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Omnia Iustitiae Anno X - n. 2 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ...

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30dottrina agosto 201331dottrina agosto 2013prosegue disponendo che: “il potere di espropriopuò essere delegato dall’autorità pubblica che neè titolare ogni volta che l’opera pubblica o di pubblicautilità debba essere realizzata da un concessionarioo da un contraente generale” (commaottavo, articolo 6). L’intento più significativo è l’eliminazionedella frammentazione di competenzache si aveva in passato, laddove la normativa previgenteprevedeva l’intervento del prefetto al finedi emanare il decreto di esproprio, dell’autoritàgiudiziaria per le stime peritali e per ordinare ilpagamento dell’indennità, oltre che delle amministrazionipubbliche competenti a realizzare leopere. In tal modo, il legislatore ha inteso procederead una concentrazione dell’iter procedimentalein capo all’autorità competente al compimentodell’opera. Tuttavia, non è esclusa la possibilitàche l’opera venga eseguita da un concessionarioappositamente delegato, che assumerà intal caso le vesti di “autorità espropriante”. Insostanza, la nozione di autorità esproprianteappare, oggi, molto più ampia, laddove si qualificanon solo come organo deputato all’emissionedel decreto di esproprio bensì anche come soggettocompetente ad eseguire il procedimento diespropriazione. Proseguendo nell’analisi dell’articolo3, vengono, infine, delineate le figure delbeneficiario nonché del promotore dell’espropriazione,entrambe disciplinate rispettivamentedalla lettera c) e d) del primo comma. Per “beneficiario”s’intende il “soggetto, pubblico o privato,in cui favore è emesso il decreto di esproprio”. Inaltri termini, è colui che potrà realizzare l’operapubblica o di pubblica utilità per effetto dell’espropriazione,divenendo così il nuovo proprietariodel bene ablato. Diversamente, il “promotore”è qualificabile come il: “soggetto, pubblico o privato,che chiede l’espropriazione”. Di certo, lasuindicata figura non va confusa con quella del“promotore di lavori pubblici o di pubblica utilità”ex articolo 37 bis della legge quadro n.109/1994 recante disposizioni in materia di lavoripubblici, atteso che quest’ultimo può non essereaggiudicatario dei lavori proposti ed in tale ipotesinon potrà essere promotore delle corrispondentiespropriazioni. Come si evince chiaramentedal dato normativo, tali soggetti possono ancheessere soggetti privati. A tal proposito, possonoqualificarsi come soggetti privati quelli dellesocietà di trasformazione urbana di cui all’articolo120, comma secondo del d.lgs. n. 267/2000,modificato dall’articolo 44, comma 1, lettera a) eb) della legge n. 166/2002. Inoltre, non di radopuò verificarsi una perfetta coincidenza tra promotore,beneficiario ed autorità espropriante;anzi, con il Testo Unico, siffatta concordanza èdivenuta quasi una regola soprattutto nei casi incui l’espropriazione sia strumentale alla realizzazionedi una o più opere pubbliche da parte dellamedesima autorità espropriante. Naturalmente,possono verificarsi anche ipotesi in cui il suindicatoallineamento di posizioni non si concretizza;ad esempio, si pensi al caso di una società calcistica,proprietaria di uno stadio, che richieda alComune di avviare la procedura di esproprio conriferimento ad un’area confinante con lo stadio,col fine di realizzare un parcheggio pubblico. Insiffatta situazione, la società calcistica si qualificacome promotore della procedura espropriativa,mentre l’ente comunale risulta essere il beneficiario,atteso che, grazie alla realizzazione dell’operapubblica, diverrebbe il proprietario dell’area parcheggiabile.VI. L’ambito oggettivo dell’espropriazione:opera pubblica o di pubblica utilità.Originariamente, l’espropriazione era limitata ai“beni immobili” e relativi diritti (articolo 1, leggen. 2359 del 1865).Oggi, invece, a seguito di un aumento di attivitàpubbliche che hanno richiesto la disponibilità dibeni di ogni natura, è ammissibile anche l’espropriazionedi cose mobili e di diritti che nonriguardano beni immobili. Pertanto, possonoessere oggetto di procedura espropriativa diritti ebeni di diversa natura. A tal proposito, si pensi atutte quelle leggi speciali che consentono l’espropriazioneanche di taluni diritti e beni di naturamobiliare, e più precisamente dei brevetti diinvenzione, dei diritti d’autore e <strong>degli</strong> oggetti dipregio artistico. In ogni caso, il T.U. non si occupadi molte di tali espropriazioni, atteso che l’articolo1, comma primo, disciplina espressamente:“l’espropriazione, anche a favore di privati, deibeni immobili o di diritti relativi ad immobili perl’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”.Seppur soggette allo stesso iter procedimentale,la distinzione tra opera pubblica e di pubblicautilità è palesata dal Testo Unico, anche se talefonte normativa non offre alcuna definizione dettagliatadelle due nozioni. Per la definizione diopera pubblica può risultare utile quella offertadalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, meglio conosciutaquale legge quadro sui lavori pubblici.Difatti, l’articolo 2 della suindicata norma definisceopera pubblica ogni “opera eseguita dalloStato o da altro ente pubblico per il soddisfacimentodi un interesse pubblico”. Diversamente, ladefinizione di “pubblica utilità” richiama un concettomolto più vasto e di difficile interpretazione.Come sostenuto anche dalla dottrina, la qualificazionedi opera di pubblica utilità è fornitasulla base di un criterio finalistico: un’opera diproprietà dei privati, realizzata grazie al procedi-mento espropriativo, può essere di pubblica utilità.Allo stesso modo può considerarsi di pubblicautilità un’opera di proprietà di un ente pubblico.Dunque, nell’ipotesi di opera di pubblica utilitàquest’ultima può anche soddisfare un interesse dinatura privata; al contrario, l’opera pubblicatende al solo soddisfacimento dell’interesse collettivo.Tuttavia, il Testo Unico al secondocomma dell’articolo 1 estende l’ambito di applicazionedell’opera pubblica o di pubblica utilitàanche: “alla realizzazione <strong>degli</strong> interventi necessariper l’utilizzazione da parte della collettività dibeni o di terreni, o di un loro insieme, di cui nonè prevista la materiale modificazione o trasformazione”.Quest’ultima tipologia di espropriazioneha il fine di tutelare e valorizzare determinati benie per tale ragione non sono indispensabili le operenecessarie al godimento della collettività o lamateriale modificazione o trasformazione delbene medesimo. In tale categoria vi rientra senzadubbio l’espropriazione per ragioni di tutela delpatrimonio storico-artistico regolamentata siadall’articolo 52 del Testo Unico sia dal Codice deibeni culturali. In ultima analisi, merita particolareattenzione l’ultimo comma dell’articolo 1, inquanto introduce una clausola di salvaguardia, invirtù della quale le disposizioni del Testo Unico“non possono essere oggetto di deroga, modificao abrogazione se non per dichiarazione espressa,con specifico riferimento a singole disposizioni”.La ratio di tale clausola risiede nella volontà di rafforzareil dettato normativo impedendo interventiche possano minarne l’unitarietà e l’organicità.Tale finalità emerge anche dalla giurisprudenzadel <strong>Consiglio</strong> di Stato, il quale ha osservato che latecnica di predisporre una clausola di salvaguardia“è stata già sperimentata in settori ove forte èl’esigenza di dar vita ad un corpus unitario dinorme non suscettibile di interventi manipolativinon espliciti idonei ad ingenerare dubbi ermeneuticicirca l’effettivo assetto normativo” (cfr.Cons. Stato, ad. gen., 8 giugno 2000, n. 87).VII. L’espropriazione dei beni appartenenti aldemanio pubblico.Sul punto, merita attenzione la disposizione normativadi cui all’articolo 4, comma primo, delT.U., il quale così recita: “i beni appartenenti aldemanio pubblico non possono essere espropriatifino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione”.Tale principio trova fondamentonella inalienabilità e indisponibilità dei benidemaniali, consacrato dall’articolo 823 delCodice civile, secondo il quale i beni che fannoparte del demanio pubblico sono inalienabili. Lamotivazione risiede nel fatto che tali beni sonogià diretti a soddisfare in via permanente un interessepubblico, ragion per cui la loro destinazionead un uso diverso è possibile solo quando vengameno la loro assegnazione in virtù di uno specificodecreto di sdemanializzazione. È necessario,dunque, procedere ad un giudizio comparativofra l’interesse pubblico che si intende perseguireattraverso l’opera dichiarata di pubblica utilità el’interesse pubblico cui si provvede mediante l’utilizzodel bene demaniale. È solo al termine ditale confronto che, in presenza dei presupposti, siprocede alla cd. sclassificazione e all’espropriazione.Come è chiaramente desumibile dall’articolo829, primo comma, del Codice civile, il decreto disdemanializzazione ha natura puramente dichiarativa;difatti, tale norma statuisce testualmente:“il passaggio dei beni dal demanio pubblico alpatrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall’autoritàamministrativa. Dell’atto deve esseredato annunzio nella Gazzetta Ufficiale dellaRepubblica”. Pertanto, in caso di declassificazione,il bene demaniale non avrà una destinazionead uso pubblico bensì esso entrerà a far parte delcd. patrimonio disponibile dello Stato e sarà soggettoalle regole di diritto privato.(Segue) Gli usi civici.Gli usi civici noti anche sotto il nome di “servitùciviche” o “ademprivi”, sono diritti reali di godimentospettanti ad una collettività organizzata estanziata su un dato territorio, le cui antiche originirisiedono nella necessità di assicurare i mezzidi sostentamento alla famiglia, traendo utilità eprofitto dalla terra, dai boschi e dalle acque. Intempi più recenti, gli usi civici hanno assunto unsignificato più ampio di natura culturale e paesaggistico,come si evince dall’articolo 142,comma primo, lettera h), del d.lgs. n. 42/2004,recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio.Secondo la dottrina maggioritaria, è da considerarsilegittima l’espropriazione <strong>degli</strong> usi civicipurché risulti prevalente l’interesse generalerispetto all’interesse della collettività ad usufruiredell’uso civico stesso. Invero, la ricostruzione piùaccreditata sostiene che solo in seguito alla sdemanializzazioneè possibile l’estinzione dell’usocivico. Ma in merito alla questione ancora oggisussiste un contrasto di ordine giurisprudenziale.Difatti, secondo un primo filone la sdemanializzazioneprocurerebbe un irreversibile mutamentodello stato dei luoghi con conseguente impossibilitàdell’esercizio del diritto demaniale collettivo.Differente orientamento, invece, sostiene che l’espropriazioneper pubblica utilità di un’areademaniale soggetta ad uso civico non faccia venirmeno la demanialità e, al contempo, afferma chesolo una trasformazione del bene possa determinarel’estinzione del diritto di uso civico.

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