Rivista Trimestrale - Primula Multimedia srl
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INDICE<br />
SUMMARY<br />
Editoriale<br />
Sistema cardiovascolare e disturbi<br />
respiratori nel sonno<br />
L. F. Nespoli, L. Nosetti, L. Nespoli<br />
Obesità e sindrome delle apnee<br />
ostruttive nel sonno (OSAS)<br />
L. Brunetti, I. Colella, R. Tesse, G. Tedeschi, R. Micieli,<br />
O. Amato, R. Procacci, V. Tranchino, L. Armenio<br />
Disturbi comportamentali e neurocognitivi<br />
nella sindrome delle apnee ostruttive<br />
del bambino<br />
S. Miano, R. Castaldo, M. Cecili, M. P. Villa<br />
Sindromi infiammatorie da ipossia<br />
intermittente nel sonno<br />
M. P. Villa, M. Evangelisti, A. Urbano<br />
Linee Guida per la diagnosi della<br />
sindrome delle apnee ostruttive nel sonno<br />
in età pediatrica<br />
J. Pagani, M.C. Paolino, A. Crescenzi, M. P. Villa<br />
Terapia medica dei disturbi<br />
respiratori nel sonno<br />
L. Brunetti, G. Tedeschi, D. Rizzi, I. Colella, L. Antonazzo,<br />
F. Fiore, V. Tranchino, C. Paglialunga, L. Calace, L. Armenio<br />
Terapia integrata nel bambino con disturbi<br />
respiratori notturni<br />
M. P. Villa, F. Ianniello, A.C. Massolo<br />
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva<br />
E. Finotti, C. Boniver, O. Bruni<br />
Polimorfismi genetici e fattori ambientali<br />
modificabili per ridurre il rischio di SIDS<br />
L. Nosetti, A. C. Niespolo, L. Nespoli<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione:<br />
non tutti nascono uguali<br />
A. Kantar, L. Terracciano, A. Fiocchi, G. Rossi<br />
Congressi<br />
Articoli del prossimo numero<br />
5<br />
7<br />
14<br />
22<br />
29<br />
38<br />
50<br />
59<br />
66<br />
74<br />
83<br />
103<br />
107<br />
Organo ufficiale della Società<br />
Italiana per le Malattie Respiratorie<br />
Infantili (SIMRI)<br />
Volume 9, n. 34 - Giugno 2009<br />
Spedizione in A.P. - 45%<br />
art. 2 comma 20/b<br />
legge 662/96 - N. 1047 del 12/07/2002 - Pisa<br />
Reg.Trib. PI n. 12 del 3 giugno 2002<br />
Direttore scientifico<br />
Baraldi Eugenio (Padova)<br />
Codirettori scientifici<br />
Rusconi Franca (Firenze)<br />
Santamaria Francesca (Napoli)<br />
Segreteria scientifica<br />
Carraro Silvia (Padova)<br />
Comitato editoriale<br />
Barbato Angelo (Padova)<br />
Bernardi Filippo (Bologna)<br />
Cutrera Renato (Roma)<br />
de Benedictis Fernando Maria (Ancona)<br />
Peroni Diego (Verona)<br />
Rusconi Franca (Firenze)<br />
Santamaria Francesca (Napoli)<br />
Tripodi Salvatore (Roma)<br />
Gruppo Allergologia<br />
coord. Pajno Giovanni (Messina)<br />
Gruppo Disturbi respiratori nel sonno<br />
coord. Brunetti Luigia (Bari)<br />
Gruppo Educazione<br />
coord. Indinnimeo Luciana (Roma)<br />
Gruppo Endoscopia bronchiale e<br />
delle Urgenze respiratorie<br />
coord. Midulla Fabio (Roma)<br />
Gruppo Fisiopatologia respiratoria<br />
coord.Verini Marcello (Chieti)<br />
Gruppo Riabilitazione respiratoria<br />
coord.Tancredi Giancarlo (Roma)<br />
Gruppo Il polmone suppurativo<br />
coord. Canciani Mario (Udine)<br />
Direttore responsabile<br />
Baraldi Eugenio (Padova)<br />
© Copyright 2009 by <strong>Primula</strong> <strong>Multimedia</strong><br />
Editore<br />
<strong>Primula</strong> <strong>Multimedia</strong> S.r.L.<br />
Via G. Ravizza, 22/b<br />
56121 Pisa - Loc. Ospedaletto<br />
Tel. 050 9656242; fax 050 3163810<br />
e-mail: info@primulaedizioni.it<br />
www.primulaedizioni.it<br />
Redazione<br />
Walker Manuella<br />
Realizzazione Editoriale<br />
<strong>Primula</strong> <strong>Multimedia</strong> S.r.L.<br />
Stampa<br />
Litografia VARO - San Giuliano Terme (PI)
XIII Convegno<br />
della Società Italiana per<br />
le Malattie Respiratorie Infantili<br />
SIMRI<br />
15 - 17 Ottobre 2009<br />
Centro Congressi<br />
Hotel Royal Continental - Napoli
Presidenti del Congresso<br />
Angelo F. Capristo<br />
Francesca Santamaria<br />
Presidente SIMRI<br />
Giovanni A. Rossi<br />
Segreteria Scientifica<br />
Carlo Capristo<br />
Fabio Decimo<br />
Sara De Stefano<br />
Nunzia Maiello<br />
Michele Miraglia del Giudice<br />
Silvia Montella<br />
Comitato Scientifico<br />
Consiglio Direttivo SIMRI<br />
Segreteria Organizzativa<br />
iDea congress<br />
Via della Farnesina, 224 - 00194 Roma<br />
Tel. 06 36381573 - Fax 06 36307682<br />
E-mail: info@ideacpa.com - www.ideacpa.com<br />
Il Congresso seguirà le procedure presso il Ministero della Salute per<br />
l’attribuzione dei crediti di “Educazione Continua in Medicina” E.C.M.
Domanda di ammissione per nuovi Soci<br />
Il sottoscritto, CHIEDE AL PRESIDENTE della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili di essere<br />
ammesso quale socio ordinario. Pertanto, riporta i seguenti dati personali:<br />
DATI PERSONALI<br />
Cognome<br />
Luogo e data di nascita<br />
Domicilio (via/piazza)<br />
Nome<br />
CAP Città Prov. Regione<br />
Sede di lavoro<br />
Indirizzo<br />
Reparto<br />
Recapiti telefonici: Casa Studio Fax<br />
Ospedale Cellulare e-mail<br />
Laurea in Medicina e Chirurgia - Anno di laurea<br />
Specializzazioni<br />
Altri titoli<br />
CATEGORIA<br />
Universitario Ospedaliero Pediatra di libera scelta<br />
QUALIFICA UNIVERSITARIA<br />
Professore Ordinario Professore Associato Ricercatore Altro<br />
QUALIFICA OSPEDALIERA<br />
Dirigente di 2º Livello Dirigente di 1º Livello Altro<br />
Con la presente autorizzo la Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili al trattamento dei miei dati personali ai sensi del D.L. del 30<br />
giugno 2003 n. 196.<br />
Data Firma del Richiedente<br />
Soci presentatori (cognome e nome) Firma<br />
1)<br />
2)<br />
Compilare in stampatello e spedire insieme con la copia dell’avvenuto versamento<br />
(quota sociale di euro 30,00. Specializzandi euro 10,00) a:<br />
Biomedia <strong>srl</strong> - Segreteria Amministrativa SIP - Via Libero Temolo 4, 20126 Milano<br />
c/c postale N. 67412643 intestato a: Società Italiana di Pediatria<br />
È obbligatoria l’iscrizione anche alla SIP (quota sociale di euro 90,00), può essere fatto un unico<br />
versamento indicando chiaramente nella causale per quali società affiliate viene effettuato il versamento.<br />
Per informazioni: Biomedia <strong>srl</strong> - tel. 02/45498282 - fax 02/45498199 e-mail: segreteria@sip.it
Editoriale<br />
View point<br />
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 5-6 5<br />
Dormire o non dormire: questo è il problema!<br />
Questo numero della rivista è dedicato ai disturbi del sonno, un<br />
argomento non sempre ben noto, in rapida evoluzione, per il quale<br />
è importante sensibilizzare e aggiornare le conoscenze di chi si prende<br />
cura dei bambini. Per far ciò abbiamo chiesto l’aiuto di noti esperti<br />
del settore che da anni si interessano di questa problematica.<br />
I disturbi respiratori nel sonno sono uno spettro di alterazioni<br />
che vanno dal russamento alla grave sindrome dell’apnea ostruttiva<br />
(OSAS). Numerosi studi hanno dimostrato che il russamento abituale<br />
può interessare fino al 10%-25% dei bambini e il 10% di questi<br />
può avere OSAS. I bambini obesi hanno un rischio elevato di presentare<br />
questa patologia. Numerosi dati della letteratura hanno<br />
dimostrato che i disturbi respiratori nel sonno si possono associare<br />
a complicanze cardiovascolari, problemi comportamentali e neurocognitivi<br />
e sono causa di un frequente ricorso alle cure del medico.<br />
Una diagnosi precoce ed accurata è fondamentale per prevenire le<br />
complicanze. La standardizzazione delle tecniche di monitoraggio e<br />
l’applicazione di criteri validati per la diagnosi resta una priorità per<br />
affrontare in maniera adeguata il trattamento che può essere farmacologico,<br />
chirurgico o di supporto ventilatorio con metodiche non<br />
invasive nei casi più complessi.<br />
In questo fascicolo, il gruppo dell’Università di Bari coordinato da<br />
Luigia Brunetti ci presenta una completa revisione della sindrome<br />
OSAS nel bambino, considerandone gli aspetti patogenetici, la relazione<br />
con l’obesità, e ci propone un aggiornato stato dell’arte sulle<br />
terapia medica.<br />
Il gruppo di Roma, coordinato da Maria Pia Villa ha affrontato l’aspetto<br />
della diagnosi, proponendo una revisione chiara e completa<br />
degli esami strumentali che abbiamo a disposizione nell’iter diagnostico<br />
dei bambini con disturbi respiratori del sonno. Gli Autori propongono<br />
inoltre una interessante riflessione sulle conseguenze dell’ipossia<br />
dovuta alla sindrome OSAS sia in relazione all’insorgenza di un<br />
quadro infiammatorio sistemico, sia per quanto riguarda le ripercussioni<br />
sugli aspetti cognitivi e comportamentali. Infine viene fatto il<br />
punto sulle opzioni terapeutiche per la gestione integrata del bambino<br />
con OSAS.<br />
Il gruppo di Varese ci porta un preciso aggiornamento sulle possibili<br />
complicanze cardiovascolari con possibile successiva insorgenza di<br />
sindrome metabolica in età adulta. Luana Nosetti e colleghi propongono<br />
un interessante articolo sulla SIDS con particolare riferimento al<br />
rapporto tra predisposizione genetica e influenza ambientale.<br />
Elena Finotti e collaboratori discutono il problema dei disturbi<br />
parossistici del sonno in età evolutiva, fornendo indicazioni su quali<br />
siano i segnali che dovrebbero indurre ad un approfondimento<br />
diagnostico.
6<br />
Infine, nella rubrica “special topics” un gruppo di ben noti esperti,<br />
coordinato da Amy Kantar, ci offre uno stato dell’arte sulle diverse<br />
modalità di erogazione dei farmaci per via inalatoria, con particolare<br />
riferimento alla terapia steroidea.<br />
Ringrazio Luigia Brunetti per la preziosa collaborazione nel “tirar<br />
le fila” di questo interessante fascicolo e auguro a tutti un buon<br />
aggiornamento!<br />
Eugenio Baraldi<br />
e-mail: baraldi@pediatria.unipd.it<br />
Editoriale<br />
View point
Introduzione<br />
Russamento, sindrome delle aumentate resistenze<br />
respiratorie (upper airway resistance syndrome,<br />
UARS), e (la manifestazione più grave) sindrome<br />
dell’apnea ostruttiva nel sonno (OSAS), costituiscono<br />
lo spettro dei disturbi respiratori nel sonno<br />
(DRS) del bambino.<br />
Il russamento primario o abituale, presente per la<br />
maggior parte delle ore di sonno del bambino e per<br />
3-5 giorni alla settimana, è un rumore a varie tonalità<br />
prodotto durante il sonno dalle vibrazioni dell’ugola<br />
e del palato molle,deriva da una ostruzione parziale<br />
delle alte vie aeree. La prevalenza è del 18%-<br />
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 7-13<br />
Luisa Federica Nespoli1, Luana Nosetti2, Luigi Nespoli2 1U.O. Cardiologia Pediatrica e dell’età evolutiva, Policlinico “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna; 2Clinica<br />
Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese<br />
Sistema cardiovascolare e disturbi<br />
respiratori nel sonno<br />
Cardiovascular system and sleep<br />
disordered breathing<br />
Parole chiave: disturbi respiratori nel sonno, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, cuore polmonare cronico, ipertensione<br />
polmonare, indice di performance miocardica<br />
Keywords: sleep disordered breathing, obstructive sleep apnea syndrome, cor pulmonale, pulmonary hypertension, myocardial performance<br />
index<br />
Riassunto. La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS) è caratterizzata dall’interruzione<br />
ripetitiva della ventilazione durante il sonno causata dall’ostruzione intermittente delle alte vie aeree, associata a disturbo<br />
del sonno e ad ipossia e, non costantemente, ipercapnia.<br />
Queste ultime aumentano lo sforzo respiratorio con aumento della pressione negativa intratoracica e aumento della pressione<br />
transmurale ventricolare sinistra. Aumenta anche il ritorno venoso al ventricolo destro e la pressione arteriosa polmonare<br />
con aumento del postcarico ventricolare destro. L’ipossia intermittente induce la produzione di radicali liberi, di molecole proinfiammatorie,<br />
e riduzione dell’ossido nitrico (NO) con predisposizione all’aterosclerosi e all’ipertensione arteriosa. Nei bambini<br />
con OSAS esiste una maggior predisposizione ad eventi cardiovascolari legati all’aumentato tono simpatico con ipertensione<br />
arteriosa e ridotta variabilità della frequenza cardiaca, disfunzione endoteliale, disfunzione sisto-diastolica ventricolare, destra<br />
e sinistra, alterazioni proinfiammatorie e metaboliche. Il persistere dell’OSAS può portare non solo alla ipertensione polmonare<br />
e al cuore polmonare cronico, ma anche allo sviluppo di ipertensione arteriosa sistemica e alla sindrome metabolica. Se<br />
l’OSAS viene riconosciuta per tempo e trattata tempestivamente con la adeno-tonsillectomia (risolutiva nei tre quarti dei casi),<br />
le alterazioni a carico del cuore regrediscono nell’arco di alcuni mesi. È pertanto necessario aumentare la consapevolezza dei<br />
pediatri riguardo a queste patologie, spesso misconosciute dai genitori stessi dei bambini.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Dott.ssa Luisa Federica Nespoli, U.O. Cardiologia pediatrica e dell’età evolutiva.<br />
Policlinico “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna; e-mail: lunespoli@libero.it<br />
20% dei bambini fino ai 2 anni di età, del 7%-13%<br />
dei bambini fra 2 e 8 anni e 3%-5% dei bambini più<br />
grandi (1) (presente in circa il 12% in un gruppo di<br />
604 bambini di età compresa fra 3 e 6 anni da noi<br />
esaminati) (2). Non si associa a caduta di saturazione<br />
dell’ossigeno nel sangue (SpO 2 ) o ipercapnia. Un<br />
bambino con OSAS nella grande maggioranza dei<br />
casi russa. Questo fenomeno può associarsi a sintomi<br />
diurni e a scarse prestazioni scolastiche (3).<br />
L’AmericanThoracic Society definì nel 1996 l’OSAS<br />
come “disturbo del respiro durante il sonno caratterizzato<br />
da prolungata parziale ostruzione delle<br />
7
8<br />
Nespoli, et al.<br />
prime vie aeree e/o da una ostruzione completa<br />
intermittente (apnea ostruttiva) che compromette<br />
la normale ventilazione durante il sonno e i normali<br />
ritmi del sonno” (4). Questi episodi di totale o parziale<br />
ostruzione al flusso aereo portano di regola a<br />
caduta della SpO2 ed eventualmente ad ipercapnia<br />
e possono causare risvegli parziali o microrisvegli<br />
(microarousal). L’OSAS è egualmente rappresentata<br />
nei 2 sessi, ha una prevalenza 0,7%-10,3% nei<br />
bambini senza altre patologie associate (5).<br />
Presenta due picchi di incidenza il primo nell’età<br />
del gioco e il secondo in quella adolescenziale.<br />
Nel 1965 Menashe e collaboratori descrissero per<br />
la prima volta due bambini con cuore polmonare e<br />
ipoventilazione cronica dovuta a gravissima ostruzione<br />
delle vie aeree da ipertrofia adeno-tonsillare<br />
(6). L’ipertensione polmonare e il cuore polmonare<br />
sono state riportate come le più gravi sequele<br />
cardiologiche dell’OSAS (7). La genesi delle complicanze<br />
cardiache è multifattoriale (Figura 1).<br />
L’ipossia ed ipercapnia associate all’apnea, causano<br />
un aumento dello sforzo respiratorio inefficace a<br />
glottide chiusa, con conseguente creazione di<br />
aumentata pressione negativa intratoracica, ed<br />
aumento della pressione transmurale ventricolare<br />
sinistra (post-carico), potente stimolo allo sviluppo<br />
di ipertrofia cardiaca.<br />
Ipossemia<br />
Riossigenazione<br />
Ipercapnia<br />
Attivazione simpatica<br />
Alterata regolazione metabolica<br />
Ingrossamento dell’arteria sinistra<br />
Sistemica<br />
Polmonare Ipertensione<br />
Scompenso cardiaco<br />
Aritmia<br />
La pressione intratoracica negativa aumenta il<br />
ritorno venoso, incrementando il precarico ventricolare<br />
destro, mentre l’ipossia causa vasocostrizione<br />
delle arterie polmonari, aumentando il postcarico<br />
ventricolare destro; come conseguenza si ha<br />
uno spostamento del setto interventricolare verso<br />
sinistra, con compressione del ventricolo sinistro e<br />
ridotta gittata sistolica.<br />
La presenza di episodi di ipossia-ipercapnia<br />
incrementa il tono simpatico, con vasocostrizione<br />
periferica, cui contribuisce inoltre l’aumento<br />
del tono simpatico al risveglio al termine dell’apnea.<br />
Questi effetti acuti possono persistere<br />
durante il giorno, determinando un aumento<br />
della pressione arteriosa sistemica ed una ridotta<br />
variabilità della frequenza cardiaca vagomediata<br />
(Figura 1) (8-10).<br />
L’ipossia intermittente può indurre produzione di<br />
radicali liberi dell’ossigeno, incremento delle<br />
molecole infiammatorie, riduzione della produzione<br />
di ossido nitrico con conseguente riduzione<br />
della vasodilatazione endotelio-mediata, con<br />
predisposizione all’aterosclerosi ed all’ipertensione<br />
arteriosa.<br />
È stata inoltre osservata una maggiore aggregabilità<br />
piastrinica con ridotta capacità fibrinolitica nei<br />
pazienti con OSAS, con aumentata trombofilia.<br />
OSAS<br />
Meccanismi di<br />
malattia<br />
Malattie CV associate<br />
Morte cardiaca improvvisa<br />
Pressione intratoracica<br />
Arousal<br />
Privazione del sonno<br />
Disfunzione endoteliale<br />
Infiammazione sistemica<br />
Ipercoagulazione<br />
Malattia renale<br />
Ictus<br />
Infarto miocardico<br />
Figura 1 Riassunto schematico delle componenti fisiopatologiche dell’OSAS, dei meccanismi di attivazione della<br />
malattia cardiovascolare e del la successive evoluzione della malattia cardiovascolare ormai iniziata. Modificata da (10).
In bambini con OSAS, come negli adulti, è stata<br />
dimostrata una maggiore predisposizione ad eventi<br />
cardiovascolari.<br />
I principali effetti negativi (11, 12) delle apnee notturne<br />
in età pediatrica si possono riassumere in:<br />
- aumentato tono simpatico con ipertensione arteriosa<br />
e ridotta variabilità della frequenza cardiaca<br />
- disfunzione endoteliale<br />
- disfunzione sisto-diastolica ventricolare destra e<br />
sinistra<br />
- alterazioni proinfiammatorie e metaboliche.<br />
Disregolazione del sistema nervoso<br />
autonomo<br />
L’aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico<br />
è stata studiata attraverso l’analisi della variabilità<br />
della frequenza cardiaca (HRV), costituita da<br />
una componente ad elevata frequenza (HF), che<br />
riflette l’attività nervosa vagale, ed una componente<br />
a bassa frequenza (LF), che riflette l’attività nervosa<br />
vagale e simpatica. Nei bambini con OSAS è<br />
stata evidenziata un’aumentata componente a<br />
bassa frequenza e del rapporto LF/HF sia durante<br />
il sonno che durante veglia.<br />
Una ridotta variabilità della frequenza cardiaca è<br />
un fattore prognostico negativo per aritmie e<br />
morte in pazienti adulti con cardiomiopatia dilatativa<br />
o infarto miocardico, mentre un’aumentata<br />
variabilità della pressione arteriosa in pazienti ipertesi<br />
è correlata a comparsa di danno d’organo.<br />
Uno studio in pazienti adulti con OSAS (13) ha<br />
valutato il sistema nervoso autonomo mediante lo<br />
studio della variabilità della frequenza cardiaca (LF,<br />
HF, LF/HF), la misura dell’attività nervosa simpatica<br />
a livello del nervo peroneale (MSNA), la valutazione<br />
della variabilità della pressione arteriosa<br />
durante la veglia. È stata dimostrata una ridotta<br />
variabilità della frequenza cardiaca, con aumento<br />
della componente LF e del rapporto LF/HF,<br />
aumentata attività nervosa simpatica, ridotta componente<br />
HF ed un’aumentata variabilità della pressione<br />
arteriosa sistemica.<br />
L’aumento dell’attività simpatica legato agli episodi<br />
di apnea può essere alla base dell’aumentata variabilità<br />
della pressione arteriosa, con alterazione<br />
della sensibilità barocettiva e di altri riflessi cardiovascolari<br />
che persistono durante il giorno.<br />
Anche i bambini con OSAS mostrano una frequenza<br />
cardiaca più elevata sia durante il sonno<br />
che durante la veglia, in associazione ad elevati<br />
valori di pressione arteriosa; questa associazione<br />
Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno<br />
indicherebbe una disfunzione della sensibilità barocettiva,<br />
verosimilmente secondaria all’aumentato<br />
tono simpatico e/o all’aumentato volume plasmatico<br />
(14, 15).<br />
La pressione arteriosa sistemica è stata valutata<br />
nei pazienti con OSAS sia con misurazioni random<br />
durante la giornata che con una misurazione<br />
Holter nelle 24 ore, il migliore strumento per la<br />
valutazione delle variazioni pressorie indotte dai<br />
disturbi del sonno (15).<br />
Sono stati valutati in particolare il picco mattutino,<br />
la variabilità della pressione arteriosa diurna e notturna,<br />
il load pressorio, ossia la percentuale di valori<br />
superiori al 95° percentile sia per quanto riguarda<br />
la pressione arteriosa sistolica che diastolica, il<br />
cui andamento notturno sembra essere maggiormente<br />
influenzato dalla presenza di OSAS. Tutti<br />
questi parametri sono risultati significativamente<br />
aumentati in pazienti con OSAS, con un cut-off di<br />
significatività a partire da un indice di apnea-ipopnea<br />
(AHI) >5, indice di disturbo del sonno di<br />
grado lieve. Ciò comporta un aumentato rischio<br />
cardiovascolare già nella fase iniziale dei disturbi<br />
del sonno, in quanto tutti i parametri indagati sono<br />
stati dimostrati in pazienti adulti predittori dello<br />
sviluppo di ipertrofia miocardica, infarto miocardico,<br />
eventi cardiovascolari, ictus, aterosclerosi.<br />
Anche in età pediatrica è stata evidenziata un’associazione<br />
con la presenza di ipertrofia miocardica<br />
ed aumentata massa miocardica.<br />
Sono stati tuttavia riportati casi di pazienti pediatrici<br />
con OSA con bassi valori di pressione arteriosa<br />
sisto-diastolica; vi è comunque in tutti l’evidenza di<br />
una disregolazione della pressione arteriosa sistemica,<br />
con alterata vaso motricità (16-19).<br />
Disfunzione endoteliale<br />
Nei pazienti adulti con OSAS è stato evidenziato,<br />
quale meccanismo di morbidità cardiovascolare, la<br />
ridotta disponibilità di ossido nitrico, con conseguente<br />
disfunzione endoteliale ed innalzamento<br />
della pressione arteriosa. Inoltre sono stati evidenziati<br />
aumentati livelli plasmatici di nitrotirosina e/o<br />
di inibitore endogeno della sintasi dell’ossido nitrico,<br />
la asymmetric dimethylarginine (ADMA).<br />
Un altro marker della disfunzione endoteliale è il<br />
ligando solubile per il CD40, che incrementa l’espressione<br />
di mediatori infiammatori e fattori procoagulanti.<br />
Un recente studio di Gozal indica la<br />
presenza di aumentati livelli di sCD40 e di ADMA,<br />
proteina C-reattiva ed interleuchina-6 in pazienti<br />
9
10<br />
Nespoli, et al.<br />
con OSAS, che si riducono dopo l’intervento chirurgico<br />
di adenotonsillectomia, tranne nei pazienti<br />
con forte familiarità per patologie cardiovascolari<br />
(20, 21).<br />
OSAS ed ecocardiogramma<br />
L’associazione tra OSAS e cuore polmonare è<br />
stata descritta già da numerosi anni, tuttavia, tale<br />
evidenza è costituita da report di singoli casi e piccole<br />
serie (6, 7). La presenza di comorbidità e la<br />
differente definizione di ipertensione polmonare<br />
nei vari studi non permettono la stima della prevalenza<br />
di cuore polmonare in bambini con OSAS<br />
non complicata. Non sono noti i valori di severità<br />
e/o ipossia intermittente associati all’aumento di<br />
rischio di cuore polmonare; resta inoltre da chiarire<br />
la fisiopatologia ed il contributo dell’ipertensione<br />
venosa polmonare in pazienti pediatrici con<br />
OSAS (22, 23).<br />
L’avvento di nuove tecniche ecocardiografiche,<br />
ha permesso di evidenziare più precocemente<br />
alterazioni della funzione sisto-diastolica ventricolare,<br />
la comparsa di ipertrofia e rimodellamento<br />
ventricolare.<br />
Amin e collaboratori hanno dimostrato la presenza<br />
di ipertrofia ed aumento della massa ventricolare<br />
sinistra in pazienti con OSAS, con una correlazione<br />
tra severità del disturbo del sonno ed il<br />
grado di rimodellamento ventricolare (19).<br />
Lo stesso studio ha evidenziato un’associazione tra<br />
il grado di desaturazione raggiunto durante gli episodi<br />
di apnea ed i parametri ecocardiografici, mentre<br />
non vi era differenza nei valori di pressione<br />
arteriosa sistolica e diastolica tra i gruppi studiati.<br />
Tali risultati indicano, almeno nelle fasi iniziali<br />
dell’OSAS, un ruolo principale dell’ipossia e dell’incremento<br />
di mediatori infiammatori quali l’interleuchina-6<br />
ed interleuchina-1β rispetto all’incremento<br />
della pressione arteriosa, nello sviluppo di<br />
ipertrofia ventricolare sinistra.<br />
Per quanto concerne il ventricolo destro, l’ipossia<br />
e l’ipercapnia risultanti dagli episodi di apnea, con<br />
acidosi respiratoria, causano vasocostrizione polmonare,<br />
sia in acuto, con effetti reversibili con la<br />
rimozione dell’ostruzione respiratoria, che in cronico,<br />
inducendo un rimodellamento dei vasi polmonari<br />
con ipertrofia della tonaca muscolare delle<br />
piccole e medie arterie, con aumento dello strain<br />
ed ipertrofia ventricolare destra. L’incremento del<br />
ritorno venoso sistemico causato dalla vasocostrizione<br />
e dall’aumento della pressione negativa<br />
intracardiaca causa inoltre dilatazione delle sezioni<br />
destre, con disfunzione ventricolare destra e sinistra,<br />
fino all’insufficienza cardiaca con edema polmonare<br />
(14, 19, 21).<br />
Uno studio di Duman (25) ha analizzato l’andamento<br />
del myocardial performance index (MPI), un<br />
indice della funzione globale ventricolare destra o<br />
sinistra, indipendente da frequenza cardiaca e<br />
pressione arteriosa, e della pressione arteriosa<br />
polmonare media, in pazienti con ipertrofia adenotonsillare<br />
prima e dopo l’intervento di adenotonsillectomia<br />
(Figura 2). Il MPI ventricolare destro<br />
è risultato più elevato nel preoperatorio nei<br />
pazienti con OSAS rispetto ai controlli, indicando<br />
la presenza di disfunzione ventricolare destra subclinica,<br />
mentre i valori di MPI ventricolare sinistro<br />
nei pazienti con OSAS risultavano sovrapponibili<br />
ai controlli. Il valore del MPI correlava con la severità<br />
dell’ostruzione respiratoria e con il valore della<br />
pressione arteriosa polmonare media, entrambi<br />
tali parametri mostravano una normalizzazione già<br />
nei primi mesi postoperatori (Figura 3).<br />
Con l’utilizzo del tissue Doppler imaging (TDI) è<br />
possibile studiare le velocità di accorciamento<br />
miocardico, con una valutazione più accurata della<br />
funzione diastolica cardiaca, rispetto ad un classico<br />
esame ecocardiografico.<br />
Un recente studio di Ugur (26) utilizzando il TDI<br />
ha evidenziato la presenza di disfunzione diastolica<br />
ventricolare destra e sinistra, che migliorava ad una<br />
rivalutazione dopo sei mesi dall’intervento di adenotonsillectomia.<br />
Figura 2 Calcolo dell’indice di performance miocardica (MPI) del<br />
ventricolo destro (RV). L’intervallo “a” (dall’inizio della contrazione<br />
isovolumetrica all’inizio del riempimento diastolico) è stato<br />
misurato dalla traccia di afflusso tricuspidale (sinistra della figura).<br />
L’intervallo “b” (tempo di eiezione sistolica) è stato misurato dalla<br />
traccia di eiezione del ventricolo destro (RV) (destra della figura).<br />
Modificata da (25).
RV MPI<br />
0,60<br />
0,40<br />
0,20<br />
0,00<br />
N= 21<br />
Controlli<br />
Un marker di disfunzione ventricolare sinistra<br />
ampiamente utilizzato nello scompenso cardiaco<br />
in pazienti adulti è il peptide natriuretrico atraile<br />
(BNP), rilasciato dai miociti ventricolari in risposta<br />
ad un sovraccarico pressorio e volumetrico (strain<br />
ventricolare), con conseguente vasodilatazione e<br />
natriuresi. L’incremento di pressione arteriosa al<br />
termine di un episodio ostruttivo, associato alla<br />
riduzione della gittata sistolica, determinata verosimilmente<br />
dall’aumento del postcarico ventricolare,<br />
e dall’aumento del precarico destro dovuto<br />
all’aumento della pressione intratoracica negativa,<br />
con conseguente spiazzamento verso sinistra del<br />
setto interventricolare, può agire come stimoli<br />
all’incremento del BNP, come già dimostrato in<br />
pazienti adulti.<br />
Kaditis e collaboratori (27) hanno misurato i<br />
livelli di BNP mattutini e notturni in bambini con<br />
e senza OSAS, dimostrando una correlazione tra<br />
i livelli di BNP notturno e la severità del disturbo<br />
ostruttivo, indicativo di strain ventricolare;<br />
resta da indagare la possibile associazione tra<br />
incremento del BNP notturno e disfunzione e<br />
rimodellamento ventricolare in bambini con<br />
OSAS.<br />
Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno<br />
p= 0,9<br />
p
12<br />
Nespoli, et al.<br />
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Centro di Riferimento Interregionale per le Apnee Infantili; Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università<br />
degli Studi di Bari<br />
Obesità e sindrome delle apnee<br />
ostruttive nel sonno (OSAS)<br />
Obesity and obstructive sleep<br />
apnea syndrome (OSAS)<br />
Parole chiave: obesità, disturbi respiratori nel sonno, infiammazione, leptina<br />
Keywords: obesity, sleep breathing disorders, inflammation, leptin<br />
Riassunto. Il problema dell’obesità in età pediatrica è in drammatico aumento in tutto il mondo e rappresenta oggi un preoccupante<br />
fenomeno per la salute pubblica in relazione alle complicanze associate, tra cui soprattutto quelle cardiovascolari.<br />
Attualmente si ritiene che molte condizioni morbose finora considerate pressoché esclusive dell’età adulta possano avere origine<br />
nell’infanzia.Tra queste si annoverano i disturbi respiratori nel sonno e in particolare la sindrome delle apnee ostruttive<br />
nel sonno (OSAS). Considerando i dati epidemiologici disponibili è prevedibile che parallelamente all’aumento dell’obesità nei<br />
bambini, si osservi un aumento dell’incidenza dell’OSAS. Pertanto la classica presentazione del bambino affetto da OSAS con<br />
ipertrofia adenotonsillare e sottopeso, potrebbe gradualmente essere sostituita da quella di un paziente in sovrappeso. Inoltre,<br />
recentemente è stato ipotizzato che la patogenesi della sindrome delle apnee ostruttive non sia su base esclusivamente meccanica,<br />
ma coinvolga anche fattori umorali, tra cui alcune adipochine.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Prof.ssa Luigia Brunetti, Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università di Bari, Bari;<br />
e-mail: l.brunetti@pediatria3.uniba.it<br />
Introduzione<br />
La prevalenza del sovrappeso nei bambini e negli<br />
adolescenti è in drammatico aumento in tutto il<br />
mondo (15%-17%) (1-3). Negli Stati Uniti, tra il<br />
1980 e il 2000, essa è raddoppiata nei bambini fra i<br />
6 e gli 11 anni ed è triplicata in quelli di età compresa<br />
tra i 12 e i 17 anni (4, 5). L’obesità, definita<br />
come un eccesso di peso corporeo per accumulo<br />
di tessuto adiposo tale da influire negativamente<br />
sullo stato di salute, è stata considerata<br />
dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)<br />
come uno dei più rilevanti problemi di salute pubblica<br />
nell’infanzia. Questo soprattutto in relazione<br />
all’impatto delle condizioni croniche ad essa associate,<br />
quali diabete mellito di tipo II, insulino resistenza,<br />
dislipidemie, ipertensione arteriosa, aterosclerosi,<br />
cardiopatia ischemica, steatosi epatica, disturbi<br />
respiratori, depressione e ridotta qualità di vita<br />
(6-11). Attualmente si ritiene che molte delle suddette<br />
condizioni, finora considerate problematiche<br />
pressoché esclusive dell’età adulta, possano avere<br />
origine proprio nell’infanzia e nell’adolescenza (12).<br />
Tra le numerose condizioni morbose associate<br />
all’obesità vanno considerati anche i disturbi respiratori<br />
nel sonno e, in particolare, la sindrome delle<br />
apnee ostruttive nel sonno (OSAS) (13) e la sindrome<br />
da obesità e ipoventilazione (14).<br />
Sindrome delle apnee ostruttive nel<br />
sonno<br />
Nonostante l’OSAS sia stata descritta sin dall’antichità,<br />
solo in tempi recenti è stata riconosciuta<br />
come un importante problema di salute pubblica in<br />
età pediatrica. Secondo i dati presenti in letteratura,
la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno in<br />
età prescolare e scolare varia ampiamente dal 3,2%<br />
al 12% per quanto concerne il russamento abituale<br />
e dall’1,1% al 2,9% per quanto concerne l’OSAS<br />
(15-19). Da una nostra recente esperienza condotta<br />
su circa un migliaio di bambini e adolescenti del<br />
Sud Italia, è emerso che il 4,9% dei bambini soffriva<br />
di russamento, mentre la prevalenza dell’OSAS era<br />
pari a 1,8% (20).<br />
Nei bambini lo spettro clinico dei disturbi respiratori<br />
ostruttivi nel sonno comprende l’OSAS, la<br />
forma più grave, caratterizzata da episodi prolungati<br />
di parziale o completa ostruzione delle alte vie<br />
aeree che disturbano la ventilazione notturna<br />
(ipossia intermittente e ipercapnia) e la struttura<br />
del sonno, solitamente associati a una riduzione<br />
della saturazione ematica di ossigeno (21); la sindrome<br />
da aumentata resistenza delle vie aeree<br />
superiori (UARS), una forma intermedia in termini<br />
di severità dei disturbi nel sonno, caratterizzata<br />
da pattern respiratori nel complesso normali con<br />
evidenza di microrisvegli e frammentazione del<br />
sonno; il russamento abituale o primitivo, caratterizzato<br />
dall’assenza di apnee, alterazioni dello<br />
scambio dei gas e/o alterazione dell’architettura<br />
del sonno.<br />
I sintomi notturni più comuni dell’OSAS nei bambini<br />
includono russamento, respirazione orale,<br />
respiro rumoroso, movimenti paradossi toracoaddominali,<br />
pause respiratorie riferite dai genitori,<br />
difficoltà respiratoria, sudorazione profusa, cianosi,<br />
sonno agitato, enuresi. I sintomi diurni includono<br />
respirazione orale, difficoltà di risveglio al mattino,<br />
cefalea mattutina, congestione nasale, rinolalia, difficoltà<br />
di concentrazione, sonnolenza, iperattività e<br />
aggressività. Nei casi più severi di OSAS si può<br />
avere ipertensione polmonare e cuore polmonare,<br />
ipertensione arteriosa sistemica, ritardo di crescita<br />
e, in casi estremi, morte improvvisa.<br />
In linea generale i meccanismi fisiopatologici alla<br />
base delle apnee ostruttive nei bambini sono per<br />
molti aspetti differenti da quelli che intervengono<br />
negli adulti. In questi ultimi infatti l’OSAS è principalmente,<br />
anche se non esclusivamente, associata<br />
all’obesità; nei bambini, invece, la causa più frequente<br />
è rappresentata dall’ipertrofia tonsillare e<br />
adenoidea, seguita dalla rinite cronica, dall’obesità<br />
e dalle malocclusioni (22).<br />
Poiché il picco di incidenza dell’OSAS è compreso<br />
tra i 2 e gli 8 anni di età, alcuni Autori hanno attribuito<br />
questo dato alla sproporzionata crescita del<br />
Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS)<br />
tessuto linfoide delle alte vie aeree in questa fase<br />
della vita (23); al contrario, Arens ha suggerito che<br />
la crescita del tessuto linfoide sarebbe proporzionata<br />
allo sviluppo di altre strutture delle vie aeree<br />
superiori (24-26). Secondo recenti dati della letteratura,<br />
l’ipotesi più probabile sull’eccessivo sviluppo<br />
di questi tessuti sarebbe l’intervento di numerosi<br />
fattori come infezioni da virus respiratori,<br />
esposizione ad allergeni, fumo passivo e altri inquinanti<br />
atmosferici (12).<br />
Tuttavia è stata documentata solo una debole correlazione<br />
tra la severità dell’OSAS e le dimensioni<br />
di questi tessuti, quando valutati clinicamente o<br />
mediante metodi radiografici; evidentemente il<br />
ruolo dell’ipertrofia adenotonsillare nella patogenesi<br />
dell’OSAS è molto più complesso ed è possibile<br />
che l’orientamento tridimensionale di questi<br />
tessuti ed il modo in cui essi si sovrappongono a<br />
livello delle vie aeree sia un fattore più importante<br />
e possa significativamente influenzare la resistenza<br />
del flusso aereo durante il sonno (27). Gli<br />
studi più attuali suggerirebbero l’ipotesi di uno<br />
squilibrio dinamico nella funzione delle alte vie<br />
aeree in cui coesisterebbero alterazioni strutturali<br />
ed anatomiche con anomalie dei riflessi protettivi<br />
e neuromotori delle alte vie aeree.<br />
Obesità in età pediatrica: un fattore di<br />
rischio per l’OSAS?<br />
I bambini obesi presentano un rischio maggiore<br />
di sviluppare disturbi respiratori nel sonno? Il<br />
grado di severità dell’OSAS è proporzionale al<br />
grado di obesità?<br />
Numerose evidenze presenti in letteratura hanno<br />
dimostrato una correlazione tra OSAS e obesità:<br />
Guilleminault ha riportato che su 50 bambini con<br />
OSAS, cinque (10%) erano obesi (28); Mallory ha<br />
dimostrato la presenza di alterazioni polisonnografiche<br />
nel 24% dei soggetti di una popolazione di<br />
bambini obesi (29); allo stesso modo, Marcus ha<br />
evidenziato che il 46% di bambini e adolescenti<br />
obesi presentava alterazioni polisonnografiche e il<br />
27% disturbi del sonno di grado moderato e severo<br />
(30). Redline e collaboratori hanno esaminato i<br />
fattori di rischio per disturbi respiratori nel sonno<br />
in bambini tra 2 e 18 anni e hanno trovato che<br />
negli obesi il rischio di sviluppare disturbi nel<br />
sonno aumentava di 4-5 volte (31); in particolare,<br />
per ogni incremento di 1 Kg/m² del body mass<br />
index (BMI) rispetto al valore medio di BMI per età<br />
15
16<br />
Brunetti, et al.<br />
e sesso, il rischio di OSAS aumentava del 12%.<br />
Dati preliminari relativi a una nostra casistica di<br />
bambini obesi hanno evidenziato una frequenza<br />
significativamente più alta (12,5%) di russamento<br />
abituale tra gli obesi rispetto ai bambini in sovrappeso<br />
(5,8%) e di peso normale (32).<br />
Sulla base di questi dati che mostrano una significativa<br />
correlazione tra l’obesità e i disturbi nel<br />
sonno e considerando che, secondo dati epidemiologici<br />
recenti, la prevalenza dell’obesità è in<br />
progressivo aumento nel mondo, è prevedibile<br />
che nei prossimi anni si osserverà anche un parallelo<br />
incremento dell’incidenza dell’OSAS.<br />
E dunque, la classica presentazione del bambino<br />
affetto da OSAS, sottopeso, con ipertrofia adenotonsillare,<br />
potrebbe gradualmente essere sostituita<br />
da quella di un paziente con analoghi disturbi<br />
ma in sovrappeso (33).<br />
Ma come influisce l’obesità sui disturbi respiratori<br />
nel sonno e viceversa?<br />
Secondo studi recenti, nei bambini obesi con OSAS<br />
la ristrettezza delle alte vie aeree è causata non solo<br />
dall’iperplasia/ipertrofia adenotonsillare, ma anche<br />
dall’infiltrazione di tessuto adiposo in queste strutture;<br />
inoltre i depositi di grasso nel sottocutaneo della<br />
regione anteriore del collo e della regione sottomentoniera<br />
rendono le alte vie aeree più suscettibili<br />
al collasso quando il soggetto é in posizione supina<br />
(34-36). Secondo le suddette osservazioni, l’iperplasia/ipertrofia<br />
adenotonsillare non è da considerarsi<br />
sempre il principale fattore di rischio per lo sviluppo<br />
di OSAS nei bambini obesi (30, 37). Infatti, il<br />
soggetto obeso è tipicamente affetto da un disturbo<br />
respiratorio di tipo restrittivo in cui il grasso<br />
viscerale agisce meccanicamente riducendo i volumi<br />
polmonari (38); inoltre l’aumento del tessuto adiposo<br />
a livello addominale, così come a livello del torace,<br />
aumenta il carico respiratorio globale e riduce<br />
l’escursione diaframmatica e il volume intratoracico,<br />
soprattutto in posizione supina (39). Queste modificazioni<br />
comportano una riduzione dei volumi polmonari<br />
e della riserva di ossigeno e un aumento del<br />
lavoro respiratorio durante il sonno (40).Tuttavia, se<br />
fino a poco tempo fa si riteneva che la patogenesi<br />
delle apnee ostruttive nel sonno fosse su base esclusivamente<br />
meccanica, recentemente è stato ipotizzato<br />
che alcuni fattori umorali, tra cui le adipochine,<br />
abbiano pure un ruolo rilevante. Il tessuto adiposo<br />
dei pazienti obesi ha le caratteristiche di un tessuto<br />
“infiammato” che presenta infiltrati di macrofagi e<br />
produce molecole in grado di richiamare le cellule<br />
della flogosi. L’infiammazione di tale tessuto, che oggi<br />
viene considerato un organo metabolicamente attivo<br />
e non un inerte deposito di energia, si associa ad<br />
una maggiore produzione di sostanze che inducono<br />
insulino-resistenza e aumentano il rischio cardiovascolare,<br />
quali leptina,TNF-α, resistina, IL-6, l’inibitore<br />
dell’attivatore del plasminogeno-1 (PAI-1), e a una<br />
minore sintesi di adiponectina, che invece aumenta<br />
la sensibilità all’insulina. In una serie di recenti ed eleganti<br />
studi condotti su pazienti adulti, è emerso il<br />
ruolo potenziale della leptina come collegamento<br />
endocrino-mediato tra obesità, sindrome metabolica<br />
e disturbi respiratori nel sonno; la condizione di<br />
obesità è stata associata ad una resistenza centrale<br />
e periferica alla leptina, che a sua volta comporta un<br />
inefficace aumento dei livelli circolanti di questa<br />
molecola (41-43). La ridotta biodisponibilità della<br />
leptina è stata implicata in ridotte risposte all’ipercapnia<br />
(44) ed in meccanismi sottostanti l’ipoventilazione<br />
alveolare nell’obesità (45-48). Infatti la leptina,<br />
il cui ruolo principale è nel controllo dell’appetito,<br />
è un potente stimolatore della funzione respiratoria,<br />
che oltre alle sue proprietà modulatorie sui<br />
chemorecettori centrali, sembra che agisca su tutta<br />
la meccanica respiratoria (49-51), nello stesso<br />
modo in cui influenza tutta l’attività chemorecettoriale<br />
periferica (52). Inoltre i ripetuti episodi di ipossia<br />
seguiti da riossigenazione, tipici dell’OSAS, determinano<br />
un aumentato rilascio di citochine proinfiammatorie<br />
e inducono uno stress ossidativo dell’endotelio<br />
vascolare aumentando il tono simpatico<br />
(53). Queste alterazioni potrebbero contribuire allo<br />
sviluppo dell’ipertensione, dell’insulino-resistenza e<br />
della dislipidemia e spiegherebbero perché l’OSAS<br />
rappresenterebbe un fattore di rischio indipendente<br />
per la comparsa delle complicanze cardiovascolari<br />
dell’obesità.Tuttavia, sono necessari ulteriori studi<br />
sul contributo dell’obesità nello sviluppo dei disturbi<br />
nel sonno in età pediatrica. In particolare resta da<br />
chiarire il ruolo delle adipochine in generale, e della<br />
leptina in particolare, nella fisiopatologia della disfunzione<br />
delle alte vie aeree e delle alterate risposte<br />
ventilatorie all’aumentata resistenza delle alte vie in<br />
questa epoca di vita.<br />
Trattamento<br />
L’adenotonsillectomia è considerato il primo presidio<br />
terapeutico nelle forme severe di OSAS. La<br />
maggior parte delle esperienze ha mostrato un<br />
marcato miglioramento del disturbo respiratorio
nel sonno dopo la rimozione chirurgica di tonsille<br />
e adenoidi; tuttavia l’efficacia della terapia chirurgica<br />
in bambini obesi con OSAS è stata valutata solo<br />
in pochi studi. Mitchell e collaboratori hanno registrato<br />
una completa risoluzione dell’OSAS nel<br />
46% dei bambini obesi con disturbi del sonno sottoposti<br />
ad adenotonsillectomia (54). Gozal, più<br />
recentemente, su 110 bambini trattati chirurgicamente<br />
(il 52% dei quali obesi), ha riportato una<br />
frequenza di OSAS residua maggiore negli obesi<br />
rispetto ai non obesi, con una incidenza di risoluzione<br />
completa molto più bassa nel gruppo degli<br />
obesi (55). Questi dati indicano che nei bambini<br />
obesi il trattamento chirurgico è meno efficace<br />
rispetto ai non obesi, confermando il dato che l’obesità<br />
alla diagnosi di OSAS rappresenta il rischio<br />
maggiore per la persistenza della malattia dopo il<br />
trattamento (56).<br />
È anche provato che l’obesità in generale determina<br />
un alto rischio post-operatorio e, in letteratura,<br />
esistono evidenze di un’incidenza di complicanze<br />
postoperatorie cardiache e respiratorie nel<br />
23%-27% dei pazienti sottoposti ad adenotonsillectomia<br />
(57-59). A tale proposito, l’American<br />
Academy of Pediatrics identifica l’obesità come un<br />
fattore di rischio per complicanze postoperatorie<br />
di tipo respiratorio dopo adenotonsillectomia e<br />
raccomanda un’ospedalizzazione di 24 ore e uno<br />
stretto monitoraggio post-operatorio (60).<br />
Negli adulti affetti da OSAS, l’efficacia della riduzione<br />
del peso, che costituisce una delle principali<br />
raccomandazioni per la gestione della malattia, è<br />
ben riconosciuta.<br />
Alcuni Autori hanno documentato una risoluzione<br />
delle apnee nel sonno dopo riduzione di peso<br />
anche nei bambini (61, 62), sostenendo così che in<br />
particolari casi, in cui la chirurgia non è percorribile,<br />
Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS)<br />
un intensivo programma di riduzione del peso può<br />
essere di grande beneficio. La perdita di peso, se<br />
da un lato riduce la gravità del disturbo respiratorio<br />
nel sonno, dall’altro riduce le complicanze legate<br />
all’associazione obesità-OSAS, in particolare le<br />
alterazioni dell’endotelio delle arteriole e l’ispessimento<br />
della parete vascolare; tali eventi precoci<br />
precedono la formazione delle placche nel processo<br />
di aterogenesi responsabile della cardiopatia<br />
ischemica (63, 64) con elevato rischio di mortalità<br />
(65, 66).<br />
Un altro fondamentale ausilio terapeutico<br />
nell’OSAS del bambino è rappresentato dalla ventilazione<br />
continua a pressione positiva (continuous<br />
positive airway pressure, CPAP) che, oltre a ridurre<br />
gli episodi di apnee notturne, con conseguente<br />
riduzione dell’ipossiemia, è efficace nel ridurre la<br />
quota di adiposità viscerale. Non vi è dubbio che<br />
la terapia con CPAP attenua gli effetti cardiodepressivi<br />
dell’OSAS; a tale proposito è stato<br />
dimostrato che migliora la funzione ventricolare<br />
destra del cuore (67) e la funzione diastolica (68)<br />
e sistolica sinistra del cuore (69). Inoltre è stato<br />
dimostrato che il trattamento con CPAP di<br />
pazienti obesi con OSAS determina una significativa<br />
riduzione del grasso intraddominale e delle<br />
concentrazioni sieriche di leptina, anche in assenza<br />
di significative variazioni del peso corporeo (70).<br />
Conclusioni<br />
La perdita di peso non solo migliora la gravità del<br />
disturbo respiratorio nel sonno, ma riduce inoltre<br />
le complicanze legate all’associazione obesità-<br />
OSAS, in particolare le complicanze cardiovascolari<br />
che costituiscono oggi la principale causa di<br />
mortalità.<br />
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Università “La Sapienza”, Roma<br />
Disturbi comportamentali e<br />
neurocognitivi nella sindrome<br />
delle apnee ostruttive del bambino<br />
Neurobehavioral consequences of obstructive<br />
sleep apnea syndrome in children<br />
Parole chiave: sindrome delle apnee ostruttive in sonno; bambini, iperattività e disattenzione<br />
Keywords: obstructive sleep apnea syndrome, children, hyperactivity and attention deficit<br />
Riassunto. I bambini con disturbi respiratori nel sonno presentano disturbi neurocomportamentali diurni, che comprendono<br />
il deficit di attenzione ed iperattività, disturbi dell’apprendimento e del comportamento che suggeriscono la presenza di eccessiva<br />
sonnolenza diurna.Tali disturbi sono presenti in almeno il 30% dei bambini con sindrome delle apnee ostruttive nel sonno<br />
(OSAS). Studi recenti hanno dimostrato una evidente relazione di causa-effetto tra l’ipossia notturna conseguente agli eventi<br />
respiratori (apnee e ipopnee ostruttive, limitazione di flusso), l’alterazione della struttura del sonno e la comparsa di deficit neurocognitivi.<br />
Oltre al deficit di attenzione ed iperattività, i bambini con OSAS presentano disturbi dell’apprendimento scolastico,<br />
deficit della memoria e delle funzioni esecutive. Molti studi hanno dimostrato una correlazione inversa tra i disturbi dell’apprendimento<br />
e della memoria e l’indice di apnea, e hanno anche dimostrato la presenza di deficit del quoziente intellettivo. La severità<br />
dell’OSAS nel bambino non è l’unico determinate per lo sviluppo dei deficit neurocognitivi, ma lo sviluppo di tali disturbi è<br />
mediato anche dalla suscettibilità genetica e dalle condizioni ambientali e questo spiegherebbe l’eterogeneità del fenotipo neurocomportamentale,<br />
con bambini affetti da OSAS severo che sono relativamente asintomatici e, al contrario, russatori con evidenti<br />
disturbi cognitivi. I sintomi neurocomportamentali sono indicativi di un’alterazione delle funzioni esecutive (scarso controllo<br />
degli impulsi, pensiero rigido, deficit della memoria di lavoro e della memoria contestuale, con difficoltà a prendere decisioni, e<br />
scarsa regolazione degli affetti e emozioni). Per tale motivo si è ipotizzato un coinvolgimento della corteccia prefrontale (PFC),<br />
che controlla le funzioni esecutive. I modelli animali hanno portato alla luce ulteriori chiarimenti sul ruolo dell’ipossia e gli effetti<br />
a livello cerebrale nell’OSAS pediatrica. Questi studi hanno dimostrato una relazione di causa-effetto tra ipossia e alterazioni<br />
sia anatomiche che funzionali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, che possono persistere per tutta la vita.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Dott.ssa Silvia Miano, Centro di Medicina del sonno in età pediatrica, Ospedale “S. Andrea”, Roma;<br />
e-mail: silvia.miano@tiscali.it<br />
Introduzione<br />
La prima descrizione della sindrome delle apnee<br />
ostruttive nel sonno (OSAS) nel bambino risale<br />
alla fine del XIX secolo, narrando delle conseguenze<br />
cognitive del disturbo notturno come: “il<br />
bambino è di giorno pigro, svogliato e rallentato”<br />
(1). Da allora, tale sindrome e le sue conseguenze<br />
neurocomportamentali non sono state<br />
più riportate fino a quasi il secolo successivo (2).<br />
Le apnee ostruttive nel sonno interessano i<br />
bambini di tutte le età, dal neonato all’adolescente,<br />
con una maggiore prevalenza in età prescolare<br />
(dai 2 ai 6 anni). La prevalenza dei disturbi<br />
respiratori nel sonno in età prescolare e<br />
scolare varia ampiamente: dal 3,2% al 27% per il<br />
russamento, dallo 0,5% al 3% per l’OSAS (3-4).<br />
I disturbi neurocomportamentali diurni, che
Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino<br />
comprendono il deficit di attenzione ed iperattività,<br />
disturbi dell’apprendimento e comportamentali,<br />
suggeriscono la presenza di eccessiva sonnolenza<br />
diurna (5). Studi recenti hanno dimostrato una evidente<br />
relazione di causa-effetto tra l’ipossia notturna<br />
conseguente agli eventi respiratori (apnee e<br />
ipopnee ostruttive, limitazione di flusso), l’alterazione<br />
della struttura del sonno e la comparsa di deficit<br />
neurocognitivi (6). L’alterazione delle funzioni<br />
ristorative e delle funzioni omeostatiche del sonno<br />
può avere ripercussioni sulle connessioni sinaptiche,<br />
con effetti a lungo termine a livello neuronale,<br />
in particolare a livello della corteccia prefrontale,<br />
incidendo sui disturbi cognitivi (7).<br />
Nelle Linee Guida pediatriche italiane per la diagnosi<br />
dell’OSAS, tra i sintomi diurni sono presenti<br />
il deficit dell’attenzione ed iperattività diurna,<br />
lo scarso rendimento scolastico, e l’eccessiva<br />
sonnolenza diurna (8). L’OSAS non rappresenta<br />
soltanto un rischio per lo sviluppo neurocomportamentale<br />
nell’età evolutiva, ma molti bambini<br />
con disturbi neurologici sono più a rischio di<br />
sviluppare una sindrome delle apnee ostruttive<br />
nel sonno: sindromi ipotoniche (come nel bambino<br />
prematuro o nella sindrome di Down),<br />
paralisi cerebrali infantili, patologie del troncoencefalo,<br />
come la sindrome di Arnold-Chiari, malattie<br />
neuromuscolari (9).<br />
Per tutti questi motivi, l’OSAS pediatrica può<br />
essere considerata una sindrome neurocomportamentale,<br />
la cui diagnosi e cura diventano determinanti<br />
non solo per ridurre il rischio di sequele<br />
metaboliche e cardiovascolari, ma anche per la<br />
riduzione del rischio cognitivo.<br />
Gli studi sui disturbi neurocomportamentali<br />
nell’OSAS pediatrica si possono differenziare a<br />
seconda della funzione neurocomportamentale<br />
e cognitiva indagata: studi che hanno utilizzato<br />
test neuropsicologici e/o questionari su bambini<br />
con OSAS per dimostrare la presenza di disturbi<br />
comportamentali, psichiatrici e disturbi cognitivi<br />
(deficit di attenzione ed iperattività, disturbi<br />
del comportamento e della condotta, ansia,<br />
depressione, deficit delle funzioni esecutive, disturbi<br />
degli apprendimenti scolastici), o la presenza<br />
di eccessiva sonnolenza diurna (studi di neurofisiologia<br />
e/o con questionari) ed infine studi<br />
neurofisiologici del sonno per dimostrare la presenza<br />
di caratteristiche alterazioni dell’attività<br />
cerebrale in sonno (studi polisonnografici sulla<br />
microstruttura del sonno).<br />
OSAS e disturbi neurocomportamentali<br />
Disturbi comportamentali<br />
Durante il giorno, i sintomi più caratteristici dei<br />
bambini che russano e che hanno apnee ostruttive<br />
durante il sonno sono rappresentati dall’iperattività<br />
ed il deficit attentivo, con conseguente scarso<br />
rendimento scolastico e irritabilità diurna. Tali<br />
disturbi sono presenti in almeno il 30% dei bambini<br />
con OSAS ma il comportamento diurno<br />
migliora nettamente dopo la terapia chirurgica di<br />
adenotonsillectomia (10-12). I sintomi dei bambini<br />
con OSAS non rientrano pienamente nei criteri di<br />
diagnosi della sindrome da disattenzione ed iperattività<br />
(attention deficit hyperactivity disorder,<br />
ADHD), ma possono essere più sfumati e meno<br />
severi, anche se è stato dimostrato che nei bambini<br />
con ADHD la percentuale di OSAS è del 20%<br />
(13). È stata inoltre osservata una correlazione tra<br />
la severità del disturbo respiratorio e la severità<br />
del deficit d’attenzione e dell’impulsività (14). I<br />
bambini con OSAS presentano una riduzione<br />
delle capacità riflessive, della capacità di attenzione<br />
sostenuta e selettiva e una riduzione del quoziente<br />
intellettivo (15). Non bisogna dimenticare che i<br />
disturbi comportamentali e le conseguenze cognitive<br />
del disturbo respiratorio nel sonno sono presenti<br />
anche nei bambini in cui viene riferito un russamento<br />
“benigno”, senza la presenza di apnee nel<br />
sonno; per cui il russamento deve essere sempre<br />
considerato seriamente dai pediatri e la cura precoce<br />
può evitare conseguenze a lungo termine sul<br />
piano cognitivo (10).<br />
Disturbi neuropsicologici<br />
Oltre al deficit di attenzione ed iperattività, i bambini<br />
con OSAS presentano disturbi dell’apprendimento<br />
scolastico, deficit della memoria e delle funzioni<br />
esecutive. Molti studi hanno dimostrato una<br />
correlazione inversa tra i disturbi dell’apprendimento<br />
e della memoria e l’indice di apnea e hanno<br />
anche dimostrato la presenza di deficit del quoziente<br />
intellettivo. Tutti questi disturbi neurocognitivi<br />
sono stati messi in relazione con gli episodi di ipossia<br />
notturna, secondari alle apnee nel sonno (16-<br />
18). Esiste una relazione tra la comparsa di OSAS in<br />
età prescolare e difficoltà di apprendimento in età<br />
scolare, con reversibilità e risoluzione delle difficoltà<br />
scolastiche dopo intervento chirurgico (13, 19-20).<br />
Non è ancora chiaro se il disturbo respiratorio<br />
induca effetti negativi sull’intelligenza globale o su<br />
23
24<br />
Miano, et al.<br />
specifiche aree (intelligenza verbale, visuo-spaziale,<br />
performance) e se tali deficit siano reversibili. Tale<br />
reversibilità può essere anche parziale, perché<br />
un’alterazione precoce in età prescolare può<br />
determinare un debito cognitivo che non si riesce<br />
a recuperare, o in alternativa il deficit neurocognitivo<br />
è espressione di un alterazione anche funzionale<br />
irreversibile o parzialmente reversibile del<br />
sistema nervoso, in particolare della corteccia prefrontale<br />
(7, 20). Nell’ambito dei deficit neuropsicologici<br />
indagati recentemente è stato dimostrato<br />
che questi bambini presentano un disturbo del linguaggio<br />
di tipo fonologico, e riguardante in particolare<br />
una ridotta capacità di discriminazione<br />
fonologica (13).<br />
Molti lavori hanno studiato le funzione esecutive in<br />
questi bambini, in quanto il core dei sintomi neurocomportamentali<br />
indicano una alterazione proprio<br />
delle funzioni esecutive (scarso controllo<br />
degli impulsi, pensiero rigido, deficit della memoria<br />
di lavoro e della memoria contestuale, con difficoltà<br />
a prendere decisioni, e scarsa regolazione degli<br />
affetti e emozioni).<br />
Nel modello descritto da Beebe e Gozal (7) i disturbi<br />
comportamentali e cognitivi presenti nei<br />
bambini con OSAS potrebbero essere legati ad<br />
un’alterazione della corteccia prefrontale (PFC),<br />
che rappresenta l’area cerebrale deputata al controllo<br />
delle funzioni esecutive. La corteccia prefrontale<br />
presenta una notevole riduzione dell’attività<br />
in tutti gli stadi del sonno ed è apparentemente<br />
disconnessa dalle altre regioni della corteccia,<br />
in quanto nel sonno avviene la ricalibrazione<br />
delle informazioni della veglia durante il sonno. La<br />
corteccia prefrontale è l’ultima area cerebrale che<br />
matura, infatti i bambini acquisiscono la piena<br />
maturità delle funzioni esecutive all’età di 10-12<br />
anni: il picco d’incidenza dell’OSAS può costituire<br />
un periodo di particolare vulnerabilità della maturazione<br />
della PFC che può essere solo parzialmente<br />
reversibile.<br />
OSAS ed eccessiva sonnolenza diurna<br />
La sonnolenza diurna rappresenta la conseguenza<br />
diurna più importante dell’OSAS e questo sintomo<br />
diurno è maggiormente evidente nell’adulto, mentre<br />
è di più difficile valutazione nel bambino. Esiste<br />
un test per misurare oggettivamente la sonnolenza<br />
diurna che si chiama test delle latenza multiple al<br />
sonno (multiple sleep latency test, MSLT): si caratterizza<br />
per la ripetizione di 5 polisonnografie brevi<br />
della durata di circa 20-30 minuti durante il giorno,<br />
con inizio al mattino e ripetizione ad intervalli<br />
regolari di circa 2 ore. Alla fine della prova viene<br />
calcolato il tempo di latenza all’addormentamento<br />
e minore è il valore, maggiore è la sonnolenza diurna.<br />
Studi con il MSLT riportano la presenza di sonnolenza<br />
diurna in una percentuale che varia dal<br />
12% al 20% di bambini con OSAS, in particolare<br />
nei soggetti obesi (21-22).<br />
Esistono anche questionari che indagano la sonnolenza<br />
diurna come la scala di valutazione della<br />
sonnolenza diurna pediatrica (pediatric daytime<br />
sleepiness scale, PDSS) (23). I questionari vengono<br />
utilizzati anche perché il punteggio al MSLT spesso<br />
non corrisponde alla sonnolenza soggettiva, infatti<br />
la percentuale di sonnolenza diurna nei bambini<br />
che russano sale al 40% circa quando tale sintomo<br />
viene indagato con il questionario (24). Un lavoro<br />
recente ha dimostrato una relazione tra eccessiva<br />
sonnolenza diurna, russamento e ridotte prestazioni<br />
scolastiche in un gruppo di adolescenti spagnoli<br />
intervistati con la PDSS (25).<br />
OSAS e microstruttura del sonno<br />
La correlazione tra disturbi neurocognitivi e frammentazione<br />
del sonno è stata indagata attraverso<br />
l’analisi della struttura del sonno, in particolare l’analisi<br />
degli arousal, che sono degli eventi di breve<br />
durata (pochi secondi) riconoscibili all’elettroencefalogramma<br />
(EEG), che testimoniano la fluttuazione<br />
dal sonno verso la veglia. Nonostante molti<br />
studi abbiano dimostrato la presenza di un’alterazione<br />
della microstruttura del sonno (analisi degli<br />
arousal e degli eventi brevi al di sotto del minuto),<br />
caratterizzata da un aumento dei movimenti, degli<br />
arousal e dei movimenti periodici in sonno (26-28),<br />
nei bambini il riconoscimento degli arousal alla fine<br />
di un evento respiratorio è più difficile rispetto a<br />
quello degli adulti (29). La spiegazione potrebbe<br />
essere che l’ipossia e l’ipercapnia notturne secondarie<br />
all’OSAS siano causa di un deficit di arousal,<br />
ma è anche possibile che nei bambini vi siano presenti<br />
eventi non riconoscibili con la semplice analisi<br />
degli arousal (30). Per tutti questi motivi, recentemente<br />
il nostro gruppo e altri ricercatori hanno<br />
effettuato lo studio della microstruttura del sonno<br />
attraverso l’analisi del pattern alternate ciclico<br />
(CAP), le cui oscillazioni lente all’EEG (sottotipi A1)<br />
sono strettamente correlate all’attività della corteccia<br />
prefrontale (30-34). Il CAP è testimone di<br />
un ritmo endogeno a genesi talamo-corticale che
Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino<br />
riflette la fatica del cervello nel preservare e regolare<br />
la microstruttura del sonno. Ogni ciclo CAP è<br />
composto dall’alternanza di eventi attivatori (fase<br />
A) e inibitori (fase B) che coinvolgono simultaneamente<br />
la profondità del sonno, il tono muscolare e<br />
le attività neurovegetative. In base alle caratteristiche<br />
morfologiche e all’impatto sul tono muscolare<br />
e sulle funzioni autonomiche, le fasi A si dividono in<br />
potenze A1,A2 e A3, a seconda della predominanza<br />
di componenti lente ed in sincronizzazione (sottotipi<br />
A1) oppure di componenti rapide e di desincronizzazione,<br />
più simili all’arousal (sottotipi A2 e<br />
A3) (31). Le figure 1 e 2 mostrano esempi dei sottotipi<br />
del CAP, durante una fase di sonno non-REM.<br />
La necessità di un’analisi più raffinata del sonno nei<br />
LOC-A2<br />
ROC-A1<br />
Fp1-T3<br />
Fp2-T4<br />
C3-A2<br />
C4-A1<br />
Chin1-Chin2<br />
bambini con OSAS è dovuta anche al fatto che<br />
non esiste una correlazione diretta tra la frammentazione<br />
del sonno (aumento degli arousal e alterazione<br />
macrostruttura del sonno), deficit neurocognitivi<br />
e sonnolenza diurna (30). L’analisi del CAP<br />
ha rilevato la presenza di una riduzione del CAP<br />
rate ed in particolare dei sottotipi A1 in un gruppo<br />
di bambini con OSAS severa (30). In un altro lavoro<br />
in un gruppo di bambini con una forma più lieve<br />
abbiamo dimostrato la presenza di un aumento del<br />
CAP rate con persistenza di tale alterazione anche<br />
dopo la correzione e risoluzione del problema<br />
respiratorio, a conferma che le alterazioni EEG<br />
possono essere la spia di un disturbo neuronale<br />
persistente o di una parziale risposta al trattamento<br />
Figura 1 Esempio di due sottotipi A1 del CAP, in un epoca di sonno 2NREM, epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza.<br />
ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin-chin2, elettromiogramma sottomentoniero.<br />
LOC<br />
ROC<br />
Fp1-C3<br />
Fp2-C4<br />
C3-A2<br />
C4-A1<br />
D1-A2<br />
D2-A1<br />
Chin-Chin2<br />
A2<br />
A1<br />
Figura 2 Esempio di due sottotipi A2 e A3 del CAP, in un epoca di sonno 2NREM, epoca di 30 secondi, 300µv di<br />
ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin-chin2, elettromiogramma sottomentoniero.<br />
A3<br />
A1<br />
25
26<br />
Miano, et al.<br />
(34). Recentemente abbiamo dimostrato che una<br />
riduzione del CAP rate e dei sottotipi A1 del CAP<br />
nei bambini con OSAS sembra essere correlata<br />
alla presenza di anomalie parossistiche all’EEG, simili<br />
a quelle presenti nei bambini con epilessia rolandica,<br />
con autismo, ADHD, o con disturbi dell’apprendimento<br />
(Figura 3) (35). La presenza di anomalie<br />
EEG può inoltre essere un ulteriore segno di<br />
disfunzione della corteccia prefrontale, con ipereccitabilità<br />
talamica.Tali anomalie EEG sono presenti<br />
in circa il 14% dei bambini con OSAS, mentre sono<br />
assenti nei bambini con solo russamento (35).<br />
Discussione<br />
I modelli animali hanno portato alla luce ulteriori<br />
chiarimenti sul ruolo dell’ipossia e degli effetti a<br />
livello cerebrale dell’OSAS pediatrica (10). Questi<br />
studi hanno dimostrato una relazione di causaeffetto<br />
tra ipossia e alterazioni sia anatomiche che<br />
funzionali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo,<br />
che possono persistere per tutta la vita<br />
(36-38). I ratti esposti all’ipossia intermittente presentano<br />
un aumento dell’attività motoria e una<br />
riduzione della durata e del numero di interazioni<br />
sociali, che possono essere considerate il corrispettivo<br />
dell’iperattività e della riduzione dell’attenzione<br />
sostenuta nei bambini con OSAS (38). È<br />
stato recentemente dimostrato che l’ipossia intermittente<br />
durante il sonno causa perdita neuronale<br />
(39), tale perdita neuronale sembrerebbe mediata<br />
dall’attivazione dei mediatori dell’infiammazione<br />
(fattore di attivazione piastrinico, ciclo-ossigenasi 2,<br />
attivatore della sintesi dell’ossido nitrico, apolipoproteina<br />
E) (38, 40-43) e dalla ridotta capacità<br />
delle cellule staminali di migrare e differenziarsi<br />
Fp2-C4<br />
C4-T4<br />
T4-O2<br />
Fp1-C3<br />
C3-T3<br />
T3-O1<br />
C4-A1<br />
C3-A2<br />
O2-A1<br />
O1-A2<br />
LOC<br />
ROC<br />
Chin<br />
nelle zone di necrosi neuronale (44). La severità<br />
dell’OSAS nel bambino non è l’unico determinate<br />
per lo sviluppo dei deficit neurocognitivi, ma lo sviluppo<br />
di tali disturbi è mediato anche dalla suscettibilità<br />
genetica e dalle condizioni ambientali e questo<br />
spiegherebbe l’eterogeneità del fenotipo neurocomportamentale,<br />
con bambini affetti da OSAS<br />
severo che sono relativamente asintomatici e al<br />
contrario russatori con evidenti disturbi cognitivi<br />
(10, 45). Un recente editoriale di Bruni e Ferri (45)<br />
ha ipotizzato che il rischio di sviluppo dei deficit<br />
cognitivi nei bambini con OSAS sia mediato dalla<br />
riduzione del fattore di crescita dell’insulina (IGF-1)<br />
e dalla suscettibilità genetica, in particolare a livello<br />
del locus dell’apolipoproteina E, nel cromosoma 19.<br />
Nell’OSAS pediatrica è stata recentemente dimostrata<br />
una riduzione dell’IGF-1 e una maggiore rappresentazione<br />
del locus E dell’apolipoproteina E<br />
(apoE) nei bambini con deficit neurocognitivi. È<br />
stato inoltre dimostrato che l’IGF-1 ha un ruolo<br />
protettivo nella neurogenesi a livello dell’ippocampo<br />
e di resistenza all’ipossia (45). L’attività dell’IGF-1<br />
è anche una misura indiretta di quella dell’ormone<br />
della crescita, che viene secreto principalmente<br />
nella prima parte della notte e durante il sonno ad<br />
onde lente (nel sonno NREM) (45). Le oscillazioni<br />
del sonno ad onde lente sono direttamente correlate<br />
con i processi di memorizzazione a lungo termine<br />
e sono principalmente rappresentate a livello<br />
dello scalpo dai sottotipi A1 del CAP (45).<br />
Per questo motivo gli studi della microstruttura<br />
del sonno (in particolare nei bambini con OSAS e<br />
anomalie EEG) insieme a studi sul metabolismo e<br />
sul ruolo dei mediatori dell’infiammazione possono<br />
portare ulteriori conferme a questa ipotesi<br />
patofisiologica.<br />
Figura 3 Esempio di anomalie elettroencefalografiche in un bambino con OSAS (da onde aguzze sulle regioni centrali<br />
di sinistra), epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin, elettromiogramma<br />
sottomentoniero.
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BIBLIOGRAFIA
Introduzione<br />
I disturbi respiratori nel sonno (DRS) sono un continuum<br />
di disordini respiratori (Figura 1) osservabili<br />
durante il riposo notturno che vanno dal russamento<br />
isolato alle ipopnee per giungere alle apnee<br />
e che disturbano la ventilazione notturna e l’architettura<br />
del sonno (1).<br />
Sono disturbi prevalentemente ostruttivi che riconoscono<br />
momenti patogenetici di varia natura.<br />
L’ipopnea può essere ulteriormente caratterizzata<br />
come ostruttiva quando è associata a movimenti<br />
in opposizione di fase di torace o addome oppure<br />
è definita centrale in caso di riduzione in fase<br />
degli stessi segnali (2-4).<br />
In accordo con Gastaut e collaboratori, sia l’apnea<br />
che l’ipopnea possono essere classificate in 3 tipi<br />
differenti: centrale, ostruttiva e mista (5).<br />
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 29-37<br />
Maria Pia Villa, Melania Evangelisti, Antonella Urbano<br />
Dipartimento di Pediatria, Centro Regionale di Medicina del Sonno. A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di<br />
Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma<br />
Sindromi infiammatorie da ipossia<br />
intermittente nel sonno<br />
Inflammatory and intermittent<br />
hypoxia syndrome<br />
Parole chiave: OSAS, obesità, ipoventilazione, ipossia intermittente<br />
Keywords: OSAS, obesity, hypoventilation, intermittent hypoxia<br />
Riassunto. La sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSAS) è una condizione clinica caratterizzata da ripetuti episodi di<br />
parziale (ipopnea) o completa (apnea) ostruzione delle alte vie aeree che avvengono durante il riposo notturno, con conseguente<br />
disregolazione della normale ventilazione notturna, ipercapnia ed ipossiemia e frammentazione del sonno.<br />
La fisiopatologia delle complicanze legate all’OSAS sono multifattoriali ma studi recenti hanno concentrato l’attenzione sulla<br />
ipossia intermittente che si verifica durante la notte con cicli ripetuti di ipossia e riossigenazione e che sarebbe alla base della<br />
morbidità dei DRS nonché della comorbidità con l’obesità.<br />
L’OSAS e l’ipoventilazione sono responsabili di uno stato infiammatorio sistemico che se non rimosso determina danni a vari<br />
organi ed apparati.<br />
La comorbidità tra OSAS e obesità ha permesso di comprendere come il meccanismo patogenetico dell’infiammazione comune<br />
alle due sindromi, possa riconoscere il medesimo modello di ipossia intermittente e ipossia cronica.<br />
Il prototipo dell’ipoventilazione centrale è la sindrome<br />
di Ondine o ipoventilazione centrale congenita<br />
di cui non parleremo in questo articolo<br />
mentre ci occuperemo delle apnee/ipopnee<br />
ostruttive da limitazioni al flusso aereo come risultato<br />
della collassabilità e restringimento delle alte<br />
vie aeree.<br />
Epidemiologia<br />
Sebbene l’incidenza del russamento primario e<br />
della sindrome delle apnee/ipopnea ostruttive del<br />
sonno (OSAS) non siano conosciute precisamente,<br />
stime recenti indicano che circa il 9% di bambini<br />
tra 1 e 10 anni e l’8,5% tra 6 e 13 anni hanno<br />
un russamento abituale, senza differenza tra i due<br />
29<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia,<br />
Università “La Sapienza”, Roma; e-mail: mariapia.villa@uniroma.it
30<br />
Villa, et al.<br />
Resistenze delle<br />
vie aeree superiori<br />
normali<br />
(no russamento)<br />
Normale<br />
Aumento delle<br />
resistenze delle alte<br />
vie respiratorie che<br />
causa solo rumore<br />
respiratorio<br />
(russamento)<br />
Russamento<br />
primario<br />
Figura 1 Rappresentazione grafica della distribuzione dei disturbi respiratori nel sonno.<br />
sessi e che circa l’1%-3%, con una prevalenza nei<br />
bambini tra i 2 e i 5 anni, presenta apnee/ipopnee<br />
ostruttive nel sonno (6-8). La ipoventilazione nel<br />
sonno è di difficile definizione in età pediatrica ma<br />
se ci distacchiamo dalla definizione strumentale di<br />
ipopnea, possiamo indicare come ipoventilazione<br />
ogni sindrome respiratoria ostruttiva che si verifichi<br />
durante il sonno.<br />
Negli ultimi 2 decenni si è assistito all’incremento<br />
dell’obesità/soprappeso nella popolazione pediatrica<br />
e, sebbene le stime non siano ancora ben<br />
conosciute, è comunque aumentata la prevalenza<br />
di bambini obesi che si recano presso centri di<br />
medicina del sonno (9-11) per disturbi respiratori<br />
nel sonno. Questo fenotipo di bambini presenta<br />
delle caratteristiche della obesity hypoventilation<br />
syndrome (OHS) con obesità marcata, sonnolenza<br />
diurna, cianosi, policitemia, ipoventilazione alveolare,<br />
respiro periodico, ipossiemia intermittente ed<br />
ipercapnia. L’eziopatogenesi di questa forma non è<br />
completamente chiarita ma alcuni studi indicano<br />
che il meccanismo alla base potrebbe essere<br />
dovuto all’associazione di alterato controllo del<br />
drive ventilatorio, congenito o acquisito, e anomalie<br />
respiratorie dovute all’alterata dinamica della<br />
gabbia toracica per l’obesità.<br />
Aumento delle<br />
resistenze delle alte<br />
vie aeree capace di<br />
deteriorare la<br />
qualità del sonno<br />
UARS<br />
Aumento delle<br />
resistenze capace di<br />
elevare la PaCO2<br />
e di abbassare<br />
la SaO2<br />
Ipoventilazione<br />
ostruttiva<br />
o ipopnea<br />
ostruttiva<br />
Aumento delle<br />
resistenze delle alte<br />
vie aeree che<br />
portano ad una<br />
completa o<br />
parziale chiusura<br />
intermittente delle<br />
alte vie aeree<br />
Apnea<br />
ostruttiva<br />
(OSA)<br />
Aspetti clinici<br />
I sintomi predominanti sono rappresentati dal russamento,<br />
dagli sforzi respiratori nel sonno, dalla<br />
presenza di apnee e da sintomi diurni quali disturbi<br />
neurocognitivi e comportamentali (iperattività,<br />
sonnolenza diurna, deficit di attenzione) e respirazione<br />
orale (12-14).<br />
Patogenesi<br />
La presentazione fisiopatologica è correlata alla<br />
collassabilità delle alte vie aeree e alla riduzione<br />
del lume faringeo (15).<br />
L’ostruzione completa è definita apnea, mentre il<br />
collasso parziale delle alte vie aeree è definita<br />
ipopnea.<br />
Fattori anatomici, come l’ipertrofia adeno-tonsillare<br />
e le anomalie cranio-facciali, sono coinvolti nella<br />
patogenesi dell’OSAS. I disturbi dell’arousal e l’alterato<br />
controllo neurovegetativo spesso accompagnano<br />
tale sindrome (16-17).<br />
Naturalmente fattori genetici giocano un ruolo<br />
addizionale, di difficile inquadramento.<br />
Sebbene nel bambino la riduzione del flusso aereo è<br />
per lo più dovuto all’ingombro creato dal tessuto<br />
adenotonsillare ipertrofico, anche l’effetto meccanico
esercitato dal tessuto adiposo a livello del collo e<br />
della parete addominale è ugualmente responsabile<br />
di eventi ostruttivi respiratori (16-21).<br />
L’ipoventilazione che consegue a tali eventi respiratori<br />
induce ipossia notturna di severità pari al<br />
grado di ostruzione (Figura 2).<br />
Studi recenti suggeriscono che i cicli ripetuti di ipossia<br />
e riossigenazione, propri degli eventi ostruttivi, inducono<br />
a livello mitocondriale la produzione di fattori<br />
dell’infiammazione, come il fattore di necorsi tumorale<br />
alpha (tumor necrosis factor,TNF-α) e le interleuchine<br />
6, 10 e 8 (IL-6, IL-10, IL-8), in grado di determinare<br />
uno stato infiammatorio sistemico.<br />
% di saturazione<br />
dell’O2 100<br />
90<br />
80<br />
70<br />
60<br />
50<br />
Tempo (ore)<br />
22:00<br />
23:00 24:00 01:00 02:00<br />
22:00<br />
Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno<br />
Il danno che ne consegue sembrerebbe essere alla<br />
base della morbidità cardiovascolare tipica delle sindromi<br />
respiratorie ostruttive durante il sonno (22-23).<br />
In particolare, secondo il modello proposto da<br />
Ryan (Figura 3), i ripetuti episodi di transitoria<br />
ipossia determinano uno stress mitocondriale a<br />
livello cellulare ed innescano la cascata citochinica<br />
proinfiammatoria attraverso l’attivazione del fattore<br />
nucleare di trascrizione NF-κB. Gli effetti di tale<br />
attivazione aumentano l’espressione di fattori<br />
proaterogeni come ilTNF-α che contribuiscono alla<br />
disfunzione endoteliale e di conseguenza alle complicanze<br />
cardiocircolatorie (24-25).<br />
Tempo (min)<br />
100<br />
02:00 02:10<br />
Figura 2 Cicli di ipossia e riossigenazione in corso di eventi desaturanti da ostruzione delle alte vie respiratorie durante<br />
il sonno.<br />
Normossia sostenuta<br />
~90%<br />
~10%<br />
Figura 3 Modello di Ryan.<br />
O 2<br />
~100%<br />
% di saturazione<br />
dell’O2 90<br />
Ipossia sostenuta<br />
03:00 04:00 05:00<br />
HIF-1α HIF-1α<br />
HIF-1α<br />
Adattata<br />
VEGF<br />
EPO<br />
O 2<br />
Ipossia intermittente<br />
NFκB<br />
TNF-α<br />
Infiammatoria<br />
31
32<br />
Villa, et al.<br />
La base fisiopatologia di tale meccanismo di flogosi<br />
sta nel continuo alternarsi di episodi di ipossiariossigenazione<br />
caratteristici dell’OSAS (23).<br />
Mentre una ipossia sostenuta attiva una risposta<br />
adattativa attraverso l’aumentata espressione di<br />
diversi geni che codificano per proteine quali la<br />
eritropoietina (EPO) e il vascular endothelial growth<br />
factor (VEGF) – mediata dall’attivazione del hypoxia<br />
inducible factor (HIF-1) in risposta alla riduzione<br />
dell’ossigeno disponibile, i ripetuti episodi di<br />
ipossia transitoria determinano a livello cellulare<br />
uno stress mitocondriale che innesca la cascata<br />
citochinica proinfiammatoria attraverso l’attivazione<br />
del fattore nucleare di trascrizione NFκB. Gli<br />
effetti di tale attivazione aumentano l’espressione<br />
di fattori pro-aterogeni come il TNF-α che contribuiscono<br />
alla disfunzione endoteliale responsabile<br />
delle complicanze cardiocircolatorie (Figura 3).<br />
Il meccanismo ischemia-riperfusione, aumenta<br />
inoltre la produzione di radicali liberi dell’ossigeno<br />
(ROS), altamente reattivi, capaci di interagire<br />
con tutte le macromolecole biologiche, alterandone<br />
la struttura e la funzione in modo spesso<br />
irreversibile. In particolare, sembra essere il<br />
danno da riperfusione il principale responsabile<br />
dell’attivazione di sistemi pro-infiammatori che<br />
promuovono la formazione di un ambiente proaterogeno<br />
(26-27).<br />
L’aumento della produzione e della liberazione di<br />
ROS a livello endoteliale ha diverse conseguenze:<br />
- la sintesi e l’espressione in membrana di molecole<br />
di adesione<br />
- la riduzione dei livelli di NO di derivazione endoteliale,<br />
aumento di perossinitrito<br />
- il rolling di linfociti Th ed attivazione della flogosi<br />
parietale<br />
- l’adesione ed attivazione piastrinica<br />
- l’ossidazione delle LDL<br />
- il danno endoteliale.<br />
L’endotelio perde la sua funzione anti-infiammatoria<br />
e anti-aterogena ed inizia a produrre molecole<br />
vasoattive, citochine e fattori di crescita (Figura 4).<br />
Se la risposta infiammatoria non riesce a neutralizzare<br />
o a rimuovere l’agente offensivo, la flogosi si<br />
automantiene (27-28).<br />
Verrà quindi stimolata la migrazione e la proliferazione<br />
delle cellule muscolari lisce che perdono<br />
il loro fenotipo contrattile e si spostano dalla<br />
media all’intima, stimolando la sintesi di enzimi<br />
come le metalloproteinasi e le elastasi, con deposizione<br />
di collagene, elastina e glicoproteine che<br />
contribuiscono alla formazione di tessuto fibroso che<br />
progressivamente riveste il core lipidico (25-26).<br />
Si comprende come i fattori fisiopatologici alla<br />
base del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari<br />
in soggetti con OSAS siano molteplici e correlati.<br />
L’infiammazione, la disfunzione endoteliale, l’attivazione<br />
cronica del sistema nervoso simpatico e<br />
la stimolazione del sistema renina-angiotensina<br />
(25-26) sono tutti aspetti attivati dopo episodi di<br />
ipossia intermittente.<br />
La comorbidità tra obesità e OSAS è in forte<br />
aumento a causa dell’aumento del numero di<br />
bambini che presenta eccesso ponderale.<br />
Entrambe rappresentano modelli di infiammazione<br />
e di danno endoteliale che hanno punti in<br />
comune. Studi in vitro hanno dimostrato che la<br />
sintesi di leptina (che è aumentata negli obesi),<br />
dotata di proprietà pro-angiogeniche, incrementi i<br />
suoi livelli in seguito ad un insulto ipossico con un<br />
meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1.<br />
Gozal ha inoltre mostrato in un recente studio che<br />
i livelli di leptina circolante in soggetti con OSAS<br />
sono correlati non solo all’indice di massa corporea<br />
ma anche all’indice di apnea-ipopnea (apneaipopnea<br />
index, AHI). La diminuzione dell’eNO circolante<br />
associato allo stress mitocondriale che si<br />
verifica nell’OSAS potrebbe determinare una condizione<br />
di riassetto del metabolismo cellulare con<br />
una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo<br />
di tessuto adiposo (27).<br />
A parità di consumo di cibo, animali knockout per<br />
il gene che codifica per l’ossido nitrico sintetasi<br />
endoteliale hanno, infatti, una spesa energetica<br />
inferiore ed un accumulo di peso aumentato<br />
rispetto ai controlli. Inoltre, essi possiedono tutte<br />
le stigmate dei soggetti affetti da sindrome metabolica<br />
essendo insulino-resistenti (diabetici), ipertesi<br />
e iperlipidemici.<br />
Complicanze<br />
Il quadro di infiammazione sistemica coinvolge vari<br />
organi ed apparati.<br />
Le complicanze cardiovascolari in età pediatrica<br />
sono per lo più rappresentate da ipertensione<br />
polmonare e sistemica e ipertrofia ventricolare<br />
sinistra (29-30); l’ipertensione sistemica, tuttavia,<br />
che è una complicanza frequente in età adulta, si<br />
verifica meno spesso in età pediatrica.<br />
Per quanto riguarda la pressione arteriosa, numerosi<br />
studi hanno dimostrato che i bambini con
Migrazione<br />
delle cellule<br />
muscolari lisce<br />
Formazione<br />
cellule<br />
schiumose<br />
Figura 4 Rappresentazione schematica del processo aterosclerotico.<br />
OSAS presentano valori superiori quando confrontati<br />
con i bambini con russamento primario, in<br />
assenza di differenze significative dell’indice di massa<br />
corporea (29-33). In particolare, come è emerso<br />
attraverso lo studio del monitoraggio pressorio<br />
delle 24 ore, l’OSAS altera la normale regolazione<br />
omeostatica della pressione arteriosa (29, 34).<br />
In età adulta, l’ipertensione è il meccanismo che<br />
sottende il rimodellamento miocardico e la comparsa<br />
di ipertrofia ventricolare sinistra, l’ispessimento<br />
del setto interventricolare e alterazioni del<br />
diametro diastolico e telesistolico delle camere<br />
atriali. In caso di OSAS, l’effetto dell’ipertensione è<br />
amplificato e, addirittura, può da sola indurre rimodellamento<br />
cardiaco (35) in pazienti senza malattie<br />
cardiache concomitanti (36-37).<br />
Amin e collaboratori (38) hanno dimostrato che<br />
nei bambini con disturbi respiratori nel sonno è<br />
presente una riduzione della funzione diastolica del<br />
ventricolo sinistro e che questa alterazione migliora<br />
dopo la risoluzione del disturbo respiratorio nel<br />
sonno. È verosimile che alcune delle alterazioni del<br />
ventricolo sinistro, in termini di contrattilità e geometria,<br />
possono riflettere l’interazione tra l’aumento<br />
della pressione arteriosa, cambiamenti nelle resistenze<br />
vascolari periferiche e l’OSAS (34, 39).<br />
Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno<br />
Attivazione<br />
delle cellule T<br />
Aderenza e<br />
aggregazione<br />
di piastrine<br />
Aderenza ed<br />
entrata di<br />
leucociti<br />
Gli episodi ricorrenti di ipossia e ipercapnia che si<br />
verificano durante la notte aumentano le resistenze<br />
vascolari polmonari e sono responsabili di ipertensione<br />
polmonare (40-43) che, associata al<br />
rimodellamento cardiaco del ventricolo destro ed<br />
alla disfunzione diastolica e sistolica delle camere<br />
cardiache di destra, può condurre (quando i sintomi<br />
non sono precocemente riconosciuti e trattati)<br />
a core polmonare (44-45).<br />
È ipotizzabile che gli episodi ricorrenti di ipossia<br />
durante l’infanzia predispongano ad una risposta<br />
anomala, a carico della circolazione polmonare, agli<br />
stimoli vasocostrittivi in età adulta (46, 47), con<br />
conseguente danno cardiorespiratorio cronico.<br />
Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sui<br />
danni neurocognitivi dell’OSAS pediatrica. Le<br />
implicazioni neurocognitive della sindrome delle<br />
apnee sono già note da oltre un secolo.<br />
Già nel 1892 Sir William Osler descrisse, nel bambino,<br />
un’associazione fra il russamento notturno, l’ostruzione<br />
delle alte vie respiratorie e il ritardo intellettivo.<br />
Nel 1899 Hill confermò quanto precedentemente<br />
descritto da Osler e dimostrò che l’asportazione<br />
delle adenoidi e delle tonsille determinava la<br />
scomparsa non solo dei sintomi respiratori notturni,<br />
ma anche il recupero della funzione intellettiva. I<br />
33
34<br />
Villa, et al.<br />
bambini con OSAS possono, infatti, mostrare<br />
comportamenti diurni caratterizzati da aggressività,<br />
iperattività, sonnolenza diurna e scarso rendimento<br />
scolastico (48).<br />
Non si conosce esattamente quale sia il legame<br />
eziopatogenetico fra i disturbi respiratori notturni<br />
ed i sintomi comportamentali diurni. Certamente<br />
la frammentazione del sonno dovuta ai frequenti<br />
microrisvegli (arousals), l’ipoventilazione e gli squilibri<br />
dei gas ematici che questi bambini sperimentano<br />
durante il sonno giocano un ruolo importante<br />
nella genesi di questi disturbi.<br />
Il dato rilevante è che il 20%-30% dei bambini con<br />
OSAS o con russamento notturno hanno problemi<br />
attentivi e di iperattività (49).<br />
Gozal e collaboratori (50), in uno studio condotto<br />
su una popolazione di 1.588 bambini scolarizzati, di<br />
età compresa tra i 13 e i 14 anni, hanno dimostrato<br />
che i bambini con rendimento scolastico basso<br />
riferivano all’anamnesi russamento ed intervento di<br />
adenotonsillectomia durante i primi anni di vita, con<br />
una frequenza significativamente maggiore rispetto<br />
ai loro coetanei con rendimento scolastico alto.<br />
Questi dati supportano l’ipotesi che i danni neurocognitivi<br />
conseguenti ai disturbi respiratori nel<br />
sonno che si verificano nei primi anni di vita (epoca<br />
del massimi sviluppo di tali funzioni) possano essere<br />
recuperabili solo in parte, creando una sorta di<br />
“debito di apprendimento” che potrà compromettere<br />
il futuro del bambino (51, 52).<br />
Quale sia la prognosi a lungo termine dei bambini<br />
affetti da OSAS non è del tutto nota. Non è chiaro<br />
se l’OSAS del bambino sia precursore<br />
dell’OSAS dell’adulto o se questa sia una malattia<br />
diversa da quella dell’adulto.<br />
In letteratura esiste un solo studio sul follow-up a<br />
lungo termine. In tale studio è evidenziato come<br />
pazienti trattati con adenotonsillectomia in età<br />
pediatrica presentavano nel 13% dei casi una recidiva<br />
nelle fasi successive della vita (53).<br />
OSAS e obesità<br />
Lo stesso modello patogenetico, nonché le complicanze,<br />
sono condivise dall’obesità.<br />
In particolare, dai dati presenti in letteratura è<br />
emerso che il tessuto adiposo a livello addominale<br />
induce uno stato di infiammazione cronica, con<br />
livelli aumentati sia di proteina C-reattiva (PCR)<br />
(54) che di citochine (55-56) nei soggetti obesi.<br />
Il tessuto adiposo è in grado di produrre e rilasciare<br />
diversi fattori proinfiammatori quali la leptina<br />
e la resistina (57-59), citochine (IL-1,TNF-α, IL-<br />
6, IL-8, IL-10, VEGF, EGF, MCP-1) e chemochine<br />
(adiponectina) (55-56) che partecipano attivamente<br />
allo sviluppo dell’insulino-resistenza e predispongono<br />
a danni cardiocircolatori (60).<br />
Tali fattori sono prodotti direttamente dalle cellule<br />
adipose e hanno attività pro-infiammatoria.<br />
La produzione di tali mediatori è tanto maggiore<br />
quanto più il tessuto adiposo è ipovascolarizzato ed<br />
in debito di ossigeno, quindi l’ipossia tissutale delle<br />
cellule adipose sembra essere un fattore aggiuntivo.<br />
Appare che l’elemento che potenzia l’infiammazione<br />
dei due modelli, OSAS e obesità, è l’ipossia intermittente<br />
e/o sostenuta, come ipotizzato da Ryan.<br />
Conclusioni<br />
L’OSAS e l’ipoventilazione sono responsabili di uno<br />
stato infiammatorio sistemico che se non rimosso,<br />
determina danni a vari organi ed apparati.<br />
La comorbidità tra OSAS e obesità ha permesso<br />
di comprendere come il meccanismo patogenetico<br />
dell’infiammazione comune alle due sindromi,<br />
possa riconoscere il medesimo modello di ipossia<br />
intermittente e di ipossia cronica.
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Jacopo Pagani, Maria Chiara Paolino, Alceo Crescenzi, Maria Pia Villa<br />
Dipartimento di Pediatria, Centro per lo Studio e la Cura dei Disturbi del Sonno, Ospedale “S. Andrea",<br />
II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”, Roma<br />
Linee Guida per la diagnosi della<br />
sindrome delle apnee ostruttive nel<br />
sonno in età pediatrica<br />
Diagnostic guidelines in paediatric<br />
obstructive sleep apnea<br />
Parole chiave: diagnosi, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, pediatria, polisonnografia, russamento<br />
Keywords: diagnosis, obstructive sleep apnea syndrome, paediatrics, polysomnography, snoring<br />
Riassunto. Con il termine di “disturbi respiratori nel sonno” (DRS) si intende una serie di disordini caratterizzati da eventi<br />
respiratori che si verificano o sono evidenti durante il sonno. In particolare questo articolo sarà incentrato sulla diagnosi in<br />
pediatria dei disordini respiratori ostruttivi nel sonno associati o meno ad ipoventilazione. Essi rappresentano un ampio capitolo<br />
della patologia respiratoria in età pediatrica e comprendono uno spettro di quadri clinici molto ampio che va da una condizione<br />
relativamente benigna conosciuta come russamento primario, alla sindrome da aumentate resistenze delle alte vie fino<br />
alla sindrome delle apnee ostruttive in sonno.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, Ospedale “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia,<br />
Università di Roma “La Sapienza”, Roma; e-mail: mariapia.villa@uniroma.it<br />
Introduzione<br />
La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, o<br />
dall’acronimo inglese OSAS, è un disturbo respiratorio<br />
che si verifica nel sonno ed è caratterizzato<br />
da episodi prolungati di ostruzione parziale o<br />
completa intermittente (ipopnea o apnea ostruttiva)<br />
delle alte vie che disturbano la ventilazione<br />
notturna (1). Le manifestazioni cliniche nel bambino<br />
sono principalmente caratterizzate, in accordo<br />
con quanto definito dall’American Thoracic<br />
Society e dall’American Academy of Pediatrics (2),<br />
da russamento notturno abituale e/o riferite<br />
apnee nel sonno, disturbi neurocognitivi e/o comportamentali.<br />
Le complicanze possono includere<br />
ritardo della crescita, disturbi neurologici e, nei casi<br />
più severi, ipertrofia ventricolare destra ed ipertensione<br />
polmonare, oggi meno frequenti grazie<br />
ad una diagnosi precoce e ad un più efficace trattamento.<br />
La patologia, pur presentando alcune<br />
analogie con quella dell’adulto, risulta molto differente<br />
tanto che le definizioni ed i criteri utilizzati<br />
per fare diagnosi di OSAS nell’adulto non sono<br />
applicabili in età pediatrica (3, 4).<br />
In letteratura risultano disponibili pochi lavori epidemiologici<br />
nei quali la prevalenza dei disturbi<br />
respiratori del sonno in età prescolare e scolare<br />
varia ampiamente: dal 3.2% al 12.1% per il russamento<br />
abituale e dall’1,1% al 2,9% per l’OSAS (5,<br />
6). In Italia Brunetti e collaboratori hanno evidenziato<br />
in uno studio condotto su 1.207 bambini una<br />
prevalenza del 4,9% per il russamento abituale e<br />
dell’1,8% per l’OSAS (7).<br />
Nonostante l’OSAS possa colpire qualunque<br />
fascia di età, è stato osservato che il picco di massima<br />
incidenza è generalmente compreso tra i 2<br />
e i 5 anni, corrispondente al periodo di massima<br />
iperplasia del tessuto linfatico. È in effetti l’età
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica<br />
nella quale le vegetazioni adenoidee e le tonsille<br />
presentano il massimo sviluppo in rapporto allo<br />
spazio orofaringeo. Un secondo picco di frequenza<br />
è descritto nell’adolescenza età in cui l’OSAS si<br />
manifesta con le caratteristiche dell’adulto (risvegli<br />
notturni e sonnolenza diurna).<br />
Occorre, peraltro, sottolineare, come l’eziologia, la<br />
clinica, le caratteristiche polisonnografiche, le complicanze<br />
dell’OSAS in età pediatrica non siano le<br />
stesse osservabili nell’adulto.<br />
Il processo di diagnosi, nel bambino con OSAS, è in<br />
continua evoluzione visto il progressivo riconoscimento<br />
di nuove espressioni cliniche della malattia e<br />
la disponibilità di nuove metodologie diagnostiche.<br />
Storia ed esame fisico<br />
Una visita pediatrica di routine dovrebbe comprendere<br />
sempre una storia clinica riguardante il<br />
sonno ed il russamento. Sebbene essa non sia sufficiente<br />
da sola a distinguere il russamento primario<br />
dall’OSAS, la storia clinica può essere utile a<br />
selezionare i bambini che devono continuare il percorso<br />
diagnostico; infatti una revisione degli studi<br />
della letteratura evidenzia come la valutazione clinica<br />
possieda un’elevata sensibilità ed una bassa<br />
specificità per la diagnosi di OSAS. In caso, quindi,<br />
l’anamnesi ponga il sospetto di disturbi respiratori<br />
nel sonno (DRS), l’esame fisico dovrà prendere in<br />
considerazione l’aspetto generale del bambino, il<br />
suo pattern di crescita, la presenza di ostruzione<br />
nasale, l’eventuale presenza ed il grado di ipertrofia<br />
adeno-tonsillare. È bene valutare attentamente<br />
la presenza di dimorfismi craniofacciali o anomalie<br />
dell’oro-rino-faringe, la relazione dentale occlusale,<br />
la geometria del palato duro (palato ogivale) e<br />
molle (palato allungato). Può essere utile a tal proposito<br />
al fine di standardizzare la valutazione, utilizzare<br />
classificazioni internazionalmente riconosciute<br />
come quelle di Friedman o di Mallampati<br />
(Figura 1). L’esame fisico dovrà prendere in considerazione<br />
anche l’eventuale presenza di obesità.<br />
Sintomi<br />
Il paziente con DRS si presenta classicamente con<br />
ostruzione nasale, respiro orale, riferito russamento<br />
e difficoltà respiratoria in sonno. Il russamento<br />
è il sintomo più riferito dai genitori dei bambini<br />
con OSAS, circa il 96% dei casi (8, 9); talvolta i<br />
genitori riferiscono di aver osservato inoltre apnee<br />
durante il sonno e/o in aggiunta otiti ricorrenti,<br />
vomito, nausea e difficoltà nella deglutizione.<br />
Spesso il sonno di questi bambini è agitato, con<br />
assunzione di posizioni particolari nel sonno (iperestensione<br />
del capo, seduta in posizione antiversa)<br />
(10) e sudorazione profusa. Nei casi più gravi i<br />
genitori possono assistere, durante la notte ad una<br />
respirazione forzata con alitamento delle pinne<br />
nasali o rientramenti al giugulo ed intercostali.<br />
Spesso ai DRS si associano parasonnie come il<br />
pavor nocturnus, l’enuresi ed il sonniloquio. Al mattino<br />
spesso il bambino si alza con una sensazione<br />
di secchezza della bocca e comunque chiede<br />
acqua anche durante la notte a causa della respirazione<br />
orale. Talvolta presenterà cefalea mattutina.<br />
Durante il giorno i sintomi più caratteristici<br />
sono caratterizzati da iperattività, dalla presenza di<br />
a b c d<br />
a: (1+) Le tonsille occupano meno del 25% dello spazio trasversale dell’orofaringe misurato tra i pilastri<br />
tonsillari anteriori;<br />
b: (2+) Le tonsille occupano meno del 50% dello spazio trasversale dell’orofaringe;<br />
c: (3+) Le tonsille occupano meno del 75% dello spazio trasversale dell’orofaringe;<br />
d: (4+) Le tonsille occupano il 75% o più dello spazio trasversale dell’orofaringe.<br />
Figura 1 Classificazione dell’ipertrofia tonsillare secondo Mallampati. Modificata da Mallampati SR, Can J Anaesth 1985.<br />
39
40<br />
Pagani, et al.<br />
deficit attentivo (con conseguente scarso rendimento<br />
scolastico) ed irritabilità (11). Molti di questi<br />
sintomi, in particolar modo lo scarso rendimento<br />
scolastico, sono risultati essere reversibili<br />
dopo trattamento dell’OSAS (12, 13).<br />
Spesso la voce risulta cambiata, si ha rinolalia e difficoltà<br />
alla pronuncia delle consonanti nasali (n ed<br />
m). La sonnolenza risulta un sintomo meno frequente<br />
nel bambino rispetto all’adulto, riferito dal<br />
7%-10% dei pazienti con una prevalenza maggiore<br />
nei bambini più grandi (14, 15). Tuttavia quando<br />
presente nel bambino tale sintomo sembra essere<br />
altamente predittivo di DRS e correlare significativamente<br />
con la severità dell’OSAS (14).<br />
Benché il test di latenza multipla del sonno (multiple<br />
sleep latency test, MSLT) e la scala della sonnolenza<br />
di Epworth nei bambini con OSAS presentino<br />
valori significativamente differenti nei bambini<br />
con OSAS rispetto ai bambini sani, i valori non<br />
sono da considerarsi anomali secondo i criteri<br />
applicati nell’adulto (12-16), suggerendo l’ipotesi<br />
che i bambini con OSAS possono avere una soglia<br />
della sonnolenza che differisce da quella dell’adulto.<br />
Esame obiettivo<br />
L’esame obiettivo dei bambini con OSAS è variabile.<br />
In molti casi il bambino sembra avere solo un<br />
modesto incremento del tessuto linfatico (adenoidi-tonsille)<br />
e non mostra necessariamente difficoltà<br />
nella respirazione durante la visita. I bambini con<br />
OSAS presenteranno sostanzialmente tre fenotipi:<br />
classico, adulto e congenito.<br />
Fenotipo “classico” (tipo I)<br />
Corrisponde alla vecchia descrizione della facies<br />
adenoidea è caratterizzato da volto allungato<br />
(spesso asimmetrico), espressione apatica, sofferente,<br />
occhi clonati con respirazione prevalentemente<br />
orale. Le labbra sono spesso ipotoniche<br />
con perdita della competenza labiale. Le cartilagini<br />
alari divengono ipotoniche con narici ridotte di<br />
volume. Spesso sono presenti dimorfismi del<br />
volto come naso insellato o deviazioni del setto<br />
con presenza o assenza di ipertrofia dei turbinati.<br />
È caratteristica di questo fenotipo la malocclusione<br />
scheletrica (alterazione dei rapporti di<br />
combaciamento dei denti determinata da difetti<br />
di crescita del mascellare superiore e della posizione<br />
della mandibola), il palato risulta ogivale e<br />
stretto con verticalizzazione della struttura stomatognatica,<br />
il palato molle può essere allungato<br />
e le tonsille sono ipertrofiche e spesso occludenti.<br />
Non di rado il bambino ha un ritardo di accrescimento<br />
staturo ponderale e può presentare<br />
pectus escavatum a causa del lavoro dei muscoli<br />
respiratori.<br />
Fenotipo “adulto” (tipo II)<br />
È quello simile all’adulto caratterizzato dalla presenza<br />
di obesità più o meno importante, collo<br />
corto e tozzo spesso associato a dimorfismi cranio-facciali<br />
caratterizzati da riduzione della dimensione<br />
verticale del volto in particolare con riduzione<br />
del terzo inferiore del volto.<br />
Fenotipo “congenito”<br />
È caratterizzato prevalentemente da micrognazia,<br />
ipoplasia mandibolare, retrognazia, contrazione del<br />
mascellare o anomalie cranio-facciali complesse.<br />
Questo fenotipo ha come espressione completa,<br />
per esempio, la sindrome di Pierre Robin ed è<br />
caratteristico dei dimorfismi cranio-facciali presenti<br />
nelle sindromi congenite.<br />
Metodi di screening per l’OSAS<br />
Questionari<br />
Sono stati studiati vari questionari per lo screening<br />
dell’OSAS nei bambini, semplici e di facile esecuzione.Tuttavia<br />
non sono risultati essere in grado di<br />
distinguere tra russamento primario e OSAS (9).<br />
Recentemente sono stati proposti da Chervin<br />
(17) e Montgomery-Downs (18) i questionari che<br />
sembrano avere il valore predittivo più elevato per<br />
la diagnosi dei diversi DRS.<br />
Ad oggi, comunque, i questionari hanno unicamente<br />
un valore indicativo e servono ad indirizzare il<br />
paziente verso gli eventuali esami strumentali.<br />
Registrazione Audio<br />
La registrazione audio può essere utilizzata nell’identificazione<br />
del russamento notturno ma non è<br />
in grado di distinguere il russamento primario dal<br />
russamento associato ad OSAS (19, 20). Potrebbe<br />
essere utile nella selezione dei pazienti da indirizzare<br />
verso l’esame polisonnografico (20), attualmente<br />
non trova alcun utilizzo nella pratica clinica.<br />
Registrazione video<br />
È stato dimostrato da uno studio di comparazione<br />
tra una registrazione video domiciliare durante<br />
il sonno e la polisonnografia come tale tecnica
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica<br />
di monitoraggio possa rapresentare un test di<br />
screening valido per OSAS nei bambini, con una<br />
specificità del 68% ed una sensibilità del 94% (21).<br />
Tuttavia sono necessari ulteriori studi per valutare<br />
l’utilità pratica di tale tecnica.<br />
Elettrocardiografia<br />
L’elettrocardiografia è stata utilizzata tra le tecniche<br />
di screening per OSAS sulla base della capacità<br />
di identificare la Variabilità della Frequenza<br />
Cardiaca in relazione agli eventi respiratori (24).<br />
Non esistono tuttavia studi che hanno validato<br />
tale tecnica.<br />
Monitoraggio Domiciliare<br />
Le tecniche di monitoraggio domiciliare notturno<br />
nei bambini con OSAS sono migliorate notevolmente.<br />
Dati di letteratura evidenziano risultati<br />
simili ottenuti dall’utilizzo di un monitoraggio cardiorespiratorio<br />
associato a registrazione video di 8<br />
ore ed esame polisonnografico effettuato in laboratorio<br />
soprattutto nel paziente adulto (25, 26).<br />
L’utilità di tale metodica fuori da un ambito scientifico<br />
non è stata tuttavia ancora stabilita<br />
Pulsossimetria<br />
Il riscontro di desaturazioni intermittenti durante il<br />
sonno nei bambini è considerato altamente predittivo<br />
di OSAS (10, 22).Tuttavia tale tecnica risulta<br />
non idonea per la diagnosi dei disordini ostruttivi<br />
con ipoventilazione non associati ad ipossemia<br />
(23) e spesso inficiata da artefatti tecnici, quindi<br />
spesso non conclusiva per i diversi DRS. Tuttavia,<br />
essa riveste un ruolo fondamentale nell’algoritmo<br />
diagnostico dell’OSAS del bambino, evidenziato in<br />
particolare dalle Linee Guida italiane. La pulsossimetria<br />
domiciliare notturna, può essere, infatti, un<br />
valido strumento diagnostico per la semplicità di<br />
esecuzione, l’economicità e per l’elevato valore<br />
predittivo positivo (97%) nel caso in cui l’esame<br />
mostri il classico pattern caratterizzato da cluster<br />
di desaturazioni cicliche secondo la classificazione<br />
Brouillette (22, 23).<br />
In questa classificazione interpretativa le desaturazioni<br />
sono definite come caduta della SaO2 >4%<br />
ed un cluster di desaturazioni è definito come la<br />
presenza di 5 o più desaturazioni in un periodo tra<br />
i 10 e i 30 minuti.<br />
Un esame si definisce (a) negativo quando si verifica<br />
una assenza di cluster di desaturazione ed una<br />
assenza di desaturazioni
42<br />
Pagani, et al.<br />
ritrova nel continuo alternarsi di episodi di ipossiareossigenazione<br />
caratteristici dell’OSAS. Mentre<br />
una ipossia sostenuta attiva, infatti, una risposta<br />
adattativa attraverso l’aumentata espressione di<br />
diversi geni che codificano per proteine quali<br />
EPO e VEGF mediata dall’attivazione del hypoxia<br />
inducible factor (HIF-1) in risposta alla riduzione<br />
di ossigeno disponibile, i ripetuti episodi di transitoria<br />
desaturazione determinano a livello cellulare<br />
uno stress mitocondriale ed innescano la<br />
cascata citochinica proinfiammatoria attraverso<br />
l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione<br />
NFκB. Gli effetti di tale attivazione aumentano<br />
l’espressione di fattori proaterogeni come ilTNFα<br />
che contribuisce alla disfunzione endoteliale e<br />
di conseguenza alle complicanze cardiocircolatorie.<br />
Come si verifica nel danno indotto dal meccanismo<br />
ischemia-riperfusione, aumenta inoltre<br />
la produzione di radicali liberi dell’ossigeno ROS,<br />
intermedi altamente reattivi, capaci di interagire<br />
con tutte le macromolecole biologiche, alterandone<br />
la struttura e la funzione in modo spesso<br />
irreversibile. In particolare l’aumento della produzione<br />
e della liberazione di ROS a livello delle<br />
cellule endoteliali determina sintesi ed espressione<br />
in membrana di molecole di adesione, riduzione<br />
dei livelli di NO di derivazione endoteliale,<br />
rolling di linfociti Th ed attivazione della flogosi<br />
parietale, adesione ed attivazione piastrinica,<br />
ossidazione delle LDL e, quindi, danno endoteliale<br />
(32-34). Studi in vitro hanno dimostrato come<br />
la sintesi di leptina sia aumentata in seguito ad un<br />
insulto ipossico con un meccanismo di attivazione<br />
mediato dall’HIF-1. Gozal ha inoltre mostrato<br />
in un recente studio come i livelli di leptina circolante<br />
in soggetti con OSAS siano correlati non<br />
solo al BMI ma anche all’indice di apnea-ipopnea<br />
(AHI) (35). Inoltre la diminuzione dell’ossido<br />
nitrico (NO) circolante associato allo stress<br />
mitocondriale che si verifica nell’OSAS (36)<br />
potrebbe determinare una condizione di riassetto<br />
del metabolismo cellulare con una diminuzione<br />
nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto<br />
adiposo come dimostrato da studi sull’effetto<br />
di una carenza nella produzione di NO sui<br />
meccanismi dell’omeostasi energetica negli animali<br />
di laboratorio (37).<br />
Risulta quindi importante dosare citochine proinfiammatorie<br />
ed effettuare l’assetto lipidico nei<br />
pazienti con OSAS per un completo inquadramento<br />
diagnostico.<br />
Metodi di studio per il disturbo respiratorio<br />
nel sonno in età pediatrica<br />
Polisonnografia standard notturna<br />
L’esame gold standard, raccomandato dall’American<br />
Academy of Pediatrics (AAP), per l’inquadramento<br />
diagnostico e la definizione di severità dei DRS in<br />
età pediatrica è la polisonnografia (2).<br />
“Polisonnografia” è il termine comunemente usato<br />
per indicare una registrazione simultanea di più<br />
parametri fisiologici durante la notte. Le Linee<br />
Guida per l’esecuzione di una polisonnografia<br />
standard sono state pubblicate dall’American<br />
Thoracic Society (ATS) (1) e recentemente<br />
l’American Academy of Sleep Medicine (AASM)<br />
ha revisionato le evidenze di letteratura sulle regole<br />
di stadiazione del sonno (38, 39, 40) e pubblicato<br />
le regole di scoring degli arousals e degli eventi<br />
respiratori (41).<br />
Normalmente nel corso del test vengono registrati<br />
più canali EEG, vari canali elettromiografici, i<br />
movimenti di torace e addome, il flusso oro-nasale,<br />
e la saturazione di ossigeno nel sangue.<br />
Le informazioni provenienti dall’elettroencefalogramma<br />
(EEG) vengono utilizzate, in questo tipo di<br />
registrazione, prevalentemente nella differenziazione<br />
dei vari stadi del sonno. L’elettrooculogramma<br />
(EOG) viene registrato per individuare i movimenti<br />
degli occhi utili nella stadiazione del sonno.<br />
Benché l’attività elettromiografica (EMG) durante il<br />
sonno possa essere registrata da qualsiasi gruppo di<br />
muscoli scheletrici, è ormai prassi consolidata utilizzare<br />
i muscoli submentonieri per valutare il tono<br />
muscolare. L’EMG, oltre ad essere utile per la stadiazione<br />
del sonno, fornisce importanti informazioni<br />
per la valutazione delle risposte arousal e sui<br />
movimenti. Durante una polisonnografia standard<br />
inoltre sono abitualmente registrati tre parametri<br />
respiratori: il flusso oro-nasale, i movimenti toracoaddominali,<br />
la saturazione di ossigeno. Il flusso aereo<br />
al naso e alla bocca viene comunemente registrato<br />
mediante termocoppia o termistore posto in prossimità<br />
di ciascuna narice e della bocca.Viene effettuata<br />
inoltre la registrazione del suono che permette<br />
di avere informazioni aggiuntive sul grado e sul<br />
tipo di russamento anche se in letteratura non è<br />
riportata una correlazione tra indici rilevati dal<br />
microfono e gravità del disturbo respiratorio<br />
I movimenti di torace e addome possono essere<br />
registrati mediante pletismografia ad impedenza o<br />
ad induttanza, trasduttori pneumatici, strain gauges,
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica<br />
EMG intercostale. La saturazione d’ossigeno<br />
(SaO 2 ) è misurata mediante pulseossimetro; tale<br />
metodica rappresenta lo standard per la valutazione<br />
non invasiva continua della saturazione arteriosa<br />
di ossigeno. Nella registrazione polisonnografica<br />
è compreso il monitoraggio della CO 2 ; in pazienti<br />
senza patologie polmonari la CO 2 può essere<br />
valutata al naso e alla bocca mediante capnografo.<br />
Sebbene la CO 2 misurata con questa metodiche<br />
non sia l’esatto specchio di ciò che avviene a livello<br />
polmonare tuttavia considerando il valore<br />
medio di plateau di CO 2 a fine espirazione (end<br />
tidal CO 2 ) si ha una buona misura della CO 2<br />
alveolare e di conseguenza arteriosa.<br />
Una sottostima della reale CO 2 alveolare si può<br />
avere nei pazienti con malattie polmonari ostruttive<br />
o con aumento della frequenza respiratoria.<br />
L’end tidal CO 2 è efficace nello studio dei disturbi<br />
respiratori del sonno ed in particolare nella valutazione<br />
delle apnee e nelle ipoventilazioni, tuttavia<br />
è necessaria la continua vigilanza da parte di un<br />
tecnico al fine di mantenere il corretto posizionamento<br />
della sonda del capnografo indispensabile<br />
per una corretta stima della CO 2 .<br />
Nei bambini più piccoli può essere difficile fissare<br />
un catetere nasale per questi casi può essere utilizzato<br />
un sistema di monitoraggio transcutaneo<br />
della CO 2 (PtcCO 2 ). La PtcCO 2 può essere sottostimata<br />
in pazienti più grandi o obesi, tuttavia la<br />
differenza in questi casi con la CO 2 arteriosa è<br />
minima. Come per la rilevazione della PtcCO 2 , la<br />
temperatura della sonda richiede continui spostamenti<br />
della stessa, almeno ogni 4 ore nel bambino<br />
più grande ed almeno ogni 2 in quello più piccolo,<br />
per evitare lesioni cutanee. L’utilizzo del monitoraggio<br />
della CO 2 può essere molto utile nella valutazione<br />
delle ipoventilazioni e per la valutazioni<br />
delle ostruzioni parziali delle vie aeree.<br />
La frequenza cardiaca è misurata con una singola<br />
derivazione registrata mediante elettrodi posti in<br />
sede precordiale. Di conseguenza la derivazione<br />
ECG della polisonnografia ci fornisce unicamente<br />
informazioni di massima sull’attività cardiaca e non<br />
è sufficiente per trarre conclusioni cliniche su<br />
eventuali cardiopatie. Negli ultimi anni tuttavia si<br />
sono sviluppate nuove metodiche (analisi di spettro<br />
della variabilità cardiaca, pulse transit time) che<br />
partendo dal segnale ECG sono in grado di fornire<br />
informazioni sul bilanciamento simpato-vagale,<br />
sullo sforzo respiratorio e sulla “quantità dei<br />
microrisvegli” di un sonno.<br />
Altri parametri monitorati sono i movimenti degli<br />
arti inferiori valutati con elettromiografia, la posizione<br />
corporea attraverso sensori di posizione o il<br />
monitoraggio video.<br />
I disturbi respiratori nel sonno interessano bambini<br />
dai primi mesi di vita fino all’adolescenza. Di<br />
conseguenza il laboratorio del sonno e le attrezzature<br />
(sonde, elettrodi, fasce) devono essere<br />
adatte o adattabili alle varie età dei pazienti e al<br />
loro grado di sviluppo fisico e comportamentale.<br />
Il bambino potrebbe, infatti, essere facilmente<br />
spaventato dal dormire in un ambiente estraneo<br />
con molti elettrodi attaccati sul corpo, specie<br />
qualora questo ambiente risulti freddo e poco<br />
ospitale.<br />
Per questi motivi normalmente le stanze di registrazione<br />
sono opportunamente arredate per<br />
soddisfare le esigenze del bambino e di un genitore<br />
il quale potrà assistere. Sebbene ci siano pochi<br />
dati relativi all’utilizzo dei sonnellini pomeridiani (in<br />
inglese nap) nella diagnosi dei disturbi respiratori<br />
nel sonno negli adulti, in età pediatrica vi sono evidenze<br />
che dimostrano che la valutazione di un<br />
sonnellino pomeridiano di un bambino con<br />
sospetta OSAS sia ben correlato con l’esame di<br />
un’intera notte. Tuttavia il valore di tale esame è<br />
puramente indicativo e di primo screening e la<br />
negatività di tale esame non esclude la presenza di<br />
apnee ostruttive invece dimostrabili con un sonno<br />
notturno.<br />
Refertazione degli esami polisonnografici<br />
Analisi del tracciato<br />
I tracciati devono essere valutati secondo i criteri<br />
internazionali e nazionali di scoring del sonno e<br />
degli eventi associati. L’interpretazione dei dati<br />
polisonnografici e la conseguente refertazione,<br />
deve essere eseguita mediante stadiazione manuale<br />
da parte del medico esperto in medicina del<br />
sonno; non sono ritenute sufficienti ed attendibili<br />
diagnosi basate sullo score automatico degli eventi<br />
effettuato dal poligrafo.<br />
Definizione degli eventi respiratori durante il sonno<br />
La definizione degli eventi respiratori nel sonno in<br />
età pediatrica si basa principalmente sulle Linee<br />
Guida pubblicate nel 1996 dall’American Thoracic<br />
Respiratory Society e dalle più recenti raccomandazioni<br />
(2007) dell’American Academy of Sleep<br />
Medicine.<br />
43
44<br />
Pagani, et al.<br />
Apnee ostruttiva<br />
Nel bambino, una apnea ostruttiva (AO) è definita<br />
come la presenza di movimenti toraco-addominali<br />
associati ad una assenza di flusso oro-nasale della<br />
durata di almeno 2 cicli respiratori. Una apnea<br />
ostruttiva deve essere segnalata polisonnograficamente<br />
quando il segnale di flusso subisce un calo<br />
nell’ampiezza della durata di almeno due cicli respiratori<br />
(o una durata paragonabile a due cicli respiratori<br />
registrati durante il respiro basale di sonno del<br />
soggetto) ≥90% rispetto al flusso basale precedente<br />
all’apnea per un tempo ≥90% dell’intero evento<br />
associati a sforzo inspiratorio continuo durante tutta<br />
la durata di cessazione del flusso oro-nasale. Un<br />
evento per essere segnalato deve avere la durata di<br />
almeno due cicli respiratori (o una durata paragonabile<br />
a due cicli respiratori registrati durante il<br />
respiro basale di sonno del soggetto).<br />
La durata dell’evento deve essere misurata dalla<br />
fine dell’ultimo respiro normale all’inizio del primo<br />
respiro che raggiunge l’escursione inspiratoria<br />
registrata prima dell’evento stesso.<br />
Le apnee ostruttive sono infrequenti nel bambino<br />
e nell’adolescente ed hanno una durata media di<br />
circa 6 secondi per questi motivi la presenza di<br />
almeno 1 apnea ostruttiva (indipendentemente<br />
dalla durata) per ora di registrazione è da considerarsi<br />
non fisiologica in età pediatrica.<br />
Attualmente, non vi sono dati sul significato clinico<br />
delle apnee ostruttive non desaturanti.<br />
L’osservazione di quadri particolari caratterizzati da<br />
ostruzione parziale delle vie aeree (evidenziato da<br />
una riduzione del flusso oronasale rilevato però<br />
dalla cannula nasale) e/o da respiro paradosso associati<br />
o non a desaturazione con una evidenza clinica<br />
di disturbi comportamentali e dell’apprendimento,<br />
sonnolenza e sonno frammentato possono suggerire<br />
la presenza di una sindrome da aumentate resistenze<br />
delle alte vie aeree superiori (upper airway<br />
resistance syndrome, UARS). Sebbene non vi sia un<br />
generale consenso sulla esatta definizione clinica e<br />
diagnostica delle UARS, la valutazione delle variazioni<br />
della pressione endoesofagea durante la polisonnografia<br />
rimane l’unico gold standard diagnostico di<br />
questa forma di disturbo respiratorio nel sonno.<br />
Apnea centrale<br />
Una apnea centrale (AC) è definita come una<br />
assenza di flusso oro-nasale in corrispondenza di<br />
una assenza di sforzo respiratorio (movimenti<br />
toraco-addominali) per l’intera durata dell’evento.<br />
Una apnea centrale deve essere segnalata polisonnograficamente<br />
quando è associata ad una<br />
delle seguenti caratteristiche: l’evento dura più di<br />
venti secondi oppure l’evento dura almeno due<br />
cicli respiratori (o una durata paragonabile a due<br />
cicli respiratori registrati durante il respiro basale<br />
di sonno del soggetto) ma è associato ad un arousal,<br />
ad un risveglio o ad una desaturazione ≥ 3%.<br />
Le apnee centrali possono essere osservate come<br />
reperto occasionale, soprattutto durante la fase<br />
REM, in bambini di tutte le età e possono non<br />
avere alcun significato patologico.<br />
Il significato clinico di questi episodi, e soprattutto<br />
degli episodi >di 20 secondi o denaturanti, va<br />
interpretato in base al quesito diagnostico. I valori<br />
di normalità sono pochi in letteratura, tuttavia un<br />
numero di eventi così individuati >3 per ora di<br />
sonno dovrà essere considerato patologico.<br />
Apnea mista<br />
Una apnea mista è caratterizzata da una componente<br />
centrale che termina con un quadro ostruttivo.<br />
Spesso un sospiro nel sonno incontra un<br />
ostruzione delle alte vie che risulta in una apnea<br />
ostruttiva con aumento dello sforzo inspiratorio<br />
nel tentativo di sbloccare l’ostruzione.<br />
Una apnea mista (AM) deve essere segnalata polisonnograficamente<br />
quando i segnali di flusso oronasale<br />
incontrano i criteri di durata ed ampiezza<br />
per descrivere una apnea ostruttiva ma l’evento è<br />
associato ad una assenza di sforzo inspiratorio<br />
nella porzione iniziale dell’evento.<br />
Ipopnea<br />
L’ipopnea è definita come la riduzione di almeno il<br />
50% dell’ampiezza del segnale del<br />
flusso oronasale rispetto al flusso basale precedente<br />
per un tempo ≥90% dell’intero evento della<br />
durata di almeno 2 cicli respiratori. L’ipopnea è<br />
spesso associata ad arousal, risveglio o ipossiemia<br />
(desaturazioni >3%).<br />
L’ipopnea può essere ulteriormente caratterizzata<br />
come ostruttiva quando è associata a movimenti<br />
in opposizione di fase di torace o addome oppure<br />
è definita centrale in caso di riduzione in fase<br />
degli stessi segnali.<br />
Arousal correlati a sforzo respiratorio respiratory<br />
effort-related arousal (RERA)<br />
Uno RERA è definito come un arousal accompagnato<br />
da russamento, respirazione rumorosa,<br />
aumento della PETCO2 /PtcCO2o ed elementi di
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica<br />
prova visiva di un maggior lavoro respiratorio.<br />
L’evento deve durare almeno due cicli respiratori.<br />
L’evento deve essere considerato polisonnograficamente<br />
se uno dei seguenti criteri è presente:<br />
una consistente riduzione di ampiezza del segnale<br />
di flusso nasale di un sensore trasduttore di pressione<br />
(25% del tempo totale di sonno è trascorso con<br />
una CO2 inferiori a 50 mmHg, misurata con sensori<br />
di PtcCO2 e /o PETCO2 sensori.<br />
Calcolo e definizione degli indici polisonnografici<br />
Si definisce indice di apnea il numero di eventi<br />
ostruttivi per ora di sonno. Si definisce indice di<br />
apnea + ipopnea o indice di disturbo respiratorio<br />
(IDR) il numero di eventi apnoici di qualsiasi natura<br />
+ ipopnee per ora di sonno. Un indice IDR<br />
>1,3 eventi/ora è da considerarsi non fisiologico in<br />
età pediatrica, tuttavia si può considerare francamente<br />
patologico un IDR >di 5 eventi/ora.<br />
Indice di apnea (Acronimi: IA-AI)<br />
Si definisce indice di apnea il numero di eventi<br />
ostruttivi e/o centrali per ora di sonno;<br />
Indice di Apnea Ostruttiva (Acronimi: IAO-OAI)<br />
Si definisce indice di apnea ostruttiva il numero di<br />
eventi ostruttivi per ora di sonno;<br />
Indice di Ipopnea (Acronimi: IH-HI)<br />
Si definisce indice di ipopnea il numero di eventi<br />
ipopnoici (ostruttivi e/o centrali) per ora di sonno;<br />
Indice di Apnea-Ipopnea (Acronimi: IAH-AHI-IDR)<br />
Si definisce indice di apnea-ipopnea la somma dell’indice<br />
di apnea con l’indice di ipopnea;<br />
Indice di Apnea-Ipopnea Ostruttivo (Acronimi: IAHO-<br />
OAHI)<br />
Si definisce indice di apnea-ipopnea ostruttivo la<br />
somma dell’indice di Apnea ostruttiva con l’indice<br />
di ipopnea;<br />
Predittori di morbilità post-operatoria<br />
Il bambino richiede un intensivo monitoraggio<br />
postoperatorio dopo adenotonsillectomia se:<br />
- l’indice di apnea >10 eventi/ora<br />
- l’IDR >40 eventi/ora<br />
- la SaO2 Nadir 97%<br />
OSAS - LIEVE<br />
IDR tra 3 e 5 e SaO 2 media >97%<br />
OSAS - MODERATA<br />
IDR tra 5-10 e SaO 2 media >95%<br />
OSAS - SEVERA<br />
IDR >10 o con SaO 2 media
46<br />
Pagani, et al.<br />
Tabella 2 Criteri clinici per una corretta scelta degli esami strumentali. Modificata da: Italian Guidelines<br />
for the diagnosis of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56: 239-253.<br />
Sintomi maggiori<br />
a) Russamento abituale (la maggior parte delle notti) e persistente (da almeno 2 mesi).<br />
b) Pause respiratorie riferite dai genitori abituali e persistenti<br />
c) Difficoltà nel respiro (respiro rumoroso,eccessivo sforzo respiratorio) notturno abituale e persistente<br />
Sintomi minori<br />
a) Russamento occasionale (alcune notti a settimana) ed intermittente (Es. alcuni mesi dell’anno, in occasioni<br />
di episodi influenzali)<br />
b) Pause respiratorie riferite dai genitori occasionali ed intermittenti<br />
c) Difficoltà nel respiro (respiro rumoroso,eccessivo sforzo respiratorio) notturno occasionale ed intermittente<br />
d) Deficit dell’attenzione, scarso rendimento scolastico,<br />
e) Iperattività diurna<br />
f) Eccessiva sonnolenza diurna<br />
Segni maggiori<br />
a) Ipertrofia adeno-tonsillare di grado III e I; e/o Friedman score di grado III e IV<br />
b) Dismorfismi craniofacciali ed anomalie dell’oro-rino-faringe , maleocclusione.<br />
Segni minori<br />
a) Obesità<br />
b) Scarso accrescimento staturo ponderale<br />
c) Ugula allungata e palato molle che toccano la lingua, lingua larga che copre l’arcata dentaria<br />
d) Ipertrofia adeno-tonsillare di grado II e/o Friedman score di grado II<br />
>2<br />
sintomi<br />
maggiori<br />
Screening<br />
Pulsossimmetria<br />
notturna<br />
Esami<br />
negativi<br />
1 sintomo<br />
maggiore<br />
+ 1 segno<br />
maggiore<br />
Esami<br />
positivi<br />
1 segno<br />
maggiore<br />
+ 1 sintomo<br />
resp. minore<br />
Esami non<br />
conclusivi<br />
>2<br />
sintomi<br />
maggiori<br />
+ ipertrofia<br />
adenotonsillare<br />
(++; +++)<br />
Piano terapeutico<br />
Esame<br />
positivo<br />
Esame<br />
negativo<br />
Follow-up Follow-up<br />
Persistenza dei sintomi<br />
Oppure: patologia<br />
neuromuscolare e<br />
comunque in tutte<br />
le altre condizioni<br />
Polisonnografia<br />
standard notturna<br />
Figura 3 Percorso diagnostico clinico e strumentale. Modificata da Italian Guidelines for the diagnosis of childhood<br />
obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56: 239-253.
Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica<br />
Una volta identificati tali fattori di rischio i bambini<br />
vanno indirizzati ad uno specialista e quindi ad<br />
eseguire l’esame polisonnografico.<br />
Le attuali Linee Guida italiane (20) suggeriscono di<br />
avviare un paziente con sospetto di OSAS al percorso<br />
diagnostico strumentale se sono presenti<br />
più sintomi e segni di DRS come riportato nella<br />
Tabella 2.<br />
In particolare il percorso diagnostico strumentale<br />
è indicato per i pazienti che presentano: un<br />
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sintomo maggiore; due sintomi minori di cui uno o<br />
più di tipo respiratorio in assenza di segni; un sintomo<br />
respiratorio minore + un segno minore; un<br />
segno maggiore ed un sintomo minore respiratorio;<br />
nel caso in cui sia presente un solo sintomo<br />
minore il paziente dovrà essere seguito clinicamente<br />
nel tempo.<br />
Nella Figura 3 è riportato il percorso diagnostico<br />
clinico e strumentale secondo quanto indicato<br />
dalle Linee Guida Italiane.<br />
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Centro di Riferimento Interregionale per le Apnee Infantili; Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”,<br />
Università degli Studi di Bari<br />
Terapia medica dei disturbi<br />
respiratori nel sonno<br />
Medical therapy of sleep-disordered<br />
breathing<br />
Parole chiave: disturbi respiratori nel sonno, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, bambini, terapia medica<br />
Keywords: sleep-disordered breathing, obstructive sleep apnea syndrome, children, medical therapy<br />
Riassunto. I disturbi respiratori nel sonno comprendono, in ordine crescente di gravità: il russamento, la sindrome delle<br />
aumentate resistenze delle alte vie, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno.<br />
La causa di gran lunga più frequente di ostruzione naso-faringea nel bambino è l’ipertrofia adenotonsillare.<br />
I disturbi respiratori nel sonno se non diagnosticati in tempo e, soprattutto, se non trattati opportunamente e precocemente,<br />
possono portare ad una serie di complicanze quali disfunzioni cardiache, ipertensione polmonare, ritardi di crescita, danni neurocognitivi.<br />
I cardini della terapia dell’OSAS sono la terapia medica, l’adeno-tonsillectomia, la terapia ortodontica e la ventilazione meccanica<br />
non invasiva.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Prof.ssa Luigia Brunetti, Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università di Bari, Bari;<br />
e-mail: l.brunetti@pediatria3.uniba.it<br />
Introduzione<br />
L’aria che raggiunge le vie aeree inferiori presenta<br />
delle caratteristiche fisico-chimiche assolutamente<br />
differenti da quella che impatta nelle<br />
prime vie respiratorie. Le fosse nasali partecipano<br />
a produrre tali modificazioni attraverso meccanismi<br />
di umidificazione e riscaldamento da un<br />
lato e di purificazione dall’altro. Questa peculiarità<br />
fisiologica si realizza grazie all’esistenza di strutture<br />
anatomo-funzionali all’uopo preposte (turbinati,<br />
shunt artero-venosi, etc.). Qualsiasi alterazione<br />
dell’integrità morfo-funzionale di tali strutture<br />
compromette il passaggio di aria nelle vie aeree<br />
superiori e può condurre ai disturbi respiratori<br />
nel sonno (DRS).<br />
Essi comprendono, in ordine crescente di gravità, il<br />
russamento, la sindrome delle aumentate resistenze<br />
delle alte vie aeree (upper airway resistance<br />
syndrome, UARS), la sindrome delle apnee ostruttive<br />
nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS).<br />
La causa di gran lunga più frequente di ostruzione<br />
naso-faringea nel bambino è l’ipertrofia adenotonsillare<br />
che gioca il suo ruolo più importante nella<br />
fascia di età compresa tra i 3 e i 6 anni.Altre cause<br />
frequenti sono quelle che comportano il realizzarsi<br />
di una rinite cronica come la rinosinusite e la flogosi<br />
allergica.<br />
L’incidenza dei disturbi respiratori nel sonno oscilla<br />
in età prescolare e scolare e varia ampiamente<br />
dal 3,2% al 12,1% per il russamento abituale e<br />
dall’1,1% al 4,3% per quanto concerne l’OSAS. In<br />
linea con tali stime uno studio effettuato in Italia su<br />
una larga coorte di bambini (1.207 totale) ha<br />
mostrato una prevalenza del 4,9% del russamento<br />
abituale e dell’1,8% dell’OSAS (1).
I DRS, se non diagnosticati in tempo e soprattutto<br />
se non trattati opportunamente e precocemente,<br />
possono portare ad una serie di complicanze quali<br />
disfunzioni cardiache, ipertensione polmonare,<br />
ritardo di crescita, danni neurocognitivi (2-4).<br />
I cardini della terapia dell’OSAS sono la terapia<br />
medica, l’adeno-tonsillectomia, la terapia ortodontica<br />
e la ventilazione meccanica non invasiva.<br />
Spesso il trattamento d’elezione è chirurgico<br />
anche se esiste, a nostro parere, uno spazio per un<br />
approccio basato su una terapia medica ragionata,<br />
che sebbene non perfettamente standardizzata<br />
nelle sue indicazioni, offre tuttavia la possibilità di<br />
attenuare o risolvere in maniera definitiva il problema.<br />
Infatti l’ipertrofia dei tessuti linfoidi delle<br />
alte vie respiratorie presenta caratteristiche di<br />
reversibilità e di dinamicità tali da giustificare, in<br />
ogni caso, un trattamento medico, almeno in<br />
prima battuta.<br />
Il primo approccio alla gestione del bambino con<br />
disturbi respiratori nel sonno è rappresentato,<br />
inizialmente, dalla gestione della eventuale malattia<br />
di base, costituita principalmente dall’obesità e<br />
dall’atopia (5).<br />
Gestione della malattia di base<br />
Obesità<br />
L’obesità è certamente uno dei più importanti fattori<br />
di rischio per lo sviluppo di OSAS sia nell’adulto<br />
che bambino, tuttavia i meccanismi alla base<br />
di ciò non sono ancora completamente chiariti.<br />
Un incrementato accumulo di tessuto adiposo a<br />
livello dei muscoli faringei, una riduzione nella compliance<br />
della parete toracica, uno spostamento in<br />
alto del diaframma ed una ridotta sensibilità del<br />
drive respiratorio a livello centrale potrebbero<br />
essere responsabili di un aumento della collassabilità<br />
del tratto respiratorio e così dello sviluppo di<br />
OSAS (6).<br />
In età pediatrica, il calo ponderale ha un’efficacia<br />
minore rispetto all’adulto nella terapia dei disturbi<br />
respiratori nel sonno, tuttavia l’American<br />
Academy of Pediatrics consiglia (benché non lo<br />
consideri uno specifico trattamento) di adottare<br />
strategie per la perdita del peso in bambini<br />
OSAS obesi, ed in questi soggetti spesso la perdita<br />
di peso ha maggiore successo dopo la disostruzione<br />
delle alte vie aeree (7).<br />
Smith e collaboratori in uno studio randomizzato<br />
in pazienti con OSAS hanno dimostrato che una<br />
Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno<br />
dieta ipocalorica della durata di 5 mesi determina<br />
un netto miglioramento dell’indice di apnea-ipopnea<br />
sia durante il sonno non-REM che durante<br />
quello REM (8).<br />
Successivamente Kansanene e collaboratori hanno<br />
valutato l’efficacia di una dieta ipocalorica in<br />
pazienti obesi con OSAS, dimostrando come la<br />
perdita di peso correllasse effettivamente con una<br />
riduzione nel numero degli episodi di apnea ed<br />
ipopnea e soprattutto con l’indice di desaturazione<br />
dell’emoglobina, definito come il numero di<br />
episodi di desaturazione dell’ossigeno >4% per<br />
ora di sonno (9).<br />
Tutti questi dati, pertanto, suggeriscono che il calo<br />
del peso in eccesso concorre ad un miglioramento<br />
significativo dell’OSAS (10).<br />
Atopia<br />
Negli ultimi anni è stato sottolineato come la flogosi<br />
immunoallergica rivesta una grande importanza<br />
nel bambino con disturbi respiratori nel<br />
sonno; oggi la rinite allergica è presente in circa il<br />
40% dei bambini con OSAS e ne costituisce un<br />
importante fattore di rischio (11).<br />
Da un punto di vista fisiopatologico la rinite determina<br />
edema generalizzato della mucosa nasale,<br />
ipertrofia dei turbinati, congestione nasale ed in<br />
ultima analisi ostruzione nasale. Queste condizioni,<br />
attraverso un aumento delle resistenze delle alte<br />
vie aeree, sono corresponsabili dell’insorgenza dei<br />
DRS.<br />
L’elevata prevalenza di atopia nei soggetti affetti da<br />
russamento primitivo ed OSAS viene confermata<br />
dai dati epidemiologici attualmente disponibili in<br />
letteratura.<br />
McColley e collaboratori hanno sottoposto 39<br />
bambini, russatori abituali, a polisonnografia notturna.<br />
Il 36% dei soggetti esaminati aveva un test<br />
di radio-allergo-assorbimento (radio-allergo-sorbent<br />
test, RAST) positivo per uno o più allergeni alimentari<br />
o inalanti, dato significativamente superiore<br />
rispetto all’incidenza riportata nella popolazione<br />
pediatrica generale. Gli stessi Autori hanno poi<br />
messo in evidenza come la prevalenza di OSAS<br />
fosse del 57% tra gli atopici e del 40% fra i non<br />
allergici. La gravità delle OSAS, al contrario, non<br />
presentava variazioni statisticamente significative<br />
fra atopici e non (12).<br />
Inoltre esistono sufficienti prove sperimentali che<br />
supportano l’ipotesi che le adenoidi siano coinvolte<br />
nel processo di sensibilizzazione allergica. Infatti,<br />
51
52<br />
Brunetti, et al.<br />
in un recente studio, condotto su 32 bambini, di<br />
cui la metà allergici, sottoposti ad adenoidectomia,<br />
è stato dimostrato un incremento, nel gruppo dei<br />
soggetti allergici, delle cellule CD1a+, cellule presentanti<br />
l’antigene, e degli eosinofili. Questi dati<br />
sembrano dimostrare che nelle adenoidi degli atopici<br />
si realizza la presentazione degli antigeni, che è<br />
alla base del processo della flogosi allergica, nonché<br />
il reclutamento di cellule che sono profondamente<br />
coinvolte nello stesso processo infiammatorio,<br />
come gli eosinofili (13).<br />
Pertanto diventa, inoltre, indispensabile mettere in<br />
atto una serie di interventi di supporto, quali la<br />
prevenzione ambientale per acari e l’eliminazione<br />
degli inquinanti ambientali, tutti potenziali fattori<br />
aggravanti dell’OSAS (10).<br />
Terapia medica<br />
Di recente la comunità scientifica ha posto maggiormente<br />
l’attenzione sul ruolo dell’infiammazione<br />
nella genesi e nel mantenimento dei disturbi<br />
respiratori nel sonno sia negli adulti che nei bambini<br />
(14). Uno dei meccanismi chiave innescato<br />
dall’OSAS nella genesi dello stato infiammatorio<br />
cronico è rappresentato dallo stress ossidativo<br />
esplicato a livello dei tessuti. Secondo il modello<br />
proposto da Ryan (15) la base fisiopatologica di<br />
tale meccanismo di flogosi si ritrova nel continuo<br />
alternarsi di episodi di ipossia-riossigenazione<br />
caratteristici dell’OSAS.<br />
Questa ipossia intermittente alternata a riossigenazione,<br />
associata allo stress ossidativo ed al processo<br />
infiammatorio sistemico, caratterizzato da<br />
elevati livelli di diversi mediatori pro-infiammatori,<br />
potrebbe predisporre allo sviluppo successivo di<br />
complicanze cardiovascolari (16, 17).<br />
Un ruolo fondamentale viene svolto dai neutrofili,<br />
i quali sono in grado di liberare una grande quantità<br />
di radicali liberi, leucotrieni ed enzimi proteolitici<br />
responsabili del danno vascolare (18, 19).<br />
Lo studio di Dyugovskaya e collaboratori ha dimostrato<br />
per la prima volta come in pazienti con<br />
OSAS modereta o severa si assiste ad una ritardata<br />
apoptosi dei neutrofili e ad un incrementato<br />
numero di molecole di adesione sulla loro superficie<br />
cellulare; gli stessi Autori, inoltre, hanno evidenziato<br />
come la percentuale di neutrofili che<br />
andava incontro ad apoptosi era inversamente<br />
proporzionale al grado di severità dell’OSAS (20).<br />
Anche la proteina C-reattiva (PCR), sebbene<br />
costituisca un marcatore aspecifico di flogosi,<br />
potrebbe facilitare direttamente la costituzione<br />
delle placche ateromatose, attraverso una riduzione<br />
nella sintesi di ossido nitrico e attraverso l’induzione,<br />
a livello delle cellule endoteliali, di particolari<br />
molecole di adesione (21-23).<br />
Nell’ultimo decennio, inoltre, diversi studi hanno<br />
focalizzato l’attenzione sulla correlazione tra i livelli<br />
plasmatici di PCR ed i disturbi respiratori nel<br />
sonno (24-26). In particolare Tauman e collaboratori<br />
hanno evidenziato, in 81 bambini con OSAS,<br />
una significativa correlazione tra i livelli plasmatici<br />
di PCR e l’indice di apnea-ipopnea e come tale<br />
correlazione fosse maggiore nei pazienti che presentavano<br />
danni neurocognitivi (27).<br />
Tali osservazioni hanno rafforzato l’indicazione ad<br />
un approccio non chirurgico basato sull’utilizzo di<br />
farmaci antiinfiammatori per uso sistemico o topico<br />
nel trattamento dei disturbi respiratori nel<br />
sonno.<br />
Disostruzione nasale: corticosteroidi<br />
topici<br />
Nell’ultimo decennio diversi Autori hanno proposto<br />
l’uso di corticosteroidi topici intranasali nel<br />
tentativo di ridurre la flogosi persistente della<br />
mucosa nasale e la massa adenoidea evitando, in<br />
tal modo, l’ablazione di un tessuto immunologicamente<br />
funzionante ed evitando al bambino i rischi<br />
connessi all’intervento chirurgico (28-33).<br />
Nel 1995 Demain e collaboratori in uno studio in<br />
doppio cieco contro placebo con crossover, hanno<br />
dimostrato che i pazienti sottoposti a terapia topica<br />
con beclometasone in soluzione acquosa (336<br />
µg/die), dopo 4 settimane presentavano una riduzione<br />
del grado di ostruzione nasale significativamente<br />
maggiore rispetto al gruppo trattato con<br />
placebo e, dopo il crossover, si assisteva ad una<br />
ulteriore riduzione delle dimensioni delle adenoidi<br />
in entrambi i gruppi per una sorta di “effetto di<br />
trascinamento” dovuto al beclometasone nel<br />
gruppo trattato con il farmaco. Anche la sintomatologia<br />
clinica durante le 8 settimane mostrava un<br />
significativo miglioramento se paragonata allo<br />
score clinico iniziale o a quello del gruppo placebo.<br />
La riduzione delle dimensioni delle adenoidi sarebbe<br />
riconducibile ad una azione linfocitolitica diretta<br />
dello steroide e secondariamente ad una generale<br />
inibizione della risposta infiammatoria operata<br />
dai cortisonici (28).
Ad analoghi risultati giunsero Berlucchi e collaboratori,<br />
i quali, nel 2007, in un trail randomizzato<br />
contro placebo, hanno dimostrato l’efficacia del<br />
momestasone furoato nel determinare un riduzione<br />
delle dimensioni delle adenoidi e della sintomatologia<br />
clinica ad esse associata, giungendo alla<br />
conclusione che nei pazienti con ipertrofia adenoidea,<br />
non associata ad ipertrofia tonsillare,<br />
sarebbe auspicabile far precedere il trattamento<br />
con mometasone furoato (50 µg/die) prima di<br />
programmare l’intervento chirurgico (34).<br />
I cortisonici topici nasali si sono dimostrati utili nel<br />
migliorare la severità delle apnee notturne in bambini<br />
con ipertrofia adeno-tonsillare. Infatti, nel<br />
2001 Brouillette et collaboratori in uno studio<br />
randomizzato, controllato con placebo, su bambini<br />
affetti da apnea ostruttiva nel sonno diagnosticata<br />
con esame polisonnografico hanno dimostrato,<br />
dopo un periodo di trattamento di 6 settimane<br />
con fluticasone nasale (200 µg/die nella prima settimana<br />
e di 100 µg/die nelle successive 5 settimane)<br />
un netto miglioramento del quadro clinico<br />
ostruttivo nel 92,3% dei pazienti trattati con fluticasone<br />
documentato dalla riduzione dell’indice<br />
apnea/ipopnea mista/ostruttiva nel gruppo fluticasone<br />
e della frequenza di desaturazioni (29).<br />
Ad analoghi risultati è giunto Gozal, il quale ha<br />
dimostrato come l’utilizzo quotidiano di budesonide<br />
intranasale (32 µg/die), per 6 settimane seguito<br />
da altre 6 settimane in maniera alternata, dopo un<br />
periodo di wash out di 2 settimane, riduce la severità<br />
della sintomatologia clinica in pazienti con<br />
OSAS lieve e come questo miglioramento perdura<br />
per almeno 8 settimane dopo la sospensione<br />
della terapia intranasale (35).<br />
Ci sono pochi studi che valutano la durata dell’effetto<br />
terapeutico del corticosteroide, sebbene<br />
Criscuoli e collaboratori abbiano dimostrato<br />
come bambini sottoposti a trattamento topico<br />
con beclometasone presentavano una significativa<br />
riduzione della severità dell’ostruzione nasale a 24,<br />
52 e 100 settimane dopo la sospensione della<br />
terapia medica (36).<br />
Ad analoghi risultati è giunto Alexopoulos e collaboratori,<br />
i quali hanno studiato l’efficacia della<br />
budesonide intranasale (somministrata per 4 settimane)<br />
sull’indice di apnea-ipopnea e sulla sintomatologia<br />
diurna in bambini affetti da russamento<br />
e OSAS da lieve a moderata dimostrando, dopo 2<br />
settimane di trattamento, una riduzione di tale<br />
indice ed un miglioramento della sintomatologia<br />
Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno<br />
clinica che si protraeva per circa 12 mesi dopo la<br />
fine del trattamento (37).<br />
Sembra opportuno sottolineare che la complessiva<br />
risposta favorevole agli steroidi topici può essere<br />
spiegata dall’alta espressione dei livelli dei recettori<br />
dei glicocorticoidi nei tessuti linfatici dei bambini<br />
con OSAS come evidenziato dallo studio di<br />
Goldbart e collaboratori (38).<br />
L’impiego dei cortisonici topici troverebbe un’ulteriore<br />
giustificazione nella possibilità di modificare<br />
patogeneticamente il processo di sensibilizzazione<br />
allergica che pare realizzarsi nelle adenoidi. Infatti i<br />
cortisonici topici riducono la congestione mucosale,<br />
attraverso una serie di attività definite genericamente<br />
antinfiammatorie (tra cui la riduzione del<br />
numero delle mastocellule, linfociti Th2, eosinofili)<br />
e, soprattutto, attraverso un blocco dell’inibizione<br />
dell’apoptosi indotta dalla IL-4 (39, 40).<br />
L’utilizzo prolungato di corticosteroidi sistemici,<br />
invece, genera elevate concentrazioni plasmatiche<br />
che correlano con una riduzione del sistema ipotalamico-ipofisario.<br />
Le variazioni indotte sui livelli<br />
circadiani del cortisolo interferiscono con molteplici<br />
meccanismi biologici, tra cui la crescita, specie<br />
nei bambini e negli adolescenti (40). La somministrazione<br />
per via topica, però, riduce drasticamente<br />
questi effetti indesiderati (41-43).<br />
Gli eventuali effetti sulla crescita degli steroidi topici<br />
usati a lungo termine nei bambini (dai 3 ai 9<br />
anni) sono stati valutati nello studio di Schenkel e<br />
collaboratori, in cui è emerso come le altezze<br />
medie e la velocità di crescita siano risultate simili<br />
nei due gruppi di confronto dopo un anno di trattamento<br />
con mometasone furoato (44).<br />
Ad analoghi risultati è giunto Ratner, il quale ha<br />
sottoposto a trattamento intranasale con mometasone<br />
furoato (100 µg/die) per 12 mesi, dimostrando<br />
nessuna soppressione dell’asse ipotalamico-ipofisario<br />
(45).<br />
È stato dimostrato, inoltre, come il mometasone<br />
furoato (100-200 µg/die) non sia praticamente<br />
rintracciabile nel plasma di bambini e di adulti e<br />
risulti sotto la soglia di rilevamento perfino in<br />
pazienti trattati con dosaggi 12 volte maggiori<br />
rispetto a quelli raccomandati (46).<br />
Rosenblut e collaboratori hanno dimostrato<br />
come la somministrazione intranasale di fluticasone<br />
furoato (110 µg/die) per 12 mesi, rispetto<br />
ad un gruppo controllo, non determinava effetti<br />
avversi, fatta eccezione per l’epistassi, e che non<br />
emergeva nessuna differenza significativa nella<br />
53
54<br />
Brunetti, et al.<br />
quantità di cortisolo urinario escreto nelle 24 ore<br />
nel gruppo dei pazienti trattati rispetto al gruppo<br />
controllo (47).<br />
I corticosteroidi intranasali, pertanto, si propongono<br />
come terapia di prima scelta nei pazienti con<br />
OSAS lieve-moderata, nei russatori abituali ed in<br />
bambini con OSAS “residua”, ossia coloro che<br />
presentano sintomi dopo qualsiasi altro tipo di<br />
intervento terapeutico.<br />
Disostruzione nasale: corticosteroidi sistemici<br />
Dai dati presenti in letteratura emerge un solo<br />
studio che esamina il ruolo degli steroidi sistemici<br />
nell’OSAS. Nel 1997 Al-Ghamdi e collaboratori<br />
hanno sottoposto 10 bambini con OSAS, documentata<br />
polisonnograficamente, ed ipertrofia adenotonsillare<br />
ad un ciclo di 5 giorni con prednisone<br />
per os (1,1+/-0,1 mg/kg/die) dimostrando una<br />
riduzione non significativa della sintomatologia clinica<br />
e degli indici polisonnografici e concludendo<br />
così che un breve ciclo di prednisone per os è inefficace<br />
nel trattamento delle OSAS in pazienti<br />
pediatrici con ipertrofia adenotonsillare (48).<br />
Antileucotrieni<br />
Il recente riscontro, in bambini affetti da sleep<br />
apnea, di una sovraespressione dei recettori dei<br />
cisteinil-leucotrieni (LTR1 e LTR2) nel tessuto<br />
tonsillare (49) e la preliminare evidenza che i leucotrieni<br />
rivestono un importante ruolo come<br />
mediatori della flogosi nelle vie aeree superiori e<br />
come responsabili della proliferazione del tessuto<br />
linfoadenoideo (50, 51) ha indotto la comunità<br />
scientifica ad avanzare l’ipotesi secondo la<br />
quale la somministrazione sistemica di antileucotrieni<br />
potrebbe migliorare l’OSAS di grado lievemoderato.<br />
Goldbart e collaboratori hanno valutato<br />
24 bambini con OSAS di grado moderato<br />
ed ipertrofia adenoidea, i quali furono sottoposti<br />
a monoterapia con montelukast per 16 settimane;<br />
al termine del trattamento i pazienti presentarono<br />
una significativa riduzione nelle dimensioni<br />
delle adenoidi ed un significativo miglioramento<br />
dei disturbi respiratori nel sonno (52). Gli<br />
stessi Autori hanno dimostrato, inoltre, che la<br />
terapia antinfiammatoria combinata con budesonide<br />
intranasale e montelukast per via orale per<br />
12 settimane migliora drasticamente e/o normalizza<br />
i disturbi respiratori nel sonno in 22 bambini<br />
con OSAS lieve residua dopo interevento di<br />
adenotonsillectomia (53).<br />
Decongestionanti orali e nasali<br />
I decongestionanti nasali sono rappresentati da<br />
una vasta gamma di principi attivi disponibili singolarmente<br />
o in associazione, sia sotto forma di preparazioni<br />
per uso topico sia sistemico. Essi possono<br />
effettivamente ridurre la congestione e l’ostruzione<br />
nasale migliorando di conseguenza la qualità<br />
del sonno; tuttavia, possono indurre, se usati per<br />
periodi superiori a 5 giorni, reazioni avverse a livello<br />
sia locale che sistemiche (54). In particolare si<br />
può manifestare irritazione locale transitoria; inoltre<br />
la vasocostrizione indotta dai decongestionanti<br />
topici può essere seguita da vasodilatazione o<br />
congestione rebound (55) che sembra essere<br />
meno marcata per i derivati imidazolinici e per<br />
l’ossifenil-propilamina iodio idrato. Nel tempo la<br />
ridotta sensibilità dei recettori alfa adrenergici può<br />
causare tachifilassi. L’abuso dei vasocostrittori,<br />
indotto dal fenomeno della congestione rebound e<br />
della tachifilassi, e lo scorretto uso del farmaco<br />
possono determinare alterazioni prolungate della<br />
mucosa che risultano in rinite atrofica medicamentosa<br />
che è particolarmente pericolosa in<br />
bambini al di sotto dei 6 mesi di età in cui la respirazione<br />
è soprattutto nasale. Poiché la mucosa<br />
nasale è una buona superficie di assorbimento<br />
(56), in circostanze rare, quantità significative di<br />
questi farmaci possono essere assorbite e causare<br />
a livello sistemico effetti simpaticomimetici. Le reazioni<br />
avverse più significative sono a carico dell’apparato<br />
cardiovascolare (ipertensione arteriosa,<br />
tachicardia, pallore, sudorazione, bradicardia, ipotensione<br />
arteriosa) e del sistema nervoso centrale<br />
(cefalea, depressione neurologica con sintomi<br />
che vanno dalla sonnolenza fino al coma e depressione<br />
respiratoria). I bambini e i lattanti sono più<br />
sensibili agli effetti sistemici rispetto agli adulti.<br />
Uno studio retrospettivo brasiliano condotto su<br />
72 bambini di età compresa tra due mesi e 13<br />
anni esposti a derivati imidazolinici, sia per via<br />
orale che per via nasale, ha evidenziato un’alta incidenza<br />
di reazioni avverse (57 su 72 bambini esposti).<br />
Le reazioni non risultavano essere gravi; erano<br />
prevalentemente a carico del sistema nervoso<br />
centrale, cardiovascolare e respiratorio; interessavano<br />
bambini al di sotto di 3 anni ed erano più frequenti<br />
negli esposti a nafazolina rispetto a quelli<br />
esposti a ossimetazolina (57).<br />
Una revisione sistematica dal Cochrane Database,<br />
aggiornata al 2007, effettuata con lo scopo di<br />
valutare negli adulti e nei bambini l’efficacia e la
sicurezza dei decongestionanti nasali, ha evidenziato<br />
la mancanza di validi studi di efficacia nella<br />
popolazione pediatrica (58). Le differenze esistenti<br />
tra la popolazione adulta e quella pediatrica, sia<br />
nell’anatomia nasale sia nella tolleranza ai farmaci,<br />
non permettono, secondo gli Autori, un’estrapolazione<br />
dell’efficacia e della sicurezza dei decongestionanti<br />
nei bambini. Gli Autori concludono che<br />
fino a quando non saranno pubblicati lavori che<br />
dimostrino l’efficacia dei decongestionanti nasali in<br />
bambini, l’uso di questi farmaci non è raccomandato<br />
nei bambini al di sotto di 12 anni.<br />
Antibiotici<br />
Il ruolo degli antibiotici nel management dell’ipertrofia<br />
adenotonsillare e dell’OSAS è ancora discusso.<br />
È stata avanzata l’ipotesi che gli antibiotici<br />
possano ridurre le dimensioni delle adenoidi,<br />
migliorare i sintomi ostruttivi ed in tal modo evitare<br />
l’intervento chirurgico.<br />
Scalfani e collaboratori nel 1998, in uno studio contro<br />
placebo, hanno sottoposto bambini (dai 2 ai 16<br />
anni) con sintomatologia ostruttiva da ipertrofia<br />
adenotonsillare cronica a terapia antibiotica con<br />
amoxicillina/clavulanata (40 mg/Kg in 3 dosi giornaliere)<br />
per un periodo di 30 giorni evidenziando<br />
come, al follow-up di 1 mese, tale ciclo riduceva<br />
significativamente la necessità dell’intervento chirurgico<br />
rispetto al gruppo controllo (37,5% vs 62,7%).<br />
Questa riduzione relativa persisteva ai successivi follow-up<br />
a 3 mesi (AMOX/CLAV 54,5% vs placebo<br />
85,7%) e 24 mesi (AMOX/CLAV 83,3% vs placebo<br />
98,0%) sebbene, durante questi follow-up, la percentuale<br />
assoluta di pazienti che richiedevano l’intervento<br />
chirurgico aumentava in entrambi i gruppi.<br />
Gli Autori, pertanto, concludevano che la terapia<br />
antibiotica poteva essere intrapresa quando era<br />
necessario un miglioramento a breve, sia pur temporaneo,<br />
della sintomatologia o quando l’intervento<br />
chirurgico era gravato da elevati rischi (59).<br />
Successivamente Debra e collaboratori hanno<br />
valutato, in uno studio in doppio cieco contro<br />
placebo, l’efficacia della terapia antibiotica con<br />
azitromicina (12 mg/kg/die) per 5 giorni, ripetuta<br />
ad intervalli di 6 giorni per un totale di 3 cicli, in<br />
bambini con ipertrofia adenotonsillare e sintomi<br />
Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno<br />
suggestivi di OSAS, andando a valutare i parametri<br />
polisonnografici prima e dopo tale il trattamento<br />
e concludendo che la terapia antibiotica poteva<br />
determinare solo un miglioramento temporaneo<br />
nell’OSAS dovuta ad ipertrofia adeno-tonsillare,<br />
ma non costituiva una terapia sostitutiva all’intervento<br />
chirurgico (60).<br />
Lavaggi nasali<br />
I lavaggi delle fosse nasali rappresentano sicuramente<br />
un intervento medico utile per ridurre i sintomi<br />
dovuti all’ostruzione nasale. L’impiego sempre<br />
più capillare delle cosiddette docce nasali<br />
micronizzate ha molto migliorato la possibilità di<br />
eseguire una buona toilette nasale (diluizione del<br />
muco, rimozione di secrezioni, croste, microparticelle<br />
estranee, allergeni, batteri, idratazione delle<br />
mucose) (61). L’impiego, inoltre, relativamente<br />
recente, di soluzioni ipertoniche al posto delle tradizionali<br />
soluzioni iso- o ipo-toniche sembra<br />
migliorare la clearance mucociliare, almeno in individui<br />
sani (62).<br />
Ossigenoterapia<br />
L’ossigenoterapia può essere prescritta per migliorare<br />
l’ipossia notturna per brevi periodi in casi speciali,<br />
quali neonati con anomalie craniofaciali, o in<br />
pazienti con OSAS grave che non hanno beneficiato<br />
dell’intervento di adenotonsillectomia o che non<br />
tollerano la terapia tramite continuous positive airway<br />
pressure (CPAP). È importante monitorare la CO2 affinché la normalizzazione della ossiemia non<br />
mascheri un’ipercapnia pericolosa. L’ossigenoterapia<br />
comunque non previene l’ostruzione e le complicanze<br />
delle alte vie aeree quali la frammentazione<br />
del sonno e l’aumentato lavoro respiratorio; inoltre<br />
potrebbe peggiorare l’ipoventilazione (10, 63).<br />
Conclusioni<br />
In conclusione, la diagnosi ed il trattamento precoce<br />
dei disturbi respiratori nel sonno (capitolo<br />
importante della salute del bambino) evitano,<br />
riducendo la durata della sintomatologia clinica, le<br />
complicanze dei disturbi respiratori nel sonno così,<br />
probabilmente, da modificarne la storia naturale.<br />
55
56<br />
Brunetti, et al.<br />
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BIBLIOGRAFIA
Introduzione<br />
Negli ultimi anni molti studi hanno cambiato il<br />
nostro modo di guardare ai disturbi respiratori nel<br />
sonno (DRS) in età pediatrica ed in particolare le<br />
novità sulla eziopatogenesi di questo spettro di<br />
quadri clinici hanno indotto la comunità scientifica<br />
a rivederne l’approccio terapeutico (1-3). Essendo<br />
infatti l’eziopatogenesi multifattoriale, anche l’approccio<br />
terapeutico deve spesso essere multifattoriale<br />
ed interdisciplinare.<br />
I cardini della terapia dell’OSAS ad oggi sono rappresentati<br />
da terapia medica, asportazione delle<br />
adenoidi e delle tonsille, terapia ortodontica e<br />
ventilazione meccanica non invasiva.<br />
La terapia chirurgica con intervento di adenotonsillectomia<br />
rappresenta la prima scelta nei bambini<br />
con OSAS severo ed ipertrofia adenotonsillare.<br />
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 59-65<br />
Maria Pia Villa, Filomena Ianniello, Anna Claudia Massolo<br />
Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La<br />
Sapienzà” Roma<br />
Terapia integrata nel bambino con<br />
disturbi respiratori notturni<br />
Management of paediatric obstructive<br />
sleep apnea syndrome<br />
Parole chiave: terapia, apnee ostruttive nel sonno, ipertrofia adenotonsillare, infiammazione, russamento<br />
Keywords: treatment, obstructive sleep apnea, adeno-tonsillar hypertrophy, inflammation, snoring<br />
Riassunto. L’apnea ostruttiva nel sonno nel bambino si presenta non solo come un disturbo ad elevata prevalenza ma anche<br />
come una sindrome caratterizzata dall’associazione di numerosi quadri morbosi. Le maggiori conseguenze riguardano l’apparato<br />
cardiovascolare, il sistema nervoso, con alterazioni neuro-comportamentali ed il metabolismo. Il trattamento dell’OSAS è<br />
rappresentato dalla terapia chirurgica, meccanica o medica. Il trattamento chirurgico ha il fine di aumentare lo spazio a disposizione<br />
nell’ambito delle vie aeree superiori. Sebbene l’adenotonsillectomia sia la tecnica più largamente utilizzata nei bambini<br />
con OSAS, una valida alternativa è rappresentata dal trattamento ortopedico ortodontico (placca di riposizionamento mandibolare<br />
ed espansore rapido del palato) ed il trattamento medico che include la perdita di peso nei bambini obesi, gli steroidi<br />
nasali e la somministrazione di antinfiammatori sistemici per via orale o topici. La ventilazione meccanica non invasiva a pressioni<br />
positive continue si avvale di maschere nasali e determina una risoluzione dell’OSAS attraverso l’apertura delle vie aeree.<br />
Questo articolo si focalizza sulle diverse opzioni terapeutiche e sulla valutazione della loro efficacia nel trattamento delle apnee<br />
ostruttive nel sonno nel bambino.<br />
Una metanalisi dei dati pubblicati in letteratura ha<br />
messo in evidenza infatti un tasso di successo dell’intervento<br />
di adeno-tonsillectomia pari circa all’85%<br />
(4) con valori inferiori nei bambini obesi o nei bambini<br />
con OSAS molto severo (5-9).Tali dati supportano<br />
l’importanza di effettuare un follow-up polisonnografico<br />
nei bambini sottoposti ad intervento chirurgico<br />
(9) e suggeriscono inoltre che la ricorrenza<br />
del disturbo respiratorio nel sonno presenta un’incidenza<br />
maggiore nei bambini in cui concorrono altri<br />
fattori di rischio nella eziologia del DRS, quali l’obesità<br />
e le alterazioni scheletriche morfo-strutturali<br />
(palato ogivale, microretrognazia, etc.) (10).<br />
Un intervento aggiuntivo per i bambini in cui l’adenotonsillectomia<br />
non porta a risoluzione dell’OSAS<br />
o in cui residua un OSAS moderato-severo è<br />
59<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia,<br />
Università di Roma “La Sapienza”, Roma; e-mail: mariapia.villa@uniroma.it
60<br />
Villa, et al.<br />
rappresentato dalla ventilazione meccanica non<br />
invasiva con pressioni positive continue per via<br />
nasale (nasal continuous positive airway pressure, N-<br />
CPAP) (11-16). Nonostante la scarsa disponibilità<br />
di maschere pediatriche adatte alle dimensioni del<br />
volto, il tasso di aderenza sembra essere soddisfacente<br />
(17) e può essere incrementato attraverso<br />
supporto alle famiglie ed accorgimenti comportamentali.<br />
(18).<br />
La maggiore difficoltà dal punto di vista terapeutico<br />
si incontra nella gestione di quei bambini<br />
appartenenti alla così detta “zona grigia”, con<br />
valori del apnea-ipopnea index (AHI) compresi<br />
tra 1 e 5 eventi/ora, che configurano una OSAS<br />
lieve. In questi pazienti è infatti necessario effettuare<br />
una attenta analisi del rapporto rischiobeneficio<br />
di fronte alle diverse opzioni terapeutiche.<br />
Ecco perché sono stati studiati approcci<br />
terapeutici alternativi rispetto a quello chirurgico<br />
o ventilatorio. Uno di questi è rappresentato<br />
dalla terapia cortisonica nasale che, da diversi<br />
studi (19-23) è risultato essere in grado di determinare<br />
una significativa riduzione dell’AHI soprattutto<br />
nei bambini con ipertrofia adenoidea, associato<br />
ad un miglioramento del quadro clinico. In<br />
aggiunta, dati di letteratura evidenziano come<br />
elevate concentrazioni di leucotrieni e dei loro<br />
recettori siano presenti a livello delle vie aeree<br />
nei bambini con OSAS (24-25). Questo darebbe<br />
conto della buona risposta alla terapia con antagonisti<br />
specifici del recettore per leucotrieni (24).<br />
Tale approccio è risultato soddisfacente anche<br />
dopo intervento di adeno-tonsillectomia per<br />
l’OSAS residua (26).<br />
L’approccio ortodontico infine sembrerebbe rappresentare<br />
una valida alternativa alla adenotonsillectomia<br />
o come terapia coadiuvante o come<br />
primo intervento in assenza di ipertrofia adenotonsillare;<br />
la modificazione della struttura stomatognatica<br />
potrebbe inoltre prevenire le recidive<br />
come mostrato dai dati di letteratura ad oggi disponibili<br />
(27-29).<br />
Terapia medica<br />
Di recente la letteratura ha posto l’attenzione sul<br />
ruolo della infiammazione nella genesi dei disturbi<br />
respiratori nel sonno (30). Uno dei meccanismi<br />
chiave innescato dalla OSAS nella genesi<br />
dello stato infiammatorio cronico è rappresentato<br />
dallo stress ossidativo esplicato a livello dei<br />
diversi tessuti. Secondo il modello proposto da<br />
Ryan, la base fisipatologica di tale meccanismo di<br />
flogosi, si ritrova nel continuo alternarsi di episodi<br />
di ipossia-riossigenazione caratteristici<br />
dell’OSAS (31).<br />
Tali osservazioni hanno rafforzato l’indicazione ad<br />
un approccio basato sull’utilizzo di farmaci antinfiammatori<br />
per uso sistemico o topico (19-26) nel<br />
trattamento dei disturbi respiratori nel sonno, di<br />
cui ampliamente discusso precedentemente.<br />
Trattamento e prevenzione dell’obesità<br />
La riduzione di peso nei bambini obesi con<br />
OSAS è un obiettivo prioritario (32). L’American<br />
Academy of Pediatrics benché non consideri la<br />
perdita di peso un trattamento specifico consiglia<br />
di adottare strategie di dimagramento nei bambini<br />
obesi con OSAS (33, 34). Diversi studi hanno<br />
dimostrato l’associazione tra OSAS e disfunzioni<br />
metaboliche (35-39). Studi in vitro ed in vivo<br />
hanno dimostrato come la sintesi di leptina sia<br />
aumentata in seguito ad un insulto ipossico con<br />
un meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1.<br />
Gozal ha inoltre mostrato come i livelli di leptina<br />
circolante in soggetti con OSAS siano correlati<br />
non solo al BMI ma anche all’indice di apneaipopnea<br />
(AHI) (36). Inoltre la diminuzione dell’ossido<br />
nitrico (NO) circolante associato allo<br />
stress mitocondriale che si verifica nell’OSAS<br />
potrebbe determinare una condizione di riassetto<br />
del metabolismo cellulare con una diminuzione<br />
nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto<br />
adiposo come dimostrato da studi sull’effetto<br />
di una carenza nella produzione di NO sui<br />
meccanismi dell’omeostasi energetica negli animali<br />
di laboratorio (37-40). In questi soggetti<br />
spesso la perdita di peso ha maggiore successo<br />
se contemporanea al ripristino della pervietà<br />
delle alte vie respiratorie, in modo da assicurare<br />
una migliore ossigenazione ed interrompere il<br />
meccanismo dell’ipossia intermittente.<br />
Terapia chirurgica<br />
I dati della letteratura riportano un tasso di risoluzione<br />
dei sintomi clinici e normalizzazione del quadro<br />
polisonnografico dopo adenotonsillectomia<br />
mediamente nel 75%-80% dei casi, con complicanze<br />
respiratorie postoperatorie nel 16%-27%<br />
dei casi (4-10). Allo stesso tempo, il 15%-20% di<br />
bambini trattati chirurgicamente non ha una risoluzione<br />
della sintomatologia ostruttiva, inoltre un
ulteriore 15 % presenta OSAS residuo, mentre il<br />
2%, sebbene abbia una polisonnografia negativa,<br />
continua a russare (11). Questo dato risulta ancora<br />
più significativo nei bambini sotto i tre anni dove<br />
il 65% dei bambini sembrerebbe mantenere una<br />
polisonnografia patologica dopo l’intervento di<br />
adenotonsillectomia (12).<br />
Anche bambini con sindromi associate, come la<br />
sindrome di Down, la sindrome di Apert, ed altre<br />
trovano giovamento dalla terapia chirurgica.<br />
Tuttavia in questi pazienti spesso è necessario un<br />
trattamento addizionale (10). La terapia chirurgica<br />
in bambini al di sotto dei 3 anni dovrebbe essere<br />
accompagnata da un inquadramento diagnostico<br />
completo mediante polisonnografia al fine di ridurre<br />
i rischi post-operatori (34).<br />
Il distress respiratorio post-operatorio è più frequente<br />
nei pazienti con OSAS severa e nei bambini<br />
con età inferiore ai 3 anni nei quali si raccomanda<br />
un attento monitoraggio nel periodo<br />
postoperatorio anche se non ci sono dati che<br />
dimostrino la necessità che bambini al di sotto di<br />
2 anni con OSAS severa debbano essere operati<br />
in strutture con monitoraggio post operatorio<br />
intensivo. I casi più gravi, identificati sulla base clinica<br />
e/o strumentale devono essere sottoposti all’intervento<br />
nel più breve tempo possibile.<br />
Dopo l’intervento di adeno-tonsillectomia è consigliabile<br />
una terapia miofunzionale volta alla rieducazione<br />
della respirazione nasale e alla riconquista<br />
del sigillo labiale (41) per ridurre le recidive. Altri<br />
interventi chirurgici sui tessuti molli non sono consigliati<br />
nei bambini.<br />
Figura 2 Esempio di espansore rapido del palato.<br />
Terapia Integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni<br />
Terapia ortodontica<br />
Una opzione terapeutica alternativa alla adeno-tonsillectomia,<br />
come evidenziato da uno studio del<br />
nostro gruppo (27) è rappresentato, in soggetti con<br />
alterato sviluppo mandibolare e malocclusione, dalla<br />
placca di riposizionamento mandibolare (Figura 1) o<br />
dall’espansore rapido del palato (Figura 2) (27-29). I<br />
bambini OSAS presentano delle caratteristiche<br />
dento-scheletriche peculiari, quali retrusione mandibolare<br />
associata o meno a morso profondo, palato<br />
ogivale associato o meno a morso crociato<br />
mono o bilaterale, che potrebbero influire sui disturbi<br />
respiratori. La terapia ortodontica mira al<br />
ripristino di un rapporto armonico mascellaremandibolare<br />
e di conseguenza tra le arcate dentarie<br />
e ci consente, attraverso l’applicazione di determinate<br />
procedure terapeutiche di ottenere dei<br />
benefici respiratori non indifferenti.<br />
Figura 1 Esempio di placca di riposizionamento mandibolare.<br />
Modificata da (27).<br />
61
62<br />
Villa, et al.<br />
Dai dati in letteratura emerge come il trattamento<br />
ortodontico sia tanto più efficace tanto più precocemente<br />
sia instaurato, in modo da poter correggere<br />
ed orientare la crescita del massiccio<br />
maxillo-mandibolare e spostare in avanti la lingua.<br />
La terapia ortopedica della bocca e cioè il riposizionamento<br />
della mandibola e l’ampliamento del<br />
mascellare devono essere considerati momenti<br />
terapeutici importanti, poiché potrebbero essere<br />
in grado di modificare la storia naturale dell’OSAS.<br />
Tuttavia mancano dati di follow-up sulla efficacia a<br />
lungo termine: attualmente gli studi hanno valutato<br />
gli effetti terapeutici fino a 12 mesi dall’intervento<br />
ortodontico. Studi sull’efficacia della terapia<br />
con espansore rapido del palato hanno dimostrato<br />
come tale trattamento sia in grado di modificare<br />
la storia dell’OSAS anche in pazienti con ipertrofia<br />
tonsillare, dopo 12 mesi di trattamento si<br />
osserva un marcata riduzione dei disturbi respiratori<br />
nel sonno ed un miglioramento di quelle che<br />
sono le sequele diurne dell’OSAS (27-29).<br />
Dati preliminari concernenti il follow-up a 24 mesi<br />
dei soggetti che hanno effettuato la terapia ortopedica<br />
indicano che l’AHI, nonché lo score clinico<br />
ottenuto mediante questionari standardizzati, non<br />
cambia nel tempo (29).<br />
Questo tipo di intervento naturalmente può essere<br />
integrato sia con la terapia medica sia con la<br />
terapia chirurgica. Gli interventi ricostruttivi e le<br />
distrazioni ossee sono la terapia d’elezione nelle<br />
alterazioni morfostrutturali nelle sindromi di<br />
Apert, di Crouzon e di Pierre Robin ed altre sindromi<br />
congenite.<br />
Ventilazione meccanica non invasiva<br />
Nei pazienti gravi, nei quali la terapia medica o chirurgica<br />
non è realizzabile (obesità marcata, disturbi<br />
neurologici, sindromi malformative, etc.) o ha<br />
dato risultati insoddisfacenti la scelta terapeutica<br />
giusta è la terapia ventilatoria non invasiva con<br />
pressioni positive continue per via nasale (nCPAP) o<br />
con pressioni ventilatorie alternanti (bi-level positive<br />
airway pressure, BiPAP). La CPAP è efficace e ben<br />
tollerata in più dell’80% dei pazienti con OSAS<br />
grave (1-16) soprattutto in bambini con anomalie<br />
craniofacciali e disordini neurologici. La compliance<br />
terapeutica è direttamente correlata alla severità<br />
dell’OSAS e al convincimento della famiglia che la<br />
ventilazione non invasiva è la migliore soluzione<br />
terapeutica in quel momento. Una volta prescritta<br />
e tarata con pressioni appropriate mediante polisonnografia,<br />
la ventilazione meccanica non invasiva<br />
è gestita agevolmente a domicilio e controllata<br />
periodicamente nei centri specialistici.<br />
Gestione del paziente con DRS<br />
Attualmente non esistono Linee Guida o<br />
Consensus Paper sul corretto iter terapeutico multidisciplinare<br />
nel bambino con OSAS; in particolare<br />
non esistono dati sul timing della terapia. Il<br />
nostro gruppo ha di recente individuato un timing<br />
selettivo per le varie terapie basato sulla gravità<br />
polisonnografica dell’OSAS, sul fenotipo, sull’età e<br />
sulla presenza o meno di difetto ortodontico<br />
(Tabelle 1 e 2).<br />
La flow chart prende in considerazione da una<br />
parte la severità dell’OSAS secondo i criteri polisonnografici<br />
dall’altra l’età del paziente. Inoltre si fa<br />
distinzione nell’approccio terapeutico tra i vari<br />
fenotipi, in particolare il Fenotipo I, “classico” con<br />
ipertrofia adenotonsillare ed il tipo II, il bambino<br />
obeso.<br />
Non viene menzionato nella flow chart il fenotipo<br />
“congenito” per la complessità della sindrome di<br />
base e per il diverso approccio terapeutico.<br />
Conclusioni<br />
L’OSAS e i Disturbi Respiratori nel Sonno sono un<br />
capitolo importante nella salute del bambino. Il<br />
pediatra può, riconoscendo precocemente la sindrome,<br />
intervenire e ridurre la durata dei sintomi<br />
evitando le conseguenze dell’OSAS, così da modificare<br />
la storia naturale di questa malattia.
Terapia Integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni<br />
Tabella 1 Schema per la gestione ed il “Timing” terapeutico nel bambino >3 anni con disturbo respiratorio nel sonno.<br />
AHI, apnea-ipopnea index; ev/h, eventi/ora; nCPAP, pressioni positive per via nasale.<br />
Gravità polisonografica del DRS<br />
Fenotipo Russamento primario<br />
AHI 1 5 ev/h<br />
Classico “Tipo 1” Terapia medica Terapia medica Adenotonsillectomia<br />
senza difetto ortodontico Terapia Terapia (con carattere di Urgenza<br />
Miofunzionale Miofunzionale se OSAS severa)<br />
- Nell’OSAS residua<br />
- nCPAP (AHI >5)<br />
- terapia medica<br />
- terpia miofunzionale<br />
Classico “Tipo 1” Terapia ortodontica Terapia medica Adenotonsillectomia<br />
senza difetto ortodontico Terapia medica Terapia medica (con carattere di Urgenza<br />
Terapia Terapia se OSAS severa)<br />
Miofunzionale Miofunzionale Terapia ortodontica<br />
- Nell’OSAS residua<br />
- nCPAP (AHI >5)<br />
- terapia medica<br />
- terpia miofunzionale<br />
Adulto “Tipo 2” Dieta ipocalorica Dieta ipocalorica nCPAP<br />
Terapia medica Terapia medica Dieta ipocalorica<br />
Terapia ortodontica nCPAP Terapia medica<br />
(se difetto ortodontico) Terapia ortodontica Terapia ortodontica<br />
(se difetto ortodontico) (se difetto ortodontico)<br />
Tabella 2 Schema per la gestione ed il “Timing” terapeutico nel bambino
64<br />
Villa, et al.<br />
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Università “La Sapienza”, Roma<br />
Parole chiave: disturbi del sonno, parasonnie<br />
Keywords: sleep disorders, parasomnias<br />
I disturbi parossistici del sonno<br />
in età evolutiva<br />
Paroxysmal sleep disorder of childhood<br />
Riassunto. I disturbi del sonno in età evolutiva possono essere molteplici, verificarsi all’inizio del sonno, durante il sonno, o al<br />
risveglio. Possono determinare non solo un disagio ai famigliari ma anche conseguenze per il bambino. È importante pertanto<br />
effettuare un corretto inquadramento diagnostico, terapeutico, e conoscere quali casi inviare ad uno specialista del sonno per<br />
eventuali approfondimenti ed esami strumentali.<br />
La maggior parte delle volte si tratta di disturbi benigni e a risoluzione spontanea, generalmente durante l’adolescenza.<br />
Un’anamnesi accurata è in genere sufficiente per formulare una diagnosi, tuttavia in alcuni casi può essere indicato uno studio<br />
polisonnografico. In questa review verranno analizzati i disturbi parossistici del sonno più comuni in età evolutiva.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Dott.ssa Elena Finotti, Dipartimento di Pediatria “Salus Pueri” Università degli Studi di Padova;<br />
e-mail: elena.finotti@unipd.it<br />
Introduzione<br />
La classificazione internazionale dei disturbi del<br />
sonno (ICSD-2) (1) suddivide i disturbi del sonno<br />
in varie categorie: 1. insonnia; 2. disturbi respiratori<br />
del sonno; 3. ipersonnie di origine centrale; 4.<br />
disturbi del ritmo circadiano; 5. parasonnie; 6. disturbi<br />
del movimento in sonno; 7. varianti fisiologiche,<br />
sintomi isolati e problemi irrisolti.<br />
È fondamentale pertanto un corretto approccio<br />
anamnestico che permetta al clinico di orientasi<br />
all’interno di questa ampia categoria di disturbi.<br />
La valutazione del bambino con disturbo del sonno<br />
deve comprendere un esame obiettivo, un esame<br />
dello sviluppo neuropsichico e delle modalità di<br />
interazione genitore/bambino, con particolare riferimento<br />
alla percezione genitoriale del disturbo, e<br />
all’interferenza di questo con la vita familiare e di<br />
coppia. La raccolta delle informazioni sul disturbo è<br />
estremamente importante perché può già permettere<br />
di orientarci verso la diagnosi e la terapia più<br />
appropriata. Se è in grado di descrivere il problema,<br />
bisogna ascoltare per primo il bambino (2). In caso<br />
di disturbi parossistici nel sonno si deve valutare: il<br />
momento di insorgenza (prima o ultima parte<br />
della notte); la costanza di presentazione temporale<br />
dell’evento; lo stato di coscienza durante l’evento;<br />
il ricordo dell’evento la mattina successiva.<br />
Andrebbe comunque richiesta l’eventuale registrazione<br />
video del disturbo da parte dei genitori.<br />
Le parasonnie<br />
Le parasonnie comprendono un’ampia varietà di<br />
comportamenti inusuali durante il sonno.<br />
L’American Academy of Sleep Medicine le definisce<br />
come eventi fisici o esperienze indesiderabili<br />
che si verificano all’inizio del sonno, durante il<br />
sonno, o al risveglio (1). Queste manifestazioni<br />
sono accompagnate da movimenti, comportamenti,<br />
emozioni, percezioni anomali correlati al<br />
sonno e all’attivazione del sistema nervoso autonomo.<br />
La classificazione internazionale dei disturbi
del sonno (ICSD-2) le suddivide in 3 gruppi: 1. i<br />
disturbi dell’arousal (parasonnie del sonno non-<br />
REM), 2. le parasonnie associate al sonno REM, 3.<br />
altre parasonnie (1).<br />
I disturbi dell’arousal<br />
I disturbi dell’arousal (DOA) si manifestano tipicamente<br />
durante il sonno ad onde lente (stadio 3-4),<br />
ma possono occorrere anche durante il sonno più<br />
leggero (3). Tali parasonnie insorgono nel primo<br />
terzo della notte, quando il sonno ad onde lente è<br />
predominante. Sono così definiti perché si ritiene<br />
siano causati da alterati meccanismi dell’arousal e<br />
sono caratterizzati da una percezione dell’ambiente<br />
circostante falsata, risveglio difficoltoso durante l’evento,<br />
segni d’attivazione autonomica, comportamenti<br />
afinalistici, disorientamento e amnesia retrograda.<br />
I disturbi dell’arousal sono frequenti durante<br />
l’infanzia, manifestandosi nel 15%-20% dei bambini<br />
preadolescenti (4). Un recente studio condotto in<br />
età pediatrica ha dimostrato che l’alta prevalenza si<br />
riscontra nei bambini in età prescolare (14,5% per<br />
il sonnambulismo, 39,8% per il pavor nocturnus) e<br />
può essere correlata con un disturbo d’ansia da<br />
separazione (5). Raramente tali disturbi persistono<br />
in età adulta; la prevalenza in questa fascia d’età è<br />
stimata intorno al 1%-4% per il sonnambulismo e<br />
meno dell’1% nel pavor nocturnus (1).<br />
L’elevata incidenza dei disturbi dell’arousal in età<br />
evolutiva sembra essere dovuta ad un’incompleta<br />
maturazione delle strutture del sistema nervoso<br />
centrale (SNC) implicate nella regolazione del<br />
sonno ad onde lente e dei meccanismi dell’arousal.<br />
Con il processo di maturazione tali meccanismi<br />
completano il loro sviluppo, avviene la sincronizzazione,<br />
e i sintomi si risolvono spontaneamente a<br />
meno che non sussista una patologia sottostante<br />
(6). L’attivazione del sistema serotoninergico è<br />
parzialmente responsabile dei risvegli ed è implicata<br />
nello scatenamento dei fenomeni motori (7).<br />
Questa alterazione neuro-trasmettitoriale può<br />
essere presa in considerazione per il trattamento<br />
di tali disturbi utilizzando farmaci contenenti precursori<br />
della serotonina (8). Alcuni fattori possono<br />
influenzare lo scatenamento di episodi parasonnici<br />
e le loro manifestazioni cliniche. La predisposizione<br />
genetica gioca un ruolo importante. La prevalenza<br />
del sonnambulismo e del pavor nocturnus<br />
nei parenti di primo grado dei soggetti affetti da<br />
pavor era di 10 volte superiore rispetto alla popolazione<br />
generale; se entrambi i genitori sono affetti da<br />
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva<br />
DOA c’è il 60% di possibilità che questo si manifesti<br />
nel bambino (9). Studi di popolazione su<br />
gemelli monozigoti e dizigoti suggeriscono che i<br />
fattori genetici sono implicati nel 65% dei casi di<br />
sonnambulismo (10).<br />
Inoltre alcuni studi neurofisiologici dimostrano una<br />
predisposizione ad ereditare un’instabilità del<br />
sonno NREM caratterizzata da alti livelli di oscillazione<br />
nei meccanismi dell’arousal, che sarebbero<br />
legati all’instabilità dei livelli di serotonina (11).<br />
Oltre all’influenza genetica, devono essere presi in<br />
considerazione diversi fattori contribuenti o scatenanti<br />
gli episodi come l’età, la deprivazione di<br />
sonno, un’inadeguata igiene del sonno, lo stress<br />
emotivo, l’eccessiva quantità di sonno o la deprivazione<br />
di sonno, i disturbi del ritmo circadiano e<br />
disturbi intrinseci del sonno (apnea ostruttiva, e i<br />
movimenti periodici degli arti) (12, 13). Sono stati<br />
riportati anche casi di disturbi dell’arousal correlati<br />
allo stato febbrile (14).<br />
I disturbi respiratori in sonno e i movimenti periodici<br />
degli arti inferiori (PLMs) sono entrambi<br />
responsabili nello scatenamento degli episodi di<br />
sonnambulismo o di terrore notturno sia perché<br />
determinano una frammentazione del sonno, sia<br />
perché inducono un rebound di sonno ad onde<br />
lente (15). Il trattamento del disturbo primario<br />
(apnee o PLM) determinava una scomparsa delle<br />
parasonnie (12). Dall’altro lato il trattamento dell’apnea<br />
ostruttiva può causare un aumento del<br />
sonno ad onde lente per effetto rebound predisponendo<br />
così agli eventi parasonnici (16). Altri<br />
fattori di rischio sono rappresentati dall’uso di<br />
alcuni farmaci (ad es. neurolettici, sedativi ipnotici,<br />
stimolanti, antistaminici) (17) e l’uso ed abuso di<br />
alcool. Inoltre anche fattori come la sovradistensione<br />
della vescica, i rumori, la luce o i risvegli forzati<br />
possono precipitare le parasonnie (3).<br />
I DOA vengono clinicamente suddivisi in: risvegli<br />
confusionali, sonnambulismo, terrore notturno<br />
(pavor nocturnus).<br />
I risvegli confusionali sono caratterizzati da un<br />
improvviso risveglio che si associa a confusione,<br />
disorientamento, movimenti e lamenti, talvolta<br />
accompagnati da comportamenti semi-intenzionali<br />
come il gridare, piangere o compiere atti aggressivi<br />
(1). Tipicamente si presentano nella prima<br />
parte della notte, ma possono anche insorgere più<br />
tardi, al momento del risveglio forzato al mattino<br />
o nei sonnellini diurni. Il tentativo di consolare o<br />
svegliare il bambino durante l’episodio può non<br />
67
68<br />
Finotti, et al.<br />
essere d’aiuto ed anzi può peggiorare o prolungare<br />
l’evento. Il paziente appare spesso confuso ed<br />
alcune volte può divenire aggressivo o agitato, particolarmente<br />
se viene obbligato a svegliarsi. Gli<br />
eventi possono essere brevi, della durata di 1 o 2<br />
minuti, ma possono prolungarsi anche fino 30- 40<br />
minuti prima che il bambino si calmi e torni a dormire.<br />
Alcune forme di risvegli confusionali possono<br />
evolvere in sonnambulismo in adolescenza, o<br />
esprimersi come eccessiva inerzia mattutina al<br />
risveglio (18). La diagnosi differenziale deve prendere<br />
in considerazione le crisi parziali in sonno,<br />
che possono mimare i risvegli confusionali, il sonnambulismo,<br />
il terrore notturno e anche i disturbi<br />
comportamentali in sonno REM (REM behavior<br />
disorders).<br />
Il sonnambulismo viene definito come “una serie<br />
di comportamenti complessi che usualmente iniziano<br />
durante un arousal dal sonno ad onde<br />
lente e culminano con l’alzarsi e camminare in<br />
uno stato di coscienza parziale”. Si manifesta<br />
spesso nel primo terzo della notte o a metà del<br />
sonno, durante il sonno ad onde lente, comunemente<br />
verso la fine del primo o secondo ciclo di<br />
sonno; raramente durante i sonnellini diurni. Il<br />
sonnambulismo può iniziare da quando il bambino<br />
è in grado di camminare a qualsiasi altro<br />
momento della vita. Generalmente tale disturbo<br />
si risolve spontaneamente intorno alla pubertà<br />
ma può continuare a persistere anche in adolescenza.<br />
Gli episodi possono verificarsi con<br />
cadenza di uno per notte e in alcuni casi anche<br />
più frequentemente.<br />
Esistono due forme di sonnambulismo: calmo e<br />
agitato, con diversi gradi di complessità e durata<br />
(3). Spesso i pazienti si siedono sul letto e in uno<br />
stato confuso si guardano attorno prima di iniziare<br />
a camminare, altre volte possono uscire subito<br />
dalla camera, correre nella stanza o fuori casa e<br />
parlare in un linguaggio incomprensibile, vestirsi,<br />
mangiare e bere. La forma di sonnambulismo agitato<br />
si manifesta più spesso nel bambino più grande.<br />
Gli episodi possono durare da pochi minuti<br />
fino anche a mezz’ora e si esauriscono usualmente<br />
con il ritorno del paziente a letto e con la ripresa<br />
del sonno. È presente amnesia dell’evento.<br />
Risulta difficile svegliare il paziente durante l’episodio,<br />
e se ci si riesce egli appare confuso.<br />
La diagnosi differenziale tra sonnambulismo e<br />
pavor può non essere di facile risoluzione, in quanto<br />
entrambi i casi possono manifestarsi con urli,<br />
scatti fuori del letto, corse e atti violenti sebbene<br />
nel paziente sonnambulo manchi l’attivazione<br />
autonomica e l’espressione tipica di terrore del<br />
pavor. Gli occhi sono spesso aperti e lo sguardo è<br />
vitreo e confuso; tale caratteristica può essere<br />
d’ausilio nella diagnosi differenziale con i disturbi<br />
comportamentali in sonno REM in cui gli occhi<br />
sono in genere chiusi.<br />
I pavor nocturnus sono i più drammatici tra i disturbi<br />
dell’arousal, caratterizzati da risvegli improvvisi<br />
dal sonno ad onde lente e da terrore o paura<br />
intensa, urla, sudorazione, confusione mentale,<br />
attivazione autonomica (midriasi, diaforesi, tachicardia,<br />
tachipnea, flushing e aumento del tono<br />
muscolare) (3). Gli episodi si presentano nel<br />
primo terzo della notte. I pazienti sembrano agitati,<br />
si siedono sul letto, sono irresponsivi agli stimoli<br />
esterni, e inconsolabili. Se vengono svegliati<br />
appaiono confusi e disorientati. Durante gli eventi<br />
i bambini possono riportare ricordi di immagini<br />
minacciose (mostri, ragni, serpenti) dai quali si<br />
devono difendere (12). L’episodio può durare 5<br />
minuti o più. Generalmente non hanno memoria<br />
di ciò che è accaduto e non riferiscono né sogni<br />
né incubi, ma possono ricordare vagamente<br />
immagini spaventose.<br />
Generalmente le parasonnie sono eventi benigni e<br />
autolimitantesi ma in alcuni casi è necessaria una<br />
diagnosi precoce e quindi un intervento.<br />
Il primo approccio nei disturbi dell’arousal è<br />
quello di rassicurare i genitori sulla benignità del<br />
disturbo e di dare consigli su come organizzare<br />
la casa in maniera sicura. È importante informare<br />
i genitori di non cercare di fermare il bambino o<br />
di svegliarlo perché questo potrebbe prolungare<br />
o addirittura peggiorare l’episodio.<br />
In secondo luogo è importante adottare principi<br />
di igiene del sonno, mantenere una regolarità del<br />
ritmo sonno-veglia ed evitare la deprivazione di<br />
sonno. Le bevande che contendo caffeina dovrebbero<br />
essere evitate perché possono contribuire a<br />
diminuire l’efficienza di sonno e predisporre così<br />
agli episodi.<br />
Vanno, inoltre, identificati e trattati ulteriori disturbi<br />
del sonno sottostanti: l’apnea notturna e i<br />
movimenti periodici degli arti inferiori, se presenti,<br />
possono essere fattori precipitanti gli eventi<br />
parasonnici (12).<br />
Ci si può avvalere anche di altri approcci terapeutici<br />
quali: i risvegli programmati (svegliare il<br />
bambino alcuni minuti prima dell’orario previsto
dell’evento) (19); la psicoterapia o l’ipnosi; la<br />
terapia farmacologica con benzodiazepine e/o<br />
antidepressivi triciclici (3); la terapia con L-5 idrossitriptofano<br />
(L-5HTP) (8).<br />
Le parasonnie associate al sonno REM<br />
I disturbi comportamentali durante il sonno<br />
REM (RBD) sono caratterizzati dalla mancanza<br />
fisiologica dell’atonia muscolare durante il sonno<br />
REM, con aumento dell’attività muscolare durante<br />
la fase REM che porta quindi all’agire il sogno.<br />
Nei bambini l’RBD è molto raro e si presenta<br />
come sintomo della narcolessia o associato a sindrome<br />
di Giles de la Tourette, di Moebius, degenerazione<br />
olivopontocerebellare, malattia di<br />
Parkinson ad esordio giovanile, tumori cerebrali,<br />
sclerosi multipla, autismo, e vari altri disturbi psichiatrici<br />
(3, 20). Le paralisi del sonno e le allucinazioni<br />
ipnagogiche se manifeste in età evolutiva<br />
sono normalmente associate a narcolessia ma<br />
possono essere presenti anche nelle paralisi del<br />
sonno familiari o sporadicamente come effetto<br />
rebound del sonno REM (21).<br />
Più comune nel bambino è, invece, il disturbo da<br />
incubi.<br />
Gli incubi sono sogni dai contenuti terrifici e<br />
accompagnati dal vivido ricordo e da sensazioni<br />
di intenso terrore che determinano il risveglio<br />
del paziente (23). Tipicamente tale disturbo<br />
insorge tra i 3 e i 6 anni, con un picco di incidenza<br />
tra i 6 e i 10 anni e tende a diminuire con<br />
la crescita. Gli incubi comportano nel bambino<br />
emozioni negative come ad esempio ansia,<br />
paura, terrore, collera, rabbia e disagio. Sebbene<br />
i bambini possano apparire agitati quando si<br />
risvegliano, riescono a fornire informazioni dettagliate<br />
a riguardo del sogno (18). Nei bambini dai<br />
3 ai 5 anni viene riscontrato che il 10%-15% ha<br />
incubi tali da disturbare il sonno dei genitori. Le<br />
adolescenti riportano questi episodi con maggiore<br />
frequenza (24).<br />
È stata riscontrata una comorbidità con patologie<br />
psichiatriche negli adulti e negli adolescenti e i disturbi<br />
psichiatrici prevalgono 3 volte di più nei bambini<br />
affetti da incubi (22). Gli incubi possono essere<br />
uno dei sintomi specifici di disturbo post traumatico<br />
da stress (PTSD) o di abuso sessuale in<br />
infanzia ed adolescenza (3, 24).<br />
Nei casi di sogni terrifici ricorrenti e in cui si<br />
sospetti una causa psicologica sottostante, può<br />
essere utile un trattamento psicoterapeutico,<br />
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva<br />
raramente (e solo nei casi più severi) viene<br />
impiegato l’approccio farmacologico che comprende<br />
l’utilizzo di soppressori del sonno REM<br />
(ad es. antidepressivi triciclici) (25).<br />
Altre parasonnie<br />
L’enuresi notturna è caratterizzata da episodi<br />
ricorrenti di perdita involontaria di urina nel sonno<br />
(1). Tende a manifestarsi con maggiore frequenza<br />
nei ragazzi rispetto alle ragazze prima degli 11<br />
anni, ma dopo tale età non sussistono differenze<br />
tra i sessi (26).<br />
Nei bambini al di sotto dei 5 anni, l’enuresi notturna<br />
è considerata fisiologica ed è presente in<br />
circa il 30% dei bambini di 4 anni. La prevalenza<br />
a 6 anni è di circa il 10% con remissione spontanea<br />
del 15% dei casi per anno. In adolescenza e<br />
in giovane età ne è colpito solo l’1-3% dei<br />
pazienti (1). L’enuresi può essere di tipo primario<br />
o secondario. È primaria quando la perdita di<br />
urine durante il sonno è presente dalla nascita e<br />
il bambino non ha mai presentato lunghi periodi<br />
di continenza urinaria. La forma secondaria è<br />
presente nei bambini che sono stati continenti<br />
per lunghi periodi (3). Gli episodi di enuresi possono<br />
presentarsi durante qualsiasi stadio di<br />
sonno, durante i risvegli notturni, e durante gli<br />
arousal transitori. La polisonnografia mostra una<br />
struttura del sonno non significativamente differente<br />
da quella dei bambini normali (27).<br />
Si pensa che la causa di enuresi notturna sia collegata<br />
ad un ritardato sviluppo dei meccanismi di<br />
continenza vescicale, che coinvolge l’interazione<br />
di fattori quali lo sviluppo del tratto urinario, il<br />
sistema endocrino, il sistema nervoso autonomo<br />
e aree del sistema nervoso centrale responsabili<br />
dei meccanismi di arousal e di risveglio. Alcuni<br />
bambini con enuresi primaria hanno una capacità<br />
vescicale diminuita ed una minor secrezione<br />
notturna di ormone antidiuretico (28). Fattori<br />
psicologici sembrerebbero essere presenti in<br />
meno dell’1% dei bambini prepuberi affetti da<br />
enuresi primaria. Gli stressor psicosociali come il<br />
divorzio, l’abbandono, gli abusi sessuali e l’istituzionalizzazione<br />
sono stati riscontrati in bambini<br />
affetti da enuresi secondaria.<br />
L’influenza genetica è molto importante nell’enuresi:<br />
se entrambi i genitori erano affetti il 75% dei<br />
figli ha il rischio di presentare enuresi, contro il<br />
15% della popolazione generale (29).<br />
69
70<br />
Finotti, et al.<br />
L’enuresi secondaria è più comunemente associata<br />
a fattori organici. Cause di enuresi persistente<br />
includono: 1. infezioni del tratto urinario; 2.<br />
malformazioni del tratto urogenitale; 3. pressione<br />
estrinseca sulla vescica, come costipazione cronica<br />
o encopresi; 4. poliuria, da diabete mellito o insipido;<br />
5. aumento di urina in seguito ad elevata ingestione<br />
di liquidi serali, di caffeina, diuretici o altro; 6.<br />
patologie neurologiche, come anormalità del<br />
midollo spinale con vescica neurogena; 7. disturbi<br />
respiratori durante il sonno; 8. epilessia.<br />
Il procedimento diagnostico inizia con la raccolta<br />
dell’anamnesi e l’esame obiettivo. L ‘esame delle<br />
urine con urinocultura dovrebbe essere effettuate<br />
in prima istanza. Esami strumentali come l’ecografia,<br />
l’urodinamica e la cistoscopia possono essere eseguite<br />
nei bambini che continuano ad avere enuresi<br />
dopo 3 mesi di trattamento. L’indagine polisonnografica<br />
viene riservata a quelle situazioni in cui si<br />
sospetta un sottostante disturbo correlato al sonno<br />
come le apnee notturne o l’epilessia. Il trattamento<br />
del disturbo respiratorio in sonno, qualora presente,<br />
porta ad una remissione dell’enuresi (30).<br />
A livello terapeutico è importante tranquillizzare<br />
i genitori circa la benignità e remissione spontanea<br />
del disturbo e scoraggiarli dal mettere in atto<br />
punizioni o rimproveri che hanno l’effetto di<br />
aumentare l’ansia e la scarsa autostima nel bambino<br />
e quindi incrementare il problema. Non è<br />
necessario attuare alcun trattamento prima dei<br />
5-6 anni, dopo tale età la decisione verso il trattamento<br />
dipende dalla frequenza e gravità del<br />
disturbo. I migliori risultati si ottengono con combinazioni<br />
di più interventi terapeutici, ma il primo<br />
approccio è determinare se si tratta di una enuresi<br />
primaria o secondaria, nel qual caso è imperativo<br />
trattare le eventuali cause sottostanti.<br />
Molto utile si rivela una corretta igiene del sonno<br />
e l’approccio comportamentale: restrizione delle<br />
bevande serali, esercizi di condizionamento sfinterico,<br />
rinforzo positivo, ed eventualmente allarme<br />
per enuresi. È stato dimostrato da una review<br />
della Cochrane Database (31) che la terapia con<br />
allarme porta alla risoluzione del problema in<br />
circa i due terzi dei bambini, dimostrando che<br />
questo è il trattamento più efficace e l’unico che<br />
permette di risolvere l’enuresi.<br />
Il trattamento farmacologico è consigliato se l’enuresi<br />
si prolunga oltre i 7-8 anni e principalmente<br />
si prevede l’utilizzo della desmopressina e<br />
dell’imipramina (2, 32).<br />
I disturbi del movimento in sonno<br />
La sindrome delle gambe senza riposo (restless<br />
legs syndrome, RLS) è un disturbo senso-motorio<br />
caratterizzato dal bisogno irresistibile di muovere<br />
le gambe. Tale disordine colpisce generalmente la<br />
popolazione adulta, ma è stato descritto anche in<br />
età evolutiva, con una prevalenza del 1,9% in bambini<br />
di età scolare e del 2% negli adolescenti (33).<br />
L’eziologia è tuttora ignota, anche se fattori genetici,<br />
disfunzioni dopaminergiche e basse riserve di<br />
ferro nell’organismo sono stati imputati/chiamati in<br />
causa nella patogenesi. Inoltre, è stata descritta una<br />
comorbidità con il deficit di attenzione e iperattività<br />
(ADHD), indicando una possibile genesi<br />
comune dei due disturbi.<br />
La diagnosi nel bambino è spesso difficile, il piccolo<br />
paziente può non essere in grado di riconoscere<br />
e descrivere i sintomi, e per tale motivo il disturbo<br />
è spesso sottodiagnosticato. Sono riportati<br />
importanti ritardi di diagnosi fra l’esordio del disturbo<br />
del sonno e la diagnosi di RLS, ma anche fra<br />
la consultazione clinica e la diagnosi (34).<br />
Un altro disturbo spesso associato alla RLS è il<br />
mioclono periodico notturno degli arti (periodic<br />
leg movements, PLM), caratterizzato da ripetitivi e<br />
stereotipati movimenti degli arti nel sonno<br />
(PLMs), associati spesso a sintomi quali insonnia ed<br />
eccessiva sonnolenza diurna. Generalmente il<br />
63%-74% dei pazienti pediatrici con RLS presenta<br />
PLMs (35), anche se molti pazienti con PLM non<br />
presentano sintomi di RLS.<br />
Recentemente sono stati stabiliti dal Gruppo di<br />
Studio Internazionale sulla RLS, i criteri diagnostici<br />
nel bambino e nell’adolescente (36), che definiscono<br />
la diagnosi come certa, probabile o possibile.<br />
I criteri di diagnosi certa, a scopo clinico, sono<br />
applicabili solo ai bambini di età compresa fra i 2<br />
e i 12 anni, mentre per gli adolescenti vengono utilizzati<br />
gi stessi criteri degli adulti.<br />
Nel bambino, quindi, sono validi i criteri utilizzati<br />
per l’adulto: l’impellenza di muovere le gambe, la<br />
quale è peggiorata da condizioni di riposo e<br />
sedentarietà, tale sensazione peggiora la sera o<br />
durante la notte, ed è alleviata dal movimento<br />
degli arti. È molto importante lasciare che il bambino<br />
descriva il disturbo con parole proprie.<br />
Altri criteri utilizzabili in età evolutiva sono la presenza,<br />
oltre dei 4 criteri validi per l’adulto, anche di<br />
almeno 2 dei seguenti aspetti: un disturbo del<br />
sonno, familiarità per RLS, reperto polisonnografico<br />
di PLMs (indice di PLM >5 per ora di sonno).
La diagnosi differenziale nel bambino prevede altre<br />
condizioni che inducono sensazione sgradevole<br />
alle gambe quali i crampi notturni, l’artrite, la dermatite,<br />
le neuropatie in particolare quella di<br />
Osgood-Schlatter (34, 36).<br />
La RLS può riguardare quasi qualsiasi parte del<br />
corpo, con una tipica distribuzione a livello delle<br />
cosce e dei polpacci. È sempre necessario effettuare<br />
un esame obiettivo e la valutazione neurologica<br />
per escludere cause secondarie. La diagnosi<br />
è essenzialmente clinica ma quando non sono presenti<br />
i classici sintomi di RLS può essere necessario<br />
eseguire uno studio polisonnografico allo<br />
scopo di identificare la presenza di PLMs.<br />
Molti pazienti con RLS e PLM possono avere un<br />
basso livello di riserve di ferro, per cui risulta<br />
importante un esame completo che comprenda<br />
emocromo, ferritinemia e sideremia.<br />
Come per i disturbi respiratori del sonno, anche i<br />
disturbi del movimento in sonno possono determinare<br />
conseguenze cardiovascolari e cognitive in<br />
relazione alla frammentazione del sonno che determinano.<br />
In pazienti predisposti vi può essere poi un<br />
aumento della frequenza di episodi parasonnici, che<br />
si risolvono trattando il disturbo del movimento.<br />
Una buona igiene del sonno e ritmi sonno-veglia<br />
regolari sono i primi interventi da attuare.<br />
I pazienti con basse riserve di ferro possono<br />
beneficiare di una supplementazione marziale.<br />
Sono state utilizzate anche le benzodiazepine<br />
quali il clonazepam ma questo può determinare<br />
un peggioramento dell’iperattività nei pazienti con<br />
da deficit d’attenzione ed iperattività (attentiondeficit/hyperactivity<br />
disorder, ADHD). Possono<br />
essere utilizzati nel bambino anche i farmaci<br />
dopaminergici comunemente usati nell’adulto.<br />
I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva<br />
Alternative terapeutiche in età evolutiva sono rappresentate<br />
da gabapentin e clonidina (37).<br />
I disturbi ritmici del movimento in sonno sono<br />
caratterizzati da movimenti ripetitivi, stereotipati,<br />
ritmici che si presentano soprattutto durante la<br />
sonnolenza o il sonno e coinvolgono ampi distretti<br />
muscolari (25).<br />
In genere riguardano la fase di transizione tra la<br />
veglia ed il sonno, ma possono manifestarsi anche<br />
nelle altre fasi, si risolvono spontaneamente verso i<br />
3-4 anni. Possono essere suddivisi in tre sottotipi:<br />
head rolling, head banging e body rocking. Non vi è<br />
alcuna terapia di elezione, è consigliabile creare un<br />
ambiente sicuro nel lettino del bambino per evitare<br />
possibili traumi fisici ed aiutarlo a rilassarsi in altro<br />
modo (musica, rituale dell’addormentamento…).<br />
Nel caso in cui il disturbo sia importante sono state<br />
utilizzate terapie come antistaminici, carbamazepina<br />
e benzodiazepine a breve emivita (25).<br />
Conclusioni<br />
Per il medico è generalmente possibile, sulla base<br />
della sola storia clinica, diagnosticare la maggior<br />
parte dei disturbi parossistici in sonno. A volte può<br />
essere necessario però, ricorrere a tecniche neurofisiologiche,<br />
come la registrazione video EEG o la<br />
polisonnografia, soprattutto per escludere la presenza<br />
di fenomeni di tipo epilettico, o quando non è<br />
possibile avere una descrizione dettagliata del fenomeno.<br />
In età evolutiva questi disturbi sono abbastanza<br />
frequenti, possono in alcun casi non incidere<br />
significativamente sulla qualità o quantità del sonno<br />
e generalmente si risolvono spontaneamente.<br />
Tuttavia in alcuni casi gli eventi parossistici possono<br />
essere causa di incidenti, frammentazione del sonno,<br />
o disturbi psico-fisici per il bambino e la sua famiglia.<br />
71
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Luana Nosetti, Alessandra Cristina Niespolo, Luigi Nespoli<br />
Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese<br />
Polimorfismi genetici e fattori<br />
ambientali modificabili per<br />
ridurre il rischio di SIDS<br />
Genetic polymorphisms and environmental<br />
factors to reduce SIDS risk<br />
Parole chiave: SIDS, morte improvvisa del lattante, polimorfismi genetici, fattori di rischio ambientali<br />
Keywords: SIDS, sudden infant death syndrome, genetic polymorphisms, environmental factors<br />
Riassunto. La sindrome della morte improvvisa del lattante (sudden infant death syndrome, SIDS) consiste nella morte<br />
improvvisa di un bambino al di sotto dell’anno di vita, non prevenibile in base all’anamnesi e inspiegabile anche dopo accurato<br />
esame comprendente un’autopsia completa, l’analisi della scena del decesso e la revisione della storia clinica del caso.<br />
La SIDS è da considerarsi una conseguenza estrema dell’interazione tra genetica ed ambiente. Non a caso l’introduzione di<br />
norme comportamentali ne ha ridotto notevolmente l’incidenza, che statisticamente è massima nel weekend. La storia della<br />
SIDS è molto antica ed è in continua evoluzione ed è passata dalla descrizione del fenomeno alla sua interpretazione grazie<br />
al contributo dell’epidemiologia, dell’anatomia patologica e della genetica molecolare. Purtroppo esistono ancora molti punti<br />
da chiarire. Al momento attuale le norme comportamentali per ridurre i fattori di rischio ambientali e l’identificazione precoce<br />
di lattanti a rischio sono ancora le uniche possibilità disponibili per cercare di cambiarne la storia clinica. Anche se la genetica<br />
apre nuove prospettive ezio-patogenetiche.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Dott.ssa Luana Nosetti, Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia,<br />
Università degli Studi dell’Insubria,Varese; e-mail: luana.nosetti@uninsubria.it<br />
Introduzione<br />
La sindrome della morte improvvisa del lattante<br />
(sudden infant death syndrome, SIDS) consiste nella<br />
morte improvvisa di un bambino al di sotto dell’anno<br />
di vita, non prevenibile in base all’anamnesi, e<br />
inspiegabile anche dopo accurato esame comprendente<br />
un’autopsia completa, l’analisi della scena del<br />
decesso e la revisione della storia clinica (1).<br />
La SIDS era già conosciuta nell’antichità, nel I Libro<br />
dei Re 3, 19 si dice: “il suo bambino morì schiacciato<br />
dal suo corpo”, ma solo nel 1969 venne per<br />
la prima volta definita come la morte di un bambino<br />
inaspettata ed inspiegata. Questa definizione<br />
è stata completata negli anni successivi fino ad<br />
arrivare a quella attualmente in uso. La diagnosi<br />
di SIDS è singolare in quanto non identifica una<br />
precisa causa di morte ma in verità è una diagnosi<br />
di esclusione, a cui si arriva solo dopo un’attenta<br />
analisi del caso. Solo quando si escludono tutte le<br />
possibili cause note si può usare questo termine.<br />
Epidemiologia<br />
La SIDS, è la causa più comune di mortalità infantile<br />
postneonatale, responsabile del 40%-50% di tutti<br />
i decessi dei lattanti di età compresa tra un mese ed<br />
un anno. L’incidenza annuale di SIDS varia molto<br />
nelle diverse nazioni. Negli Stati Uniti era di circa<br />
1,3-1,4/1000 nati vivi (circa 7.000 neonati/anno)<br />
prima del 1992, anno in cui l’American Academy of<br />
Pediatrics (AAP) ha raccomandato che i neonati
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS<br />
dormissero in posizione prona per ridurre il<br />
rischio di SIDS. Da allora, in particolare dopo l’inizio<br />
della campagna “Back to sleep” nel 1994, la frequenza<br />
della SIDS si è progressivamente ridotta<br />
per stabilizzarsi nel 2002 a 0,47/1000 nati vivi<br />
(2.295 neonati/anno) (2). In Italia, in uno studio<br />
effettuato nell’Italia del nord, l’incidenza è stata stimata<br />
intorno allo 0,54/1000 nati vivi nel periodo<br />
1990-2000 (3). Giappone ed Olanda hanno la più<br />
bassa incidenza di SIDS pari a 0,09-0,1/1000 nati<br />
vivi e la Nuova Zelanda ha la più alta incidenza di<br />
SIDS pari a 0,8/1000 nati vivi.<br />
Contributo della genetica molecolare<br />
Le importanti disparità nell’incidenza di SIDS nelle<br />
diverse popolazioni, nonostante l’introduzione<br />
delle norme comportamentali atte a modificare i<br />
fattori di rischio ambientali sembra legata ad una<br />
predisposizione genetica. Studiando la storia clinica,<br />
la neuropatologia e l’epidemiologia dei casi di<br />
SIDS si è riusciti ad identificare alcuni dei possibili<br />
geni che potrebbero predisporre alla SIDS. Non<br />
esiste un singolo gene della SIDS (Figura 1) ma una<br />
serie di geni associati ad alterazioni del sistema<br />
nervoso autonomo, del metabolismo e dei sistemi<br />
di conduzione cardiaca. La possibile evoluzione<br />
potrà essere legata alla disponibilità di ampi campioni<br />
su cui effettuare studi genetici, identificare<br />
caratteristiche fenotipiche tipiche e fornire informazioni<br />
sul valore predittivo dei fattori genetici<br />
>50% SIDS genuina<br />
fattori<br />
predisponenti<br />
Figura 1 Non esiste un unico gene della SIDS.<br />
~1% MCAD?<br />
stadio di<br />
sviluppo<br />
vulnerabile<br />
~3% FAO?<br />
Attivazione<br />
degli eventi<br />
identificati. Al momento attuale sono state identificate<br />
cinque categorie di geni candidati:<br />
1. geni per proteine dei canali ionici (long-QT);<br />
2. geni per trasportatori della serotonina;<br />
3. geni pertinenti lo sviluppo embrionario del<br />
Sistema Nervoso Autonomo (SNA);<br />
4. geni per metabolismo della nicotina;<br />
5. geni regolatori di infiammazione, produzione<br />
energia, ipoglicemia, termoregolazione.<br />
Geni per proteine dei canali ionici (long-QT)<br />
Schwartz e collaboratori ipotizzano una anomala<br />
ripolarizzazione cardiaca con allungamento del<br />
QT come possibile causa di SIDS; questo dato è<br />
supportato dal rilievo elettrocardiografico di un<br />
intervallo QT superiore a 440 millisecondi nel<br />
50% dei casi di SIDS contro il 2,5% rilevato in una<br />
intera coorte di 34.000 neonati. La sindrome del<br />
QT lungo (long QT syndrome, LQTS) è caratterizzata<br />
da un prolungamento patologico del QT che<br />
può provocare una torsione di punta (4). L’LQTS<br />
potrebbe essere associata ad una modificazione<br />
dei canali cardiaci del sodio e del potassio.<br />
Mutazioni nei canali ionici cardiaci costituiscano un<br />
substrato aritmogeno potenzialmente letale in<br />
alcuni neonati a rischio di SIDS. In una popolazione<br />
di 201 casi di SIDS, circa il 9,5% dei casi è risultato<br />
portatore di una variante dei geni LQTS con<br />
significato funzionale (5).Al momento attuale sono<br />
state scoperti 10 geni ritenuti responsabili di una<br />
~3% LQTS?<br />
mtDNA?<br />
?<br />
Disordine neuromuscolare<br />
~30% altri disturbi sconosciuti<br />
75
76<br />
Nosetti, et al.<br />
suscettibilità alla LQTS (Figura 2).Tra i geni identificati<br />
particolarmente interessanti sono l’LQT1 in<br />
cui stimoli scatenanti sono nuoto e esercizio fisico,<br />
l’LQT2 con stimolo scatenante uditivo e l’LQT3 in<br />
cui lo stimolo scatenante è il sonno (mutazione<br />
gain-of-function, si associa a accentuazione e persistenza<br />
della corrente Na tardiva, pro-aritmogena).<br />
In questi casi il 10%-15% delle mutazioni sono ex<br />
novo.<br />
Geni per trasportatori della serotonina (5-HT)<br />
La serotonina interviene nella regolazione della<br />
respirazione, del sistema cardiovascolare, della<br />
temperatura corporea e del ritmo sonno-veglia.<br />
Oltre a modulare l’attività dell’orologio circadiano,<br />
è il principale neurotrasmettitore del sonno non<br />
REM (non rapid eye movement). I nuclei troncoencefalici<br />
sono ampiamente interconnessi con altri<br />
nuclei del tronco e del midollo spinale e controllano:<br />
drive respiratorio, pressione sanguigna, arousal,<br />
termoregolazione. Agiscono anche come chemosensori<br />
respiratori centrali, regolano la risposta<br />
respiratoria alla ipossia episodica e, in vivo, generano<br />
il ritmo respiratorio. Numerosi casi di SIDS<br />
presentano alterazioni dei neuroni serotoninergici<br />
nel midollo allungato, sia a livello di sintesi, accumulo,<br />
captazione di membrana e metabolismo<br />
della serotonina, suggerendo una possibile correlazione<br />
tra 5-HT e SIDS. Il gene 5-HTT codifica per<br />
il trasporto della serotonina e controlla la durata<br />
e la forza delle interazioni fra 5-HT e i suoi recettori<br />
regolando il re-uptake della 5-HT(6). Sono<br />
stati identificati numerosi polimorfismi nella regione<br />
promoter del gene 5-HTT, localizzato sul cromosoma<br />
17. In particolare i polimorfismi: S (short<br />
allele) e L (long allele). Questi polimorfismi del trasportatore<br />
porterebbero a ridotte concentrazioni<br />
di serotonina a livello delle terminazioni nervose<br />
con l’allele “L”, rispetto all’allele “S”. Il genotipo L/L<br />
si associa ad un aumento dei trasportatori della<br />
serotonina negli studi di neuroimaging e negli studi<br />
di legame postmortem. Si è rilevata una associazione<br />
fra S e disturbi psichiatrici di ansietà, mentre<br />
il genotipo L/L e l’allele L sono molto più frequenti<br />
nelle vittime SIDS versus controlli. Mentre il<br />
VNTR (variable number tandem repeat) è un polimorfismo<br />
della regione 5’ regolatrice di 5-HTT che<br />
modula l’espressione del gene. Si è rilevata una<br />
associazione significativa tra SIDS e il genotipo L/L<br />
o L/S e genotipo 12/12 del VNTR negli afroamericani,<br />
non nei caucasici, ed una associazione significativa<br />
tra SIDS e il genotipo “L/12” del VNTR (7).<br />
Geni pertinenti lo sviluppo embrionario del SNA<br />
In molti casi di SIDS sono state segnalate precedenti<br />
alterazioni del SNA quali: sudorazioni profuse,<br />
temperatura corporea elevata,tachicardia<br />
seguita da bradicardia prima dell’evento, ridotta<br />
Variazioni comuni del<br />
PHOX2B<br />
repeat poliadenina in<br />
CCHS<br />
5’ Esone 1<br />
Esone 2 Esone 3<br />
3’<br />
Variazione nucleotidica: A1364G T459G T526A C552T C642T A726G G750A A762C C890A<br />
Alterazione della proteina: F153I S176T<br />
Regione di codifica<br />
Dominio Homeobox<br />
Segmento polialanina<br />
Regione dell’introne<br />
Regione non tradotta<br />
Figura 2 Rappresentazione schematica di polimorfismi identificati in 91 SIDS vs 91 controlli. CCHS, congenital central<br />
hypoventilation syndrome.
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS<br />
variabilità della frequenza cardiaca, sudorazione<br />
fredda e pallore al viso, ridotta risposta a episodi<br />
ostruttivi.Tutto questo ha indotto Weese-Mayer e<br />
collaboratori (8) a studiare i geni coinvolti nello<br />
sviluppo embrionario del SNA. Il gene PHOX2B<br />
(Figura 3) ha un ruolo chiave nello sviluppo del<br />
SNA soprattutto nelle prime fasi della vita<br />
embrionale. Esso, agendo sui geni RET e MASH1,<br />
regola la differenziazione del sistema noradrenergico.<br />
Regola anche la differenziazione in neuroni<br />
motori o colinergici nel SNC (Sistema nervoso<br />
centrale). Si è pertanto cercata una eventuale<br />
espansione della polialanina, che però è risultata<br />
normale nei casi di SIDS, mentre per i geni<br />
PHOX2B, RET, ECE1, TLX3, EN1 si sono riscontrati<br />
11 rari polimorfismi con alterazioni proteine<br />
nel 15,2% dei casi di SIDS verso il 2,2% dei controlli.<br />
Per l’esone 3 di PHOX2B si sono evidenziati<br />
8 polimorfismi nel 22% di casi di SIDS verso il<br />
12% controlli. Per l’introne 2 di PHOX2B il polimorfismo<br />
GG, GA è risultato più comune nei casi<br />
di SIDS. Nessun caso SIDS mostra espansione<br />
Fattori di rischio ambientali<br />
Dormire con faccia<br />
verso il basso<br />
o di lato<br />
Fumo<br />
Stress termico<br />
Letto soffice<br />
Figura 3 Patogenesi della SIDS.<br />
Diminuita<br />
regolazione<br />
autonomica<br />
SIDS<br />
polialanina, pertanto CCHS e SIDS hanno meno<br />
sovrapposizioni rispetto a quanto ipotizzato in<br />
passato (8). Tuttavia poiché taluni polimorfismi<br />
sono più comuni nei casi di SIDS, potrebbe essere<br />
verosimile che questi da soli o in associazione con<br />
altri polimorfismi soprattutto di RET, possano rappresentare<br />
un rischio aumentato di SIDS.<br />
Geni per metabolismo della nicotina<br />
Poiché il rischio SIDS è aumentato di 2-4 volte<br />
nei figli di madre che avevano fumato in gravidanza<br />
e la nicotina è teratogena per il SNC del<br />
feto, si è pensato che alterazioni dei geni che<br />
controllano il suo metabolismo potessero essere<br />
presenti in casi di SIDS. Si è ipotizzato che potessero<br />
esistere alterazioni nei geni che presiedono<br />
alla detossificazione degli idrocarburi aromatici<br />
policiclici (PAH) contenuti nel fumo di tabacco al<br />
punto di renderli più vulnerabili alla SIDS. Il citocromo<br />
P-450 entra nel primo passaggio di detossificazione<br />
che trasforma i composti da idrofabici<br />
a idrosolubili.<br />
Fattori di rischio genetico<br />
5-HTT<br />
polimorfismo<br />
ANS<br />
polimorfismo<br />
Patologia cardiaca<br />
del canale ionico<br />
Complemento<br />
o polimorfismo<br />
dell’interleuchina<br />
77
78<br />
Nosetti, et al.<br />
La glutatione S-transferasi o la uridin-difosfo-glucoronosiltransferasi<br />
intervengono nella fase<br />
seconda di escrezione dei composti detossificati.<br />
Ma non si sono riscontrate associazioni fra SIDS e<br />
polimorfismi dei geni di questi enzimi (9). Sono<br />
necessarie pertanto ulteriori indagini.<br />
Geni regolatori di: infiammazione, produzione<br />
energia, ipoglicemia, termoregolazione<br />
Nei lattanti colpiti da SIDS, inoltre, sono state<br />
riportate alterazioni del gene della frazione C4<br />
del complemento, in quanto quelli che prima<br />
della morte soffrivano di infezioni lievi delle vie<br />
respiratorie superiori avevano maggiori probabilità<br />
di presentare una delezione sia del gene<br />
C4A, sia del C4B, rispetto alle vittime della SIDS<br />
senza infezioni o rispetto ai controlli viventi.<br />
Questi dati suggeriscono che delezioni parziali<br />
del gene C4, se associate a una infezione lieve<br />
delle vie respiratorie superiori aumentino il<br />
rischio di SIDS.<br />
Nelle vittime di SIDS è stato inoltre segnalato un<br />
polimorfismo nella regione promoter del gene<br />
dell’IL-10, una citochina antinfiammatoria. La<br />
morte improvvisa del lattante era fortemente<br />
associata al genotipo dell’IL-10, sia con l’aplotipo<br />
ATA, sia con la presenza degli alleli-592*A e -<br />
592*C. Questi polimorfismi dell’IL-10 si associano<br />
a ridotti livelli di IL-10 e possono quindi contribuire<br />
alla SIDS, ritardando l’inizio della produzione<br />
di anticorpi protettivi o per una ridotta<br />
capacità di inibire la produzione di citochine<br />
infiammatorie (10).<br />
Una causa non comune di SIDS è legata a mutazioni<br />
del gene TSPYL (Testis-Specific Y- Like), che<br />
causano anche disgenesia testicolare (11). Per<br />
quanto riguarda la presenza di alterazioni dei geni<br />
che regolano metabolismo e termoregolazione si<br />
sono studiati i polimorfismi della glucochinasi e<br />
della glucoso-6-fosfatasi, ma non si è potuto dimostrare<br />
un rapporto con la SIDS, nonostante statisticamente<br />
sia dimostrato un maggior rischio in<br />
lattanti prematuri e con basso peso alla nascita<br />
maggiormente soggetti a ipoglicemie.<br />
Interazioni tra geni ed ambiente<br />
Il rischio reale di SIDS, nei singoli lattanti, è determinato<br />
da complesse interazioni tra fattori di<br />
rischio genetici e ambientali. Potrebbe inoltre<br />
esservi un legame tra fattori di rischio modificabili,<br />
come l’uso di coperte soffici, la posizione prona<br />
nel sonno e lo stress termico, e i fattori di rischio<br />
genetici come le anomalie ventilatorie o del risveglio<br />
e i difetti di regolazione della temperatura o<br />
del metabolismo.<br />
La SIDS è da considerarsi una conseguenza estrema<br />
dell’interazione tra genetica ed ambiente. Non<br />
a caso l’introduzione di norme comportamentali<br />
ne ha ridotto notevolmente l’incidenza. Al<br />
momento attuale le norme comportamentali per<br />
ridurre i fattori di rischio ambientali e l’identificazione<br />
precoce di lattanti a rischio sono ancora le<br />
uniche possibilità disponibili per cercare di cambiarne<br />
la storia clinica.<br />
Fattori di rischio ambientali<br />
In Europa è stato effettuato lo studio European<br />
Concerted Action on SIDS (ECAS) in cui sono<br />
stati valutati 745 casi clinici di SIDS e 2.411 controlli<br />
nel periodo compreso tra settembre 1992 e<br />
aprile 1996 in 20 centri europei (12). Questo studio<br />
ha consentito di identificare i fattori di rischio<br />
più comunemente associati alla SIDS quali posizione<br />
prona nel sonno, madre fumatrice, eccessiva<br />
copertura del bambino, basso peso alla nascita,<br />
gravidanze multiple, madre di età inferiore ai 18<br />
anni. Sono stati anche identificati dei possibili fattori<br />
protettivi quali la condivisione della camera<br />
con i genitori ma non del letto e l’utilizzo del succhiotto.<br />
Nell’ultimo decennio si è registrata una<br />
diminuzione di oltre il 50% dell’incidenza di SIDS<br />
negli Stati Uniti e nel mondo, che può essere almeno<br />
in parte attribuita alle campagne informative<br />
volte a ridurre i principali fattori di rischio associati<br />
con questa sindrome come appunto la posizione<br />
prona nel sonno, l’eccessiva copertura e l’esposizione<br />
a fumo passivo.<br />
Fattori di rischio non modificabili<br />
I soggetti più a rischio di andare incontro a SIDS<br />
sono quelli di circa 2-4 mesi e la maggior parte dei<br />
decessi si è verificata entro i 6 mesi di vita.<br />
La predominanza stagionale invernale, di comune<br />
osservazione nella SIDS, si è ridotta insieme alla<br />
riduzione della posizione prona in alcune nazioni<br />
come la Gran Bretagna. I neonati maschi hanno il<br />
30%-50% di probabilità in più di SIDS, rispetto alle<br />
femmine. Vi è una massima incidenza dei casi di<br />
SIDS nel fine settimana (13).
Fattori di rischio modificabili<br />
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS<br />
Posizione nel sonno<br />
Le raccomandazioni attuali consigliano la posizione<br />
supina nel sonno per tutti neonati.<br />
È stato dimostrato che il sonno in posizione<br />
prona aumenta il rischio di SIDS. Il rischio di SIDS<br />
potrebbe essere più elevato nei neonati che abitualmente<br />
non dormono proni, ma che vengono<br />
messi in questa posizione nell’ultimo sonno<br />
(“proni non abituati”) o che vengono trovati<br />
proni (“proni secondari”). La posizione dei “proni<br />
non abituati” si verifica con maggiore probabilità<br />
durante l’assistenza diurna o in altri momenti di<br />
assistenza fuori casa; si sottolinea quindi la necessità<br />
di istruire tutti coloro che si prendono cura<br />
del lattante sulle posture appropriate durante il<br />
sonno.<br />
I neonati che dormono distesi sul fianco hanno<br />
una probabilità doppia di morire di SIDS, rispetto<br />
a quelli che dormono supini. Questo aumento<br />
del rischio può essere correlato con la relativa<br />
instabilità della posizione, che porta alcuni neonati<br />
distesi su un fianco a rotolare in posizione<br />
prona.<br />
L’eccessiva copertura del bambino<br />
In passato era frequente ritrovare casi di SIDS con<br />
indumenti che coprivano loro il volto, tanto che si<br />
pensava che fossero morti soffocati nel sonno.<br />
Circa il 20% delle vittime di SIDS sono state trovate<br />
con una coperta sopra la testa, con una frequenza<br />
dieci volte maggiore dei controlli di età<br />
corrispondente e significativamente più alta anche<br />
considerando la presenza contemporanea di altri<br />
fattori di rischio.<br />
L’esposizione a fumo di sigaretta<br />
Il fumo materno è attualmente il più importante<br />
fattore di rischio per la SIDS dopo le campagne<br />
informative che hanno spinto a modificare la posizione<br />
nel sonno del bambino e l’eccessiva copertura.<br />
Il consiglio sulla riduzione dell’esposizione al<br />
fumo passivo è quello che ha avuto una minor<br />
presa sulla famiglia (14). Esiste una forte associazione<br />
tra esposizione al fumo di sigaretta sia<br />
intrauterina che dopo la nascita (15, 16) e il rischio<br />
di SIDS. L’incidenza di SIDS risulta circa 3 volte<br />
maggiore nei figli delle fumatrici, negli studi condotti<br />
prima della campagna per la riduzione della<br />
SIDS negli Stati Uniti e 5 volte maggiore in quelli<br />
successivi. Il rischio di morte aumenta progressivamente<br />
con l’aumento del consumo quotidiano<br />
di sigarette. Esiste una risposta dose-dipendente<br />
per il numero di familiari che fumano, per<br />
il numero di persone che fumano nella stessa<br />
stanza in cui si trova il lattante e per il numero di<br />
sigarette fumate.<br />
Un aumento del rischio di SIDS si osserva anche<br />
nei lattanti la cui madre ha cominciato a fumare<br />
solo dopo il parto.<br />
Consumo di droga e alcool<br />
La maggior parte degli studi ha stabilito una correlazione<br />
tra l’abitudine della madre di consumare<br />
sostanze stupefacenti durante la gravidanza e un<br />
aumentato rischio di SIDS. Non è stata trovata<br />
alcuna associazione tra il consumo materno di<br />
alcool (in epoca prenatale o postnatale) e la SIDS.<br />
I fratelli dei lattanti con la sindrome alcolica fetale<br />
hanno, però, un rischio dieci volte maggiore di<br />
andare incontro a SIDS, rispetto ai controlli.<br />
Fattori correlati alla gestazione<br />
Numerosi fattori ostetrici si associano a un<br />
aumento del rischio di SIDS. I lattanti colpiti da<br />
SIDS hanno spesso un ordine di nascita più alto, a<br />
prescindere dall’età materna e sono nati da gestazioni<br />
dopo brevi periodi intergestazionali. Le madri<br />
di neonati colpiti da SIDS ricevono generalmente<br />
meno cure prenatali e in una fase più avanzata<br />
della gravidanza. Sono inoltre fattori di rischio il<br />
basso peso alla nascita, la nascita pretermine e una<br />
crescita intrauterina e postnatale più lenta.<br />
Ambiente del sonno del neonato<br />
I materassi vecchi e troppo soffici, i cuscini imbottiti<br />
o la biancheria da letto più morbida si associano<br />
a un più alto rischio di SIDS, come pure le trapunte<br />
pesanti che possono finire per coprire la<br />
testa e il viso del lattante. Anche il surriscaldamento<br />
rappresenta un fattore di rischio, in base a indicatori<br />
come temperatura ambiente più alta, elevata<br />
temperatura corporea, sudorazione ed eccesso<br />
di vestiti o coperte.<br />
Diversi studi hanno indicato la condivisione del<br />
letto come un fattore di rischio per la SIDS, in particolare<br />
nei lattanti fino a 3 mesi di età. Questa abitudine<br />
è particolarmente rischiosa quando altri<br />
bambini dormono nello stesso letto, quando il<br />
genitore dorme con un neonato su un divano o su<br />
79
80<br />
Nosetti, et al.<br />
un’altra superficie di appoggio morbida o ristretta,<br />
e per i neonati di età inferiore ai 4 mesi. Il rischio<br />
risulta aumentato anche in caso di condivisione del<br />
letto di durata prolungata o per tutta la notte.<br />
Vi sono sempre più evidenze, invece, che la condivisione<br />
della stanza, ma non del letto, si associ a<br />
una minor frequenza di SIDS; sembra che per i lattanti<br />
il posto più sicuro in cui dormire sia il loro<br />
lettino, soprattutto se collocato nella stanza dei<br />
genitori (17).<br />
Modalità di alimentazione dei lattanti<br />
Numerosi studi hanno dimostrato un effetto protettivo<br />
dell’allattamento al seno che però non è<br />
presente dopo aggiustamento per fattori potenzialmente<br />
confondenti. Se ne deduce che l’allattamento<br />
al seno sia un marcatore di uno stile di vita<br />
o di uno stato socioeconomico, più che rappresentare<br />
un fattore indipendente. Sebbene i benefici<br />
di questa pratica siano molteplici, non si dispone<br />
di dati sufficienti per raccomandarla come strategia<br />
atta a ridurre il rischio di SIDS.<br />
Uso del succhiotto<br />
L’uso del succhiotto riduce il rischio di SIDS nella<br />
maggior parte degli studi.<br />
Sebbene non sia noto se questo sia un effetto<br />
diretto del succhiotto stesso o di comportamenti<br />
associati dal lattante o dei genitori, vi sono sempre<br />
più prove che l’uso del succhiotto possa far sì che<br />
il lattante si risvegli più facilmente durante il sonno<br />
e anteriorizzi la posizione della lingua nel sonno<br />
(18). Le Linee Guida più recenti dell’American<br />
Academy of Pediatrics raccomandano l’uso del<br />
succhiotto dopo l’inizio dell’allattamento al seno.<br />
Non è emersa alcuna associazione tra le vaccinazioni<br />
e la SIDS. I neonati colpiti da SIDS hanno<br />
minori probabilità di essere stati vaccinati, rispetto<br />
ai controlli, e in quelli vaccinati, non è stata identificata<br />
alcuna correlazione temporale tra la somministrazione<br />
dei vaccini e la morte. Occorre quindi<br />
rassicurare i genitori che le vaccinazioni non comportano<br />
alcun rischio di SIDS.<br />
Gruppi di lattanti ad aumentato rischio<br />
di SIDS<br />
Eventi ad alto rischio per la vita<br />
I neonati con un evento apparentemente a rischio<br />
per la vita (apparent life-threatening event, ALTE)<br />
sono a maggior rischio di SIDS. Un’anamnesi di<br />
ALTE idiopatica è stata riportata nel 5%-9% delle<br />
vittime di SIDS, e il rischio sembra maggiore se gli<br />
eventi inspiegati sono due o più; tuttavia, non sono<br />
disponibili dati definitivi sull’incidenza. Rispetto ai<br />
soggetti sani di controllo, il rischio di SIDS può<br />
essere da 3 a 5 volte maggiore nei lattanti che<br />
hanno una storia di ALTE (19).<br />
Fratelli di una vittima della SIDS,<br />
nati successivamente<br />
I fratelli di un lattante deceduto per qualsiasi causa<br />
naturale non infettiva sono a rischio significativamente<br />
maggiore di morte neonatale dovuta alla<br />
stessa causa, compresa la SIDS. Il rischio relativo è<br />
di 9,1 per la recidiva di SIDS, rispetto all’1,6 per<br />
una causa di morte diversa.<br />
L’aumentato rischio, nelle famiglie con casi di SIDS,<br />
è compatibile con l’interazione di fattori di rischio<br />
genetici ed ambientali.<br />
In passato alcuni operatori sanitari hanno affermato<br />
che solo l’omicidio tende a ricorrere nelle famiglie<br />
e che tutti i casi successivi di morte infantile<br />
inaspettata devono essere indagati come possibili<br />
omicidi. Esistono dati sostanziali a riprova che fattori<br />
genetici ed ambientali concorrono ad aumentare<br />
il rischio di SIDS ricorrente in alcune famiglie.<br />
La percentuale dei casi di morte infantile ricorrente<br />
da SIDS, nei fratelli, è 5-9 volte maggiore rispetto<br />
alla percentuale dei probabili omicidi.<br />
Prematurità<br />
Molti studi hanno identificato una correlazione<br />
inversa tra il rischio di SIDS da una parte, e l’età<br />
gestazionale e il peso alla nascita dall’altra. I fattori<br />
di rischio ambientali, nei neonati pretermine, non<br />
sono sostanzialmente diversi da quelli osservati<br />
nei neonati a termine. Rispetto ai neonati con<br />
peso alla nascita superiore a 2.500 g, i neonati con<br />
peso alla nascita di 1.000-1.499 g e 1.500-2.499 g<br />
hanno rispettivamente 4 e 3 volte più probabilità<br />
di morire per SIDS.<br />
Conclusioni<br />
La SIDS è la conseguenza dell’interazione tra<br />
genetica ed ambiente. L’ipotesi del “triplice rischio”<br />
ritiene infatti la SIDS il risultato di un insulto finale<br />
o meglio fatale che va ad agire su un bambino, in<br />
una fase critica di sviluppo, intrinsecamente vulnerabile<br />
sia su base genetica che per fattori esterni
Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS<br />
ambientali. Questa ipotesi è stata proposta in varie<br />
forme da numerosi Autori negli ultimi 15 anni<br />
(20). I recenti sviluppi dettati dalle conoscenze di<br />
fattori ambientali, immunologici, genetici e fisiologici<br />
del bambino e riconoscimento delle modificazioni<br />
di tutti questi sistemi nei primi mesi di vita<br />
supportano il modello del triplice rischio come<br />
causa della morte inaspettata ed inattesa di un lattante<br />
apparentemente sano. Si auspica che la comprensione<br />
della sua patogenesi consenta una riduzione<br />
del numero di casi SIDS.<br />
81
82<br />
Nosetti, et al.<br />
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Ahmad Kantar1, Luigi Terracciano2, Alessandro Fiocchi2, Giovanni Rossi3 1Centro di Diagnosi, Cura e Riabilitazione dell’Asma Infantile, Istituto Pio XII, Misurina (BL);<br />
2Melloni Pediatra, Ospedale “Fatebenefratelli - Melloni”, Milano; 3U.O.C. di Pneumologia,<br />
IRCCS “Giannina Gaslini”, Genova<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione:<br />
non tutti nascono uguali<br />
Inhaled corticostroids:<br />
not all are born the same way<br />
Parole chiave: corticosteroidi per inalazione, aerosol, nebulizzazione<br />
Keywords: inhaled corticosteroids, aerosol, nebulisation<br />
Raggiungere i polmoni con un aerosol<br />
terapeutico<br />
Un aerosol è costituito da particelle liquide o solide<br />
sospese in un gas che funge da agente veicolante.<br />
La somministrazione di farmaci per via inalatoria<br />
costituisce uno strumento importante nel<br />
repertorio terapeutico dei pediatri che si occupano<br />
della cura e della gestione dei bambini asmatici.<br />
La somministrazione dei farmaci nebulizzati<br />
direttamente ai polmoni offre vantaggi innegabili:<br />
una maggior concentrazione del farmaco, una<br />
deposizione mirata nelle vie aeree con conseguente<br />
aumento dell’efficacia e riduzione degli<br />
effetti avversi sistemici. Alcuni farmaci inoltre sono<br />
Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 83-102<br />
Riassunto. Il razionale della terapia inalatoria si basa sulla possibilità di portare un’appropriata quantità di farmaco in corrispondenza<br />
del suo sito d’azione (recettori) nelle vie respiratorie senza esporre al farmaco zone non interessate dal processo<br />
patologico; ciò consente elevata efficacia terapeutica con dosi sostanzialmente ridotte di farmaco e minima possibilità di effetti<br />
collaterali. La realizzazione dei risultati attesi dalla terapia è condizionata da tre fattori principali: il device, il paziente e il farmaco.<br />
Questi tre fattori devono essere alla base di ogni scelta della terapia inalatoria.<br />
La nebulizzazione è uno tra i modi più antichi per la somministrazione dei farmaci. Sebbene i nebulizzatori attualmente impiegati<br />
non abbiano subito, nell’ultimo secolo, radicali trasformazioni, le innovazioni tecniche ne hanno migliorato le prestazioni. Oggi<br />
sono a nostra disposizione un gran numero di farmaci e apparecchi tecnologicamente avanzati per la nebulizzazione. Nonostante<br />
questo, la terapia inalatoria per nebulizzazione è ancora oggi di fatto un trattamento empirico e, pur in presenza di evidenza di<br />
efficacia clinica, molti fattori risultano poco studiati. Ad esempio, la compatibilità tra farmaco e nebulizzatore, il comportamento<br />
del farmaco nel nebulizzatore e l’effetto della modalità di inalazione e il pattern respiratorio del paziente. La scelta di una formulazione<br />
di steroidi inalatori per la nebulizzazione dovrebbe indagare principalmente l'idrosolubilità come fattore determinante<br />
dell’output del farmaco. Senza informazioni sul diametro aerodinamico di massa mediano e sulla percentuale di particelle<br />
respirabili erogate, la dose inalata rimane ignota e il risultato degli studi clinici può essere interpretato impropriamente.<br />
Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009.<br />
Corrispondenza: Dott. Ahmad Kantar, Centro di Diagnosi, Cura e Riabilitazione dell’Asma Infantile, Istituto Pio XII,<br />
Misurina (BL); e-mail kantar@tin.it<br />
terapeuticamente efficaci solo se inalati (per<br />
esempio la maggior parte degli steroidi inalatori) e<br />
la somministrazione di farmaci mediante aerosol è<br />
conveniente e indolore.<br />
Per contro, uno degli svantaggi più importanti della<br />
terapia aerosolica consiste nella necessità di tecniche<br />
inalatorie specifiche per l’utilizzo corretto dei<br />
dispositivi attualmente disponibili: una tecnica inalatoria<br />
non ottimale determina una diminuita<br />
deposizione di farmaco nelle vie aeree e una<br />
potenziale riduzione di efficacia del trattamento.<br />
La proliferazione di questi dispositivi ha moltiplicato<br />
83
84<br />
Kantar, et al.<br />
e confuso le possibili scelte da parte del medico:<br />
ciò, oltre ad essere fuorviante, può indurre in confusione<br />
sia il medico che il paziente relativamente<br />
al loro corretto utilizzo.<br />
È di fondamentale rilevanza saper identificare le<br />
dosi effettive di farmaco che raggiungono i polmoni,<br />
la distribuzione regionale, e le modalità con<br />
le quali queste variabili possono essere influenzate<br />
dall’ostruzione delle grandi e piccole vie aeree. Il<br />
successo della terapia aerosolica dipende principalmente<br />
dalla possibilità che una dose adeguata<br />
di farmaco raggiunga i recettori specifici del tratto<br />
respiratorio (1).<br />
Se a livello polmonare giunge una dose di farmaco<br />
sufficiente a ottenere una risposta clinica adeguata,<br />
questi dispositivi possono essere considerati<br />
soddisfacenti. Tuttavia rimane una significativa<br />
quantità di farmaco inutilizzata che non riveste<br />
alcun ruolo nel miglioramento clinico e che, anzi,<br />
può essere causa di effetti avversi. La sfida è quella<br />
di far giungere il farmaco inalato esclusivamente<br />
ai recettori polmonari specifici, in modo da ottimizzare<br />
la risposta terapeutica e minimizzare i<br />
potenziali effetti avversi.<br />
Le caratteristiche fisiche ottimali dell’aerosol e i<br />
profili di somministrazione al paziente necessitano<br />
di essere definitivamente stabiliti per ciascuna<br />
classe di farmaci inalatori; la terapia aerosolica<br />
deve inoltre essere adattata alla malattia respiratoria<br />
e al suo grado di severità, alla sede predominante<br />
del processo patologico nelle vie aeree e<br />
all’età del paziente.<br />
Per esempio, gli steroidi inalatori agiscono sui recettori<br />
per i glicocorticoidi localizzati in tutto l’albero<br />
bronchiale: una maggiore deposizione polmonare, se<br />
appropriatamente indirizzata alle vie aeree, dovrebbe<br />
portare ad un maggior beneficio clinico (2).<br />
Per massimizzare la risposta terapeutica è fondamentale<br />
indirizzare il farmaco a specifiche regioni<br />
delle vie aeree: per esempio utilizzando i β 2 -agonisti<br />
è fondamentale che la deposizione avvenga<br />
nelle vie aeree, anziché a livello alveolare. Usmani,<br />
et al. hanno recentemente dimostrato che particelle<br />
di salbutamolo di diametro maggiore, se correttamente<br />
somministrate, inducono una maggior<br />
broncodilatazione rispetto alle particelle più piccole,<br />
in quanto si verifica una migliore corrispondenza<br />
tra la distribuzione intrapolmonare e la<br />
muscolatura liscia delle vie aeree (3).<br />
Gli Autori hanno inoltre dimostrato che la distribuzione<br />
regionale nelle vie aeree dei β 2 -agonisti è<br />
importante nel modulare la risposta broncodilatatrice<br />
e che, modificando la deposizione intrapolmonare<br />
mediante la variazione di diametro delle<br />
particelle, è possibile ottimizzare la deposizione<br />
del farmaco inalato.<br />
Nella valutazione della dinamica d’inalazione di un<br />
aerosol, i parametri in vivo importanti da considerare<br />
sono la dose totale che viene erogata al<br />
paziente (una misura dell’esposizione globale del<br />
corpo al farmaco e quindi della sicurezza) e il pattern<br />
di deposizione della dose inalata nelle vie<br />
aeree (una misura della quantità di farmaco distribuita<br />
sia ai siti farmacologicamente attivi che a<br />
quelli non attivi e quindi una misura di sicurezza ed<br />
efficacia). Il primo di questi parametri può essere<br />
misurato in vitro con delle semplici tecniche di filtraggio:<br />
queste misurazioni però non sempre sono<br />
validamente predittive in vivo poiché il pattern<br />
respiratorio e i picchi di flusso possono influenzare<br />
significativamente l’inalazione dell’aerosol.<br />
Ottenere delle stime più realistiche della dose<br />
erogata può essere molto più complesso di quanto<br />
si possa prevedere.<br />
Il secondo parametro, la deposizione e la distribuzione<br />
nelle vie aeree dell’aerosol inalato può, per<br />
definizione, essere determinato solo in vivo: i test<br />
di laboratorio in vitro devono quindi utilizzare una<br />
misurazione sostitutiva.<br />
I pattern di deposizione nelle vie aeree umane<br />
sono regolati da tre fattori principali: la geometria<br />
delle vie aeree, la distribuzione dimensionale aerodinamica<br />
delle particelle e il flusso inspiratorio del<br />
paziente. La prima variabile è una caratteristica<br />
strettamente intrinseca del paziente e, sebbene<br />
importante, non è correlata al sistema di generazione<br />
dell’aerosol. Le altre due variabili, invece,<br />
possono essere caratteristiche legate sia alla formulazione<br />
sia al dispositivo di erogazione: il diametro<br />
delle particelle -perché l’aerosol che viene<br />
inalato è generato dal dispositivo, e il profilo inspiratorio<br />
- perché può essere influenzato dalle<br />
caratteristiche di resistenza di un dispositivo. Tra<br />
questi due fattori, il diametro aerodinamico delle<br />
particelle è rappresentativo per la deposizione, ma<br />
devono sempre essere presi in considerazione l’effetto<br />
del dispositivo sulle modalità d’inalazione e<br />
l’aerodinamica dell’aerosol nelle vie aeree.<br />
Solitamente la terapia aerosolica si avvale di aerosol<br />
polidispersi, mentre gli aerosol monodispersi<br />
non sono comunemente disponibili. Per questi ultimi<br />
la deposizione è identica in relazione sia alla
massa che al numero di particelle inspirate, ma la<br />
questione è differente per gli aerosol polidispersi.<br />
La deposizione regionale delle particelle polidisperse<br />
può essere ottenuta dividendo la distribuzione<br />
di massa polidispersa in frazioni monodisperse,<br />
calcolando la distribuzione regionale di ciascuna<br />
frazione e sommando i valori per ciascuna regione.<br />
Il diametro aerodinamico di massa mediano (mass<br />
median aerodynamic diameter, MMAD) viene utilizzato<br />
per descrivere un aerosol polidisperso come<br />
quello prodotto dalla maggior parte dei dispositivi<br />
per la generazione di aerosol utilizzati nella pratica<br />
clinica. Il diametro aerodinamico di massa mediano è<br />
la dimensione delle particelle al di sopra e al di sotto<br />
della quale si distribuisce il 50% della massa delle<br />
particelle: più è alto questo parametro e maggiore è<br />
il numero di particelle con diametro superiore.<br />
Le particelle di aerosol con diametro tra 1 e 5 µm<br />
raggiungono le vie aeree più periferiche del polmone.<br />
Con un diametro maggiore di 3 µm si verifica<br />
il viraggio della deposizione polmonare dalla<br />
periferia alle vie aeree centrali. La deposizione orofaringea<br />
aumenta quando si supera una dimensione<br />
delle particelle di 6 µm, mentre la perdita espiratoria<br />
è elevata per le particelle di diametro inferiore<br />
a 1 µm. Questi dati sono strettamente riferiti<br />
alle particelle trasportate dal flusso d’aria inspirata<br />
a volume corrente, mentre, quando le particelle<br />
sono erogate da un dispositivo di inalazione pressurizzato<br />
(pMDI) o da dispositivi a polvere secca<br />
(DPI), la loro velocità è decisamente superiore<br />
rispetto alla velocità dell’aria inspirata, pertanto<br />
solo una piccola frazione della massa (frazione non<br />
balistica) sfugge alla deposizione inerziale nell’orofaringe<br />
e penetra nella trachea. La frazione della<br />
massa di particelle depositate in orofaringe (frazione<br />
balistica) può essere determinata sperimentalmente:<br />
essa comprende oltre il 50% della massa<br />
rilasciata dai dispositivi d’inalazione.<br />
Un aerosol terapeutico può ottenersi mediante<br />
atomizzazione pneumatica, ultrasonica, idraulica o<br />
elettrostatica, mediante dispersione di polvere<br />
secca o dispersione in un propellente a vaporizzazione<br />
istantanea. Ciascuno di questi processi ha<br />
aspetti peculiari che devono essere considerati<br />
quando si tenta di prevedere la deposizione polmonare<br />
degli aerosol generati dai dispositivi che<br />
impiegano queste tecniche. Lo stato fisico delle<br />
particelle può essere liquido, solido, in soluzione o<br />
in sospensione. Molti aerosol sono intrinsecamente<br />
instabili dal punto di vista fisico poiché soggetti<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
ad evaporazione, espansione, attrazione o repulsione<br />
reciproca, specialmente a causa del passaggio<br />
dalle condizioni ambientali del dispositivo di<br />
generazione a quelle del tratto respiratorio, con<br />
conseguenti gradienti di temperatura e umidità.<br />
Il pattern di deposizione delle particelle inalate<br />
può essere espresso come funzione di tre classi di<br />
variabili: le caratteristiche dell’aerosol, i parametri<br />
ventilatori e la morfologia del tratto respiratorio.<br />
L’efficienza dei differenti meccanismi di deposizione<br />
(impatto inerziale, sedimentazione e diffusione)<br />
possono essere, di volta in volta, formulati nei termini<br />
di queste variabili.<br />
Conseguentemente, attraverso la comprensione<br />
dei ruoli legati ai rispettivi fattori di deposizione, il<br />
personale medico può prevedere la deposizione<br />
del farmaco nei polmoni: ad esempio, nelle regioni<br />
superiori dell’albero tracheobronchiale la deposizione<br />
delle particelle di grosse dimensioni è principalmente<br />
attribuita all’impatto inerziale, mentre<br />
nelle vie aeree più periferiche può essere ascritta<br />
principalmente alla sedimentazione e alla diffusione.<br />
La deposizione dovuta all’impatto inerziale può<br />
essere aumentata nelle vie aeree superiori aumentando<br />
la velocità del flusso inspiratorio o, al contrario,<br />
si può promuovere la deposizione nelle vie<br />
aeree periferiche mediante la sedimentazione,<br />
aumentando la durata della pausa post-inspiratoria<br />
(il tempo in cui viene trattenuto il respiro alla<br />
fine dell’inspirazione). Si potrebbero ottenere<br />
benefici distinti se i farmaci inalati potessero essere<br />
depositati selettivamente.<br />
Nella pratica clinica è spesso necessario somministrare<br />
dosi massicce all’intero polmone per indurre<br />
una risposta terapeutica adeguata; se, invece,<br />
potessimo indirizzare i farmaci a siti specifici<br />
potremmo eliminare gli effetti avversi secondari<br />
alla quantità di farmaco che si deposita al di fuori<br />
della sede desiderata. Se i farmaci fossero mirati, lo<br />
spreco (sovradosaggio polmonare per portare<br />
una quantità utile alla sede desiderata) potrebbe<br />
essere minimizzato, se non del tutto eliminato,<br />
migliorando così il rapporto costo-beneficio del<br />
trattamento.<br />
Linee Guida per la scelta dei<br />
dispositivi<br />
I dispositivi per inalazione utilizzati nella gestione<br />
dell’asma possono essere classificati in: nebulizzatori,<br />
inalatori predosati pressurizzati (pMDI), pMDI<br />
85
86<br />
Kantar, et al.<br />
con distanziatori o camere d’inalazione munite di<br />
valvole (valve holding chamber, VHC) e inalatori a<br />
polvere secca (DPI).<br />
Un problema clinico comune è: quale dispositivo<br />
occorre utilizzare con un determinato farmaco<br />
per uno specifico paziente?<br />
Ci sono vantaggi e svantaggi per ciascun tipo di<br />
dispositivo. Le metanalisi recenti sulla selezione dei<br />
sistemi di erogazione di aerosol per l’asma acuto<br />
hanno concluso che il dosaggio inalato di β 2 -agonisti<br />
short acting erogati da un nebulizzatore o da<br />
un pMDI con VHC, è sostanzialmente equivalente<br />
(4-6). La più esauriente revisione sistematica basata<br />
sull’evidenza è stata pubblicata da Dolovich e<br />
collaboratori (4). Questi Autori hanno revisionato<br />
gli studi sui pMDI (con e senza VHC) e i DPI per<br />
la somministrazione di β 2 -agonisti, anticolinergici e<br />
steroidi inalatori in diverse situazioni cliniche<br />
(dipartimenti di emergenza, terapie intensive,<br />
pazienti ricoverati e pazienti ambulatoriali) e in differenti<br />
categorie di pazienti (BPCO, asmatici adulti<br />
e bambini).<br />
Nella review sono stati inclusi solo studi randomizzati<br />
controllati nei quali lo stesso farmaco era stato<br />
somministrato con dispositivi differenti. Il risultato<br />
della revisione è che ciascun dispositivo può funzionare<br />
ugualmente bene in diverse situazioni cliniche,<br />
ammesso che i pazienti siano in grado di utilizzare<br />
i dispositivi in maniera appropriata. Queste<br />
conclusioni non devono però essere fraintese: la<br />
scelta del dispositivo non è irrilevante, al contrario,<br />
lo studio sottolinea quanto sia fondamentale il<br />
corretto utilizzo dei diversi dispositivi. Si tratta di<br />
una affermazione importante perché, nella maggior<br />
parte degli studi, specialmente se condotti su<br />
pazienti ambulatoriali, si selezionano pazienti capaci<br />
di utilizzare ciascun dispositivo con la tecnica<br />
appropriata o comunque i pazienti vengono addestrati<br />
e istruiti sull’uso dei dispositivi.<br />
Gli studi randomizzati valutati nella review di<br />
Dolovich e collaboratori non forniscono molte<br />
indicazioni per prevedere pazienti abbiano buone<br />
probabilità di utilizzare correttamente un dispositivo<br />
piuttosto che un altro, e non prendono in<br />
considerazione molti altri aspetti che sono importanti<br />
nella scelta del dispositivo di erogazione per<br />
uno specifico paziente, in una specifica situazione<br />
clinica (capacità del paziente di utilizzare il device,<br />
preferenze del paziente, disponibilità e costo del<br />
dispositivo). Ci sono situazioni cliniche in cui la<br />
selezione è determinata principalmente dalle<br />
caratteristiche del paziente; per esempio i lattanti<br />
ed i bambini più piccoli molto probabilmente non<br />
sono in grado di utilizzare un pMDI (senza VHC)<br />
o un DPI. Ci sono, inoltre, pochi studi randomizzati<br />
controllati sull’uso di pMDI senzaVHC nei dipartimenti<br />
di emergenza, poiché molti medici credono<br />
che la dispnea grave vissuta dai pazienti asmatici<br />
in questa situazione clinica, possa impedire loro<br />
un corretto utilizzo del dispositivo. La review non<br />
comprende studi che abbiano confrontato dispositivi<br />
dello stesso tipo (ad esempio nebulizzatori o<br />
VHC di diversi produttori). I nebulizzatori e le<br />
VHC hanno diversi tassi di erogazione dei farmaci<br />
in relazione sia al tipo di device che al farmaco. La<br />
review posiziona tutti i dispositivi sullo stesso livello<br />
di efficacia sebbene diversi studi abbiano dimostrato<br />
significative differenze tra dispositivi della<br />
stessa categoria.<br />
Barry e O’Callaghan hanno messo in evidenza differenze<br />
significative nell’erogazione di salbutamolo<br />
con diverse categorie di nebulizzatori e anche tra<br />
nebulizzatori apparentemente della stessa categoria<br />
(7). Dati analoghi sono stati riportati anche da<br />
Rau e collaboratori (8). Un andamento parallelo è<br />
stato descritto recentemente riguardo le differenze<br />
nell’erogazione di salbutamolo con differenti<br />
combinazioni di pMDI-VHC (9). Questi dati focalizzano<br />
l’attenzione sull’assioma che afferma la diseguaglianza<br />
dei dispositivi appartenenti alla stessa<br />
categoria per la quale ciò che è valido per un dispositivo<br />
non è necessariamente valido per gli altri.<br />
La revisione di Dolovich e collaboratori non ha<br />
preso in considerazione gli studi con bassi livelli di<br />
evidenza, quali, ad esempio, gli innumerevoli lavori<br />
che hanno valutato in vitro gli apparecchi per<br />
aerosol.<br />
L’efficacia dei broncodilatatori inalati è legata da<br />
una caratteristica curva dose-risposta alla quantità<br />
di farmaco depositata nei polmoni (10, 11). La<br />
maggior parte degli studi ha un valore limitato poiché<br />
utilizza β 2 -agonisti a dosi che sono generalmente<br />
superiori, o comunque molto vicine, alla<br />
curva dose-risposta.<br />
Uno degli errori più comuni nella comparazione<br />
dell’efficacia di diversi dispositivi è l’utilizzo, come<br />
outcome, dell’incremento del FEV1 in risposta ai<br />
β 2 -agonisti short-acting. Numerosi studi hanno<br />
dimostrato che si può ottenere un’analoga broncodilatazione<br />
pur utilizzando dosi di β 2 -agonisti<br />
inferiori a quelle comunemente utilizzate (12, 3).<br />
Fishwick e collaboratori hanno dimostrato che
quando il salbutamolo viene inalato da pazienti<br />
asmatici adulti si ottengono incrementi di FEV1 quasi<br />
identici somministrando una dose cumulativa di 400<br />
µg in 90 minuti o di 800 µg seguendo lo stesso regime<br />
e gli stessi intervalli di somministrazione (12).<br />
Il problema della dose di broncodilatatore somministrato<br />
nella fase di plateau massimo della curva<br />
dose-risposta è evidenziato da uno studio pediatrico<br />
che ha mostrato come, sebbene la deposizione<br />
polmonare utilizzando un pMDI con o senza<br />
distanziatore fosse rispettivamente del 23,5% contro<br />
il 12,3%, non vi erano differenze nelle variazioni<br />
di FEV1 (13).<br />
Alla luce dei dati attuali è evidente che una correlazione<br />
dose-risposta significativa per un inalatore<br />
non basta per concludere che uno studio sia in<br />
grado di distinguere tra diversi dispositivi esaminati.<br />
Si possono trarre conclusioni riguardo al rapporto<br />
relativo dose-potenza dei farmaci e/o dei<br />
dispositivi esaminati solo se, in aggiunta, si osservano<br />
significative modificazioni delle curve cumulative<br />
dose-risposta.<br />
Dentro il nebulizzatore<br />
Viene definita atomizzazione la conversione di<br />
liquido in piccole goccioline. Questa dispersione di<br />
fase richiede energia per produrre sia area di<br />
superficie che trasporto del fluido atomizzato. La<br />
base dell’atomizzazione a getto d’aria è l’interazione<br />
di una corrente d’aria ad alta velocità con un<br />
flusso di liquido che si muove a bassa velocità. La<br />
fase liquida viene dispersa nella fase gassosa e,<br />
quindi, convertita in piccole goccioline. Le forze<br />
fisiche che governano il processo sono la tensione<br />
superficiale e la viscosità opposte alle forze aerodinamiche.<br />
Queste ultime agiscono sulla superficie<br />
del liquido determinandola rottura dei legami ed<br />
esercitando una forza esterna sulla massa del liquido:<br />
la quantità di energia necessaria e la modalità<br />
con la quale essa agisce sul liquido, possono<br />
influenzare la dimensione delle particelle.<br />
Gli apparecchi per aerosol tradizionali sono rappresentati<br />
dai nebulizzatori a flusso continuo. I<br />
nebulizzatori pneumatici differiscono dagli atomizzatori<br />
per la loro capacità di riutilizzare il fluido e<br />
per la presenza di uno o più deflettori o siti di<br />
impatto che bloccano il primo l’aerosol erogato<br />
dall’atomizzatore (Figura 1).<br />
Il ricircolo del fluido e l’azione dei deflettori favoriscono<br />
il controllo delle dimensioni delle particelle,<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
della velocità e del volume del flusso di aerosol: se<br />
non fosse presente il deflettore, l’aerosol verrebbe<br />
erogato ad alta velocità (>100 m/sec) e in<br />
volume eccessivo (1-2 mL/secondo). In questo<br />
modo le particelle emesse dal nebulizzatore<br />
hanno un range dimensionale che permette loro<br />
di immettersi e penetrare facilmente nell’albero<br />
bronchiale (14).<br />
Nei nebulizzatori pneumatici il gas passa da un<br />
sistema ad alta pressione attraverso un ugello di<br />
calibro molto ridotto, noto come Venturi. In corrispondenza<br />
delVenturi la pressione crolla, la velocità<br />
del gas aumenta enormemente, producendo un<br />
fronte coniforme che passa ad alta velocità sull’estremità<br />
del tubo di alimentazione del liquido o di<br />
un sistema di alimentazione concentrico. In quel<br />
punto viene a crearsi così una pressione negativa<br />
grazie alla quale il liquido viene risucchiato ed<br />
estratto in sottili filamenti che successivamente,<br />
sotto l’influenza della tensione superficiale, collassano<br />
in goccioline (15). Solo lo 0,5% della massa di<br />
particelle primarie (quindi le particelle più piccole)<br />
lascia il nebulizzatore direttamente, mentre il<br />
restante 99,5% impatta sui deflettori o sulle pareti<br />
interne: il liquido ritorna quindi all’ampolla e<br />
viene nebulizzato nuovamente.Vi sono diversi tipi<br />
di ugelli utilizzati nei nebulizzatori, ma sono scarsi i<br />
dati forniti dalle aziende produttrici riguardo la<br />
Figura 1 Il deflettore. Solo lo 0,5% delle goccioline esce<br />
direttamente dal nebulizzatore. Il rimanente 99,5%<br />
impatta sul deflettore, sulle pareti della ampolla e successivamente<br />
viene riciclato.<br />
87
88<br />
Kantar, et al.<br />
loro struttura e le loro performance. Le dimensioni<br />
degli ugelli possono differire significativamente e<br />
le imperfezioni di questi prodotti sono all’origine<br />
della inter- ed intra-variabilità dei nebulizzatori.<br />
La dimensione, la forma e il posizionamento del<br />
deflettore giocano un ruolo importante nel controllo<br />
dell’erogazione: i diaframmi interni vengono<br />
utilizzati per ridurre le dimensioni delle particelle,<br />
ma essi incrementano l’area delle superfici<br />
del nebulizzatore e conseguentemente il volume<br />
residuo e lo spreco di farmaco. I nebulizzatori a<br />
emissione continua producono in modo continuo<br />
un aerosol che viene diluito durante l’inspirazione<br />
dall’aria inalata attraverso un raccordo a<br />
T. Questi nebulizzatori richiedono alti flussi d’aria<br />
compressa (> 6ml/min) allo scopo di ottenere<br />
un tempo di trattamento accettabile e delle<br />
caratteristiche di emissione adeguate. Durante<br />
l’utilizzo di nebulizzatori a flusso continuo almeno<br />
il 50% dell’aerosol viene disperso nell’ambiente<br />
durante l’espirazione.<br />
Il nebulizzatore open vent (Figura 2, in alto) è un<br />
modello dotato di un’apertura accessoria attraverso<br />
la quale è possibile un ulteriore ingresso d’aria<br />
nella camera grazie alla pressione negativa<br />
generata dall’espansione dell’aria compressa in<br />
prossimità del Venturi, allo stesso modo in cui<br />
viene risucchiato il liquido dal tubo di alimentazione.<br />
Ciò produce un flusso d’aria maggiore e continuo<br />
attraverso la camera di nebulizzazione il<br />
quale favorisce l’emissione di particelle più piccole,<br />
nell’unità di tempo, e determina tempi di nebulizzazione<br />
più brevi (16).<br />
La caratteristica più importante per valutare la performance<br />
di un nebulizzatore è la frazione respirabile,<br />
cioè la quota di particelle erogate con diametro<br />
compreso tra 1 e 5µm.Altre caratteristiche<br />
da valutare sono il minimo spreco di farmaco, il<br />
tempo ridotto di nebulizzazione, la facilità di utilizzo,<br />
pulizia e sterilizzazione.<br />
In genere viene raccomandato un volume di<br />
riempimento di 4-5 ml, a meno che il nebulizzatore<br />
sia specificamente progettato per volumi<br />
maggiori o minori (17). Per portare il volume di<br />
riempimento a 4-5 ml, si deve aggiungere soluzione<br />
fisiologica nel nebulizzatore; l’aumento del<br />
tempo di nebulizzazione dovuto al maggior volume<br />
di riempimento può essere contenuto<br />
aumentando il flusso utilizzato per alimentare il<br />
nebulizzatore: in questo modo si ottiene anche<br />
una diminuzione delle dimensioni delle particelle.<br />
Il flusso raccomandato è di 6-8 L/min, a meno<br />
che il nebulizzatore sia specificamente progettato<br />
per un flusso diverso.<br />
Diversi studi hanno riportato differenze di performance<br />
tra nebulizzatori di diversi costruttori e tra<br />
nebulizzatori dello stesso produttore (18, 19).<br />
Nebulizzatori che riducono lo<br />
spreco di aerosol<br />
Il nebulizzatore tradizionale è concepito per fondere<br />
due flussi: il flusso del nebulizzatore e il flusso<br />
aereo del paziente. I nebulizzatori breath enhanced<br />
(Figura 2, al centro) utilizzano un sistema open-vent<br />
dotato di valvole: il paziente respira attraverso il<br />
nebulizzatore aumentando l’erogazione dell’aerosol<br />
durante la fase inspiratoria. Durante la fase<br />
espiratoria, invece, una valvola monodirezionale<br />
devia il flusso del paziente all’esterno. Molti studi<br />
riportano una maggiore deposizione polmonare<br />
con l’impiego di questi modelli rispetto ai nebulizzatori<br />
tradizionali (20-22).<br />
La perdita di aerosol durante la fase espiratoria<br />
può essere eliminata se il nebulizzatore è attivato<br />
solo durante la fase inspiratoria; questo è il principio<br />
d’azione dei nebulizzatori breath-activated<br />
(Figura 2, in basso) i quali sono attivati dagli atti<br />
respiratori (sincronizzati al respiro). Molti studi<br />
hanno riportato un ridotto spreco di farmaco con<br />
questo tipo di nebulizzatori (23-25).<br />
Una variante di questo metodo è utilizzata dall’adaptive<br />
aerosol (26-28) che si avvale di una<br />
modalità di erogazione sviluppata per ridurre la<br />
variabilità della dose rilasciata, per ridurre la dispersione<br />
dell’aerosol nell’ambiente durante l’espirazione<br />
e per migliorare l’adesione del paziente<br />
al trattamento e all’utilizzo dell’apparecchio. Il<br />
dispositivo analizza il pattern respiratorio del<br />
paziente e, quindi, determina i tempi d’erogazione<br />
pulsata: le variazioni di pressione del flusso<br />
aereo nei primi 3 atti respiratori vengono utilizzate<br />
per determinare il momento preciso in cui<br />
attivare l’erogazione dell’aerosol durante l’inalazione.<br />
Il monitoraggio dei 3 atti respiratori continua<br />
per tutto il trattamento cosicché il dispositivo<br />
si adatti continuamente al pattern respiratorio<br />
del paziente.<br />
Leung e collaboratori hanno rilevato che, rispetto<br />
ai nebulizzatori breath-activated, i modelli breathenhanced<br />
hanno tempi di inalazione inferiori (29)<br />
(Figura 3).
Nebulizzatori a membrana vibrante<br />
microforata (mesh)<br />
Molti produttori hanno realizzato apparecchi per<br />
aerosol che utilizzano una maglia o una piastra con<br />
diversi fori (30-32). Questi apparecchi utilizzano una<br />
membrana vibrante o un corno oscillante. Nel<br />
primo caso (ad esempio, Aerogen Aeroneb, Nektar,<br />
San Carlos, California; eFlow, Pari, Richmond,Virginia)<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
Nebulizzatore convenzionale open-vent<br />
Nebulizzatore open-vent breath-enhanced<br />
Nebulizzatore open-vent breath activated<br />
Figura 2 Nebulizzatore convenzionale open-vent (in alto). Nebulizzatore open-vent breath-enhanced (al centro).<br />
Nebulizzatore open-vent breath activated (in basso).<br />
la contrazione e l’espansione di un elemento vibrante<br />
producono il movimento alternato verso l’alto e<br />
verso il basso di una piastra cupoliforme che presenta<br />
circa 1.000 fori conici. Questi forellini presentano<br />
la sezione più grande verso il lato in cui è contenuto<br />
il liquido e la sezione più stretta sul lato da<br />
cui fuoriescono le goccioline. Il farmaco è posizionato<br />
in un serbatoio al di sotto della piastra. In<br />
89
90<br />
Kantar, et al.<br />
Inspirazione<br />
Espirazione<br />
Nebulizzatore<br />
convenzionale e open vent<br />
40:60<br />
Figura 3 Rappresentazione schematica del pattern respiratorio e dei rapporti inspirazione/espirazione con tre tipi di<br />
getti da diversi nebulizzatori. Il farmaco disponibile per l’inalazione è indicato dalle aree grigio scuro. Le aree grigio<br />
chiaro indicano l’aerosol che viene disperso nell’aria ambiente. Queste due aree sono utilizzate per calcolare il rapporto<br />
medio inspirazione/espirazione relative all’emissione di aerosol da diversi tipi di nebulizzatore.<br />
prossimità della membrana viene generata una<br />
pressione che crea un’azione di pompa ed espelle la<br />
soluzione attraverso i fori, producendo così un aerosol.<br />
Le dimensioni delle particelle ed il flusso sono<br />
determinati dal diametro di uscita dei fori: esso può<br />
essere modificato per applicazioni cliniche specifiche.<br />
Nel sistema con corno oscillante (ad esempio,<br />
Omron, Omron Healthcare, Bannockburn, Illinois)<br />
un cristallo piezoelettrico, stimolato da una corrente<br />
elettrica, vibra ad alta frequenza. La vibrazione viene<br />
trasmessa ad un trasduttore, producendo così un<br />
movimento alternato verso l’alto ed il basso della<br />
membrana microforata che è a contatto con la soluzione:<br />
il liquido passa attraverso le aperture e forma<br />
l’aerosol. La nebulizzazione con un dispositivo a<br />
membrana dipende dalle caratteristiche del fluido;<br />
questi modelli possono infatti non essere adatti ai<br />
fluidi viscosi, pertanto è fondamentale che la formulazione<br />
dei farmaci venga valutata a seconda del dispositivo<br />
utilizzato (33, 34). Il meccanismo a membrana<br />
vibrante può essere associato all’erogazione<br />
adattiva dell’aerosol, come nell’apparecchio I-neb<br />
(Respironics, Murrysville, Pennsylvania) (35).<br />
Respimat soft mist inhaler<br />
L’apparecchio Respimat Soft Mist Inhaler<br />
(Boehringer Ingelheim, Germany) eroga una dose<br />
misurata di farmaco in forma di nebbia fine (36-38).<br />
Breath-enhanced<br />
open vent<br />
65:30<br />
Breath-activated<br />
open vent<br />
100:0<br />
Il farmaco erogato dal Respimat è conservato allo<br />
stato liquido all’interno della cartuccia in un sacchetto<br />
pieghevole. Con ciascuna attivazione, il<br />
dosaggio corretto viene estratto dal serbatoio<br />
interno e il sacchetto flessibile, di conseguenza, si<br />
contrae. Un giro della base dell’inalatore comprime<br />
una molla, un tubo scivola attraverso un canale<br />
nella cartuccia e ne estrae la dose in una micropompa.<br />
Quando il pulsante di rilascio della dose<br />
viene premuto, l’energia rilasciata dalla molla, forza<br />
il liquido attraverso un sistema di canali, ne determina<br />
il rallentamento rilasciando così un aerosol a<br />
velocità contenuta. L’ugello estremamente sottile<br />
di questo sistema è l’elemento centrale del<br />
Respimat. Quando la soluzione di farmaco viene<br />
forzata attraverso l’ugello, due getti escono e convergono<br />
con un angolo ottimizzato affinché il loro<br />
impatto generi un aerosol che si muove lentamente<br />
e ha una durata maggiore rispetto a quello<br />
prodotto da un pMDI. Il Respimat, confrontato<br />
con un pMDI di fenoterolo e ipratropio bromuro,<br />
nei pazienti asmatici garantisce una broncodilatazione<br />
equivalente utilizzando metà della dose (39).<br />
Studi scintigrafici hanno dimostrato inoltre che,<br />
rispetto alla somministrazione con pMDI, la deposizione<br />
polmonare è raddoppiata e quella orofaringea<br />
ridotta (40-42).<br />
Un ulteriore studio ha rilevato che la maggioranza<br />
dei pazienti preferisce il Respimat al pMDI (43).
Nebulizzatori ad ultrasuoni<br />
Un nebulizzatore ultrasonico converte l’energia<br />
elettrica in onde ultrasoniche ad alta frequenza. In<br />
commercio sono disponibili nebulizzatori ad ultrasuoni<br />
di piccole dimensioni realizzati per la somministrazione<br />
per via inalatoria di farmaci broncodilatatori,<br />
ma l’utilizzo di questi apparecchi è inibito<br />
dai loro frequenti malfunzionamenti meccanici.<br />
Un problema potenziale di questo tipo di nebulizzatori<br />
consiste nella possibilità che le onde ultrasoniche<br />
causino l’inattivazione del farmaco, sebbene<br />
questo fenomeno non sia stato dimostrato con<br />
i farmaci comunemente utilizzati.<br />
I nebulizzatori ultrasonici mostrano un’inefficiente<br />
nebulizzazione delle formulazioni in sospensione<br />
(44).<br />
Binomio farmaco-dispositivo<br />
Nonostante l’ampia disponibilità di dispositivi pressurizzati<br />
(pMDI) e a polvere secca (DPI), i nebulizzatori<br />
continuano ad essere ampiamente utilizzati<br />
per la terapia inalatoria, con la realizzazione di<br />
nuovi apparecchi, come quelli a membrana vibrante.<br />
Ciò è principalmente dovuto al fatto che essi<br />
possono essere utilizzati per somministrare quasi<br />
tutte le classi terapeutiche di farmaci per il tratto<br />
respiratorio, sia nei pazienti sottoposti a ventilazione<br />
meccanica che in quelli ambulatoriali (45). I<br />
nebulizzatori generalmente sono fabbricati per<br />
l’impiego di diversi prodotti, sovente realizzati da<br />
differenti case farmaceutiche, in base al giudizio e<br />
alle prescrizioni dei medici. Nel caso dei pMDI e<br />
dei DPI la situazione è radicalmente diversa poiché<br />
il farmaco e il dispositivo che lo eroga sono<br />
direttamente legati e sono quasi sempre sotto la<br />
responsabilità della compagnia farmaceutica che<br />
produce entrambi. La regolamentazione dei nebulizzatori<br />
ha tradizionalmente avuto luogo mediante<br />
la sezione dispositivi delle varie agenzie, seguendo<br />
procedure separate da quelle usate per regolamentare<br />
i farmaci con i quali essi vengono utilizzati.<br />
In difformità da questa consuetudine, attualmente<br />
i nebulizzatori, in una guida regolatoria unificata<br />
Health Canada-EMEA sulla Pharmaceutical<br />
Quality of Inhalation and Nasal Products, vengono<br />
inclusi in altre classi di inalatori portatili (46, 47). Le<br />
Linee Guida paneuropee sui nebulizzatori come<br />
dispositivi per la somministrazione di farmaci, sviluppate<br />
circa 7 anni fa, stabilivano di definire standard<br />
uniformi per il loro utilizzo (48), mediante<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
test di performance intrapresi in accordo con il<br />
European Committee for standardization (CEN)<br />
(49). È in fase di revisione, per la possibile inclusione<br />
nella farmacopea dell’Europa (50) e degli Stati<br />
Uniti (51), una monografia sulla caratterizzazione<br />
delle formulazioni per la nebulizzazione.<br />
Riconoscendo il bisogno di armonizzare gli standard<br />
focalizzati sui dispositivi e gli standard relativi<br />
al farmaco, la maggior parte delle metodologie<br />
proposte nella bozza della monografia è basata,<br />
ove possibile, sulle procedure descritte nello standard<br />
CEN 2001 (49). Più recentemente l’avvento<br />
della Next Generation Pharmaceutical Impactor<br />
(NGI) ha preso posto dopo che questo standard<br />
era stato emanato: NGI offre importanti informazioni<br />
aggiuntive (52).<br />
Il nebulizer Sub-Team dell’European Pharmaceutical<br />
Aerosol Group fu istituito nel 2005 per rivalutare i<br />
metodi usati per la caratterizzazione in vitro dei<br />
nebulizzatori, alla luce degli sviluppi precedentemente<br />
esposti. Questa decisione è stata tempestiva<br />
e necessaria in considerazione della nuova attenzione<br />
prestata a questi dispositivi sia dai compendi che<br />
dalle agenzie regolatorie per lo sviluppo di nuovi tipi<br />
di dispositivi, compresi i nebulizzatori breath-activated<br />
e breath-adaptive. Questi ultimi, ad esempio, non<br />
possono avvalersi dei metodi di campionamento<br />
utilizzati per i nebulizzatori a flusso continuo. Come<br />
ulteriore esempio, i metodi ottici per la caratterizzazione<br />
delle dimensioni delle particelle, in particolare<br />
la diffrattometria laser, pur essendo rapidi e<br />
pertanto potenzialmente utili come strumenti per<br />
eseguire il controllo di qualità dei farmaci utilizzati<br />
con un nebulizzatore, si rivelano inappropriati, senza<br />
le dovute precauzioni, per i nebulizzatori che consentono<br />
l’evaporazione interna dell’aerosol (tutti i<br />
nebulizzatori ad emissione continua). Essi sono inadatti<br />
anche per le formulazioni in sospensione nelle<br />
quali le particelle di aerosol possono non contenere<br />
il farmaco o possono contenere più molecole di<br />
farmaco per ogni particella erogata. Queste limitazioni<br />
non sono sempre annoverate ed evidenti nelle<br />
guide informative industriali e nella documentazione<br />
standard.<br />
Formulazioni farmaceutiche per la<br />
nebulizzazione<br />
Il farmaco è un fattore di primaria importanza poiché<br />
è in grado di influenzare significativamente la<br />
deposizione a livello polmonare. Le caratteristiche<br />
91
92<br />
Kantar, et al.<br />
fisiche e chimiche della preparazione farmaceutica<br />
ed il comportamento del farmaco durante la<br />
nebulizzazione sono fattori da prendere in considerazione<br />
nel momento in cui si prescrive una<br />
terapia inalatoria. Quando si nebulizza una soluzione,<br />
ammesso che la soluzione contenuta nel<br />
nebulizzatore sia uniformemente miscelata, ciascuna<br />
gocciolina di aerosol ha un’elevata probabilità di<br />
avere una concentrazione del farmaco relativamente<br />
uniforme in qualsiasi momento della nebulizzazione.<br />
Peraltro, siccome i diluenti del farmaco<br />
(come la soluzione isotonica) tendono ad evaporare<br />
durante la nebulizzazione, la concentrazione<br />
del farmaco nell’aerosol aumenta via che procede<br />
il processo (53, 54).<br />
In una sospensione di farmaco relativamente insolubile,<br />
ciascuna gocciolina nebulizzata di diluente è<br />
un potenziale veicolo di molecole di farmaco in<br />
fase solida, a condizione che le goccioline di<br />
diluente siano di dimensioni maggiori delle particelle<br />
solide di farmaco. Occorre dedicare particolare<br />
attenzione agli steroidi per nebulizzazione in<br />
sospensione: le singole particelle micronizzate di<br />
steroide di 2 µm di diametro, acquisendo un rivestimento<br />
di soluzione veicolante durante la nebulizzazione,<br />
aumentano di volume, pertanto un<br />
nebulizzatore con deflettori che consentono il rilascio<br />
solo delle particelle di diametro inferiore o<br />
uguale a 2 µm, teoricamente, non rilascerà particelle<br />
di steroide per l’inalazione.<br />
Il binomio farmaco-nebulizzatore è un fattore cruciale<br />
per ottenere la deposizione ottimale del farmaco<br />
in un sito specifico. Non tutti i farmaci sono<br />
idonei alla nebulizzazione: le caratteristiche fisicochimiche<br />
del fluido influenzano l’erogazione del<br />
farmaco dai nebulizzatori (55). Una scarsa idrosolubilità<br />
e un’alta viscosità, causano la nebulizzazione<br />
di particelle particolarmente grandi, che non<br />
sono in grado di raggiungere le piccole vie aeree.<br />
Alcune case farmaceutiche utilizzano additivi<br />
come il glicole propilenico per aumentare la solubilità<br />
del farmaco nel diluente (56).<br />
I farmaci solitamente vengono nebulizzati come<br />
soluzioni in cui il principio attivo è disciolto in una<br />
soluzione, in genere acquosa, formando una fase<br />
continua. Le sospensioni possono essere adeguatamente<br />
nebulizzate: il fatto che ci siano due fasi nel<br />
volume di riempimento del nebulizzatore non<br />
impedisce il trasporto delle particelle sospese nella<br />
fase gassosa, ammesso che il nebulizzatore abbia<br />
uno spazio sufficiente per la loro distribuzione<br />
fisica. L’influenza dello stato fisico del liquido sul<br />
funzionamento del nebulizzatore è evidente.<br />
La relativa alta efficienza del nebulizzatore, associata<br />
alla distribuzione delle particelle piccole, riflette<br />
il suo sistema di deflettori interno, idoneo per<br />
soluzioni acquose. Nel caso, ad esempio, della<br />
sospensione di budesonide, i deflettori interni catturano<br />
molte delle particelle di farmaco di diametro<br />
maggiore.<br />
Non sempre si tiene conto del fatto che la formulazione<br />
del farmaco può inficiare la prestazione<br />
del nebulizzatore. MacNeish e collaboratori, con<br />
uno studio, hanno rilevato che l’emissione di un<br />
nebulizzatore era significativamente maggiore con<br />
una formulazione che conteneva un particolare<br />
conservante, probabilmente grazie alla sua specifica<br />
attività di superficie (57). Quando veniva utilizzata<br />
la soluzione senza conservante le particelle<br />
più grandi aderivano alle pareti del nebulizzatore,<br />
mentre ciò non avveniva con la formulazione contenente<br />
il conservante. Berlinski e Waldrep hanno<br />
riportato che la nebulizzazione contemporanea di<br />
salbutamolo e altri farmaci, può modificare l’output<br />
dell’aerosol e le caratteristiche dello stesso (58).<br />
Anche altri Autori hanno riportato gli effetti che le<br />
diverse formulazioni del farmaco hanno sull’output<br />
da parte del nebulizzatore (59, 60).<br />
I medici ed i pazienti preferiscono miscelare le formulazioni<br />
per diminuire il tempo richiesto per il<br />
trattamento, ma prima di consentire la miscela di<br />
più farmaci nell’ampolla di nebulizzazione il medico<br />
dovrebbe essere certo che tale combinazione<br />
risponda a criteri di compatibilità (61-64).<br />
L’importanza dell’abbinamento appropriato del<br />
farmaco con un nebulizzatore è spesso ignorata.<br />
Le più recenti soluzioni di farmaci (pentamidina,<br />
ribavirina, deossiribonucleasi ricombinante umana,<br />
tobramicina) sono state approvate per la loro<br />
somministrazione con specifici nebulizzatori.<br />
C’è una considerevole variazione nella performance<br />
tra diversi modelli di nebulizzatore e non tutte<br />
le marche sono ideali per ogni terapia farmacologica<br />
(65, 66). L’output del farmaco e la dimensione<br />
delle particelle variano a seconda del modello, del<br />
marchio del nebulizzatore nonché delle proprietà<br />
fisico-chimiche del farmaco (67, 68).<br />
I produttori di formulazioni farmacologiche per la<br />
nebulizzazione generalmente non raccomandano,<br />
per l’utilizzo di ciascun farmaco, uno specifico nebulizzatore<br />
o una combinazione ideale nebulizzatore/compressore:<br />
ne consegue che ogni farmaco
può venire somministrato con un’ampia varietà di<br />
nebulizzatori e ciò conduce ad una variabilità della<br />
dose inalata e dell’efficacia della terapia. Newman<br />
e collaboratori, comparando 4 modelli di nebulizzatori<br />
con 4 diversi flussi d’aria compressa per l’erogazione<br />
della gentamicina (69), hanno rilevato<br />
una differenza consistente (di 10 volte) tra l’apparecchio<br />
più efficiente e quello meno efficiente,<br />
giungendo così alla conclusione che i pazienti<br />
potrebbero andare incontro ad un sottodosaggio<br />
qualora vengano impiegati sistemi di nebulizzazione<br />
inefficienti. In un altro studio, che ha valutato le<br />
performance di 12 nebulizzatori per il trattamento<br />
della fibrosi cistica (CF), i ricercatori hanno riportato<br />
un’ampia variazione nell’efficienza dei diversi<br />
nebulizzatori, con una percentuale di farmaco efficacemente<br />
aerosolizzato variabile dal 30% a meno<br />
del 5% della dose iniziale (70).<br />
I medici dovrebbero poter adattare la prescrizione<br />
alla performance del nebulizzatore disponibile<br />
per il loro paziente e identificare la combinazione<br />
nebulizzatore/compressore più efficiente nel<br />
garantire un’efficacia terapeutica ottimale.<br />
Valutazione delle performance farmaconebulizzatore<br />
Nell’industria farmaceutica la determinazione della<br />
distribuzione dimensionale delle particelle (particle<br />
size distribution, PSD) è indispensabile per valutare<br />
le caratteristiche di deposizione delle particelle nei<br />
polmoni. Nella pratica il metodo dell’impatto è<br />
quello più comunemente utilizzato: i cascade<br />
impactor (CI), incluso il modello Multistage Liquid<br />
Impinger (MSLI) è utilizzato per l’analisi in vitro<br />
delle dimensioni delle particelle aerosolizzate dagli<br />
inalatori. Essi sono gli equipaggiamenti di scelta<br />
nella Farmacopea sia dell’Europa che degli Stati<br />
Uniti (71, 72) e sono raccomandati negli attuali<br />
documenti normativi per l’industria pubblicati dalle<br />
corrispondenti autorità regolatorie.<br />
I CI si avvalgono di un modello semplificato dell’apparato<br />
respiratorio umano: l’aerosol viene guidato,<br />
mediante una corrente d’aria a flusso definito,<br />
attraverso una curva rettangolare analoga al<br />
faringe umano fino ai successivi stadi di impatto,<br />
mostrando che le dimensioni delle particelle<br />
determinano la deposizione nelle differenti aree<br />
polmonari. Ulteriori informazioni sui CI e sul principio<br />
di misurazione possono essere approfondite<br />
in una serie di monografie di Lodge e Chan (73).<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
I diffrattometri laser (LD), definiti anche e più correttamente<br />
strumenti low angle laser light scattering<br />
(LALLS), costituiscono una classe di analizzatori<br />
del diametro delle particelle. Il principio di analisi<br />
agisce in funzione dell’interpretazione del pattern<br />
di rifrazione della luce su un insieme di particelle<br />
solide e liquide, in un raggio collimato di luce<br />
costante (74). Il pattern di rifrazione della luce è<br />
convertito in una distribuzione volume-massa<br />
delle dimensioni delle particelle: questa conversione<br />
avviene mediante l’applicazione di un modello<br />
che descrive la relazione tra l’energia luminosa dispersa<br />
e l’angolo di rifrazione, in relazione all’asse<br />
definito dalla sorgente luminosa, dall’aerosol e<br />
dalle ottiche di rilevamento. Questa tecnica è<br />
molto rapida perché vengono eseguite diverse<br />
centinaia di scansioni del raggio nell’intervallo di 1<br />
sec, e con i moderni strumenti si raggiungono le<br />
2.500 scansioni al secondo.<br />
A differenza dei CI, nei quali la distribuzione<br />
dimensionale è solitamente derivata direttamente<br />
da analisi chimiche della massa di principi farmacologici<br />
attivi (API) raccolti nei diversi stadi, la diffrattometria<br />
laser determina le dimensioni delle<br />
particelle indirettamente dal pattern di rifrazione<br />
dell’intensità luminosa rilevata dallo strumento. É<br />
quindi essenziale utilizzare un modello ottico<br />
appropriato in grado di tradurre accuratamente<br />
questa informazione nella distribuzione dimensionale<br />
delle particelle.<br />
I diffrattometri laser devono essere utilizzati con<br />
cautela poiché questa metodica non tiene conto<br />
degli effetti della concentrazione del soluto che<br />
possono risultare importanti quando si verifica<br />
una rapida evaporazione delle goccioline. Clark e<br />
Borgström hanno evidenziato, inoltre, che questa<br />
tecnica non è applicabile all’analisi dell’aerosol<br />
ottenuto dalle sospensioni senza una validazione<br />
mediante un metodo indipendente di misurazione<br />
delle particelle, in quanto essa discrimina in base<br />
alle dimensioni delle particelle anziché delle singole<br />
particelle di API (75). Nelle formulazioni in<br />
sospensione è possibile trovare più particelle di<br />
API in una gocciolina o, parimenti, goccioline che<br />
non contengono API, contrariamente alle formulazioni<br />
in soluzione nelle quali le API sono distribuite<br />
omogeneamente in tutte le goccioline indipendentemente<br />
dalle dimensioni. Questo fenomeno è<br />
stato illustrato da Hickey e Evans in riferimento a<br />
un tipo di formulazione in sospensione, erogata da<br />
un inalatore pressurizzato predosato (pMDI) (76).<br />
93
94<br />
Kantar, et al.<br />
Considerazioni analoghe sono applicabili anche<br />
alle formulazioni in sospensione destinate alla<br />
nebulizzazione.<br />
Concludendo, vi è accordo sul fatto che il processo<br />
di misurazione con CI è complesso e molto<br />
impegnativo, ma al momento esso costituisce l’unico<br />
sistema per determinare la distribuzione<br />
dimensionale delle particelle inalate quantificando<br />
la massa delle API separatamente dalle altre componenti<br />
della formulazione.<br />
Nebulizzazione di corticosteroidi<br />
inalatori<br />
L’uso di nebulizzatori per somministrare steroidi<br />
inalatori (ICS) ha diverse e significative limitazioni. Le<br />
caratteristiche igroscopiche del farmaco sono<br />
importanti fattori che determinano la solubilità nel<br />
diluente utilizzato (di solito soluzione fisiologica). Gli<br />
ICS relativamente insolubili in acqua, come il beclometasone<br />
diproprionato (BDP) e il fluticasone propionato<br />
(FP) vengono nebulizzati in modo sostanzialmente<br />
differente rispetto agli ICS più solubili in<br />
acqua come il flunisolide (FLU) o il budesonide<br />
(BUD) (Tabella 1). La diminuzione della solubilità in<br />
acqua e l’incremento della viscosità producono<br />
principalmente particelle più grandi: ciò costituisce<br />
un problema perché in questo modo il 99,5% delle<br />
particelle ritorna nel serbatoio per essere nebulizzato<br />
nuovamente: le particelle di diametro maggiore<br />
vengono riciclate e solo quelle fini sfuggono all’effetto<br />
del deflettore. Questo limita l’erogazione del<br />
farmaco: esso rimane infatti nel dispositivo mentre<br />
viene erogato solamente il diluente sottoforma di<br />
particelle respirabili. Le particelle del farmaco in<br />
sospensione, inoltre, sono largamente eterodisperse<br />
determinando così una deposizione nelle basse<br />
vie aeree estremamente modesta.<br />
Tabella 1 Solubilità di alcuni steroidi inalatori. Modificata da<br />
(93).<br />
Solubilità Tempo di<br />
in acqua solubilizzazione<br />
(µg/ml) (fluido bronchiale<br />
umano in vitro)<br />
BPD/BMP 0,13/15,5 >5 h/-<br />
Budesonide 16 6 min<br />
Flunisolide 140 8 h<br />
La nebulizzazione offre importanti vantaggi rispetto<br />
agli altri metodi d’inalazione. Nei DPI gli ICS<br />
sono di solito inalati come microcristalli che devono<br />
dissolversi nei fluidi epiteliali: la lipofilia può<br />
ritardare la loro dissoluzione, il che, in una certa<br />
misura, può risultare vantaggioso (tempo di permanenza<br />
polmonare prolungato), ma può nel frattempo<br />
determinare la loro rimozione dalle vie<br />
aeree periferiche da parte del sistema di trasporto<br />
mucociliare. Le goccioline di aerosol prodotte<br />
dai nebulizzatori, poiché sono disciolte nel diluente,<br />
hanno minori probabilità di aggregarsi rispetto<br />
alle particelle erogate da un DPI, inoltre sono in<br />
grado di trattare superfici polmonari più estese<br />
per la tendenza del liquido ad espandersi sotto<br />
l’effetto delle forze di dispersione superficiale.<br />
Prima dell’assorbimento attraverso la membrana<br />
alveolare, la soluzione di farmaco può diffondere<br />
su un’area relativamente grande degli alveoli sotto<br />
l’azione delle forze di dispersione generate dalla<br />
differenza tra la tensione superficiale del liquido<br />
d’aerosol e del surfactante che ricopre gli alveoli e<br />
le vie aeree (77). Il contributo di questo meccanismo<br />
alla farmacocinetica globale degli ICS rimane<br />
ancora da approfondire e determinare (78).<br />
La scelta di una formulazione di ICS per la nebulizzazione<br />
dovrebbe indagare principalmente l’idrosolubilità<br />
come fattore determinante l’output<br />
del farmaco. Senza informazioni sul diametro aerodinamico<br />
di massa mediano e sulla percentuale di<br />
particelle respirabili erogate, la dose inalata rimane<br />
ignota e il risultato degli studi clinici può essere<br />
interpretato scorrettamente (79).<br />
Comportamento degli ICS durante la<br />
nebulizzazione<br />
Molti farmaci possono essere formulati per la<br />
nebulizzazione in dosi sia molto alte che molto<br />
basse (0,01 mg-1 g), sia in sospensione che in soluzione:<br />
la scelta del tipo di formulazione è in funzione<br />
delle proprietà fisico-chimiche del farmaco.<br />
Se si utilizza una sospensione, per ottenere una<br />
nebulizzazione analoga a quella prodotta utilizzando<br />
una soluzione, occorre disporre di un farmaco<br />
formulato in particelle piccole, disperse e distribuite<br />
omogeneamente.<br />
I farmaci scarsamente idrosolubili, come gli ICS,<br />
rappresentano una sfida e uno stimolo per lo sviluppo<br />
di formulazioni adatte alla nebulizzazione. Un<br />
farmaco che presenta un’idrosolubilità moderata o
pH-dipendente, come si osserva con gli elettroliti<br />
deboli, può essere formulato come una soluzione:<br />
tuttavia questo approccio può richiedere<br />
volumi maggiori rispetto a quelli utilizzati usualmente<br />
e, di conseguenza, tempi di inalazione più<br />
lunghi, compromettendo l’aderenza terapeutica<br />
del paziente. I farmaci con idrosolubilità molto<br />
bassa o virtualmente nulla per poter essere<br />
nebulizzati devono essere formulati come microo<br />
nano-sospensioni (80, 81).<br />
Sebbene in commercio ci siano molti prodotti in<br />
sospensione, essi sono destinati principalmente<br />
alla somministrazione per via orale poiché questa<br />
non richiede particolare attenzione alla distribuzione<br />
dimensionale delle particelle di farmaco. Nei<br />
prodotti per la nebulizzazione, invece, questo<br />
parametro diventa critico in quanto le goccioline<br />
piccole di aerosol non possono veicolare particelle<br />
di farmaco di dimensioni maggiori: il diametro e<br />
la forma delle particelle di farmaco in sospensione<br />
per l’inalazione dovrebbero essere significativamente<br />
minori di 3-5 µm allo scopo di consentire<br />
una buona nebulizzazione e alti dosaggi di frazione<br />
respirabile senza il rischio di intasare gli ugelli del<br />
nebulizzatore. Le nanosospensioni sono difficili da<br />
formulare in quanto sono necessarie speciali tecniche<br />
di dispersione e di riduzione delle dimensioni<br />
ed è inoltre arduo ottenere una loro stabilizzazione.<br />
La tecnica delle nanosospensioni è stata<br />
recentemente sperimentata per migliorare le<br />
caratteristiche del budesonide nebulizzato (82).<br />
Un altro modo per migliorare la deposizione<br />
polmonare dei corticosteroidi nebulizzati è di<br />
migliorare la solubilità di un farmaco aggiungendo<br />
additivi co-solventi come ad esempio tamponi<br />
o surfactanti (83). L’output del farmaco e la<br />
percentuale di farmaco contenuta in particelle<br />
piccole sono normalmente maggiori con una<br />
soluzione rispetto a una sospensione. La formulazione<br />
di flunisolide (disponibile in Italia) contiene<br />
glicole propilenico, che agisce come cosolvente<br />
per favorire la dissoluzione del flunisolide (56).<br />
Generalmente le preparazioni di corticosteroidi<br />
per la nebulizzazione sono formulate come<br />
sospensioni: il flunisolide, essendo disponibile<br />
come soluzione, costituisce un’eccezione. La<br />
nebulizzazione delle sospensioni è significativamente<br />
diversa da quella delle soluzioni perché<br />
quando una particella di steroide viene nebulizzata,<br />
si trova circondata da un involucro di fluido<br />
veicolante. Il conseguente aumento di volume<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
provoca una minore erogazione di particelle di<br />
corticosteroide per l’azione dei deflettori del<br />
nebulizzatore. I primi tentativi di nebulizzare una<br />
sospensione di 50 µg/ml di BDP, infatti, presentarono<br />
il rilascio di una modesta quantità di farmaco<br />
nebulizzato in particelle abbastanza piccole da<br />
penetrare nel polmone (84) ed una scarsa risposta<br />
clinica (85, 86). Un’alternativa possibile per<br />
incrementare la quota di BDP erogata potrebbe<br />
essere quella di aumentare la concentrazione del<br />
farmaco, ma la sospensione di BDP alla concentrazione<br />
più elevata commercialmente disponibile<br />
in Italia ha mostrato risultati sovrapponibili alla<br />
preparazione con minore concentrazione.<br />
Incrementare la concentrazione, inoltre, può<br />
influenzare le dimensioni delle particelle: la nebulizzazione<br />
di 2 ml di una formulazione contenente<br />
400 µg/ml di BDP ha prodotto un aerosol con<br />
un MMAD di 6,4 µm con il Bimboneb (nebulizzatore<br />
open-vent) e di 5,4 µm con il nebulizzatore<br />
convenzionale Nebula Plus (87).<br />
Quando il BDP viene nebulizzato sono poche le<br />
particelle di aerosol che contengono il farmaco: le<br />
particelle di BDP sono circondate da un involucro<br />
fluido che aumenta ulteriormente il diametro delle<br />
particelle. Le goccioline che non contengono la<br />
BDP sono probabilmente più numerose, piccole e<br />
sono costituite solamente da soluzione veicolante<br />
(diluente).<br />
Recenti studi in vitro di O’Callaghan et al. hanno<br />
valutato l’erogazione di farmaco per il BDP, il FLU<br />
e il BUD con diversi nebulizzatori (Tabelle 2 e 3)<br />
(87-89). Gli Autori hanno utilizzato la MSLI e tecniche<br />
di simulazione del respiro pediatrico. I risultati<br />
di questi studi mettono in evidenza l’interazione<br />
tra nebulizzatori di diversa generazione con le<br />
molecole di ICS utilizzate: entrambi influenzano la<br />
qualità, la quantità della nebulizzazione e la distribuzione<br />
dimensionale delle particelle, provocando<br />
in questo modo una variabilità della dose respirabile<br />
per i bambini.<br />
I nuovi nebulizzatori, diversi da quelli convenzionali,<br />
sono stati progettati per aumentare l’erogazione<br />
della frazione respirabile, ma si sono rivelati quasi<br />
del tutto inefficienti per l’erogazione dei farmaci in<br />
sospensione: è infatti molto complesso il meccanismo<br />
d’interazione tra il principio di generazione<br />
dell’aerosol e la formulazione delle sospensioni.<br />
Questi dati indubbiamente indicano che la solubilità<br />
di un farmaco è un fattore chiave nella nebulizzazione<br />
degli ICS.<br />
95
96<br />
Kantar, et al.<br />
Tabella 2 Il rilascio dei farmaci è stato misurato utilizzando la metodologia MSLI. L’emissione totale del farmaco<br />
è stata rilevata mediante l’utilizzo di un simulatore del pattern respiratorio dei bambini (87, 88, 89). MMAD, diametro<br />
aerodinamico di massa mediano; GSD, deviazione standard geometrica. Per ogni parametro vengono<br />
indicate media (n= 4) e deviazione standard tra parentesi.<br />
BUD FLU BDP<br />
Dose Nominale 500µg Dose Nominale 600µg Dose Nominale 800µg<br />
Nebulizzatore Nebula Plus BimboNeb Nebula Plus BimboNeb Nebula Plus BimboNeb<br />
Peso del farmaco (µg) 113,4 119,9 257,7 246,9 236,0 206,1<br />
nebulizzato (9,5) (9,6) (16,3) (12,4) (33,6) (27,4)<br />
% di farmaco nebulizzato 22,68 23,98 41,18 39,01 29,5 25,75<br />
(1,9) (1,9) (2,28) (2,39) (4,2) (3,42)<br />
MMAD µm 3,38 4,48 3,86 3,87 5,36 6,37<br />
(0,38) (0,44) (0,21) (0,14) (0,16) (0,36)<br />
GSD 1,9 1,8 1,88 1,8<br />
(0,04) (0,01) (0,07) (0,06)<br />
Massa erogata (µg) 86,8 76,7 208,7 201 149,6 105,2<br />
in particelle
Conclusioni<br />
Qualsiasi dispositivo per l’inalazione (nebulizzatore,<br />
DPI o pMDI) genera un aerosol di farmaco in<br />
maniera differente, quindi risulteranno diverse<br />
anche le dimensioni delle particelle, la frazione<br />
respirabile, la deposizione e la distribuzione nel<br />
polmone. Conseguentemente, se lo stesso farmaco,<br />
alla stessa dose nominale, viene erogato con<br />
dispositivi differenti o in diverse formulazioni, può<br />
risultare non bioequivalente (90, 91).<br />
Poiché i farmaci e i dispositivi non sono interscambiabili,<br />
gli studi clinici basati sulle comparazioni<br />
dei dispositivi risultano ingannevoli e non riproducibili<br />
a causa dalle differenze nella farmacologia<br />
e farmacocinetica dei farmaci. Un altro aspetto da<br />
considerare nella progettazione di diversi sistemi<br />
di erogazione, oltre all’interazione tra farmaco e<br />
Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali<br />
Tabella 2 Il rilascio dei farmaci è stato misurato utilizzando il Next Generation Pharmaceutical Impactor (NGI).<br />
L’emissione totale del farmaco è stata rilevata mediante l’utilizzo del simulatore del pattern respiratorio dei bambini<br />
Pari COMPAS Breathing Simulator (controllo computerizzato) per ogni farmaco (dati forniti da Valeas S.p.A).<br />
MMAD, diametro aerodinamico di massa mediano; GSD, deviazione standard geometrica. Per ogni parametro<br />
vengono indicate media (n= 4) e deviazione standard tra parentesi.<br />
FLU BDP<br />
Dose Nominale 600µg Dose Nominale 800µg<br />
Nebulizzatore Pari Turbo Boy N compressor Pari Turbo Boy N compressor<br />
MMAD µm 3,36 (0,35) 5,48 (0,32)<br />
Massa nebulizzata (µg) in particelle
98<br />
Kantar, et al.<br />
sono spesso influenzati dalle consuetudini e da<br />
considerazioni di carattere economico.<br />
I farmaci nebulizzati sono utilizzati per la somministrazione<br />
sia locale che sistemica di farmaci per via<br />
polmonare: questo, però, è un processo complesso<br />
che dipende da numerosi parametri quali il<br />
meccanismo di generazione dell’aerosol, il dispositivo,<br />
la formulazione farmaceutica, il pattern respiratorio<br />
del paziente ed altri fattori.<br />
Nell’ultimo decennio i sistemi di erogazione sono<br />
diventati sempre più efficienti: è fondamentale,<br />
però, che i medici educhino ed informino adeguatamente<br />
i pazienti affinché essi utilizzino i dispositivi<br />
che si avvalgono delle più moderne tecnologie.<br />
Non vi è alcuna ragione tecnologica perché una<br />
terapia aerosolica tramite nebulizzazione non<br />
debba essere usata per un’erogazione più efficace<br />
del farmaco al polmone. Ci sono, ovviamente,<br />
ragioni economiche che dettano le scelte, per cui<br />
alcuni dispositivi possono sembrare non ideali perché<br />
poco accessibili; i pazienti sono sovente obbligati<br />
ad utilizzare nebulizzatori di progettazione e<br />
fabbricazione scadenti, così come accade in molti<br />
centri medici. I nebulizzatori pneumatici sono dispositivi<br />
popolari utilizzati per somministrare farmaci<br />
nel tratto respiratorio: ve ne sono disponibili<br />
molti differenti modelli, ma le linee guida per la<br />
loro valutazione non tengono conto dei diversi tipi<br />
di farmaci da nebulizzare. Alcune formulazioni di<br />
steroidi sono presenti sul mercato come sospensioni<br />
e i dati sperimentali a disposizione si riferiscono<br />
spesso alle formulazioni in soluzione pertanto<br />
essi non possono essere applicabili alle<br />
sospensioni. Il farmaco è un fattore molto importante<br />
nell’influenzare la deposizione nei polmoni e,<br />
quando si prescrive una terapia aerosolica, occorre<br />
tenere in considerazione le caratteristiche fisiche<br />
e chimiche della formulazione e il comportamento<br />
del farmaco durante la nebulizzazione.<br />
È degno di nota, tra i farmaci emessi più di recente,<br />
il Pulmozyme, emesso dalla Genentech<br />
(http://www.pulmozyme.com), nella cui confezione<br />
è allegato un foglietto illustrativo che raccomanda<br />
l’uso di un ristretto numero di nebulizzatori<br />
specifici, cioè solo quelli che, in fase di sviluppo<br />
Ringraziamenti<br />
del farmaco, sono stati trovati equivalenti nell’erogazione<br />
in vitro della rhDNase. Questo approccio<br />
di co-marketing sarà sempre più probabile per i<br />
nuovi farmaci destinati alla nebulizzazione.<br />
Qual è la distribuzione dimensionale ideale per un<br />
corticosteroide nebulizzato? La distribuzione delle<br />
dimensioni delle particelle aerosolizzate deve<br />
essere tale che le dosi erogate forniscano la massima<br />
efficacia con il minimo spreco di farmaco<br />
(idealmente nullo). L’aerosol deve essere abbastanza<br />
fine da raggiungere il bersaglio e quindi<br />
garantire la deposizione di una sufficiente quantità<br />
di farmaco nei siti di flogosi, ma non deve nemmeno<br />
essere troppo fine, altrimenti si corre il<br />
rischio che le particelle non vengano trattenute<br />
nel polmone. Occorre, in sintesi, un bilanciamento<br />
tra fisica, fisiologia e formulazione.<br />
Ogni farmaco può presentarsi in diverse formulazioni<br />
ed essere contenuto in dispositivi con diversi<br />
sistemi di erogazione: la combinazione nebulizzatore-ICS<br />
determina l’effetto terapeutico e l’utilità<br />
del trattamento, a seconda del coinvolgimento<br />
e dell’interazione dei diversi fattori implicati nel<br />
processo.<br />
Il sito, l’estensione e la distribuzione della dose<br />
depositata sono fattori determinati principalmente<br />
dalla performance del dispositivo di erogazione.<br />
La dissoluzione, la clearance e l’uptake nelle vie<br />
aeree, l’affinità recettoriale, il tempo di permanenza<br />
nei recettori, il metabolismo locale e l’assorbimento<br />
sistemico sono fattori governati dalle caratteristiche<br />
fisico-chimiche e farmacologiche intrinseche<br />
dell’ICS.<br />
Gli attuali sistemi sanitari basati sul principio di<br />
gestione dei costi e contenimento della spesa, incoraggiano<br />
i medici a selezionare le formulazioni di<br />
minore costo: questo approccio, purtroppo, impedisce<br />
di scegliere la migliore preparazione in funzione<br />
del beneficio per il paziente e di considerare i<br />
progressi nello sviluppo dei farmaci e dei dispositivi.<br />
L’enfasi nella gestione della salute si sta orientando<br />
verso il controllo della qualità; è auspicabile, pertanto,<br />
che questa nuova tendenza stimoli la ricerca<br />
clinica alla definizione, anche in merito alla terapia<br />
inalatoria, di indicatori di qualità attendibili.<br />
Si ringrazia la Sig.ra Manfredi Federica per il suo contributo nella preparazione e traduzione<br />
di questo manoscritto.
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Congressi<br />
Congresses<br />
Congressi<br />
Congresses<br />
GIUGNO 2009<br />
Corso di aggiornamento residenziale interattivo<br />
in pneumo-allergologia pediatrica<br />
Simeri (CZ) 18 - 20 giugno 2009<br />
Organizzato da:<br />
Dipartimento di Pediatria "F. Fede" II Università di<br />
Napoli<br />
Segreteria organizzativa:<br />
iDea congress SrL<br />
Tel. 06. 36381573<br />
E-mail: info@ideacpa.com<br />
L’ostruzione bronchiale. Viaggio nella<br />
gestione delle patologie respiratorie<br />
ostruttive tra ospedale e territorio<br />
San Giovanni Gemini (AG) 19 - 20 giugno 2009<br />
Segreteria organizzativa:<br />
Omnia congress<br />
Tel. 0922. 602911<br />
E-mail: info@omniacongress.com<br />
Info: http://www.omniacongress.com/<br />
XI International course on pediatric<br />
pneumology<br />
Atene (Grecia) 28 - 30 giugno 2009<br />
Organizzato da:<br />
International Course on Pediatric Pneumology, CIPP<br />
Tel. +33. 497. 038 597<br />
E-mail: cipp@cipp-meeting.com<br />
Info: http://www.cipp-meeting.com/<br />
AGOSTO 2009<br />
IX corso di approfondimento professionale<br />
per il pediatra - impariamo insieme<br />
sapere, saper fare e sapersi relazionare<br />
Golfo Aranci (OT) 25 - 30 agosto 2009<br />
Organizzato da:<br />
Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale<br />
Segreteria organizzativa:<br />
iDea congress SrL<br />
Tel. 06. 36381573<br />
E-mail: info@ideacpa.com<br />
SETTEMBRE 2009<br />
Il test da sforzo cardio-polmonare<br />
(CPET): basi e applicazioni<br />
Parma 24 - 25 settembre 2009<br />
Organizzato da:<br />
Azienda Ospedaliero-Universitaria di Parma<br />
Segreteria organizzativa:<br />
Planning congressi Srl<br />
Tel. 051. 300100<br />
E-mail: a.martino@planning.it<br />
Info: www.planning.it<br />
OTTOBRE 2009<br />
XIII Convegno della Società Italiana per le<br />
Malattie Respiratorie Infantili<br />
Napoli 15 - 17 ottobre 2009<br />
Organizzato da:<br />
Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili<br />
Segreteria organizzativa:<br />
iDea congress SrL<br />
Tel. 06. 36381573<br />
E-mail: info@ideacpa.com<br />
CHEST 2009<br />
San Diego (Stati Uniti) 31 ottobre - 5 novembre<br />
2009<br />
Organizzato da:<br />
American College of Chest Physicians<br />
Tel. +39. 847. 498. 1400<br />
Info: http://www.chestnet.org/<br />
103
104 Congressi<br />
Congresses<br />
NOVEMBRE 2009<br />
Bambino e attività sportiva. Stili di vita,<br />
prevenzione e terapia.<br />
Corso teorico pratico sul test da sforzo<br />
cardiopolmonare e corso PBLS-D<br />
(Pediatric Basic Life Support and early<br />
Defibrillation)<br />
Roma 20 - 21 novembre 2009<br />
Segreteria organizzativa:<br />
Center Comunicazione e Congressi<br />
Tel. 081 19578490<br />
Fax 081 19578071<br />
Info: www.centercongressi.com/basp<br />
DICEMBRE 2009<br />
II° corso residenziale.<br />
Il pediatra ospedaliero e il bambino con<br />
patologia grave: l’insufficienza respiratoria<br />
in età pediatrica<br />
Roma 3 - 4 dicembre 2009<br />
Segreteria organizzativa:<br />
Center Comunicazione e Congressi<br />
Tel. 081 19578490<br />
Fax 081 19578071<br />
Info: www.centercongressi.com/irb2009
La <strong>Rivista</strong> pubblica contributi redatti in forma di editoriali,<br />
articoli d’aggiornamento, articoli originali, articoli originali<br />
brevi, casi clinici, lettere al Direttore, recensioni (da libri,<br />
lavori, congressi), relativi a problemi pneumologici e allergologici<br />
del bambino.<br />
I contributi devono essere inediti, non sottoposti contemporaneamente<br />
ad altra <strong>Rivista</strong>, ed il loro contenuto conforme<br />
alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca.<br />
Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute<br />
nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto<br />
il consenso informato per la sperimentazione e per la<br />
riproduzione delle immagini.<br />
La redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali<br />
generali e specifiche per le singole rubriche.<br />
La loro accettazione è subordinata alla revisione critica di<br />
esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al<br />
parere conclusivo del Direttore.<br />
NORME GENERALI<br />
Testo: in lingua italiana o inglese, in triplice copia, dattiloscritto,<br />
con ampio margine, con interlinea doppia, massimo<br />
25 righe per pagina, con numerazione delle pagine a partire<br />
dalla prima, e corredato di:<br />
1) titolo del lavoro in italiano, in inglese;<br />
2) parola chiave in italiano, in inglese;<br />
3) riassunto in italiano, (la somma delle battute, spazi inclusi,<br />
non deve superare le 2.500);<br />
4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure.<br />
Si prega di allegare al manoscritto anche il testo memorizzato<br />
su dischetto di computer, purché scritto con programma<br />
Microsoft Word versione 4 e succ. (per Dos e<br />
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Nella prima pagina devono comparire: il titolo (conciso);<br />
i nomi degli Autori e l’istituto o Ente di appartenenza; la<br />
rubrica cui si intende destinare il lavoro (decisione che è<br />
comunque subordinata al giudizio del Direttore); il nome,<br />
l’indirizzo e l’e-mail dell’Autore cui sono destinate la corrispondenza<br />
e le bozze.<br />
Il manoscritto va preparato secondo le norme internazionali<br />
(Vancouver system) per garantire la uniformità di<br />
presentazione (BMJ 1991; 302: 338-341). È dunque indispensabile<br />
dopo una introduzione, descrivere i materiali e<br />
i metodi, indagine statistica utilizzata, risultati, e discussione<br />
con una conclusione finale. Gli stessi punti vanno<br />
riportati nel riassunto.<br />
Nelle ultime pagine compariranno la bibliografia, le didascalie<br />
di tabelle e figure.<br />
Tabelle (3 copie): devono essere contenute nel numero<br />
(evitando di presentare lo stesso dato in più forme), dattiloscritte<br />
una per pagina e numerate progressivamente.<br />
Figure (3 copie): vanno riprodotte in foto e numerate sul<br />
retro. I grafici ed i disegni possono essere in fotocopia, purché<br />
di buona qualità.<br />
Si accettano immagini su supporto digitale (floppy disk, zip,<br />
cd) purché salvate in uno dei seguenti formati: tif, jpg, eps e<br />
con una risoluzione adeguata alla riproduzione in stampa<br />
(300 dpi); oppure immagini generate da applicazioni per<br />
grafica vettoriale (Macromedia Freehand, Adobe Illustrator<br />
per Macintosh). Sono riproducibili, benché con bassa resa<br />
qualitativa, anche documenti generati da Power Point. Al<br />
contrario, non sono utilizzabili in alcun modo le immagini<br />
inserite in documenti Word o generate da Corel Draw.<br />
La redazione si riserva di rifiutare il materiale ritenuto tecnicamente<br />
non idoneo.<br />
Informazioni per gli autori<br />
comprese le norme per la preparazione dei manoscritti<br />
Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel<br />
testo con numeri arabi ed elencate al termine del manoscritto<br />
nell’ordine in cui sono state citate. Se gli autori sono<br />
fino a quattro si riportano tutti, se sono cinque o più si<br />
riportano solo i primi tre seguiti da “et al.”.<br />
Esempi di corretta citazione bibliografica per:<br />
articoli e riviste:<br />
Zonana J, Sarfarazi M, Thomas NST, et al. Improved definition<br />
of carrier status in X-linked hypohydrotic ectodermal dysplasia<br />
by use of restriction fragment lenght polymorphism-based linkage<br />
analysis. J Pediatr 1989; 114: 392-395.<br />
libri:<br />
Smith DW. Recognizable patterns of human malformation.<br />
Third Edition. Philadelphia: WB Saunders Co. 1982.<br />
capitoli di libri o atti di Congressi:<br />
Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the<br />
form and infrastructure of the external nose and its importance<br />
in rhinoplasty. In: Conly J, Dickinson JT, (eds). “Plastic and reconstructive<br />
surgery of the face and neck”. New York, NY:<br />
Grune and Stratton 1972: 84-95.<br />
Ringraziamenti, indicazioni di grants o borse di studio, vanno<br />
citati al termine della bibliografia.<br />
Le note, contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti,<br />
compariranno nel testo a piè di pagina.<br />
Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure<br />
devono conformarsi agli standard riportati in Scienze 1954;<br />
120: 1078.<br />
I farmaci vanno indicati col nome chimico.<br />
Per la corrispondenza scientifica:<br />
Prof. Eugenio Baraldi<br />
Dipartimento di Pediatria<br />
Università di Padova<br />
Via Giustiniani 3<br />
35128 Padova<br />
baraldi@pediatria.unipd.it<br />
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Gli estratti devono essere richiesti all’Editore contestualmente<br />
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Pneumologia Pediatrica è trimestrale. Viene inviata gratuitamente<br />
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Respiratorie Infantili; i prezzi di abbonamento annuo per i<br />
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Note<br />
Notes
Articoli del prossimo numero<br />
Forthcoming articles<br />
Inserto speciale:<br />
Paediatric HERMES:<br />
European Syllabus in Paediatric Respiratory Medicine<br />
Articoli del prossimo numero<br />
Paediatric HERMES:<br />
al confine fra Pneumologia e Immuno-allergologia pediatrica<br />
1<br />
2<br />
3<br />
4<br />
5<br />
6<br />
7<br />
La suscettibilità genetica alle infezioni respiratorie<br />
Genetic susceptibility to airway infections<br />
F. Cardinale, et al.<br />
Allergia alimentare e asma<br />
Food allergy and asthma<br />
A. Martelli, et al.<br />
Rinite allergica ed asma in età pediatrica<br />
Allergic rhinitis and asthma in childhood<br />
M.A.Tosca, et al.<br />
Aspergillosi broncopolmonare<br />
Bronchopulmonary aspergillosis<br />
V. Raia, et al.<br />
Asma e apoptosi<br />
Asthma and apoptosis<br />
F.M. de Benedictis, et al.<br />
Le malattie respiratorie ad eosinofili nel bambino<br />
Eosinophil-associated respiratory disease in children<br />
N. Fuiano<br />
Journal club - Corticosteroidi per via orale in bambini<br />
di età prescolare con wheezing episodico virale:<br />
cosa resta di questa terapia?<br />
Oral corticosteroids in preschool children<br />
with episodic viral wheezing:<br />
what’s left of this therapy?<br />
E. Opocher, et al.<br />
107
1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE<br />
NASONEX 50 microgrammi/erogazione spray nasale, sospensione<br />
2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA<br />
Mometasone furoato (come monoidrato) 50 microgrammi/erogazione. Questo<br />
prodotto medicinale contiene 0,2 mg di benzalconio cloruro per grammo.<br />
Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1.<br />
3. FORMA FARMACEUTICA<br />
Spray nasale, sospensione. Sospensione di colore bianco - bianco sporco<br />
opaco.<br />
4. INFORMAZIONI CLINICHE<br />
4.1 Indicazioni terapeutiche. NASONEX spray nasale è indicato nel trattamento<br />
dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne negli adulti e nei<br />
bambini dai 12 anni di età. NASONEX spray nasale è indicato anche nel trattamento<br />
dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne nei bambini di<br />
età compresa tra 6 e 11 anni. In pazienti con anamnesi positiva per sintomi di<br />
rinite allergica stagionale di entità da moderata a grave, il trattamento pro�lattico<br />
con NASONEX spray nasale può essere iniziato �no a quattro settimane<br />
prima dell’inizio previsto della stagione dei pollini. NASONEX spray nasale è<br />
indicato per il trattamento dei polipi nasali in pazienti adulti a partire dai 18<br />
anni di età. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Dopo un iniziale<br />
caricamento della pompa di NASONEX spray nasale (azionare 10 volte, �nchè<br />
non si osserva un getto uniforme), ogni erogazione libera circa 100 mg di sospensione<br />
contenente mometasone furoato monoidrato equivalente a 50 microgrammi<br />
di mometasone furoato. Se la pompa spray non viene utilizzata<br />
per 14 o più giorni, deve essere nuovamente caricata con 2 spruzzi �nché non<br />
si osserva un getto uniforme prima dell’uso successivo. Rinite allergica stagionale<br />
o perenne. Adulti (compresi i pazienti geriatrici) e bambini dai 12<br />
anni di età: la dose solitamente raccomandata è di due erogazioni (50 microgrammi/erogazione)<br />
in ogni narice una volta al giorno (dose totale 200 microgrammi).<br />
Una volta che i sintomi siano controllati, la riduzione della dose ad<br />
una erogazione in ogni narice (dose totale 100 microgrammi) può essere ef�cace<br />
per il mantenimento. Se i sintomi sono controllati in modo inadeguato, la<br />
dose può essere incrementata �no ad una dose massima giornaliera di quattro<br />
erogazioni per ogni narice una volta al giorno (dose totale 400 microgrammi).<br />
Si raccomanda la riduzione della dose una volta ottenuto il controllo dei<br />
sintomi. Bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni: la dose solitamente<br />
raccomandata è di una erogazione (50 microgrammi/erogazione) in ogni narice<br />
una volta al giorno (dose totale 100 microgrammi). NASONEX spray nasale<br />
in alcuni pazienti con rinite allergica stagionale ha dimostrato l’insorgenza<br />
di attività clinicamente signi�cativa entro 12 ore dalla prima dose; tuttavia, un<br />
completo bene�cio legato al trattamento può non essere raggiunto nelle prime<br />
48 ore. Pertanto il paziente deve continuare l’uso regolare per ottenere un<br />
completo bene�cio terapeutico. Poliposi nasale. Il dosaggio iniziale comunemente<br />
raccomandato per la poliposi è di due erogazioni (50 microgrammi/<br />
erogazione) in ciascuna narice una volta al giorno (per una dose totale di 200<br />
microgrammi). Se dopo 5 o 6 settimane i sintomi non sono sotto adeguato<br />
controllo, il dosaggio può essere aumentato �no ad una dose giornaliera di<br />
due erogazioni in ciascuna narice due volte al giorno (per una dose totale di<br />
400 microgrammi). Il dosaggio deve essere ridotto alla dose minima alla quale<br />
si mantiene un controllo ef�cace dei sintomi. Si devono prendere in considerazione<br />
terapie alternative se non si veri�ca un miglioramento dei sintomi<br />
dopo 5 o 6 settimane di trattamento due volte al giorno. Gli studi di ef�cacia<br />
e sicurezza di NASONEX spray nasale nel trattamento della poliposi nasale<br />
sono durati quattro mesi. Prima di somministrare la prima dose, agitare bene<br />
il contenitore ed azionare la pompa 10 volte (�nchè non si ottiene uno spruzzo<br />
uniforme). Se il vaporizzatore non si usa per 14 o più giorni, caricare la pompa<br />
con 2 spruzzi �nchè non si osserva un getto uniforme. Agitare bene il contenitore<br />
prima di ogni uso. Il �acone deve essere gettato dopo aver effettuato il<br />
numero di erogazioni indicate in etichetta o entro 2 mesi dopo il primo utilizzo.<br />
4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi<br />
degli eccipienti di NASONEX spray nasale. NASONEX spray nasale non deve<br />
essere utilizzato nel caso di infezioni localizzate non trattate che coinvolgono<br />
la mucosa nasale. A causa dell’effetto inibitore esercitato dai corticosteroidi<br />
sulla cicatrizzazione delle ferite, i pazienti recentemente sottoposti ad un intervento<br />
di chirurgia nasale o che abbiano subito un trauma non devono utilizzare<br />
un corticosteroide nasale �no a che non sia avvenuta la cicatrizzazione.<br />
4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. NASONEX spray<br />
nasale deve essere utilizzato con cautela, o addirittura non usato, nei pazienti<br />
con infezioni tubercolari attive o quiescenti del tratto respiratorio o nel caso<br />
di infezioni non trattate fungine, batteriche, sistemiche virali o nel caso di<br />
Herpes simplex oculare. Dopo 12 mesi di trattamento con NASONEX spray<br />
nasale non c’è evidenza di atro�a della mucosa nasale; inoltre il mometasone<br />
furoato tende a ripristinare il normale fenotipo istologico della mucosa nasale.<br />
Come per ogni trattamento a lungo termine, i pazienti che usano NASONEX<br />
spray nasale per diversi mesi o più devono essere esaminati periodicamente<br />
per veri�care possibili modi�che della mucosa nasale. Se si sviluppa un’infezione<br />
fungina localizzata nel naso o nella faringe, può essere richiesta la sospensione<br />
della terapia con NASONEX spray nasale o un trattamento appropriato.<br />
La persistenza di un’irritazione nasofaringea può essere un’indicazione<br />
alla sospensione di NASONEX spray nasale. Sebbene NASONEX controlli i<br />
sintomi nasali nella maggior parte dei pazienti, l’uso concomitante di un’appropriata<br />
terapia supplementare può alleviare anche altri sintomi, in particola-<br />
Riassunto delle caratteristiche del prodotto<br />
re quelli a livello oculare. Non c’è evidenza di soppressione dell’asse ipotalamo-ipo�si-surrene<br />
(HPA) in seguito a trattamento prolungato con NASONEX<br />
spray nasale. Tuttavia, richiedono particolare attenzione quei pazienti che<br />
passano dalla somministrazione a lungo termine di corticosteroidi sistemicamente<br />
attivi a NASONEX spray nasale. La sospensione dei corticosteroidi sistemici<br />
in questi pazienti può determinare un’insuf�cienza delle ghiandole<br />
surrenaliche per alcuni mesi, �no al recupero della funzionalità dell’asse HPA.<br />
Se questi pazienti mostrano segni e sintomi di insuf�cienza surrenalica, la<br />
somministrazione di corticosteroidi sistemici deve riprendere e devono essere<br />
istituite altre terapie e appropriate misure. Durante il passaggio da corticosteroidi<br />
sistemici a NASONEX spray nasale, in alcuni pazienti possono veri�carsi<br />
sintomi da sospensione di corticosteroidi sistemicamente attivi (es. inizialmente<br />
dolore articolare e/o muscolare, stanchezza e depressione) malgrado<br />
la remissione dai sintomi nasali, e questi pazienti andranno incoraggiati a continuare<br />
la terapia con NASONEX spray nasale. Tale passaggio può anche portare<br />
alla luce condizioni allergiche pre-esistenti, quali congiuntivite allergica<br />
ed eczema, precedentemente soppresse dalla terapia corticosteroidea sistemica.<br />
La sicurezza ed ef�cacia di NASONEX non sono state studiate per il<br />
trattamento di polipi unilaterali, polipi associati alla �brosi cistica o polipi che<br />
ostruiscono completamente le cavità nasali. I polipi unilaterali che appaiono<br />
inusuali o irregolari, specialmente se ulcerativi o sanguinanti, devono essere<br />
valutati più approfonditamente. I pazienti trattati con corticosteroidi che sono<br />
potenzialmente immunosoppressi devono essere avvertiti del rischio derivante<br />
dalla esposizione a certe infezioni (es. varicella, morbillo) e dell’importanza<br />
di ricorrere al medico se si veri�ca tale esposizione. In seguito all’uso di corticosteroidi<br />
per via intranasali, molto raramente sono stati riscontrati casi di<br />
perforazione del setto nasale o incremento della pressione intraoculare. La<br />
sicurezza ed ef�cacia di NASONEX spray nasale per il trattamento della poliposi<br />
nasale non sono state studiate nei bambini e negli adolescenti di età inferiore<br />
a 18 anni. Gli effetti sistemici dovuti all’uso di corticosteroidi per via<br />
nasale possono veri�carsi in particolare a seguito di dosi elevate somministrate<br />
per periodi prolungati. Ritardo di crescita è stato riportato in bambini<br />
trattati con corticosteroidi nasali alle dosi autorizzate. Si raccomanda di controllare<br />
regolarmente l’altezza dei bambini in trattamento prolungato con corticosteroidi<br />
nasali. Se la crescita fosse rallentata, la terapia deve essere rivista<br />
allo scopo di ridurre, se possibile, la dose del corticosteroide nasale alla minima<br />
che consenta un ef�cace controllo dei sintomi. Inoltre, si deve consigliare<br />
il paziente di rivolgersi ad un pediatra. Il trattamento con dosaggi superiori a<br />
quelli raccomandati può determinare una soppressione clinicamente signi�cativa<br />
a livello del surrene. Se c’è evidenza che debbano essere usati dosaggi<br />
superiori a quelli raccomandati, deve essere presa in considerazione una<br />
copertura supplementare con corticosteroidi per via sistemica durante i periodi<br />
di stress o in caso di intervento chirurgico di elezione. 4.5 Interazioni con<br />
altri medicinali ed altre forme d’interazione. (Per l’uso con corticosteroidi<br />
sistemici, vedere il paragrafo 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego).<br />
È stato condotto uno studio clinico di interazione con loratadina. Non<br />
sono state osservate interazioni. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Non sono<br />
disponibili studi adeguati o ben controllati in donne in gravidanza. In seguito<br />
a somministrazione intranasale della massima dose clinica raccomandata, le<br />
concentrazioni plasmatiche di mometasone non sono misurabili; pertanto è<br />
prevedibile che l’esposizione fetale sia trascurabile ed il potenziale di tossicità<br />
riproduttiva sia molto basso. Come per le altre preparazioni nasali contenenti<br />
corticosteroidi, NASONEX spray nasale non deve essere utilizzato durante la<br />
gravidanza o l’allattamento, a meno che il potenziale bene�cio per la madre<br />
giusti�chi ogni potenziale rischio per la madre, il feto o il neonato. Bambini<br />
nati da madri trattate con corticosteroidi durante la gravidanza devono essere<br />
osservati attentamente per eventuale ipoadrenalismo. 4.7 Effetti sulla capacità<br />
di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non noti. 4.8 Effetti indesiderati.<br />
Gli eventi avversi correlati al trattamento riportati negli studi clinici per<br />
la rinite allergica condotti in pazienti adulti e adolescenti sono di seguito elencati<br />
(Tabella 1).<br />
Tabella 1: Rinite allergica<br />
Effetti indesiderati correlati al trattamento per NASONEX spray nasale<br />
molto comune (≥ 1/10); comune (≥ 1/100, < 1/10); non comune (≥ 1/1.000, < 1/100);<br />
raro (≥ 1/10.000, < 1/1.000); molto raro (< 1/10.000)<br />
Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche<br />
Comune: Epistassi, faringite, bruciore nasale, irritazione nasale, ulcerazione nasale<br />
Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione<br />
Comune: Cefalea<br />
L’epistassi era generalmente autolimitante e di lieve gravità e compariva con<br />
maggior incidenza rispetto al placebo (5%), ma con un’incidenza più bassa<br />
o comparabile rispetto ai corticosteroidi nasali di controllo studiati (�no<br />
al 15%). L’incidenza di tutti gli altri effetti era confrontabile con quella del<br />
placebo. Nella popolazione pediatrica, l’incidenza di eventi avversi, come epistassi<br />
(6%), cefalea (3%), irritazione nasale (2%) e starnutazione (2%), è stata<br />
paragonabile a quella con placebo. In pazienti trattati per poliposi nasale,<br />
l’incidenza globale degli eventi avversi era paragonabile al placebo e simile a<br />
quella osservata in pazienti con rinite allergica. Gli eventi avversi correlati al