Omnia Iustitiae Anno X - n. 2 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ...

Omnia Iustitiae Anno X - n. 2 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ... Omnia Iustitiae Anno X - n. 2 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ...

foronocera.it
from foronocera.it More from this publisher
12.07.2015 Views

20dottrina agosto 201321dottrina agosto 2013causa-effetto fra la violazione di legge che èdenunziata e l’esito della lite (profilo di causalità)”;tale opzione interpretativa è l’unica a potergarantire che nel giudizio di gravame sia assicuratala garanzia costituzionale di cui all’articolo 111Costituzione, nei segmenti intimamente correlatidel giusto processo e della durata ragionevole,anche con riguardo alla disposizione contenutanell’articolo 436 bis c.p.c., sotto tale ultimo profiloevidenziandosi che è “assai più probabile che ilgiudice di appello riesca a pervenire in tempiragionevoli alla definizione del processo quantopiù i motivi si conformeranno in misura convincenteallo stilema dell’articolo 434 c.p.c.” e che“quanto più gli appelli saranno sviluppati nelrigoroso rispetto dell’articolo 434 c.p.c. tantomeno discrezionale sarà la valutazione di cuiall’articolo 436 bis c.p.c. e tanto più giusto sarà nelconcreto il processo di appello”. Anche nella fattispecieesaminata dalla Corte capitolina è stataritenuta l’inammissibilità di gravame che, tra l’altro:pur contenendo l’indicazione delle singolestatuizioni non condivise, aveva “omesso di indicarele modifiche proposte con riferimento a ciascunaparte della sentenza”; non si era estrinsecato“nella produzione di prospetti contabili alternativirispetto a quelli allegati al ricorso di primogrado e posti a base della decisione impugnata”né “in una proposta di modifica” della statuizionesu capo rilevante della decisione impugnata;aveva mancato di “individuare il testo di unanuova pronuncia volta a modificare le argomentazionidel giudice di prime cure” in ordine adulteriore capo rilevante; aveva in via subordinatarichiesto la rideterminazione di somme senzaindicare “in relazione alle singole doglianze i corrispondentivalori monetari delle diverse voci”; indefinitiva, aveva impedito “direttamente al giudicedi comprendere per quale motivo la sentenzadovrebbe essere riformata e in quali precisi terminidebba essere motivata”. In realtà, il dibattitosulla portata della riforma in parola è caratterizzatoda orientamenti interpretativi profondamentedivergenti tra loro. Secondo un’interpretazionerestrittiva, si potrebbe ritenere che, nonessendo più espressamente richiesta la specificitàdei motivi d’impugnazione, il gravame sarebbeammissibile ove il giudice, a un esame complessivodello stesso e nonostante la mancanza di specifichecritiche alle ragioni della decisione impugnata,sia, comunque, in grado di risalire alle“parti del provvedimento” appellate (eventualmenteidentificabili, in senso ancora più restrittivo,con riferimento al solo dictum contenuto neldispositivo), alle violazioni di legge denunciate ealla conseguente riforma richiesta. Non lontanoda tale interpretazione si colloca la tesi secondocui, pur non ravvisandosi effetti regressivi, nonsussisterebbero nemmeno profili innovativi, e lanovella si limiterebbe a confermare i risultatiacquisiti dal diritto vivente circa l’onere di specificazionedei motivi. All’estremo opposto, si sostiene,invece, che la novella abbia inteso profondamenteincidere sulla formulazione dell’appello,esigendo non solo la proposizione di specifichedoglianze (ritenute indispensabili, dalla stessadottrina ricordata, anche in teorica assenza diprevisione normativa “dedicata”, bensì già solo“in base all’interesse a impugnare”), ma che lestesse si articolino nell’indicazione (necessariamenteespressa e precisa) delle parti del provvedimentomotivatamente contestate e delle modifiche(corrispondentemente motivazionali) chevengono richieste. Il Collegio salernitano affermadi poter condividere, tra le opposte interpretazionisopra ricordate, l’ultimo orientamento esposto,“seppure con la cautela imposta dalla mancanzaallo stato di un consolidato indirizzo giurisprudenzialee con la comprensione dovuta insede di prima applicazione per l’assimilazionedella nuova disciplina processuale da parte delForo”. A supporto di tanto, la Corte di Appello diSalerno soggiunge che “già sotto la precedenteformulazione dell’articolo 434 c.p.c. si andavanoaffermando interpretazioni tali da escludere l’ammissibilitàdell’appello laddove l’esposizione delleragioni di fatto e di diritto fondanti l’impugnazionenon si risolvesse in una critica adeguata especifica della decisione impugnata, per tale intesaquella “che consenta al giudice del gravame dipercepire con certezza e chiarezza il contenutodelle censure in riferimento ad una o più statuizioniadottate dal primo giudice (cfr. Cass.,Sezione lavoro, sentenza n. 25588 del 17 dicembre2010)”.Ancora, a sostegno della prefata impostazione, laGiustizia di Appello salernitana osserva:- “che la finalità della novella, introdotta con d.l.recante “misure urgenti per la crescita del Paese”,è quella di migliorare, ispirandosi in particolare almodello tedesco, l’efficienza delle impugnazionia fronte della violazione pressoché sistematica deitempi di ragionevole durata del processo, conconseguenti indennizzi disciplinati dalla legge n.89 del 2001, con incidenza diretta sulla finanzapubblica e con configurazione, come osservato daimportanti organizzazioni nazionali e internazionali,di un formidabile disincentivo allo sviluppodegli investimenti nel nostro Paese”;- “che il chiaro riferimento al § 520 della ZPOtedesca identifica tale norma come un importanteparametro comparativo, oltre che ineludibileelemento di valutazione in un’interpretazionenecessariamente tendente all’armonizzazione deisistemi legislativi comunitari”;- “che la suddetta norma obbliga l’appellante aindicare in primo luogo le parti della sentenzadelle quali chiede la riforma, nonché le modificherichieste, sicché è stato osservato che il lavoroassegnato al giudice dell’appello appare alquantosimile a un preciso e mirato intervento di “ritaglio”delle parti di sentenza di cui si imponga l’emendamento,con conseguente innesto - cheappare quasi automatico, giusta l’impostazionedell’atto di appello - delle parti modificate, conoperazione di correzione quasi chirurgica deltesto della sentenza di primo grado”;- “che la stessa enumerazione progressiva deglielementi contenutistici della motivazione dell’appellosembra suggerire un ordine preciso deglistessi (in forte analogia ancora una volta con lastruttura del § 520 ZPO, nonché con l’ordinataenumerazione dei punti contenutistici della sentenzaex articolo 132 c.p.c.), senza nemmenopotersi escludere una lettura “in negativo” dellanorma che porti a ritenere che il contenuto motivazionaleindicato debba essere il solo consentitooltre che il solo richiesto, con preclusione quindidi considerazioni che non siano chiaramente estrettamente rapportate a parti della decisioneimpugnata”;- “che appaiono evidenti la facilitazione e lo sveltimentodel lavoro del giudice che ne possonoderivare, potendo il decidente individuare conimmediatezza e senza studi defatiganti sia lerichieste tendenti a un effetto demolitorio di preciseparti della motivazione della decisione impugnata,sia le richieste, sorrette da specifica e adeguatamotivazione critica, tendenti con strettacorrispondenza anche espositiva a un effettosostitutivo e, come si è appunto detto, altrettanto“chirurgicamente” preciso di tali parti con le partiindicate dall’appellante, il che si armonizza anchecon le funzionalità di editing redazionale consentitesul piano informatico dal processo civile telematico(non a caso altra innovazione che allostato riceve forte impulso sempre nell’ottica di unrecupero dei tempi di giustizia)”;- “che la finalità di agevolazione e sveltimento dell’attivitàdecisoria del giudice di appello vieppiù sicoglie ponendo mente alla contestualità dellanovella dell’articolo 434 c.p.c con l’introduzionedell’articolo 436-bis c.p.c. e delle norme da essorichiamate (articoli 348-bis e 348-ter c.p.c.), relativeal cd. “filtro” di ammissibilità dell’appello (asua volta mutuato dal § 522 della ZPO) a secondadella sussistenza o meno di una ragionevole probabilitàdi accoglimento del gravame, giacché èevidente che in tanto tale ultima valutazionepotrà essere agevolmente e sollecitamente condottain quanto chiara, pertinente e precisaappaia la traccia decisoria proposta dall’appellante;- “che tale senso del “trapianto” del § 520 dellaZPO nel c.p.c. lo si trova confermato anche nellamotivazione dell’emendamento approvato dallaCommissione Giustizia della Camera deiDeputati il 23 luglio 2012, laddove, in sostanzarecependosi le indicazioni del CSM, si affermache la novella, traendo “spunto, ovviamente nellacornice ordinamentale italiana, dal § 520, comma3, della ZPO tedesca” fa sì che “il giudice di appellovedrà agevolato il proprio compito di esame, eper altro verso si vedrà fugato il rischio di utilizzoarbitrario del filtro, impedito dalla traccia specificaproposta dall’appellante e su cui necessariamentedovrà tararsi la prognosi di ragionevoleprobabilità di accoglimento”;- “che depone infine fortemente nel senso dell’interpretazionein questione anche il principio,affermato in motivazione da Cass. n. 13825/2008,secondo il quale la regola della ragionevole duratadel processo ex articolo 111, comma 2, Cost.,costituisce un parametro per valutare la compatibilitàcon il dettato costituzionale delle singolenorme processuali o, quanto meno, per patrocinarneun’interpretazione costituzionalmenteorientata, essendo di tutta evidenza che l’economiadi tempi processuali perseguita dalla novella(in questo affatto insignificante bensì di notevolee strategica rilevanza per invertire la tendenzaall’accumulo di arretrato a carico delle Corti diAppello) può essere ottenuta solo esigendo ilrispetto da parte dell’appellante, in un’ottica dileale collaborazione e a pena di inammissibilitàdel gravame, dei predetti oneri formali, e non consentendopiù che il giudice, se non in limiti ragionevoli(da valutare più elasticamente in sede diprima applicazione della novella), sia costretto adisperdere tempo prezioso ed energie, a discapitodi altre risposte di giustizia attese, nella ricerca dielementi che la parte ben può e deve fornire inmaniera ordinata e puntuale”.L’Avvocatura italiana ha manifestato, fin da subito,serie preoccupazioni verso il nuovo meccanismodell’impugnazione e, in particolare, l’OUAha definito l’intervento legislativo sul filtro inappello “un rimedio peggiore del male”.Il possesso nel diritto penale.Angelo MondelliHIn molteplici casi di reati contro il patrimonioprevisti e puniti dal Codice penale è di fondamentaleimportanza la nozione di possesso per megliocomprenderne il momento consumativo e glieffetti. Identificando il possesso della cosa con-

22dottrina agosto 201323dottrina agosto 2013sente di differenziare il reato di furto da quello diappropriazione indebita, oppure di comprenderela distinzione tra il reato di rapina e quello dirapina tentata (sentenza n. 5663 del 20 novembre2012, ud. dep. 5 febbraio 2013, Rv. 254691 dellaCorte di Cassazione, Sezione 2, secondo cui: integrail reato di rapina e non quello di tentata rapina,la condotta di chi s’impossessa della refurtiva,acquisendone l’autonoma disponibilità, pur sel’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo,anche costante delle Forze dell’ordine, laddovequeste siano intervenute solo dopo la sottrazione,in quanto il delitto previsto dall’articolo 628 delc.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui siverificano l’ingiusto profitto e l’altrui dannopatrimoniale, a nulla rilevando, invece, la meratemporaneità del possesso conseguito. Oppureancora la Corte di Cassazione Sezione 5 sentenzan. 40327 del 21 settembre 2011, ud. dep. 8 novembre2011, Rv. 251723, secondo cui integra il reatodi furto e non quello di appropriazione di cosesmarrite colui che s’impossessi di un telefono cellularealtrui oggetto di smarrimento, trattandosidi bene che conserva anche in tal caso chiari segnidel legittimo possesso altrui e in particolare incodice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio).Per possesso si intende una relazione intercorrentetra un soggetto e un bene a prescindere dallasussistenza nel soggetto stesso della titolarità deldiritto di proprietà, che consente alla persona didisporre della cosa in modo autonomo, tale relazioneintercorrente deve essere accompagnatadalla volontà di tenere la cosa per sé (potere difatto esercitato sulla cosa più animus possidenti).Analizziamo la dottrina e l’evoluzione storica ditale concetto.Autorevole dottrina (Nuvolone) fornisce la definizionedi possesso inteso come “l’autonoma disponibilitàdella cosa”, dove per “disponibilità autonoma”si intende quando si svolge al di fuor delladiretta vigilanza della persona che abbia sullacosa un potere giuridico maggiore, come ad esempioil diritto di proprietà. Un esempio è dato dalreato di furto p. e p. dall’articolo 624 e 624 bis delc.p., dove l’interesse tutelato viene identificato nel“regolare possesso” di un bene mobile (non nell’accezioneletterale del termine dove al contrariodella nozione civilistica di cosa mobile, nel dirittopenale un bene mobile può essere anche un beneimmobile “mobilizzato”, cioè può essere trasportatoda un luogo a un altro come ad esempio uncancello), come sostenuto da parte della dottrina,nella proprietà di esso.La principale distinzione avviene con la nozionedi possesso e quella di detenzione. Il detentore ècolui che esercita il potere sulla cosa nella sfera divigilanza del possessore, non si può quindi parlaredi impossessamento se non si acquista una“signoria autonoma” sulla cosa sottratta, elementomancante nella detenzione.Nel caso in cui dopo la sottrazione non si acquistauna signoria autonoma il delitto infatti saràsolo tentato. Come detto in precedenza il possessonel diritto penale è considerato un requisitofondamentale nei reati contro il patrimonio, taleda evidenziare più di ogni altro elemento costitutivodelle fattispecie criminose la divergenza tradiverse teorie, quella di natura spiccatamente“privatistica” e quella “autonomistica”.La teoria privatistica configura una totale identitàtra la nozione di possesso adottata nel dirittoprivato e quella utilizzata nel diritto penale.Partendo dal presupposto che, seppur identificandoil possesso quale istituto di natura civilistica,in quanto nel diritto penale una sua autonomadefinizione e disciplina è assente, occorretener presente che contro seppur in assenza diun’autonoma definizione penalistica, non si puòa priori escludere un’autonoma figura per la tutelapenalistica dei reati contro il patrimonio.Siccome la norma civile e quella penale assolvonofunzioni diverse nei due rami del diritto, si possonoavere due figure diverse di possesso a secondadella disamina strutturale a esso assegnata.Alla teoria civilistica riconducono gli studi delPannain il quale specifica che, tanto per il dirittoCivile che quanto per il diritto Penale “debbonoritenersi ipotesi di possesso tutte quelle che non siriducano a pura e semplice detenzione, e quest’ultimasi ha in presenza di una relazione materialedi chi detiene per conto, in nome e nell’interessedel possessore, come longa manus di lui”.La tesi di Pannain sembra trovare sostegno nell’articolo1140 c.c., il quale lasciando in secondopiano il requisito dell’animus consente di sostenere,come appunto fa Pannain, la non essenzialitàdi quest’elemento bastando solo un fatto esterioreoggettivo ai fini della configurabilità del possesso.Secondo invece gli strenui sostenitori dellateoria civilista non ci sono dubbi che per aversipossesso occorra, secondo quanto previsto dall’articolo1140 c.c., non solo il potere materialecorpore detinere, ma anche l’animus, infatti, nei casiin cui manchi quest’ultimo elemento, non si puòparlare di possesso ma di mera detenzione, comeprecisato dal capoverso dell’articolo 1140 del c.c.Nel caso in cui in sede penale si volesse applicarefedelmente l’opinione civilistica dominante, laconseguenza sarebbe quella di escludere il possessonei casi del depositario, comodatario, locatarioetc., i quali tutti detengono in nome di altri. Inquesto caso considerando, come detentori e nonpossessori, le suindicate ipotesi, si avrebbe unreato di furto e non di appropriazione indebita,conclusione spiccatamente illogica e irrazionalefuori dalle risultanze della dottrina e della giurisprudenzaper le quali si ritiene ius receptum, che intutte le menzionate ipotesi si abbia la sussistenzadel reato di appropriazione indebita e non quellodi furto. I sostenitori della teoria civilistica apronodue percorsi: sviluppare ex novo una nozionecivilistica di possesso a cui adeguare e riferirequella penalistica, come fatto appunto dalPannain, in netto contrasto con gli studiosi deldiritto privato; accogliere l’interpretazione civilisticageneralmente seguita, ovvero una nozionepiuttosto ristretta di possesso a cui occorre necessariamentefare da capolino un’altra “non pocoampia” di detenzione, il che finisce per portare aconclusioni in netto contrasto con le applicazionitradizionali della nozione di possesso nel dirittopenale. Secondo quanto sostenuto dalla correnteautonomistica, evoluta di fronte alle perplessitàsollevate dagli studiosi relativamente alla tesi privatistica,occorreva porre un argine alle molteincertezze suscitate dai privatisti.Occorre tener presente il fatto che autonomianon significa conseguentemente privare di valorei concetti civilistici utilizzati nell’ambito del dirittopenale, ma utilizzare quei concetti con i relativiadattamenti, precisando che il diritto penale hale proprie esigenze e, nel caso in cui recepisce daaltri rami del diritto dei concetti o istituti giuridici,li armonizza tali da renderli adattabili agliscopi prefissati. Parte della dottrina capeggiata daNuvolone 1 individua il concetto di possesso attraversola definizione dell’apparentia iuris, ovvero, “larelazione con la cosa costituirebbe possesso inquanto rivestita dall’apparenza di un’autonomadisponibilità di diritto”. In tal modo, ad esempio,si spiegherebbe la differenza tra il reato di furto equello di appropriazione indebita.Nel caso di appropriazione indebita esiste unasituazione di apparenza di diritto e cioè un possesso,infatti, l’atto di appropriazione apparirebbeai consociati come la continuazione dello statopreesistente e non susciterebbe pertanto quell’accentuatoallarme sociale che provoca invece ilfurto la cui arbitrarietà è palese come sostenutodal Funaili. Tale assunto teorico è integrato dalfatto che si ha la possibilità “di fatto” di esercitareil diritto sulla cosa, assistita da una situazionedi “apparenza di diritto” desunta dal concorso difattori positivi e negativi ossia da forme di pubblicitàda un lato e mancanza di violenza dall’altro.Anche questa teoria è stata oggetto di critichein quanto la prima questione posta consiste nelfatto che l’autonomia della appropriazione indebitarispetto al furto si spiega principalmente inragione del “genere della condotta” in quanto,avendo già il soggetto la disponibilità materialedella cosa, ne mancherebbe la sottrazione furtiva;la seconda questione riguarda la mancanza diconcretezza e precisione nei casi dubbi; la terza eultima questione posta è che la mancanza di clandestinitàe violenza, per tale motivo si porta aescludere l’ipotesi che l’atto del rubare posto inessere dal ladro il quale “possiede” mentre in dottrinasi sostiene il contrario.L’Antolisei si propone di “rendere la nozione civilisticadi possesso più ampia in tal modo daricomprendere tutti i casi in cui la signoria difatto sulla cosa si esercita in modo autonomo,ovvero, senza la sorveglianza di una persona cheabbia sulla stessa cosa un potere maggiore”. In talmodo la detenzione si riduce a quei casi in cui ilpotere di fatto sulla cosa si esplichi entro la sferadi custodia e vigilanza del possessore.Per possesso, secondo il sistema penalistico, deveintendersi la relazione tra soggetto e cosa inmodo indipendente. Il possesso penale e quellocivile si distinguono sia per l’elemento materialeche per quello soggettivo. Per il corpus infatti nelsistema civile si può possedere tramite altri chedetengono il bene, nel diritto penale ciò non trovaalcun riscontro.Per animus in diritto penale non si richiede l’intenzionedi considerare la cosa propria(Antolisei). Concludendo per possesso nell’accezioneprivatistica deve intendersi quella relazionetra soggetto e cosa che consente alla prima di disporredella seconda in modo autonomo, cioè al difuori della diretta vigilanza di chi abbia sulla cosaun potere maggiore; mentre detentore è colui ilquale esercita un potere di fatto nella sfera delpossessore. Ne deriva che nel sistema penale peranimus si intende la volontà di tener la cosa pressodi sé, a prescindere da quelle attività corrispondential diritto di proprietà o altro diritto reale.Ne consegue quindi che il possesso continua incaso di morte nell’erede e che esso permangaanche in mancanza di un potere di fatto che nonsi pratichi momentaneamente in modo effettivo.Se non c’è signoria autonoma manca impossessamento.A nulla rilevano infatti il criterio temporalee quello spaziale, cioè la durata del possessoda un lato e il luogo al quale si estende la sfera didominio del derubato, è sufficiente che la cosasottratta sia passata sotto il dominio esclusivodell’agente............................................1 Nuvolone, op. cit., pp.55 e ss.Fonti bibliograficheNuvolone, Il possesso nel diritto penale, Milano, 1942.Pannain, Il possesso nel diritto penale, Roma, 1946.Funaili, A proposito di apparentia iuris, in Riv. Dir. Civ., 1942, pp. 128 e ss.Antolisei F., Manuale di Diritto Penale, pp. 269 e ss.

22dottrina agosto 201323dottrina agosto 2013sente di differenziare il reato di furto da quello diappropriazione indebita, oppure di comprenderela distinzione tra il reato di rapina e quello dirapina tentata (sentenza n. 5663 del 20 novembre2012, ud. dep. 5 febbraio 2013, Rv. 254691 dellaCorte di Cassazione, Sezione 2, secondo cui: integrail reato di rapina e non quello di tentata rapina,la condotta di chi s’impossessa della refurtiva,acquisendone l’autonoma disponibilità, pur sel’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo,anche costante delle Forze dell’ordine, laddovequeste siano intervenute solo dopo la sottrazione,in quanto il delitto previsto dall’articolo 628 delc.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui siverificano l’ingiusto profitto e l’altrui dannopatrimoniale, a nulla rilevando, invece, la meratemporaneità del possesso conseguito. Oppureancora la Corte di Cassazione Sezione 5 sentenzan. 40327 del 21 settembre 2011, ud. dep. 8 novembre2011, Rv. 251723, secondo cui integra il reatodi furto e non quello di appropriazione di cosesmarrite colui che s’impossessi di un telefono cellularealtrui oggetto di smarrimento, trattandosidi bene che conserva anche in tal caso chiari segnidel legittimo possesso altrui e in particolare incodice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio).Per possesso si intende una relazione intercorrentetra un soggetto e un bene a prescindere dallasussistenza nel soggetto stesso della titolarità deldiritto di proprietà, che consente alla persona didisporre della cosa in modo autonomo, tale relazioneintercorrente deve essere accompagnatadalla volontà di tenere la cosa per sé (potere difatto esercitato sulla cosa più animus possidenti).Analizziamo la dottrina e l’evoluzione storica ditale concetto.Autorevole dottrina (Nuvolone) fornisce la definizionedi possesso inteso come “l’autonoma disponibilitàdella cosa”, dove per “disponibilità autonoma”si intende quando si svolge al di fuor delladiretta vigilanza della persona che abbia sullacosa un potere giuridico maggiore, come ad esempioil diritto di proprietà. Un esempio è dato dalreato di furto p. e p. dall’articolo 624 e 624 bis delc.p., dove l’interesse tutelato viene identificato nel“regolare possesso” di un bene mobile (non nell’accezioneletterale del termine dove al contrariodella nozione civilistica di cosa mobile, nel dirittopenale un bene mobile può essere anche un beneimmobile “mobilizzato”, cioè può essere trasportatoda un luogo a un altro come ad esempio uncancello), come sostenuto da parte della dottrina,nella proprietà di esso.La principale distinzione avviene con la nozionedi possesso e quella di detenzione. Il detentore ècolui che esercita il potere sulla cosa nella sfera divigilanza del possessore, non si può quindi parlaredi impossessamento se non si acquista una“signoria autonoma” sulla cosa sottratta, elementomancante nella detenzione.Nel caso in cui dopo la sottrazione non si acquistauna signoria autonoma il delitto infatti saràsolo tentato. Come detto in precedenza il possessonel diritto penale è considerato un requisitofondamentale nei reati contro il patrimonio, taleda evidenziare più di ogni altro elemento costitutivodelle fattispecie criminose la divergenza tradiverse teorie, quella di natura spiccatamente“privatistica” e quella “autonomistica”.La teoria privatistica configura una totale identitàtra la nozione di possesso adottata nel dirittoprivato e quella utilizzata nel diritto penale.Partendo dal presupposto che, seppur identificandoil possesso quale istituto di natura civilistica,in quanto nel diritto penale una sua autonomadefinizione e disciplina è assente, occorretener presente che contro seppur in assenza diun’autonoma definizione penalistica, non si puòa priori escludere un’autonoma figura per la tutelapenalistica dei reati contro il patrimonio.Siccome la norma civile e quella penale assolvonofunzioni diverse nei due rami del diritto, si possonoavere due figure diverse di possesso a secondadella disamina strutturale a esso assegnata.Alla teoria civilistica riconducono gli studi delPannain il quale specifica che, tanto per il dirittoCivile che quanto per il diritto Penale “debbonoritenersi ipotesi di possesso tutte quelle che non siriducano a pura e semplice detenzione, e quest’ultimasi ha in presenza di una relazione materialedi chi detiene per conto, in nome e nell’interessedel possessore, come longa manus di lui”.La tesi di Pannain sembra trovare sostegno nell’articolo1140 c.c., il quale lasciando in secondopiano il requisito dell’animus consente di sostenere,come appunto fa Pannain, la non essenzialitàdi quest’elemento bastando solo un fatto esterioreoggettivo ai fini della configurabilità del possesso.Secondo invece gli strenui sostenitori dellateoria civilista non ci sono dubbi che per aversipossesso occorra, secondo quanto previsto dall’articolo1140 c.c., non solo il potere materialecorpore detinere, ma anche l’animus, infatti, nei casiin cui manchi quest’ultimo elemento, non si puòparlare di possesso ma di mera detenzione, comeprecisato dal capoverso dell’articolo 1140 del c.c.Nel caso in cui in sede penale si volesse applicarefedelmente l’opinione civilistica dominante, laconseguenza sarebbe quella di escludere il possessonei casi del depositario, comodatario, locatarioetc., i quali tutti detengono in nome di altri. Inquesto caso considerando, come detentori e nonpossessori, le suindicate ipotesi, si avrebbe unreato di furto e non di appropriazione indebita,conclusione spiccatamente illogica e irrazionalefuori dalle risultanze della dottrina e della giurisprudenzaper le quali si ritiene ius receptum, che intutte le menzionate ipotesi si abbia la sussistenzadel reato di appropriazione indebita e non quellodi furto. I sostenitori della teoria civilistica apronodue percorsi: sviluppare ex novo una nozionecivilistica di possesso a cui adeguare e riferirequella penalistica, come fatto appunto dalPannain, in netto contrasto con gli studiosi deldiritto privato; accogliere l’interpretazione civilisticageneralmente seguita, ovvero una nozionepiuttosto ristretta di possesso a cui occorre necessariamentefare da capolino un’altra “non pocoampia” di detenzione, il che finisce per portare aconclusioni in netto contrasto con le applicazionitradizionali della nozione di possesso nel dirittopenale. Secondo quanto sostenuto dalla correnteautonomistica, evoluta di fronte alle perplessitàsollevate dagli studiosi relativamente alla tesi privatistica,occorreva porre un argine alle molteincertezze suscitate dai privatisti.Occorre tener presente il fatto che autonomianon significa conseguentemente privare di valorei concetti civilistici utilizzati nell’ambito del dirittopenale, ma utilizzare quei concetti con i relativiadattamenti, precisando che il diritto penale hale proprie esigenze e, nel caso in cui recepisce daaltri rami del diritto dei concetti o istituti giuridici,li armonizza tali da renderli adattabili agliscopi prefissati. Parte della dottrina capeggiata daNuvolone 1 individua il concetto di possesso attraversola definizione dell’apparentia iuris, ovvero, “larelazione con la cosa costituirebbe possesso inquanto rivestita dall’apparenza di un’autonomadisponibilità di diritto”. In tal modo, ad esempio,si spiegherebbe la differenza tra il reato di furto equello di appropriazione indebita.Nel caso di appropriazione indebita esiste unasituazione di apparenza di diritto e cioè un possesso,infatti, l’atto di appropriazione apparirebbeai consociati come la continuazione dello statopreesistente e non susciterebbe pertanto quell’accentuatoallarme sociale che provoca invece ilfurto la cui arbitrarietà è palese come sostenutodal Funaili. Tale assunto teorico è integrato dalfatto che si ha la possibilità “di fatto” di esercitareil diritto sulla cosa, assistita da una situazionedi “apparenza di diritto” desunta dal concorso difattori positivi e negativi ossia da forme di pubblicitàda un lato e mancanza di violenza dall’altro.Anche questa teoria è stata oggetto di critichein quanto la prima questione posta consiste nelfatto che l’autonomia della appropriazione indebitarispetto al furto si spiega principalmente inragione del “genere della condotta” in quanto,avendo già il soggetto la disponibilità materialedella cosa, ne mancherebbe la sottrazione furtiva;la seconda questione riguarda la mancanza diconcretezza e precisione nei casi dubbi; la terza eultima questione posta è che la mancanza di clandestinitàe violenza, per tale motivo si porta aescludere l’ipotesi che l’atto del rubare posto inessere dal ladro il quale “possiede” mentre in dottrinasi sostiene il contrario.L’Antolisei si propone di “rendere la nozione civilisticadi possesso più ampia in tal modo daricomprendere tutti i casi in cui la signoria difatto sulla cosa si esercita in modo autonomo,ovvero, senza la sorveglianza di una persona cheabbia sulla stessa cosa un potere maggiore”. In talmodo la detenzione si riduce a quei casi in cui ilpotere di fatto sulla cosa si esplichi entro la sferadi custodia e vigilanza del possessore.Per possesso, secondo il sistema penalistico, deveintendersi la relazione tra soggetto e cosa inmodo indipendente. Il possesso penale e quellocivile si distinguono sia per l’elemento materialeche per quello soggettivo. Per il corpus infatti nelsistema civile si può possedere tramite altri chedetengono il bene, nel diritto penale ciò non trovaalcun riscontro.Per animus in diritto penale non si richiede l’intenzionedi considerare la cosa propria(Antolisei). Concludendo per possesso nell’accezioneprivatistica deve intendersi quella relazionetra soggetto e cosa che consente alla prima di disporredella seconda in modo autonomo, cioè al difuori della diretta vigilanza di chi abbia sulla cosaun potere maggiore; mentre detentore è colui ilquale esercita un potere di fatto nella sfera delpossessore. Ne deriva che nel sistema penale peranimus si intende la volontà di tener la cosa pressodi sé, a prescindere da quelle attività corrispondential diritto di proprietà o altro diritto reale.Ne consegue quindi che il possesso continua incaso di morte nell’erede e che esso permangaanche in mancanza di un potere di fatto che nonsi pratichi momentaneamente in modo effettivo.Se non c’è signoria autonoma manca impossessamento.A nulla rilevano infatti il criterio temporalee quello spaziale, cioè la durata del possessoda un lato e il luogo al quale si estende la sfera didominio del derubato, è sufficiente che la cosasottratta sia passata sotto il dominio esclusivodell’agente............................................1 Nuvolone, op. cit., pp.55 e ss.Fonti bibliograficheNuvolone, Il possesso nel diritto penale, Milano, 1942.Pannain, Il possesso nel diritto penale, Roma, 1946.Funaili, A proposito di apparentia iuris, in Riv. Dir. Civ., 1942, pp. 128 e ss.Antolisei F., Manuale di Diritto Penale, pp. 269 e ss.

Hooray! Your file is uploaded and ready to be published.

Saved successfully!

Ooh no, something went wrong!