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Catalogo - Mostra internazionale del nuovo cinema

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tematizzato in un’opera, a parer nostro, meno riuscita, perché<br />

troppo innaturalmente strutturata, come 18 days around<br />

Arrington de Dionyso quartet (2002).<br />

Il <strong>cinema</strong> di Andrea Caccia si muove, dunque, sotto il<br />

segno <strong>del</strong>la continua trasformazione, <strong>del</strong>la progressiva<br />

mutazione <strong>del</strong>le forme in base alle necessità espressive e<br />

tematiche. In Due (1999), ad esempio, Caccia opera un’ulteriore<br />

rottura espressiva: la costruzione finzionale di un<br />

frammento di discorso amoroso scivola attraverso un montaggio<br />

lento e discontinuo, inframmezzato da interventi<br />

musicali che spezzano il discorso e la continuità <strong>del</strong>l’immagine.<br />

In Disco Inverno (2006), il suo ultimo lavoro, la<br />

volontà di dare letteralmente corpo alle forme mutevoli <strong>del</strong><br />

disagio giovanile, conduce l’autore ad addentrarsi nel campo<br />

<strong>del</strong>la metafora visiva, elaborando un testo ibrido, a metà<br />

tra finzione e documentario, tra film di genere e sguardo<br />

creativo sul reale. Caccia sembra trovare la forma soltanto<br />

a contatto con il profilmico, sembra aderire alla realtà, trasformando<br />

il suo stile in base alle necessità ambientali,<br />

come un camaleonte. Le prove migliori di Caccia si muovono<br />

proprio sotto il segno <strong>del</strong>la mutazione. Una mutazione<br />

che, però, non tradisce la presenza di uno stile precario,<br />

ma la forte e programmatica affermazione di uno stile <strong>del</strong>la<br />

precarietà, una chiara consapevolezza <strong>del</strong>l’impossibilità<br />

di chiudere la mutevolezza <strong>del</strong> reale all’interno di forme<br />

che ne impoveriscono le numerose insite potenzialità.<br />

pro-filmic; he seems to adhere to reality, transforming his style<br />

with respect to environmental needs, like a chameleon. Caccia’s<br />

best works are marked precisely by mutation. A mutation<br />

that, however, does not belie the presence of a precarious style,<br />

but the strong and programmatic validation of a style of precariousness,<br />

a clear awareness of the impossibility of closing<br />

the mutability of the real within forms that impoverish numerous<br />

innate potentialities.<br />

42 a <strong>Mostra</strong> Internazionale <strong>del</strong> Nuovo Cinema 167

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