 4 = (C) 1/3 da cui C = 4 3 = 64. Quin<strong>di</strong> lasoluzione del problema è data da y(x) = (x + 64) 1/3 .7.7 Risoluzione <strong>di</strong> alcuni tipi <strong>di</strong> equazioni <strong>di</strong>fferenzialiG Sia data un’equazione <strong>di</strong>fferenziale del secondo or<strong>di</strong>ne, in cui manca il termine in y:F (x, y ′ , y ′′ ) = 0In tal caso, si pone z(x) = y ′ (x), da cui z ′ (x) = y ′′ (x). L’equazione <strong>di</strong>fferenziale trasformata<strong>di</strong>venta:F (x, z, z ′ ) = 0Abbiamo un’equazione <strong>di</strong>fferenziale del primo or<strong>di</strong>ne nella incognita z. Una volta trovata zsoluzione dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale, quin<strong>di</strong> z = z(x, cost 1 ), si ricava y cercando una primitiva<strong>di</strong> z:∫y(x) = z(x, cost 1 )dx + cost 2G Se l’equazione <strong>di</strong>fferenziale del secondo or<strong>di</strong>ne non <strong>di</strong>pende esplicitamente da xF (y, y ′ , y ′′ ) = 0allora si pensa y come variabile in<strong>di</strong>pendente e si si pone z(y) = y ′ .Allora (considerando che y è funzione <strong>di</strong> x e z è funzione <strong>di</strong> y):y ′′ = dy′dx = dz(y)dx= dz dydy dx = z′ z109


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEQuin<strong>di</strong> l’equazione <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong>ventaF (y, z, z ′ z) = 0Se si trova un’integrale generale <strong>di</strong> questa equazione, z = z(y, cost), allora, per trovare y,dalla relazione y ′ = z(y, cost) si ricava la soluzione y osservando che questa che abbiamo appenascritto è un’equazione <strong>di</strong>fferenziale a variabili separabili.G Ci sono molti altri casi <strong>di</strong> equazioni <strong>di</strong>fferenziali non lineari che presentano una forma particolaree che possono essere risolte me<strong>di</strong>ante tecniche ad hoc. Non stiamo però a stu<strong>di</strong>arle in questasede.7.8 Le equazioni <strong>di</strong>fferenziali lineariRipren<strong>di</strong>amo l’esempio visto quando abbiamo introdotto le equazioni <strong>di</strong>fferenziali:y (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y = b(x)dove i coefficienti a 0 (x), a 1 (x), . . . , a n−1 (x) e b(x) sono assegnate funzioni continue, che <strong>di</strong>pendonodalla variabile x, mentre y è la funzione incognita e compare insieme alle sue derivate fino a quella <strong>di</strong>or<strong>di</strong>ne n.Un’equazione <strong>di</strong>fferenziale scritta in questa forma, prende il nome <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>fferenzialelineare, perchè è lineare rispetto a y e alle sue derivate.G Se ciascuna funzione a i (x), per i = 0, 2, . . . , n − 1 è costante rispetto alla variabile x, alloral’equazione <strong>di</strong>fferenziale prende il nome <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare a coefficienti costanti.G Se b(x) = 0 per ogni valore <strong>di</strong> x, allora l’equazione si <strong>di</strong>ce equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea.G Se b(x) ≠ 0 allora l’equazione si <strong>di</strong>ce equazione <strong>di</strong>fferenziale non omogenea.L’equazione che si ha ponendo b(x) ≡ 0 si <strong>di</strong>ce equazione omogenea associata all’equazione<strong>di</strong> partenza in cui b(x) ≠ 0.Per quanto riguarda il problema <strong>di</strong> Cauchy associato ad un’equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare <strong>di</strong>or<strong>di</strong>ne n, vale il seguente teorema.Teorema 7.8.1 Se le funzioni a 0 (x), a 1 (x), . . . , a n−1 (x) sono continue in un intervallo [a, b], allora il problema<strong>di</strong> Cauchy⎧y (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y = b(x)y(x 0 ) = y 0y ⎪⎨′ (x 0 ) = y 0′y ′′ (x 0 ) = y 0′′.⎪⎩y (n−1) (x 0 ) = y (n−1)0ammette sempre un’unica soluzione y(x) qualunque sia il punto (x 0 , y 0 , y ′ 0, . . . , y (n−1)0 ) associato alle con<strong>di</strong>zioniiniziali.Dimostrazione.Infatti, l’equazione <strong>di</strong>fferenziale si può scrivere comey (n) = f(x, y, y ′ , . . . , y (n−1) )con f(x, y, y ′ , . . . , y (n−1) ) = b(x) − a n−1 (x)y (n−1) − . . . − a 1 (x)y ′ − a 0 (x)y.Riscrivendo la f come una funzione <strong>di</strong>pendente da x e da un punto Y = (y 1 , y 2 , . . . , y n ), (quin<strong>di</strong>f(x, Y ) = b(x) − a n−1 (x)y n − . . . a 1 (x)y 2 − a 0 (x)y 1 ) si ha che110∂f∂y i= −a i−1 (x)


7.8. Le equazioni <strong>di</strong>fferenziali lineariQuin<strong>di</strong> ciascuna derivata è una funzione continua e limitata in [a, b] per cui sono sod<strong>di</strong>sfatte leipotesi del teorema <strong>di</strong> Cauchy in grande, qualcunque sia il punto iniziale assegnato. ✔Per provare alcune proprietà generali delle equazioni <strong>di</strong>fferenziali lineari, conviene introdurre alcunenotazioni. La prima consiste nel vedere l’equazione <strong>di</strong>fferenziale come il risultato <strong>di</strong> un operatoreL applicato alla funzione y(x).Introduciamo dunque l’operatore L che agisce su una funzione f(x) nel modo seguente:ddxL(f) = f (n) + a n−1 (x)f (n−1) + a n−2 (x)f (n−2) + . . . + a 0 (x)fIntroducendo i simboli D e D n per in<strong>di</strong>care la derivata prima e la derivata n rispetto a x, D =D n = dn, l’operatore L si può scrivere comedxn L = D n + a n−1 (x)D n−1 + a n−2 (x)D n−2 + . . . + a 0 (x)Allora l’equazione <strong>di</strong>fferenziale linearey (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y = b(x)può essere scritta comeL(y) = b(x)Difatti:L(y) = (D n + a n−1 (x)D n−1 + a n−2 (x)D n−2 + . . . + a 0 (x))y= D n (y) + a n−1 (x)D n−1 (y) + . . . + a 0 (x)y= y (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)yUsando l’operatore L, è facile dedurre, facendo uso delle proprietà delle derivate, che vale:1. L(y 1 + y 2 ) = L(y 1 ) + L(y 2 )2. L(αy) = αL(y), dove α è una costante.Queste due proprietà <strong>di</strong>cono che L è un operatore lineare.Quin<strong>di</strong>, dato l’operatore L appena definito:G L(y) = b(x) è un’equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare non omogenea. La funzione b(x) prende il nome<strong>di</strong> termine noto dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale.G L(y) = 0 è l’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea (il termine noto vale zero) associata all’equazione<strong>di</strong>fferenziale precedente, in quanto l’operatore L è lo stesso.Possiamo stabilire questo risultato.Teorema 7.8.2 Se y 1 , y 2 , . . . , y m sono un numero finito m <strong>di</strong> soluzioni dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare omogeneaL(y) = 0, allora anche ogni funzione data da c 1 y 1 + c 2 y 2 + . . . + c m y m , con c 1 , c 2 , . . . , c m costanti <strong>di</strong> R,è soluzione <strong>di</strong> L(y) = 0,Dimostrazione. La <strong>di</strong>mostrazione segue dal fatto che L è un operatore lineare. Da L(y 1 ) = 0,L(y 2 ) = 0, . . . L(y m ) = 0, e applicando la linearità <strong>di</strong> L, si ha✔L(c 1 y 1 + c 2 y 2 + . . . + c m y m ) = L(c 1 y 1 ) + L(c 2 y 2 ) + . . . L(c m y m )= c 1 L(y 1 ) + c 2 L(y 2 ) + . . . + c m L(y m )= 0111


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIETeorema 7.8.3 Data l’equazione <strong>di</strong>fferenziale L(y) = 0 con le funzioni a 0 (x), a 1 (x), . . . , a n−1 (x) continue inun intervallo [a, b], allora per ogni x 0 ∈]a, b[, la funzione identicamente nulla è l’unica soluzione del problema<strong>di</strong> Cauchy L(y) = 0 con con<strong>di</strong>zioni iniziali date day(x 0 ) = 0, y ′ (x 0 ) = 0, . . . , y (n−1) (x 0 ) = 0Dimostrazione. La <strong>di</strong>mostrazione segue dal teorema <strong>di</strong> esistenza ed unicità del problema <strong>di</strong>Cauchy, considerando che la funzione nulla risolve l’equazione <strong>di</strong>fferenziale con le con<strong>di</strong>zioni inizialitutte nulle. ✔Chiamiamo con il simbolo N l’insieme delle soluzioni <strong>di</strong> un’equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare omogeneadata me<strong>di</strong>ante l’operatore L. Questo insieme prende il nome <strong>di</strong> spazio nullo dell’operatore L.L’insieme N è uno spazio vettoriale sul campo dei reali.7.8.1 Cosa è uno spazio vettoriale?Consideriamo un insieme N (non necessariamente quello <strong>di</strong> prima), costituito da funzioni realidefinite in R. Sia 0 lo zero <strong>di</strong> N, vale a <strong>di</strong>re la funzione identicamente nulla.N è uno spazio vettoriale (sui reali), se:G è possibile definire un’operazione interna + sugli elementi dell’insieme N, chiamata somma, chegode della proprietà associativa e commutativa, per la quale esiste l’elemento neutro (lo zero), eogni elemento ha l’opposto.G è possibile definire un’operazione esterna · <strong>degli</strong> elementi <strong>di</strong> N sui reali, chiamata prodotto perla quale– per ogni c 1 e c 2 in R e per ogni f in N, si ha (c 1 c 2 ) · f = c 1 · (c 2 · f)– per ogni c 1 e c 2 in R e per ogni f in N, si ha (c 1 + c 2 ) · f = (c 1 · f) + (c 2 · f)– per ogni c in R e per ogni f e g in N, si ha c · (f + g) = c · f + c · g– per ogni f in N, si ha 1 · f = fUn elemento dello spazio vettoriale prende il nome <strong>di</strong> vettore.Siano ora y 1 , y 2 , . . . , y n n elementi dello spazio vettoriale N. Si <strong>di</strong>ce combinazione lineare dei vettoriy 1 , y 2 , . . . , y n me<strong>di</strong>ante i coefficienti c 1 , c 2 , . . . , c n <strong>di</strong> R, il vettore dato dac 1 y 1 + c 2 y 2 + . . . c n y n.Gli n vettori y 1 , y 2 , . . . , y n si <strong>di</strong>cono linearmente in<strong>di</strong>pendenti se l’unica combinazione lineare deivettori y 1 , y 2 , . . . , y n che produce il vettore nullo è data da coefficienti tutti nulli:c 1 y 1 + c 2 y 2 + . . . c n y n = 0 ⇐⇒ c 1 = c 2 = . . . = c n = 0Se uno spazio vettoriale ha n vettori linearmente in<strong>di</strong>pendenti allora si <strong>di</strong>ce che lo spazio ha <strong>di</strong>mensionen. I vettori linearmente in<strong>di</strong>pendenti costituiscono una base dello spazio. Ogni funzionedello spazio può essere ottenuta me<strong>di</strong>ante una combinazione lineare della base, cioè dei suoi vettorilinearmente in<strong>di</strong>pendenti.7.9 L’equazione omogeneaTorniamo all’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea L(y) = 0 e cerchiamo <strong>di</strong> caratterizzare le suesoluzioni.Sia L(y) = y (n) +a n−1 (x)y (n−1) +. . .+a 1 (x)y ′ +a 0 (x)y e sia data l’equazione <strong>di</strong>fferenziale L(y) = 0.Siano y 1 , y 2 , . . . , y n n integrali particolari, per x ∈ [a, b], dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea. Percapire se questi integrali sono linearmente in<strong>di</strong>pendenti, abbiamo bisogno <strong>di</strong> introdurre il cosiddetto112


7.9. L’equazione omogeneadeterminante wronskiano o, semplicemente, il wronskiano delle funzioni y 1 , y 2 , . . . , y n , che è datodalla funzione w(x) definita per x ∈ [a, b] me<strong>di</strong>ante il determinantey 1 (x) y 2 (x) . . . y n (x)y 1(x) ′ y 2(x) ′ . . . y ′ n(x)w(x) =y 1 ′′ (x) y 2 ′′ (x) . . . y n(x)′′. . . . . .∣y (n−1)1 (x) y (n−1)2 (x) . . . y n(n−1) (x) ∣Teorema 7.9.1 Sia dato l’operatore L definito tramite le n funzioni a 0 (x), a 1 (x), . . . , a n−1 (x), continue in unintervallo aperto ]a, b[⊂ R. Siano y 1 (x), y 2 (x), . . . , y n (x) n funzioni <strong>di</strong>verse da zero che sod<strong>di</strong>sfano l’equazione<strong>di</strong>fferenziale:L(y 1 ) = L(y 2 ) = · · · = L(y n ) = 0Con<strong>di</strong>zione necessaria e sufficiente affinchè le n soluzioni siano linearmente in<strong>di</strong>pendenti è che sia <strong>di</strong>verso dazero per ogni valore <strong>di</strong> x ∈]a, b[, il wronskiano w(x).Teorema 7.9.2 Lo spazio delle funzioni che sono soluzione dell’equazione omogenea L(y) = 0 (lo spazio nulloN) ha <strong>di</strong>mensione n, ovvero, l’equazione omogenea L(y) = 0 ammette sempre un sistema <strong>di</strong> n integralilinearmente in<strong>di</strong>pendenti.Dimostrazione.Si fissi x 0 ∈ R e si considerino gli n problemi <strong>di</strong> Cauchy(1)L(y) = 0, y(x 0 ) = 1, y ′ (x 0 ) = 0, y ′′ (x 0 ) = 0, . . . y (n−1) (x 0 ) = 0(2)L(y) = 0, y(x 0 ) = 0, y ′ (x 0 ) = 1, y ′′ (x 0 ) = 0, . . . y (n−1) (x 0 ) = 0(3)L(y) = 0, y(x 0 ) = 0, y ′ (x 0 ) = 0, y ′′ (x 0 ) = 1, . . . y (n−1) (x 0 ) = 0.(n)L(y) = 0, y(x 0 ) = 0, y ′ (x 0 ) = 0, y ′′ (x 0 ) = 0, . . . y (n−1) (x 0 ) = 1Quin<strong>di</strong> l’i-mo problema <strong>di</strong> Cauchy ha con<strong>di</strong>zioni iniziali tutte nulle, eccetto la derivata y (i−1) chein x 0 vale 1.Per ciascuno <strong>di</strong> questi problemi <strong>di</strong> Cauchy, la soluzione esiste ed è unica (per il teorema <strong>di</strong> esistenzae unicità visto prima).Consideriamo ora il wronskiano delle n funzioni y i (per i = 1, 2, . . . , n) che sono soluzioni <strong>di</strong> questiproblemi <strong>di</strong> Cauchy:w(x) =∣y 1 (x) y 2 (x) . . . y n (x)y 1(x) ′ y 2(x) ′ . . . y n(x)′ y 1 ′′ (x) y 2 ′′ (x) . . . y n(x)′′. . . . . .1 (x) y (n−1)2 (x) . . . y n(n−1) (x) ∣y (n−1)Valutiamo w(x) per x = x 0 . Si ha1 0 . . . 00 1 . . . 0w(x 0 ) =. . . . . .∣0 0 . . . 1∣113


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIERisulta che w(x 0 ) è il determinante della matrice identità, che ha uno sugli elementi della <strong>di</strong>agonaleprincipale e zero altrove. Il determinante <strong>di</strong> questa matrice vale 1, quin<strong>di</strong> è <strong>di</strong>verso da zero.Poichè x 0 è stato scelto in modo arbitrario in R, vuole <strong>di</strong>re che le n soluzioni dell’equazioni<strong>di</strong>fferenziali sono linearmente in<strong>di</strong>pendenti (in base al teorema 7.9.1).Abbiamo trovato dunque n funzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti che risolvono l’equazione omogeneaL(y) = 0. Queste n funzioni costituiscono una base per lo spazio delle soluzioni dell’equazioneL(y) = 0. ✔Definizione 7.9.1 Una n-pla <strong>di</strong> funzioni y 1 , y 2 , . . . , y n che sono soluzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> L(y) =0 prende il nome <strong>di</strong> sistema fondamentale <strong>di</strong> integrali <strong>di</strong> L(y) = 0.Se conosciamo n soluzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti <strong>di</strong> L(y) = 0, la generica soluzione <strong>di</strong> L(y) = 0è data da una combinazione lineare delle soluzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti. Questa genericasoluzione prende il nome <strong>di</strong> integrale generale. Si ha il seguente teoremaTeorema 7.9.3 (Sull’integrale generale <strong>di</strong> un’equazione omogenea) Dato un sistema fondamentale <strong>di</strong>integrali y 1 , y 2 , . . . , y n dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea L(y) = 0, l’integrale generale è dato dallecombinazioni lineariy = c 1 y 1 + c 2 y 2 + . . . c n y ncon c 1 , c 2 , . . . , c n costanti <strong>di</strong> R.7.10 L’equazione non omogeneaSia data ora un’equazione <strong>di</strong>fferenziale non omogeneaL(y) = b(x).Sappiamo che ad essa possiamo associare l’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogeneaL(y) = 0Se conosciamo un integrale particolare dell’equazione non omogenea, y, e conosciamo l’integralegenerale dell’equazione omogenea associata, y, allora l’integrale generale dell’equazione non omogenea,che in<strong>di</strong>chiamo con η, è dato dalla somma <strong>di</strong> y e <strong>di</strong> y. Vale infatti il seguente teorema.Teorema 7.10.1 Dato y integrale particolare <strong>di</strong> L(y) = b(x), e dato l’integrale generale y <strong>di</strong> L(y) = 0, alloral’integrale generale <strong>di</strong> L(y) = b(x) è dato daη = y + yDimostrazione.Consideriamo η = y + y. Si haL(η) = L(y + y)applicando la linearità <strong>di</strong> L= L(y) + L(y)ma L(y) = 0 e L(y) = b(x)= b(x)Quin<strong>di</strong> η è soluzione dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale L(y) = b(x).114


7.11. Equazioni lineari a coefficienti costantiSupponiamo che y ∗ sia un altro integrale particolare <strong>di</strong>verso da y, per l’equazione non omogenea,L(y ∗ ) = b(x), allora y ∗ = y ∗ − y risulta un integrale dell’omogenea associata, in quantoL(y ∗ ) = L(y ∗ − y) = L(y ∗ ) − L(y) = b(x) − b(x) = 0Quin<strong>di</strong> y ∗ si può scrivere come combinazione lineare <strong>di</strong> un sistema fondamentale <strong>di</strong> integrali dell’equazioneomogenea, tramite dei coefficienti c 1 , c 2 , . . . , c n . Perciò y ∗ = y ∗ + y rientra come casoparticolare (perchè y ∗ è caratterizzato da specifici coefficienti) dell’integrale generale η = y + y, cioèη = y + y è l’unico modo per rappresentare l’integrale generale dell’equazione non omogenea. ✔Quin<strong>di</strong> l’integrale generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale L(y) = b(x), conoscendo n integrali linearmentein<strong>di</strong>pendenti dell’equazione omogenea associata, e un integrale particolare y della nonomogenea, è dato da dato day = c 1 y 1 + c 2 y 2 + . . . , c n y n + y7.11 Equazioni lineari a coefficienti costantiData l’equazione <strong>di</strong>fferenzialey (n) + a n−1 (x)y (n−1) + . . . + a 1 (x)y ′ + a 0 (x)y = b(x)se a 0 (x) ≡ a 0 , a 1 (x) ≡ a 1 , . . . , a n−1 (x) = a n−1 , tutte le funzioni sono costanti in x, allora l’equazione<strong>di</strong>fferenziale prende il nome <strong>di</strong> equazione <strong>di</strong>fferenziale a coefficienti costanti:y (n) + a n−1 y (n−1) + . . . + a 1 y ′ + a 0 y = b(x)Per trovare l’integrale generale dell’equazione lineare a coefficienti costanti, si considera la cosiddettaequazione caratteristica, che si ricava dall’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea associata,sostituendo alle derivate della funzione incognita le potenze della variabile z:P (z) = z n + a n−1 z n−1 + . . . + a 1 z + a 0 = 0Quin<strong>di</strong> a y (n) sostituiamo z n , a y (n−1) sostituiamo z n−1 m fino ad arrivare a y che sostituiamo conz 0 = 1. Il polinomio P (z) prende il nome <strong>di</strong> polimonio caratteristico. Si cercano le ra<strong>di</strong>ci del polinomiocaratteristico, cioè i valori <strong>di</strong> z per cui P (z) = 0 e da queste ra<strong>di</strong>ci è possibile risalire (vedremo ora inche modo) all’integrale generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare omogenea. Occorre poi trovareun integrale particolare per l’equazione non omogenea.Ricor<strong>di</strong>amo che un polinomio <strong>di</strong> grado n ammette n ra<strong>di</strong>ci: queste ra<strong>di</strong>ci possono essere reali ocomplesse, e possono essere con molteplicità semplice o <strong>di</strong> un certo grado, ma tali che la somma deigra<strong>di</strong> <strong>di</strong> ciascuna ra<strong>di</strong>ce <strong>di</strong>a il grado del polinomio. Ve<strong>di</strong>amo dei semplici esempi.Esempio 7.11.1 Consideriamo un polinomio <strong>di</strong> secondo grado. Sappiamo che, dato un polinomio <strong>di</strong> secondogrado P (z) = az 2 + bz + c, per trovare le ra<strong>di</strong>ci del polinomio, cioè quei valori <strong>di</strong> z per cui P (z) = 0 si ha laformula z = −b ± √ b 2 − 4ac, dove la quantità sotto ra<strong>di</strong>ce, b 2 − 4ac prende il nome <strong>di</strong> <strong>di</strong>scrimante e viene2ain<strong>di</strong>cato con il simbolo ∆.GSe ∆ = b 2 − 4ac > 0 si hanno due ra<strong>di</strong>ci reali <strong>di</strong>stinte.Esempio: P (z) = z 2 − 5z − 6.In questo caso ∆ = 25 + 24 = 49, da cui z = 5 ± 72 . Si hanno due ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong>stinte: z 1 = 6 e z 2 = −1.115


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEGSe ∆ = b 2 − 4ac = 0 si hanno due ra<strong>di</strong>ci reali coincidenti (una ra<strong>di</strong>ce da contarsi due volte, o conmolteplicità due).Esempio: P (z) = z 2 − 2z + 1. Qui ∆ = 4 − 4 = 0. Si ricava facilmente, o applicando la formula, oriconoscendo che P (z) = (z − 1) 2 , che la ra<strong>di</strong>ce è z = 1 da contarsi due volte, cioè z = 1 è una ra<strong>di</strong>ce conmolteplicità doppia.GSe ∆ = b 2 −4ac < 0, non si hanno ra<strong>di</strong>ci reali ma nel campo complesso, introducendo l’unità immaginariai = √ −1, per cui √ b 2 − 4ac = √ (−1)(4ac − b 2 ) = i √ 4ac − b 2 , essendo ora 4ac − b 2 > 0.Esempio: P (z) = z 2 + 2z + 3. In questo caso ∆ = 4 − 12 = −8 Sotto ra<strong>di</strong>ce ho −8, quin<strong>di</strong> le ra<strong>di</strong>ci sonocomplesse.z = −2 ± i2√ 2= −1 ± i √ 22Trovo due ra<strong>di</strong>ci z 1 = −1 + i √ 2 e z 2 = −1 − i √ 2.Queste due ra<strong>di</strong>ci sono complesse e coniugate, perchè la parte immaginaria delle due ra<strong>di</strong>ci è una l’oppostadell’altra.Un numero complesso, infatti, si può vedere come z = a + ib, con a e b numeri reali e i l’unità immaginaria.Il coniugato <strong>di</strong> z = a + ib è dato da z = a − ib.Per determinare l’integrale generale <strong>di</strong> un’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea si vanno a cercare lera<strong>di</strong>ci del polinomio caratteristico. Supponiamo che il polimonio caratteristico abbia n ra<strong>di</strong>ci reali tutte<strong>di</strong>stinte tra <strong>di</strong> loro, γ 1 , γ 2 , . . . , γ n , allora le funzioni y(x) = e γix sono soluzioni particolari dell’equazione<strong>di</strong>fferenziale. Infatti da y(x) = e γx si ha y ′ = γe γx , y ′′ = γ 2 e γx , . . . , y (n) = γ n e γx . Se an<strong>di</strong>amo asostituire nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale, ricaviamoL(y) = L(e γx )= γ n e γx + a n−1 γ n−1 e γx + . . . + a 1 γe γx + a 0 e γxmetto in evidenza e γx= (γ n + a n−1 γ n−1 + . . . + a 1 γ + a 0 )e γx= P (γ)e γxma γ è ra<strong>di</strong>ce dell’equazione caratteristica= 0Quin<strong>di</strong> y = e γx è soluzione dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale lineare omogenea.In genere, però, un polinomio <strong>di</strong> grado n può avere ra<strong>di</strong>ci reali che si ripetono (che hanno una certamolteplicità), o ra<strong>di</strong>ci reali insieme a ra<strong>di</strong>ci complesse e coniugate (e anche queste ra<strong>di</strong>ci possono avereuna certa molteplicità).Per ricavare l’integrale generale <strong>di</strong> un’equazione lineare omogenea, viene in aiuto il seguenteteorema.Teorema 7.11.1 Siano γ 1 , γ 2 , . . . , γ h h ra<strong>di</strong>ci reali del polinomio caratteristico, ciascuna delle quali ha rispettivamentemolteplicità r 1 , . . . , r h mentre siano α 1 ± iβ 1 , α 2 ± iβ 2 , . . . , α l ± iβ k 2k ra<strong>di</strong>ci complesse e coniugatecon molteplicità, rispettivamente, s 1 , s 2 , . . . , s k .La molteplicità delle ra<strong>di</strong>ci è tale che r 1 + r 2 + . . . + r h + 2(s 1 + s 2 + . . . + s k ) = n.Allora le n funzioni116e γpx , xe γpx , . . . x rp−1 e γpx , per p = 1, 2, . . . , he αqx cos (β q x), e αqx sin (β q x), xe αqx cos (β q x), xe αqx sin (β q x), . . . ,x sq−1 e αqx cos (β q x), x sq−1 e αqx sin (β q x), per q = 1, 2, . . . , k


7.11. Equazioni lineari a coefficienti costantisono n soluzioni reali dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea linearmente in<strong>di</strong>pendenti.Scritto in forma meno compatta, vuol <strong>di</strong>re che se l’equazione caratteristica ha n ra<strong>di</strong>ci, in partereale e in parte complesse coniugate, così come sono state descritte nel teorema, si hanno le seguentisoluzioni per l’equazione lineare:G dalle ra<strong>di</strong>ci reali del polinomio caratteristico si hanno i seguenti integrali:e γ1x xe γ1x x 2 e γ1x . . . x r1−1 e γ1xe γ2x xe γ2x x 2 e γ2x . . . x r2−1 e γ2xe γ3x xe γ3x x 2 e γ3x . . . x r3−1 e γ3x. . . . . . .e γ hxxe γ hxx 2 e γ hx. . . x rh−1 e γ hxG dalle ra<strong>di</strong>ci complesse e coniugate del polinomio caratteristico si hanno i seguenti integrali:e α1x cos (β 1 x) e α1x sin (β 1 x) xe α1x cos (β 1 x) xe α1x sin (β 1 x)x 2 e α1x cos (β 1 x) x 2 e α1x sin (β 1 x) . . . . . .. . . . . . x s1−1 e α1x cos (β 1 x) x s1−1 e α1x sin (β 1 x)e α2x cos (β 2 x) e α2x sin (β 2 x) xe α2x cos (β 2 x) xe α2x sin (β 2 x)x 2 e α2x cos (β 2 x) x 2 e α2x sin (β 2 x) . . . . . .. . . . . . x s2−1 e α2x cos (β 2 x) x s2−1 e α2x sin (β 2 x)e α3x cos (β 3 x) e α3x sin (β 3 x) xe α3x cos (β 3 x) xe α3x sin (β 3 x)x 2 e α3x cos (β 3 x) x 2 e α3x sin (β 3 x) . . . . . .. . . . . . x s3−1 e α3x cos (β 3 x) x s3−1 e α3x sin (β 3 x)....e αkx cos (β k x) e αkx sin (β k x) xe αkx cos (β k x) xe αkx sin (β k x)x 2 e αkx cos (β k x) x 2 e αkx sin (β k x) . . . . . .. . . . . . x sk−1 e αkx cos (β k x) x sk−1 e αkx sin (β k x)L’integrale generale è dato da una combinazione lineare <strong>di</strong> tutte queste soluzioni particolari.Quin<strong>di</strong> l’integrale generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale omogenea è dato dalle combinazionilineari delle soluzioni linearmente in<strong>di</strong>pendenti trovate.Esempio 7.11.2 Sia data l’equazione lineare omogenea y ′′ − 4y = 0.L’equazione caratteristica è data da P (z) = z 2 − 4 = 0Le ra<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> questa equazione sono date da z 1 = 2, z 2 = −2. Sono due ra<strong>di</strong>ci reali, con molteplicità uno.L’integrale generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale è dunque dato day(x) = c 1 e 2x + c 2 e −2xEsempio 7.11.3 Sia ora y ′′ + 2y ′ + y = 0. Ora l’equazione caratteristica è data da P (z) = z 2 + 2z + 1 = 0,che ha come ra<strong>di</strong>ci z = −1 con molteplicità doppia.In tal caso l’integrale generale è dato day(x) = c 1 e −x + c 2 xe −x 117


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEEsempio 7.11.4 Sia data l’equazione <strong>di</strong>fferenziale y ′′ + 2y ′ + 3 = 0. Adesso si ha, per l’equazione caratteristica,P (z) = z 2 + 2z + 3 = 0 che ha due ra<strong>di</strong>ci complesse e coniugate z 1 = −1 + i √ 2 e z 2 = −1 − i √ 2.La parte reale è a = −1 la parte complessa è b = √ 2, quin<strong>di</strong> l’integrale generale èy(x) = c 1 e −x cos ( √ 2x) + c 2 e −x sin ( √ 2x)Se, invece, interessa la soluzione generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale non omogenea, dobbiamotrovare, oltre all’integrale generale dell’omogenea associata, anche un integrale particolare dell’equazionenon omogenea visto che l’integrale generale è dato dalla somma dell’integrale generaledell’omogenea associata e dell’integrale particolare della non omogenea (in base al teorema 7.10.1).Il problema <strong>di</strong> trovare l’integrale generale <strong>di</strong> un’equazione <strong>di</strong>fferenziale non omogenea L(y) = b(x)si riconduce alla soluzione <strong>di</strong> due problemi:1. trovare l’integrale generale dell’equazione omogenea associata L(y) = 02. trovare un integrale particolare dell’equazione non omogenea L(y) = b(x)7.12 Metodo dei coefficienti indeterminatiPer alcune funzioni b(x) è possibile trovare l’integrale particolare in modo abbastanza semplice,applicando il cosiddetto metodo dei coefficienti indeterminati. Ecco un elenco <strong>di</strong> possibili casi perb(x).G Sia b(x) = P (x), un polinomio <strong>di</strong> grado p. Se nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale, a 0 ≠ 0 , allora comesoluzione particolare si ha y = Q(x), dove Q(x) è un polinomio <strong>di</strong> grado al più p (si va a cercareun polinomio dello stesso grado del termine noto che sia soluzione particolare dell’equazionenon omogenea).G Se b(x) = P (x) polinomio <strong>di</strong> grado p, ma a 0 = a 1 = . . . = a r−1 = 0 con r −1 ≤ n−1 (ciò equivalea <strong>di</strong>re che nell’equazione caratteristica associata si ha la ra<strong>di</strong>ce z = 0 con molteplicità r) allora siha come soluzione particolare y = x r Q(x) polinomio <strong>di</strong> grado al più p.G Sia b(x) = e αx P (x) con α ∈ R e P (x) polinomio <strong>di</strong> grado p,– Se α non è ra<strong>di</strong>ce dell’eq. caratteristica, allora y = e αx Q(x), con Q(x) polinomio <strong>di</strong> grado alpiù p.– Se α è ra<strong>di</strong>ce dell’eq. caratteristica, con molteplicità r, allora y = x r e αx Q(x) con Q(x)polinomio <strong>di</strong> grado al più p.G Sia b(x) = e αx cos(βx)P (x) oppure b(x) = e αx sin(βx)P (x) oppure b(x) = e αx (cos(βx) +sin(βx))P (x), con α, β ∈ R e P (x) polinomio <strong>di</strong> grado p– Se α ± iβ non è ra<strong>di</strong>ce dell’eq. caratteristica, allora y = e αx (cos(βx)Q 1 (x) + sin(βx)Q 2 (x))con Q 1 e Q 2 polinomi <strong>di</strong> grado al più p.– Se α ± iβ è ra<strong>di</strong>ce dell’eq. caratteristica con molteplicità r, allora y = x r e αx (cos(βx)Q 1 (x) +sin(βx)Q 2 (x)) con Q 1 e Q 2 polinomi <strong>di</strong> grado al più p.Se il termine noto b(x) è dato dalla somma <strong>di</strong> funzioni, ciascuna delle quali si può ricondurre ad unodei casi descritti sopra, allora l’integrale particolare è dato dalla somma <strong>degli</strong> integrali particolari delleequazioni <strong>di</strong>fferenziali non omogenee legate a ciascun addendo della funzione <strong>di</strong> partenza. Infatti,se il termine noto è dato dalla somma <strong>di</strong> m funzioni, b(x) = b 1 (x) + b 2 (x) + . . . + b m (x), possiamoconsiderare sia l’equazione <strong>di</strong>fferenziale L(y) = b(x), sia le m equazioni <strong>di</strong>fferenziali L(y) = b 1 (x),L(y) = b 2 (x), . . . L(y) = b m (x).Siano y 1 , y 2 , . . . , y m m soluzioni particolari <strong>di</strong> queste m equazioni <strong>di</strong>fferenziali, allora valeL(y 1 + y 2 + . . . y m ) = L(y 1 ) + L(y 2 ) + . . . + L(y m )b 1 (x) + b 2 (x) + . . . + b m (x)= b(x)118


7.12. Metodo dei coefficienti indeterminatiQuin<strong>di</strong> y = y 1 + y 2 + . . . + y m è soluzione dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale L(y) = b(x).Ve<strong>di</strong>amo <strong>degli</strong> esempi sulla risoluzioni <strong>di</strong> equazioni <strong>di</strong>fferenziali non omogenee.Esempio 7.12.1 Si voglia risolvere l’equazione <strong>di</strong>fferenzialey ′′ + y = 3x 2Per prima cosa risolviamo l’omogenea associata y ′′ + y = 0. L’equazione caratteristica è : z 2 + 1 = 0, da cuiz = ±i: abbiamo due ra<strong>di</strong>ci complesse e coniugate. L’integrale generale è, dunque: y = c 1 cos (x)+c 2 sin (x).Cerchiamo ora un integrale particolare. Ve<strong>di</strong>amo che b(x) = 3x 2 , è un polinomio <strong>di</strong> secondo grado, e ilcoefficiente a 0 dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale è <strong>di</strong>verso da zero. Quin<strong>di</strong> l’integrale particolare deve essere unpolinomio <strong>di</strong> secondo grado, del tipo y = ax 2 + bx + c, con a, b, c da determinare andando a sostituire ynell’equazione <strong>di</strong>fferenziale. Infatti deve esserey ′′ + y = 3x 2Da y = ax 2 + bx + c, si ha y ′ = 2ax + b e y ′′ = 2a. Andando a sostituire nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale siricava:2a + ax 2 + bx + c = 3x 2Ora i termini⎧che hanno le stesse potenze <strong>di</strong> x a primo e a secondo membro vanno eguagliati:⎪⎨ ax 2 = 3x 2bx = 0⎪⎩2a + c = 0Risolviamo questo sistema <strong>di</strong> 3 equazioni in 3 incognite, ottenendo a = 3, b = 0, c = −2a = −6. Perciòl’integrale particolare è dato da y = 3x 2 − 6.L’integrale generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale non omogenea vale dunque: y = c 1 cos (x) + c 2 sin (x) +3x 2 − 6.Esempio 7.12.2 Sia da risolvere l’equazione <strong>di</strong>fferenzialey ′′ + 3y ′ + 2y = x + x 3 − e −x sin (2x)Per prima cosa cerchiamo le soluzioni dell’equazione omogenea associata. L’equazione caratteristica è : z 2 +3z + 2 = 0, da cui le ra<strong>di</strong>ci reali z 1 = −1 e z 2 = −2. L’integrale generale dell’omogenea è dunquey = c 1 e −x + c 2 e −2x .Consideriamo ora il termine noto b(x) = x + x 3 − e x sin (2x). Osserviamo come il termine noto possa esserevisto come somma del polinomio P (x) = x + x 3 e della funzione −e −x sin (2x).Cerchiamo dunque un integrale particolare per l’equazione <strong>di</strong>fferenzialey ′′ + 3y ′ + 2y = x + x 3e un integrale particolare per l’equazione <strong>di</strong>fferenzialey ′′ + 3y ′ + 2y = −e −x sin (2x)119


7. EQUAZIONI DIFFERENZIALI ORDINARIEPer il primo integrale, ve<strong>di</strong>amo che il termine noto è un polinomio <strong>di</strong> terzo grado e che il coefficiente a 0 ≠ 0,quin<strong>di</strong> l’integrale particolare è un polinomio <strong>di</strong> terzo grado y = ax 3 + bx 2 + cx + d. Derivando, si hay ′ = 3ax 2 + 2bx + c e y ′′ = 6ax + 2b. Andando a sostituire nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale si ha6ax + 2b + 3(3ax 2 + 2bx + c) + 2(ax 3 + bx 2 + cx + d) = x + x 3Raccogliendo i termini con le stesse potenze <strong>di</strong> x a primo membro, abbiamo2ax 3 + (9a + 2b)x 2 + (6a + 6b + 2c)x + 2b + 3c + 2d = x + x 3Uguagliando i termini con le stesse potenze a primo e a secondo membro si ha:⎧2a = 1⎪⎨9a + 2b = 06a + 6b + 2c = 1⎪⎩2b + 3c + 2d = 0= − 51 , da cui y =8x 32 − 9 4 x2 + 23 4 x − 51 8 .Passiamo ora a trovare un integrale particolare per la seconda equazione <strong>di</strong>fferenziale che abbiamo ricavatoche ha come termine noto la funzione −e −x sin (2x). Riconducendoci allo schema che abbiamo fatto per ivari casi <strong>di</strong> termini noto, questo si riconduce alla funzione del tipo e αx sin (βx)P (x), dove α = −1, β = 2,P (x) = −1 (polinomio <strong>di</strong> grado 0). Poichè −1±i2 non è ra<strong>di</strong>ce dell’equazione caratteristica (che ha nel nostrocaso solo ra<strong>di</strong>ci reali), dobbiamo cercare un integrale particolare del tipo y = e −x (cos (2x)a + sin (2x)b)(devono essere Q 1 eQ 2 polinomi <strong>di</strong> grado zero, cioè delle costanti).Allora,y ′ = −e −x (a cos (2x) + b sin (2x)) + e −x (−2a sin (2x) + 2b cos (2x))Otteniamo a = 1/2, b = − 9 2 a = −9 1 − 6a − 6b, c =4 2= e −x ((2b − a) cos (2x) − (b + 2a) sin (2x))y ′′ = −e −x ((2b − a) cos (2x) − (b + 2a) sin (2x))+e −x (−2(2b − a) sin (2x) − 2(b + 2a) cos (2x))= e −x ((−4b − 3a) cos (2x) + (4a − 3b) sin (2x))Andando a sostituire nell’equazione <strong>di</strong>fferenziale, si ottiene:e −x ((−4b − 3a) cos (2x) + (4a − 3b) sin (2x))+3(e −x ((2b − a) cos (2x) − (b + 2a) sin (2x))+= 23 −2b − 3c, d =4 22(e −x (a cos (2x) + b sin (2x)) = −e −x sin (2x)Si può semplificare l’equazione <strong>di</strong>videndo ambo i membri per e −x . Raccogliendo i termini in sin (2x) ecos (2x) si ha:(2b − 4a) cos (2x) + (−4b − 2a) sin (2x) = − sin (2x)Quin<strong>di</strong>: {2b − 4a = 0−4b − 2a = −1Risolvendo il sistema si trova a = 110 e b = 1 5 da cui y = e−x ( 110 cos (2x) + 1 sin (2x)).5Concludendo, l’integrale generale dell’equazione <strong>di</strong>fferenziale non omogenea da cui siamo partiti è dato da:y = c 1 cos (x) + c 2 sin (x) + x32 − 9 4 x2 + 234 x − 518 + e−x ( 1 10 cos (2x) + 1 sin (2x))5Se si ha un problema <strong>di</strong> Cauchy, si risolve prima l’equazione <strong>di</strong>fferenziale cercando un integralegenerale. Successivamente, le costanti vengono determinate in base alle con<strong>di</strong>zioni iniziali date dalproblema.120


8. Forme <strong>di</strong>fferenziali8.1 Introduzione alle forme <strong>di</strong>fferenzialiConsideriamo una curva regolare γ nel piano data da equazioni parametrichex = x(t), y = y(t), a ≤ t ≤ bSia data una funzione f(x, y) <strong>di</strong>pendente da due variabili. Possiamo pensare <strong>di</strong> integrare la funzionef sulla curva γ rispetto a x o rispetto a y (quin<strong>di</strong> non sull’arco <strong>di</strong> curva, ds, ma in dx o dy).Si ha l’integrale curvilineo <strong>di</strong> f rispetto a x dato da∫γf(x, y)dx =∫ baf(x(t), y(t))x ′ (t)dtSi ha l’integrale curvilineo <strong>di</strong> f rispetto a y dato da∫γf(x, y)dy =∫ baf(x(t), y(t))y ′ (t)dtInfatti poichè x = x(t), allora dx = x ′ (t)dt. Analogo è il ragionamento per la y.Spesso questi due integrali appaiono insieme: se X e Y sono due funzioni nelle variabili x e y e seγ è una curva (data da equazioni parametriche come in precedenza), allora∫γXdx + Y dy ===∫ ba∫ ba∫ baX(x, y)dx + Y (x, y)dyX(x(t), y(t))x ′ (t)dt + Y (x(t), y(t))y ′ (t)dt(X(x(t), y(t))x ′ (t) + Y (x(t), y(t))y ′ (t)) dtL’espressione che abbiamo scritto come funzione integranda Xdx + Y dy prende il nome <strong>di</strong> forma<strong>di</strong>fferenziale.Possiamo dare allora la seguente definizioneDefinizione 8.1.1 Date X e Y due funzioni definite in I ⊂ R 2 , si chiama forma <strong>di</strong>fferenziale lineare ω (o formalineare) l’espressioneω = Xdx + Y dy = X(x, y)dx + Y (x, y)dyLe funzioni X e Y si chiamano coefficienti della forma <strong>di</strong>fferenziale.Se i coefficienti sono <strong>di</strong> classe C p , la forma <strong>di</strong>fferenziale si <strong>di</strong>ce <strong>di</strong> classe C p .Per una forma <strong>di</strong>fferenziale, si possono definire le seguenti operazioni:G dato un vettore r = (r 1 , r 2 ) e (x, y) ∈ I, il prodotto scalare tra ω e r è:ω · r = X(x, y)r 1 + Y (x, y)r 2121


8. FORME DIFFERENZIALIG dato uno scalare c ∈ R e una funzione f definita in I e a valori in R si definisce la moltiplicazionedella forma <strong>di</strong>fferenziale per c e per f nel modo seguente:cω = cXdx + cY dyfω = (fX)dx + (fY )dyG Date due forme <strong>di</strong>fferenziali ω 1 e ω 2 , si definisce ad<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> ω 1 e <strong>di</strong> ω 2 la seguente forma:ω 1 + ω 2 = (X 1 dx + Y 1 dy) + (X 2 dx + Y 2 dy) = (X 1 + X 2 )dx + (Y 1 + Y 2 )dyCon queste operazione, l’insieme delle forme <strong>di</strong>fferenziali lineari, definite in un insieme I ⊂ R, è unospazio vettoriale.Consideriamo, ora il <strong>di</strong>fferenziale <strong>di</strong> una funzione f(x, y). Si ha df = f x dx + f y dy. Quin<strong>di</strong> il <strong>di</strong>fferenziale<strong>di</strong> una funzione f si può vedere come una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare. Non vale, ovviamente,il viceversa: data una forma lineare, non è detto che ci sia una funzione f il cui <strong>di</strong>fferenziale coincidacon la forma lineare stessa.8.2 Integrali delle forme <strong>di</strong>fferenzialiAbbiamo introdotto le forme <strong>di</strong>fferenziali introducendo <strong>degli</strong> integrali curvilinei fatti rispetto a x erispetto a y. Le forme <strong>di</strong>fferenziali, infatti, vengono utilizzate in integrali curvilinei.Data una curva regolare γ con il suo orientamento naturale, quin<strong>di</strong> una curva +γ, che puó esserescritta in forma parametrica tramite le equazionix = x(t), y = y(t), a ≤ t ≤ bsi definisce integrale curvilineo della forma <strong>di</strong>fferenziale ω sulla curva +γ, l’integrale∫+γ∫ω =+γXdxY dy =∫ ba(X(x(t), y(t)x ′ (t) + Y (x(t), y(t))y ′ (t)) dtSe scriviamo le equazioni parametriche della curva usando una funzione vettoriale f = (x(t), y(t)),l’integrale <strong>di</strong> prima può essere scritto come∫+γω =∫ baω(f(t)) · f ′ (t)dtDifatti il prodotto scalare ω(f(t))·f ′ (t) altro non è che la funzione integranda che abbiamo scritto primaX(x(t), y(t)x ′ (t) + Y (x(t), y(t))y ′ (t).Ora cerchiamo <strong>di</strong> vedere cosa succede se facciamo l’integrale <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong>fferenziale su unacurva +γ o sulla curva opposta −γ. Ve<strong>di</strong>amolo con un esempio.Sia ω = yx 2 dx + sin (πy)dy. Quin<strong>di</strong> X(x, y) = yx 2 , e Y (x, y) = sin (πy).La curva +γ sia il segmento che va dal punto (0, 2) al punto (1, 4).La curva +γ in forma parametrica può essere scritta comex = t, y = 2t + 2, 0 ≤ t ≤ 1Per t = 0 si ha (0, 2), per t = 1 si ha (1, 4).Facciamo ∫ +γ ω.122


8.2. Integrali delle forme <strong>di</strong>fferenzialiSi ha∫+γω ===∫ 10∫ 10∫ 10(y(t)x(t) 2 x ′ (t) + sin (πy(t))y ′ (t) ) dt((2t + 2)t 2 + sin (π(2t + 2))2 ) dt(2t 3 + 2t 2 + 2 sin (π(2t + 2)) ) dt= 2 t4 4 + 2t3 3 − 1 πcos (π(2t + 2))|t=1 t=0= 1 2 + 2 3 − 1 π + 1 π= 7 6Ve<strong>di</strong>amo ora cosa succede se integriamo lungo la curva opposta −γ (ricor<strong>di</strong>amo che quando abbiamodefinito l’integrale curvilineo <strong>di</strong> una funzione lungo una curva γ, integrando lungo la curva, cioèrispetto all’ascissa curvilinea ds, abbiamo detto che l’integrale non <strong>di</strong>pende dall’orientamento dellacurva. In questo caso invece, le cose cambiano):La curva opposta −γ ha equazioni parametrichex = −t, y = −2t + 2, −1 ≤ t ≤ 0Per t = −1 si ha (1, 4), per t = 0 si ha (0, 2).Si ha dunque∫−γω ===∫ 0−1∫ 0−1∫ 0−1yx 2 dx + sin (πy)dy((−2t + 2)(−t) 2 (−1) + sin (π(−2t + 2))(−2) ) dt(2t 3 − 2t 2 − 2 sin (π(−2t + 2)) ) dt= 2 t4 4 − 2t3 3 − 1 πcos (π(−2t + 2))|t=0 t=−1= − 1 π − 1 2 − 2 3 + 1 π= − 7 6Osserviamo dunque che il valore dell’integrale che abbiamo ottenuto sulla curva opposta −γ èl’opposto dell’integrale che avevamo ottenuto sulla curva +γ.Vale infatti il seguente teoremaTeorema 8.2.1 Data una forma <strong>di</strong>fferenziale ω e una curva regolare +γ si ha∫ ∫ω = − ω−γ+γDimostrazione. Dimostriamo questo teorema considerando che se una curva +γ è data daf = (x(t), y(t)) con a ≤ t ≤ b, la curva opposta si può scrivere come −γ con F = (˜x(t), ỹ(t)) =(x(−t), y(−t)) con −b ≤ t ≤ −a Quin<strong>di</strong> ˜x ′ (t) è uguale alla derivata della funzione x(−t) che va vistacome la funzione composta x(h(t)) con h(t) = −t. Derivando, quin<strong>di</strong>, si ha la derivata <strong>di</strong> x valutata in123


8. FORME DIFFERENZIALIh(t) = −t per la derivata <strong>di</strong> h(t) che vale −1, da cui: ˜x ′ (t) = x ′ (−t)(−1) = −x ′ (t). Analogamente, valeỹ(−t) = −y ′ (−t).Allora∫ ∫ −aω = (X(˜x(t), ỹ(t))˜x ′ (t) + Y (˜x(t), ỹ(t)), ỹ ′ (t)) dt−γ==−b∫ −a−b∫ −a−b(X(x(−t), y(−t))(−x ′ (−t)) + Y (x(−t), y(−t)), (−y ′ (−t))) dt− (X(x(−t), y(−t))x ′ (−t) + Y (x(−t), y(−t))y ′ (−t)) dtfacendo il cambio <strong>di</strong> variabili u = −t, du = −dte considerando che per t = −b, u = b, e per t = −a, u = a=∫ ab∫ b= −∫= −(X(x(u), y(u))x ′ (u) + Y (x(u), y(u))y ′ (u)) dua+γ(X(x(u), y(u))x ′ (u) + Y (x(u), y(u))y ′ (u)) duω✔Quin<strong>di</strong> nel fare gli integrali curvilinei delle forme <strong>di</strong>fferenziali occorre prestare molta attenzione all’orientamentodella curva. Per questo motivo, gli integrali curvilinei delle forme <strong>di</strong>fferenziali sono dettiintegrali orientati.Invece, anche per le forme <strong>di</strong>fferenziali, l’integrale curvilineo non <strong>di</strong>pende dal tipo <strong>di</strong> rappresentazioneutilizzata per la curva, cioè non <strong>di</strong>pende dalla scelta della rappresentazioneparametrica.Si ha infatti la seguente proposizioneProposizione 8.2.1 L’integrale curvilineo ∫ ω non <strong>di</strong>pende dalla particolare rappresentazione della curva+γregolare +γ.Dimostrazione. Sia data la curva +γ tramite la funzione f = (x(t), y(t)), con a ≤ t ≤ b o, inmaniera equivalente, tramite la funzione F = (x F (u), y F (u)), con α ≤ u ≤ β . Sappiamo che, dovendorappresentare la medesima curva, le due funzioni f e F sono legate tra loro me<strong>di</strong>ante una funzioneφ : [α, β] ⇒ [a, b] con φ ′ (u) > 0, tale che φ(α) = a, φ(β) = b e F(u) = f(φ(u))Torniamo all’integrale curvilineo. Da una parte∫+γω =Dall’altra si ha:∫ω =124+γ∫ ba∫ βα(X(x(t), y(t))x ′ (t) + Y (x(t), y(t))y ′ (t)) dt(X(x F (u), y F (u))x ′ F (u) + Y (x F (u), y F (u))y ′ F (u)) duMa per la relazione che lega F a f si ha:F(u) = f(φ(u))(x F (u), y F (u)) = (x(φ(u), y(φ(u))x ′ F (u) = x ′ (φ(u))φ ′ (u)y ′ F (u) = y ′ (φ(u))φ ′ (u)


8.3. Applicazione delle forme <strong>di</strong>fferenzialiQuin<strong>di</strong> si ha∫ω =+γ=∫ βα∫ βα(X(x F (u), y F (u))x ′ F (u) + Y (x F (u), y F (u))y ′ F (u)) du(X(x(φ(u)), y(φ(u)))x ′ (φ(u))φ ′ (u) + Y (x(φ(u)), y(φ(u)))y ′ (φ(u))φ ′ (u)) dumettendo in evidenza φ ′ (u)=∫ βα(X(x(φ(u)), y(φ(u)))x ′ (φ(u)) + Y (x(φ(u)), y(φ(u)))y ′ (φ(u))) φ ′ (u)duoperando il cambiamento <strong>di</strong> variabili t = φ(u)e considerando dt = φ ′ (u)due il cambiamento agli estremi u = α ⇒ t = a, u = β ⇒ t = b=∫ ba(X(x(t), y(t))x ′ (t) + Y (x(t), y(t))y ′ (t)) dtAbbiamo provato che la rappresentazione parametrica della curva non influisce sul risultato finaleperchè gli integrali coincidono qualunque sia la rappresentazione parametrica per descrivere la stessacurva. ✔Per gli integrali curvilinei sulle forme <strong>di</strong>fferenziali valgono anche le seguenti proprietà:G se c ∈ R, ∫ +γ cω = c ∫ +γ ωG ∫ +γ ω 1 + ω 2 = ∫ +γ ω 1 + ∫ +γ ω 2G se la curva +γ viene sud<strong>di</strong>visa in un certo numero k <strong>di</strong> curve regolari, tali che +γ = +γ 1 ∪ +γ 2 ∪. . . ∪ +γ k o se la curva è regolare a tratti, allora ∫ +γ ω = ∫ +γ 1ω + ∫ +γ 2ω + . . . + ∫ +γ kω8.3 Applicazione delle forme <strong>di</strong>fferenzialiIn molte applicazioni soprattutto nella fisica, ci si trova a lavorare con funzioni vettoriali da integraresu curve. Sia ⃗ F = X(x, y)⃗c 1 + Y (x, y)⃗c 2 una funzione vettoriale (scritta in funzione dei versori<strong>degli</strong> assi x e y rispettivamente. Sia data una curva regolare +γ data da ⃗r = x(t)⃗c 1 + y(t)⃗c 2 (è la stessacosa <strong>di</strong> scrivere f = (x(t), y(t)))) con a ≤ t ≤ b.Si definisce integrale curvilineo del vettore ⃗ F lungo la curva +γ l’integrale∫+γ⃗F · d⃗r =∫ ba⃗F (⃗r) · ⃗r ′ (t)dtdove ⃗ F (⃗r) = ⃗ F (x(t), y(t)), da cui∫+γ⃗F · d⃗r ==∫ ba∫ ba(X(x(t), y(t))⃗c 1 + Y (x(t), y(t))⃗c 2 ) · (x ′ (t)⃗c 1 + y ′ (t)⃗c 2 )dt(X(x(t), y(t))x ′ (t) + Y (x(t), y(t))y ′ (t)) dtAbbiamo ritrovato la definizione <strong>di</strong> integrale curvilineo <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong>fferenziale, dove i coefficientidella forma <strong>di</strong>fferenziale sono le componenti del vettore ⃗ F .Un esempio in cui ve<strong>di</strong>amo applicata una forma <strong>di</strong>fferenziale in fisica è il lavoro compiuto da uncampo <strong>di</strong> forze. Se consideriamo una particella che si muove lungo una curva, in<strong>di</strong>cando con ⃗s la<strong>di</strong>stanza percorsa dalla particella lungo la curva +γ, e con ⃗ F = (X, Y ) una forza che agisce sullaparticella mentre essa si sposta <strong>di</strong> d⃗s, si definisce lavoro elementare eseguito da ⃗ F il prodotto scalare:dL = ⃗ F · d⃗s125


8. FORME DIFFERENZIALIIn coor<strong>di</strong>nate cartesiane, e limitandoci al caso bi<strong>di</strong>mensionale, si può scriveredL = Xdx + Y dyIl lavoro elementare è dunque una forma <strong>di</strong>fferenziale.Il lavoro totale lungo tutta la curva +γ è invece definito tramite l’integrale della forma <strong>di</strong>fferenzialedL:∫ ∫ bL = dL = X(x, y)dx + Y (x(t), y(t)dy+γa8.4 Teorema fondamentale per gli integrali curvilineiTeorema 8.4.1 Assegnata una funzione f(x, y), si consideri la forma <strong>di</strong>fferenziale data dal suo <strong>di</strong>fferenziale:ω = df = f x dx + f y dy.Data una curva regolare +γ espressa me<strong>di</strong>ante rappresentazione parametrica da (x(t), y(t)) (o me<strong>di</strong>ante lafunzione vettoriale ⃗r) , si ha∫df = f(x(b), y(b)) − f(x(a), y(a))✔+γQuesto risultato equivale anche a <strong>di</strong>re che∫∇f · d⃗r = f(x(b), y(b)) − f(x(a), y(a))+γDimostrazione.Si ha∫ ∫ bdf = (f x (x(t), y(t))x ′ (t) + f y (x(t), y(t))y ′ (t)) dt+γaper le regole <strong>di</strong> derivazione delle funzioni composte=∫ badf(x(t), y(t))dtdt= f(x(t), y(t))| t=bt=a= f(x(b), y(b)) − f(x(a), y(a))8.5 Forme <strong>di</strong>fferenziali lineari esatteDefinizione 8.5.1 Una forma <strong>di</strong>fferenziale ω = Xdx + Y dy (definita in un insieme aperto e <strong>di</strong> classe C 0 ) si<strong>di</strong>ce esatta se esiste almeno una funzione F (<strong>di</strong> classe C 1 ) tale che dF = ω vale a <strong>di</strong>re se F x = X e F y = Y .Si <strong>di</strong>ce anche che F è una primitiva <strong>di</strong> ω.Ve<strong>di</strong>amo ora un particolare tipo <strong>di</strong> insieme che ci permette <strong>di</strong> stabilire alcune importanti proprietàper le forme <strong>di</strong>fferenziali, se definite su questi insiemi. Si tratta <strong>degli</strong> insiemi connessi.Definizione 8.5.2 Un insieme aperto A ⊂ R 2 si <strong>di</strong>ce connesso se, qualunque siano i punti P e Q presi in A,esiste una linea poligonale che è contenuta tutta in A e che ha P e Q come estremi.Per funzioni definite su insiemi connessi vale questo Lemma.126


8.5. Forme <strong>di</strong>fferenziali lineari esatteLemma 8.5.1 Sia f una funzione <strong>di</strong> classe C 1 definita in un insieme aperto e connesso A <strong>di</strong> R 2 . Se, per ogni(x, y) ∈ A risulta f x (x, y) = f y (x, y) = 0, allora f è una funzione costante in A.Dimostrazione. Consideriamo due punti, P = (x, y) e P 0 = (x 0 , y 0 ) in A. Dalla definizione<strong>di</strong> insieme connesso, sappiamo che esiste una linea poligonale che congiunge P e P 0 e che si trovaall’interno <strong>di</strong> A. Per semplicità supponiamo che la linea poligonale sia il segmento congiungente i duepunti. Allora, per il teorema <strong>di</strong> Lagrange, si haf(P ) = f(P 0 ) + f x (Q)(x − x 0 ) + f y (Q)(y − y 0 )con Q punto che non conosciamo, che si trova sul segmento congiungente P e P 0 . Poichè f x (Q) =f y (Q) = 0 (e questo qualunque sia il punto Q), si haf(P ) = f(P 0 )Possiamo variare il punto P , lasciando fisso P 0 ma avremo sempre lo stesso risultato, quin<strong>di</strong> lafunzione assume valore costante.Se, al posto <strong>di</strong> un segmento congiungente P e P 0 , abbiamo una linea spezzata, si ripete ilragionamento su ciascun segmento arrivando alla stessa conclusione. ✔Per le forme <strong>di</strong>fferenziali, vale il seguente lemma.Lemma 8.5.2 Se F e G sono primitive, <strong>di</strong> classe C 1 , definite in un insieme aperto e connesso, della stessa forma<strong>di</strong>fferenziale lineare ω, allora <strong>di</strong>fferiscono per una costante.Dimostrazione. Poichè, per ipotesi, F e G sono primitive <strong>di</strong> ω = Xdx + Y dy, vuol <strong>di</strong>re cheF x = G x = X, F y = G y = Y . Consideriamo la funzione f = F − G. Questa funzione è definitain un insieme aperto e connesso (come la forma lineare) ed è <strong>di</strong> classe C 1 (essendolo F e G). Si haf x = F x − G x = X − X = 0 e f y = F y − G y = Y − Y = 0, e questo qualunque sia (x, y) presonell’insieme <strong>di</strong> definizione. Ma, allora, sono sod<strong>di</strong>sfatte le ipotesi del lemma precedente e quin<strong>di</strong> f èuna funzione costante: f(x, y) = cost. Di conseguenza, F (x, y)−G(x, y) = cost, cioè F e G <strong>di</strong>fferisconoper una costante: F (x, y) = G(x, y) + cost. ✔Consideriamo ora i seguenti teoremi sulle forme <strong>di</strong>fferenziali lineari esatte.Teorema 8.5.1 Data ω = Xdx + Y dy una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare, <strong>di</strong> classe C 0 e definita in un insiemeaperto e connesso, se F è una sua primitiva, allora ogni primitiva <strong>di</strong> ω è del tipo F + cost con cost una costante.Dimostrazione. Se F è una primitiva <strong>di</strong> ω, la funzione G = F + cost è anch’essa primitiva, inquanto G x = F x = X e G y = F y = Y (poichè la derivata <strong>di</strong> una costante rispetto a x e a y vale zero).Supponendo <strong>di</strong> conoscere un’altra primitiva <strong>di</strong> ω, G, poichè si ha sempre G x = X e G y = Y , per illemma precedente, si ha ancora che G e F <strong>di</strong>fferiscono per una costante, quin<strong>di</strong> G = F + cost. ✔L’insieme delle primitive <strong>di</strong> una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare ω in un insieme aperto e connesso prendeil nome <strong>di</strong> integrale indefinito, propriò perchè, nota una primitiva, tutte le altre <strong>di</strong>fferiscono per unacostante.Teorema 8.5.2 Dato A ⊂ R 2 aperto e connesso e data una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare ω <strong>di</strong> classe C 0 in A, leseguenti proposizioni sono equivalenti:1. ω è esatta.2. Se P 0 e P sono due punti qualunque in A e +γ 1 e +γ 2 sono due curve generalmente regolari orientatecontenute in A, che hanno entrambe come primo estremo P 0 e come secondo estremo P , allora∫ ∫ω = ω+γ 1 +γ 2vale a <strong>di</strong>re l’integrale curvilineo <strong>di</strong>pende solo dagli estremi P 0 e P e non dal cammino percorso.127


8. FORME DIFFERENZIALI3. Se γ è una qualunque curva generalmente regolare, chiusa e contenuta in A, allora∫ω = 0+γDimostrazione. Di questo teorema, <strong>di</strong>mostriamo che (1) ⇒ (2), (2) ⇒ (3) e (3) ⇒ (2).(1) ⇒ (2) Sia per ipotesi ω = Xdx + Y dy esatta. Siano dati due punti P 0 e P in A e sia +γuna curva generalmente regolare che ha P 0 come primo estremo e P come secondo estremo. In formaparametrica, le equazioni della curva +γ sianox = x(t) y = y(t) a ≤ t ≤ bQuin<strong>di</strong> (x(a), y(a)) = (x 0 , y 0 ) = P 0 , e (x(b), y(b)) = (x, y) = P .Sia F una primitiva <strong>di</strong> ω (esiste perchè ω è esatta: vuol <strong>di</strong>re che dF = ω, poichè F x = X e F y = Y .Ma allora per il teorema fondamentale del calcolo <strong>degli</strong> integrali (si veda teorema 8.4.1)∫ ∫ω = dF = F (P ) − F (P 0 )+γ+γL’integrale non <strong>di</strong>pende dalla particolare curva +γ ma solo dagli estremi della curva e dalla primitivaF . Perciò, date due curve +γ 1 e +γ 2 il risultato dell’integrale non cambia. La (2) è provata.(2) ⇒ (3) Sia +γ una curva generalmente regolare chiusa data da equazioni parametrichex = x(t) y = y(t) a ≤ t ≤ bSi fissi un punto t ′ interno all’intervallo [a, b] e si considerino le due curve che si ottengono da +γfacendo variare il parametro t in [a, t ′ ] e in [t ′ , b] in modo che +γ sia dato dall’unione <strong>di</strong> queste duecurve, che chiamiamo, rispettivamente +γ 1 e +γ 2 . La curva +γ 1 ha come primo estremo P 0 e comesecondo estremo il punto T = (x(t ′ ), y(t ′ ). La curva +γ 2 ha come primo estremo T e come secondoestremo P 0 (essendo la curva chiusa e quin<strong>di</strong> (x(a), y(a)) = (x(b), y(b))).La curva opposta a +γ 2 è la curva −γ 2 e ha, quin<strong>di</strong>, come primo estremo P 0 e come secondo estremoT .Dunque, le curve +γ 1 e −γ 2 hanno gli stessi estremi P 0 e T . Ora, per l’ipotesi (2) sappiamo che∫ ∫ω = ω+γ 1 −γ 2Ma sappiamo anche che∫ ∫ω = − ω−γ 2 +γ 2Quin<strong>di</strong>∫ ∫ω = −+γ 1+γ 2ωda cui∫ ∫ω + ω = 0+γ 1 +γ 2Torniamo all’integrale su tutta la curva +γ: poichè +γ = +γ 1 ∪ +γ 2 si ha∫ω =+γ∫ω ++γ 1∫ω+γ 2128


8.6. Le forme <strong>di</strong>fferenziali lineari chiuseMa la somma <strong>di</strong> questi due integrali vale zero, quin<strong>di</strong>∫ω = 0+γL’asserto è dunque provato.(3) ⇒ (2) Siano date due curve +γ 1 e +γ 2 due curve generalmente regolari che hanno gli stessiestremi P 0 e P . Allora la curva +γ 1 ∪ −γ 2 è una curva chiusa generalmente regolare. Per la (3) vale∫+γ 1∪−γ 2ω = 0Ma∫∫ ∫ω =+γ 1∪−γ 2ω ++γ 1−γ 2ωQuin<strong>di</strong>∫ ∫ω + ω = 0+γ 1 −γ 2da cui∫ ∫ω = −+γ 1∫ ∫ω =+γ 1−γ 2ω+γ 2ωAbbiamo verificato il punto (2).Per completare la <strong>di</strong>mostrazione del teorema, andrebbe <strong>di</strong>mostrato che (2) ⇒ (1).<strong>di</strong>mostrazione è abbastanza complicata, la tralasciamo. ✔Come corollario si haPoichè laProposizione 8.5.1 Sia A ⊂ R 2 un insieme aperto e connesso, e ω è una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare <strong>di</strong> classeC 0 in A, con F primitiva. Allora, se +γ è una curva generalmente regolare e orientata contenuta in A, che hacome primo estremo P 0 e come secondo estremo P , si ha∫ω = F (P ) − F (P 0 )+γ✔Dimostrazione.Questo risultato lo abbiamo <strong>di</strong>mostrato al punto (1) ⇒ (2) del teorema precedente.8.6 Le forme <strong>di</strong>fferenziali lineari chiuseDefinizione 8.6.1 Una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare ω = Xdx + Y dy <strong>di</strong> classe C 1 in A, insieme aperto <strong>di</strong> R 2 , si<strong>di</strong>ce chiusa se per ogni punto P <strong>di</strong> A risulta∂X∂y = ∂Y∂xTeorema 8.6.1 Data ω = Xdx+Y dy una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare <strong>di</strong> classe C 1 in un insieme aperto A ⊂ R 2 ,ω esatta =⇒ ω chiusa.129


8. FORME DIFFERENZIALIDimostrazione. Se ω è esatta, vuol <strong>di</strong>re che esiste una primitiva, F , tale che F x = X e F y = Y . Peripotesi ω è <strong>di</strong> classe C 1 , vale a <strong>di</strong>re X e Y sono continue, quin<strong>di</strong> F è <strong>di</strong> classe C 1 (poichè le sue derivateparziali coincidono con X e Y ). Inoltre si hae∂F 2∂x∂y = ∂X∂y∂F 2∂y∂x = ∂Y∂xPer il teorema <strong>di</strong> Schwartz, le derivate parziali miste <strong>di</strong> F coincidono,∂X∂y = ∂Y∂x∂F 2∂x∂y = ∂F 2, quin<strong>di</strong> si ha∂y∂xL’asserto è provato. ✔Osserviamo che il viceversa non vale sempre. Si possono avere forme <strong>di</strong>fferenziali chiuse che non sonoesatte.Per poter avere l’implicazione ω chiusa ⇒ ω esatta, la forma <strong>di</strong>fferenziale lineare deve essere definitain un insieme particolare. Introduciamo, perciò, la definizione <strong>di</strong> insieme semplicemente connesso.Definizione 8.6.2 Un sottoinsieme <strong>di</strong> R 2 , A aperto, si <strong>di</strong>ce semplicemente connesso seG è connessoG ogni curva generalmente regolare, chiusa e semplice contenuta in A è la frontiera <strong>di</strong> un insieme limitatocontenuto in A.Dire che A è un insieme semplicemente connesso vuol <strong>di</strong>re che l’insieme è ”senza buchi“, in quantoogni curva chiusa e semplice, generalmente regolare, può essere deformata con continuità fino a ridursiad un singolo punto. Una corona circolare ha ”buchi“ e, infatti, non è semplicemente connesso.Il piano privato <strong>di</strong> un punto non è semplicemente connesso. L’interno <strong>di</strong> un cerchio è semplicementeconnesso. La circonferenza non è semplicemente connesso.Teorema 8.6.2 Sia ω una forma <strong>di</strong>fferenziale lineare <strong>di</strong> classe C 1 in A aperto e semplicemente connesso. Allorase ω è chiusa, ω è esatta.Dimostrazione.Di questo teorema omettiamo la <strong>di</strong>mostrazione. ✔130

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