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Due novelle morali d'autore anonimo del secolo 14. / [a cura di F ...

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INFORMAZIONIQuesto testo è stato scaricato dal sito stefanodurso.altervista.orged è <strong>di</strong>stribuito sotto licenza "Creative Commons Attribuzione -Non commerciale - Con<strong>di</strong>vi<strong>di</strong> allo stesso modo 2.5"E<strong>di</strong>zione <strong>di</strong> riferimento:Autore: <strong>Due</strong> <strong>novelle</strong> <strong>morali</strong> <strong>d'autore</strong> <strong>anonimo</strong> <strong>del</strong> <strong>secolo</strong><strong>14.</strong> / [a <strong>cura</strong> <strong>di</strong> F. Zambrini]E<strong>di</strong>zione: 3. ed.Pubblicazione: Bologna : presso Gaetano Romagnoli, 1872Descrizione fisica: 24 p. ; 18 cmCollezione: Scelta <strong>di</strong> curiosità letterarie ine<strong>di</strong>te o rare dal<strong>secolo</strong> 13. al 19. in appen<strong>di</strong>ce alla Collezione <strong>di</strong> opere ine<strong>di</strong>teo rare ; 4Versione <strong>del</strong> testo: 1.0 <strong>del</strong> 30 giugno 2013Versione epub <strong>di</strong>: Stefano D'Urso2


DUE NOVELLE MORALID'AUTORE ANONIMODEL SECOLO XIV.3


AL CHIARISSIMO UOMOSig. Prof. BRUTO FABBRICATOREDeputalo al Parlamento ItalianoE SOCIO DELLA R. COMMISSIONEPER LA PUBBLICAZIONE DE' TESTI DI LINGUANELLE PROVINCIE DELL'EMILIAa Napoli.Onoran<strong>di</strong>ssimo SignoreL'amicizia che da tempo a Lei mi lega, vuole che io pur Le<strong>di</strong>a un pubblico segno <strong>di</strong> affezione, <strong>di</strong> stima e <strong>di</strong> riconoscenza.Vero è che il segno torna assai picciolo ai nobili meriti <strong>del</strong>la S. V.Ch., e come uomo <strong>di</strong> squisite lettere e come solenne ed operosocitta<strong>di</strong>no; ma io so pur tuttavia che Ella non è usata a giu<strong>di</strong>carelibri sulla stadera, né colle seste alle mani. Se questo miopresentuzzo offre due brevi scritture, contenute in pochi fogli, ellesono però tali, che non possono se non se vivamente piacerle,siccome pertinenti a quel beato <strong>secolo</strong> <strong>del</strong>l'oro, al quale la S. V. dalunghi anni consacra le ricerche e gli stu<strong>di</strong>i; <strong>del</strong> che rendonoampia testimonianza le moltiplici assennate Opere che a <strong>cura</strong> <strong>di</strong>Lei vanno uscendo alla luce.Or valga intanto questa tenue offerta a scontare alcun poco ildebito che contrassi fino d'allora, ch'Ella si compiacqued'intitolarmi quel prezioso Saggio <strong>del</strong>la vita <strong>di</strong> S. Girolamo, e<strong>di</strong>tosecondo la lezione <strong>di</strong> un aureo ine<strong>di</strong>to testo a penna da Leiposseduto.Con pienezza <strong>di</strong> stima e con affetto cor<strong>di</strong>ale me le offero.Bologna, 30 ottobre 1861.F. ZAMBRINI4


AVVERTENZAA giunta <strong>del</strong>le Novelle d'Incerti Autori <strong>del</strong> <strong>secolo</strong> XIV,pubblicate nel passato luglio in questa medesima Collezione, dofuori ora le due che seguono, <strong>del</strong>la stessa età, e, per quanto io misappia, parimente ine<strong>di</strong>te, tratte dal cod. Magliabechiano, Palch.II, N. 15. La prima non vi<strong>di</strong> io giammai in veruno altro Ms., mala seconda, variamente descritta, e meno prolissa, potei leggerepiù volte. Mostra che questo racconto fosse assai <strong>di</strong>vulgato nel<strong>secolo</strong> XIV e nel XV, <strong>del</strong> quale anche si giovò l'Arcivescovo <strong>di</strong>Firenze S. Antonino, inserendolo nella seconda parte <strong>del</strong>la suaTeologia. Al P. Antonio Cesari pure somministrò argomento perla XXIII sua Novella, il quale, conforme la maestria <strong>del</strong>la suadotta penna, ne la descrisse con mirabile arte, e con vivacissimicolori; cui però non cede da verun lato questa che ora io mettoin luce.Non per istupida ammirazione verso la scoria degli scrittoriantichi, ma per intimo convincimento, io mi avviso che, fatteleggeri varietà <strong>di</strong> grafia, avvertiti gli errori de' copisti, e ridotta l'interpunzione alla chiara intelligenza dei lettori, le opere altruidebbano lasciarsi nella loro integrità e originale forma, patina ecolorito, e non fare a guisa degli inesperti, i quali forbiscono gliantichi nummi, avvisando che la lucentezza li renda più pregiati;salvo ch'esse non dovessero servire per uso de' giovanettistu<strong>di</strong>osi; nel qual caso tengo che si possano alcun poco toccare,affine <strong>di</strong> non tentar la loro pazienza. Per la qual cosa io nonmuto sillaba <strong>di</strong> queste scritture, e lascio che altri il faccia a suotalento. V'ebbero e<strong>di</strong>tori, anche assai dotti, i quali nel volerridurre la grafia al moderno, tante volte si lasciarono, senza5


accorgersene, trascinare a cangiar desinenze, e talora ezian<strong>di</strong>o atrar via parole e frasi citate dai Vocabolaristi, rappresentandociper simil modo i testiTra lo stil de' moderni e 'l sermon prisco;fatto che genera compassione e <strong>di</strong>spetto, non altrimenti che ciprodurrebbe la vista <strong>di</strong> un venerando vecchio in abitod'arlecchino, ovvero azzimato alla foggia de' nostri ganime<strong>di</strong>.Appo gli assennati artisti vale assai più una <strong>di</strong>pintura <strong>di</strong> Giottonella sua integrità e primitiva forma, <strong>di</strong> quello che se ella venga,anche nelle parti <strong>di</strong>fettose e viziate, ritocca e racconcia damoderno pennello, sia pur maestro.6


NOVELLA PRIMAStoria o Leggenda <strong>di</strong> un Conte sventurato.E' non è niuna persona, che si dovesse <strong>di</strong>sfidare, imperciòch'i ò veduta a cui la ventura molto si <strong>di</strong>lunga e sta alcunotempo, poi da lui ritorna. Se la ventura t'è incontra, non ne<strong>cura</strong>re; confortati ed aspetta che tornerà più avaccio: imperciòche 'l nostro Signore Id<strong>di</strong>o, sì tel fa per provare come se' fortenella fede sua verace. Se tu ti sconforti, il dolore t'abbonda, emuorti <strong>di</strong> dolore e se' dannato, e mai non ritorni. E questo abbi amente, che tutto dì avviene a molte persone, che non ànno piùsenno: e <strong>di</strong> questo ti darò assempro qui <strong>di</strong> sotto.E' fu uno grande conte, molto ricchissimo, ed era uncortese uomo, e ciò che volea si avea, e vivea con grandebaronia. Or venne che la ruota si volse contro a lui, e in ciò chesi impacciava, sì gliene avvenia troppo male: e morivaglicavagli e tutto il bestiame ch'avea, ciò ch'avea, si perdea. Costui<strong>di</strong>cea sempre: lodato sia Cristo; e così facea <strong>di</strong> ciò ches'impacciava, lodava Id<strong>di</strong>o. E venne a tanto, che non poteatenere baronia, come solea fare. Ed egli vedendo che la venturagli andava così male, sì si partì <strong>di</strong> suo paese, e lasciò un vicarioin sua vece, ed egli se ne andò a una corte d'uno re, e cominciò aservire. E servia tanto bene ch'era tenuto un gran fitto, siccomefanno i gentili uomini com'egli era. Al re piacque molto, ecominciògli a volere gran bene: e così stette con lui gran tempo.E il re più volte gli <strong>di</strong>sse, che domandasse grazia, che glieledarebbe, qualunque egli addomandasse. Ed egli sempre <strong>di</strong>cea,che non volea niente; e il re stette, e profersegliele più e piùvolte, e tanto gliele proferse, che costui <strong>di</strong>sse: poiché voi volete7


ch'io vi chieggia qualche grazia, io la vi voglio chiedere, evoglio che voi mi <strong>di</strong>ate il bello pero che voi avete nel giar<strong>di</strong>no,che fa così belle pere, e menane cotante! E il re <strong>di</strong>sse: e chegrazia è quella ch'ài domandata? domandala migliore, E 'l conte<strong>di</strong>sse, che non la volea migliore. E il re si fece beffe <strong>di</strong> lui, e<strong>di</strong>sse a' baroni: che cattivo uomo è questo ch'à domandato ilpero che mena cotante pere! non potrebbe essere, se non villano!Queste parole rimasono. Quando venne il tempo che doveafiorire il pero, ed e' non fiorì niente, anzi, istava come se fossesecco. E il re <strong>di</strong>sse: com'è isventurato costui, che chiese il pero,che suole menare cotante pere! e perch'è suo, non è fiorito!Quando venne l'altro anno, e 'l pero fiorì, e poi se ne cascarono aterra tutti i fiori: e così passò quello anno. E venne l'altro anno, e'l pero fiorì, e una parte ne cascarono, e pochi ce ne rimasono, emenarono pere molto picciole e poche. Allora pensò il conte, e<strong>di</strong>sse a sé medesimo: bene istà, che la ventura mi comincia aessere un poco in aiuto: e così passò quello anno. Quando vennel'altro anno, e 'l pero menò molte pere e bellissimo, siccomesolea fare. E 'l conte vedendo questo, andossene al re, e <strong>di</strong>sse:signore, io mi voglio tornare in mio paese. Al re increscevamolto, ch'egli si partiva, e <strong>di</strong>sse: <strong>di</strong>mmi chi tu se'. E 'l conte<strong>di</strong>sse: sappiate, ch'io sono cotale conte, e stava in mio paesemolto bene e con grande baronia: la ventura mi fu contro, ed eravenuto al niente, sì ch'io mi partii e venni a stare in vostra corte,e voi voleste ch'io vi chiedessi uno dono, ed io domandai il pero,perché menava molte pere; e voi ve ne facesti grandemaraviglia; ed io il pigliai per vedere la ventura mia; e vedesteche sì tosto, com'io l'ebbi, quasi seccò, e non menò niuna pera; etanto ò atteso, che 'l pero à fatto come facea innanzi ch'iol'avessi: ed ò veduto per lo segno <strong>di</strong> questo pero, che la venturam'à cominciato aiutare: sì ch'io mi voglio tornare in mio paese.E 'l re intendendo il conte, fecegli grande onore, e donògli8


cavagli, e fecelo accompagnare in suo paese. E 'l conte, quandofu giunto a sue terre, fugli fatto grande onore; e da quello tempoinnanzi, sempre avanzò e venne a maggior grandezza che nonera innanzi. E perciò mai niuna persona non si dovrebbeisconfortare, anzi sempre atarsi e confortarsi, e sempre aspettarela grazia <strong>di</strong> Dio.9


NOVELLA SECONDAStoria o Leggenda <strong>di</strong> uno Imperadore superbo.Truovasi che fu uno re <strong>di</strong> piccolo reame, e venne a battagliacon uno grande imperadore; e sconfisse questo imperadore, epoi si fece chiamare egli imperadore: e era molto superbo. Estando in una sua cittade, in una chiesa a u<strong>di</strong>re cantare il vespro,e il prete cantò: Magnificat anima mea Dominum. E quandovenne a <strong>di</strong>re un verso, che <strong>di</strong>ce: deposuit potentes de sede, etexaltavit humiles, e lo imperadore si tenne a mente quelle parolech'avea dette il prete, e andossene a casa, e fece ragunare tutti isavi <strong>del</strong>la terra, e propuose loro quelle parole ch'avea u<strong>di</strong>te alvespro. E addomandò loro, ch'elle dovessero significare; equello che elle vogliono <strong>di</strong>re. Messere, <strong>di</strong>ssono gli savi,significano tutti coloro ricchi e appellano 1 le loro ricchezze, efanno noia l'uno a l'altro: e <strong>di</strong>ce che le ricchezze sono altruisuperbia, e fanno gli uomini niquitosi; per la superbia voglionocontrastare ogni uomo. E <strong>di</strong>ce Id<strong>di</strong>o nel Vangelio: coloro che sivorranno innalzare in questo mondo per superbia, sarannocacciati <strong>del</strong>la gloria <strong>di</strong> vita eterna, e saranno profondati inInferno; e quelli che si umilieranno nelle loro ricchezze, sarannoinnalzati nella gloria <strong>di</strong> vita eterna. Onde questo imperadore,a<strong>di</strong>rato per la grande superbia che in lui era, mandòe uno bandomolto cru<strong>del</strong>e e empio, nel quale comandò a uomini e afemmine, a gran<strong>di</strong> e piccoli; e a' cherici e a' regolari, che nonfossono ar<strong>di</strong>ti <strong>di</strong> cantare, né <strong>di</strong>re il verso che <strong>di</strong>ce: deposuitpotentes de sede, et exaltavit humiles; e chiunque il <strong>di</strong>cesse,1 Così legge il m., ma certo manca qualche cosa: faran tutti coloro che sonricchi.10


fosse in pena <strong>del</strong>la testa. Avvenne, che in quello tempo infermòquesto imperadore, ch'era così superbo, in una grandeinfermitade, ch'era venuto tutto lebbroso: e appresso a questacittade avea uno bagno, che sanava ogni infermitade: per chequesto imperadore volle andare a questo bagno. Onde fecemettere bando, che tutta sua gente s'apparecchiasse ad arme, e <strong>di</strong>tende, e <strong>di</strong> pa<strong>di</strong>glioni, e <strong>di</strong> ciò che a oste fa mestieri: e andòe aldetto bagno, e fecevi porre il campo d'intorno, come fosse a unocastello asse<strong>di</strong>ato; e fecevi fare intorno al bagno tre cerchie <strong>di</strong>mura; e a catuno cerchio una porta. Nel primo cerchio istavanotutti i re ch'erano sotto la sua podestà: nel secondo cerchioistavano tutti i conti e marchesi ch'erano sotto la sua podestà: nelterzo istavano tutti i cavalieri <strong>di</strong> corredo; e nel campo, ch'eratutto isteccato, si stavano tutta la gente minuta generalmente,come s'è cavalieri e pedoni. E questo imperadore entrava ogni<strong>di</strong>e una volta con uno compagno in questo bagno, sì che unavolta gli venne voglia d'entrarvi solo; sì che uno dì essendovientrato solo nel bagno, vi apparve uno pellegrino con unaischiavina in dosso, e non avea altro vestimento che questaischiavina, e giunse al detto bagno, e spogliossi la schiavinaar<strong>di</strong>tamente, e entrò nel bagno, e incominciasi a bagnare. E loimperadore no gli <strong>di</strong>sse nulla per la grande superbia ch'aveacontro a coloro ch'erano a guardare alle tre porti <strong>del</strong>le mura; epensava <strong>di</strong> fare gran vendetta. Lo pellegrino uscì fuori <strong>del</strong>bagno, e misesi i panni <strong>del</strong>lo imperadore, e andòne fuori, e <strong>di</strong>ssealla gente: cavalchiamo. Allora si partirono dal bagno etornarono alla terra. E questo imperadore uscì fuori <strong>del</strong> bagno, enon vide i panni suoi, altro che detta ischiavina: evergognosamente si mise questa ischiavina in dosso, e andòealla prima porta, e chiamò, e non vi trovò persona nella seconda,né alla terza: e puose mente per lo campo ed ebbe veduti trebarattieri, che giucavano. Allora il re andò a loro, e <strong>di</strong>sse:11


<strong>di</strong>mmi, rubaldo, ove sono andati costoro? E li barattieri <strong>di</strong>ssono:sono andati collo imperadore. Ed egli <strong>di</strong>sse: conoscetelo voi?<strong>di</strong>ssero <strong>di</strong> sì; e lo 'mperadore <strong>di</strong>sse: io sono desso io; e' non pareche mi conosciate! Dissero i barattieri: come, rubaldo, dì tu chese' lo 'mperadore? Presorlo, e tanto gli <strong>di</strong>edero, che tutte l'ossagli ruppono; e, così rotto, se n'andò verso la terra moltoaffaticato. E ebbe veduto uno suo fe<strong>del</strong>e che lavorava la terra, e<strong>di</strong>ssegli: passocci lo imperadore? E 'l lavoratore rispuose, che sì.E que' <strong>di</strong>sse: come, che sono desso io? E questo lavoratore conun suo figliuolo, ch'era co lui, co' manichi <strong>del</strong>lo vanghe gli<strong>di</strong>edero molte bastonate, <strong>di</strong>cendo: sozzo ribaldo, dì tu che se' lo'mperadore, nostro signore? E così, bastonato, il cacciarono via.E quelli molto tristo se n'andò dentro alla terra sua, e puosesi asedere in su in uno petrone, <strong>di</strong>rimpetto alla porta <strong>del</strong> palazzo; e,guardando verso la finestra, vide la 'mperadrice colloimperatore, e teneale il braccio in collo. Allora per grandesuperbia si levò da sedere, e andò alla porta <strong>del</strong> palazzo, e voleaandare suso, e le guar<strong>di</strong>e con gran<strong>di</strong> bastoni percoteanochiunque s'appressava. E questi entrò dentro che non se neavvidero, e andava ar<strong>di</strong>tamente suso; e li fanti se ne furonoaccorti: corsongli drieto e presonlo e davangli <strong>di</strong> bastoni, eruppongli tutto il volto, e gittàrlo a terra <strong>del</strong>la scala, e percossoloin sul marmo, che tutte le gambe gli si scorticavano; sicché silevò tutto sanguinoso e andòe a sedere in sul petrone donde s'eralevato, faccendo grande pianto. Era tutto ismemorato, e <strong>di</strong>cea frasé medesimo: io so bene, ch'io sono quello re, che uccisi lo'mperadore; e poi fu' chiamato imperadore io, e istava collaimperatrice! E così pensando fra suo cuore, ed e' si fu ricordato<strong>del</strong> verso ch'elli avea fatto comandare che non si dovessecantare, né nominare; e fue tornato in se medesimo, e <strong>di</strong>sse, chenon avea avuto per le centomilia parti l'una <strong>di</strong> male, ch'e' gli sene venìa a quant'e' gli avea servito: e ebbe molto dolore e12


contrizione e pentimento nel suo cuore <strong>di</strong> quello che avea fattocomandare. Allora l'angiolo che stava a modo d'imperadore,chiamò i servi suoi, e <strong>di</strong>sse: andate, e menatemi quellopellegrino che è in su 'n quello petrone. E ellino andavano alpellegrino, <strong>di</strong>ssero: vieni allo 'mperadore. E e' <strong>di</strong>sse: io nonvoglio venire, imperò ch'io fu' gittato a terra dalla scala. E i servi<strong>di</strong>ssero: vieni ar<strong>di</strong>tamente, e non avere paura. Allora si mosse, eandò all'agnolo ch'era a modo d'imperadore; ed e' <strong>di</strong>ssse: benesie tu venuto. E puoseli il braccio in collo, e menollo nellacamera. E l'angiolo <strong>di</strong>sse: come ti pare istare, imperadore? E lo'mperadore <strong>di</strong>sse: io istò assai meglio, ch'io non sono degno,cioè, ch'io non ò avuto tale penitenzia, quanto mi siconverrebbe. Allora <strong>di</strong>sse l'agnolo: se' tu ben pentuto? E lo'mperadore <strong>di</strong>sse <strong>di</strong> sì. Allora l'agnolo gli rendé li panni suoi, e<strong>di</strong>ssegli: guarda, che tu non falli più: e fu ispartito. E lo'mperadore fece andare il bando per tutto suo reame, ch'ognunodovesse <strong>di</strong>re Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles: efece iscrivere per tutti i pilastri e canti <strong>del</strong>la terra questi versi <strong>di</strong>lettere d'oro: e fece fare ponti 2 e spedali, e maritare vedove eorfane; e poi vendé tutto il suo reame, e <strong>di</strong>ello per Dio a' poveri.E poi andòe in una montagna e fecevi fare una ispelonca, estettevi grande tempo. E come prima era superbo, <strong>di</strong>ventò poiumile: sicché alla fine ebbe vita eterna. Id<strong>di</strong>o per la sua piatade emisericor<strong>di</strong>a vi conduca noi.2 Così legge chiaramente il co<strong>di</strong>ce, ma certo è errore, che qui nulla hanno afare i ponti, forse si dovrà leggere monti, perocché, comunque i monti, detti<strong>di</strong> pietà non fossero ancora stati eretti a' tempi <strong>del</strong>l'<strong>anonimo</strong> autore <strong>di</strong>questa Novella, tuttavia sappiamo che allora erano pie istituzioni, cheappellaronsi con simile titolo, come possiamo vedere in più scrittori <strong>di</strong>quell'età.13

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