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N.4 Aprile 2011 - Servizio di hosting - Università degli Studi Roma Tre

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sommario75434PERIODICO QUADRIMESTRALE1852ARTICOLI15 Conoscere il territorio.Quei cal<strong>di</strong> mari tropicali - Francesco Grossi18 I fossili del Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio”.Trochactaeon matensis - Francesco Grossi22 Geositi del Lazio.Il Monte Morra e i megalodonti<strong>di</strong> - Andrea Bollati34 Convegni.Le Giornate <strong>di</strong> Paleontologia <strong>2011</strong> - Francesco Grossi42 I Protagonisti.Alexander von Humboldt - Francesco Grossi52 Paleontologia dei vertebrati.I mammiferi terrestri fossili del Laziodurante il Plio-Pleistocene - Anastassios Kotsakis62 All’alba del Sistema solare.La sonda Dawn esplora Vesta - Maurizio Chirri72 Fotografare il cielo.Gli strumenti per la ripresa planetariaSergio AlessandrelliN. 4 (Anno II)Registrazione Tribunale <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>n. 105 del 4/04/<strong>2011</strong>Pubblicazione finanziata con il contributodella Provincia <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, L.R. 42/97Direttore responsabile:Paolo D’Angelo………..Comitato scientifico:Aldo Altamore, Luigi Campanella,Anastassios Kotsakis, Carla Marangoni,Massimo MatteiComitato <strong>di</strong> redazione:Chiara Amadori, Maurizio Chirri,Francesco Grossi, Maurizio ParottoCollaborazioni redazionali:Chiara Amadori(<strong>di</strong>segni, ove non specificamente in<strong>di</strong>cato)Silvana Mora (preparazione testi)Sede:Cooperativa “Archimede”,Via Nomentana, 175 - 00161 <strong>Roma</strong>E-mail: hipparcos.cds@tiscali.itImpaginazione e grafica:mario-bardelli@hotmail.itStampa:Tipografia Rotastampa s.a.s.,Via Giuseppe Mirri, 21 - 00159 <strong>Roma</strong>Finito <strong>di</strong> stampare: Febbraio 2012RUBRICHE4 Geo news (a cura <strong>di</strong> F. Grossi e C. Amadori)12 Paleo news (a cura <strong>di</strong> F. Grossi)31 Un libro alla volta.Walter Alvarez - Le montagne <strong>di</strong> san Francesco(a cura <strong>di</strong> M. Chirri)Jack Repcheck - L’uomo che scoprì il tempo(a cura <strong>di</strong> F. Grossi)68 Meteo. Il tempo che ha fatto. Gennaio-Giugno <strong>2011</strong>(a cura dell’Associazione E. Bernacca)74 Astronomia & filatelia (a cura <strong>di</strong> F. Grossi)75 Variabilia. Stelle variabili: la Supernova SN<strong>2011</strong>fe(a cura <strong>di</strong> M. Vincenzi)78 Il cielo nel mirino. La cometa… (a cura <strong>di</strong> B. Pulcinelli)GEO-QUIZ40 Soluzioni cruciverba (del Quaderno n. 2-3)e nuovi giochi (a cura <strong>di</strong> Akira)APPUNTAMENTI AL MUSEO30 Attività <strong>di</strong>dattica del museo51 La rocca delle stelle: serate osservative


4 GEO NEWSQUADERNI DEL MUSEOGli investigatori dei vecchi terremotiL’enigmatico MercurioDinosauri in trappolaCiro, il cucciolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>nosauro“Bolle” <strong>di</strong> magma e megaeruzioniQuasicristalli: da “una creatura del generenon può esistere!” al Nobela cura <strong>di</strong> Francesco Grossi e Chiara AmadoriGli investigatoridei vecchi terremotiIl terremoto è un tema sempre al centrodell’attenzione, scientifica o me<strong>di</strong>aticache sia. Tra le tante branche <strong>di</strong> indaginescientifica, si sta recentemente sviluppandola possibilità <strong>di</strong> sapere qualcosain più riguardo ai terremoti del passato,quelli che, per forza <strong>di</strong> cose, non possiamoaver rilevato <strong>di</strong>rettamente. Qualchemese fa, la rivista Geology ha pubblicatouna ricerca <strong>di</strong> Shmuel Marco (fig. 1) del<strong>di</strong>partimento <strong>di</strong> Geofisica e Scienza Planetariadella Tel Aviv University, cheassieme ai colleghi ha creato un “sismografofossile”, come lui stesso l’ha definito.Questa nuova strumentazione potràaiutare i geofisici e altri ricercatoriad approfon<strong>di</strong>re la conoscenza dell’attivitàsismica del passato. “I dati sismograficisui terremoti vanno in<strong>di</strong>etro solo<strong>di</strong> un secolo o giù <strong>di</strong> lì”, afferma Marco.“Il nostro nuovo approccio indaga modelli<strong>di</strong> onda dei se<strong>di</strong>menti. Questo ciaiuta a capire l’intensità dei terremoti inepoche passate”.I ricercatori hanno analizzato dei livelliterrigeni (prevalentemente fangosi) delMar Morto: essi hanno applicato l’”instabilità<strong>di</strong> Kelvin-Helmholtz” a questilivelli fortemente deformati, una teoriaapplicata solitamente alla turbolenzaFigura 1 - Il ricercatore Shmuel Marco


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geo news5nei flui<strong>di</strong>. In questo modo anno analizzatola deformazione dei se<strong>di</strong>mentimettendola in relazione ai terremoti delpassato. L’instabilità si presenta quandoi <strong>di</strong>versi strati <strong>di</strong> un fluido sono inmoto relativo gli uni rispetto agli altri:il prof. Marco ed i suoi collaboratori,analizzando la geometria delle deformazionie combinandola con altri parametrifisici, hanno scoperto che la deformazioneinizia come pieghe moderatesimili ad onde, si evolve in complessepieghe reclinate, e, infine, mostra instabilitàgeneralizzata e frammentazione.Il processo <strong>di</strong> deformazione procedea seconda della <strong>di</strong>mensione del terremoto:più forte è il terremoto, più intensala deformazione conseguente. Lostrumento, in grado <strong>di</strong> analizzare i se<strong>di</strong>mentirisalenti a migliaia <strong>di</strong> anni or sono,potrà essere particolarmente utilesoprattutto in quelle aree dove i terremoticoinvolgono specchi d’acqua oqualsiasi corpo idrico, come la WestCoast <strong>degli</strong> Stati Uniti, e soprattutto potràoffrire agli esperti un maggior numero<strong>di</strong> informazioni per affrontare i rischifuturi. A detta dei ricercatori, unodei primi siti dove verrà applicata questanuova metodologia “investigativa”sarà il Salton Sea in Colorado, situato<strong>di</strong>rettamente sulla ben nota faglia <strong>di</strong>San Andreas. Inoltre, potrà anche essered’aiuto agli ingegneri per decifrare conmaggior precisione i rischi che si possonopresentare nella progettazione <strong>di</strong>nuove centrali idroelettriche. (F.G.)Per approfon<strong>di</strong>reWetzler N., Marco S., Heifetz E., 2010. Quantitativeanalysis of seismogenic shear-inducedturbulence in lake se<strong>di</strong>ments. Geology, 38 (4),pp. 303-306. (doi: 10.1130/G30685.1)L’enigmaticoMercurioMercurio è sempre stato un pianeta abbastanzaenigmatico: paragonabile allaLuna per <strong>di</strong>mensioni e per la superficiefortemente craterizzata, possiede peròcaratteristiche <strong>di</strong> tipo terrestre, come uncampo magnetico globale e segni <strong>di</strong> attivitàgeologica recente. Nonostante ciò,gli altri pianeti terrestri, Marte e Venere,hanno sempre suscitato un interessemaggiore, non solo negli aspetti più popolarie nell’immaginario collettivo: neglianni ‘70 la sonda Mariner 10 sorvolòMercurio ma le immagini che restituìnon entusiasmarono la comunità scientificae il pianeta più piccolo del Sistemasolare e più vicino al Sole venne“messo in soffitta”.Ma alcune “stranezze” <strong>di</strong> questo roventepianeta erano emerse già allora: misurandola traiettoria della sonda fupossibile infatti determinare il campogravitazionale <strong>di</strong> Mercurio e quin<strong>di</strong> lasua densità, molto elevata (5,4 gr/cm 3 ),simile a quella della Terra, e questopermise <strong>di</strong> supporre la presenza <strong>di</strong> unenorme nucleo metallico, quin<strong>di</strong> moltodenso, appena sotto lo strato rocciosoesterno.Nel 2004 la NASA lanciò la sonda Messengerproprio per colmare queste lacune,ed ora, dopo circa 40 anni dalle primeimmagini, l’astronomia e la geologiaplanetaria potranno analizzare unagran quantità <strong>di</strong> nuovi dati e fornirequalche risposta. Nel marzo scorso, lasonda si è inserita con successo nell’orbita<strong>di</strong> Mercurio, operazione non scontataa causa dell’elevata velocità orbitale,della bassa velocità <strong>di</strong> rotazione delpianeta e della vicinanza con il Sole.


6 Geo newsQUADERNI DEL MUSEOFigura 2 - La sonda Messenger in orbita attorno a MercurioLe prime rilevazioni della sonda durantei “fly-by” (1) effettuati prima <strong>di</strong> entrarein orbita (fig. 2) hanno già rilevato piùsorprese <strong>di</strong> quante ci si potesse aspettare:sono state infatti raccolte immaginidettagliate <strong>di</strong> un emisfero mai osservatoin precedenza, e sulla superficie sonostati rilevate tracce <strong>di</strong> vulcanismo effusivoed esplosivo segno della vitalitàgeologica del pianeta.Messenger sarà la prima sonda a stu<strong>di</strong>arenel dettaglio la geologia <strong>di</strong> Mercurio:in particolare, uno <strong>degli</strong> obiettividel progetto sarà raccogliere informazioniper decifrare l’evoluzione del pianetae la formazione del suo grande nucleometallico, solido e fuso che sia. Sonostate ipotizzati, tra gli altri, un violentoimpatto che abbia asportato granparte della crosta rocciosa oppure unevento solare che potrebbe aver vaporizzatoparte della sua superficie. Tante–––––––––(1)Fly-by: detto anche “sorvolo ravvicinato”,è il passaggio <strong>di</strong> una sonda spaziale, ad altavelocità, sopra un pianeta o un altro corpoceleste.altre sono le domande a cuiMessenger potrà contribuire arispondere, tra cui: in che modoun pianeta tanto piccolo puòavere un campo magnetico globale?Quelle gran<strong>di</strong> macchieprossime ai poli che appaionoluminose al radar sono ghiacci,su <strong>di</strong> un pianeta la cui temperaturaal suolo è circa 500°C?Da “fratello povero”, ora Mercurioè dunque sotto i riflettoridella comunità scientifica: gliscienziati credono infatti che lacomprensione dei segreti geologicidel pianeta sia la chiave percomprendere più a fondo la formazione<strong>di</strong> tutti gli altri pianeti rocciosidel Sistema solare.(F.G.)Per approfon<strong>di</strong>reDenevil B.W. et alii, 2009. The evolution ofMercury’s crust: a global perspective fromMessenger. Science, 324, pp. 613-618.(doi: 10.1126/science.1172226)Murchie S.L., Vervack R.J., Anderson B.J., <strong>2011</strong>.Destinazione Mercurio. Le Scienze, 513, pp.53-57.Dinosauriin trappolaÈ stata davvero una bella sorpresa perPaul Sereno, paleontologo dell’Università<strong>di</strong> Chicago. Per anni ha guidato lasua squadra in tre continenti a caccia <strong>di</strong>fossili, ma mai si era trovato <strong>di</strong> frontead un vero a proprio cimitero <strong>di</strong> <strong>di</strong>nosauri!La spe<strong>di</strong>zione nel deserto deiGobi, nella Mongolia interna, si è rivelataeccezionale: in alcuni strati rocciosi<strong>di</strong> 90 milioni <strong>di</strong> anni fa, i paleontologihanno infatti rinvenuto i resti <strong>di</strong> una


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geo news7dozzina <strong>di</strong> Ornitomimi<strong>di</strong>, <strong>di</strong>nosauridalle fattezze simili ai gran<strong>di</strong> uccellinon volatori come lo struzzo. Nel 2003,un giovane paleontologo giapponeseaveva trovato nella stessa area i resti <strong>di</strong>un esemplare <strong>di</strong> <strong>di</strong>nosauro, a cui avevadato il nome <strong>di</strong> Sinornithomimus dongi, eproprio su questa base, Sereno era convinto<strong>di</strong> poter trovare ancora qualcosa,ma la realtà ha superato le sue aspettative…La squadra ha iniziato così a scavare,nelle prime fasi grazie ad un bulldozer,in prestito da una base dell’esercito cinese,che ha consentito <strong>di</strong> ridurre i tempi<strong>di</strong> scavo ad alcune settimane.Il risultato finale è stato l’in<strong>di</strong>viduazione<strong>di</strong> 13 scheletri quasi completi, ma c’è<strong>di</strong> più: tutti gli scheletri puntano versosud-est. Questo ed altri in<strong>di</strong>zi portanoalla conclusione che i resti fossili non sisiano accumulati nel sito nel corso <strong>di</strong>millenni: i <strong>di</strong>nosauri hanno trovato lamorte tutti insieme, probabilmente finitiimpantanati nel fango durante unodei loro spostamenti <strong>di</strong> branco… unavera e propria trappola mortale. Dopoessere rimasti intrappolati, gli animalisono stati probabilmente prede <strong>di</strong> qualche<strong>di</strong>voratore <strong>di</strong> carogne, dato chequasi tutti gli scheletri mancano delleossa pelviche.Quello del deserto dei Gobi è quin<strong>di</strong> unsito fossilifero ancor più sorprendenteed inusuale, rappresentando una dellerarissime sepolture <strong>di</strong> massa mai rinvenute.Questo ha permesso ai ricercatori<strong>di</strong> ottenere informazioni in genere proibitive,come quelle sulla struttura dellasocietà <strong>di</strong> questi <strong>di</strong>nosauri, sulla <strong>di</strong>visionenella scala gerarchica tra giovanied adulti, sull’interazione reciproca tragli in<strong>di</strong>vidui.Così, una tragica storia <strong>di</strong> 90 milioni <strong>di</strong>anni fa si è rivelata una delle più preziosescoperte per i paleontologi deivertebrati!(F.G.)Per approfon<strong>di</strong>reSereno P.C., <strong>2011</strong>. Trappola per <strong>di</strong>nosauri. LeScienze, 513, pp. 90-95.Varricchio D.J., Sereno P.C., Zhao X., Tan L.,Wilson J.A., Lyon G.H., 2008. Mud-trappedherd captures evidence of <strong>di</strong>stintive <strong>di</strong>nosaursociality. Acta Palaeontologica Polonica,vol. 53 (4), pp. 567-578.Ciro, il cucciolo<strong>di</strong> <strong>di</strong>nosauroFigura 3 - Ricostruzione artisticadel branco <strong>di</strong> SinornithomimusDel piccolo Ciro, il primo <strong>di</strong>nosauro italianorinvenuto, tanto si è già detto escritto a proposito del suo eccezionalestato <strong>di</strong> preservazione, con parte <strong>degli</strong>organi interni e dei tessuti molli perfettamenteconservati, cosa unica al mondo(fig. 4). Dopo anni <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> e ricerchecon tecniche sofisticatissime, e dopo ilprimo articolo pubblicato nel 1989 suNature, è stata <strong>di</strong> recente data alle stam-


8Geo newsQUADERNI DEL MUSEOFigura 4 - La lastra <strong>di</strong> calcare litografico che contieneScipionyx samniticus (la barra corrisponde a 5 cm)pe una imponente monografia <strong>di</strong> circa300 pagine nella quale Cristiano DalSasso e Simone Maganuco, paleontologidel Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> Milano,presentano tutti i risultati ottenuti.Le fotografie UV, le innumerevoli TACeffettuate, le analisi al microscopio elettronicoa scansione (SEM) hanno rivelatoche i tessuti dello Scipionyx samniticus(questo il nome scientifico <strong>di</strong> Ciro),tra cui vasi sanguigni e fibre muscolari,sono ottimamente conservati anche a livellocellulare e sub-cellulare, e ciò hapermesso ai ricercatori <strong>di</strong> effettuare unavera e propria “paleo-autopsia”.L’intestino, nel quale sono preservatiperfino i batteri che lo colonizzavano,ha consentito <strong>di</strong> esaminare “l’ultimopasto” del piccolo <strong>di</strong>nosauro: dei pescisimili a sar<strong>di</strong>ne ed una zampa <strong>di</strong> lucertola,quest’ultima troppo grande perchéCiro potesse averla predata da solo, segnoche Scipionyx era molto giovane edancora nutrito dai genitori con i restidei loro pasti.Altro dato rilevante riguarda infatti ladurata della vita <strong>di</strong> Ciro: la sua lunga li-sta <strong>di</strong> caratteri morfologici neonatalitestimonia come questocucciolo <strong>di</strong> <strong>di</strong>nosauro, nato circa110 milioni <strong>di</strong> anni fa (CretacicoInferiore), trovò la mortepoche settimane dopo la nascita,se non ad<strong>di</strong>rittura dopo pochigiorni.L’analisi statistica <strong>di</strong> oltre 30.000caratteri ha confermato inoltrel’appartenenza <strong>di</strong> Ciro al gruppodei Teropo<strong>di</strong>, i <strong>di</strong>nosauri carnivoriche comprendevano, tragli altri, anche i famosi Tyrannosauruse Velociraptor, nonché laforte somiglianza con gli uccelli, essendocaratterizzato da ossa cave e saccheaeree come i moderni volatili. Fosse vissutofino all’età adulta, Ciro avrebberaggiunto i venti chili <strong>di</strong> peso e la lunghezza<strong>di</strong> circa un metro e mezzo.A conclusione <strong>di</strong> questa ricerca paleoinvestigativa,resta ancora da chiarire lacausa della morte: sul corpo <strong>di</strong> Ciro nonci sono tracce <strong>di</strong> traumi.È quin<strong>di</strong> probabile che il cucciolo siaannegato durante un violento nubifragio,e sia stato rapidamente seppellitodai se<strong>di</strong>menti sul fondale <strong>di</strong> un anticomare, in un ambiente che, per particolarie rare con<strong>di</strong>zioni chimico-fisiche, permettevala perfetta conservazione <strong>degli</strong>organismi.(F.G.)Per approfon<strong>di</strong>reDal Sasso C., Maganuco S., <strong>2011</strong>. Scipionyx samniticus(Theropoda: Compsognathidae) fromthe Lower Cretaceous of Italy. Memorie dellaSocietà Italiana <strong>di</strong> Scienze Naturali e del MuseoCivico <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong> Milano, vol. 37 (1),pp. 1-282.Dal Sasso C., Brillante G., 2001. Dinosauri italiani.Marsilio E<strong>di</strong>tore, pp. 1-256, Milano.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geo news9“Bolle” <strong>di</strong> magmae megaeruzioniLa storia della Terra è marcata da alcunestraor<strong>di</strong>narie eruzioni vulcaniche, edalcune zone del pianeta sono oggi testimoni<strong>di</strong> queste “megaeruzioni”.Oltre due milioni <strong>di</strong> chilometri quadrati<strong>di</strong> materiale vulcanico, emessicirca 250 milioni <strong>di</strong> anni fa, ricopronola Siberia orientale, così come l’altopianodel Deccan, nell’In<strong>di</strong>a nord-occidentale,è interamente formato daespan<strong>di</strong>menti basaltici emessi 65 milioni<strong>di</strong> anni fa.Non è un caso che queste due “istantanee”nel tempo geologico corrispondanoa momenti <strong>di</strong> intensa crisi biologica,due dei cinque gran<strong>di</strong> eventi <strong>di</strong> estinzioneglobale della Terra.Probabilmente assieme ad altri fattoriconcomitanti, questi perio<strong>di</strong> <strong>di</strong> intensaattività vulcanica causarono il deteriorarsi<strong>degli</strong> ecosistemi e portarono allascomparsa della maggior parte dellespecie viventi.Matthew Jackson, geologo della BostonUniversity, ha recentemente analizzatodal punto <strong>di</strong> vista chimico rocce magmaticheprovenienti da <strong>di</strong>verse “gran<strong>di</strong>aree ignee” (fig. 5), riscontrando unacombinazione <strong>di</strong> isotopi simile a quellaipotizzata per le antichissime rocce della“neonata” Terra. Secondo Jackson, ilmantello terrestre (la porzione del pianetacompresa tra la superficiale crostaed il nucleo) non ha una composizioneomogenea, sarebbe piuttosto caratterizzatoda enormi “bolle” <strong>di</strong> magma primor<strong>di</strong>alericche <strong>di</strong> elementi ra<strong>di</strong>oattivi,quin<strong>di</strong> più calde e meno dense delle arecircostanti. Ogni qualche milione <strong>di</strong>anni, queste “bolle” si farebbero stradaverso la superficie, causando le “megaeruzioni”.(F.G.)Per approfon<strong>di</strong>reJackson M.G., Carlson R., Kurz M.D., KemptonP.D., Francis D., Blusztajn J., 2010. Evidencefor the survival of the oldest terrestrialmantle reservoir, Nature, 466, pp. 853-856.(doi: 10.1038/nature09287)Figura 5 - Le rocce basaltiche della Baia <strong>di</strong> Baffin, tra quelle analizzate da Jackson


10 Geo newsQUADERNI DEL MUSEOQuasicristalli:da “una creaturadel genere non puòesistere!” al NobelAi quasicristalli abbiamo già accennatosul primo numero dei “Quaderni” mane parliamo nuovamente poiché nel<strong>2011</strong> è stato assegnato il Premio Nobelper la Chimica (ricor<strong>di</strong>amo che purtropponon è stata istituita la categoriaper le Scienze della Terra) a DanielShechtman (fig. 6), scienziato del TechnionIsrael Institute of Technology <strong>di</strong>Haifa, che nel 1982 descrisse per la primavolta, dopo la sintesi <strong>di</strong> una lega <strong>di</strong>Alluminio e Manganese in laboratorio,una struttura inaspettata, in cui ricorrevaun or<strong>di</strong>ne aperio<strong>di</strong>co (cioè senzasimmetrie traslazionali) a lungo raggio,con simmetria pentagonale.Ricor<strong>di</strong>amo che la definizione <strong>di</strong> minerale,fin a quell’epoca mai contrastata,Figura 6 - Il premio Nobel Daniel Shechtmanprevedeva assolutamente un’organizzazioneperio<strong>di</strong>ca <strong>degli</strong> atomi nello spazio,così la visione <strong>di</strong> una struttura delgenere colse tutti <strong>di</strong> sorpresa e con moltoscetticismo; perfino lo stesso Shechtmanimpiegò due anni per pubblicarnei risultati.Dopo l’uscita del lavoro nel 1984, finoal 2009 si è susseguita una lunga serie<strong>di</strong> esperimenti con la sintesi in laboratorio<strong>di</strong> centinaia <strong>di</strong> quasicristalli. Matematicamentequeste strutture erano giàstate ipotizzate da molto tempo, infattine esistono testimonianze già in epocastorica (soprattutto dagli Arabi e dagliEgizi) con rappresentazioni artistichecome pavimentazioni, affreschi e mosaici(fig. 7).Dopo aver detto ciò, allora, cosa è accaduto<strong>di</strong> così straor<strong>di</strong>nario da far tornareal centro dell’attenzione questo tema?La scoperta nel 2009 del primo campione<strong>di</strong> quasicristallo naturale, effettuatoda un gruppo internazionale<strong>di</strong> ricercatoriguidato da un italiano:il Prof. Luca Bin<strong>di</strong> dell’Università<strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong><strong>di</strong> Firenze.Egli a quel tempo erail curatore della Sezione<strong>di</strong> Mineralogia del Museo<strong>di</strong> Storia Naturale<strong>di</strong> Firenze, in cui si occupava,parallelamentealla collezione, <strong>di</strong> varitemi <strong>di</strong> ricerca tra cui iquasicristalli.Particolarmente incuriositoda un articolo <strong>di</strong> ricercatoriamericani (propriocoloro che <strong>di</strong>venterannoin seguito suoi


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geo news11colleghi) cominciò a focalizzare la suaattenzione sull’analisi <strong>di</strong> alcuni mineralida loro ipotizzati come quasicristallinaturali, essendo questi presenti propriopresso il museo fiorentino.Iniziò così una collaborazione che inizialmentenon ebbe il successo sperato;i minerali in questione infatti, non sirivelarono gli sperati quasicristalli.Ma, forse anche grazie allo spirito <strong>di</strong>iniziativa italiano, la ricerca non si arrestòed altri campioni vennero scelti perla similarità della composizione chimicarispetto ai primi e analizzati, tra cuiil piccolissimo esemplare <strong>di</strong> khatyrkite.Questo campione, che prende il nomeproprio dal fiume russo da cui proviene,si rivelò un aggregato <strong>di</strong> vari minerali(<strong>di</strong>opside, stishovite, forsterite), tracui il nuovo minerale chiamato Icosaedrite,un icosaedro (1) in fase quasicristallina<strong>di</strong> composizione Al 63 Cu 24 Fe 13 ,che ha la stessa struttura e stechiometria<strong>di</strong> quella sintetizzata da DanielShechtman.Le novità però non finirono qui; oltread essere stato rinvenuto per la primavolta in natura un minerale con quellesimmetrie finora escluse dalla mineralogiaclassica o ritenute temporalmentenon stabili, sono state effettuate moltissimeanalisi su tutte le altri fasi mineralogiche(pubblicate sulla prestigiosa rivistaPNAS ad inizio anno) che hannofornito un esito ancor più sorprendente.La presenza del polimorfo del quarzo(SiO 2 ), la stishovite, che si forma soload altissime pressioni (superiori ai 10Gpa), testimonia un origine in con<strong>di</strong>zioniimpossibili sulla crosta terrestre;oltre a ciò, altre analisi isotopiche hannodatato il campione a 4.5 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong>anni e la fugacità dell’ossigeno stimataFigura 7 -Un arabescoa simmetriapentagonaleè compatibile con quella presente nellaprotonebulosa che ha dato origine alnostro Sistema solare.Da ciò si è quin<strong>di</strong> dedotto che il campioneanalizzato ha una genesi extraterrestre,compatibile con un meteoritecondritico (2) antichissimo che ha mantenutole sue fasi minerali stabili nel tempoe conservando le simmetrie quasicristalline.Ora il testimone passa con orgoglio daimineralisti ai planetologi e agli astrofisiciche cercheranno <strong>di</strong> ricavare il maggiornumero <strong>di</strong> informazioni sulle modalitàe sulle con<strong>di</strong>zioni della nascitadel nostro Sistema solare. (C.A.)Per approfon<strong>di</strong>reBin<strong>di</strong> L. et alii. Evidence for the extraterrestrialorigin of a natural quasicrystal. Procee<strong>di</strong>ngsof the National Academy of Sciences.(doi: 10.1073/pnas.1111115109)–––––––––(1)Icosaedro: poliedro avente 12 vertici, 30spigoli e 20 facce, le quali sono tutte triangoliequilateri. L’icosaedro è uno dei cinque soli<strong>di</strong>platonici.(2)Condriti: meteoriti rocciose caratterizzatedalla presenza <strong>di</strong> condrule, microscopiche sfere<strong>di</strong> silicati in vario stato <strong>di</strong> cristallizzazione, ericche in acqua e carbonio, spesso sottoforma<strong>di</strong> composti organici.


12 PALEO NEWSQUADERNI DEL MUSEOTettonica delle placche& ru<strong>di</strong>steFrancesco GrossiL’evoluzione e le caratteristiche dellepiattaforme carbonatiche del Cretacicoe le relative scogliere a ru<strong>di</strong>ste sono dasempre al centro dell’attenzione <strong>degli</strong>stu<strong>di</strong>osi delle Scienze della Terra peri tanti spunti che queste possono fornire,e <strong>di</strong> questi temi si occupano gruppi<strong>di</strong> ricerca nazionali ed internazionalie, come ben sanno i lettori dei “Quaderni”,nel suo piccolo anche il Museo“Ar<strong>di</strong>to Desio”, che prende in esame lepeculiarità con cui esse affiorano nei<strong>di</strong>ntorni <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave e ci raccontanola storia <strong>di</strong> un antico mare tropicale<strong>di</strong> circa 100 milioni <strong>di</strong>anni fa.Nel numero 1 dei“Quaderni” abbiamoesaminato la composizione,le caratteristichee l’evoluzionedelle scogliere coralline(“Le scogliere delpassato”, del Prof.Kotsakis), mentre nelnumero scorso, nell’articolodel Prof. Parotto(“Lungo le rive<strong>di</strong> un antico mare”),è stato riassunto il si-Figura 1 - Dominanzadelle <strong>di</strong>verse componentimineralogiche dei gusci<strong>degli</strong> organisminel tempo(asse orizzontale:n. <strong>di</strong> specie <strong>di</strong> ru<strong>di</strong>ste;asse verticale:scala del tempo)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Paleo news13gnificato geologico <strong>di</strong> una “piattaformacarbonatica”, testi ai quali riman<strong>di</strong>amoper ogni tipo <strong>di</strong> approfon<strong>di</strong>mento.Un filone molto interessante <strong>di</strong> ricercasulle piattaforme è quello che lega la loroevoluzione ai cambiamenti globali,intesi sia come eventi paleoceanografici,sia come quelle gran<strong>di</strong> variazioninella <strong>di</strong>sposizione delle masse continentalie nella produzione <strong>di</strong> nuovacrosta oceanica sui fondali marini notecome “tettonica delle placche”. Tra itanti lavori scientifici che si occupano<strong>di</strong> questo, segnaliamo una recente pubblicazionesulla rivista Geology <strong>di</strong> ThomasSteuber, ricercatore presso l’università<strong>di</strong> Bochum, in Germania.Nella parte basale del Cretacico (circa145-130 milioni <strong>di</strong> anni fa), le piattaformecarbonatiche erano caratterizzatedalla dominanza <strong>di</strong> coralli ed alghe,espressa dai paleontologi con l’acronimo“chloralgal”: in seguito, il “successo”evolutivo del gruppo delle ru<strong>di</strong>steha progressivamente mo<strong>di</strong>ficato le associazioni<strong>di</strong> organismi presenti in questiparticolari ambienti <strong>di</strong> mare basso,con acque ben ossigenate, a latitu<strong>di</strong>nitropicali (fig. 1).Dapprima, con la comparsa delle famiglieCaprinidae e Ra<strong>di</strong>olitidae, tra ilBarremiano e l’Albiano (circa 130-100milioni <strong>di</strong> anni), mentre il vero e propriodominio si verificò in corrispondenzadella comparsa della terza famiglia<strong>di</strong> ru<strong>di</strong>ste costruttrici <strong>di</strong> barriere, leHippuritidae, nel Turoniano, e per tuttoil Cretacico superiore (circa 95-65 milioni<strong>di</strong> anni), fino alla crisi biologica globaleche causò l’estinzione del 75% dellespecie viventi sul pianeta, tra cui anchele ru<strong>di</strong>ste.Il guscio carbonatico delle ru<strong>di</strong>ste presentaperò delle <strong>di</strong>fferenze <strong>di</strong> composizionea seconda della famiglia chepren<strong>di</strong>amo in considerazione: Caprinidaee Ichthyosarcolitinae (una sottofamigliadelle Ra<strong>di</strong>oliti<strong>di</strong>, per alcuni autoriuna famiglia separata), dominatricidella prima parte delle associazioni aru<strong>di</strong>ste cretaciche, sono costituiti in prevalenzada aragonite, mentre le Hippuritidaee le altre ra<strong>di</strong>oliti<strong>di</strong> hanno unadominanza della calcite (fig. 2). La formulachimica <strong>di</strong> entrambi i minerali èCaCO 3 , varia la densità, la struttura cristallina,il campo <strong>di</strong> stabilità per quantoriguarda pressione e temperatura: inparticolare, si è visto come un elevatorapporto tra magnesio e calcio nelle acqueoceaniche favorisca la precipitazionedell’aragonite, mentre un basso rapportoquella della calcite.Durante il passaggio tra Cenomanianoe Turoniano si assiste ad una crisi biologicache colpisce drasticamente alcunigruppi <strong>di</strong> organismi, tra cui le Caprinidae,a vantaggio <strong>di</strong> una successivaesplosione dei gruppi a guscio dominatoda calcite, come appunto le Hippuritidaee alcuni generi <strong>di</strong> Ra<strong>di</strong>olitidae.Questa netta variazione è stata messa inrelazione da Steuber ed altri autori conun forte incremento nella produzione<strong>di</strong> nuova crosta oceanica nei fondalimarini, proprio in quel particolare intervallo<strong>di</strong> tempo nella storia della Terra.Dalle spaccature che marcano comecicatrici i fondali, le dorsali oceaniche,fuoriuscì una notevole quantità <strong>di</strong> magmibasaltici, e ciò causò un alterazionenel rapporto Mg/Ca a vantaggio delcalcio, favorendo la precipitazione dellacalcite, che partecipò alla costruzione


14 Paleo newsQUADERNI DEL MUSEOFigura 2 - Porzione <strong>di</strong> calcite ed aragonite nel guscio <strong>di</strong> alcune ru<strong>di</strong>ste (nero: calcite; grigio: aragonite)del guscio <strong>di</strong> molti organismi, tra cui leru<strong>di</strong>ste.L’autore tedesco ha analizzato ed integratoun’enorme quantità <strong>di</strong> dati provenientida depositi euro-asiatici ed americani(nella figura 1 i due contributi sono<strong>di</strong>fferenziati), e sottolinea come, inrealtà, anche nell’Albiano e nel Cenomanianoci siano evidenze <strong>di</strong> una notevoleproduzione <strong>di</strong> nuova crosta oceanica,ma in corrispondenza <strong>di</strong> quel periodo<strong>di</strong> tempo la Terra conobbe un’imponenteaumento globale delle temperature(il Cenomaniano è correlato almomento più caldo dell’intero Cretacico),ed acque più calde favoriscono laprecipitazione dell’aragonite, cosicchésolo a partire dal Turoniano i gruppicon guscio costituito in prevalenza dacalcite hanno preso effettivamente ilsopravvento.Geo<strong>di</strong>namica globale del pianeta, antichiambienti <strong>di</strong> vita, geochimica delleacque, paleontologia: queste nuove linee<strong>di</strong> ricerca tengono insieme tuttiquesti aspetti della Geologia, a <strong>di</strong>mostrazioneche l’integrazione dei dati <strong>di</strong>più <strong>di</strong>scipline è necessaria per poterspiegare al meglio l’evoluzione del nostropianeta e delle forme <strong>di</strong> vita che lohanno abitato.Per approfon<strong>di</strong>reSteuber T., <strong>2011</strong>. Plate tectonic control on theevolution of Cretaceous platform-carbonateproduction. Geology, 30 (3), pp. 259-262.(doi: 10.1130/0091-7613(2002)_030_2.0.CO;2)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4CONOSCERE IL TERRITORIO15Eccezionali ritrovamenti <strong>di</strong> coralli fossili a Rocca <strong>di</strong> CaveQuei cal<strong>di</strong> mari tropicaliFrancesco GrossiIl geosito <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave non finiscemai <strong>di</strong> riservare gra<strong>di</strong>tissime sorprese:durante i recenti lavori <strong>di</strong> ampliamentodella strada (tav. I, fig. 1) che collega ilversante nord-occidentale del paese(che comprende anche la Rocca Colonna)alla porzione sud-occidentale, inprossimità del cimitero comunale, sonoinfatti venuti alla luce nuovi, eccezionalireperti fossili, fondamentali testimoni<strong>di</strong> un antico mare tropicale <strong>di</strong> circa 100milioni <strong>di</strong> anni fa.In particolare, ci vogliamo qui soffermaresu un gruppo <strong>di</strong> organismi che hafornito gli esemplari probabilmente piùspettacolari anche dal punto <strong>di</strong> vistaestetico, oltre che dall’alto significatogeopaleontologico: i coralli.Nel numero 1 dei “Quaderni”, nell’articolo“Le scogliere del passato” a firmadel Prof. Kotsakis, abbiamo trattato dellescogliere, delle loro caratteristichebiologiche e morfologiche, della loroevoluzione nel corso del tempo e deiprincipali organismi che hanno contribuitoalla loro costruzione: tra questi, icoralli sono stati, e sono tuttora, sicuramentedei protagonisti. Lungo lo scassostradale sono stati rinvenuti interi cespi(tav. I, figg. 2,4), porzioni <strong>di</strong> colonie inposizione fisiologica <strong>di</strong> vita <strong>di</strong> <strong>di</strong>versimetri dette bioèrme, oltre a esemplari <strong>di</strong>coralli isolati. Tra i coralli coloniali ritrovati,citiamo Elasmocoenia, genere <strong>di</strong>esacorallo (or<strong>di</strong>ne Scleractinia (1) ). Questoè caratterizzato da una colonia con<strong>di</strong>ametro <strong>di</strong> ogni singolo “corallìte” (2) <strong>di</strong>circa un centimetro e struttura facelloide,ossia con i corallìti che si accresconoin modo quasi paralleli tra loro, solotalvolta unendosi, a <strong>di</strong>fferenza dellastruttura dendroide (fig. 5).In tavola I, figura 3 è possibile osservareun particolare del “corallum”, (3) conil dettaglio dei setti <strong>di</strong> un singolo corallìte.Gli esemplari mostrati nelle figure(e molti altri!) sono stati identificati, ripulitidal terriccio ed ora sono conservaticon cura ed esposti presso il MuseoAr<strong>di</strong>to Desio, ed uno dei cespi più bellisi è già “guadagnato” la quarta <strong>di</strong> copertinadello scorso numero <strong>di</strong> questarivista!I nuovi fossili forniscono nuovi, interessantissimispunti per dettagliare maggiormentegli ambienti <strong>di</strong> margine <strong>di</strong>piattaforma del Cretacico superiore <strong>di</strong>Rocca <strong>di</strong> Cave, in particolare per questointervallo <strong>di</strong> tempo, risalente al Cenomaniano,circa 100-95 milioni <strong>di</strong> anni fa.Elasmocoenia è infatti segnalato nellaletteratura scientifica da Carbone et alii–––––––––(1)Scleractinia: or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> coralli sia colonialisia solitari, dallo scheletro aragonitico, presentidal Triassico all’Attuale.(2)Corallìte: ciascun elemento scheletrico <strong>di</strong>una colonia <strong>di</strong> coralli, ognuno dei quali ospita,in vita, un polipo.(3)Corallum: detto anche polipaio, definiscel’intera colonia corallina.


16 Conoscere il territorioQUADERNI DEL MUSEO1 234TAVOLA I – Fig. 1 - Parte del nuovo sentiero fossilifero; Fig. 2, 4 - Cespi <strong>di</strong> esacoralli recuperati; Fig. 3 - Particolare <strong>di</strong> un singolo corallìte


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Conoscere il territorio17Figura 5 - Possibilistrutture dellecolonie coralline(1980) proprio nell’area <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cavelungo la via <strong>di</strong> Genazzano, con piccoleporzioni <strong>di</strong> colonie <strong>di</strong> età coniaciana(circa 87-86 milioni <strong>di</strong> anni fa), mentreMariotti (1982) la rinviene nei Montidel Matese in depositi <strong>di</strong> età santoniana(circa 84-83 milioni <strong>di</strong> anni fa), quin<strong>di</strong>in entrambi i casi in terreni più giovanirispetto a quest’ultimo, eccezionale rinvenimento.Per quanto riguarda gli aspetti paleoecologici,ricor<strong>di</strong>amo che la struttura e lamorfologia delle colonie <strong>di</strong> esacorallisono in stretta relazione con l’energiadel mezzo acquatico: sulla porzione superioredel fronte della scogliera, la zonadel frangersi delle onde, quin<strong>di</strong> adelevato idro<strong>di</strong>namismo, dominano leforme incrostanti e/o massive, passando,all’aumentare della profon<strong>di</strong>tà, inambienti marini più “tranquilli”, semprepiù verso forme ramificate, sottilie/o foliacee.Le colonie <strong>di</strong> Elasmocoenia sono ramificatema piuttosto massicce, suggerendodunque un ambiente ad energia me<strong>di</strong>oaltasul fronte della scogliera.Questo ulteriore ritrovamento arricchiscela rilevanza del sito geopaleontologico<strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave. È bene ricordareche il sito fossilifero è già stato inseritonella lista dei Geositi della Regione Lazio(con il co<strong>di</strong>ce RM_16; Fattori e Mancinella,2010), e sono attualmente in itineretutte le procedure scientifiche edamministrative per proclamare l’areafossilifera <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave “MonumentoNaturale” della nostra regione.Nell’augurio <strong>di</strong> tutti, ciò comporteràun’ulteriore tutela, valorizzazione e <strong>di</strong>vulgazionedei tesori naturali del nostroterritorio a livelli più ampi e conmaggiori risorse, obiettivo da semprepresente negli auspici <strong>di</strong> una “piccola”realtà come il Museo Ar<strong>di</strong>to Desio, natoproprio come porta d’accesso al territoriocircostante ed alla sua storia.BibliografiaCarbone F., Russo A., Sirna G., 1980. Comunitàa coralli e ru<strong>di</strong>ste del Cretacico Superiore <strong>di</strong>Rocca <strong>di</strong> Cave (Monti Prenestini, Lazio). Annalidell’Università <strong>di</strong> Ferrara, Nuova Serie 9(6), pp. 199-217.Fattori C., Mancinella D., 2010. La Conservazionedel Patrimonio Geologico del Lazio:materiali, modelli, esperienze. E<strong>di</strong>zioni ARP– Regione Lazio, pp. 1-206.Mariotti G., 1982. Alcune faune a ru<strong>di</strong>ste deiMonti Carseolani:descrizione e correlazionedal bordo occidentale all’interno della piattaformalaziale-abruzzese. Geologica <strong>Roma</strong>na,21, pp. 885-902.


18 I FOSSILI DEL MUSEO “ARDITO DESIO”QUADERNI DEL MUSEOTrochactaeon matensisFrancesco GrossiCome già precisato nei numeri precedenti <strong>di</strong> questi Quaderni, gli articoli <strong>di</strong> questa serieprendono in esame, per ciascun numero della rivista, uno o più fossili tra quelli presentinella collezione del Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio”, esaminandone brevemente gli aspettiriguardanti la sistematica, la descrizione morfologica, l’antico ambiente e l’intervallocronologico in cui vissero, per conoscere un po’ più da vicino i protagonisti delle antichescogliere presenti nell’area <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave un centinaio <strong>di</strong> milioni <strong>di</strong> anni fa.Ricor<strong>di</strong>amo che, in paleontologia, ciascuna specie è inserita, dal punto <strong>di</strong> vista dellaclassificazione, in un genere <strong>di</strong> appartenenza assieme ad altre specie ad essa comparabili,così come più generi, simili tra loro per alcune caratteristiche, sono inseriti inuna stessa famiglia, e così via per livelli superiori (si veda lo schema a colori nella secondapagina <strong>di</strong> copertina). Sono, queste, le categorie tassonomiche, or<strong>di</strong>nate in manieragerarchica, secondo una nomenclatura co<strong>di</strong>ficata per la prima volta dal famosobotanico svedese Carl von Linné (Linneo) nel 1758.La prima parte della scheda identificativa dell’organismo fossile riguarda la sua collocazionenella grande famiglia <strong>di</strong> appartenenza, cui segue la cosiddetta sinonimia, ossiala lista delle più importanti citazioni <strong>di</strong> quella stessa specie in lavori paleontologici.Questo elenco serve al paleontologo per vedere come, nel corso del tempo, dalla primaistituzione, sia eventualmente cambiato il genere <strong>di</strong> appartenenza della specie inesame, in seguito a nuovi stu<strong>di</strong>, e anche per correggere eventuali errori <strong>di</strong> classificazionedel passato; inoltre, è comunque uno strumento importante per chi volesseapprofon<strong>di</strong>re le informazioni sulla specie in questione.Phylum MOLLUSCAClasse GASTROPODASottoclasse OPISTOBRANCHIAOr<strong>di</strong>ne CEPHALASPIDEAFamiglia ACTAEONIDAEGenere Trochactaeon MEEK, 1863Trochactaeon matensis (Fittipal<strong>di</strong>), 19011901 Actaeonella matensis Fittipal<strong>di</strong>, p. 11, tav. 1, figg. 14-14a1901 Actaeonella ellipsoides Fittipal<strong>di</strong>, p. 12, tav. 1, fig. 131940 Actaeonella obtusa - Delpey, p. 232, tav. 11, fig. 91953 Trochactaeon matensis - Pchelincev, p. 302, tav. 50, figg. 8-111965 Actaeonella (Trochactaeon) matensis - Lupu, p. 56, tav. 4, figg. 32a,b


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4I Fossili del Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio”191965 Actaeonella (Trochactaeon) conica - Lupu, p. 56, tav. 4, figg. 31a,b1976 Mesotrochactaeon ellipsoides - Hacobjan, p. 327, tav. 73, figg. 3-51987 Trochactaeon matensis - Kollmann, pp. 51-52, tav. 3, figg. 32-341990 Trochactaeon ghazirensis - Galvani, pp. 59-63, fig. su p. 611997 Trochactaeon matensis - Galvani, p. 28La specie Trochactaeon matensis è unaspecie <strong>di</strong> gasteropode fossile appartenentealla Famiglia Actaeonidae, unadelle famiglie <strong>di</strong> molluschi più <strong>di</strong>ffusenel Cretacico Superiore in ambiente <strong>di</strong>margine <strong>di</strong> piattaforma, in associazionecon le nerinee e le ru<strong>di</strong>ste (la figura 1 illustrala struttura generale dei gasteropo<strong>di</strong>e della famiglia Actaeonidae).T. matensis è stata istituita dal me<strong>di</strong>co enaturalista Emilio Fittipal<strong>di</strong> ad iniziodel ‘900 nei terreni del Matese, ed è caratterizzatoda una robusta conchiglia<strong>di</strong> forma ovale, subellittica, raramentebulbosa, con il labbro columellare marcatoda 3 pieghe, carattere comune amolte specie appartenenti a questa famiglia.Gli in<strong>di</strong>vidui <strong>di</strong> T. matensis mostranouna spiccata variabilità <strong>di</strong>mensionale,con l’altezza da circa 3 a 10 centimetri euna spira generalmente molto pronunciatama a volte corta e debolmentesporgente: in questi casi, l’ultimo girooccupa quasi per intero l’altezza dellaconchiglia.In Tavola I:1 è illustrato un particolaredel calcare ad acteoni<strong>di</strong> presenti all’iniziodella via <strong>di</strong> Genazzano, dove le sezionivariamente orientate mostrano lanotevole abbondanza <strong>degli</strong> in<strong>di</strong>viduipresenti, tanto da costituire, con l’accumulodei loro gusci, i principali componenti<strong>di</strong> alcuni corpi rocciosi. In I:2 siFrancesco Grossi: PhD, Dipartimento ScienzeGeologiche Università <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> “<strong>Roma</strong> <strong>Tre</strong>”;E-mail: fgrossi@uniroma3.itosserva invece la sezione longitu<strong>di</strong>nale<strong>di</strong> un singolo esemplare <strong>di</strong> T. matensis.T. matensis, come tutti gli acteoni<strong>di</strong>, abitavale zone <strong>di</strong> retroscogliera e lagunainterna, settori caratterizzati dall’energiadel moto ondoso meno elevata rispettoalla zona <strong>di</strong> scogliera. Inoltre, cometutte le specie riferibili al genere Trochactaeon,anche T. matensis è epibionte,ossia viveva all’interfaccia acqua-substrato,al contrario del genere Actaeonella,il quale, dopo lo sviluppo post-larvale,assume una modalità <strong>di</strong> vita endobionte,ossia infossata nel se<strong>di</strong>mento.Da ciò deriva anche la maggiore variabilitàmorfologica e <strong>di</strong>mensionale inTrochactaeon, “esposto” maggiormente avariazioni ambientali rispetto ad Actaeonella.Per quanto riguarda la <strong>di</strong>stribuzionecronostratigrafica, T. matensis è segnalatonei depositi del Cenomaniano e delTuroniano (da circa 100 a 90 milioni <strong>di</strong>anni fa) <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave, dei Monti delMatese (Molise), del Carso triestino esloveno, in <strong>Roma</strong>nia, Grecia e Caucaso.BibliografiaCarbone F., Praturlon A., Sirna G., 1971. TheCenomanian shelf-edge of Rocca <strong>di</strong> Cave(Prenestini Mts., Latium). Geologica <strong>Roma</strong>na,10, pp. 131-198.Fittipal<strong>di</strong> C.F., 1901. La fauna coralligena delCretaceo dei monti d’Ocre. Memorie Descrittivedella Carta Geologica d’Italia, 5: 3-235.Galvani R., 1997. Le principali malacofaune delCretacico Superiore del Carso. Atti del MuseoCarsico Geol. Paleont., 2, pp. 1-30.


20 I Fossili del Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio”QUADERNI DEL MUSEOStruttura generale <strong>degli</strong> acteoni<strong>di</strong>abcdFigura 1 - a: Caratteri morfologici dei gasteropo<strong>di</strong>. b: Disegno <strong>di</strong> T. matensis (da Fittipal<strong>di</strong>,1901). c-d: Diversa morfologia della conchiglia nel genere Trochactaeon (c, spira sporgente) edActaeonella (d, spira involuta) (da Galvani, 1997)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4I Fossili del Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio”21Trochactaeon matensis (Fittipal<strong>di</strong>)TAVOLA I121 - Sezioni trasversali naturali (per erosione) <strong>di</strong> molti esemplari <strong>di</strong> T. matensis. La barra corrispondea 2 cm. 2 - Sezione longitu<strong>di</strong>nale <strong>di</strong> un singolo esemplare, che permette <strong>di</strong> osservarela spira sporgente.


22 GEOSITI DEL LAZIOQUADERNI DEL MUSEOAlla scoperta del nostro patrimonio geopaleontologicoIl Monte Morra e i megalodonti<strong>di</strong>Andrea BollatiAndrea Bollati: PhD, Dipartimento <strong>di</strong> ScienzeGeologiche, Università <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> “<strong>Roma</strong> <strong>Tre</strong>”Con questo numero dei “Quaderni delMuseo” inauguriamo la rubrica de<strong>di</strong>cataai geositi del Lazio, ed in particolarea quelli che seppur meno conosciutimeritano certamente una visita. Il primoluogo d’interesse geologico chesuggeriamo è sito sui Monti Lucretili(ubicati a N dei Monti Prenestini e <strong>di</strong>Rocca <strong>di</strong> Cave) che rappresentano i rilievipiù occidentali dell’AppenninoCentrale e che si ergono ripidamente aest della Campagna <strong>Roma</strong>na.Cos’è un GeositoUn Geosito, definito come “una località,area o territorio che presenta un interessegeologico - geomorfologico per la conservazione”(W.A.P. Wimbledon, 1996), è unbene naturale non rinnovabile, rappresentaun patrimonio geologico inestimabileche bisogna censire, tutelare eFigura 1 - Ubicazione del Parco Naturale Regionale dei Monti Lucretili e del M. Morra


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geositi del Lazio23valorizzare; la maggior parte <strong>di</strong> essi èsconosciuta ai più e assumono grandeimportanza anche per nuove forme <strong>di</strong>Turismo come il GeoTurismo che guardaalla geo<strong>di</strong>versità come il fattore chiaveche sta alla base della bio<strong>di</strong>versità epiù in generale agli ambienti naturali.La “geo<strong>di</strong>versità”, intesa come l’insiemenaturale <strong>degli</strong> aspetti, associazioni,sistemi e processi geologici e geomorfologici,“include testimonianze della storiadella Terra (testimonianze della vitapassata, <strong>degli</strong> ecosistemi e <strong>degli</strong> ambienti)ed un insieme dei processi (biologici,idrologici ed atmosferici) usualmenteagenti sulle rocce, sulla geomorfologiae sul suolo” (Eberhard, 1997).Il Geositodel Monte Morra:I calcari dolomiticia megalodonti<strong>di</strong>Il geosito proposto èuno dei molteplici presentinel Parco NaturaleRegionale dei MontiLucretili e sicuramenteuno dei più interessantie facilmente raggiungibilitramite una brevee piacevole escursione.partenza <strong>di</strong> alcune delle più interessantiescursioni nel Parco.Arrivati a Prato Favale, in prossimitàdell’ultimo tornante (q. 780 m) ha inizioil sentiero n. 302 (fig. 2); ci si <strong>di</strong>rige versoS prendendo come riferimento unagrossa quercia isolata (fig. 2), superatala quale ha inizio una evidente traccia<strong>di</strong> sentiero che s’inoltra in un bosco nontroppo fitto.Si procede in leggera salita (presenti alcunisegnavia bianco/rossi) sino ad arrivare(dopo c.a. 15-20 minuti) ad unpianoro (q. 865 m) dove la vegetazioneè più rada; qui vi sono le in<strong>di</strong>cazioni(ban<strong>di</strong>erine b/r su roccia) per i sentieri303D (che prosegue verso S) e 302A(che prosegue verso NE); si prendedunque quest’ultimo che sale versomonte lungo una traccia poco evidente,Come arrivareDal centro abitato <strong>di</strong>Marcellina (fig. 1) siprende la strada per S.Polo dei Cavalieri; dopopoche centinaia <strong>di</strong>metri (a circa quota 360m) si prende la stradache sale con ampi tornantialla località <strong>di</strong>Prato Favale, luogo <strong>di</strong>Figura 2 - Stralcio della carta escursionistica dei Monti Lucretili(scala 1:25.000; ed. Il Lupo), con l’ubicazione dei geositie del tracciato del percorso del M. Morra proposto. Nella foto in altoa destra la grande quercia all’inizio del percorso (vista da sud)


24 Geositi del LazioQUADERNI DEL MUSEOFigura 3 - Affioramento dei calcari dolomitici a megalodonti<strong>di</strong>sono presenti però segnavia b/r su roccee alberi (aguzzare la vista!). Salendo,alcune radure permettono <strong>di</strong> ammirareil versante N <strong>di</strong> M. Gennaro (che coni suoi 1273 m è il monte più alto <strong>di</strong>quest’area dei Lucretili); non è raro incontrarecavalli allo stato brado (nientepaura, all’avvicinarsi dell’escursionistasi allontanano tranquilli per altri luoghi).Si prosegue in <strong>di</strong>rezione NE seguendola traccia sempre meno evidente,ma la vegetazione meno fitta e i segnaviaaiutano comunque a non perdereil sentiero.Dopo circa 10 minuti dall’incrocio deisentieri 302A e 303D, a quota 940 m, siarriva al geosito (fig. 2, sito n.1) e all’affioramento(fig. 3) dei calcari dolomiticicon gusci <strong>di</strong> Magalodon (bivalvi).Dopo avere visitato il sito si consigliavivamente <strong>di</strong> proseguire per la vicinacima del M. Morra, salendo in <strong>di</strong>rezioneENE (seguire i segnavia b/r), sino aquando le pendenze <strong>di</strong>minuiscono decisamente,la vegetazione è rappresentatada qualche albero isolato e la vettaè ormai a vista; raggiunta questa (10minuti dal geosito) è possibile ammirareil magnifico panorama a 360° (fig. 4)su buona parte dell’Appennino Centrale(si riconoscono i vicini monti Gennaroe Cervia e le più lontane dorsali delGran Sasso e Velino, verso SE e S siscorgono i Monti Simbruini, Ernici ePrenestini e verso SW i Colli Albani eancora a W la Campagna <strong>Roma</strong>na e lacapitale).Il ritorno avviene per il percorso dell’andata(seguendo il segnavia b/r e la tracciaa volte più evidente a volte meno).Descrizione del geositoIl sito (fig. 3) è costituito da una successione<strong>di</strong> strati calcarei e calcareo-dolomitici,color da grigioscuro a nocciola scuro,del Triassico Superiore(Retico); gli strati immergonoverso E (versomonte) e hannospessori me<strong>di</strong> <strong>di</strong> qualchedecimetro ma alcuni<strong>di</strong> questi possonoraggiungere il metro;proprio quest’ultimisono ricchi <strong>di</strong> grossibivalvi magalodonti<strong>di</strong>(genere Megalodon)con <strong>di</strong>mensioni anche<strong>di</strong> qualche decimetro(figg. 5 e 6). La particolaritàdell’affioramentoè rappresentata dallararità <strong>di</strong> rocce cosìantiche (più <strong>di</strong> 200 mi-


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geositi del Lazio25Figura 4- Salendo alla cima del M. Morra: panorama verso i Monti Prenestini e i Colli Albani(sullo sfondo a destra)lioni <strong>di</strong> anni!) in Appenino Centrale edalla conservazione e abbondanza deifossili presenti (per tali motivi è severamentevietato danneggiare il sito e prelevareframmenti <strong>di</strong> roccia e fossili).Nel Triassico quest’area (come tuttol’Appennino Centrale) faceva parte <strong>di</strong>un ambiente definito piattaforma carbonaticapoiché i se<strong>di</strong>menti presenti,prodotti anche dall’accumulo <strong>di</strong> gusci escheletri <strong>di</strong> animali, sono formati dacarbonato <strong>di</strong> calcio (la litificazione <strong>di</strong>questi se<strong>di</strong>menti origina le rocce denominatecalcari).I megalodonti<strong>di</strong> vivevano nei bassi fondali(profon<strong>di</strong>tà massima 10 m) fangosimarini caratterizzati da acque calde,trasparenti e ben ossigenate, sotto la lineadella bassa marea. Queste con<strong>di</strong>zionirisentono <strong>di</strong> correnti e moto ondosoe per tale motivo questi bivalvi avevanosviluppato conchiglie a guscio spessocon gli umboni piegati ad uncino(figg. 6 e 7) che permettevano loro <strong>di</strong>ancorarsi meglio nel se<strong>di</strong>mento scioltoin cui erano infossati parzialmente.Gli strati a bivalvi si trovano al tettodella successione <strong>di</strong> depositi della Formazionedella Dolomia Principale, delTriassico Superiore, costituita da alcunecentinaia <strong>di</strong> metri <strong>di</strong> strati <strong>di</strong> dolomie ecalcari dolomitici; salendo al M. Morraè possibile osservare il passaggio ai più“giovani” calcari bianchi della formazionedel Calcare Massiccio del Giurassicoanch’essi <strong>di</strong> ambiente <strong>di</strong> piattaformacarbonatica (fig. 8), dove la stratificazioneè molto meno evidente e la macrofaunaè rappresentata prevalentementeda gasteropo<strong>di</strong> (<strong>di</strong>mensioni centimetriche).Per approfon<strong>di</strong>re l’argomento piattaformecarbonatiche del passato si consigliala lettura dell’articolo del ProfessorMaurizio Parotto (“Lungo le rive <strong>di</strong> unantico mare”) nel numero 2-3 <strong>di</strong> questi“Quaderni”.L’Atlante dei geositi dell’Agenzia RegionaleParchi (ARP) del Lazio segnalasul M. Morra altri due siti <strong>di</strong> interessegeologico, il Sovrascorrimento del MonteMorra (n. 222) e le Megabrecce del MonteMorra (n. 223): il primo si trova lungola strada che da Marcellina sale versoS. Polo dei Cavalieri (fig. 2, sito n. 2),poche decine <strong>di</strong> metri dopo l’inizio dellastrada che porta a Parto Favale, ecorrisponde al fronte <strong>di</strong> una cava inat-


26 Geositi del LazioQUADERNI DEL MUSEOFigura 5 - Sezioni <strong>di</strong> megalodonti<strong>di</strong>Figura 6 - Megalodonti<strong>di</strong> in posizione <strong>di</strong> vita (con gli umboni rivolti verso il basso)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geositi del Lazio273127654Figura 7 - I Megalodonti<strong>di</strong> in una tavola della pubblicazione “Paléontologie Lombarde”(1860-65) <strong>di</strong> Antonio Stoppani (in Pinna, 1976)tiva dove è possibile osservare la sovrapposizionetramite faglia delle dolomiee calcari dolomitici (color grigioscuro) del Triassico Superiore sui calcari(color bianco) del Giurassico Inferiore;i colori ben <strong>di</strong>stinguibili <strong>di</strong> questerocce <strong>di</strong> età <strong>di</strong>versa permettono <strong>di</strong> osservaremeglio la superficie della suddettafaglia (fig. 9).Il secondo geosito (n. 223) è ubicatolungo la strada che sale a Prato Favale(fig. 2, sito n. 3): un taglio stradale mettein evidenza (all’altezza del I e del IIItornante) la presenza <strong>di</strong> materiale detriticogrossolano (megabrecce) nella parteinferiore dei calcari fini <strong>di</strong> mare profondo(bacino) della formazione dellaCorniola, successivi (più recenti) rispettoai calcari del Calcare Massiccio; la presenza<strong>di</strong> tali calcari <strong>di</strong> bacino (con faunemolto <strong>di</strong>verse da quelle <strong>di</strong> mare pocoprofondo) in<strong>di</strong>ca che in quest’area è avvenutoun parziale sprofondamentodella piattaforma carbonatica, mentre lapresenza delle megabrecce all’interno<strong>di</strong> questi se<strong>di</strong>ementi in<strong>di</strong>ca la vicinanza<strong>di</strong> una porzione della stessa piattaformanon <strong>di</strong>sarticolata da cui proveniva(tramite crolli e scivolamenti) tale materialedetritico; questo si <strong>di</strong>stribuiva lungola scarpata <strong>di</strong> raccordo tra l’ambiente<strong>di</strong> mare basso e quello <strong>di</strong> mare profondoe veniva col tempo ricoperto dafanghi calcarei (i calcari della Corniola).Un altro luogo dove è possibile osservarecomodamente e forse più facilmentele megabrecce <strong>di</strong> Calcare Massiccioentro la Corniola si trova sul versantemeri<strong>di</strong>onale <strong>di</strong> M. Arcaro (fig. 2, sito n.4), lungo la strada asfaltata che da S.Polo dei Cavalieri sale verso N al M.Morra (fig. 10).


28 Geositi del LazioQUADERNI DEL MUSEOFigura 8 - Schema geologico dell’area del M. Morra (in AA. VV, 1993, mo<strong>di</strong>ficato).1 detrito <strong>di</strong> falda (a), depositi marino salmastri plio-pleistocenici (b); 2 Unità tettonica 1 (a, Calcaremassiccio; b, Dolomia Principale); 3 Unità tettonica 2; 4 megabrecce; 5 geositi; 6 sovrascorrimento;7 faglia <strong>di</strong>retta; 8 faglia verticaleFigura 9 - Geosito il n. 222 (ARP Lazio): il Sovrascorrimento del Monte Morra.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geositi del Lazio29MONTE ARCAROCOC.M.C.M.COFigura 10 - Megabrecce <strong>di</strong> Calcare Massiccio (C.M.) entro i calcari della Formazione dellaCorniola (CO) (località M. Arcaro, versante sud)BibliografiaAA. VV. (1993) - Guide Geologiche Regionali-Vol. 5: Lazio. Società Geologica Italiana, BE-MA ed., pp. 177-190, 208 - 223.Accor<strong>di</strong> G. & Carbone F. (1987) - La successionetriassica <strong>di</strong> M. Morra (Monti Sabini meri<strong>di</strong>onali).Rend. Soc. Geol. It., 10, pp. 83-86.Bosellini A. (1989) - La Geologia delle Dolomiti.Ed. Athesia, pp.1-191.Bollati A., Pitzianti P., Coronati C. (2010) - MonteCatillo, Monti Lucretili, Monti Navegnae Cervia, guida escursionistica. Escursioni,trekking e MTB nei tre parchi a nord-est <strong>di</strong><strong>Roma</strong>. Ed. Il Lupo, pp. 1-144.Bollati A., Corrado S., Cosentino D., MarinoM., Mattei M. & Parotto M. (<strong>2011</strong>) - Assettostrutturale della catena a pieghe e sovrascorrimentiUmbro-Sabina (Italia Centrale) derivatodal rilevamento dei fogli 366 “PalombaraSabina” e 375 “Tivoli” (Progetto CARG).Ren<strong>di</strong>conti Online della Soc. Geol. It., Vol.14/<strong>2011</strong>.Cosentino D., Cipollari P. & Pasquali V. (2010) -Carta della geo<strong>di</strong>versità del settore sabino -lucretili - cornicolano. Regione Lazio, AgenziaRegionale Parchi. Ed. ARP.Cosentino D., Cipollari P. & Pasquali V. (<strong>2011</strong>) -La geo<strong>di</strong>versità in ambiente carbonatico: unesempio dal settore sabino-cornicilano-lucretiledell’Appennino laziale. In: Fattori C.,Mancinella D. (eds.). La conservazione delpatrimonio geologico del Lazio. Regione Lazio,Agenzia Regionale Parchi. Ed. ARP.De Angelis G. (2010) - I Monti della Lince.Aspetti storico-geografici, geo-paleontologici,floristici, faunistici e paletnologici. Ed. ParcoRegionale dei Monti Lucretili, pp. 1-280.Eberhard (1997) - Pattern and Process: Towardsa Regional Approch to National Estate Assessmentof Geo<strong>di</strong>versity; Technical Seriesn. 2, Australian Heritage. Commision & EnvironmentForest Taskforce, EnvironmentAustralia, Canberra, pp. 1-102.Il Lupo E<strong>di</strong>zioni (2010) - Monte Catillo, MontiLucretili, Monti Navegna e Cervia, Cartaescursionistica (scala 1:25.000).Pinna G. (1976) - Il grande libro dei fossili. RizzoliEd., pp. 1-383.Wimbledon W.A.P. (1996) - Geosites - a newconservation initiative. Episodes 19, pp. 87-88.Siti internet consigliatihttp://www.arplazio.ithttp://www.geositi.net/public/http://www.parchilazio.ithttp://www.parcolucretili.it/


30 APPUNTAMENTI AL MUSEOQUADERNI DEL MUSEOATTIVITÀ DIDATTICHE DEL MUSEOUfficio Comune (lunedì-sabato ore 9-13.30):tel. 06 9584098/9574952; fax 06 9584025siti web: rocca<strong>di</strong>cave@provincia.roma.it / www.hipparcos.itmail: hipparcos.cds@tiscali.itOrari <strong>di</strong> apertura: Pubblico: sabato e domenica: 10.00 - 13.00 e 16.00 - 19.00Scuole e gruppi: martedì e venerdì su prenotazione (per scuole e gruppi superiorialle 20 unità). Costi: euro 4-5 (per tipologia <strong>di</strong> attività).Note: Le attività si svolgono durante l’intero periodo scolastico. Attività previste:Visita al museo; Laboratorio; Percorso esterno; Intervento in classe: su richiesta.■ SCUOLE PRIMARIE - Alla scoperta delle rocce e dei fossili.Età: 8-10 anni; classi: 3-4-5; durata attività: 3 ore; costi: 4 euro.Obiettivi <strong>di</strong>dattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione,l’orientamento geografico, il riconoscimento delle rocce e dei fossili.■ SCUOLE MEDIE - La storia del Lazio raccontata dalle rocce e dai fossili.Età: 10-13 anni; durata: 3 ore; costi: 4 euro.Obiettivi <strong>di</strong>dattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione,l’orientamento geografico, il riconoscimento delle rocce e dei fossili, le fasi dell’evoluzionedell’Appennino.■ SCUOLE MEDIE SUPERIORI - Sulle sponde <strong>di</strong> un altro mare: l’evoluzionegeologica dell’Appennino centrale.Età: 14-18 anni; durata: 3 ore; costi: 4 euro.Obiettivi <strong>di</strong>dattici: Introduzione all’osservazione del territorio della regione, ilriconoscimento delle rocce e dei fossili, le principali fasi dell’evoluzione e dellastrutturazione della catena appenninica, la nascita del Mar Tirreno e dei vulcanilaziali.MODULO DIDATTICO “ESPLORIAMO IL CIELO”Laboratorio: Serata astronomica (o Planetario <strong>di</strong>dattico, sostitutivo per cause meteorologicheo su richiesta); durata: 150’-180’; costi: 5 euro.Attività previste: Visita al museo; Seminario; Osservazione astronomica; Planetario(opzionale); Percorso esterno.Obiettivi <strong>di</strong>dattici: Favorire l’acquisizione delle conoscenze <strong>di</strong> base dell’Astronomia.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4UN LIBRO ALLA VOLTAJack RepcheckL’uomo che scoprì il tempoa cura <strong>di</strong> Francesco Grossi31Il saggio <strong>di</strong> Jack Repcheck racconta unadelle più gran<strong>di</strong> rivoluzioni della scienzae rende il giusto merito a James Hutton,scienziato scozzese della secondametà del ‘700, il primo a <strong>di</strong>staccarsi dall’ortodossiacattolica e a teorizzare un’etàdella Terra molto più antica <strong>di</strong> quei6000 anni dedotti dalle Sacre Scritture.Una Terra in continua trasformazione,continuamente plasmata da forze imponenti,ben lontana dalla visione fissistae catastrofista propugnata dai maggioriuomini <strong>di</strong> scienza <strong>di</strong> un’epoca fortementepermeata dai dogmi religiosi.Le intuizioni <strong>di</strong> Hutton furono poi ripresee sistematizzate da Charles Lyell,ed entrambi possono a pieno <strong>di</strong>ritto essereconsiderati i padri della geologiamoderna.“L’uomo che scoprì il tempo” descrivecon dovizia <strong>di</strong> particolari la Scozia nellaquale Hutton crebbe, pervasa da fervoriilluministi, fortemente viva dal punto<strong>di</strong> vista intellettuale, se è vero che ThomasJefferson scrisse “nessun posto almondo poteva pretendere <strong>di</strong> competerecon E<strong>di</strong>mburgo”.Il saggio de<strong>di</strong>ca inoltre ampio spazio alleconseguenze della “rivoluzione huttoniana”sul pensiero dell’800, in specialmodo su un giovane inglese che, affascinatodall’idea <strong>di</strong> un mondo in perenneevoluzione, volle verificare se ciòfosse valido anche nel mondo biologico:Charles Darwin. Forte delle letture deltesto huttoniano, “Teoria della Terra”, e<strong>di</strong> quello <strong>di</strong> Lyell, “Principi <strong>di</strong> Geologia”,Darwin elaborò così la sua teoria evolutiva,altra pietra miliare dell’evoluzionedel pensiero scientifico dell’uomo, testimonianza<strong>di</strong> come spesso, nella storiadella scienza, singole personalità raccolganol’ere<strong>di</strong>tà <strong>di</strong> contemporanei e predecessorie facciano compiere al saperescientifico un ennesimo balzo in avanti:giganti sulle spalle <strong>di</strong> altri giganti.Il testo <strong>di</strong> Repcheck è quin<strong>di</strong> fortementeconsigliato: una meravigliosa avventurascientifica descritta con taglio fortemente<strong>di</strong>vulgativo senza però rinunciareagli approfon<strong>di</strong>menti e a una rigorosadocumentazione.Jack Repcheck L’uomoche scoprì il tempoRaffaello Cortina E<strong>di</strong>tore, 2004,233 pp., collana Scienza e Idee,traduzione <strong>di</strong> Stefano Moriggi


32Un libro alla voltaQUADERNI DEL MUSEOWalter AlvarezLe montagne <strong>di</strong> san Francescoa cura <strong>di</strong> Maurizio ChirriL’autore è noto al pubblico italiano peril volume “T. rex e il cratere dell’apocalisse”(Mondadori, 1998), in cui ha affrontatole tematiche connesse alla scopertanel 1979 del livello <strong>di</strong> iri<strong>di</strong>o nellaGola del Bottaccione, unitamente a suopadre, Louis Alvarez (Premio Nobel perla Fisica) e le implicazioni con la grandeestinzione della fine del periodo Cretacico.“Le montagne <strong>di</strong> san Francesco”segna un momento <strong>di</strong> particolare riflessionenella sua carriera <strong>di</strong> geologo, svoltasiper oltre tre decenni, in gran partenel nostro paese. Il libro offre un quadrocomplesso che mescola la vicenda personalecon le ricerche condotte in <strong>di</strong>versisettori geologici nella parte d’Italiacentrale compresa fra la Campagna romanae il settore dell’Appennino umbro-marchigiano.È proprio quest’ulti-ma area a dare lo spunto al titolo del volume,con suggestive riflessioni privatesul paesaggio, sulla storia, sull’arte. Nelperiodo compreso fra il 1970 e il primodecennio del secolo, si è verificata unavera rivoluzione nella comprensionedei meccanismi geologici dell’orogenesiappenninica. La descrizione delle <strong>di</strong>versetappe e dei protagonisti dell’eccezionalefioritura <strong>di</strong> stu<strong>di</strong> e ricerche chel’hanno prodotta, sono ampiamente descritticon molti riferimenti ai protagonisti.Dalle scuole geologiche toscane,con Livio <strong>Tre</strong>visan, Carlo Migliorini,Giovanni Merla, Paolo Pialli, al ruolodei geologi dei gruppi <strong>di</strong> ricerca delleuniversità romane, “La Sapienza” e“<strong>Roma</strong> <strong>Tre</strong>”, in primis Renato Funiciello.Alcuni capitoli sono de<strong>di</strong>cati alla Storiadella geologia italiana, a partire dalleosservazioni e stu<strong>di</strong> in Toscana del daneseNiels Stensen, Niccolò Stenone, <strong>di</strong>mostrandocosì una sensibilità non comunenegli autori stranieri. Citando igran<strong>di</strong> fondatori della Geologia moderna,Smith, Hutton, Lyell, l’autore <strong>di</strong>mostra<strong>di</strong> essere cosciente del problema deldebito per le acquisizioni precedenti edei molteplici contributi a loro contemporanei,su cui si sono comunquefondate le riflessioni e le scoperte deipadri nobili delle moderne Scienze dellaTerra. Vale sempre la considerazioneespressa nel detto “se abbiamo visto piùlontano, è solo perché abbiamo guardatosulle spalle <strong>di</strong> altri prima <strong>di</strong> noi”. Co-


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Un libro alla volta33sì la ricostruzione dei primor<strong>di</strong> dell’interpretazionegeologica è affidata aisuggestivi <strong>di</strong>segni <strong>di</strong> Stenone, con la suecaverne crollate e invase dal mare, concui spiegava l’aspetto delle valli e dei rilievitoscani. Si può notare che ancheStenone, per la sua interpretazione geologica,si fondava su altri prima <strong>di</strong> lui:la sua “teoria pneumatica” dei terremoti,le ingressioni marine, insieme a moltoaltro ancora, era stato descritto oltre15 secoli prima dai geografi greci. Nellesue pagine si susseguono i contributi <strong>di</strong>altri scienziati italiani, fra cui il fondatoredella micropaleontologia, l’aretinoAmbrogio Soldani, il veronese GiovanniArduino, tra i fondatori della modernaStratigrafia, i geologi italiani <strong>di</strong> fineottocento fra cui Guido Bonarelli. Contributisuccessivi, acquisizioni più o menovalide, che comunque contribuironoprogressivamente prima a intuire e poicomprendere la complessa storia geologicadei nostri rilievi. Il lettore può seguire,con chiarezza espositiva, il succedersidelle teorie, dapprima nel quadro<strong>di</strong> una Terra immobile, il “Fissismo”, leonde compressive e <strong>di</strong>stensive dellageologia <strong>degli</strong> anni ‘50, la scoperta delruolo delle faglie inverse. Quin<strong>di</strong> in unavisione <strong>di</strong>namica, quella della “Tettonicadelle placche”, il riconoscimento <strong>di</strong>ampi sovrascorrimenti orizzontali, delruolo dei mari <strong>di</strong> neoformazione, comeil Tirreno, con i gran<strong>di</strong> vulcani che vi siaffacciano. Infine le integrazioni più recenti,che si basano su un Me<strong>di</strong>terraneo<strong>di</strong>namico dove negli ultimi 20 milioni<strong>di</strong> anni, la traslazione antioraria dellapenisola è collegata allo smembramentodella porzione meri<strong>di</strong>onale della catenaalpina, formata dai blocchi sardocorsoe calabro-peloritano, capaci <strong>di</strong>movimenti dell’or<strong>di</strong>ne <strong>di</strong> molti centimetriannui, mentre alla fine del Miocenela progressiva chiusura della soglia <strong>di</strong>Gibilterra generava nei fondali me<strong>di</strong>terraneiun ubiquitario orizzonte evaporitico.Le evaporiti messiniane, traccia <strong>di</strong>una catastrofe ambientale <strong>di</strong> 6 milioni<strong>di</strong> anni fa, sono state scoperte durantegli anni ‘70 in prospezioni <strong>di</strong> geologiamarina, cui ha contribuito <strong>di</strong>rettamentel’autore. L’aspetto delle nostre montagneè spiegato con teorie via via maggiormentecomplesse, più comprensivedel quadro globale in cui sono inserite:il Me<strong>di</strong>terraneo, laboratorio delle indaginipiù avanzate, quali la tomografiasismica, e delle ipotesi più innovative,come la “Teoria della delaminazionedella crosta profonda”. Il libro si leggecon grande interesse ed è in grado <strong>di</strong>svelare prospettive inusuali con cui osservareil panorama che ci circonda: lemontagne dell’Appennino, i vulcani,anche il cuore della nostra città, il Campidoglio.È il punto <strong>di</strong> vista della geologiache permette <strong>di</strong> vedere nello spazioe nel tempo profondo. Le relazioni conle molteplici vicende storiche e artistichedella penisola, che costituisconola seconda prospettiva. Infine, il terzoorizzonte, rappresentato dagli uomini<strong>di</strong> questa storia e dall’autore. Traspare,in ogni pagina, un profondo coinvolgimentoemotivo per il Bel Paese “ch’Appennin parte, e ‘l mar circonda e l’Alpe”(F. Petrarca, sonetto XCVI).Walter AlvarezLe montagne<strong>di</strong> san FrancescoFazi E<strong>di</strong>tore, <strong>2011</strong>, 413 pp.


34 CONVEGNIQUADERNI DEL MUSEOLa bellissima cornice del Monte San Giorgioper l’adunanza annuale dei paleontologi italianiLe Giornate<strong>di</strong> Paleontologia <strong>2011</strong>Francesco GrossiDal 2 al 4 Giugno <strong>2011</strong> si sono tenute leannuali “Giornate <strong>di</strong> Paleontologia”,convegno organizzato dalla S.P.I., la SocietàPaleontologica Italiana (fig. 1), perfare il punto della situazione sullo statodella ricerca paleontologica italiana ecoinvolgere in questo tipo <strong>di</strong> manifestazioniscientifiche anche tutti gliappassionati e i “paleontofili” non accademici.Quest’anno il titolo scelto per il simposio,“Fossili senza confini”, è ampiamentegiustificato dalla location, veramentespeciale: Il Monte San Giorgio(<strong>di</strong> seguito chiamato MSG), località inparte in territorio italiano e in parte inSvizzera, che si affaccia sul suggestivoFigura 1 - Il logodella Società Paleontologica ItalianaFigura 2 - Il logo del geosito Monte San GiorgioLago <strong>di</strong> Lugano (figg. 2-3). La paleontologiaitaliana ha risposto con un ottimonumero <strong>di</strong> partecipanti!La località è da anni oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>odel gruppo <strong>di</strong> ricercatori dell’Università<strong>di</strong> Milano, con il Prof. Andrea Tintoriquale referente scientifico, i quali si sonopoi <strong>di</strong>mostrati ottimi ospiti ed organizzatoridelle Giornate.Per chiarificare l’importanza geo-paleontologicadel MSG, basti <strong>di</strong>re che loscorso anno il versante italiano è entratoa far parte dei siti <strong>di</strong>chiarati “PatrimonioMon<strong>di</strong>ale” dall’Unesco (il versantesvizzero aveva concluso l’iterburocratico già da qualche anno), proprioper l’abbondanza, la completezzae la conservazione dei resti fossili <strong>di</strong>vertebrati marini del Triassico Me<strong>di</strong>o,


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Convegni35Figura 3 - Scorcio panoramico dal MSG verso il Lago <strong>di</strong> Luganoche ne fanno uno dei lagerstätten (1) europeipiù noti.I referenti italiani si sono riuniti in unaConvenzione dei Comuni, quelli svizzeriin una Fondazione, ma è già attivoun “tavolo <strong>di</strong> lavoro” comune, un boardtrans-nazionale per poter gestire al meglioil sito, <strong>di</strong>viso da frontiere nazionalima unico, grande patrimonio “senzaconfini”. Il gruppo comprende rappresentantidelle amministrazioni locali, sitemenager e referenti scientifici, e tra isuoi obiettivi ci sono quin<strong>di</strong> la gestionedel geosito e la tutela, la valorizzazionee la <strong>di</strong>vulgazione <strong>di</strong> un tale patrimonionaturale, tra l’altro inserito in un’area,la regione insubrica, ricca <strong>di</strong> altri geo-–––––––––(1)Lagerstätten: giacimento <strong>di</strong> rocce se<strong>di</strong>mentariecaratterizzato da ricchissime associazionifossili e/o dalla straor<strong>di</strong>naria conservazionedelle stesse.parchi e siti <strong>di</strong> interesse geologico e naturalisticoche potranno essere coor<strong>di</strong>natiin modo organico. L’accoglienzadei visitatori al geosito MSG sarà garantitada un “visitor center” per il latoitaliano, posto a Clivio, ed uno per il latosvizzero, a Meride, attualmente sede<strong>di</strong> un piccolo museo paleontologico.Le Giornate <strong>di</strong> Paleontologia sono iniziatenel paese <strong>di</strong> Besano, in provincia<strong>di</strong> Varese, uno dei comuni italiani inseritinel sito Unesco come “zona <strong>di</strong> protezione”.Gli organizzatori hanno previstodapprima la visita al museo locale:i resti fossili provenienti dal MonteSan Giorgio sono talmente abbondantiche arricchiscono le collezioni paleontologichedei musei <strong>di</strong> Zurigo, Lugano,Milano e Induno Olona, oltre ai già citatiMeride e appunto Besano. È presenteanche la riproduzione <strong>di</strong> uno dei verte-


36 ConvegniQUADERNI DEL MUSEOFigura 4 - Gli strati laminati della Formazione <strong>di</strong> Besano ricchi <strong>di</strong> fossilibrati marini più gran<strong>di</strong> <strong>di</strong> tutta l’associazionefossile del MSG, chiamato proprioBesanosauro, un rettile lungo oltre6 metri il cui originale è conservatopresso il Museo <strong>di</strong> Storia Naturale <strong>di</strong>Milano per ricerca. La giornata è proseguitasul terreno, andando a toccare conmano le successioni rocciose così importantiper il mondo paleontologico:il sentiero percorso ha portato il gruppo<strong>di</strong> paleontofili sulletracce della Formazione<strong>di</strong> Besano (TriassicoMe<strong>di</strong>o), una serie <strong>di</strong> alternanzetra dolomie (2)laminate e scisti bituminosi,livelli nerastrifittamente stratificati ericchi in materia organica,nei quali le con<strong>di</strong>-–––––––––(2)Dolomia: roccia se<strong>di</strong>mentariacarbonatica costituitaprincipalmente dal mineraledolomite, un carbonatodoppio <strong>di</strong> calcio e magnesio;prende il nome dalnaturalista e geologo franceseDéodat de Dolomieu.zioni <strong>di</strong> scarsa ossigenazione<strong>di</strong> quegliantichi fondali marinihanno permessola conservazione deireperti fossili. Rettilimarini, pesci, molluschied altri organismiche vivevano inquei mari sono staticosì “intrappolati”nel se<strong>di</strong>mento e <strong>di</strong>venutipoi fossili senzache i batteri aerobicipotessero compiereil loro “lavoro” <strong>di</strong>struttivo (fig. 4).Tutti i partecipanti all’escursione hannoquin<strong>di</strong> tentato <strong>di</strong> essere protagonisti, almenoper un giorno, <strong>di</strong> uno straor<strong>di</strong>nario,ulteriore ritrovamento tra gli stratima, ahimé, la fortuna non è stata dallaloro parte (fig. 5)! L’escursione è poiproseguita fino all’imbocco <strong>di</strong> anticheminiere (fig. 6), scavate già dall’800 perestrarre il bitume da questi livelli scuri,Figura 5 - Alla ricerca <strong>di</strong> fossili…


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Convegni37Figura 6 - Ingresso <strong>di</strong> un’antica minierae successivamente usato per pomatecurative come l’Ittiolo (che localmenteera chiamato Saurolo vista l’abbondanza<strong>di</strong> resti <strong>di</strong> rettili!)… come <strong>di</strong>re, importanzascientifica <strong>di</strong> queste rocce manon solo!La seconda giornata del simposio ha vistocome protagoniste le comunicazioniscientifiche, presentazioni orali e poster,svoltesi in una confortevole sala congressualedell’Hotel Serpiano, postoproprio a mezzacosta sul versante svizzerodel MSG: la magnifica vista panoramicasul Lago <strong>di</strong> Lugano e sulle vettedel Monte Generoso che si insinuanonei rami del lago ha sicuramente allietatoi congressisti!Le comunicazioni scientifiche sono state<strong>di</strong> ottimo livello, piuttosto varie neitemi, alcune rivolte esclusivamente aspecialisti, altre hanno maggiormenteevidenziato l’uso della paleontologiacome strumento nelle scienze geologiche.Anche il Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio” era presentecon un suo prodotto, un postersulla prima segnalazione in Appenninocentrale dei bivalve Neithea zitteli (Pirona,1884) (per maggiori informazioni suquesta specie, si veda l’articolo relativosul precedente numero dei “Quaderni”).Al termine della giornata, il Presidentedella S.P.I., lo stesso Prof. Tintori, puntualeorganizzatore delle Giornate, haindetto l’adunata della Società Paleontologica,riservata ai soli soci, in cui sisono <strong>di</strong>scussi problemi, risorse e obiettivifuturi. Una larga convergenza si èraggiunta riguardo alla necessità <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgarein modo sempre più ampio leconoscenze legate al patrimonio geopaleontologicoitaliano, in tutte le modalitàe le forme possibili, tentando <strong>di</strong>far uscire la paleontologia (ma, in gene-


38 Convegnirale, tutte le scienze della Terra) al <strong>di</strong>fuori <strong>di</strong> una sorta <strong>di</strong> “torre d’avorio” incui troppo spesso si imprigiona. Unastrada che sembra interessare anche alcuneamministrazioni locali, con l’istituzioneufficiale sempre più frequente<strong>di</strong> geositi e geoparchi <strong>di</strong> interesse regionaleo nazionale forniti <strong>di</strong> percorsi attrezzati,che possono così valorizzare lericchezze della storia naturale italianaanche sul fronte del geoturismo. Tuttele strutture, atenei, musei, enti, si impegnano,con i rispettivi mezzi, a produrreidee, iniziative, come la “Settimanadella Scienza”, che, prossimamente,consentirà l’apertura al pubblico <strong>di</strong> tantissimestrutture solitamente non visitabili,o percorsi guidati particolari edexhibit nelle strutture museali de<strong>di</strong>catianche, ma non solo, alle scuole.Nel suo “piccolo”, questa è anche la lineaguida del Museo “Ar<strong>di</strong>to Desio”,che aderirà quin<strong>di</strong> con entusiasmo aQUADERNI DEL MUSEOqualsiasi forma <strong>di</strong> <strong>di</strong>vulgazione coor<strong>di</strong>nata,sfruttando anche, come tanti altrimusei locali, il ra<strong>di</strong>camento sul territorio.Come <strong>di</strong>sse già nel 1971 Huguesde Varines, nella prima definizione <strong>di</strong>“ecomuseo”, questo deve rappresentareuna “porta” sulla storia naturale,passando dal concetto <strong>di</strong> “immobile aquello <strong>di</strong> territorio”, e dalle collezionifine a se stesse a quello <strong>di</strong> patrimonioda tutelare e da <strong>di</strong>vulgare nel suo pienosignificato.Un altro punto <strong>di</strong> convergenza dei socidella S.P.I., questa volta purtroppo negativo,è stata la denuncia della costante<strong>di</strong>fficoltà nel reperire fon<strong>di</strong> adeguatiche possano permettere <strong>di</strong> sviluppare almeglio i piccoli e gran<strong>di</strong> progetti che rischianotroppo spesso <strong>di</strong> rimanere sullacarta… Stabilita, infine, anche la sededelle Giornate <strong>di</strong> Paleontologia 2012:spettano all’Università <strong>di</strong> Catania l’onoree l’onere dell’organizzazione.Figura 7 - Foto <strong>di</strong> gruppo dei congressisti


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Convegni39Figura 8 - Esemplare <strong>di</strong> Felberia excelsaLa terza giornata del simposio si è apertacon una mattinata de<strong>di</strong>cata ad alcuneconferenze ad invito riguardantil’evoluzione della regione insubrica, lageologia delle Alpi meri<strong>di</strong>onali e, inparticolare, del settore del MSG. Alcunecomunicazioni si sono poi focalizzatenel dettaglio sulle faune a pesci e rettilidella Formazione <strong>di</strong> Besano, mentrequella conclusiva, tenuta dal Prof. Tintori,ha illustrato le analogie tra i terrenitriassici del MSG e gli equivalenti in Cina,oggetto <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o del Dipartimento<strong>di</strong> Scienze della Terra <strong>di</strong> Milano. Dopopranzo, e dopo la foto <strong>di</strong> rito che ha ritrattotutti i congressisti (fig. 7), le Giornate<strong>di</strong> Paleontologia si sono conclusecon un’ultima escursione, purtroppoparzialmente <strong>di</strong>sturbata dal tempo,questa volta sul versante svizzero delMSG, guidata da Heinz Furrer, paleontologodell’Università <strong>di</strong> Zurigo che datempo stu<strong>di</strong>a i rettili fossili del MSG.Ultima tappa prima del ritorno a casa,la visita al museo <strong>di</strong> Meride, che sarà,come detto, presto ristrutturato ed ampliatoe fungerà da centro visitatori delgeosito MSG.Anche questo piccolo museo è comunqueattualmente ricco <strong>di</strong> tanti reperti,ed è impreziosito da antiche illustrazioniche permettono <strong>di</strong> visualizzare gliantichi fondali marini del Triassico.Nella figura 8 è illustrato un esemplare<strong>di</strong> Felberia excelsa presente nel museo,una delle tante specie <strong>di</strong> pesci fossilirinvenute con in<strong>di</strong>vidui perfettamenteconservati.Così si è conclusa questa “tre giorni”paleontologica al confine tra Italia eSvizzera, con la certezza che la conoscenzadei beni paleontologici e geologiciporta anche ad una comprensionepiù viva della storia naturale dei nostriterritori, in modo che si possano anchemaggiormente rispettare e valorizzare.


40 GEO-QUIZQUADERNI DEL MUSEOSOLUZIONI DEI GIOCHI DEL NUMERO PRECEDENTE1. Geo-crucintarsio2. Il cercafossilida sinistra: corallo massivo,pesce, bivalve, uovo, stellamarina, corallo ramificato,dente <strong>di</strong> squalo, ammonite,ru<strong>di</strong>sta, nerinea, cranio3. Li riconoscete?a. Nerineab. Acteonellac. circa 100 milioni <strong>di</strong> anni fa1. GEO-CRUCINTARSIOIn questo riquadrosono nascostialcuni nomi “geologici”.Le parole possonoessere scritteanche al contrario,oblique e dal bassoverso l’alto…TROVATELI!MONTE - GEOSITO - MINERALE - VALVA - STELLA - NERINEA- CONCHIGLIA - GIACIMENTO - BIVALVE - ROCCIA


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Geo-Quiz412. TROVA LA PAROLACompletate lo schema <strong>di</strong> parole orizzontali, aiutandovi con gli articoli <strong>di</strong> questonumero dei Quaderni e con le lettere presenti; troverete così la parola verticalenelle caselle evidenziate, che corrisponde ad una famiglia <strong>di</strong> ru<strong>di</strong>ste molto <strong>di</strong>ffusatra i fossili <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave!1. Provoca movimenti del suolo2. Famiglia <strong>di</strong> gasteropo<strong>di</strong> con formaad “oliva”3. Il paese che ospita il nostro Museo4. Nel passato, la costruivano ru<strong>di</strong>stee coralli5. Colui che stu<strong>di</strong>a la Terra6. Protagonisti “coloniali” delle scogliere7. Cantone svizzero conil Monte San Giorgio8. Importante geologo scozzesedel ’7009. “Cucciolo” <strong>di</strong> <strong>di</strong>nosauro italiano10. Il celebre Ar<strong>di</strong>to a cui è de<strong>di</strong>catoil Museo11. Pianeta del Sistema solarepiù vicino al Sole3. LO RICONOSCETE ?Si chiama C e, con la suaconchiglia un po’ particolare,è un tipico abitante dellescogliere <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave.Anche con l’aiutodel Quaderno precedente,provate a rispondere:a. chi è C?b. a quale grande gruppo<strong>di</strong> molluschi appartiene?a cura <strong>di</strong> Akira


42 I PROTAGONISTIAlexander von HumboldtEsploratore romanticoSi narra che nel 1778, Federico II,re <strong>di</strong> Prussia, si rivolse ad unbambino <strong>di</strong> 8 anni: “Nome?” –“Alexander von Humboldt, Sire”– “Alexander…” fece pensierosoFederico il Grande… “Mipare <strong>di</strong> ricordare che sia esistitoun grande conquistatore conquesto nome. Anche tu vuoi <strong>di</strong>ventareconquistatore?” – “Sì Sire,ma con il mio cervello”, risposeil giovane Humboldt.Francesco GrossiQUADERNI DEL MUSEONel 2009 ricorreva non solo il150° anniversario della pubblicazionede “L’origine delle specie”<strong>di</strong> Charles Darwin, giustamentecelebrato, ma anche il 150° annodalla scomparsa <strong>di</strong> FriedrichHeinrich Alexander Freiherr vonHumboldt (Berlino, 14 settembre1769 - Berlino, 6 maggio1859), il padre delle Scienze Naturali(fig. 1). Allievo <strong>di</strong> gran<strong>di</strong>geologi e naturalisti come Werner,Heyne, Lichtenberg e Blumenbach,la sua opera e il suo esempio <strong>di</strong> naturalista-esploratorecontribuirono a far nascerein Darwin stesso, Wallace, Haeckeled in molti altri l’amore per la scienzae per l’esplorazione naturalistica. SecondoCharles Darwin, Alexander vonFrancesco Grossi: PhD, Dipartimento ScienzeGeologiche Università <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> “<strong>Roma</strong> <strong>Tre</strong>”;E-mail: fgrossi@uniroma3.itFigura 1 - Alexander von Humboldtnel ritratto <strong>di</strong> Joseph August Stieler (1843)Humboldt “è stato il più grande esploratore<strong>di</strong> tutti i tempi” e nutriva per iltedesco una vera e propria venerazione(“I have always admired him; now Iworship him”). Secondo Goethe, unasettimana sui libri non era così sod<strong>di</strong>sfacentee produttiva come un’ora <strong>di</strong>conversazione con Humboldt.Il padre <strong>di</strong> Alexander von Humboldt,Alexander Georg, era un ufficiale prussianooriginario della Pomerania. Fu la


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4I protagonisti43madre che si incaricò dell’educazionedei due figli garantendo ottimi insegnantiche consentirono loro <strong>di</strong> accedereagli ambienti intellettuali berlinesi.Nel 1787, la donna inviò entrambi i ragazzia stu<strong>di</strong>are presso l’università <strong>di</strong>Francoforte sull’Oder, una delle piùimportanti della Prussia. Alexander vistu<strong>di</strong>ò per sei mesi finanza, scienzemercantili, scienze storiche, me<strong>di</strong>cina,matematica e fisica.Il 25 aprile 1789 si immatricolò, seguendoil fratello (Wilhelm von Humboldt,in seguito stimato statista ed intellettuale)presso l’università <strong>di</strong> Gottinga, ilcentro dell’illuminismo scientifico tedesco.Nello stesso anno un’escursione sulReno produsse la prima delle sue operenaturalistiche: un trattato scientificosulle rocce basaltiche del Reno. Da questomomento in poi tutto il suo percorso<strong>di</strong> stu<strong>di</strong> fu finalizzato ad un soloobiettivo, <strong>di</strong>ventare esploratore percondurre ricerche scientifiche. Stu<strong>di</strong>òlingue ed economia ad Amburgo, geologiaa Freiberg e anatomia, astronomiae l’uso <strong>di</strong> strumenti scientifici a Jena. Il29 febbraio 1792 fu ufficialmente assuntopresso la società mineraria stataleprussiana, ma, sebbene non trascurassela professione, de<strong>di</strong>cò molto tempo aisuoi stu<strong>di</strong> scientifici. Nel 1795 fece unviaggio <strong>di</strong> stu<strong>di</strong>o in Svizzera e in Italiadove acquisì conoscenze <strong>di</strong> geologia ebotanica. L’anno successivo morì lamadre, ed il patrimonio ere<strong>di</strong>tato glipermise <strong>di</strong> tralasciare i suoi impegniprofessionali e de<strong>di</strong>carsi completamenteai suoi progetti <strong>di</strong> viaggio.A Parigi conobbe il me<strong>di</strong>co e botanicofrancese Aimé Bonpland, e con lui si <strong>di</strong>ressenel 1799 a Marsiglia, con lo scopoFigura 2 - Humboldt e Bonpland ai pie<strong>di</strong> del Chimborazonel <strong>di</strong>pinto <strong>di</strong> Friedrich George Weitsch (1810)


44 I protagonistiQUADERNI DEL MUSEOFigura 3 - La corrente <strong>di</strong> Humboldt<strong>di</strong> <strong>di</strong>rigersi verso l’Egitto ed incontrareNapoleone. I due finirono invece per ritrovarsia Madrid da dove partironoper una spe<strong>di</strong>zione nelle colonie americanegrazie al supporto del ministro Raphaeld’Urquijo.Leggiamo per un attimo il suo <strong>di</strong>ario etroveremo lo stato d’animo <strong>di</strong> un uomoche sembra prevedere la grandezza <strong>di</strong>quel viaggio ormai imminente:“Tra poche ore salperemo... Che felicità<strong>di</strong> fronte a me! Quale tesoro <strong>di</strong> osservazionipotrò compiere per arricchire ilmio lavoro sulla costituzione della Terra.Intendo raccogliere fossili e piante efare un’analisi chimica dell’atmosfera.Farò anche osservazioni astronomiche,la mia attenzione sarà sempre volta all’osservazionedell’armonia delle forzenaturali e dell’influenza esercitata dallacreazione inanimata sui regni vegetaleed animale”.Così, il 5 giugno 1799 salparono da LaCoruña sulla “Pizarro”, a bordo dellaquale trovarono una strumentazionescientifica <strong>di</strong> prim’or<strong>di</strong>ne per effettuareil maggior numero <strong>di</strong> misurazioni possibili,tra cui sestanti, quadranti, telescopi,cronometri, teodoliti, cianometri,igrometri, barometri e termometri. Dopouna traversata durata 22 giorni approdarono,il 16 luglio 1799, Cumanà,in Venezuela, la prima tappa nel nuovomondo. La notte fra l’11 e il 12 novembredello stesso anno osservarono unosciame <strong>di</strong> meteoriti delle leoni<strong>di</strong>; la descrizione<strong>di</strong> quest’evento fornì gli strumentiper il riconoscimento della perio-


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4I protagonisti45ro viaggio quinquennale (1799-1804),Humboldt e Bonpland percorsero 9650km a pie<strong>di</strong>, a cavallo o in canoa, un’esplorazionedel tutto scevra da interessicommerciali: ciò che li spinse fu il purodesiderio <strong>di</strong> conoscenza e la curiosità.Avevano fissato meri<strong>di</strong>ani e paralleli,preparato mappe geografiche, stu<strong>di</strong>ato60.000 piante, delle quali 6300 eranosconosciute, introdotto la fitogeografiae descritto la corrente <strong>di</strong> Humboldt, cosìchiamata in suo onore (fig. 3); comunicòall’istituto <strong>di</strong> Parigi la scoperta dell’indebolimentodel campo magneticoterrestre dai Poli all’equatore. I suoicontributi alle scienze della Terra furonomolteplici, tra cui le sue attente osservazionidei vulcani del nuovo mondo.Accennò all’origine vulcanica <strong>di</strong> alcunitipi <strong>di</strong> rocce, portando così un contributoessenziale alla definitiva archiviazionedel nettunismo (dal nome del<strong>di</strong>o del mare), una teoria affermatasi allafine del XVIII secolo grazie soprattuttoall’opera del geologo tedesco AbrahamGottlob Werner, secondo la qualetutte le rocce avevano un’origine mari<strong>di</strong>cità<strong>di</strong> tali eventi. Nel febbraio 1800abbandonarono la costa per esplorare ilsistema fluviale del Rio delle Amazzoni:il viaggio, che durò 4 mesi e li portòad attraversare quasi 3000 km <strong>di</strong> territoriinesplorati, mostrò i legami fra ilfiume Orinoco e il Rio delle Amazzoni estabilì l’esatta posizione del punto incui i due fiumi si separano.Sostarono alcuni mesi a Cuba, per poifare ritorno sulla terraferma a Cartagena,in Colombia. Attraversarono le Andee raggiunsero Quito il 6 gennaio1802, dopo un estenuante viaggio. Quifurono i primi europei a scalare entrambele cime del vulcano Pichincha, prossimeai 5000 m. Durante il loro soggiornotentarono <strong>di</strong> scalare il monte Chimborazo(6310 m, fig. 2): giunsero fino aquota 5600 m, oltre i quali descrissero isintomi del mal <strong>di</strong> montagna; per alcunedecine d’anni mantennero comunqueil record <strong>di</strong> altitu<strong>di</strong>ne raggiunta duranteuna scalata. Il 9 novembre 1802,mentre si trovava a Callao, in Perù,Humboldt osservò il passaggio d Mercurio.Stu<strong>di</strong>ò inoltre le proprietà fertilizzantidel guano, fondamentaliper la suasuccessiva introduzionein Europa. Una traversatatempestosa li portò inMessico, dove vi restaronoper quasi un anno,analizzando il calendario<strong>degli</strong> Aztechi. Giunseropoi negli USA, dovefurono ricevuti personalmentedal presidenteThomas Jefferson.Il 3 agosto 1804 rientraronoin Francia, aBordeaux. Durante il lo-Figura 4 - Canzoccoli: il granito ed i filoni magmatici (“serpentino”)che tagliano il marmo (“calcare mo<strong>di</strong>ficato”) in uno schizzo d’epoca


46 I protagonistina, in favore del plutonismo, teoria propostadal geologo scozzese James Hutton(uno dei “padri” della geologia), secondoil quale nei processi generatoridelle rocce occorreva prendere in considerazioneanche i fenomeni magmatici.Quando il naturalista arrivò a Bordeaux,nell’agosto del 1804 era, assiemea Napoleone, l’uomo più famoso delmondo. Humboldt si trattenne per quasiun ventennio principalmente a Parigi,la capitale europea della scienza edella cultura, per valutare la sua spe<strong>di</strong>zionee pubblicarne il resoconto.Il suo viaggio in Sud America fornì miria<strong>di</strong><strong>di</strong> nuove informazioni; questo ilpensiero <strong>di</strong> Jules Verne: “I risultati deiviaggi <strong>di</strong> Humboldt sono tali da permettere<strong>di</strong> definirlo l’autentico scopritoredell’America equatoriale. Prima <strong>di</strong>lui, questa terra veniva sfruttata senzaconoscerla ed una quantità innumerevoledelle ricchezze da essa prodotteveniva assolutamente ignorata. Occorre<strong>di</strong>rlo chiaramente: nessun viaggiatoreaveva mai fatto compiere un tale progressoalla geografia fisica e a tutte lescienze ad essa correlate. Humboldt èl’archetipo del Viaggiatore, nel sensopiù ampio e completo del termine”. (da“Les Voyageurs du XIX siècle”, 1880).Tra il 1807 ed il 1833 pubblicò un’operain 34 volumi in lingua francese sullaspe<strong>di</strong>zione sudamericana, corredata <strong>di</strong>molte mappe a colori e <strong>di</strong> illustrazioni<strong>di</strong> famosi incisori ramai. Questo importantelavoro <strong>di</strong>ssipò quasi completamenteil suo intero capitale. Nel 1805,Humboldt <strong>di</strong>venne ciambellano del regno<strong>di</strong> Prussia e membro dell’Accademiadelle Scienze.Nel 1822 ci fu un’importante “parentesiitaliana” nelle sue ricerche: uno <strong>degli</strong>QUADERNI DEL MUSEOFigura 5 - Federico Guglielmo III <strong>di</strong> Prussiascenari decisivi nella <strong>di</strong>atriba tra nettunistie plutonisti fu infatti una localitàdelle Dolomiti presso Predazzo, i Canzoccoli(fig. 4), già ben nota ad inizio‘800 non solo dai turisti: i graniti ed ingenerale tutte le rocce vulcaniche presentinell’area dei Monti Monzoni ciraccontano dell’esistenza <strong>di</strong> un anticovulcano nel periodo Triassico (circa 230milioni <strong>di</strong> anni fa), uno dei più gran<strong>di</strong>d’Europa. Anche grazie alle precedentiintuizioni del Conte Giuseppe Marzari-Pencati, perito minerario dell’ImperoAustro-Ungarico, Humboldt volle visitarepersonalmente questa località. L’arrivo<strong>di</strong> una personalità così autorevolenella citta<strong>di</strong>na dolomitica è ancora ogginella memoria <strong>di</strong> quei luoghi: l’Albergo“Nave d’oro”, rimesso a nuovo per l’occasione,conserva con cura la firma dell’illustreospite sul proprio registro deivisitatori allora inaugurato.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4I protagonisti47Le sue osservazioni sulle rocce magmatichedei Canzoccoli <strong>di</strong>edero uno deicolpi mortali alla teoria nettunista: cosìcome Plutone, l’antica <strong>di</strong>vinità romanache regna nel sotterraneo mondo <strong>degli</strong>inferi, anche queste rocce si formanonel sottosuolo per processi legati a manifestazionivulcaniche. I geologi chiamanoancora oggi questo tipo <strong>di</strong> roccemagmatiche soli<strong>di</strong>ficatesi all’internodella crosta terrestre “plutoniche”.Nel 1827, il re Federico Guglielmo III(fig. 5) chiamò definitivamente Humboldta Berlino garantendogli un vitalizioannuo <strong>di</strong> 5000 talleri: Humboldt obbedì,anche perché era a corto <strong>di</strong> mezzieconomici.A 60 anni, Humboldt fu chiamato dallozar <strong>di</strong> Russia Nicola I che intendeva finanziareun viaggio per ottenere informazionisu possibili giacimenti minerari.Per circa sei mesi percorse a bordo <strong>di</strong>una carrozza quasi 15.000 km in compagniadel mineralista Gustav Rose. Laspe<strong>di</strong>zione lo portò nelle steppe dellaSiberia fino al confine con la Cina: stu<strong>di</strong>òla natura del Mar Caspio e feceesperimenti sulla natura chimica dellesue acque, descrisse <strong>di</strong>verse famiglie <strong>di</strong>pesci, raccolse piante, misurò altitu<strong>di</strong>ni,temperature ed il magnetismo, presecampioni <strong>di</strong> roccia e scoprì la prima miniera<strong>di</strong> <strong>di</strong>amanti al <strong>di</strong> fuori dei tropici.Al contrario della spe<strong>di</strong>zione sudamericana,quella asiatica non fu affatto libera:Humboldt si era impegnato <strong>di</strong> fronteallo zar <strong>di</strong> non commentare la situazionepolitica del paese. Tutto il suoviaggio fu sorvegliato da poliziotti efunzionari: “non potevo fare un passo,senza che mi trascinassero via comefossi stato malato”, scrisse in seguitoHumboldt. Tra il 1843 ed il 1844 vennepubblicato “Asia centrale”, il resocontodella spe<strong>di</strong>zione.Ma Humboldt aveva ancora un sogno…“Ho in mente un’idea: racchiuderein un’opera tutto il mondo materiale,tutto ciò che oggi sappiamo delleapparizioni della volta celeste e dellavita sulla Terra”. Questa idea lo tenneimpegnato fino agli ultimi giorni: negliultimi 25 anni della sua vita Alexandervon Humboldt scrisse a Berlino la suaFigura 6 - Frontespizio <strong>di</strong> un’e<strong>di</strong>zioneamericana del 1856 <strong>di</strong> “Kosmos”


48 I protagonistiFigura 7 - Spheniscus humboldtiFranz Meyen, 1834 (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> Chiara Amadori)summa scientifica, “Kosmos, Entwurfeiner physischen Weltbeschreibung”(“Il Cosmo, progetto <strong>di</strong> una descrizionefisica del mondo”, fig. 6). L’opera è unadelle più ambiziose nel mondo scientificoche mai siano state pubblicate: unadescrizione della struttura dell’Universoin uno stile letterario. I cinque tomi<strong>di</strong> “Kosmos” vennero pubblicati traQUADERNI DEL MUSEOil 1845 e il 1862 (l’ultimo uscì postumo).Tutti i volumi raggiunsero una tiratura<strong>di</strong> 87.000 copie, cifra sensazionale perl’epoca, e vennero tradotti in quasi tuttele lingue d´Europa.È sicuramente l’opera <strong>di</strong> un uomo maturo,ma risuonano ancora i suoi slancientusiastici e un certo velo poetico cheha sempre contrad<strong>di</strong>stinto i suoi scritti:“un libro sulla natura deve suscitare lastessa emozione che suscita la naturastessa”, scrisse…Opera <strong>di</strong> alta <strong>di</strong>vulgazione scientifica,“Kosmos” racchiude, nelle sue migliaia<strong>di</strong> pagine, il messaggio epistemologico<strong>di</strong> Humboldt: l’osservazione e l’analisiempirica della realtà permette <strong>di</strong> averepiena consapevolezza dell’unità organicadella natura, <strong>di</strong> tutto ciò che esiste.Interessante è il rilievo che lo scienziatodà alle relazioni tra i fenomeni del cosmo,non soltanto considerati in sensospaziale, ma anche temporale: un punto<strong>di</strong> vista che una scienza storica comela geologia può fornire, e che Humboldtmostrava <strong>di</strong> aver metabolizzatoed elaborato:“Ma se vogliamo davvero comprenderela natura, non dobbiamo mantenerecompletamente <strong>di</strong>sgiunto lo stu<strong>di</strong>o dellostato attuale della realtà da quellodelle sue precedenti fasi <strong>di</strong> sviluppo.Non possiamo farci un giusto concettodella natura delle cose senza guardarein<strong>di</strong>etro come queste si sono formate.Non è solo la materia organica ad esseresottoposta ad un continuo mutamento,ad essere <strong>di</strong>sgregata per dar formaad altre combinazioni. Il globo stesso rivelail mistero dei suoi sta<strong>di</strong> precedenti.Non possiamo esaminare la crosta terrestredel nostro pianeta senza riconoscerele tracce <strong>di</strong> passate presenze e <strong>di</strong>-


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4I protagonisti49struzioni <strong>di</strong> un mondo organico. Le roccese<strong>di</strong>mentarie presentano una serie <strong>di</strong>forme organiche, associate in gruppi,che si sono succedute e rimpiazzatel’un l’altra. Le <strong>di</strong>verse stratificazioni sovrapposteci mostrano faune e flore <strong>di</strong><strong>di</strong>verse epoche. In questo senso la descrizionedella natura è intimamenteconnessa con la sua storia; e il geologo,che cerca il nesso esistente tra i fatti osservati,non può farsi un concetto delpresente senza ripercorrere, attraversole infinite epoche, la storia del passato”.Nel novembre del 1856, il giornalista esaggista americano Bayard Taylor giunsea Berlino per intervistare Humboldt,ormai quasi novantenne, che nell’accommiatarsilo salutò in modo autoironico:“Lei ha viaggiato molto e avrà vistotanti ruderi… ecco, ora ne ha avuto<strong>di</strong> fronte un altro”.Questo il ricordo del saggista: “Strinsicosì la mano che aveva stretto quella <strong>di</strong>Federico il Grande, <strong>di</strong> Forster, <strong>di</strong> Schiller,<strong>di</strong> Napoleone e dei marescialli dell’Impero,del Presidente Jefferson, Goethe,Cuvier, Laplace, Beethoven,Walter Scott… inbreve, <strong>di</strong> tutti i gran<strong>di</strong> chel’Europa aveva generato intre quarti <strong>di</strong> secolo. Fissai ilmio sguardo in quegli occhiche avevano osservato le rapide<strong>di</strong> Aturès, il Chimborazo,il Rio delle Amazzoni, lecatene siberiane dell’Altai,le steppe tartare e il MarCaspio… una vita de<strong>di</strong>catacon devozione alla scienza.Non avevo mai visto un’immagine<strong>di</strong> età venerandatanto sublime, coronata daimmortali successi, ricolma delle piùeccelse ricchezze del sapere, e animatae vivificata dalle più preziose qualitàdel cuore. Un rudere? Macché, unapiramide, un tempio umano perfettoquanto il Pantheon”.Alexander von Humboldt morì il 6maggio 1859 all’età <strong>di</strong> 90 anni, propriomentre stava terminando “Kosmos” aBerlino. Non aveva congiunti e vennesepolto nella tomba <strong>di</strong> famiglia nel parcodello Schloss Tegel. Pochi mesi dopo,come in un gioco <strong>di</strong> riman<strong>di</strong>, CharlesDarwin <strong>di</strong>ede alle stampe “L’originedelle specie”. Così scriveva nel 1831l’inglese, poco prima della partenzaverso il Sud America sul Beagle, nelviaggio che avrebbe cambiato la storiadella scienza: “Con la mente non faccioche correre ai tropici: leggo Humboldt eil mio entusiasmo è tale che a malapenami riesce <strong>di</strong> star seduto composto sullase<strong>di</strong>a”.Nel corso della sua vita Humboldt fusempre molto attento e partecipe dellegran<strong>di</strong> rivoluzioni sociali: da ragazzo siFigura 8 - Lagothrix lagotricha Humboldt, 1812


50 I protagonistientusiasmò per la notizia della rivoluzionefrancese; quando a Berlino, nel1848, le rivolte culminarono nelle barricate,si sentì emotivamente legato ai rivoluzionari.Nel 1857 si impegnò perl’abolizione della seconda servitù dellagleba in Prussia. Degno <strong>di</strong> nota è ancheil suo saggio politico sul regno <strong>di</strong> NuovaSpagna, che oltre ad aver apportatoun’ingente quantità <strong>di</strong> materiale sullageografia e sulla geologia del Messico,comprende appassionate descrizionidelle con<strong>di</strong>zioni politiche e sociali; l’appelloche formulò in quest’opera controla schiavitù rimase tuttavia inascoltato.Nonostante ciò, i popoli latino-americaniconsiderano tuttora Humboldt unodei fautori della loro in<strong>di</strong>pendenza.Grande fu il rammarico, durante la suaspe<strong>di</strong>zione in Asia, <strong>di</strong> essersi accordatocon una delle potenze la cui tiranniaegli ripu<strong>di</strong>ava, ma la sua voglia <strong>di</strong> conoscenzasuperò anche questo tentennamento.Fu sempre colpito dal contrasto tra gliaspetti deteriori delle strutture socialicreate dagli uomini e la splen<strong>di</strong>da armoniaed unità della natura:“Il viaggiatore che percorre il globo,proprio come lo storico che risale il corsodei secoli, ha davanti a sé sempre lostesso quadro desolante dei conflittidella specie umana. Ecco perché, testimonedei permanenti <strong>di</strong>ssensi tra i popoli,l’uomo che aspira alle gioie pacifichedell’anima ama volgere il propriosguardo alla tranquilla vita dei vegetalie alle energie misteriose della forza fecondantedella Natura; oppure, abbandonandosia quell’istinto innato cheabita il suo cuore, l’uomo, colto daun’intuizione sacra, eleva i propri occhiverso il firmamento ove gli astri proseguonole loro evoluzioni eterne, governateda un’inalterabile armonia”Per questo combatté sempre con vigore“politico” tutte le forme <strong>di</strong> <strong>di</strong>scriminazione,<strong>di</strong> oppressione, nella speranzache anche la specie umana potesse sentirsiparte integrante <strong>di</strong> quell’armonia.Perfino brevi note biografiche mostranocome Humboldt, genio poliedrico, abbiainseguito per tutta la sua esistenzaun sogno, anche quando lo portò allarovina economica: fu l’archetipo del ricercatoreromantico. Tante sono le specieanimali e vegetali a lui de<strong>di</strong>cate, tracui il Pinguino <strong>di</strong> Humboldt (Spheniscushumboldti Franz Meyen, 1834, fig. 7),così come quelle da lui istituite, tra cuiricor<strong>di</strong>amo la scimmia lanosa bruna(Lagothrix lagotricha Humboldt, 1812,fig. 8), primate della famiglia <strong>degli</strong> Ateli<strong>di</strong>“incontrato” durante la sua spe<strong>di</strong>zionesudamericana.La sua sete <strong>di</strong> conoscenza in camposcientifico non ha davvero avuto confini<strong>di</strong> tempo e spazio, e il suo ideale <strong>di</strong>ricercatore che insegue un sogno a scapito<strong>di</strong> tutto deve essere ancora oggi daesempio:“L’uomo deve aspirare al Bene e alle cosegran<strong>di</strong>! Il resto <strong>di</strong>pende del destino”(Alexander von Humboldt, 1799).Per approfon<strong>di</strong>reQUADERNI DEL MUSEODi Bartolo A., Visconti A., 2009. Immagini <strong>di</strong>scienza, viaggi e arte a 150 anni dalla mortedel naturalista tedesco Alexander von Humboldt.Ibis E<strong>di</strong>zioni, pp. 1-68.Focher F., 2009. Alexander von Humboldt,schizzo biografico “dal vivo”. Il Prato, pp.1-408.Gould S.J., 2009. I have landed. Co<strong>di</strong>ce E<strong>di</strong>zioni,pp. 76-98.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4APPUNTAMENTI AL MUSEO51MUSEO GEOPALEONTOLOGICO“ARDITO DESIO”GRUPPO ASTROFILI HIPPARCOSLA ROCCA DELLE STELLESERATE OSSERVATIVE <strong>2011</strong> / 2012Il programma prevede una breve conferenza introduttiva seguita dall’osservazioneguidata della volta celeste a occhio nudo, al binocolo e al telescopio.Il calendario può subire delle mo<strong>di</strong>ficazioni, quin<strong>di</strong> si consiglia <strong>di</strong> telefonarealcuni giorni prima al numero in<strong>di</strong>cato per ogni serata. L’appuntamento èfissato al Castello Colonna posto nella parte più alta del paese. Le serate sisvolgono a circa 1000 metri <strong>di</strong> quota, pertanto si consiglia un abbigliamentoadeguato. Non serve prenotazione e il costo del biglietto è 5 euro.Sabato 18 febbraio 2012 - Serata pianetiore 18:00 – 21:00 info Bruno e Tiziana 06-5566271Sabato 17 marzo 2012 - Serata pianetiore 18:30 – 21:30 info Marco e Rossella 335-6575023Sabato 31 marzo 2012 - Serata Luna e Saturnoore 21:00 – 23:30 info Bruno e Tiziana 06-5566271Sabato 14 aprile 2012ore 21:00 – 23:30 info Bruno e Tiziana 06-5566271Sabato 12 maggio 2012ore 21:00 – 23:30 info Marco e Rossella 335-6575023


52 PALEONTOLOGIA DEI VERTEBRATIQUADERNI DEL MUSEOI mammiferi terrestri fossili del Laziodurante il Plio-PleistoceneAnastassios KotsakisAnastassios (Tassos) Kotsakis: Or<strong>di</strong>nario <strong>di</strong>Paleontologia, Dip. <strong>di</strong> Scienze Geologiche,Università <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> “<strong>Roma</strong> <strong>Tre</strong>”I geologi hanno, da molto tempo, sud<strong>di</strong>visola storia della Terra in una serie<strong>di</strong> perio<strong>di</strong>, <strong>di</strong> durata variabile, ognunodei quali è caratterizzato da una serie <strong>di</strong>eventi e da particolari faune e flore.L’ultimo periodo, chiamato Quaternario,è a sua volta sud<strong>di</strong>viso in due sottoperio<strong>di</strong>,fortemente <strong>di</strong>fferenti dalpunto <strong>di</strong> vista <strong>di</strong> durata, il Pleistocene el’Olocene. Quest’ultimo comprende gliultimi 10.000 anni; per il Pleistocene lafine è stabilita appunto a 10.000 anni famentre il suo inizio si fissa a circa 2,6milioni <strong>di</strong> anni (= m.a.) fa, in coincidenzacon l’inizio <strong>di</strong> un raffreddamentoglobale e la formazione della CalottaGlaciale Artica (quella Antartica era giàformata molti milioni <strong>di</strong> anni prima).A parte scarsi lembi <strong>di</strong> terreno che eranoemersi occasionalmente, come testimonianoalcune tracce <strong>di</strong> impronte <strong>di</strong><strong>di</strong>nosauri nel Lazio meri<strong>di</strong>onale, la storiageologica della regione laziale è unastoria marina, e per buona parte delPliocene il mare lambiva la base dei rilieviappenninici (fig. 1).Durante il Pleistocene si formerà il Lazioemerso come lo conosciamo oggi(fig. 2) e nei depositi se<strong>di</strong>mentari attribuitia questo lasso <strong>di</strong> tempo si trovanooggi i resti <strong>di</strong> vertebrati e in primo luogo<strong>di</strong> mammiferi fossili che caratterizzanola nostra area.Le faune a mammiferi fossili del Pleistocenelaziale cominciano a essere notee stu<strong>di</strong>ate a partire dal Seicento conspiegazioni che oggi vengono chiamatefantasiose, ma che testimoniano il climaintellettuale dell’epoca e il perduraredel <strong>di</strong>battito circa l’origine organica oinorganica <strong>di</strong> tutti i fossili. Con l’iniziodel Settecento si accetta generalmentel’origine organica dei fossili e si cercanospiegazioni <strong>di</strong> tipo storico. Si pensa chetutte le gran<strong>di</strong> ossa scoperte nel Lazio ein tutta la penisola italiana appartenganoa elefanti portati da Annibale, mapoi ci si rende conto che i resti raccolticorrispondono ad un numero moltomaggiore <strong>di</strong> esemplari rispetto a quelliattribuiti al generale punico da Tito Livioe dagli altri storici classici. FilippoBonanni, per risolvere questa situazioneparadossale sostiene (nel 1709) che iresti elefantini (almeno quelli della regionelaziale) appartengono ad animaliimportati dall’Africa all’epoca <strong>di</strong> AntoninoPio.Verso la fine del Settecento invece, cominciaa farsi strada la convinzione chei resti <strong>di</strong> elefanti e <strong>di</strong> altri mammiferirappresentano i fossili <strong>di</strong> animali vissu-


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Paleontologia dei vertebrati53Figura 1 - Paleogeografia del Lazio centrale verso la fine del Pliocene (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> M. Parotto)ti in questo territorio in perio<strong>di</strong> passatie rappresentano preziose testimonianzedella vita del passato e delle con<strong>di</strong>zioniambientali che allora dominavano. Fragli scienziati (viventi esclusi) che più <strong>di</strong>tutti hanno contribuito dalla secondametà dell’Ottocento, allo stu<strong>di</strong>o dellefaune a vertebrati della regione si possonomenzionare Giuseppe Ponzi, RomoloMeli, Giuseppe Tuccimei, EnricoClerici, Alessandro Portis, GioacchinoDe Angelis d’Ossat, Carlo AlbertoBlanc, Geremia D’Erasmo, Angiola MariaMaccagno.I vari fossili che noi troviamo oggi, appartengonoad associazioni faunisticheo floristiche vissute in tempi <strong>di</strong>fferenti.Il primo compito <strong>di</strong> qualsiasi paleontologoè <strong>di</strong> attribuire ad un determinatoperiodo i fossili che sta stu<strong>di</strong>ando, allastessa maniera con la quale un archeologocerca <strong>di</strong> assegnare ad un secolo ose possibile ad un decennio i resti <strong>di</strong> attivitàumana che sta stu<strong>di</strong>ando. Oggi lageochimica, attraverso vari meto<strong>di</strong>, cioffre la possibilità <strong>di</strong> avere datazionimolto precise.Tuttavia il primo approccio è semprequello <strong>di</strong> una datazione relativa: tale associazionefaunistica è più evoluta rispettoa quell’altra e <strong>di</strong> conseguenza èpiù recente e così via. I paleontologi deivertebrati italiani hanno stabilito unasuccessione temporale per alcune associazionifaunistiche (chiamate UnitàFaunistiche = U.F.) raccolte in determinatelocalità, che fungono da “campioni”per i ritrovamenti faunistici successivi.Si confrontano i nuovi ritrovamenticon le U.F. e a seconda del grado evolutivodei componenti della nuova associazionescoperta, si collocano all’unao all’altra U.F. oppure a cavallo fra due.Varie U.F. sono poi raggruppate a unitàtemporali più ampie chiamate Età aMammiferi. I paleontologi italiani utilizzanocome scala biocronologica per ilPliocene e il Pleistocene continentale treEtà a Mammiferi: Villafranchiano (cor-


54 Paleontologia dei vertebratiQUADERNI DEL MUSEOFigura 2 - Paleogeografia del Lazio centrale al passaggio tra Pleistocene inferiore e me<strong>di</strong>o(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> M. Parotto)rispondente approssimativamente adun intervallo temporale da 3,3 m.a. finoa 1.1 m.a.), Galeriano (fra circa 1,1 m.a.e 0,4 m.a.) e Aureliano (fra circa 0,4 m.a.e l’inizio dell’Olocene, cioè circa 10.000anni fa).La più antica fauna del Villafranchianoè rappresentata in Italia da varie specielegate con l’ambiente forestale (mastodonti,rinoceronti, cervi<strong>di</strong> appartenentia generi estinti, bovi<strong>di</strong> del genere Leptobos).Intorno 2,6 m.a. avviene un eventochiamato dai paleontologi l’Evento dell’Elefantee del Cavallo poiché per laprima volta compaiono nella penisolaspecie appartenenti alla famiglia Elephantidaee al genere Equus. Durante ilperiodo seguente varie forme <strong>di</strong> originepliocenica si estinguono e intorno a 2,0m.a. un altro evento, chiamato l’Eventodel Lupo, porta in Italia, leggermentescaglionate nel tempo, una serie <strong>di</strong> speciedella famiglia Canidae e la iena gigantedel genere Pachycrocuta. La scomparsadelle antilopi e <strong>di</strong> varie altre speciee la comparsa dell’ippopotamo e <strong>di</strong>cervi<strong>di</strong> e bovi<strong>di</strong> più evoluti caratterizzanol’ultima parte del Villafranchiano.Alla fine <strong>di</strong> questo periodo una serie <strong>di</strong>estinzioni, scaglionate nel tempo, costituisceinsieme con la comparsa del cervidegigante Praemegaceros verticornis e<strong>di</strong> alcune altre specie, il cosi detto EventoFine-Villafranchiano.Nell’area laziale, alla più antica fase delVillafranchiano (3,3 – 2,6 m.a.) risale unresto <strong>di</strong> un tapiro, Tapirus arvernensis,raccolto in una località imprecisa dellaSabina, resto che testimonia a favore <strong>di</strong>un ambiente forestale. Di età poco piùrecente è una fauna raccolta a Collepardo,nel bacino <strong>di</strong> Anagni (Valle del Sacco),nella quale sono presenti una tigre


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Paleontologia dei vertebrati55con i denti a sciabola (Megantereon cultridens),un cane viverrino (Nyctereutesmegamastoides) simile a quello che attualmentevive in Asia e alcuni erbivorifra i quali un rinoceronte <strong>di</strong> tipo pliocenico(Stephanorhinus cf. S. jeanvireti) (1) .Con<strong>di</strong>zioni simili ma con presenza <strong>di</strong>spazi aperti sono quelli che caratterizzanoil Villafranchiano me<strong>di</strong>o (2,6 - 1,9m.a.), testimoniati nel Lazio nella regionedella Sabina (questa volta le localitàdei ritrovamenti sono note) dalla presenza<strong>di</strong> un mastodonte, Anancus arvernensis,<strong>di</strong> alcuni cervi<strong>di</strong> e <strong>di</strong> un topocampagnolo primitivo (Mimomys polonicus).Una fauna della stessa età è stataraccolta a Costa San Giacomo, nellaValle del Sacco.Essa è caratterizzata dalla presenzasempre dello stesso mastodonte, dallaprima comparsa <strong>di</strong> un rappresentantedel genere Canis (Canis sp.) (2) , un grossosuide (Sus strozii), una gazzella (Gazellospiratorticornis), un bue <strong>di</strong> piccole<strong>di</strong>mensioni (Leptobos furtivus), un rinoceronte(Stephanorhinus cf. S. etruscus),più evoluto rispetto alla forma presentea Collepardo, e un grosso istrice(Hystrix cf. H. refossa). Al Villafranchianosuperiore (1,9 - 1,1 m.a.) possono essereattribuiti i fossili trovati a MonteRiccio (Tarquinia), assegnati a un lupoprimitivo (Canis etruscus), ad una volpe–––––––––(1)La sigla “cf.” fra il nome del genere equello della specie significa che i resti non permettonouna classificazione sicura ma che comunque,molto probabilmente, si tratta dellaspecie riportata.(2)Se dopo il nome generico seguono le lettere“sp.”, cioè specie, significa che il materialefossile è sufficiente per un’attribuzione genericama non specifica.primitiva (Vulpes cf. V. alopecoides), a unequide <strong>di</strong> tipo zebrino (Equus stenonis),ad un cervide simile agli Axis attualidell’In<strong>di</strong>a e ad una specie estinta <strong>di</strong> ippopotamo(Hippopotamus antiquus).In fasi più recenti del Villafranchianosuperiore appartengono i resti <strong>di</strong> unmammut primitivo (Mammuthus meri<strong>di</strong>onalis),molto <strong>di</strong>fferente rispetto al bennoto mammut peloso delle ultime fasidel Pleistocene, dell’ippopotamo antico,del rinoceronte etrusco e <strong>di</strong> alcunicervi<strong>di</strong>, raccolti nella zona della Sabina,lo scheletro quasi completo dell’ippopotamoantico raccolto a Sant’Oreste,alle pen<strong>di</strong>ci <strong>di</strong> Monte Soratte, e un molaredell’elefante meri<strong>di</strong>onale raccoltonel XIX secolo alla sommità <strong>di</strong> MonteMario a <strong>Roma</strong>. Alle fasi finali del Villafranchianosi possono attribuire duescheletri parziali <strong>di</strong> Axis farnetensis euno scheletro completo <strong>di</strong> un bisonteprimitivo, Bison degiulii, raccolti a Capena(durante i lavori per la costruzionedella <strong>di</strong>rettissima <strong>Roma</strong>-Firenze nel1970).Durante il Galeriano compaiono in Italia,in fasi successive, elefanti (Elephasantiquus, Mammuthus trogontherii), rinoceronti(Stephanorhinus kirchbergensis,Stephanorhinus hemitoechus), un ippopotamo(Hippopotamus amphibius), cervi<strong>di</strong><strong>di</strong> grande taglia (Praemegaceros verticornis,Megaloceros savini), cervi<strong>di</strong> <strong>di</strong> piccolae me<strong>di</strong>a taglia (Capreolus capreolus,Cervus elaphus, Dama clactoniana), bovi<strong>di</strong><strong>di</strong> grande (Hemibos galerianus, Bisonschoetensacki, Bos primigenius, fig. 3) eme<strong>di</strong>a taglia (Hemitragus bonali, Ovisammon), equi<strong>di</strong> (Equus altidens, Equusferus) e fra i carnivori ieni<strong>di</strong> (Crocutacrocuta, “Hyaena prisca”), feli<strong>di</strong> (Panthe-


56 Paleontologia dei vertebratiQUADERNI DEL MUSEOFigura 3 - Scheletro <strong>di</strong> Bos primigenius conservatopresso l’Università “La Sapienza” <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>ra leo), ursi<strong>di</strong> (Ursus deningeri, Ursusarctos) e cani<strong>di</strong> (Canis mosbachensis)(fig. 4).Nel Lazio la fauna più antica del Galerianoè stata raccolta a Cava Re<strong>di</strong>cicoli(Bufalotta) a <strong>Roma</strong>. Ne fannoparte oltre ad alcunespecie già presenti nel Villafranchianocome il mammutmeri<strong>di</strong>onale, l’ippopotamoantico, il bisonte primitivoe i rappresentantidel genere Axis, anche alcunespecie che compaionoper la prima volta, come ilrinoceronte Stephanorhinushundsheimensis e il cavalloEquus altidens. Le fasi successivedell’evoluzione dellefaune del Galeriano sonotestimoniate a Ponte Galeria(<strong>Roma</strong>). In una successione<strong>di</strong> se<strong>di</strong>menti sono state raccoltetre faune <strong>di</strong>fferenti. La più bassa includesolamente due ro<strong>di</strong>tori della famiglia<strong>degli</strong> arvicoli<strong>di</strong>, uno dei quali (Pre<strong>di</strong>crostonyxsp.) è un primitivo lemmingFigura 4 - Ricostruzione artistica della valle del Tevere nel Pleistocene me<strong>di</strong>o basale(<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> S. Maugeri)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Paleontologia dei vertebrati57Figura 5 - Resto <strong>di</strong> Elephas antiquus rinvenuto nel 1932 nel centro <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>dal collare. Da notare che si tratta <strong>di</strong>due specie che in<strong>di</strong>cano ambienti apertie clima molto più freddo rispetto aquello attuale. La seconda fauna <strong>di</strong>Ponte Galeria è caratterizzata dallacomparsa <strong>di</strong> varie forme nuove: duenuove specie <strong>di</strong> elefanti, Elephas antiquus(fig. 5) e Mammuthus trogontheriirispettivamente chiamati elefante <strong>di</strong> forestae elefante <strong>di</strong> steppa, che sostituisconol’elefante meri<strong>di</strong>onale, due nuovespecie <strong>di</strong> cervi <strong>di</strong> gran<strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni,Praemegaceros verticornis e Megalocerossavini, uno strano bovide forse imparentatocon un gruppo <strong>di</strong> bovi<strong>di</strong> in<strong>di</strong>ani,Hemibos galerianus. Insieme fanno laloro comparsa alcune specie che vivonofino ad oggi, come la iena macchiata(Crocuta crocuta), una forma primitivadel cervo rosso (Cervus elaphus) e, forse,il cavallo selvatico (Equus ferus), oppureche si sono estinti in epoca storica, sterminatidalla caccia dell’uomo come l’uro(Bos primigenius). Nella terza fauna<strong>di</strong> Ponte Galeria, oltre a varie specie giàpresenti nella fauna precedente, fannola loro comparsa varie specie come iltasso (Meles meles), la bertuccia (Macacasylvanus), una forma primitiva del cinghialemoderno (Sus scrofa), il capriolo


58 Paleontologia dei vertebrati(Capreolus capreolus) e una forma estinta<strong>di</strong> bisonte (Bison cf. B. schoetensacki) mapiù evoluta rispetto al bisonte fine-villafranchiano.Ne fanno parte anche uncriceto primitivo (Allocricetus bursae) euna specie fossile del genere Arvicola(Arvicola mosbachensis). Ritrovamenti <strong>di</strong>questa fase <strong>di</strong> faune galeriane sono notiin varie località dell’area <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, il checi permette <strong>di</strong> aggiungere un daino primitivo(Dama cf. D. clactoniana) e unaforma arcaica <strong>di</strong> un muflone viventeorientale (Ovis ammon) alla lista dellespecie <strong>di</strong> questo lasso <strong>di</strong> tempo. La fasepiù recente delle faune galeriane è rappresentatain alcune località dell’arearomana (Cava Nera Molinario, strati inferiori<strong>di</strong> Se<strong>di</strong>a del Diavolo) e al <strong>di</strong> fuori<strong>di</strong> <strong>Roma</strong> a Palombara Sabina e suiMonti Ceriti (zona <strong>di</strong> Cerveteri). Ma laQUADERNI DEL MUSEOlocalità <strong>di</strong> riferimento è Fontana Ranuccionella Valle del Sacco. In questa localitàsono state rinvenute fra i carnivoril’orso fossile (Ursus deningeri), antenatodell’orso speleo, il leone (Panthera leo) eil dohl o cuon (Cuon alpinus), un canidea <strong>di</strong>stribuzione asiatica meri<strong>di</strong>onale eorientale. Fra gli erbivori sono comunile specie già presenti nelle faune piùantiche.Le faune aureliane sono caratterizzatein Italia dalla scomparsa <strong>di</strong> varie speciecaratteristiche del Galeriano e dallacomparsa <strong>di</strong> alcune specie estinte comel’orso delle caverne (Ursus spelaeus), illeone delle caverne (Panthera spelaea), illupo (Canis lupus), il cervo gigante (Megalocerosgiganteus), l’asino delle steppe(Equus hydruntinus) e dalla presenza <strong>di</strong>Figura 6 - Il sito <strong>di</strong> Saccopastore fotografato nel 1929(data del primo ritrovamento nella località <strong>di</strong> H. neanderthalensis) da Sergio Sergi


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Paleontologia dei vertebrati59Figura 7 - Ricostruzione artistica della valle del Tevere durante l’ultimo glaciale (<strong>di</strong>segno <strong>di</strong> S. Maugeri)una serie <strong>di</strong> forme oggi estinte già presentiprecedentemente, come l’elefantedella foresta (E. antiquus) i rinoceronti(S. kirchbergensis e S. hemitoechus), l’ippopotamo(H. amphibius), l’uro (B. primigenius)oppure viventi come il cervo(C. elaphus), il cinghiale (S. scrofa), ilcavallo (E. ferus). Durante le fasi piùrecenti dell’Aureliano faranno la lorocomparsa forme quali lo stambecco (Capraibex), i camosci (Rupicapra pyrenaicae Rupicapra rupicapra), il daino (Damadama), la marmotta (Marmota marmota)che fanno parte della fauna attuale italiana.Durante le fasi fredde dell’Aurelianosuperiore scompariranno le faune “apachidermi” e faranno la loro comparsaalcune specie legate al clima freddo:il mammut lanoso (Mammuthus primigenius),il rinoceronte lanoso (Coelodontaantiquitatis) e, limitatamente all’Italiasettentrionale, l’alce (Alces alces) e, inuna singola località, la renna (Rangifertarandus).Nel Lazio, le località che hanno fornitoresti <strong>di</strong> faune dell’Aureliano sono moltonumerose. Caratteristiche della parte <strong>di</strong>questo periodo che si inquadra nel Pleistoceneme<strong>di</strong>o e la prima parte del Pleistocenesuperiore (circa 0,4 – 0,08 m.a.)sono le associazioni dell’area romanaraccolte a Torre in Pietra (livelli inferiori),La Polledrara <strong>di</strong> Cecanibbio (con lasua gran<strong>di</strong>ssima quantità <strong>di</strong> resti <strong>di</strong> E.antiquus), Castel <strong>di</strong> Guido, Malagrotta,Se<strong>di</strong>a del Diavolo (livelli superiori),Monte delle Gioie, Prati Fiscali, Vitinia,Torre in Pietra (livelli superiori), Casalde’ Pazzi, Saccopastore (dove sono statirinvenuti importanti reperti <strong>di</strong> Homoneanderthalensis, fig. 6). Parecchi <strong>di</strong> questisiti sono caratterizzati dalla presenza<strong>di</strong> industria litica e qualche restoumano. Fuori dell’area romana si possonosegnalare i giacimenti <strong>di</strong> GrotteSanto Stefano, Riano Flaminio (che hafornito scheletri interi <strong>di</strong> E. antiquus, C.elaphus e Dama clactoniana), Cerveteri,Fara Sabina, Campo Verde, Pofi, Ceprano,Arpino, Pontecorvo, Pignataro Interamna,oltre a numerose località dovesono stati raccolti resti isolati <strong>di</strong> una oal massimo <strong>di</strong> due specie. Le faune <strong>di</strong>questo periodo sono dominate dalla


60 Paleontologia dei vertebratiQUADERNI DEL MUSEOFigura 8 - Schema biocronologico delle Faune Locali dell’area romana


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Paleontologia dei vertebrati61presenza <strong>di</strong> E. antiquus e dalle altre formemenzionate nella parte generale sull’Aureliano.Fra i piccoli mammiferi (sui quali lenostre conoscenze sono piuttosto limitate),si trovano generalmente specieidentiche a quelle attualmente viventicome il ghiro (Glis glis), il castoro (Castorfiber) oggi assente dall’Italia, il toposelvatico (Apodemus sylvaticus) e altri,oppure più raramente forme estinte comegli arvicoli<strong>di</strong> dei generi Pliomys eIberomys, raccolti a Polledrara <strong>di</strong> Cecanibbio.Durante la parte più recentedell’Aureliano i giacimenti che hannorestituito il maggior numero <strong>di</strong> restifossili sono quelli <strong>di</strong> cavità carsiche.L’area che ha fornito il maggior numero<strong>di</strong> reperti è Monte Circeo con le suevarie grotte (Fossellone, delle Capre,Guattari – famosa per il suo cranio <strong>di</strong>Homo neanderthalensis – Breuil, ecc.). Altrelocalità fossilifere sono quelle dellaGrotta Polesini (vicino a Tivoli), la GrottaSant’Agostino (Gaeta), la Grotta <strong>di</strong>Palidoro (vicino a Cerveteri) e nell’area<strong>di</strong> <strong>Roma</strong> il giacimento <strong>di</strong> Tor Vergata. Inquesti siti le associazioni sono spessodominate dal piccolo equide E. hydruntinus,l’uro e il cervo. In alcune localitàfanno la loro comparsa sia lo stambeccosia il camoscio dell’Appennino (fig. 7).Nel Circeo (non in grotta) è stato scavatoun cranio <strong>di</strong> rinoceronte lanoso (C.antiquitatis) mentre a Grotta Polesini fala sua comparsa anche il ghiottone (Gulogulo), forma decisamente boreale.Nella fauna dei piccoli mammiferi, raccoltasia in grotta sia in giacimenti aperti(Ponte San Pietro presso Montalto,Caldera <strong>di</strong> Baccano a nord <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>), sinota la presenza, accanto a quella <strong>di</strong>forme attualmente viventi nella regione,<strong>di</strong> alcune specie che attualmente sitrovano più a nord, come il criceto (Cricetuscricetus) e i topi campagnoli (Microtusagrestis e Microtus arvalis), oppurein alta montagna come la marmotta(Marmota marmota) e l’arvicola delle nevi(Chionomys nivalis).Anche un pipistrello vespertilionide,Myotis dasycneme, oggi vivente nell’Europanord-orientale e in Asia centro-settentrionale,fa una sua fugace comparsanella Grotta <strong>di</strong> Cittareale (Rieti).Con l’inizio dell’ultimo riscaldamentoche segna anche l’inizio dell’Olocene lafauna assume il suo aspetto attuale anchese molte specie presenti circa 10.000anni fa, come il lupo oppure l’orso, ogginon popolano più la nostra regione.Riassumendo, la figura 8 elenca leprincipali Faune Locali riferite all’arearomana.BibliografiaAngelelli F., 1990. Le mammalofaune plio-pleistocenichedell’area laziale. 1 carta, <strong>Servizio</strong>Geologico Nazionale.Kotsakis T. & Barisone G., 2008. Cenni sui vertebratifossili <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>. Memorie Descrittive dellaCarta Geologica d’Italia, 80 (1), pp. 115-143.Palombo M.R., 2004. Le mammalofaune dellaCampagna <strong>Roma</strong>na: biocronologia, paleoambienti. II Congresso GeoSed, Escursionepre-congresso, 29 pp.Petronio C., Di Stefano G. & Sardella R., 2000.<strong>Roma</strong>: due milioni <strong>di</strong> anni fa. Le Scienze, 381,pp. 52-62.


62 L’ALBA DEL SISTEMA SOLAREQUADERNI DEL MUSEOAlla scoperta delle originidel Sistema solare:la sonda Dawn esplora VestaMaurizio ChirriIl 15 luglio <strong>2011</strong> la sonda Dawn (Alba),della NASA, dopo un viaggio <strong>di</strong> 2,4miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> km ha raggiunto l’asteroideVesta, il suo primo obiettivo.Partita il 27 settembre 2007 da Cape Canaverale spinta da un motore a propulsioneionica, si è immessa nell’orbitadel pianetino, collocandosi, nella primafase della missione, a un’altezza me<strong>di</strong>a<strong>di</strong> 2000 km. La stazione automatica deveil suo nome alla peculiare natura deiMaurizio Chirri: Direttore del Museo, Docentea contratto, Università <strong>degli</strong> Stu<strong>di</strong> “<strong>Roma</strong> <strong>Tre</strong>”suoi due obiettivi (l’altro è il pianetinominore Cerere), che sono i principalioggetti della Fascia <strong>degli</strong> Asteroi<strong>di</strong>.Questi sono considerati residui dellostesso materiale da cui hanno avuto originei pianeti e i loro satelliti, ovverouna testimonianza dell’alba del Sistemasolare.Fra gli oltre 100 mila corpi <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensionisuperiori al chilometro che costituisconola fascia, i primi quattro, scopertifra il 1801 e il 1807, Cerere, Pallade, Junoe Vesta, costituiscono oltre il 50%della massa totale.Figura 1 - Il pianetino Vesta la sera del 29 marzo 1807,sullo sfondo le stelle della Vergine (simulazione con Stellarium)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4L’alba del Sistema solare63■ La scopertaA gettare il primo sguardo sul piccoloastro <strong>di</strong> magnitu<strong>di</strong>ne 6,2 fu un me<strong>di</strong>co<strong>di</strong> Brema, Heinrich Wilhelm Olbers, chedal proprio osservatorio, nella notte del29 marzo 1807, ne osservò il lento movimentosullo sfondo della costellazionedella Vergine (fig. 1). Olbers, che nel1802 aveva già scoperto il pianetino Juno,fu aiutato da Friedrich Gauss per ilcalcolo dei parametri orbitali: il semiassemaggiore risultò <strong>di</strong> 2,8 U. A., il periodo<strong>di</strong> circa 3,6 anni, e fu Gauss a scegliereil nome della dea romana del focolare,Vesta. Quei dati apparvero un’ulterioreconferma della cosiddetta Legge<strong>di</strong> Titius-Bode, sull’esistenza <strong>di</strong> un pianetainterme<strong>di</strong>o fra Marte e Giove. A seguito<strong>di</strong> queste scoperte, fra gli astronomieuropei si costituì un coor<strong>di</strong>namentoosservativo denominato “Himmelpolizei”(polizia celeste), il cui compito eral’in<strong>di</strong>viduazione del maggior numerodei corpi in orbita fra Marte e Giove. Fuproprio Olbers a sostenere che i piccolipianeti fossero i frammenti del pianetaprevisto dalla sequenza <strong>di</strong> Titius-Bode,<strong>di</strong>sgregatosi in una catastrofe primor<strong>di</strong>ale.Almeno dalla prima metà del XXsecolo è noto che la miriade <strong>di</strong> piccolicorpi della Fascia principale sono in effettiil materiale residuale della costruzionedei pianeti, dunque una preziosatestimonianza sulle fasi più antiche dell’evoluzionedel Sistema solare.■ 1807-2007:due secoli <strong>di</strong> scoperteGli stu<strong>di</strong> su Vesta sono proseguiti percirca 200 anni con vari tipi <strong>di</strong> osservazioni.Già nella seconda metà del XIXsecolo le tecniche fotometriche avevanoconsentito una stima atten<strong>di</strong>bile del <strong>di</strong>ametro,circa 500 km (Pickering, 1879),del periodo <strong>di</strong> rotazione, <strong>di</strong> oltre 5 ore,dell’elevata albedo superficiale. Tramitele perturbazioni gravitazionali indottesull’asteroide 197 Arete, si è ricavata laprima stima della massa: 1,3 10 23 g, euna valutazione della densità me<strong>di</strong>a: 3g/cm 3 (Hertz, 1966). Una campagna osservativain coincidenza dell’occultazionedella stella SAO 93228 nel 1991, hapermesso <strong>di</strong> dedurne la forma schiacciata.Le osservazioni spettroscopicheavevano in<strong>di</strong>cato una probabile naturabasaltica delle rocce, costituenti un“unicum” fra tutti gli asteroi<strong>di</strong> che hanno,per la gran parte, una composizionesuperficiale assai simile a quella dellemeteoriti chiamate Condriti or<strong>di</strong>narie.In effetti una famiglia <strong>di</strong> meteoriti, leEucriti, appartenenti alle Acondriti, hacaratteristiche spettrali perfettamentesovrapponibili a quella <strong>di</strong> Vesta (McCord et alii, 1970; Drake e Consolmagno,1977) (figg. 2 e 3). Queste meteoriti,che presentano fra loro piccole variazioni<strong>di</strong> composizione, sono collettivamentenote agli stu<strong>di</strong>osi con l’acronimoFigura 2 - Eucrite, meteorite acondriticaprobabilmente proveniente da Vesta,caduta a Pasamonte, New Mexico, USA


64 L’alba del Sistema solareHED, dalle iniziali delle famiglie Howar<strong>di</strong>ti,Eucriti, Diogeniti. Strappatedagli impatti <strong>di</strong> boli<strong>di</strong> alla superficie <strong>di</strong>Vesta, hanno fatto un lungo viaggio nelSistema solare e infine, attratte dallaforza <strong>di</strong> gravità, hanno attraversato ladensa atmosfera del nostro pianeta, peressere successivamente in<strong>di</strong>viduate,raccolte, stu<strong>di</strong>ate e, quin<strong>di</strong>, costituire iprimi frammenti <strong>di</strong> remotissimi mon<strong>di</strong>a <strong>di</strong>sposizione <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>osi.Così, la superficie <strong>di</strong> Vesta risultava formatapresumibilmente da materiali simili,a quelli <strong>degli</strong> altopiani e mari lunari,costituiti da anortositi e basalti.Questa composizione petrografica suggerival’esistenza <strong>di</strong> una crosta <strong>di</strong>fferenziata,ovvero <strong>di</strong> un piccolo mondo sucui erano stati attivi quei processi geologiciche sono tipici dei pianeti terrestri:fusione dell’interno (parziale ocompleta), <strong>di</strong>fferenziazione in nucleo,mantello, crosta, forse un oceano magmaticoprimor<strong>di</strong>ale, espan<strong>di</strong>menti lavici.Dunque una storia comune ai pianetiinterni, anche se in un mondo le cui<strong>di</strong>mensioni sono appena 1/20 <strong>di</strong> quelleterrestri, e la massa (2,6 x 10 23 g) meno<strong>di</strong> 1/10000!Figura 3 - Diagramma che confrontalo spettro <strong>di</strong> Vesta, in alto, con gli spettriricavati da 3 meteoriti cosiddette HEDQUADERNI DEL MUSEOImportanti scoperte sono arrivate, apartire dagli anni ‘90, dal telescopiospaziale Hubble, che ha mostrato lamorfologia ellissoidale dell’asteroide, loschiacciamento polare, <strong>di</strong> circa 1/10(quello della Terra è 1/297), la presenza<strong>di</strong> un gigantesco cratere al polo sud, regionichiare e scure e un’albedo del35%: caratteristiche, queste ultime due,assai simili a quelle della Luna. La tabella1 riassume alcuni parametri orbitalie fisici <strong>di</strong> Vesta.■ La missione Dawn: <strong>2011</strong>-2012Le prime immagini rinviate da Dawnhanno confermato la natura eterogeneadella superficie <strong>di</strong> Vesta. La mappaturafotografica ha in<strong>di</strong>viduato singolariaspetti della morfologia, come la presenza<strong>di</strong> una fascia periequatoriale asolchi e creste (fig. 4). Il polo sud presentaun grande bacino da impatto, chiamatoRheasilvia, <strong>di</strong> oltre 450 km <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro.Al centro, un gigantesco picco sieleva per oltre 22 km sulla pianura circostante(fig. 5), costituendo la massimaaltezza montuosa nel Sistema solarenon prodotta da fenomeni vulcanici.Le caratteristiche morfologiche del piccocentrale permettono <strong>di</strong> stimare unospessore crostale del pianetino moltoelevato (oltre 1 / 4 del raggio). L’impattoche generò il cratere tra 1 e 2 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong>anni fa, ha scagliato nello spazio un cospicuovolume <strong>di</strong> materiali rocciosi. Si èprodotta così una famiglia <strong>di</strong> asteroi<strong>di</strong> icui parametri orbitali sono simili aquelli <strong>di</strong> Vesta e che costituiscono i cosiddettiasteroi<strong>di</strong> <strong>di</strong> Tipo V: da questafonte derivano le meteoriti HED.Le analisi condotte dallo spettrometro<strong>di</strong> bordo (realizzato dall’I.N.A.F.-<strong>Roma</strong>)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4L’alba del Sistema solare65Tabella 1 - Parametri orbitali e fisici <strong>di</strong> Vesta (i valori tra parentesi sono riferiti alla Terra)hanno evidenziato un’elevata varietànella composizione mineralogica dellerocce superficiali, rivelando una strutturacrostale stratificata. La superficiesarebbe costituita da un regolite <strong>di</strong> breccebasaltiche simili alle Howar<strong>di</strong>ti e alleEucriti non cumulitiche, mentre gli straticrostali profon<strong>di</strong> sarebbero formati darocce magmatiche intrusive corrispondentialle Diogeniti ed Eucriti (fig. 6).Alcune macchie oscure superficiali sonodepressioni i cui dati topografici sonoancora incerti e costituiscono il corrispondentedei mari lunari, espan<strong>di</strong>mentibasaltici verificatisi nelle primefasi della storia <strong>di</strong> Vesta. Una <strong>di</strong> questearee scure, il Mare <strong>di</strong> Olbers, <strong>di</strong> circa 200km <strong>di</strong> <strong>di</strong>ametro, è stata scelta per localizzareil meri<strong>di</strong>ano zero, origine del sistemacartografico planetario.Figura 4 - Ripresa della regionea solchi e creste, al confinecon l’emisfero settentrionaleFigura 5 - Ripresa del polo sud: si riconosceil bordo circolare del cratere Rheasilvia,con il picco montuoso <strong>di</strong> oltre 22 km <strong>di</strong> altezza


66 L’alba del Sistema solareQUADERNI DEL MUSEOSono state elaborate ipotesi sui meccanismiche hanno consentito il riscaldamentoplanetario <strong>di</strong> un oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensionicosì modeste. Il combustibiledel motore geologico sarebbe stato unaparticolare concentrazione all’internodel corpo dell’isotopo a breve vita 26 Al,per deca<strong>di</strong>mento ra<strong>di</strong>oattivo. La vitageologica <strong>di</strong> Vesta sarebbe durata poco,circa 10-20 milioni <strong>di</strong> anni, sufficienti,tuttavia, a produrre il vulcanismo superficiale.L’attuale fase d’indagine (High AltitudeMapping Orbit) prevede una mappaturafotografica ad elevata risoluzione daun’orbita a 600 km dalla superficie.Nella successiva fase, (Low AltitudeMapping Orbit), l’orbita sarà abbassata a160 km, per riprese fotografiche <strong>di</strong> dettaglioad altissima risoluzione. Infine,nella prossima primavera, la sonda saràricollocata alla quota <strong>di</strong> 600 km, percompletare la mappatura dell’emisferosettentrionale. Infatti nel luglio scorso ilpolo nord del pianeta era in ombra pergli effetti stagionali dovuti all’obliquità<strong>di</strong> 29° dell’asse <strong>di</strong> rotazione: le stagionisi presentano pertanto invertite rispettoa quelle della Terra. Una singolare coincidenza:da Vesta, in questo periodo, sarebbevisibile una particolare e suggestivacongiunzione planetaria (fig. 7).La missione costituisce insieme il proseguimento<strong>di</strong> oltre due secoli <strong>di</strong> lavori <strong>di</strong><strong>di</strong>verse generazioni <strong>di</strong> astronomi suipiccoli mon<strong>di</strong> del Sistema, e <strong>degli</strong> stu<strong>di</strong>sulla conoscenza della genesi dei protopianetiche <strong>di</strong>edero origine alla famigliaplanetaria del Sole, <strong>di</strong> cui Vesta costituirebbel’ultimo rappresentante. Nelprossimo luglio la sonda lascerà la suaorbita e inizierà il lungo inseguimento<strong>di</strong> 1,5 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> km fino al successivoobiettivo, Cerere. Non resta che augurarsiun felice svolgimento <strong>di</strong> missionee un buon proseguimentoper il lunghissimo viaggio alla ricercadelle comuni origini.Siti web <strong>di</strong> consultazionewww.nasa.comwww.asi.itwww.ifsi-romainaf.it/virBibliografiaFigura 6 - Cartografia geologica dell’emisferomeri<strong>di</strong>onale, centrata sul picco del cratere Rheasilvia.In grigio: regolite brecciato. In colore: coperture <strong>di</strong>ejecta prodotti da impatti sulla superficie, costituitida frammenti <strong>di</strong> rocce magmatiche intrusive(eucriti e <strong>di</strong>ogeniti).AA.VV., 1998. Planetary materials. MineralogicalSociety of America.Beatty J.K., Chaikin A., 1990. The New SolarSystem. Cambridge University Press.Bell J., <strong>2011</strong>. Dawn e Vesta si sono incontrati.Le Stelle, n. 101.Fairbridge, Rhodes (a cura <strong>di</strong>), 1997.Encyclope<strong>di</strong>a of Planetary Sciences. Chapman& Hall.Moore P., 1990. Il Guinness dell’Astronomia.Rizzoli.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4L’alba del Sistema solare67Figura 7 - Alba su Vesta: guardando l’orizzonte est poco prima della levata del Sole,un eventuale osservatore ammirerebbe la stretta congiunzione dei pianeti “interni”Marte, Terra e Venere (simulazione con Stellarium)Glossarioalbedo: proprietà fisica della superficie <strong>di</strong> uncorpo planetario <strong>di</strong> riflettere la ra<strong>di</strong>azione solareincidente. Varia fra valori inferiori a 0,10,tipici <strong>degli</strong> asteroi<strong>di</strong> carboniosi <strong>di</strong> colore scuro,a oltre 0,9 per le superfici delle lune ghiacciate,che riflettono come uno specchio la lucesolare. L’albedo della Terra è 0,39.anortositi: rocce magmatiche intrusive, formatein prevalenza da plagioclasi ricchi in Ca; sullaLuna costituiscono le terre (o altopiani), conetà <strong>di</strong> circa 4,4 miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni.Eucriti: famiglia <strong>di</strong> meteoriti appartenenti algruppo HED della sottoclasse Acondriti. Sonoassai simili a rocce magmatiche basiche eultrabasiche terrestri e presentano caratteristichespettrali simili alla superficie <strong>di</strong> Vesta,che è pertanto ritenuto il corpo progenitore.Diogeniti: famiglia <strong>di</strong> meteoriti appartenenti algruppo HED, simili a rocce magmatiche intrusiveultrabasiche terrestri. Sono riferite allacrosta profonda <strong>di</strong> Vesta, a cui sono statestrappate da un gigantesco impatto circa 1,2miliar<strong>di</strong> <strong>di</strong> anni fa.Howar<strong>di</strong>ti: famiglia <strong>di</strong> meteoriti appartenenti algruppo HED, simili a rocce magmatiche effusivebasiche e ultrabasiche terrestri. Si ritieneche provengano dal regolite e dal suo lettoroccioso della superficie <strong>di</strong> Vesta.occultazione: fenomeno astronomico causatodal transito <strong>di</strong> un oggetto <strong>di</strong> <strong>di</strong>mensioni angolarimaggiori rispetto a uno minore, lungola linea <strong>di</strong> vista dell’osservatore. Le eclissi sonouna categoria speciale <strong>di</strong> occultazioni. Leoccultazioni da parte della Luna rispetto aipianeti lontani o stelle, o dei pianeti e asteroi<strong>di</strong>fra loro o rispetto alle stelle, sono essenzialmentefenomeni topocentrici, riguardanopertanto, come le eclissi solari, porzioni limitatedella superficie terrestre.regolite: strato superficiale costituito da frammentidel letto roccioso, da ejecta <strong>di</strong> impatti,da materiale meteoritico, in forma <strong>di</strong> brecce,tipico dei pianeti o lune senza atmosfera.schiacciamento: parametro fisico relativo allaforma più o meno sferica <strong>di</strong> un corpo planetario;è espresso me<strong>di</strong>ante la formula [a-b/a],dove a e b sono rispettivamente il raggioequatoriale e polare. Questo valore è proporzionalealla velocità <strong>di</strong> rotazione.semiasse (minore, maggiore, me<strong>di</strong>o): parametrofondamentale in<strong>di</strong>cante la <strong>di</strong>stanza dalSole, espressa in U. A., unità astronomichepari alla <strong>di</strong>stanza me<strong>di</strong>a Terra-Sole.spettro: sud<strong>di</strong>visione della luce emessa o riflessa<strong>di</strong> un corpo celeste, nelle <strong>di</strong>verse lunghezzed’onda che la compongono.legge <strong>di</strong> Titius-Bode: scoperta in<strong>di</strong>pendentementedagli astronomi tedeschi Johann D. Titius(1766) e Johann E. Bode (1772), è una sequenzaempirica che prevede con <strong>di</strong>scretaprecisione i semiassi maggiori delle orbiteplanetarie.


68 METEOQUADERNI DEL MUSEOIl tempo che ha fattoAssociazione Onlus Edmondo BernaccaIn questo spazio vengono presentati i dati registrati dalla stazione meteorologicadel Museo Geopaleontologico (nella figura 1 sono illustratele caratteristiche tecniche):temperatura (minima e massima), vento (<strong>di</strong>rezione e velocità),precipitazioni e stato del cielo (S = sereno, M = misto, C = coperto)


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Meteo69AssociazioneEdmondo BernaccaonlusL’Associazione Edmondo Bernacca racconta la scienza deltempo attraverso la <strong>di</strong>vulgazione e l’informazione della meteorologiapassata, presente e futura. Fra i soci fondatori, oltre amolti meteo-appassionati, il figlio <strong>di</strong> Edmondo, Paolo, l’amico ecollega <strong>di</strong> sempre il Gen. Andrea Baroni, la Dott.ssa FrancaMangianti (Presidente dell’Associazione), responsabile dell’Osservatoriometeorologico del Collegio <strong>Roma</strong>no <strong>di</strong> <strong>Roma</strong>, ei noti meteorologi Giancarlo Bonelli e Francesco Laurenzi.Proprio in quest’ottica è nato il Progetto CLIMA, in cui rientrala centralina meteo <strong>di</strong> Rocca <strong>di</strong> Cave, un sito importante vistala sua posizione dominante sulla Provincia <strong>Roma</strong>na.


70 MeteoQUADERNI DEL MUSEO


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Meteo71Figura 1 - Caratteristiche tecniche della centralina posta sulla terrazza della Rocca


72 FOTOGRAFARE IL CIELOQUADERNI DEL MUSEOGli strumentiper la ripresa planetariaSergio AlessandrelliParte prima:Telescopio e telecameraNel numero precedente della rivista abbiamovelocemente introdotto i risultatiottenibili in ambito amatoriale nelcampo dell’imaging planetario. Vogliamoora focalizzare la nostra attenzionesugli strumenti e le tecniche da usareper chi volesse cimentarsi in questa interessanteattività.Il sistema <strong>di</strong> ripresa è composto da pochielementi, in genere non eccessivamentecostosi e semplici da usare. Fondamentalmentela nostra attrezzaturasarà composta da un telescopio, da sistemi<strong>di</strong> ingran<strong>di</strong>mento, da una telecamerae da un personal computer: ve<strong>di</strong>amolinel dettaglio.Il componente fondamentale è ovviamenteil telescopio: è questo lo strumentoche consente <strong>di</strong> raccogliere laluce proveniente dai corpi celesti, formandoneuna immagine dettagliata.La scelta del telescopio è sicuramentequella che pone maggiori domande, siaper il costo che per la grande varietà <strong>di</strong>configurazioni ottiche <strong>di</strong>sponibili.Partiamo allora da quelli che devono esserei requisiti del nostro strumento. Amio parere il parametro più importanteè la facilità e l’imme<strong>di</strong>atezza d’uso. Laripresa in alta risoluzione richiede infatti<strong>di</strong> poter sfruttare il massimo numeroSergio Alessandrelli: Ingegnere informatico.Gruppo Astrofili HipparcosFigura 1 - Schmidt-Cassegrain da 9.25”,un ottimo strumento planetario<strong>di</strong> serate <strong>di</strong> cielo sereno, in modo da aumentarela probabilità <strong>di</strong> trovarci in unamomento <strong>di</strong> buon seeing (visibilità, turbolenza),in cui i dettagli del pianeta sianovisibili al meglio. Per questo non abbiamobisogno <strong>di</strong> un grande <strong>di</strong>ametro.Uno specchio tra i 20 ed i 30 cm, benlavorato e a bassa ostruzione, sarà quantoal massimo riusciremo a sfruttarein con<strong>di</strong>zioni normali <strong>di</strong> seeing. Fondamentalesarà curare la collimazione <strong>degli</strong>specchi e l’acclimatamento del tubo,ossia dare tempo al telescopio <strong>di</strong> raggiungerel’equilibrio termico con l’ambienteche lo circonda.L’ideale a questo proposito è lasciare iltelescopio all’aperto per almeno due oreprima <strong>di</strong> iniziare le riprese, specie se siopera con tubi chiusi e <strong>di</strong> grande <strong>di</strong>ametro,caratterizzati da una maggiorecapacità ed inerzia termica.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Fotografare il cielo73Questi fattori, seeing, collimazione e acclimatamento,concorrono più <strong>di</strong> ognialtra cosa al raggiungimento <strong>di</strong> un buonrisultato.Particolare cura dovrà poi essere postanella messa a fuoco per la quale potremmoaffidarci ad un focheggiatoremicrometrico motorizzato e a meto<strong>di</strong>numerici come la misura dell’FVHM.Quale strumento, quin<strong>di</strong>?Una buona scelta, specie per iniziare,potrebbe essere un classico ed economicoNewtoniano f/8 <strong>di</strong> 25 cm, ovverouno Schmidt-Cassegrain <strong>di</strong> 23-28 cm.La focale <strong>di</strong> questi strumenti sarà in generetroppo piccola per riprendere i piùminuti dettagli planetari. Per aumentarel’ingran<strong>di</strong>mento dovremmo quin<strong>di</strong>ricorrere a sistemi quali le lenti <strong>di</strong> Barlowo le Powermates. Questi <strong>di</strong>spositiviconsentono <strong>di</strong> moltiplicare <strong>di</strong> n volte lafocale (e <strong>di</strong> conseguenza il rapporto focale)dello strumento. Quale sia l’ingran<strong>di</strong>mentomigliore <strong>di</strong>pende da moltifattori. Se da una parte abbiamo meto<strong>di</strong>teorici ben precisi (es. teorema delcampionamento <strong>di</strong> Nyquist-Shannon),dall’altra dovremmo basarci su considerazionipiù empiriche, legate alla turbolenzaatmosferica, alla sensibilità dellatelecamera etc. Una Barlow 2x o 3x checi consenta <strong>di</strong> raggiungere rapporti focalitra f/20 ed f/30 potrebbe essere unbuon compromesso.Figura 2 - Principio <strong>di</strong> funzionamento<strong>di</strong> una lente <strong>di</strong> BarlowFigura 3 - Una telecameraper la ripresa planetariaPer quanto riguarda la telecamera <strong>di</strong> ripresa(la reflex è ormai relegata all’ambitodella ripresa a grande campo <strong>di</strong>Luna e Sole), la scelta deve tener conto<strong>di</strong> <strong>di</strong>versi aspetti tra cui le <strong>di</strong>mensionidel soggetto (se vogliamo riprendereprincipalmente la Luna avremmo bisogno<strong>di</strong> un sensore <strong>di</strong> buone <strong>di</strong>mensioni),la necessità <strong>di</strong> usare filtri (che ci farannooptare per una camera b/n), il tipo<strong>di</strong> connessione al PC e non per ultimoil prezzo.Una buona scelta è optare per una cameraa colori, dal sensore <strong>di</strong> me<strong>di</strong>e <strong>di</strong>mensioni(1024x768 pixel), con elevatoframe rate e filtro IR rimovibile. Diverseaziende producono ottimi prodotti conqueste caratteristiche con prezzi chepossono variare tra i 300 e i 500 euro aseconda del modello.L’alternativa economica è adattareuna comune webcam per PC. Leprestazioni sono certamente inferiorima si avrà modo <strong>di</strong> acquisirele tecniche e verificare la nostrapassione in questa attività.Per ultimo dobbiamo considerare ilPC. Qui non ci sono particolari problemi,tutti più o meno ne abbiamogià uno in casa. Dobbiamo al più


74 Fotografare il cieloQUADERNI DEL MUSEOverificare <strong>di</strong> avere porte <strong>di</strong> connessioneveloci (USB2, Firewire o Gigabit Ethernet),parecchio spazio libero sul <strong>di</strong>sco rigido(una sessione <strong>di</strong> ripresa può tranquillamentegenerare 30 o 40 GByte <strong>di</strong>dati). Ovviamente servirà anche unprocessore veloce coa<strong>di</strong>uvato da unabuona scheda grafica.Sul software e le tecniche <strong>di</strong> elaborazioneparleremo in un prossimo articolo,speriamo intanto <strong>di</strong> aver fornito qualchespunto utile ad orientarsi nella sceltadell’attrezzatura <strong>di</strong> ripresa.Per approfon<strong>di</strong>reCarbognani A., 2006. Astronomia con la webcam.Sirio E<strong>di</strong>tore, pp. 1-143.Mobberley M., 2007. Imaging planetario: Guidaall’uso della webcam. Springer Verlag, pp.1-229.astronomia&f ilatelia(a cura <strong>di</strong> Francesco Grossi)Lo Stato della Città del Vaticano ha ricordato, in un’emissione congiunta con laCroazia, il terzo centenario della nascita <strong>di</strong> Ruggiero Boscovich.Ruggiero Giuseppe Boscovich (18 maggio 1711 - 13 febbraio 1787) è stato unastronomo, matematico e padre gesuita originario della Repubblica <strong>di</strong> Ragusa (repubblicamarinara dalmata il cui territorio corrisponde all’attuale Croazia), che visseed operò prevalentemente in Italia. Boscovich stu<strong>di</strong>ò al Collegio <strong>Roma</strong>no e <strong>di</strong>venneprofessore <strong>di</strong> matematica nel 1740. Fin dalle sue prime ricerche iniziò ad elaborareuna teoria sulla struttura del mondo fondata su una particolare legge che esprimessetutte le forze della natura: essa trovò una formulazione definitiva nella sua opera“Philosophiae naturalis theoria” (1758).È stato uno dei primi nell’Europa continentalead accettare le teorie gravitazionali<strong>di</strong> Isaac Newton e fu autore <strong>di</strong> circa70 scritti sull’ottica, astronomia, gravitazionee meteorologia. Osteggiato dalCollegio, si recò, nel 1759, in Francia e<strong>di</strong>n Inghilterra, dove fu nominato membrodella Royal Society, mentre quattro annipiù tar<strong>di</strong> fu nominato professore <strong>di</strong> matematicaall’Università <strong>di</strong> Pavia. Fu tra i fondatori dell’osservatorio astronomico <strong>di</strong> Brerae dal 1782 fece parte, quale socio fondatore, anche dell’Accademia dei XL, cheintendeva includere per l’appunto i quaranta migliori scienziati dell’epoca. Boscovichfu il primo a fornire una procedura per il calcolo dell’orbita <strong>di</strong> un pianeta sulla base <strong>di</strong>tre osservazioni della sua posizione e <strong>di</strong>ede anche una procedura per determinarel’equatore <strong>di</strong> un corpo celeste. Inoltre, formulò quella che oggi è chiamata ipotesi <strong>di</strong>Boscovich ed è alla base della definizione fisica <strong>di</strong> corpo rigido.Il francobollo celebrativo, emesso nel <strong>2011</strong>, ha un valore <strong>di</strong> 3,30 euro: raffigura sulladestra Ruggiero Boscovich, mentre sulla sinistra è raffigurata la cupola <strong>di</strong> SanPietro, oggetto <strong>di</strong> uno stu<strong>di</strong>o per il suo consolidamento da parte dell’astronomo.


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4La SupernovaSN<strong>2011</strong>feVARIABILIA75Marco VincenziL’oggetto del quale ci occupiamo inquesta puntata è la supernova denominataSN<strong>2011</strong>fe, comparsa all’internodella galassia M101, nella costellazionedell’Orsa Maggiore (fig. 1).Il 24 agosto <strong>2011</strong>, alcuni astronomi delprogetto <strong>di</strong> ricerca denominato “PalomarTransient Factory”, mirato alla scopertaed allo stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> fenomeni transitori,annunciarono la scoperta <strong>di</strong> unadebole stellina <strong>di</strong> magnitu<strong>di</strong>ne 17,2comparsa alla periferia della galassiaM101 (NGC 5457).La nuova arrivata, inizialmente etichettatacome “PTF11kly”, cominciò subitoa manifestare una grande vivacità, aumentandola propria luminosità moltorapidamente, e catturando imme<strong>di</strong>atamentel’attenzione <strong>degli</strong> scienziati, iquali si resero ben presto conto che ci sitrovava davanti ad un oggetto non comune.Appena ricevuta la conferma chesi trattava <strong>di</strong> una supernova, le vennesubito attribuita la denominazione ufficiale“SN<strong>2011</strong>fe”.■ Supernovae <strong>di</strong> tipo I e IIStoricamente, gli astronomi hanno <strong>di</strong>stintole supernovae in due classi fondamentali,ciascuna delle quali può esserea sua volta <strong>di</strong>stinta in alcune sottoclassi(a seconda delle presenza o menonel loro spettro elettromagnetico <strong>di</strong> alcunerighe caratteristiche).In particolare, le supernovae <strong>di</strong> tipo Inon mostrano linee dell’idrogeno, mentresi verifica il contrario per quelle <strong>di</strong>tipo II.Dall’esame spettroscopico si è scopertoche la SN<strong>2011</strong>fe appartiene al tipo Ia(una sottoclasse del tipo I, che noncontiene elio e mostra delle tipiche righe<strong>di</strong> assorbimento del silicio) che, siritiene, derivi dal collasso <strong>di</strong> una nanabianca che si trova in orbita stretta insiemead un’altra stella <strong>di</strong> massa maggiore,alla quale risulta legata gravitazionalmente.Simili coppie <strong>di</strong> stelleprendono il nome <strong>di</strong> variabili cataclismatiche.Quello che accade in un sistema del genereè che la stella <strong>di</strong> massa maggioreversa parte della sua materia sulla nanabianca a causa <strong>di</strong> forze mareali <strong>di</strong> immanepotenza, e quando questa materiasupera un certo limite critico detto “Limite<strong>di</strong> Chandrasekhar”, pari a circa 1,4masse solari, la nana bianca collassasu se stessa, per poi esplodere con unapotenza enorme.Marco Vincenzi: Gruppo Astrofili Hipparcos, Sezione Variabili. Membro AAVSO


76 VariabiliaQUADERNI DEL MUSEO■ L’importanza dellesupernovae <strong>di</strong> tipo IaLe supernovae <strong>di</strong> questo tipo sono cosmologicamentemolto importanti, perchépossono essere usate per determinarela <strong>di</strong>stanza delle galassie che leospitano (fig. 2).Oggi gli stu<strong>di</strong>osi ritengono che tutte lesupernovae <strong>di</strong> tipo Ia raggiungano similipicchi <strong>di</strong> luminosità, fondamentalmenteperché il limite <strong>di</strong> Chandrasekharè sempre lo stesso, e proprio la misurazione<strong>di</strong> questo picco rappresentaun importante in<strong>di</strong>catore per la calibrazionedelle <strong>di</strong>stanze delle galassie ottenuteanche con altri sistemi (ad esempioil redshift). In<strong>di</strong>viduando e misurandoil flusso luminoso proveniente dallesupernovae <strong>di</strong> tipo Ia possiamo, quin<strong>di</strong>,misurare le <strong>di</strong>mensioni e la strutturadell’Universo.■ Le SN più luminoseLe supernovae molto luminose sonoabbastanza rare, ed ancora più raro èche raggiungano una luminosità comequella raggiunta dalla SN <strong>2011</strong>fe.L’ultima supernova che raggiunse unaluminosità comparabile fu la SN1993J,una supernova <strong>di</strong> tipo II che raggiunsela magnitu<strong>di</strong>ne 10, mentre dobbiamotornare al 1972 per trovarne una <strong>di</strong>tipo Ia (cioè la SN1972E), che raggiunsela magnitu<strong>di</strong>ne 8,5, quin<strong>di</strong> ormai 40anni fa.Figura 1 - La supernova ripresa dall’autore la sera del 15/09/<strong>2011</strong>


APRILE <strong>2011</strong> - N. 4Variabilia77Figura 2 - Curva <strong>di</strong> luce tipica <strong>di</strong> una supernova <strong>di</strong> tipo ILa supernova risulta molto luminosa,in quanto si trova abbastanza vicino anoi. Infatti la galassia che la ospita, denominataM101, è <strong>di</strong>stante dal Sole soltanto20 milioni <strong>di</strong> anni luce, una <strong>di</strong>stanzache su scala cosmica la pone comeuna imme<strong>di</strong>ata vicina della nostragalassia.■ Le osservazioniLa relativa vicinanza della galassiaospite, unita al fatto <strong>di</strong> essere riusciti acogliere, fatto ancora più raro, la stellanella fase <strong>di</strong> luminosità crescente mentresi trovava nelle fasi finali della suaesistenza, ha fatto sì che la SN<strong>2011</strong>ferappresentasse una occasione moltoghiotta per meglio comprendere il fenomenosupernova, e così la comunitàscientifica internazionale ha potuto <strong>di</strong>spiegaretutta la propria capacità osservativaa livello strumentale, effettuandocampagne <strong>di</strong> osservazione praticamentein tutte le bande dello spettroelettromagnetico, con una massiccia edattivissima partecipazione anche dellanutrita schiera <strong>di</strong> astrofili che si sonospecializzati nello stu<strong>di</strong>o <strong>di</strong> simili fenomeni.BibliografiaHogan C.J. Il mistero delle supernove lontane.Le Scienze (American Scientific), 367, p. 42.Burrows A., 2000. Supernova explosions in theuniverse. Nature, Vol. 403, p. 727.


78 IL CIELO NEL MIRINOQUADERNI DEL MUSEOLa cometa, il “Velo”e la supernovaa cura <strong>di</strong> Bruno PulcinelliGruppo Astrofili Hipparcos - Sezione Gnomonica.Socio UAIIl terrazzo alla sommità della Rocca Colonna ospita una stazione per l’osservazionedella volta celeste, sia <strong>di</strong>rettamente, sia utilizzando strumenti astronomici, conl’aiuto e la guida <strong>degli</strong> astronomi dell’Associazione Hipparcos. La strumentazione,che comprende un telescopio principale Celestron C14 (<strong>di</strong>ametro 360 mm, lunghezzafocale 3950 mm), consente anche <strong>di</strong> ottenere splen<strong>di</strong>de immagini <strong>degli</strong> oggetticelesti: prosegue quin<strong>di</strong> anche in questo numero dei “Quaderni” la serie <strong>di</strong> immaginiastronomiche realizzate a Rocca <strong>di</strong> Cave.Nella pagina a fronte:Figura 1 - “Incontro ravvicinato” tra la cometa C/2009-P1Garradd e l’ammasso globulare M15 nella costellazione <strong>di</strong>Pegaso; la cometa, scoperta nel 2009 dall’americano Garradd,è stata qui ripresa all’inizio <strong>di</strong> Agosto <strong>2011</strong>, quando eraa 225 milioni <strong>di</strong> km da noi; essa si stava avvicinando e hatoccato il perielio a fine <strong>di</strong>cembre, per raggiungere la massimaluminosità all’inizio <strong>di</strong> febbraio 2012.Figura 2 - La nebulosa “Velo” nel Cigno (NGC6960), resto <strong>di</strong>una supernova esplosa circa 40000 anni fa; la sua <strong>di</strong>stanzaè <strong>di</strong> 6500 a.l.Nell’ultima pagina <strong>di</strong> copertina:La galassia M101 raffigurata prima e dopo l’esplosione dellasupernova SN<strong>2011</strong>fe (agosto/settembre <strong>2011</strong>).Tutte le immagini sono state ottenute attraverso una reflex Canon EOS350 su un riflettoreguidamontato in parallelo allo strumento principale (<strong>di</strong>ametro 80 mm, lunghezza focale500 mm), con, rispettivamente, una somma <strong>di</strong> tre tempi <strong>di</strong> posa <strong>di</strong> 4 minuti (fig. 1) e unasomma <strong>di</strong> tre tempi <strong>di</strong> posa <strong>di</strong> 6 minuti (fig. 2 e ultima <strong>di</strong> copertina).

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