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LA CORTE BENEDETTINA DI LEGNARO Vicende ... - Giuliocesaro.it

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‘CORTI’ E ‘GRANZE’ BENEDETTINE NEL ME<strong>DI</strong>OEVO: ALLE ORIGINI <strong>DI</strong> UNA STORIA <strong>DI</strong> LUNGA DURATAUna prima, ai piedi del monastero, presso una fonte,era cost<strong>it</strong>u<strong>it</strong>a da sedici campi di vigne; su una seconda,a Faedo, si estendevano quattordici campi pure divigneto con 400 alberi di ulivo; una terza, detta Roncodi Cornale, era s<strong>it</strong>uata a Castelnuovo e consisteva inun unico appezzamento di sei campi con alcune casedi paglia, v<strong>it</strong>i schiave, garganeghe e verdicchie, ulivi,alberi da frutto; una quarta, dislocata a Boccon, risultavaformata da cinque campi «cum domibus, canipa etseçuntis (ali, tettoie) de muro cohopertis de cupis et unategete cum vineis garganicis et verdisiis, cum vii pedibusolivarum, cum perariis, pomariis et aliis arboribusfructiferis». A Battaglia v’era infine un’altra casa dominicalecon granaio e caneva dove si raccoglieva tutto ilvino delle proprietà di pianura ed eventualmente partedi quello prodotto dai laboratores de monte e si facevacommercio delle biade. Tutto il resto era un pulviscolodi «petiunculas vinearum et terrarum multum remotaset distantes una ab altera et diificiles ad colendum»,di piccole parcelle «in variis et diversis locis Paduanidistrictus particular<strong>it</strong>er sic dispersas quod nec eas possuntpropter earum longissimam distanciam laborarepropter inopiam monasterii supradicti» 67 . Il che ci inv<strong>it</strong>ada un lato a pensare all’enorme sforzo che le fondazionimonastiche dovettero affrontare per tutto il Medioevo alfine di superare l’estrema frammentazione e l’esasperatadispersione delle proprietà; dall’altro ci fa capire quantofosse avvert<strong>it</strong>a nell’economia agraria del tempo l’esigenzadi creare dei centri di coordinamento del lavoro, digestione dei patrimoni, di aggregazione sociale.L’impoverimento anche spir<strong>it</strong>uale di tanta parte delmovimento monastico tardomedioevale sicuramentecompromise ma non annullò questo prezioso patrimoniodi precedenti esperienze gestionali 68 . Le corti benedettineche tuttora possiamo ammirare nella loro poderosabellezza, per la ver<strong>it</strong>à, sono frutti di una rinnovatastagione di imprend<strong>it</strong>oria monastica dovuta anche auna sofferta e da lungo attesa riforma della v<strong>it</strong>a religiosacenob<strong>it</strong>ica che si sviluppò solo a partire da Quattrocento69 . Ma fu, tuttavia, una ripresa non dimentica disecoli di anteriori realizzazioni faticose e ard<strong>it</strong>e.L’azione di recupero, per usare un’espressione fintroppo abusata, delle superst<strong>it</strong>i tracce di una culturaispirata insieme a concretezza ed eleganza, con leloro inconfondibili arch<strong>it</strong>etture porticate, le cappelle,i vasti cortili, le stalle, le scuderie, i granai, le fornaci,onora chi oggi la compie. A chi ne indaga la laboriosagestazione e lo sviluppo nel tempo tocca far memoriadi qualcosa d’altro. Queste opere destinate a sfidareil tempo, queste sintesi ideali di intelligenza e fatica,tra cui la Corte di Legnaro, sono anche segni vivi diuna lunga avventura umana nel senso più pieno, di uncammino che ha plasmato le coscienze non meno delpaesaggio. Sono insieme segni di lotta e di solidarietàche fanno parte integrante della nostra civiltà.A ricordarcelo, in forme quasi emblematiche, ci soccorronodue immagini. La prima: a Villa del Bosco, nelcuore della grande zona di bonifica dove i monaci diS. Giustina fin dal 1129 avevano posto le fondamentadella sterminata corte di Correzzola, nel 1483 i colonisi mettono d’accordo dopo una serie di pattuizioni coni religiosi per la costruzione delle case: essi procaccerannoi virgulta, la paglia e il legno minuto, al monasterotoccherà fornire i muratori e il legname. È il fruttodi un pegno vicendevole, di una ‘amicizia’, che finisceper permeare tutta la v<strong>it</strong>a del paese e aggregarlo ben aldi là della dimensione economica, nonostante i sempreincombenti rischi dello sfruttamento palliato dal paternalismodei padroni in tonaca. È la stessa prolungatapedagogia del ‘salvarsi insieme’ che fa sorgere in paesela confratern<strong>it</strong>a di san Rocco, i cui statuti, memori deldetto «fatiamo al compagno e fradello nostro quellovoressemo fusse fatto a nuy medemi», ordinano nonsolo che non si bestemmi, che si preghi, che si facciaelemosina, ma anche che si debbano appianare le l<strong>it</strong>i,che si faccia vis<strong>it</strong>a a chi è «amalado de male perichuloxode morbo a caxa suoa», che si vada «a levar el mortoa caxa sua» e gli si faccia «honore e compagnia alagiexia» con cero e stendardi, che si sostengano addir<strong>it</strong>turale spese per le esequie dei più poveri, e si provveda«per amore de Dio» a qualsiasi «dona povera…over viandante e quella fuse a parturire non avesse asustentarse ne ley né la creatura» 70 .29

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