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TC genn06.indd - Fraternità Sacerdotale di San Pio X

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ispose: «La destinazione non esiste. Scrivinulla». Così accadde. Gli armeni furonoingoiati dal nulla. Il console russo raccontòcon queste parole il passaggio del popolocondannato a morte: «I pozzi della cittàsono pieni <strong>di</strong> sangue. I carnefici cur<strong>di</strong>,comandati dai turchi, legavano le vittimee le facevano scendere nei pozzi sino a cheil corpo fosse immerso lasciando emergeresolo la testa. Poi con un colpo <strong>di</strong> spada lidecapitavano. La testa infilata in un paloveniva esposta in piazza. Ma quandoavevano fretta inchiodavano gli armenia un muro e li massacravano a colpi <strong>di</strong>sciabola».Uno degli episo<strong>di</strong> più straor<strong>di</strong>naridel primo genoci<strong>di</strong>o del secolo («lʼunicoepiso<strong>di</strong>o felice» <strong>di</strong>ceva uno storico) èlʼepopea del Mussa Dagh. È lʼavventura<strong>di</strong> cinquemila armeni, tra cui tremiladonne, vecchi e bambini - che rifiutarono<strong>di</strong> farsi massacrare come pecore e salironocon biblica baldanza e vecchi fucili sulla«montagna <strong>di</strong> Mosè», a pochi chilometrida Antiochia. Per quaranta incre<strong>di</strong>biligiorni respinsero le truppe turche; infine,stremati, furono tratti in salvo da unasquadra navale francese che li trasportò aPorto Said. Questo glorioso episo<strong>di</strong>o dellastoria del popolo armeno è raccontato in unlibro serrato e straziante scritto nel 1929 dauno scrittore austriaco che aveva scopertoper primo questa epopea <strong>di</strong>menticata. Sichiamava Franz Werfel e non era armeno.Si era commosso vedendo bambini armeni,figli <strong>di</strong> quella trage<strong>di</strong>a del 1915, i pochisopravvissuti agli artigli dei massacratoriturchi e cur<strong>di</strong>, lavorare do<strong>di</strong>ci-tre<strong>di</strong>ci ore perpochi centesimi nelle fabbriche austriache.Affrontò la storia del Mussa Dagh confuria e passione, inventò personaggi,arricchì, arredò, costruì un racconto chefece piangere lʼEuropa. Un racconto che èunʼopera fondamentale dellʼepica moderna.In questi tempi in cui si parla dellʼingressodella Turchia in Europa e del “dramma delpopolo curdo” è doveroso leggere e farconoscere questo libro, <strong>di</strong> quasi novecentopagine, per conoscere la storia e il martiriodei cristiani armeni.Enrico Reginato, 12 anni <strong>di</strong> prigionianellʼURSS, E<strong>di</strong>zioni Canova, TrevisoChi ha letto il bellissimo ecommovente libro <strong>di</strong> padre Giovanni Brevi,Ricor<strong>di</strong> <strong>di</strong> prigionia, sarà senzʼaltro rimastocolpito dalla bella figura del Maggioreme<strong>di</strong>co Enrico Reginato, <strong>di</strong> <strong>San</strong>ta Bona<strong>di</strong> Treviso.Ufficiale me<strong>di</strong>co degli alpini vienefatto prigioniero dai sovietici il 28 aprile1942. Per do<strong>di</strong>ci anni, fino al febbraio del1954, questʼuomo resterà nei campi <strong>di</strong>concentramento, nelle infermerie, negliospedali, nelle carceri, nei cantieri <strong>di</strong>lavoro forzato, pro<strong>di</strong>gandosi per tutti, dagliitaliani ai russi, dai rumeni ai tedeschi,nellʼunico dramma <strong>di</strong> tutta quella gioventùche moriva sotto i suoi occhi. Gli orroridelle epidemie, le vessazioni della polizia<strong>di</strong> Beria, coa<strong>di</strong>uvata da comunisti italiani,lʼincubo dei brutali interrogatori e dellasegregazione rivivono in questo straziantee commovente racconto. È un libro scrittosenza rancore, ma con la serenità delcoraggio. «Lʼunica libertà che a noi venivaconcessa era <strong>di</strong> misurare i palpiti <strong>di</strong> tanticuori che si spegnevano e <strong>di</strong> raccoglieredalle labbra che si chiudevano per sempre, ilsaluto, lʼestremo <strong>di</strong> amore, per i cari lontani:“Diʼ ai miei figli che crescano degni delloro padre; <strong>di</strong>ʼ a mia madre che sono mortoda cristiano; <strong>di</strong>ʼ alla mia sposa che lʼhotanto amata”. Più che curare, noi abbiamovoluto assistere. Lo abbiamo fatto perché leprivazioni e gli stenti non uccidessero in noie in loro i più elementari sentimenti e slanciumani. Il buon me<strong>di</strong>co si scopriva agliammalati nellʼistante in cui si affiancavaad essi per vivere una comune sofferenza.Lʼammalato o il moribondo traeva vitadallʼaiuto che riceveva e che poteva dare achi assieme soffriva, perché capiva che ilfarmaco che cura tutti i dolori è solo quellousato da Gesù Cristo, lʼAmore».Atti del 12° Convegno <strong>di</strong> Stu<strong>di</strong> Cattolici:Europa unita, O.N.U. e Vaticano II:una sinergia contro famiglia e libertàPagg. 212, euro 11,00Disponibile nei Priorati e centri <strong>di</strong> MessaLa Tra<strong>di</strong>zioneCattolica58

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