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Un nuovo parcheggio per Ponte a Ema - Il Reporter

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a tu <strong>per</strong> tuLA STORIA. <strong>Il</strong> <strong>Reporter</strong> ha incontrato Joseph Levi, rabbino capo di FirenzeLa vita “silenziosa” della comunità ebraica<strong>Il</strong> suo ufficio è a duepassi dalla maestosasinagoga di via Farini.E il rione diSant’Ambrogiodiventa un laboratoriodi convivenzatra ebrei e musulmaniLuca SerranòCon una storia secolare alle spalle,la comunità ebraica fiorentinacontinua silenziosa il suo <strong>per</strong>corsonel cuore della città. <strong>Un</strong>a presenzadiscreta ma non certo secondaria, chesolo negli ultimi anni s’è un poco rarefatta.<strong>Il</strong> rabbino capo di Firenze, Joseph Levi, quidal 1996, ci accoglie nel suo ufficio a duepassi dalla sinagoga di via Farini, il maestosotempio che ogni anno accoglie decinedi migliaia di visitatori da tutto il mondo.“Sono tempi duri <strong>per</strong> chi ama la pace - esordisceamareggiato - <strong>per</strong> fortuna la storia e lacultura di Firenze hanno fatto barriera al climad’odio che si respira altrove”. <strong>Un</strong>a sensazionediffusa anche tra le altre “minoranze”religiose che hanno messo radici in rivaall’Arno, tutte riconoscenti <strong>per</strong> l’ospitalitàricevuta. “In realtà siamo qua dal ‘400 - tienea ricordare il rabbino Levi - e nonostantedifficoltà e restrizioni abbiamo contribuitonon poco al benessere di questa città”. <strong>Un</strong>astoria, quella della comunità ebraica di Firenze,che ovviamente trova il suo culminedrammatico nel <strong>per</strong>iodo delle <strong>per</strong>secuzioninazifasciste, con centinaia di <strong>per</strong>sone deportatenei campi di concentramento. Le nuovegenerazioni, non a caso, tengono viva lamemoria di quell’immane tragedia. “Finoagli anni ‘80 avevamo anche una scuola invia delle Oche - racconta Levi - tra medieed elementari c’erano oltre cento studenti.<strong>Il</strong> calo demografico, poi, ci ha costretto aJoseph Levichiudere i battenti”. Le cifre parlano di unleggero calo nelle iscrizioni alla comunità(circa 350 famiglie) e di una diminuzionedell’immigrazione ebraica dall’estero. <strong>Un</strong>asituazione <strong>per</strong> alcuni aspetti opposta a quelladella vicina Borgo Allegri, dove la moscheaattira un numero sempre maggiore di fedeli.“Tra noi c’è un buon rapporto - spiega ancorail rabbino capo Joseph Levi - siamo vicinidi casa e abbiamo molti punti di contatto.Penso che un po’ di merito vada all’imamIzzedin Elzir, che col suo carisma tiene unitatanta gente, e in fondo anche a me. Insieme– prosegue - abbiamo promosso iniziativeimportanti. Penso alle visite guidate <strong>per</strong> scolarialla moschea e alla sinagoga, ma anchea tutti gli incontri interreligiosi che ci hannovisto fianco a fianco”. Da più parti, in effetti,si indica il centro di Firenze e in particolareil rione di Sant’Ambrogio come un interessantelaboratorio di convivenza tra ebrei emusulmani. La vicinanza tra i due luoghi diculto s’è dimostrata un fattore positivo, e nonostantesulla scena internazionale non sianomancati momenti di tensione (la carneficinaavvenuta a Gaza un anno fa) la “coabitazione”prosegue senza particolari intoppi.Vista la rispettiva esigenza di un pane diversoda quello nostrano, poi, era stata decisal’a<strong>per</strong>tura di un panificio “arabo-israeliano”,SCHEDA25<strong>Un</strong>a presenza iniziatacon Cosimo il VecchioLa presenza ebraica a Firenze ha origine nel1437, quando Cosimo il Vecchio chiamò gliebrei <strong>per</strong> fondare alcuni banchi di pegnoal fine di immettere risorse nel “mercato”.Dopo anni di relativa tranquillità, l’avventodi Savonarola peggiorò le cose, con espulsionie punizioni sommarie all’ordine delgiorno. Quasi un secolo dopo, nel 1570, CosimoI de’ Medici dette il via alla costruzionedel ghetto (compreso tra piazza Repubblica,via Tosinghi, via Roma e via Brunelleschi),sulla cui porta d’ingresso campeggiavauna frase assai sinistra: “Cosimo dei Medici,Granduca di Toscana, e suo figlio … volleroche gli ebrei fossero racchiusi in questoluogo, separati dai cristiani ma non espulsi,affinché potessero, <strong>per</strong> mezzo dell’esempiodei buoni, sottoporre le durissime cervici alleggerissimo giogo di Cristo”. Nonostantemille restrizioni, gli ebrei riuscirono comunquea ritagliarsi una certa indipendenza,contribuendo non poco a una delle più floridestagioni della storia di Firenze. Per unacompleta parificazione agli altri cittadini sidovette comunque aspettare il 1859.progetto sfumato solo all’ultimo momento.“Certo sono un po’ penalizzati - si rammaricaJoseph Levi - quella moschea è troppopiccola <strong>per</strong> loro”. <strong>Il</strong> grande tempio di viaFarini, al contrario, è un mirabile esempiodi architettura in stile moresco. L’inaugurazioneavvenne nel 1882, e da allora non hasmesso di fungere da pietra angolare dell’interacomunità ebraica fiorentina. “Ma il centroè diventato invivibile - spiega il rabbinocapo - molti di noi si sono trasferiti fuori enon sempre riescono ad arrivare in sinagoga”.<strong>Il</strong> tempio, d’altra parte, è anche la cornicedi una profonda affermazione identitaria.“<strong>Un</strong>o dei problemi su cui ci interroghiamoè proprio l’assimilazione delle culture locali- conclude il rabbino capo - certo nonc’è opposizione tra essere ebrei e fiorentini,tutt’altro, ma occorre essere uguali e diversial tempo stesso”.

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