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Lo Staff di Albatros

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ALBATROS 23<br />

storie<br />

Fu così che a � ne febbraio del 2011 chiamai un noto<br />

professore <strong>di</strong> Bologna, un certo Dottor F. il quale,<br />

soltanto dopo avermi sentito parlare per telefono, si<br />

impegnò a trovarmi un posto nel reparto DCA (Disturbi<br />

del Comportamento Alimentare) a Bologna presso<br />

il S. Orsola. L’attesa fu abbastanza lunga, ma verso la<br />

� ne <strong>di</strong> marzo riuscii ad entrare all’ospedale <strong>di</strong> Bologna,<br />

dove, dopo un certo periodo, mi permisero <strong>di</strong><br />

prendere lezioni per non perdere l’anno scolastico.<br />

Volevo guarire, questo era il mio scopo, e forse questa<br />

volta non era una bugia. Volevo uscire da quella<br />

malattia che mi aveva portato via gli anni migliori e<br />

che non mi fa assaporare la bellezza della vita. Ma<br />

le cose sono sempre più facili a <strong>di</strong>rsi che a farsi. Una<br />

volta entrata a Bologna, cominciarono subito a farmi<br />

� ebo e dopo neanche un mese, con il mio parere<br />

contrario ma con l’approvazione dei miei genitori, i<br />

me<strong>di</strong>ci mi costrinsero ad una alimentazione forzata<br />

tramite il son<strong>di</strong>no naso - gastrico poiché continuavo<br />

a perdere peso. Io non potevo più decidere. Mi trovavo in una situazione in cui non potevo più scegliere cosa<br />

fare della mia vita, tutto era in mano agli altri e per me il son<strong>di</strong>no rappresentò una grande scon� tta, per me, che<br />

pensavo <strong>di</strong> potercela fare da sola. Il dolore � sico fu immenso, ma quello che provavo dentro nessuno può capirlo.<br />

Mi sentivo tra<strong>di</strong>ta da tutti, anche dai miei genitori, e non avevo più quel controllo che tanto desideravo. Cercavo<br />

<strong>di</strong> compensare l’incapacità <strong>di</strong> gestirmi con lunghissime camminate dentro ai corridoi dell’ospedale e centinaia<br />

<strong>di</strong> addominali eseguiti sempre <strong>di</strong> nascosto, sopra un letto vecchio e arrugginito che produceva un cigolio prolungato,<br />

quasi volesse lamentarsi dei miei inutili sforzi. Ebbene anche il Dottor F. era riuscito a spaventarmi con il<br />

suo tono austero e <strong>di</strong>ttatoriale ed io, con le mie false promesse, mi rinchiudevo sempre <strong>di</strong> più nella mia malattia.<br />

Forse e <strong>di</strong> nuovo non ero più così convinta <strong>di</strong> voler guarire. Quel posto mi opprimeva. Supplicavo i miei genitori <strong>di</strong><br />

portarmi via e più volte ho tentato il suici<strong>di</strong>o.<br />

Dopo cinque lunghi mesi trascorsi in clinica, con piacevoli e al contempo spiacevoli incontri, sono uscita più forte, più<br />

combattiva e avevo “imparato” a mangiare, come succede ai bambini. Ma la battaglia iniziava solo in quel momento,<br />

la montagna era ancora tutta da scalare. Infatti tra alti e bassi ora sono qui. Ho cambiato per� no scuola poiché nella<br />

precedente non ho trovato persone in grado <strong>di</strong> capirmi e <strong>di</strong> accettarmi per quello che sono. Il 2011 è un anno che<br />

vorrei <strong>di</strong>menticare, ma so che sarà <strong>di</strong>f� cile riuscirci. È stato l’anno in cui ho rinunciato alle cose che più amavo fare,<br />

come uscire con gli amici, suonare il pianoforte, andare a scuola. Ora ho cercato <strong>di</strong> mettere un punto e <strong>di</strong> andare a<br />

capo, <strong>di</strong> ricominciare a combattere, questa volta sul serio. Purtroppo questa malattia mi è talvolta nemica talvolta amica<br />

e mi fa oscillare tra momenti <strong>di</strong> intenso dolore e <strong>di</strong> gioia. A volte basta una semplice frase come “stai bene”, detta da<br />

qualche conoscente, per far precipitare la giornata e il mio umore. È davvero possibile che una frase tanto paradossale<br />

e apparentemente inoffensiva, se non ad<strong>di</strong>rittura cor<strong>di</strong>ale, possa turbare il mio animo? Certo, perché il mio più grande<br />

problema è il giu<strong>di</strong>zio degli altri che, spesso, si ferma soltanto all’apparenza, quell’apparenza che, il più delle volte, non<br />

mostra il dolore dell’anima. Quell’apparenza che ha portato le persone a giu<strong>di</strong>carmi per quello che sono <strong>di</strong>ventata, non<br />

per quello che sono realmente.<br />

L’anoressia è una malattia che, dopo tanto tempo, non sono più in grado <strong>di</strong> controllare. A volte mi capita <strong>di</strong> chiedermi<br />

se, dopo questa esperienza, la vita possa riservarmi qualcosa <strong>di</strong> migliore, <strong>di</strong> “normale”. Io credo <strong>di</strong> aver<br />

già scontato la mia “pena”, se mai ne abbia meritata una. La sofferenza mi ha accompagnato per tanti anni. Ora<br />

è tempo <strong>di</strong> sorridere alla vita.

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