IL REGNO DI SARDEGNA NEL 1848-1849 - archiviostorico.net

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www.accademiaurbense.it104GIUSEPPE RAFFO A BUFFAIllustrissimo Signore.Genova, 5 gennaio 1849.Voi saliste al potere in circostanze irte d'ogni difficoltà. I ministricaduti si ostinarono in tenere il governo del paese, finché non l'ebberotanto pieno di dissidii, di scompiglio, di confusione quanto giovava allorodisegno, e quanto bastava a fare ardua a' successori la impresa di ricondurrenegli animi la confidenza e la calma, ed unire le discordanti volontànel proposito di appoggiare quel governo, che risolutamente conduca lanazione al compimento de' suoi destini. Noi ci confidiamo che al MinisteroDemocratico non manchi all'uopo né l'intelletto né il cuore. E buon principiosi diè all'opera, affidando l'incarico di chetare gli umori di Genovaa Voi, che fra noi cresciuto, siete da tempo fra noi riputatissimo per altezzadi sensi, per profondità di senno, per pura, inconcussa fede. Nè taleopinione verrà meno in noi, se vani riescano gli sforzi vostri, ma perché,non riuscendo voi, uomini d'altra fede, o di niuna fede, vi caccerebbero diseggio, e, fatti più baldi della riconosciuta impotenza vostra, imporrebberoal paese la loro politica come inevitabile necessità; a noi sta sommamentea cuore che conseguiate il fine a cui veniste. Epperò io credo miodebito sottoporre al giudizio vostro alcune considerazioni intorno alle opinionidi questo popolo.Genova per la condizione sua commerciale ama la quiete, perché propiziaa' suoi traffici, alla sua industria; ma per tale conseguenza di talesua condizione, all'idea della nazionalità italiana, al grido di guerra all'austriaco,sentì tosto e profondamente quanta prosperità dovesse a leiderivare dalla indipendenza e dalla fusione delle provincie settentrionalid'Italia in un regno vasto e potente. E questo sentimento dominò tuttigli animi, produsse la sincera, universale adesione a chi si pose a capo diquella impresa e gli eterni nemici del giusto e del vero tacquero e dissimularonoinnanzi alla irresistibile forza di quello slancio. Niun moto che nonfosse di patria carità, niun partito che dividesse gli spiriti, menomato ilnumero dei delitti, la città tranquilla in una solenne aspettazione, fidentenella santità della causa, nel valore italiano, ogni pensiero intento allevicende della guerra.Gli errori nella condotta di questa, furono prima coazione d'inquietudine,poi il municipalismo torinese, scopertosi nella discussione della leggedi fusione, minacciò di ridestare un antico e appena assopito antagonismo,261

poi i disastri dell'armi nostre generarono sospetti, poi la capitolazione diMilano portò negli animi la costernazione, nelle opinioni il caos. Il popolo,che d'ogni sua calamità vuole trovare una causa, prestò fede alle vociche gli accennavano la più facile alla sua intelligenza: il tradimento; altrine accusò i capi dell'armata, altri spinse il sospetto più in alto, altri disperòdella potenza nostra a farci liberi dal giogo, e disse insensato chi ancorasperava. Quindi, dissidii fra una ed altra parte del popolo, quindi diffidenzatra popolo e governo, fatta più grave per gli ambigui a taluni, ad altri troppochiari procedimenti del ministero Pinelli, e, in tanta confusione, il popoloagitarsi convulso, senza scorgere un punto onde uscisse raggio di luce.Così durarono le cose finché appunto parve al popolo vedere questoraggio.L'idea di una costituente italiana, che, dissipate le apprensioni deisingoli stati, trovasse modo di raccozzare le forze della nazione per ispingerleintere contro il nemico e sgomberarne l'Italia, parve a' genovesi unmezzo acconcio a porre in atto la nazionalità italiana, e ne manifestaronoil voto nei modi, cui da un anno eran usi, e il governo, anziché udirlo,rispose con minaccioso apparato di forza.Le conseguenze di questa provocazione furono, per buona ventura,sopite dalle nuove poco stante avutesi del compimento del voto popolare,e dai provvedimenti vostri.Ma la tranquillità attuale, effetto della fiducia nel Ministero Democratico,avrà corta durata, se questo non pensa a dissipare i sospetti dianziaccennati, e non segue francamente la via politica tracciata nel suo programma.La città di Genova per la stessa ragione che la fa desiderosissima dellaunione col Lombardo-Veneto, è pure in condizione di essere meno tollerantedegl'indugi frapposti allo scioglimento della gran lite: i quali, mentreprotraggono il danno presente, non è chiaro se, e quali speranze lascinodell 'avvenire.E però efficacissimo mezzo al nuovo governo, per farsi del popolo genoveseuna solida base a sostenersi contro i molti nemici, sarà lo apprestarsi,e sollecitamente alla guerra, alla quale per altro né il soldato accorreràvolonteroso, né il popolo crederà bene commessa la salute della patria,se prima non vengano tolti di comando quei capi che la guerra e icasi interni rivelarono inetti, od avversi alle idee liberali: la quale misura,oltre allo ammonire i somiglianti, scuotere i dubbiosi, e rinfrancare i buoni,darebbe luogo altresì al nuovo governo di gratificarsi con promossionil'armata, e rilevarne lo spirito, senza di che non è a sperare che dallaguerra possa venirci utilità e gloria.262www.accademiaurbense.it

www.accademiaurbense.it104GIUSEPPE RAFFO A BUFFAIllustrissimo Signore.Genova, 5 gennaio <strong>1849</strong>.Voi saliste al potere in circostanze irte d'ogni difficoltà. I ministricaduti si ostinarono in tenere il governo del paese, finché non l'ebberotanto pieno di dissidii, di scompiglio, di confusione quanto giovava allorodisegno, e quanto bastava a fare ardua a' successori la impresa di ricondurrenegli animi la confidenza e la calma, ed unire le discordanti volontànel proposito di appoggiare quel governo, che risolutamente conduca lanazione al compimento de' suoi destini. Noi ci confidiamo che al MinisteroDemocratico non manchi all'uopo né l'intelletto né il cuore. E buon principiosi diè all'opera, affidando l'incarico di chetare gli umori di Genovaa Voi, che fra noi cresciuto, siete da tempo fra noi riputatissimo per altezzadi sensi, per profondità di senno, per pura, inconcussa fede. Nè taleopinione verrà meno in noi, se vani riescano gli sforzi vostri, ma perché,non riuscendo voi, uomini d'altra fede, o di niuna fede, vi caccerebbero diseggio, e, fatti più baldi della riconosciuta impotenza vostra, imporrebberoal paese la loro politica come inevitabile necessità; a noi sta sommamentea cuore che conseguiate il fine a cui veniste. Epperò io credo miodebito sottoporre al giudizio vostro alcune considerazioni intorno alle opinionidi questo popolo.Genova per la condizione sua commerciale ama la quiete, perché propiziaa' suoi traffici, alla sua industria; ma per tale conseguenza di talesua condizione, all'idea della nazionalità italiana, al grido di guerra all'austriaco,sentì tosto e profondamente quanta prosperità dovesse a leiderivare dalla indipendenza e dalla fusione delle provincie settentrionalid'Italia in un regno vasto e potente. E questo sentimento dominò tuttigli animi, produsse la sincera, universale adesione a chi si pose a capo diquella impresa e gli eterni nemici del giusto e del vero tacquero e dissimularonoinnanzi alla irresistibile forza di quello slancio. Niun moto che nonfosse di patria carità, niun partito che dividesse gli spiriti, menomato ilnumero dei delitti, la città tranquilla in una solenne aspettazione, fidentenella santità della causa, nel valore italiano, ogni pensiero intento allevicende della guerra.Gli errori nella condotta di questa, furono prima coazione d'inquietudine,poi il municipalismo torinese, scopertosi nella discussione della leggedi fusione, minacciò di ridestare un antico e appena assopito antagonismo,261

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