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Omnia Iustitiae Anno X - n. 2 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ...

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28dottrina agosto 201329dottrina agosto 2013quale concorso del privato, con i propri beni o lapropria attività, alla realizzazione di fini pubblici.A tal proposito, la giurisprudenza ha adottatopronunce in stretta coerenza con tali principi, evidenziandocome l’espressione indennizzo nondebba intendersi nel senso meramente etimologicodi “rendere indenne”, ma come il massimo diretribuzione e di riparazione che l’organo pubblicopuò garantire all’interesse privato.III. Il procedimento secondo la legge 22 ottobre1971 n. 865.Ai fini della ricostruzione storica dell’istituto inquestione, appaiono di notevole rilievo i criteriinnovativi introdotti dal legislatore con la legge n.865 del 1971, cd. legge sulla casa, recante, tra l’altro,“Programmi e coordinamento dell’ediliziaresidenziale pubblica” e “norme sull’espropriazioneper pubblica utilità”. Ad essa si attribuisconomodifiche significative riguardanti le procedureed il metodo di calcolo dell’indennità di espropriazione.In particolare, merita attenzione l’articolo16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 cosìcome modificato ed integrato dall’articolo 14della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (cd. leggeBucalossi ovvero “legge per l’edificabilità deisuoli”). Il maggiore intervento correttivo hariguardato la stima dell’ammontare dell’indennizzo,laddove la legge n. 865 ne ha ricondotto ladeterminazione al valore agricolo del fondooggetto della procedura ablativa; in tal modo, ilquantum dell’espropriazione viene determinato suun valore fittizio, che rende la traslatio della proprietàeconomicamente svantaggiosa per il privato.Nella determinazione dell’indennità non devepertanto prendersi in considerazione l’utilizzabilitàdell’area ai fini dell’edificazione nonché l’incrementodi valore derivante dall’esistenza nellastessa zona di opere di urbanizzazione primaria esecondaria e di qualunque altra opera o impiantopubblico (sesto comma, articolo 16, legge n. 865).In conseguenza dell’inattendibilità di tale metododi stima, è intervenuta la Corte Costituzionaleche con la pronuncia n. 5 del 30 gennaio 1980 hadichiarato illegittima la predetta disposizione,ritenuta in contrasto con l’articolo 42 dellaCostituzione, in quanto il criterio del valore agricoloera di gran lunga inferiore al valore reale deibeni. Più specificatamente, la Corte ha stabilitoquanto segue: “Affinché l’indennità di espropriazionepossa ritenersi conforme al precetto costituzionale,è necessario che la misura di essa siariferita al valore del bene, determinato dalle suecaratteristiche essenziali e dalla destinazione economicaperché solo in tal modo l’indennità stessapuò costituire un serio ristoro per l’espropriato”.A seguito della dichiarazione di incostituzionalitàdell’articolo 16 della legge n. 865/1971 era ritornatoapplicabile il criterio del valore di scambiodel bene di cui all’articolo 39 della legge fondamentaledel 1865. Bisogna attendere gli anni ‘90perché, con l’articolo 5 bis del decreto legge n.333/1992, convertito in legge n. 359/1992, si assistaall’introduzione del criterio del “valore mediato”.A differenza della legge n. 865/1971, il metododi calcolo introdotto nel 1992 era caratterizzatoda una minore specificità, applicandosi indiscriminatamentea tutte le espropriazioni preordinatealla realizzazione di opere o interventidichiarati di pubblica utilità e realizzate da pubblicheamministrazioni. Nonostante l’inserimentodel criterio mediato nell’ambito del T.U. sugliespropri (in ordine alle aree edificabili ex articolo37), anche l’articolo 5 bis non è rimasto esente dacritiche. Non a caso, la citata disposizione saràdichiarata costituzionalmente illegittima consentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre2007, n. 348. La questione, così come sollevatadal Supremo organo collegiale, s’incentrava sulpresunto contrasto tra la disposizione di cuiall’articolo 5 bis del d.l. 333/1992 e l’articolo 1 delprimo Protocollo della Convenzione Europea deiDiritti dell’Uomo (C.E.D.U.). In particolare,secondo la Corte, i “criteri volti alla determinazionedell’indennizzo dovuto ai proprietari di areeedificabili espropriate per motivi di pubblico interessecondurrebbero alla corresponsione disomme non proporzionate al valore dei benioggetto di ablazione”. Il parametro evocato dallaSuprema Corte era rappresentato dall’articolo117, comma 1, della Carta Costituzionale, cosìcome riformato dalla legge 18 ottobre 2001, n. 3recante “Modifiche al titolo V della parte secondadella Costituzione”. Tale impostazione giurisprudenzialeè stata confermata anche da pronuncepiù recenti, sull’assunto che fosse necessaria unavalutazione ex novo della norma censurata (articolo5 bis) in relazione al criterio introdotto a seguitodella modifica dell’articolo 117, comma 1,Cost., in quanto non esistente nel periodo in cuila precedente giurisprudenza costituzionale si eraformata.IV. Il Testo Unico <strong>degli</strong> espropri (d.p.r. n.327/2001): semplificazione e razionalizzazionedel quadro normativo.La necessità di dar vita ad un Testo Unico inmateria di espropriazione si è manifestata a causa<strong>degli</strong> innumerevoli interventi legislativi che sisono susseguiti nel corso dell’ultimo secolo. A talproposito, merita attenzione l’articolo 58 del T.U.sugli espropri che, in un ottica di semplificazione,elenca tutti gli schemi normativi abrogati, procedendoin tal modo ad un vero e proprio svecchia-mento attraverso una reductio ad unitatem dei molteplicimodelli cristallizzati dalla normativa previgente.Sul punto, è intervenuta la stessa giurisprudenzaamministrativa che, nell’analizzare lecause che hanno portato ad una frammentazionedella disciplina in questione, ha sottolineato laspecificità della materia espropriativa affermandoche: “essa nel tempo ha assunto un caratterepeculiare rispetto ad altre che pure sono statedisciplinate da un notevolissimo numero di fontinormative” e aggiunge che: “la materia dell’espropriazione(anche in considerazione dei suoi strettirapporti con l’urbanistica) si caratterizza nonsolo per la notevole diversità delle fonti normative,ma soprattutto per l’affermarsi di una disciplinasostanzialmente episodica che ha dettato lepiù variegate regole sulle competenze, sui procedimentida seguire e sulla determinazione dell’importospettante quale indennità di espropriazione”(parere/relazione reso nell’adunanza generaledel 29 marzo 2001 n. 4/2001 in occasionedella redazione dello schema di T.U. in materia diespropriazione). Pertanto, l’emanazione del TestoUnico ha rappresentato una valida risposta all’esigenzadi razionalizzazione amministrativa perseguitadal legislatore.È proprio con l’articolo 7 della legge n. 50 del1999 (successivamente modificato dall’articolo 1della legge n. 340 del 2000) che è stato introdottoun modello di semplificazione basato sulla redazionedi Testi Unici misti, miranti a realizzare una“codificazione per settori” delle molteplici disposizionistratificatesi negli anni. Il suindicato articolo7, al secondo comma, statuiva che si dovesseprocedere al riordino “mediante l’emanazione diTesti Unici riguardanti materie e settori omogenei,comprendenti, in un unico contesto e con leopportune evidenziazioni, le disposizioni legislativee regolamentari”. Tuttavia, siffatti testi normativipresentano due aspetti in netto contrastotra di loro, uno positivo e l’altro negativo. Difatti,se da un lato sono caratterizzati da una forte originalità,dall’altro presentano un limite legatoessenzialmente alla carenza di una forza innovativasostanziale. A distanza di pochi anni, e precisamentecon la legge 29 luglio 2003 n. 229 disciplinante“interventi in materia di qualità della regolazione,riassetto normativo e codificazione”, èstato predisposto un riassetto attraverso la redazionedi veri e propri codici (da emanarsi permezzo di decreti legislativi, previo parere del<strong>Consiglio</strong> di Stato). In particolare, l’articolo 23,terzo comma, della legge 229/2003 ha dispostol’espressa abrogazione dell’articolo 7 della leggen. 50/1999, con il conseguente venir meno deiTesti Unici misti, in quanto ritenuti una inconsuetafonte di cognizione.V. I soggetti del rapporto espropriativo.L’articolo 3 del d.p.r. 327/2001 nel definire i cd.“protagonisti” del procedimento ablatorio sisostanzia in una disposizione che non desta particolarecomplessità, diversamente dalla legge del1865. Difatti, quest’ultima proponeva una precisazionedei ruoli più decisiva dal momento chepoteva considerarsi autorità competente all’espropriazionela sola figura del prefetto, mentreogni altro soggetto che voleva procedere ad unaespropriazione doveva qualificarsi come beneficiarioo come promotore. La legislazione attualmentevigente, invece, pone una differenziazionemeno netta tra le parti, atteso che l’autoritàespropriante può essere assunta da un qualsiasiente pubblico che realizzi l’opera e che nella figuradell’espropriante possono confluire sia quelladel beneficiario che del promotore. Fatta questapremessa, occorre procedere ad una definizioneapprofondita dei termini che si riferiscono allefigure soggettive attorno alle quali ruota l’iterespropriativo. La norma di cui all’articolo 3,comma primo, lettera a) definisce l’“espropriato”come il soggetto, pubblico o privato, titolare deldiritto oggetto di espropriazione; dunque, si ponein una situazione di subordinazione, essendo soggettoall’agire pubblico. Tuttavia, occorre tenereben distinta la figura dell’espropriato da quelladel proprietario, laddove il concetto di “espropriato”,quale titolare del diritto ablato, risultaessere molto più ampio. In merito, anche lo stessoTesto Unico non sempre rispetta tale distinguo,al punto che spesso parla di proprietarioanziché di espropriato specialmente con riguardoalla fase che precede l’emanazione del decreto diesproprio. Possiamo trovare una chiara confermadi ciò in alcune disposizioni normative contenutenel Testo Unico. A titolo esemplificativo, si pensiall’articolo 22, laddove quest’ultimo al primocomma stabilisce che il proprietario debba essereinvitato ad esprimersi sull’indennità; diversamente,il comma terzo dello stesso articolo prevedeche sia l’espropriato a ricevere la comunicazioneprevista dal primo comma. Alla lettera b) dell’articolo3, invece, è delineata la figura dell’“autoritàespropriante”, con la quale si suole intendere l’autoritàamministrativa cui è attribuito il potere diespropriare nonché la cura del relativo procedimentoespropriativo, ovvero il soggetto privato alquale sia stato attribuito tale potere ex lege.Invero, tale definizione va necessariamente collegatacon il comma 1 dell’articolo 6, laddove quest’ultimorecita testualmente: “l’autorità competentealla realizzazione di un’opera pubblica o dipubblica utilità è anche competente all’emanazione<strong>degli</strong> atti del procedimento espropriativo chesi rende necessario”. La medesima norma, poi,

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