IpErtEStOUn’immagine chemeglio di mille parolechiarisce il concetto di<strong>globalizzazione</strong>: unanota bevanda vienetrasportata da alcuniambulanti africani inviaggio verso ilMozambico, atestimoniare cheil <strong>mondo</strong> è ormaidiventato un unicomercato universale.UNITÀ XV4IL TEMPO DEL DISORDINE➔Salari più bassie lavoro minorileè divenuta un fenomeno globale, che investe (e mantiene sotto il proprio controllo) tuttoil pianeta.Il termine <strong>globalizzazione</strong> serve proprio a indicare che, negli ultimi decenni <strong>del</strong> xx secolo,il <strong>mondo</strong> è diventato un unico ed enorme mercato universale. Il primo evidenterisultato di questo fenomeno è la presenza in tutti i paesi <strong>del</strong> <strong>mondo</strong> degli stessi marchie dei medesimi prodotti: a Mosca, a rio de Janeiro e a tokyo, coma a Chicago o aparigi, è possibile utilizzare gli stessi software, vedere al cinema gli stessi film, bere la stessabevanda frizzante o mangiare i medesimi hamburger.D’altra parte, come ogni economia-<strong>mondo</strong> <strong>del</strong> passato, anche quella globale <strong>del</strong> xxI secolo hadei gravi risvolti. per ridurre i costi dei beni che smerciano in tutto il <strong>mondo</strong>, le grandi aziendemultinazionali (americane, giapponesi ed europee) tendono a decentrare la produzione,cioè impiantano filiali in paesi poveri e arretrati, in cui i lavoratori non godono né di pensionené di assistenza medica, e tanto meno sono tutelati da efficienti organizzazioni sindacali.In tali contesti spesso si riesce a sfruttare il lavoro minorile, severamente condannato inEuropa, in America e in Giappone. Oppure, è possibile inquinare l’ambiente in misura impensabilenei paesi industrializzati da tempo, ove l’opinione pubblica è molto sensibile alletematiche ecologiche e la legislazione obbliga le aziende a dotarsi di numerosi (e costosi) sistemidi prevenzione, per evitare intossicazioni dei lavoratori o vere e proprie catastrofi ecologiche(fuoriuscita di nubi tossiche, avvelenamento di fiumi ecc.).per questo motivo, il processo di <strong>globalizzazione</strong> è stato pesantemente criticato e avversatoda numerosi intellettuali e organizzazioni internazionali, che hanno sottolineato ilrischio di un aggravamento <strong>del</strong> divario economico tra il Nord <strong>del</strong> <strong>mondo</strong>, ricco e industrializzato,e il Sud <strong>del</strong> pianeta, povero e sfruttato. Il primo vasto episodio di contestazione<strong>del</strong>la <strong>globalizzazione</strong> ebbe luogo nel 1999 a Seattle, negli Stati Uniti, quando idisordini scoppiati impedirono il regolare svolgimento di una conferenza internazionale,convocata per coordinare e regolare il commercio mondiale.proteste fortissime si sono verificate anche a Genova, nel luglio 2001, allorché la città italianaospitò l’incontro al vertice dei capi di Stato e di governo degli otto paesi economicamentepiù sviluppati <strong>del</strong> <strong>mondo</strong> (i cosiddetti G8). In quell’occasione, gruppi di contestatoriviolenti compirono un gran numero di atti vandalici, distruggendo automobili,arredi urbani e vetrine di negozi. Nel corso <strong>del</strong>la guerriglia urbana che esplose e coinvolsediverse strade di Genova, uno dei contestatori violenti rimase ucciso da un carabiniere.Inoltre, preoccupata di riportare l’ordine a qualunque costo, la polizia colpì anchemolti manifestanti pacifici, che esercitavano il loro diritto di esprimere pubblicamente leproprie opinioni contrarie alla <strong>globalizzazione</strong>.F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012
Riferimenti storiografici1I problemi alimentari <strong>del</strong>l’AfricaLa popolazione africana, nel dopoguerra, aumentò a tassi sempre crescenti. Tuttavia, ai contadinifu consigliato di coltivare caffè, cacao, tabacco e altri prodotti destinati all’esportazione sui mercati deiPaesi capitalistici. Il risultato fu che i Paesi africani non poterono più soddisfare la domanda interna digeneri alimentari.Durante gli anni Settanta divenne evidente che, benché la stragrande maggioranza degliafricani di tutto il continente fossero agricoltori, sempre più paesi <strong>del</strong>l’Africa non riuscivanoa produrre alimenti sufficienti a nutrire la propria popolazione, e di conseguenza eranocostretti a spendere una parte dei proventi <strong>del</strong>le loro esportazioni in generi alimentari di importazione,diminuendo così, chiaramente, le loro possibilità di acquistare all’estero beni eservizi necessari ai loro programmi di sviluppo. Il motivo di base per cui ai paesi africani eraimpossibile produrre generi alimentari sufficienti era che, a partire da un certo periodo, la loropopolazione era aumentata a tassi sempre crescenti. Negli anni Settanta l’incremento naturale(cioè l’eccesso <strong>del</strong>le nascite sulle morti) in tutto il continente era di circa il 3% annuo.Un tasso così elevato dimostra che quasi ovunque ci si sarebbe potuti aspettare che le boccheda sfamare sarebbero raddoppiate in meno di un quarto di secolo. Questo avrebbe incisomolto meno sulla produzione alimentare in Africa se i programmi di sviluppo si fosseroconcentrati maggiormente sul miglioramento <strong>del</strong>la vita degli agricoltori, dotando le campagnedi migliori infrastrutture per l’istruzione, i servizi sanitari, gli approvvigionamenti di acquae altre cose di questo genere, e si fossero anche impegnati a incoraggiare la produzionee il miglioramento <strong>del</strong>la distribuzione di generi alimentari per il consumo interno. Ai contadinifu invece consigliato di coltivare quei raccolti che rendevano maggiormente nell’esportazione,e tra i prodotti africani più richiesti sui mercati mondiali vi erano il caffè, il cacao, iltè, il tabacco, il sisal ed il caucciù, che non potevano soddisfare la domanda interna di generialimentari. Come ci si rese conto, i guadagni ricavati dalle esportazioni dovevano es-Rifornimentialimentari italianigiungono sulla spiaggiadi Berbera in Somalianel 1986, per aiutareil Paese africanoduramente colpitoda una carestia inquel periodo.IpErtEStOIPERTESTO B5<strong>Periferie</strong> <strong>del</strong> <strong>mondo</strong> e <strong>globalizzazione</strong>F.M. Feltri, Chiaroscuro – Nuova edizione © SEI, 2012