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TC genn06.indd - Fraternità Sacerdotale di San Pio X

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tra<strong>di</strong>zionale nella sua chiesa), risponderciscandalizzato: «Ma non facciamo delfeticismo!». Ecco, mentre noi lottiamocontro i falsi princìpi dellʼecumenismo edella libertà religiosa, loro si scaldano perlʼermellino o il colore nero… Chi è che nonha capito il Concilio?• Già, bella domanda… Lo stesso<strong>San</strong>to Padre ne ha fatto lʼoggetto <strong>di</strong>unʼamplissima parte del suo <strong>di</strong>scorsoalla Curia Romana in occasione degliauguri natalizi, avvenuta lo scorso 22<strong>di</strong>cembre. La <strong>San</strong>tità <strong>di</strong> Nostro Signore hasostenuto che esistono due interpretazionidel Concilio (due ermeneutiche, <strong>di</strong>ceLui), una <strong>di</strong> <strong>di</strong>scontinuità, basata più sullospirito che sulla lettera e che ha rotto conil passato della Chiesa, quasi vi fosse unnuovo inizio; lʼaltra <strong>di</strong> riforma, basata suitesti e corretta, che starebbe lentamenteportando frutto. A parte il fatto che la<strong>di</strong>scontinuità sta innanzitutto nei testi e nonsolo in una delle possibili interpretazionidei medesimi, noi ci chie<strong>di</strong>amo come unatto che fosse realmente magisteriale possasoffrire una qualunque interpretazioneo ermeneutica che <strong>di</strong>r si voglia. Lʼattomagisteriale ha per caratteristica <strong>di</strong> esserechiaro in sé, proprio perché serve a dareinfallibile interpretazione delle due fontidella Rivelazione che invece non sonochiare in se stesse, Scrittura e Tra<strong>di</strong>zione.Un atto passibile <strong>di</strong> varia interpretazionenon è Magistero… Noi allora faremo comeMons. Jin, e <strong>di</strong>remo che con queste paroleil <strong>San</strong>to Padre ha implicitamente ammessola non-magisterialità del Vaticano II, echiederemo che ce lo lascino rifiutare inpace… come è dovere <strong>di</strong> ogni cattolicofedele allʼautentico insegnamento dellaChiesa Romana.• Allora, come il vecchio e saggioPriamo nel citato passo dellʼIliade,impariamo a guardare avanti e in<strong>di</strong>etronel vero senso dellʼespressione: non afare e <strong>di</strong>re tutto e il suo contrario, ma aguardare in<strong>di</strong>etro allʼinsegnamento dellaChiesa ed avanti alla realtà delle cose,non tanto allʼapparenza <strong>di</strong> esse, per noningannarci né essere ingannati in questoturbine confuso…Invito alla letturaFranz Werfel, I quaranta giorni delMussa Dagh, E<strong>di</strong>zioni CorbaccioEra lʼaprile del 1915 quando i cur<strong>di</strong>scesero dalle loro montagne. Montavanocavallini apocalittici, impugnavano bensal<strong>di</strong> i coltellacci briganteschi. Per iturchi dellʼimpero ottomano non eranoancora perfi<strong>di</strong> nemici, anzi chi meglio <strong>di</strong>questa razza <strong>di</strong> predoni poteva tornareutile come manovale per sterminare lapopolazione armena? Cʼera per i cur<strong>di</strong>una missione da compiere: un popolointero, “cristiano e infido”, veniva offerto,completamente inerme, ai loro coltelli. Nonera un delitto, ma un massacro legale contanto <strong>di</strong> timbri e autorizzazioni ufficiali. Gliarmeni erano “potenziali tra<strong>di</strong>tori” mentrelʼimpero turco combatteva contro russi einglesi, e servivano come bersaglio perscatenare la rabbia dei fanatici islamici.Lʼideatore della carneficina, però, non eraun “fondamentalista” ma un musulmano“raffinato, laico e modernista”, EnverPascià, legato a una setta, Avatan, patria.«Non dobbiamo preoccuparci <strong>di</strong> quantoci verrà chiesto fra tre o quattro anni -scriveva a un altro leader - se agiamo conraziocinio e decisione fra tre o quattro anniil problema armeno non ci sarà più, perchènon ci saranno più armeni».Il genoci<strong>di</strong>o degli armeni inauguròtutti gli orrori del secolo. Nel 1915 lebande criminali curde sterminarono -con autarchica, primitiva efficienza -trecentomila armeni in pochi mesi, conspade e baionette. Prelevato dai villaggi edalle città, spogliato <strong>di</strong> tutto, senza cibo,un popolo intero si trascinò strisciando,lasciando una striscia <strong>di</strong> scheletri, lungola terra tra i due fiumi, per centinaia <strong>di</strong>chilometri verso la destinazione finale:i deserti del Sud dellʼIraq. Quando ilsegretario <strong>di</strong> uno dei capi turchi, TaalatBey, gli domandò che cosa dovesse scriverealla voce “destinazione” sui documenti cheor<strong>di</strong>navano quella migrazione senza ritorno57La Tra<strong>di</strong>zioneCattolica

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