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Omnia Iustitiae Anno X - n. 2 - Consiglio dell'Ordine degli Avvocati ...

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Periodico Quadrimestraledell’Ordine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>di Nocera InferioreRegistrazione presso il Tribunaledi Nocera Inferioren. 184 del 23.02.2004PresidenteAniello CosimatoDirettore EditorialeLuigi CiancioDirettore ResponsabileMarianna FedericoComitato di RedazioneBarbara BarbatoAngela CisaleMaria CoppolaMaria Grazia CoppolaGianluca GranatoEmiliana MatroneMariella OrlandoFrancesco RicciardiGiuseppina RomanoEleonora StefanelliMichele TipaldiRossella UglianoSegretario di RedazioneMassimo De Martino AdinolfiHanno collaborato a questo numeroFrancesca Del GrossoVincenza EspositoAngelo ForinoAngelo MondelliGennaro PassannantiValeria TevereRaffaele FasolinoProposte e suggerimenti ai contattiOrdine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>di Nocera InferioreTel./Fax 081.929600 - 081.927432e.mail:omniaiustitiae@foronocera.itOMNIA USTITIAEANNO X • NUMERO 2Progetto grafico a cura diMarianna FedericoIl materiale per la pubblicazione,che dovrà essere inviato su supporto magneticoformato Word, non sarà restituitoIn copertina:Nove anni di copertineFoto archivio AltrastampaRealizzazione EditorialeAltrastampa Edizionicell. 338.7133797altrastampa@libero.it© 2013 FotoAltrastampa Edizioni© 2013 TestiOrdine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>di Nocera Inferiore


anno X n. 2 agosto 2013s o m m a r i oLuigi CiancioEditoriale 4VOCI DAL PALAZZO DI GIUSTIZIAAngelo ForinoLa nuova geografia giudiziaria.Quale futuro per il Circondario 6Francesco RicciardiLa riforma della previdenza forense 8GIURISPRUDENZAMaria Grazia CoppolaResponsabilità contrattuale del notaio:improduttiva di effetti la clausolacon la quale il solo acquirente lo esoneradall’effettuare le visure ipotecarie 9Giuseppina RomanoAggravante della transnazionalitàanche per l’associazione a delinquere 10Eleonora StefanelliIllegittimità del provvedimento espropriativoper mancata comunicazione di avviodel procedimento ex articolo 7,legge 241/1990 13Rossella UglianoNota a sentenza. Società, equa riparazioneper irragionevole durata del processo,società di persone parte del processo presupposto,cancellazione della società dal registrodelle imprese, legittimazione <strong>degli</strong> ex socia domandare il risarcimento del danno soffertodalla società, insussistenza 14di verificazione della scrittura privata 24Eleonora StefanelliL’espropriazione per pubblica utilità:evoluzione storica e analisidei profili giuridici 25Valeria TevereIl regime autorizzatoriodei centri scommesse:tra libertà ed esigenze imperative 33Michele TipaldiIl ritorno della mediazione 36CONTRIBUTI DAI COLLEGHIFrancesca Del Grosso, Vincenza Esposito, Gennaro PassannantiIl diritto sociale alla trasparenzatra il diritto di accesso e l’accesso civico 38Raffaele FasolinoZibaldone 41HISTORIA ET ANTIQUITATESGianluca GranatoDell’illimitato numero <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>ne’ Tribunali di Napoli 43NOTIZIE DAL CONSIGLIO DELL’ORDINEla redazione<strong>Avvocati</strong>: notificazioni in proprioa mezzo PEC 46Pagamenti telematici contributo unificatoe diritti di cancelleria: servizio operativodal 17 giugno 2013 46Nocera Superiore,Battistero di Santa MariaMaggiore,capitello corinzio.OMNIA USTITIAEANNO X • NUMERO 2DOTTRINABarbara BarbatoL’associazione in partecipazionedopo la riforma Fornero 16Emiliana MatroneL’orientamento della Corte di Appello diSalerno in tema di “Appello cassatorio” 19Angelo MondelliIl possesso nel diritto penale 21Francesco RicciardiAtipicità formale dell’istanza incidentaleLa Circolare del <strong>Consiglio</strong>Nazionale Forense 46Nuovo saggio d’interesse da applicareper il ritardo dei pagamentinelle transazioni commerciali 46Assicurazione obbligatoria: Circolaredel <strong>Consiglio</strong> Nazionale Forense 46Cassa Forense, modello 5/2013:termini e modalità di pagamento 47Statistiche iscritti 48


4agosto 20135agosto 2013Editorialedi Luigi CiancioTribunale di Nocera: cosa succederà?La riforma delle circoscrizioni giudiziarie è cosafatta.La Consulta ha infatti statuito la bontà dellariforma per cui, a decorrere dal 13 settembre delcorrente anno, andrà in vigore la nuova geografiagiudiziaria.Il nostro Tribunale si “arricchisce” delle sedisecondarie di Cava de’ Tirreni e di Mercato SanSeverino con conseguente sovraccarico di lavoro,pur in presenza di penuria di magistrati e di personaledi cancelleria.L’aumento di un solo magistrato per il Tribunaleappare risibile rispetto alle esigenze del nostroufficio giudiziario che di qui a poco sarà sommersodi carte processuali che per essere esaminatedovranno aspettare la notte dei tempi.Molto apprezzata sull’argomento l’iniziativa dellalocale ANM che, di concerto con l’Ordine <strong>degli</strong><strong>Avvocati</strong> e il Comune di Nocera Inferiore, ha trattatodell’argomento in apposito convegno augurandosiche le conclusioni cui si è pervenuti arrivinoquantomeno agli occupanti del palazzo divia Arenula.E ancor prima si è registrato l’intervento della presidentedell’ANM locale, dottoressa Ornella Crespi, la quale - in riscontro ad un articolo pubblicato sulquotidiano Il Mattino - ha precisato con una sua lettera qual’è l’attuale situazione del Tribunale diNocera.Lettera che integralmente si riporta.Spett.le Direttore, avendo letto il servizio pubblicato alle pagine 8 e 9 della edizione di lunedì 24 giugno 2013, a firmadi Vittorio dell’Uva, sento il dovere di esprimere l’amarezza mia personale e di tutti gli addetti all’esercizio della giurisdizioneper la completa omissione di ogni riferimento alla disastrosa situazione del Tribunale di Nocera Inferiore inrelazione alla quale questa ANM è impegnata al fine di scongiurare la paralisi che inevitabilmente si produrrà qualorasi addivenisse alla entrata in vigore delle modifiche della geografia giudiziaria come attualmente prevista. Pereffetto della riforma (la cui entrata in vigore è stata fissata alla data del 13.09.2013) il Tribunale di Nocera Inferiorenon sarà soppresso e accorpato al Tribunale di Salerno, ma si troverà esso ad accorpare le Sezioni Distaccate di Cavade’ Tirreni e di Mercato San Severino, senza che a detto corposo aumento del bacino di utenza e dunque delle controversiea trattarsi sia previsto il necessario incremento di organico.E difatti in data 10.04.2013 il Ministero della Giustizia ha formulato una proposta di rideterminazione <strong>degli</strong> organiciche, con specifico riferimento alla situazione del Tribunale di Nocera Inferiore prevede un aumento di una solaunità per il Tribunale, mentre resta invariata la dotazione organica per la Procura della Repubblica.A pag. 8 del Suo giornale si evidenzia, dunque, nel riquadro centrale riservato alla indicazione del Piano delle soppressioni,un’insussistente ipotesi di accorpamento del Tribunale di Nocera Inferiore al Tribunale di Salerno che ha,però, l’amaro sapore del profetico, atteso che, rimanendo così l’impostazione del programma, questo Tribunale nonpotrà che rassegnarsi esso stesso alla chiusura.E detta conclusione appare logica conseguenza del disastro che si profila e che andrà a tutto danno <strong>degli</strong> utenti del circondario,già ampiamente penalizzati da una ventennale situazione di crisi <strong>degli</strong> Uffici Giudiziari legata alle problematichedifficilissime della gestione del nostro territorio da affrontare con organico e personale del tutto insufficiente.Dott.ssa Ornella CrespiAppare di tutta evidenza che la nuova mappa delle circoscrizioni giudiziarie è stata disegnata a tavolino,probabilmente dinanzi ad una carta geografica dell’Italia e ignorando del tutto le realtà territoriali.A Roma hanno badato solo ad effettuare tagli lineari senza tenere in nessun conto le esigenze locali edi carichi <strong>degli</strong> uffici giudiziari sprovvisti, peraltro, di risorse umane.La verità è che nel nostro paese le riforme le indirizzano i funzionari i quali non hanno alcuna capacitàcognitiva di come debba funzionare un Tribunale per cui a loro, che una causa duri un anno o cinque,interessa poco o niente.Le imposizioni dall’alto, senza considerare le esigenze concrete, non portano alcun risultato.Ed a pagare saremo noi tutti: avvocati, magistrati, personale di cancelleria ed utenza.Ed allora che Dio ce la mandi buona.


6agosto 20137Voci dalPalazzo di Giustiziavoci dal palazzo di giustizia agosto 2013Angelo ForinoHLa nuova geografia giudiziaria.Quale futuro per il Circondario.Una lunga battaglia - fatta di confronti, riflessionied azioni destinate a sensibilizzare istituzionied opinione pubblica - viene da mesi condivisa, inlarga parte, dalla classe forense e dalla magistraturanocerina. Sotto i riflettori, sin dal momentoin cui se ne sono capiti i risvolti destinati alCircondario del Tribunale di Nocera Inferiore, c’èstata e continua ad esserci la più recente riformadella Giustizia. Varata dal Ministro GuardasigilliPaola Severino (nel corso del governo “tecnico” diMario Monti) e destinata ad essere attuata dall’attualeGuardasigilli del governo Letta,Annamaria Cancellieri, tale riforma si è impostaall’attenzione di addetti ai lavori, e non, soprattuttoper la pesante ridistribuzione <strong>degli</strong> ufficigiudiziari, su tutto il territorio nazionale.Abolizione delle sezioni distaccate e soppressionedei tribunali più piccoli sono tra gli ingredientipiù decantati della ricetta Severino-Cancellieri. Leapplicazioni, ambito per ambito, però hannodestato fin dall’inizio non poche perplessità,soprattutto rispetto alla distribuzione dei carichidi lavoro, un po’ su tutto “lo stivale”. E veniamoalla situazione che più ci riguarda da vicino. Nelnord della provincia salernitana tutto si traducenella soppressione di due sezioni distaccate delTribunale di Salerno - quelle di Cava de’ Tirreni eMercato San Severino - il cui ambito passerà nellacompetenza della circoscrizione di NoceraInferiore. Fin troppo facile comprendere l’aumentodi contenzioso da gestire per il Palazzo diGiustizia di via Falcone. Oltre alle stesse Cava de’Tirreni e Mercato San Severino, confluirannoFisciano, Calvanico, Siano e Bracigliano. Ma ciòche appare evidente anche ai non addetti ai lavori,sembra essere stato ignorato dai relatori dellariforma, il cui testo lascia spazio a non poche perplessità,a cominciare dalla mancata previsione diun incremento di giudici e cancellieri. Per anticiparequella che si paventa come una imminenteparalisi delle attività, considerata la già cronicasituazione di “sottorganico”, l’Ordine <strong>degli</strong><strong>Avvocati</strong> di Nocera Inferiore ha iniziato quel percorso- sia in ambito strettamente istituzionaleche non - che ancora oggi prosegue affinché sipossa arrivare ad un auspicabile adeguamentopreventivo, e non successivo, del contesto riferibile,come detto, alle risorse umane coinvolte. Si èpartiti con un documento congiunto di analisi eistanza di riconsiderazione proprio di tali aspetti,confezionato “a quattro mani” dalla classe forensee dalla magistratura nocerina e veicolato, attraversoil consiglio giudiziario della Corte diAppello di Salerno al Ministero della Giustizia edal CSM. Quest’ultimo, avrebbe potuto giocare,sin dalle prime battute, un ruolo risolutivo nellavicenda, producendo un parere su quella chesarebbe stata la congruità del personale giudicantee e requirente rispetto al lavoro atteso nelle aulee nelle cancellerie di Nocera Inferiore. Le aspettative,purtroppo, sono state puntualmente delusedall’eloquente silenzio che i “palazzi romani”hanno fatto seguire a tale iniziativa. Il dibattito,nelle stanze di via Falcone, ha coinvolto anche glienti locali, in particolare tutti i comuni ricadenti,ed in prossimità di ricadere, nel Circondario delnostro tribunale. Lunedì 8 aprile l’assembleadell’Ordine, preceduta qualche giorno prima daun incontro preliminare proprio con i sindaci deiComuni interessati, ha deliberato quella primaastensione - dal 13 al 18 maggio scorso - che hainiziato concretamente a far puntare i riflettoridell’informazione locale sul problema, favorendoun pensiero critico anche da parte dei cittadini.“L’accorpamento delle due sezioni distaccate delTribunale di Salerno - aveva dichiarato nell’occasioneil Presidente Aniello Cosimato - ovveroquelle di Cava de’ Tirreni e Mercato San Severino,il cui ambito passerà nella competenza della circoscrizionedi Nocera Inferiore, rappresentaun’eccezionale occasione di crescita per tuttol’Agro Nocerino Sarnese, e per l’avvocatura diquesto territorio. Siamo convinti che, dietro leprevisioni di ridistribuzione territoriale dei tribunali,contenute nella riforma dello scorso anno, cisiano anche ottime ragioni di aggregazione territorialein termini di omogeneità e collegamenti.L’unica grande preoccupazione che ci investe - perla quale abbiamo deliberato, responsabilmente, diprotestare - è rispetto al persistente silenzio delleIl Ministro GuardasigilliAnnamaria Cancellieri.Pagina precedente.La locandinadel convegnotenutosi il 12 lugliodi quest’annosul tema.istituzioni di vertice - Ministero della Giustizia eCSM - che restano indifferenti alla fin troppo evidentenecessità di adeguare per tempo gli organicidi giudici e cancellieri, con un sensibile aumentodelle unità”. Nei giorni dell’astensione, unariunione della sottosezione di Nocera Inferioredell’AMN, presieduta dal Presidente dellaSeconda Sezione Civile, Ornella Crespi, allargataai rappresentati dell’Ordine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> e dellaCamera Penale, aveva ulteriormente definito laproblematica. Dai magistrati, in tale sede, è arrivataun’analisi ancor più scientifica sull’incongruenzadelle scelte operate dal Ministero diGiustizia, relativamente all’attuazione della rifornae segnatamente della ridistribuzione territoriale<strong>degli</strong> uffici. Dai componenti dell’ANM nocerinaun quanto mai lampante paragone con altricontesti nazionali, dove a fronte di poco significativiampliamenti del territorio di competenzasono stati previsti dal Ministero consistentiaumenti nelle piante organiche: Spoleto, Ivrea,Cassino sono solo alcuni esempi in chiara controtendenzacon quanto deciso per il Tribunale diNocera Inferiore. Qui, infatti, a fronte di un attesoaumento del 25% dei carichi di lavoro, è statoprevisto l’arrivo di una sola unità in più per lamagistratura giudicante. Al termine di tale discussione,magistrati e avvocati - egualmentepreoccupati per lo scenario così profilatosi all’orizzonte- concordarono, con un documento, diproseguire, fianco a fianco, nella protesta, con laprecisa ipotesi, relativamente ai primi, di un’eclatanterichiesta di trasferimento ad altra sede, inmassa, e per i secondi nuove giornate di astensionedalle udienze. Intanto anche l’UnioneRegionale <strong>degli</strong> Ordini <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> ha dedicatonon poco tempo al problema, con l’intento diriassumere l’intera esperienza campana, che inalcuni casi vede paventarsi all’orizzonte situazioniancor più preoccupanti di quella attesa aNocera Inferiore: Napoli, divisa in 2, e TorreAnnunziata tra i casi più eclatanti di atteso disagioper i carichi di lavoro e la confusione generatada previsioni attuative della riforma quantomai contrastanti ed imprecise. Momento culminantedell’esperienza condivisa dalle toghe nocerineè stato l’incontro “La Nuova GeografiaGiudiziaria”, realizzato lo scorso 12 luglio dallastessa ANM, in collaborazione con l’OrdineForense ed ospitata nell’Aula Consiliare delComune di Nocera Inferiore. Archiviato il forfaitdell’ultim’ora da parte del Sottosegretario allaGiustizia, Cosimo Ferri, sono intervenuti nell’occasione:Giuseppina Casella e Alessandro Pepe,componenti del CSM, Matteo Casale, Presidentedella Corte di Appello di Salerno, Lucio Di Pietro,Procuratore Generale di Salerno, Catello Marano,Presidente del Tribunale di Nocera Inferiore,Gianfranco Izzo, Procuratore della Repubblica diNovera Inferiore, Massimo Palumbo, PresidenteGiunta Distrettuale ANM Salerno, AntonioFasolino, Presidente Camera Penale NoceraInferiore, Giuseppe Cacciapuoti, Segretario ANMsottosezione di Nocera Inferiore. “La protesta - hasottolineato in quella sede il Presidente Cosimato- non è rivolta soltanto a tutelare le condizioni disvolgimento della nostra professione, ma soprattuttoil cittadino, che è l’utente diretto del sistema-giustizia.Chi ha pensato, e sta attuando, lariforma non ha tenuto minimamente in conto leosservazioni fatte in tutte le sedi istituzionalicirca la necessità, indifferibile, di arrivare al prossimo13 settembre, giorno di entrata in vigoredella ridistribuzione <strong>degli</strong> uffici, con un opportunoaumento del personale - giudici e cancellieri -al fine di non innescare una inevitabile paralisidelle attività”. “La questione - ha dichiarato dalcanto suo il Sindaco Manlio Torquato - investeproprio tutti, anche le amministrazioni locali,sulle quale si scaricheranno considerevoli costiafferenti al sistema, basti pensare a quellidell’Ufficio del Giudice di Pace. Per NoceraInferiore, poi, il tutto è reso ancora più pesantedall’ormai vetusta legge che impone al Comune


8voci dal palazzo di giustizia agosto 20139Giurisprudenzaagosto 2013L’avvocatoMaurizio De Tilla.dove insiste il Tribunale di far fronte, anticipandola,ad una considerevole quota di spese digestione dello stesso”. Sin qui la cronaca <strong>degli</strong>ultimi mesi, nell’attesa - proprio mentre la nostrarivista va in stampa - di costatare se le preoccupazioni,le discussioni e le proteste sin qui narrate, siriveleranno fondate.Francesco RicciardiHLa riforma della previdenza forense.L’8 giugno si è tenuto presso il Tribunale diNocera Inferiore un’incontro di studi sul tema“La riforma dell’ordinamento forense”. L’evento,organizzato dal <strong>Consiglio</strong> dell’Ordine <strong>degli</strong><strong>Avvocati</strong> nell’ambito della formazione permanente,ha visto come relatore Maurizio De Tilla.Avvocato civilista abilitato al patrocinio dinanzialle giurisdizioni superiori, Toga d’onore ePresidente dell’Associazione Nazionale <strong>Avvocati</strong>,è stato, tra l’altro, Presidente della CassaNazionale di Previdenza Forense, dellaFederazione <strong>degli</strong> Ordini Forensi d’Europa,dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana,dell’Ordine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> di Napoli, dellaCommissione europea <strong>degli</strong> Ordini forensi delMediterraneo. È autore di numerose opere intema di diritto immobiliare, locazione, condominio,diritto societario, diritto dell’economia, nonchédi oltre 700 articoli pubblicati su riviste di settore.I lavori sono stati aperti da AnielloCosimato, Presidente del <strong>Consiglio</strong> dell’Ordine<strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> di Nocera Inferiore che, nel suointervento introduttivo, ha posto l’attenzione sull’importanzadel ruolo che l’avvocatura svolge perla tutela dei diritti e sui riflessi che la riforma dell’ordinamentoforense avrà per le giovani levedella professione, auspicando il rispetto delleguarentigie di autonomia ed indipendenza dellafunzione difensiva. Momento centrale dell’incontroè stato l’esame di alcuni punti critici dellalegge n. 247/2012, recante la nuova disciplina dell’ordinamentoforense, oltre ad alcune riflessioniin tema di riforma del condominio. Di particolareinteresse, la disamina delle prescrizioni dettatedall’articolo 21 della legge di riforma, nella partein cui si prevede l’obbligo d’iscrizione alla previdenzaforense contestualmente all’iscrizione nell’alboprofessionale. A tale riguardo, si è ribaditoil ruolo attivo che gli organi rappresentativi dellacategoria dovranno svolgere affinché la Cassaadotti un regolamento attento alle esigenze deiprofessionisti che saranno obbligati ad iscriversianche in assenza dei parametri reddituali minimi.In tal senso, l’avvocato De Tilla si è fatto interpretedelle istanze provenienti dai giovani colleghiche, all’atto dell’avvio dell’attività professionale,pur non sempre disponendo di redditi sufficienti,dovranno sopportare gli esborsi previdenziali,auspicando la predisposizione di un regime agevolato.Le stesse agevolazioni dovranno attagliarsianche ai requisiti di effettività, continuità, abitualitàe prevalenza necessari per la permanenzadell’iscrizione nell’albo.In relazione all’effetto dissuasivo, da taluni intravistoin tali misure, De Tilla dice che “la riformanon potrà avere alcuna incidenza sull’inflazionedell’albo <strong>degli</strong> avvocati se non con l’introduzionedel numero programmato all’università”.L’autorevole relatore si è rivolto alla folta platea diprofessionisti evidenziando altresì i pericoli connessialla presenza di soci di puro capitale neglistudi legali, provvedimento che se fosse statoadottato “avrebbe consentito monumentali conflittid’interesse e la fine dell’autonomia professionaledell’avvocato”, nonché all’eliminazione,dal contesto della riforma, della previsione delpreventivo obbligatorio per il cliente, misura chedata la singolarità di ogni giudizio, sarebbe divenutadi fatto “irrealizzabile e causa di contenziosocon i clienti”. E ancora, “nonostante le numerosebattaglie combattute e vinte in questi anni atutela della professione, continua De Tilla, restanoancora da risolvere gli importanti interrogativiconnessi alla reintroduzione dell’istituto dellaconciliazione, già dichiarato incostituzionaledalla Consulta, e alla revisione della geografiagiudiziaria, temi che vedono l’avvocatura ancorauna volta in prima linea”. Infine, ampio è stato ildibattito relativo ai profili problematici dellanuova disciplina del condominio negli edifici,materia di grande interesse e rilevanza pratica e dicui De Tilla è profondo conoscitore.Di grande interesse anche l’excursus storico che haportato a sostenere prima ed ottenere poi la tesidella compatibilità dell’esercizio della professionecon la funzione di amministratore di condominio,secondo il relatore “occasione di lavororemunerativo per giovani avvocati, preparati emoralmente integri”.Maria Grazia CoppolaHResponsabilità contrattuale delnotaio: improduttiva di effettila clausola con la quale il soloacquirente lo esonera dall’effettuarele visure ipotecarie.Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, 13 giugno2013 n. 14865, Presidente Trifone, RelatoreSegreto.Se il notaio non adempie correttamente alla propriaprestazione, ivi compresa quella attinentealle attività preparatorie (tra cui quella di visurecatastali ed ipotecarie), sussiste la sua responsabilitàcontrattuale nei confronti di tutte le particontrattuali, che da tale comportamento abbianosubito danni, non essendo sufficiente che solouna parte l’abbia esonerato da responsabilità.Il caso.Con atto di citazione veniva convenuto in giudiziodavanti al Tribunale di Chieti un notaio ritenutoresponsabile nello svolgimento dell’incaricoconferitogli, per aver rogato l’atto pubblico diacquisto di un immobile che in seguito si era rilevatogravato da ipoteca in favore della BancaNazionale del Lavoro.Assumeva l’attore-acquirente che gli era statonotificato atto di precetto e successivamente l’immobileera stato sottoposto a procedura esecutivadalla stessa Banca Nazionale del Lavoro. Si costituivail convenuto notaio, il quale poneva a fondamentodella sua difesa la circostanza di esserestato esonerato espressamente dall’acquirente adeffettuare le visure ipotecarie, come risultava dall’attopubblico rogato. Il tribunale rigettava ladomanda dell’attore, il quale ribandendo la bontàdelle proprie ragioni proponeva appello.La Corte di Appello dell’Aquila condannava ilnotaio al pagamento della somma pari a quellarichiesta per la liberazione del bene gravato daipoteca, ritenendo che “l’esonero del notaio dall’obbligodi effettuare le visure ipotecarie, poichéproveniva solo dalla parte acquirente e non daentrambe le parti, e non era indicata la ragionedella scelta, era improduttivo di effetti”. Avversotale sentenza, il notaio proponeva ricorso perCassazione ritenendo che fosse sufficiente adesentarlo da qualsiasi responsabilità, la clausola,inserita nel contratto di compravendita, con laquale l’acquirente lo dispensava dall’effettuare gliaccertamenti ipotecari. La Cassazione rigettava ilricorso.Ruolo del notaio.Il notaio, nel nostro Ordinamento, è l’unico soggettoa rivestire contemporaneamente la qualitàdi libero professionista e di pubblico ufficiale, checome tale in nome e per conto dello Stato esercitala funzione di certificazione ovvero attribuiscela pubblica fede in ordine al contenuto di un atto,di conseguenza ciò che egli attesta essere avvenutoin sua presenza fa piena prova fino a querela difalso. Nella sua veste di pubblico ufficiale egli ètenuto ad eseguire un controllo di legalità <strong>degli</strong>atti, verificando che non siano in contrasto connorme imperative e non presentino vizi tali dainficiarli di nullità o annullabilità. Pertanto, ilruolo del notaio poggia su essenziali specificitàquali, la sua natura di pubblico ufficiale garantedella veridicità e legalità <strong>degli</strong> atti, la sua preparazionegiuridico-fiscale di alto livello, il dovere dieseguire in materia di trasferimenti immobiliari,quale professionista incaricato dalle parti, accertamentipreliminari sulla possibile esistenza didiritti spettanti sull’immobile a favore di terzi ed,inoltre, il cd. dovere di “consiglio” che, comunque,non deve costruirsi in termini assoluti mache ha per oggetto questioni tecniche che unapersona non dotata di competenza specifica nonsarebbe in grado di percepire.Motivi della decisione.I giudici di legittimità, nella sentenza in commento,ritengono che la responsabilità per colpadel notaio nell’adempimento delle sue funzioni siconfigura come responsabilità contrattuale neiconfronti di tutte le parti. Infatti, per quanto ilNotaio sia tenuto ad una prestazione di mezzi e dicomportamenti e non di risultato, deve comunquepredisporre i mezzi di cui dispone in vista delrisultato perseguito dalle parti, impegnando ladiligenza ordinaria media rapportata alla naturadella prestazione. Ne consegue che l’opera delnotaio non può ridursi al mero accertamentodella volontà delle parti, ma deve estendersi aquelle attività preparatorie e successive necessarieaffinché sia assicurata la serietà e la certezza dell’attogiuridico da rogarsi. In tali attività rientrano,per l’appunto, le visure ipotecarie e catastaliche il notaio deve compiere nel predisporre gli attiimmobiliari anche senza uno specifico incaricodelle parti (Cass. Civ., 29 agosto 1987, n. 7127), alfine di individuare esattamente il bene, accertarnela provenienza, verificare, mediante l’esame deipubblici registri, se risultino a carico dell’immobileipoteche, pignoramenti, sequestri, servitù oaltri vincoli che ne limitino la disponibilità o ilgodimento, di modo che il trasferimento volutodalle parti non possa essere invalidato o dalleparti stesse o da soggetti terzi. Sostiene la


10giurisprudenza agosto 201311giurisprudenza agosto 2013Suprema Corte nella pronuncia de quo che per ilnotaio, richiesto della preparazione e stesura diun atto pubblico di trasferimento immobiliare, lapreventiva effettuazione di tali indagini, tese adaccertare la sussistenza di diritti spettanti sull’immobilea favore di terzi, costituisce un obbligoderivante dall’incarico conferito dal cliente equindi, ricompreso nel rapporto di prestazione diopera professionale. L’inosservanza di tale obbligodi accertamento origina una fonte di responsabilitàper il notaio, ogni volta in cui derivi undanno ad una o ad entrambe le parti del negoziotraslativo. Ritenuta, per la Cassazione, la naturacontrattuale della responsabilità del notaio, egli ètenuto a svolgere il suo incarico con la diligenzadel professionista sufficientemente preparato edavveduto ex articolo 1176 del Codice civile, rientrando,quindi, le visure tra gli obblighi derivantidal contratto di prestazione d’opera professionaleex articolo 2230 ss. Codice civile. Inoltre, inrelazione all’inosservanza <strong>degli</strong> obblighi suddetti,il notaio non può invocare la responsabilità previstadall’articolo 2236 del Codice civile, con riferimentoalla soluzione di problemi tecnici di specialedifficoltà, in quanto tale inosservanza non èriconducibile ad un’ipotesi di imperizia, cui vaapplicata tale limitazione, ma a negligenza oimprudenza (Cass. Civ., 2 marzo 2005, n. 4427; n.1228 del 28 gennaio 2003). È da rilevare che nellasentenza de quo, i giudici di Piazzale Clodio ritengonoche “per quanto, il contratto di prestazioneprofessionale possa essere stipulato con il notaioda una sola delle parti del contratto rogando, proprioper la funzione dell’attività del notaio, creditoridella corretta prestazione notarile sono tuttele parti del contratto redigendo”. La Corte, ritiene,infatti, che destinatari della corretta prestazioneprofessionale notarile sono tutte le parti,anche quella che non ha provveduto direttamentealla sua stipulazione: “In questo caso il contrattodi prestazione professionale del notaio,svolge gli effetti del contratto a favore di terzo(articolo 1411 Codice civile), con la conseguenzache il soggetto non stipulante può far valere direttamentenei confronti del notaio promittente isuoi diritti alla corretta prestazione”. Nel caso inesame, tuttavia, il notaio riteneva che la clausolainserita nel contratto, con la quale l’acquirente loesonerava dall’onere di svolgere indagini preliminaritese ad accertare la sussistenza di eventualidiritti spettanti sull’immobile a favore di terzi,fosse sufficiente ad esentarlo da qualsiasi responsabilità.Tale censura è stata ritenuta infondatadalla Suprema Corte, la quale ha affermato che“Solo la concorde volontà delle parti e non soloquella del soggetto che ha concluso il contrattod’opera intellettuale con il notaio (e si è fatto caricodel pagamento del compenso) può esonerare ilnotaio dallo svolgimento delle attività accessoriee successive, necessarie per il conseguimento delrisultato voluto dalle parti e, in particolare, delcompimento delle visure catastali e ipotecarie alloscopo di individuare esattamente il bene e verificarnela libertà da pregiudizi”. Quindi, secondogli Ermellini di Piazzale Clodio, considerando leconnotazioni peculiari della funzione notarile,per cui aspetti privatistici della prestazione siintersecano con il carattere pubblico di interessegenerale dell’attività professionale, ne deriva chel’interesse al compimento delle visure, è non solodell’acquirente, ma anche del venditore, “cuitorna utile non trovarsi successivamente esposto,in caso di scoperta di vincoli o pesi sul bene ceduto,ad azioni di risoluzione, con inevitabili effettirestitutori, ovvero di garanzia o di risarcimentodanni”. Da ciò deriva l’importante corollario,secondo cui: “Se il notaio non adempie correttamentealla propria prestazione, ivi compresa quellaattinente alle attività preparatorie (tra cui quelladi visure catastali ed ipotecarie), sussiste la suaresponsabilità nei confronti di tutte le parti contrattuali,che da tale comportamento abbianosubito danni, non essendo sufficiente che solouna parte lo abbia esonerato da responsabilità”.La Cassazione, rigettando definitivamente ilricorso del notaio, afferma che correttamente lasentenza della Corte di Appello ha “ritenuto irrilevanteed improduttiva di effetti la clausola contrattualecon la quale il solo acquirente esoneravail notaio dall’effettuare le visure ipotecarie, peraltroin assoluto difetto di motivazioni idonee asostenere la scelta comune alle parti”.Giuseppina RomanoHAggravante della transnazionalitàanche per l’associazione a delinquere.Cassazione Penale, Sezioni Unite, sentenza n.18374 del 23 aprile 2013.La speciale aggravante prevista dall’articolo 4della legge 16 marzo 2006 n. 146 è applicabile alreato associativo, sempre che il gruppo criminaleorganizzato transnazionale non coincida con l’associazionestessa. Così hanno affermato leSezioni Unite Penali della Cassazione nella sentenzan. 18374 del 23 aprile scorso.Il caso origina dal ricorso, presentato da uno deidue imputati coinvolti nella vicenda de qua, avversola pronuncia, resa ex articolo 444 c.p.p., dalgiudice dell’udienza preliminare del Tribunale diRoma, con la quale, venivano applicate ai prevenutile pene concordate con il pubblico ministero.In particolare, agli imputati, che avevano assuntoun ruolo di rilievo in seno al sodalizio che facevacapo a uno studio di commercialisti in Roma,veniva contestato il reato di cui all’articolo 416,commi primo, secondo terzo e quinto, c.p. peressersi associati fra loro e con altre persone alloscopo di commettere un numero indeterminatodi reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale edocumentale ed altri illeciti diretti ad evaderel’imposizione fiscale, diretta e indiretta, per ragguardevoliimporti, assumendo così un ruolodirettivo del complesso meccanismo di frode. Ilcollegamento funzionale con nuclei operantiall’estero e lo svolgimento di attività illecite anchefuori dal territorio nazionale avevano indotto,poi, gli inquirenti alla contestazione della specialeaggravante di cui all’articolo 4 della legge 16marzo 2006 n. 146. La questione di diritto su cuile Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsiattiene al punto se la circostanza aggravantead effetto speciale della cd. “transnazionalità”di cui al citato articolo 4 della legge 16 marzo2006 n. 146, sia compatibile con il reato di associazioneper delinquere o sia applicabile ai solireati-fine. Trattasi di questione controversa cheha visto, nel tempo, il contrapporsi di due distintiorientamenti giurisprudenziali. Ed invero,secondo un primo orientamento la specialeaggravante è concettualmente e ontologicamenteincompatibile con l’ipotesi associativa, sul riflessoche, presupponendo detta circostanza l’esistenzadel gruppo criminale organizzato, essapuò accedere ai soli reati costituenti la direttamanifestazione dell’attività del gruppo (cd. reatifinedell’associazione). L’altro orientamentosostenuto da un maggior numero di pronunceemesse da diverse sezioni della Cassazione (in particolare,la Terza Sezione con sentenze n. 27413del 26.06.2012, Amendolagine, Rv 253146; n.11969 del 24.02.2011, Rossetti, Rv 249760; n.35465 del 14.07.2010, Ferruzzi, Rv 248481; n.10976 del 14.01.2010, Zhu, Rv 246336; la PrimaSezione con sentenza n. 31019 del 06.06.2012,Minnella, Rv 253280; e, da ultimo, la stessaQuinta Sezione, con pronuncia n. 1843 del10.11.2011, Mazzieri, Rv 253481, emessa peraltro,in riferimento alla stessa vicenda sostanzialeoggetto del presente giudizio, seppur nei confrontidi un altro imputato) è, invece, favorevoleall’applicabilità della circostanza aggravanteanche al reato associativo. Pongono l’accento preliminarmentele Sezioni Unite, nella loro lunghissimamotivazione, che quella prevista dal menzionatoarticolo 4 è una circostanza “speciale” applicandosisolo a determinati reati, ritenuti gravi siccomepuniti con pena non inferiore nel massimoa 4 anni di reclusione e ad “effetto speciale” inragione dell’entità dell’aumento di pena previsto,superiore ad un terzo, ai sensi dell’articolo 63,comma 3, c.p. Sottolineano ancora le SezioniUnite che, prodromica è anche la disamina dell’articolo3 della citata legge n. 146 del 2006 checontiene la definizione di “reato transnazionale”.Dal combinato disposto <strong>degli</strong> articoli 3 e 4 dellalegge 146 del 2006 è possibile argomentare, adavviso del Supremo Consesso, che la “transnazionalità”non è elemento costitutivo di un’autonomafattispecie delittuosa, ma configura, piuttosto,una peculiare modalità di espressione riferibilea qualsivoglia delitto, a condizione che lostesso, sia per ragioni oggettive sia per la sua riferibilitàalla sfera di azione di un gruppo organizzatooperante in più di uno stato, assuma unaproiezione transfrontaliera. In particolare, l’articolo3 della stessa legge n. 146 del 2006 àncora laqualificazione della transnazionalità del reato alconcorso di tre distinti parametri:1) la gravità del reato, determinata in ragionedella misura edittale di pena;2) il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato;3) in forma alternativa: la commissione del reatoin più di uno stato; la commissione in uno stato,ma con parte sostanziale della sua pianificazionedirezione o controllo in un altro stato; commissionein uno stato ma implicazione in esso di ungruppo criminale organizzato impegnato in attivitàcriminali in più di uno stato; commissione inuno stato, con produzione di effetti sostanziali inun altro stato.Il connotato della transnazionalità non assolve adun’esigenza meramente definitoria o descrittivama è foriera di rilevanti effetti sul piano delladisciplina sostanziale e processuale in quantoimplica che il fatto delittuoso cui inerisce debbaconsiderarsi, eo ipso, più grave rispetto alla formaordinaria in ragione del coefficiente di maggiorepericolosità connesso alla fenomenologia dellacriminalità organizzata transnazionale. Il successivoarticolo 4 introduce una speciale aggravanteper il reato “grave” che sia commesso con il contributodi un gruppo criminale organizzato,impegnato in attività criminali in più di unostato. La previsione dell’aggravante resta, ovviamente,inglobata nella più ampia nozione dellatransnazionalità, in termini plasticamente rappresentabilicon la configurazione geometrica deicentri concentrici. È agevole, allora, inferire chenon è il reato transnazionale in sé soggetto adaggravamento di pena, mentre la sussistenza dellaspeciale aggravante dell’articolo 4 della legge 146del 2006 è, invece, già di per sé, sintomo univocodi transnazionalità, di talché il reato comuneaggravato è sempre e necessariamente reato trans-


14giurisprudenza agosto 201315giurisprudenza agosto 2013spesso il loro equilibrio è oggetto di sindacatogiurisdizionale, teso a verificare, da una parte, lasussistenza dell’obbligo di legge e il suo puntualerispetto da parte della P.A. e, dall’altra, l’esistenzadi ragioni che consentano di non ritenere viziantel’omessa comunicazione di avvio. Come sottolineatodal <strong>Consiglio</strong>, l’omissione dell’obbligo dicomunicazione dell’avvio del procedimentoamministrativo ex articolo 7 legge 241, non viziail procedimento solo nelle ipotesi in cui il contenutodi quest’ultimo sia interamente vincolatobensì tutte le volte in cui la conoscenza siacomunque intervenuta, sì da ritenere già raggiuntolo scopo cui tende la comunicazione stessa.Non può che discenderne l’illegittimità dellanuova procedura espropriativa, non preceduta daalcuna forma di comunicazione, essendo l’obbligodi comunicazione dell’avvio del procedimentoamministrativo strumentale ad esigenze di conoscenzaeffettiva e, conseguentemente, di partecipazioneall’azione amministrativa da parte diogni cittadino nella cui sfera giuridica l’atto conclusivoè destinato ad incidere. Nella fattispecie inoggetto, il Collegio ha ritenuto che all’amministrazioneespropriante vada attribuita la colpa peraver dato corso ad una nuova procedura ablatoriain danno <strong>degli</strong> appellanti e senza aver osservato leminime garanzie partecipative che a questi sarebberospettate ex articolo 7 legge 241 del 1990. Pertale ragione, il Collegio ha accolto positivamentela domanda risarcitoria, prevedendo, ex articolo34, quarto comma, c.p.a., in capo all’autoritàespropriante l’obbligo di provvedere, nel terminedi 120 giorni decorrenti dalla comunicazione odalla notifica della sentenza, al pagamento di unasomma risarcitoria in favore <strong>degli</strong> appellanti,comprensiva della rivalutazione e <strong>degli</strong> interessilegali. Il <strong>Consiglio</strong> di Stato, inoltre, si è soffermatosulla portata dell’urgenza qualificata che, aisensi dell’articolo 7 della legge 241/1990, consenteall’amministrazione di derogare all’obbligo dicomunicare l’avvio del procedimento. In particolare,il Collegio esclude nel caso de quo la sussistenza“dell’urgenza qualificata”, sull’assunto chenon possa essere invocata in tutte le procedureespropriative avviate dal prefetto per il solo fattoche egli opera in e per una situazione di emergenza.Un simile ragionamento condurrebbe all’inammissibileconclusione che qualsiasi proceduraespropriativa posta in essere da tale organoextra ordinem, a fronte di una situazione di emergenza,sia svincolata dalle garanzie partecipative atutela <strong>degli</strong> interessati. Ciò creerebbe un vulnus alprincipio di legalità dell’azione pubblica e del giustoprocedimento che può trovare il proprio fondamentonell’oggettiva natura del singolo procedimentoe non anche nella natura soggettiva dell’organoespropriante. Al contrario, l’urgenzaqualificata deve attenere al singolo procedimentoe trovare giustificazione nelle esigenze proprie epeculiari del procedimento medesimo, come èreso palese dallo stesso articolo 7 legge 241/1990,che contempla l’eccezione dovuta a “ragioni diimpedimento derivanti da particolari esigenze dicelerità del procedimento”. Ultimo profilo sulquale il Collegio ha focalizzato la propria attenzioneconcerne la portata e le modalità di applicazionedell’articolo 21-octies della legge241/1990. Nello specifico, trattasi di una disposizionedi carattere processuale tesa a far prevaleregli aspetti sostanziali su quelli formali nelle ipotesiin cui le “garanzie procedimentali non produrrebberocomunque alcun vantaggio a causadella mancanza di un potere concreto di scelta daparte dell’Amministrazione”. In ogni caso, deveritenersi che la norma in parola non sarebbepotuto essere applicata ex officio dal giudice, masolo ope exceptionis da parte dell’Amministrazionepubblica, sulla quale incombe l’onere di dimostrareche il contenuto del provvedimento nonavrebbe potuto essere diverso.Rossella UglianoHNota a sentenza.Società, equa riparazione perirragionevole durata del processo,società di persone parte del processopresupposto, cancellazionedella società dal registro delleimprese, legittimazione <strong>degli</strong> ex soci adomandare il risarcimento del dannosofferto dalla società, insussistenza.Nota a Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civili,sentenza n. 6072 del 12 marzo 2013, depositata il12 marzo 2013.Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, hannorisolto definitivamente un problema che venivariscontrato in molti procedimenti, affermando“che la cancellazione volontaria dal registro delleimprese di una società esclude la legittimazionedei suoi soci ad agire in giudizio per ottenere l’equariparazione per irragionevole durata di altroprocesso, di cui la società sia stata parte, in quantola scelta di farsi cancellare dal registro delleimprese implica la tacita rinuncia della società alcredito in questione, essendo incompatibile conla volontà di pervenire al concreto accertamento eliquidazione del medesimo”. I soci di una societàdisciolta hanno avanzato domanda di equa riparazionel’8 maggio 2011 per l’eccessiva durata diun giudizio civile, ancora oggi pendente, cui lasuddetta società aveva partecipato. La Corte diAppello di Torino aveva rigettato la domanda poichéla società in oggetto doveva considerarsiestinta in quanto cancellata dal registro delleimprese a far data dal 22 aprile 2004, e che i socinon avevano mai partecipato al giudizio per cuiera causa. I soci della società estinta hanno propostoricorso per Cassazione, al quale il Ministerodella Giustizia ha resistito con contro ricorso. Lapronuncia della Corte di Cassazione n.6072/2013 giunge a fare un po’ di chiarezza sull’esclusionedella legittimazione dei soci ad agirein giudizio, quando la società è cancellata dalregistro delle imprese. La Suprema Corte hadovuto prendere posizione su una questionetematica importante (si sono già avuti gli effetticon la riforma organica del diritto societarioattuata dal d.lgs. n. 6 del 2003), già in parte esaminatada alcune sentenze delle Sezioni Unite nelcorso del 2010. Difatti con le sentenze nn. 4060,4061 e 4062 del 2010 le Sezioni Unite della Cortedi Cassazione hanno dato una valenza innovativaall’articolo 2495 c.c.; se prima della riforma, ilregime normativo riteneva che la cancellazione diuna società di capitali dal registro delle impresenon valesse a provocare l’estinzione dell’ente, oraalla luce del nuovo orientamento giurisprudenzialeritiene che la cancellazione di una società dicapitali dal registro delle imprese prova l’estinzione.Nel caso specifico, il primo motivo del ricorsoproposto in proprio dai soci della società estintava dichiarato inammissibile, poiché dell’eccessivadurata dei diversi gradi di processo doveva dolersisola la società estinta e non i soci personalmente.Nella denegata ipotesi che ciò che sostengonoi ricorrenti corrispondesse al vero, non si avrebbeun vizio di motivazione compiuto dal giudice dimerito ma un errore di percezione del dato processualein cui il giudice stesso sarebbe incorso.La Suprema Corte, ha dichiarato infondato ilsecondo motivo presentato nel ricorso; i ricorrentisostengono che i soci, in quanto successoridella società estinta, sarebbero stati legittimati afar valere il diritto dell’equo indennizzo maturatoin favore della società medesima. L’equo indennizzonasce dal fatto che il limite ragionevole diun processo di cui un determinato soggetto siaparte si protrae largamente, ciò ledendo il dirittodel soggetto stesso e che quindi ha diritto a essereequamente indennizzato. Nella fattispecie inesame il credito vantato da quella lesione di diritto,sorto in origine in capo alla società, dovevaessere accertato in quanto risultava controverso.Nel momento in cui la suddetta società è statacancellata dal registro delle imprese, quella sceltaha implicato la tacita rinuncia della società al creditopoiché tale scelta risulta non compatibilecon la reale volontà di giungere al concreto accertamentoe alla liquidazione del credito stesso, perpoi successivamente dividere il ricavato tra i soci.Questa situazione scaturisce dal fatto che gli stessisoci non sono più identificati come successoridella società estinta in quanto vi hanno rinunciato,e pertanto la cancellazione della società provocal’inammissibilità ad agire o a essere convenutain giudizio. Con questa sentenza la SupremaCorte ha enunciato i seguenti principi di diritto:“Nell’ipotesi in cui all’estinzione di una società,determinata dalla cancellazione dal registro delleimprese, non corrisponda il venir meno di ognirapporto giuridico facente capo alla società estinta,si determina un fenomeno di tipo successorio,in virtù del quale le obbligazioni si trasferisconoai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quantoriscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente,a seconda che, pendente societate, essi fosseroo meno illimitatamente responsabili per i debitisociali; si trasferiscono del pari ai soci, in regimedi titolarità o di comunione indivisa, i diritti e ibeni non compresi nel bilancio di liquidazionedella società estinta, ma non anche le mere pretese,ancorché azionate o azionabili in giudizio, né idiritti di credito ancora incerti o illiquidi la cuiinclusione in detto bilancio avrebbe richiestoun’attività ulteriore il cui mancato espletamentoda parte del liquidatore consente di ritenere che lasocietà vi abbia rinunciato”.


16agosto 201317dottrina agosto 2013DottrinaBarbara BarbatoHL’associazione in partecipazionedopo la riforma Fornero.La figura contrattuale dell’associazione in partecipazionecon gli articoli da 2549 a 2554, contenutidel titolo VII del libro V dedicato al lavoro,dell’attuale Codice civile è stata in gran parteriprodotta dall’impianto normativo previsto dalCodice di commercio del 1882. In linea generale,il contratto di associazione in partecipazione puòessere definito quale contratto tipico, la cui strutturaè delineata dall’articolo 2549 c.c. Ai sensi eper gli effetti di quest’ultimo articolo: “con il contrattodi associazione in partecipazione l’associanteattribuisce all’associato una partecipazioneagli utili della sua impresa o di uno o più affariverso il corrispettivo di un determinato apporto”.Dalla definizione codicistica, si desume che l’associazionein partecipazione è un negozio giuridicosinallagmatico obbligatorio. Infatti, da unaparte prevede un’obbligazione a carico di un soggetto,definito associato, tenuto a conferire undeterminato apporto in favore di un altro soggetto,definito associante; dall’altra parte, in strettacorrelazione e in diretta conseguenza, vi è la controprestazionedell’associante, consistente nell’attribuireall’associato la partecipazione agli utilidella sua impresa o di uno o più affari. Il contrattoè, altresì, consensuale in quanto, per il perfezionamentodello stesso, non è necessario il conferimentodell’apporto da parte dell’associato, mail semplice consenso da parte dei contraenti.L’accordo tra le parti fa sorgere, quindi, le dueobbligazioni sopra descritte, ovvero sia l’obbligodel conferimento dell’apporto sia l’obbligo di corresponsione<strong>degli</strong> utili. Peraltro, il conferimentoda parte dell’associato non deve essere necessariamenteimmediato ben potendo non esistere almomento della stipulazione del contratto ovveroconsistere in una prestazione lavorativa da svolgersinel tempo. Altra caratteristica fondamentaledel contratto de quo è l’aleatorietà che incombesull’obbligazione principale dell’associante. Lastessa, infatti, è legata a un elemento del tuttopotenziale ed eventuale, soprattutto in un campocome quello dell’imprenditoria o del commercio,rappresentato dagli utili dell’impresa e di uno opiù affari. Un contratto si definisce aleatorioquando la prestazione di uno dei contraenti èincerta. Nel caso di specie non è in discussione l’esistenzadell’obbligazione da parte dell’associato,la quale, come detto, sorge automaticamente conil consenso dato dalle parti al contratto.L’incertezza si concentra sull’oggetto dell’obbligazionedell’associante, ovverosia gli utili dell’impresa,che ben potrebbero avere saldo negativo epertanto non esistere. Tale circostanza non ècausa di risoluzione del contratto per eccessivaonerosità sopravvenuta e neppure di rescissione,essendo tale eventualità di assenza di utili deltutto caratteristica e propria del contratto in questione.Dunque, nel sinallagma del negozio si rinvengonouna prestazione certa (l’apporto) controun risultato incerto (la partecipazione agli utili oalle perdite). L’associazione in partecipazione èuna tipologia di contratto di lavoro in cui un’impresa(associante) attribuisce un utile derivantedal risultato di esercizio a un soggetto esterno(associato). L’associante ha diritto a gestire l’impresa,assumere obbligazioni e acquistare dirittiverso terzi, mentre l’associato può solo monitorareil tutto attraverso rendiconti, e parteciperà alrischio d’impresa soltanto nei limiti dell’apportoeconomico fornito, in quanto non è socio, ma ècreditore. La stipulazione del contratto di associazionein partecipazione non è soggetta a particolarivincoli di forma, per cui gli effetti giuridicisi producono anche in assenza di forma scritta.Tuttavia, ai fini probatori e pratici è consigliabileche i rapporti che scaturiscono da un contratto diassociazione in partecipazione siano sanciti in unatto scritto. Per maggiore chiarezza, le caratteristichefondamentali del contratto di associazionein partecipazione si possono così riassumere:- nella gestione dell’impresa o dell’affare da partedell’associante;- nella partecipazione agli utili dell’impresa, sepresenti, da parte dell’associato;- nell’assunzione del rischio d’impresa da partedell’associato (diritto agli utili solo se prodotti,responsabilità per le perdite non oltre il valoreapportato);- diritto al rendiconto dell’affare o al rendicontoannuale di gestione da parte dell’associato.Nel contratto di associazione in partecipazionecon apporto di lavoro, la prestazione lavorativadell’associato si realizza secondo lo schema e icanoni del lavoro autonomo; per la genuinità delcontratto è, pertanto, necessario che l’apportolavorativo dell’associato si attui in assenza di vincolodi subordinazione nei confronti dell’associanteal quale competerà solo un potere genericodi coordinamento dell’attività dell’associato, bendistinto dal potere gerarchico e disciplinare tipicodel rapporto di lavoro subordinato. La definizionedell’istituto dell’associazione in partecipazionenon parrebbe foriera di particolari problemilegati alla sua interpretazione, ma diversamentedeve dirsi per ciò che riguarda il confine sostanzialeche la divide dal rapporto di lavoro subordinato,confine a tutt’oggi per nulla definito o defi-nibile con certezza. Il contratto di associazione inpartecipazione si differenzia in modo sostanzialedal rapporto di lavoro subordinato in quanto:l’associato in partecipazione, pur prestando ilproprio lavoro, non è un lavoratore subordinato,perché non si inserisce in un’azienda altrui perfinalità a lui estranee; non è obbligato a prestareuna collaborazione; non è subordinato a un datoredi lavoro, ma solo alle direttive dell’associante;non ha, infine, diritto a una retribuzione o,comunque, a un minimo garantito di guadagno e,se pur non partecipa alle perdite, partecipa tuttaviaal rischio dell’impresa potendo non conseguirealcun guadagno. La giurisprudenza ha datempo individuato gli elementi distintivi, precisandoche l’associante ha l’obbligo del rendicontoperiodico e non può mutare il rischio cui è soggettol’associato, senza il suo consenso (Cass., 24febbraio 2001, n. 2693) ed evidenziando comel’associato non deve essere stabilmente inseritonell’organizzazione produttiva, né può essereassoggettato all’ingerenza dell’associante o sottopostoal potere direttivo di quest’ultimo perquanto concerne le modalità di esecuzione dellaprestazione (Cass., 6 novembre 1998, n. 11222).Non vi è dubbio, peraltro, che la valutazionedebba essere operata in concreto, a prescinderedalla qualificazione giuridica adottata dalle parti;ed, infatti, come osservato dalla giurisprudenzadi legittimità, in tema di distinzione fra contrattodi associazione in partecipazione con apporto diprestazione lavorativa da parte dell’associato econtratto di lavoro subordinato, pur avendoindubbio rilievo il nomen iuris usato dalle parti,occorre accertare se lo schema negoziale pattuitoabbia davvero caratterizzato la prestazione lavorativao se questa si sia svolta con lo schema dellasubordinazione (Cass., 24 febbraio 2011, n. 4524).In particolare, in alcune pronunce si è posto l’accentosul rischio d’impresa al quale è comunquesoggetto anche l’associato, che non ha la certezzadi essere retribuito per il suo lavoro (Cass., 19dicembre 2003, n. 19475), tanto più che si è esclusal’applicazione dell’articolo 36 dellaCostituzione, in tema di retribuzione sufficiente,al lavoro dell’associato (Cass., 3 febbraio 2000, n.1188). Ed, infatti, l’associazione in partecipazioneha, quale elemento causale indefettibile di distinzionedal rapporto di collaborazione libero-professionale,il sinallagma tra partecipazione alrischio d’impresa gestita dall’associante e conferimentodell’apporto lavorativo dell’associato; neconsegue che l’associato il cui apporto consista inuna prestazione lavorativa deve partecipare siaagli utili che alle perdite, non essendo ammissibileun contratto di mera cointeressenza agli utili diun’impresa senza partecipazione alle perdite,tenuto conto dell’espresso richiamo, contenutonell’articolo 2554, 2 comma c.c., all’articolo 2102c.c., il quale prevede la partecipazione del lavoratoreagli utili «netti» dell’impresa (Cass., 28 maggio2010, n. 13179). Da ultimo, la Corte diCassazione si è espressa nuovamente sul punto,riprendendo sostanzialmente le annotazionisopra richiamate. In particolare, con sentenza del21 febbraio 2012, n. 2496, i giudici di PiazzaCavour, dopo aver rilevato che “la partecipazioneal rischio d’impresa da parte dell’associato caratterizzala causa tipica dell’associazione in partecipazione”hanno chiarito che “l’elemento differenzialetra le due fattispecie risiede nel contestoregolamentare pattizio in cui si inserisce l’apportodella prestazione lavorativa dovendosi verificarel’autenticità del rapporto di associazione, cheha come elemento essenziale, connotante lacausa, la partecipazione dell’associato al rischiodi impresa, dovendo egli partecipare sia agli utiliche alle perdite”. Nel nostro paese, si è assistito,ad un eccessivo ricorso a contratti di associazionein partecipazione fittizi utilizzati per mascherareveri e propri rapporti di lavoro dipendente. Taleabuso, da tempo noto, è stato oggetto di notevoliriforme; infatti, già se ne parlava nel libro biancosul mercato del lavoro di Marco Biagi (ottobre2011) per essere poi trattata dalla legge Biagi276/2003 che introduceva, conseguentemente,una misura finalizzata a “evitare fenomeni elusividella disciplina di legge e contratto collettivo”,disponendo che, in caso di rapporti di associazionein partecipazione resi senza un’effettiva partecipazioneagli utili e adeguate erogazioni, il lavoratoreavesse diritto ai trattamenti retributivi,contributivi e normativi stabiliti dalla legge e daicontratti collettivi per prestazioni di lavoro subordinatosvolte nella posizione corrispondentedel medesimo settore di attività. L’articolo 86comma 2 del decreto legislativo 276/2003 prevedevache: “qualora il rapporto associativo si svolgasenza un’effettiva partecipazione all’impresa eun’adeguata erogazione dei compensi, al prestatored’opera saranno riconosciuti i trattamentiretributivi e contributivi del lavoratore subordinatoimpiegato nelle medesime attività e nellostesso settore produttivo, salvo la fornitura diprova contraria da parte del datore di lavoro ocommittente o utilizzatore”. Per gli associati inpartecipazione che conferiscano prestazioni lavorativeed i cui compensi siano classificati comeredditi da lavoro autonomo, è previsto l’obbligodi iscrizione alla gestione separata INPS di cuiall’articolo 2, comma 26, della legge 335/1995.Gli associati in partecipazione che svolgano attivitàlavorativa manuale o di sovrintendenza devonoessere iscritti all’INAIL; il premio è a carico del-


18dottrina agosto 201319dottrina agosto 2013l’associante. Obbligatoria risulta anche l’iscrizione<strong>degli</strong> associati in partecipazione nei libri pagae matricola (circolare Ministero del Lavoro33/2003) sui quali andranno, comunque, annotatisolo i dati relativi alla data dell’incarico e leinformazioni retributive e non anche quelle riferitealle presenze ed all’orario di lavoro svolto, nontrattandosi di lavoro dipendente. “Gli utili corrispostiall’associato, nel caso di apporto da partedel medesimo di sola prestazione di lavoro, sonoda considerarsi come redditi di lavoro autonomo.L’associante può portare in diminuzione dal proprioreddito di impresa le quote di utili conferiteall’associato solo se l’apporto di quest’ultimo siadi solo lavoro ed, altresì, se il contratto di associazionerisulti da atto pubblico o da scrittura privataregistrata”. L’auspicata riduzione <strong>degli</strong> abusinon si è tuttavia verificata e le buone intenzionidella legge Biagi sono così rimaste sulla carta. Pertali motivi, il contratto di associazione in partecipazionecon apporto di lavoro (esclusivo o misto)è stato oggetto di una copiosa giurisprudenza, dilegittimità e di merito. La sua diffusione e popolarità,nel sistema economico italiano, è infattitradizionalmente correlata a fenomeni di irregolaritàe di elusività relativamente ai profili giuridicidella normativa obbligatoria in materia dilavoro subordinato e previdenza sociale. Perfino, isindacati FILCAMS CGIL e NDIL CGIL hannodato vita, a partire dall’ottobre 2011, ad una campagna,denominata “Dissociati”, per smascheraregli abusi legati all’associazione in partecipazione.I sindacati hanno raccolto oltre un centinaio disegnalazioni da parte di lavoratori e hanno inoltratorichieste di incontro a tutte le aziendesegnalate, giungendo in numerosi casi ad accordidi stabilizzazione per gli associati in partecipazione.Nonostante la chiara previsione della leggeBiagi, l’eccesso di abusi e l’utilizzo seriale da partedi grandi aziende dell’istituto hanno così indottoil legislatore a rioccuparsi della questione con lariforma Fornero (legge 26 giugno 2012, n. 92,articolo 1, commi 28-31) adottando, tuttavia, unadisciplina a tal punto rigida da sollevare dubbi dilegittimità costituzionale. La volontà del legislatoredi eliminare il contratto di associazione inpartecipazione dal panorama giuslavoristico èresa evidente dall’impianto sanzionatorio cheaccompagna la novella. Il comma 28 integra l’articolo2549 del Codice civile al fine di prevedereche, qualora il conferimento dell’associato consistaanche in una prestazione di lavoro, il numero<strong>degli</strong> associati impegnati in una medesima attivitànon possa essere superiore a tre, indipendentementedal numero <strong>degli</strong> associanti (a meno chegli associati siano legati da rapporto coniugale, diparentela entro il terzo grado o di affinità entro ilsecondo). In caso di violazione del divieto inesame, il rapporto con tutti gli associati si considerarapporto di lavoro subordinato a tempoindeterminato. Si tratta, evidentemente, di unapresunzione assoluta di subordinazione che nonammette la prova contraria circa la loro natura.Inoltre, per evitare che i (tre) rapporti de quo siconsiderino subordinati fino a prova contraria, leattività oggetto del contratto dovranno necessariamenteessere “connotate da competenze teorichedi grado elevato acquisite attraverso significativipercorsi formativi” oppure da “capacità tecnico-praticheacquisite attraverso rilevanti esperienze[...]” e pattuite con soggetti “titolari di un redditoannuo da lavoro autonomo non inferiore ad”euro 18.662,50. Rimangono infine in vigore gliobblighi dell’associante di garantire “un’effettivapartecipazione dell’associato agli utili dell’impresao dell’affare” e di consegnare a quest’ultimo il“rendiconto previsto dall’articolo 2552 c.c.” (cfr.articolo 1, comma 26 e ss.gg., riforma). Il comma29 fa salvi, fino alla loro cessazione, i contratti inessere che, alla data di entrata in vigore della leggedi riforma del mercato del lavoro, siano stati certificatiai sensi dell’articolo 75 e seguenti deldecreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276. Inquesto modo, il legislatore della Fornero non hafatto salvi i contratti esistenti, né ha previsto unregime transitorio in quanto il passaggio dal vecchioal nuovo regime è stato immediato. Sonofatti salvi unicamente i (pochi) contratti certificatialla data di entrata in vigore della legge, anchese ciò, non incide sulla loro qualificazione giuridicache compete esclusivamente al giudice. Ilcomma 30 introduce una più efficace disciplinaantielusiva, disponendo che i rapporti di associazionein partecipazione con apporto di lavoro,instaurati o attuati senza che vi sia stata un’effettivapartecipazione dell’associato agli utili dell’impresao dell’affare, ovvero senza consegna delrendiconto (previsto dall’articolo 2552 del Codicecivile), si presumono, salva prova contraria, rapportidi lavoro subordinato a tempo indeterminato(il previgente articolo 86 del d.lgs. n. 276 del2003, di cui il comma 31 dispone conseguentementel’abrogazione, si limitava invece a prevedereche il rapporto di lavoro si considerava come di“lavoro subordinato”, ma non a tempo indeterminato,e non faceva riferimento al caso di mancataconsegna del rendiconto). Trattasi in questo casodi indice presuntivo relativo. Infine, si precisache tale presunzione opera nel caso in cui l’apportodi lavoro non presenti i requisiti di cuiall’articolo 69-bis, comma 1-bis, lettera a), deldecreto legislativo n. 276 del 2003, come introdottodall’articolo 1, comma 26, della legge inesame; vale a dire il regime delle partite IVA. Aldescritto impianto normativo (per quanto a pareredi molti, possa sembrare poco equo e deleteriosul piano dell’occupazione) si può riconoscere ilmerito di aver imposto, con il suo rigido impiantosanzionatorio, un limite all’utilizzo elusivo edistorto delle norme sul lavoro subordinato e diaver dato dignità codicistica.Emiliana MatroneHL’orientamento della Corte di Appellodi Salerno in tema di“Appello cassatorio”.La Corte di Appello di Salerno, sezione controversiedi lavoro e di previdenza e assistenza, con lasentenza del 1° febbraio 2013, n. 139, offre interessantispunti interpretativi sulla recente riformadell’appello, vigente a far data dall’11 settembre2012. Nel caso concreto, il collegio salernitano,nell’esame di un ricorso avverso una sentenzadel Tribunale di Nocera Inferiore in materia diprevidenza, si sofferma, in primo luogo, sull’ammissibilitàdel suddetto gravame. Tale esameviene condotto alla luce della novella intervenutaper effetto dell’articolo 54 del d.l. 83/2012 convertito(con modifiche) in legge 134/2012 e cheriformula il primo comma dell’articolo 434 c.p.c.,nel modo seguente:“Il ricorso deve contenere le indicazioni prescrittedall’articolo 414”.L’appello deve essere motivato. La motivazionedell’appello deve contenere, a pena d’inammissibilità:1) l’indicazione delle parti del provvedimento chesi intende appellare e delle modifiche che vengonorichieste alla ricostruzione del fatto compiutadal giudice di primo grado;2) l’indicazione delle circostanze da cui deriva laviolazione della legge e della loro rilevanza ai finidella decisione impugnata.Com’è noto, la precedente formulazione dell’articolo434, comma I, c.p.c. era, invece, la seguente:“il ricorso deve contenere l’esposizione sommariadei fatti e i motivi specifici dell’impugnazione,nonché le indicazioni prescritte dall’articolo414”. La Corte di Appello di Salerno, nel caso specifico,a conclusione di un complesso iter logicoargomentativosulla portata della nuova formulazionedell’articolo 434 c.p.c., finisce per dichiararel’inammissibilità del ricorso. In particolare, ilcollegio salernitano sostiene che “per l’ammissibilitàdell’appello, è ora necessario indicare specificamenteed espressamente, senza aggiunte superflueo non pertinenti, di modo che il giudicepossa averne immediata contezza senza esserecostretto a defatiganti e dispersive ricerche, sia leprecise parti della motivazione della sentenza cheil ricorrente chiede con il supporto di adeguata epertinente critica di eliminare, sia, e in stretta eordinata corrispondenza, permettendo un’immediataintelligibilità (nonché le eventuali valutazioniex articolo 436 bis c.p.c.), le parti motivazionali,idoneamente argomentate, che il ricorrentechiede che siano in sostituzione inserite, richiesteadeguatamente corredate dall’altrettanta chiara,ordinata e pertinente indicazione <strong>degli</strong> elementifondanti la denuncia di violazioni della legge edella loro rilevanza ai fini della decisione impugnata”.Siffatta interpretazione va a confermare l’indirizzoespresso, nei primissimi tempi dall’entrata invigore della riforma, dalla Corte di Appello diRoma (C. App. Roma, S.L., 15 gennaio 2013, n.7491/2012 R.G.), secondo cui: la nuova formulazionedell’articolo 434, 1° comma, c.p.c “imponeprecisi oneri di forma dell’appello in quanto nonsi è limitata a codificare i più rigorosi orientamentidella S.C. (Cass., 24 novembre 2005, n.24834, n. 110; 28 luglio 2004, n. 14251) in puntodi specificità dei motivi di appello, imposti dalvecchio testo dell’articolo 434 c.p.c.”, ma, prevedendoche l’appello deve essere, a pena d’inammissibilità,motivato, ciò significa “che esso deveessere redatto in modo più organico e strutturatorispetto al passato, quasi come una sentenza:occorre, infatti, indicare esattamente al giudicequali parti del provvedimento impugnato siintendono sottoporre a riesame e per tali partiquali modifiche si richiedono rispetto a quantoformato oggetto della ricostruzione del fattocompiuta dal primo giudice”; di conseguenza“non solo non basterà riferirsi alle sole statuizionidel dispositivo, dovendo tenersi conto anchedelle parti di motivazione che non si condividonoe su cui si sono basate le decisioni del primo giudice,ma occorrerà anche, per le singole statuizionie per le singole parti di motivazione oggetto didoglianza, articolare le modifiche che il giudice diappello deve apportare, con attenta e precisa ricostruzionedi tutte le conclusioni, anche di quelleformulate in via subordinata”; pertanto, “l’appelloper superare il vaglio di ammissibilità di cuiall’articolo 434 c.p.c. deve indicare espressamentele parti del provvedimento che vuole impugnare(profilo volitivo); per parti vanno intesi non solo icapi della decisione ma anche tutti i singoli segmenti(o se si vuole, “sottocapi”) che la compongonoquando assumano un rilievo autonomo (odi causalità) rispetto alla decisione; deve suggerirele modifiche che dovrebbero essere apportate alprovvedimento con riguardo alla ricostruzionedel fatto (profilo argomentativo); il rapporto di


20dottrina agosto 201321dottrina agosto 2013causa-effetto fra la violazione di legge che èdenunziata e l’esito della lite (profilo di causalità)”;tale opzione interpretativa è l’unica a potergarantire che nel giudizio di gravame sia assicuratala garanzia costituzionale di cui all’articolo 111Costituzione, nei segmenti intimamente correlatidel giusto processo e della durata ragionevole,anche con riguardo alla disposizione contenutanell’articolo 436 bis c.p.c., sotto tale ultimo profiloevidenziandosi che è “assai più probabile che ilgiudice di appello riesca a pervenire in tempiragionevoli alla definizione del processo quantopiù i motivi si conformeranno in misura convincenteallo stilema dell’articolo 434 c.p.c.” e che“quanto più gli appelli saranno sviluppati nelrigoroso rispetto dell’articolo 434 c.p.c. tantomeno discrezionale sarà la valutazione di cuiall’articolo 436 bis c.p.c. e tanto più giusto sarà nelconcreto il processo di appello”. Anche nella fattispecieesaminata dalla Corte capitolina è stataritenuta l’inammissibilità di gravame che, tra l’altro:pur contenendo l’indicazione delle singolestatuizioni non condivise, aveva “omesso di indicarele modifiche proposte con riferimento a ciascunaparte della sentenza”; non si era estrinsecato“nella produzione di prospetti contabili alternativirispetto a quelli allegati al ricorso di primogrado e posti a base della decisione impugnata”né “in una proposta di modifica” della statuizionesu capo rilevante della decisione impugnata;aveva mancato di “individuare il testo di unanuova pronuncia volta a modificare le argomentazionidel giudice di prime cure” in ordine adulteriore capo rilevante; aveva in via subordinatarichiesto la rideterminazione di somme senzaindicare “in relazione alle singole doglianze i corrispondentivalori monetari delle diverse voci”; indefinitiva, aveva impedito “direttamente al giudicedi comprendere per quale motivo la sentenzadovrebbe essere riformata e in quali precisi terminidebba essere motivata”. In realtà, il dibattitosulla portata della riforma in parola è caratterizzatoda orientamenti interpretativi profondamentedivergenti tra loro. Secondo un’interpretazionerestrittiva, si potrebbe ritenere che, nonessendo più espressamente richiesta la specificitàdei motivi d’impugnazione, il gravame sarebbeammissibile ove il giudice, a un esame complessivodello stesso e nonostante la mancanza di specifichecritiche alle ragioni della decisione impugnata,sia, comunque, in grado di risalire alle“parti del provvedimento” appellate (eventualmenteidentificabili, in senso ancora più restrittivo,con riferimento al solo dictum contenuto neldispositivo), alle violazioni di legge denunciate ealla conseguente riforma richiesta. Non lontanoda tale interpretazione si colloca la tesi secondocui, pur non ravvisandosi effetti regressivi, nonsussisterebbero nemmeno profili innovativi, e lanovella si limiterebbe a confermare i risultatiacquisiti dal diritto vivente circa l’onere di specificazionedei motivi. All’estremo opposto, si sostiene,invece, che la novella abbia inteso profondamenteincidere sulla formulazione dell’appello,esigendo non solo la proposizione di specifichedoglianze (ritenute indispensabili, dalla stessadottrina ricordata, anche in teorica assenza diprevisione normativa “dedicata”, bensì già solo“in base all’interesse a impugnare”), ma che lestesse si articolino nell’indicazione (necessariamenteespressa e precisa) delle parti del provvedimentomotivatamente contestate e delle modifiche(corrispondentemente motivazionali) chevengono richieste. Il Collegio salernitano affermadi poter condividere, tra le opposte interpretazionisopra ricordate, l’ultimo orientamento esposto,“seppure con la cautela imposta dalla mancanzaallo stato di un consolidato indirizzo giurisprudenzialee con la comprensione dovuta insede di prima applicazione per l’assimilazionedella nuova disciplina processuale da parte delForo”. A supporto di tanto, la Corte di Appello diSalerno soggiunge che “già sotto la precedenteformulazione dell’articolo 434 c.p.c. si andavanoaffermando interpretazioni tali da escludere l’ammissibilitàdell’appello laddove l’esposizione delleragioni di fatto e di diritto fondanti l’impugnazionenon si risolvesse in una critica adeguata especifica della decisione impugnata, per tale intesaquella “che consenta al giudice del gravame dipercepire con certezza e chiarezza il contenutodelle censure in riferimento ad una o più statuizioniadottate dal primo giudice (cfr. Cass.,Sezione lavoro, sentenza n. 25588 del 17 dicembre2010)”.Ancora, a sostegno della prefata impostazione, laGiustizia di Appello salernitana osserva:- “che la finalità della novella, introdotta con d.l.recante “misure urgenti per la crescita del Paese”,è quella di migliorare, ispirandosi in particolare almodello tedesco, l’efficienza delle impugnazionia fronte della violazione pressoché sistematica deitempi di ragionevole durata del processo, conconseguenti indennizzi disciplinati dalla legge n.89 del 2001, con incidenza diretta sulla finanzapubblica e con configurazione, come osservato daimportanti organizzazioni nazionali e internazionali,di un formidabile disincentivo allo sviluppo<strong>degli</strong> investimenti nel nostro Paese”;- “che il chiaro riferimento al § 520 della ZPOtedesca identifica tale norma come un importanteparametro comparativo, oltre che ineludibileelemento di valutazione in un’interpretazionenecessariamente tendente all’armonizzazione deisistemi legislativi comunitari”;- “che la suddetta norma obbliga l’appellante aindicare in primo luogo le parti della sentenzadelle quali chiede la riforma, nonché le modificherichieste, sicché è stato osservato che il lavoroassegnato al giudice dell’appello appare alquantosimile a un preciso e mirato intervento di “ritaglio”delle parti di sentenza di cui si imponga l’emendamento,con conseguente innesto - cheappare quasi automatico, giusta l’impostazionedell’atto di appello - delle parti modificate, conoperazione di correzione quasi chirurgica deltesto della sentenza di primo grado”;- “che la stessa enumerazione progressiva <strong>degli</strong>elementi contenutistici della motivazione dell’appellosembra suggerire un ordine preciso <strong>degli</strong>stessi (in forte analogia ancora una volta con lastruttura del § 520 ZPO, nonché con l’ordinataenumerazione dei punti contenutistici della sentenzaex articolo 132 c.p.c.), senza nemmenopotersi escludere una lettura “in negativo” dellanorma che porti a ritenere che il contenuto motivazionaleindicato debba essere il solo consentitooltre che il solo richiesto, con preclusione quindidi considerazioni che non siano chiaramente estrettamente rapportate a parti della decisioneimpugnata”;- “che appaiono evidenti la facilitazione e lo sveltimentodel lavoro del giudice che ne possonoderivare, potendo il decidente individuare conimmediatezza e senza studi defatiganti sia lerichieste tendenti a un effetto demolitorio di preciseparti della motivazione della decisione impugnata,sia le richieste, sorrette da specifica e adeguatamotivazione critica, tendenti con strettacorrispondenza anche espositiva a un effettosostitutivo e, come si è appunto detto, altrettanto“chirurgicamente” preciso di tali parti con le partiindicate dall’appellante, il che si armonizza anchecon le funzionalità di editing redazionale consentitesul piano informatico dal processo civile telematico(non a caso altra innovazione che allostato riceve forte impulso sempre nell’ottica di unrecupero dei tempi di giustizia)”;- “che la finalità di agevolazione e sveltimento dell’attivitàdecisoria del giudice di appello vieppiù sicoglie ponendo mente alla contestualità dellanovella dell’articolo 434 c.p.c con l’introduzionedell’articolo 436-bis c.p.c. e delle norme da essorichiamate (articoli 348-bis e 348-ter c.p.c.), relativeal cd. “filtro” di ammissibilità dell’appello (asua volta mutuato dal § 522 della ZPO) a secondadella sussistenza o meno di una ragionevole probabilitàdi accoglimento del gravame, giacché èevidente che in tanto tale ultima valutazionepotrà essere agevolmente e sollecitamente condottain quanto chiara, pertinente e precisaappaia la traccia decisoria proposta dall’appellante;- “che tale senso del “trapianto” del § 520 dellaZPO nel c.p.c. lo si trova confermato anche nellamotivazione dell’emendamento approvato dallaCommissione Giustizia della Camera deiDeputati il 23 luglio 2012, laddove, in sostanzarecependosi le indicazioni del CSM, si affermache la novella, traendo “spunto, ovviamente nellacornice ordinamentale italiana, dal § 520, comma3, della ZPO tedesca” fa sì che “il giudice di appellovedrà agevolato il proprio compito di esame, eper altro verso si vedrà fugato il rischio di utilizzoarbitrario del filtro, impedito dalla traccia specificaproposta dall’appellante e su cui necessariamentedovrà tararsi la prognosi di ragionevoleprobabilità di accoglimento”;- “che depone infine fortemente nel senso dell’interpretazionein questione anche il principio,affermato in motivazione da Cass. n. 13825/2008,secondo il quale la regola della ragionevole duratadel processo ex articolo 111, comma 2, Cost.,costituisce un parametro per valutare la compatibilitàcon il dettato costituzionale delle singolenorme processuali o, quanto meno, per patrocinarneun’interpretazione costituzionalmenteorientata, essendo di tutta evidenza che l’economiadi tempi processuali perseguita dalla novella(in questo affatto insignificante bensì di notevolee strategica rilevanza per invertire la tendenzaall’accumulo di arretrato a carico delle Corti diAppello) può essere ottenuta solo esigendo ilrispetto da parte dell’appellante, in un’ottica dileale collaborazione e a pena di inammissibilitàdel gravame, dei predetti oneri formali, e non consentendopiù che il giudice, se non in limiti ragionevoli(da valutare più elasticamente in sede diprima applicazione della novella), sia costretto adisperdere tempo prezioso ed energie, a discapitodi altre risposte di giustizia attese, nella ricerca dielementi che la parte ben può e deve fornire inmaniera ordinata e puntuale”.L’Avvocatura italiana ha manifestato, fin da subito,serie preoccupazioni verso il nuovo meccanismodell’impugnazione e, in particolare, l’OUAha definito l’intervento legislativo sul filtro inappello “un rimedio peggiore del male”.Il possesso nel diritto penale.Angelo MondelliHIn molteplici casi di reati contro il patrimonioprevisti e puniti dal Codice penale è di fondamentaleimportanza la nozione di possesso per megliocomprenderne il momento consumativo e glieffetti. Identificando il possesso della cosa con-


22dottrina agosto 201323dottrina agosto 2013sente di differenziare il reato di furto da quello diappropriazione indebita, oppure di comprenderela distinzione tra il reato di rapina e quello dirapina tentata (sentenza n. 5663 del 20 novembre2012, ud. dep. 5 febbraio 2013, Rv. 254691 dellaCorte di Cassazione, Sezione 2, secondo cui: integrail reato di rapina e non quello di tentata rapina,la condotta di chi s’impossessa della refurtiva,acquisendone l’autonoma disponibilità, pur sel’impossessamento sia avvenuto sotto il controllo,anche costante delle Forze dell’ordine, laddovequeste siano intervenute solo dopo la sottrazione,in quanto il delitto previsto dall’articolo 628 delc.p. si consuma nel momento e nel luogo in cui siverificano l’ingiusto profitto e l’altrui dannopatrimoniale, a nulla rilevando, invece, la meratemporaneità del possesso conseguito. Oppureancora la Corte di Cassazione Sezione 5 sentenzan. 40327 del 21 settembre 2011, ud. dep. 8 novembre2011, Rv. 251723, secondo cui integra il reatodi furto e non quello di appropriazione di cosesmarrite colui che s’impossessi di un telefono cellularealtrui oggetto di smarrimento, trattandosidi bene che conserva anche in tal caso chiari segnidel legittimo possesso altrui e in particolare incodice IMEI stampato nel vano batteria dell’apparecchio).Per possesso si intende una relazione intercorrentetra un soggetto e un bene a prescindere dallasussistenza nel soggetto stesso della titolarità deldiritto di proprietà, che consente alla persona didisporre della cosa in modo autonomo, tale relazioneintercorrente deve essere accompagnatadalla volontà di tenere la cosa per sé (potere difatto esercitato sulla cosa più animus possidenti).Analizziamo la dottrina e l’evoluzione storica ditale concetto.Autorevole dottrina (Nuvolone) fornisce la definizionedi possesso inteso come “l’autonoma disponibilitàdella cosa”, dove per “disponibilità autonoma”si intende quando si svolge al di fuor delladiretta vigilanza della persona che abbia sullacosa un potere giuridico maggiore, come ad esempioil diritto di proprietà. Un esempio è dato dalreato di furto p. e p. dall’articolo 624 e 624 bis delc.p., dove l’interesse tutelato viene identificato nel“regolare possesso” di un bene mobile (non nell’accezioneletterale del termine dove al contrariodella nozione civilistica di cosa mobile, nel dirittopenale un bene mobile può essere anche un beneimmobile “mobilizzato”, cioè può essere trasportatoda un luogo a un altro come ad esempio uncancello), come sostenuto da parte della dottrina,nella proprietà di esso.La principale distinzione avviene con la nozionedi possesso e quella di detenzione. Il detentore ècolui che esercita il potere sulla cosa nella sfera divigilanza del possessore, non si può quindi parlaredi impossessamento se non si acquista una“signoria autonoma” sulla cosa sottratta, elementomancante nella detenzione.Nel caso in cui dopo la sottrazione non si acquistauna signoria autonoma il delitto infatti saràsolo tentato. Come detto in precedenza il possessonel diritto penale è considerato un requisitofondamentale nei reati contro il patrimonio, taleda evidenziare più di ogni altro elemento costitutivodelle fattispecie criminose la divergenza tradiverse teorie, quella di natura spiccatamente“privatistica” e quella “autonomistica”.La teoria privatistica configura una totale identitàtra la nozione di possesso adottata nel dirittoprivato e quella utilizzata nel diritto penale.Partendo dal presupposto che, seppur identificandoil possesso quale istituto di natura civilistica,in quanto nel diritto penale una sua autonomadefinizione e disciplina è assente, occorretener presente che contro seppur in assenza diun’autonoma definizione penalistica, non si puòa priori escludere un’autonoma figura per la tutelapenalistica dei reati contro il patrimonio.Siccome la norma civile e quella penale assolvonofunzioni diverse nei due rami del diritto, si possonoavere due figure diverse di possesso a secondadella disamina strutturale a esso assegnata.Alla teoria civilistica riconducono gli studi delPannain il quale specifica che, tanto per il dirittoCivile che quanto per il diritto Penale “debbonoritenersi ipotesi di possesso tutte quelle che non siriducano a pura e semplice detenzione, e quest’ultimasi ha in presenza di una relazione materialedi chi detiene per conto, in nome e nell’interessedel possessore, come longa manus di lui”.La tesi di Pannain sembra trovare sostegno nell’articolo1140 c.c., il quale lasciando in secondopiano il requisito dell’animus consente di sostenere,come appunto fa Pannain, la non essenzialitàdi quest’elemento bastando solo un fatto esterioreoggettivo ai fini della configurabilità del possesso.Secondo invece gli strenui sostenitori dellateoria civilista non ci sono dubbi che per aversipossesso occorra, secondo quanto previsto dall’articolo1140 c.c., non solo il potere materialecorpore detinere, ma anche l’animus, infatti, nei casiin cui manchi quest’ultimo elemento, non si puòparlare di possesso ma di mera detenzione, comeprecisato dal capoverso dell’articolo 1140 del c.c.Nel caso in cui in sede penale si volesse applicarefedelmente l’opinione civilistica dominante, laconseguenza sarebbe quella di escludere il possessonei casi del depositario, comodatario, locatarioetc., i quali tutti detengono in nome di altri. Inquesto caso considerando, come detentori e nonpossessori, le suindicate ipotesi, si avrebbe unreato di furto e non di appropriazione indebita,conclusione spiccatamente illogica e irrazionalefuori dalle risultanze della dottrina e della giurisprudenzaper le quali si ritiene ius receptum, che intutte le menzionate ipotesi si abbia la sussistenzadel reato di appropriazione indebita e non quellodi furto. I sostenitori della teoria civilistica apronodue percorsi: sviluppare ex novo una nozionecivilistica di possesso a cui adeguare e riferirequella penalistica, come fatto appunto dalPannain, in netto contrasto con gli studiosi deldiritto privato; accogliere l’interpretazione civilisticageneralmente seguita, ovvero una nozionepiuttosto ristretta di possesso a cui occorre necessariamentefare da capolino un’altra “non pocoampia” di detenzione, il che finisce per portare aconclusioni in netto contrasto con le applicazionitradizionali della nozione di possesso nel dirittopenale. Secondo quanto sostenuto dalla correnteautonomistica, evoluta di fronte alle perplessitàsollevate dagli studiosi relativamente alla tesi privatistica,occorreva porre un argine alle molteincertezze suscitate dai privatisti.Occorre tener presente il fatto che autonomianon significa conseguentemente privare di valorei concetti civilistici utilizzati nell’ambito del dirittopenale, ma utilizzare quei concetti con i relativiadattamenti, precisando che il diritto penale hale proprie esigenze e, nel caso in cui recepisce daaltri rami del diritto dei concetti o istituti giuridici,li armonizza tali da renderli adattabili agliscopi prefissati. Parte della dottrina capeggiata daNuvolone 1 individua il concetto di possesso attraversola definizione dell’apparentia iuris, ovvero, “larelazione con la cosa costituirebbe possesso inquanto rivestita dall’apparenza di un’autonomadisponibilità di diritto”. In tal modo, ad esempio,si spiegherebbe la differenza tra il reato di furto equello di appropriazione indebita.Nel caso di appropriazione indebita esiste unasituazione di apparenza di diritto e cioè un possesso,infatti, l’atto di appropriazione apparirebbeai consociati come la continuazione dello statopreesistente e non susciterebbe pertanto quell’accentuatoallarme sociale che provoca invece ilfurto la cui arbitrarietà è palese come sostenutodal Funaili. Tale assunto teorico è integrato dalfatto che si ha la possibilità “di fatto” di esercitareil diritto sulla cosa, assistita da una situazionedi “apparenza di diritto” desunta dal concorso difattori positivi e negativi ossia da forme di pubblicitàda un lato e mancanza di violenza dall’altro.Anche questa teoria è stata oggetto di critichein quanto la prima questione posta consiste nelfatto che l’autonomia della appropriazione indebitarispetto al furto si spiega principalmente inragione del “genere della condotta” in quanto,avendo già il soggetto la disponibilità materialedella cosa, ne mancherebbe la sottrazione furtiva;la seconda questione riguarda la mancanza diconcretezza e precisione nei casi dubbi; la terza eultima questione posta è che la mancanza di clandestinitàe violenza, per tale motivo si porta aescludere l’ipotesi che l’atto del rubare posto inessere dal ladro il quale “possiede” mentre in dottrinasi sostiene il contrario.L’Antolisei si propone di “rendere la nozione civilisticadi possesso più ampia in tal modo daricomprendere tutti i casi in cui la signoria difatto sulla cosa si esercita in modo autonomo,ovvero, senza la sorveglianza di una persona cheabbia sulla stessa cosa un potere maggiore”. In talmodo la detenzione si riduce a quei casi in cui ilpotere di fatto sulla cosa si esplichi entro la sferadi custodia e vigilanza del possessore.Per possesso, secondo il sistema penalistico, deveintendersi la relazione tra soggetto e cosa inmodo indipendente. Il possesso penale e quellocivile si distinguono sia per l’elemento materialeche per quello soggettivo. Per il corpus infatti nelsistema civile si può possedere tramite altri chedetengono il bene, nel diritto penale ciò non trovaalcun riscontro.Per animus in diritto penale non si richiede l’intenzionedi considerare la cosa propria(Antolisei). Concludendo per possesso nell’accezioneprivatistica deve intendersi quella relazionetra soggetto e cosa che consente alla prima di disporredella seconda in modo autonomo, cioè al difuori della diretta vigilanza di chi abbia sulla cosaun potere maggiore; mentre detentore è colui ilquale esercita un potere di fatto nella sfera delpossessore. Ne deriva che nel sistema penale peranimus si intende la volontà di tener la cosa pressodi sé, a prescindere da quelle attività corrispondential diritto di proprietà o altro diritto reale.Ne consegue quindi che il possesso continua incaso di morte nell’erede e che esso permangaanche in mancanza di un potere di fatto che nonsi pratichi momentaneamente in modo effettivo.Se non c’è signoria autonoma manca impossessamento.A nulla rilevano infatti il criterio temporalee quello spaziale, cioè la durata del possessoda un lato e il luogo al quale si estende la sfera didominio del derubato, è sufficiente che la cosasottratta sia passata sotto il dominio esclusivodell’agente............................................1 Nuvolone, op. cit., pp.55 e ss.Fonti bibliograficheNuvolone, Il possesso nel diritto penale, Milano, 1942.Pannain, Il possesso nel diritto penale, Roma, 1946.Funaili, A proposito di apparentia iuris, in Riv. Dir. Civ., 1942, pp. 128 e ss.Antolisei F., Manuale di Diritto Penale, pp. 269 e ss.


24dottrina agosto 201325dottrina agosto 2013Francesco RicciardiHAtipicità formale dell’istanzaincidentale di verificazione dellascrittura privata.Il nostro Codice civile non prevede la nozione discrittura privata, a differenza dell’atto pubblico dicui all’articolo 2699 c.c. All’uopo, autorevole dottrinala definisce quale “documento redatto periscritto e sottoscritto dalle parti con firma autografa”,confermandone quindi il connotato dellasua atipicità. Nella specie, la scrittura privata puòessere redatta dalle parti o da un terzo, sostanziandosiin un documento idoneo a conservare ilvalore legale di dichiarazioni di volontà, di scienzao di conoscenza, attraverso il mezzo della sottoscrizione.La ratio sottesa all’istituto de quo èquella di favorire la documentazione di fatti chepotrebbero avere rilevanza giuridica, senza appesantirlicon il crisma della formalità pubblica. Lascrittura privata è inserita nel novero delle cd.prove documentali, cioè di quelle precostituite,formatesi prima e fuori del processo. L’articolo2702 c.c., rubricato “efficacia della scrittura privata”,dispone che questa “fa piena prova, fino aquerela di falso, della provenienza delle dichiarazionida chi l’ha sottoscritta, se colui contro ilquale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizioneovvero se questa è legalmente consideratacome riconosciuta”. Non avendo quindi lascrittura privata immediato valore di prova legale,la cui valenza probatoria sia sempre predeterminatadalla legge, la sua piena rilevanza in giudizioè rimessa all’estrinsecazione di alcune condizioniintegrative: a) il riconoscimento espresso o tacitoda parte del soggetto contro cui la scrittura è prodotta;b) il riconoscimento legale. Al verificarsi diuna di queste condizioni la scrittura privata avràla stessa efficacia probatoria dell’atto pubblico,cioè la certezza legale della provenienza del documentodal soggetto che l’ha sottoscritto. Con specificoriguardo all’ipotesi sub b), il riconoscimentolegale della scrittura può avvenire medianteautenticazione della firma da parte di un notaio oaltro pubblico ufficiale autorizzato ovvero all’esitodel giudizio di verificazione, promosso in viaprincipale o incidentale (articoli 216 ss. c.c.).Dopo questi brevi cenni introduttivi, è il caso diconcentrarsi sul problema dell’atipicità formaledell’istanza incidentale di verificazione conseguenteall’eccezione di disconoscimento dellascrittura privata. Specificamente, ci si è chiesti se,a seguito dell’eccezione di disconoscimento sollevatain giudizio, la parte che intenda valersi dellascrittura disconosciuta debba necessariamenteinstaurare il sub-procedimento di verificazioneovvero possa limitarsi a provare la provenienzadel documento attraverso altri mezzi di prova e inparticolare attraverso la prova testimoniale,essendo il giudice libero di valutare se tale provasia stata comunque raggiunta. La prima questioneda risolvere, nel caso in cui ci si trovi dinanziad un documento prodotto in giudizio da unadelle parti, si concreta nell’individuazione dell’esattanatura del documento stesso: in altre parole,ci si dovrà domandare se l’atto prodotto sia omeno idoneo a sostanziarsi in una scrittura privata.Ebbene, a tale riguardo e aprendo una meraparentesi nel discorso, si potrà prendere ad esempiol’interessante casistica riguardante le “fatturequietanzate” prodotte in giudizio. In concreto, lafattura quietanzata ovvero quella che contiene l’inequivocaattestazione dell’adempimento dell’obbligazioneproveniente dal creditore a mezzodell’annotazione “pagato” o altra equivalenteapposta sulla fattura (che riveli sia l’ammontaredella somma pagata, sia il titolo per il quale ilpagamento è avvenuto), sottoscritta dal soggettocui essa proviene, ha valore di scrittura privata(cfr. Cass.Civ., sez. III, n. 06/17454). Appurato chela fattura quietanzata dotata di determinatirequisiti di completezza (timbro e firma dell’esercente,l’ammontare del pagamento, la data ecc.) oaltro e diverso documento è suscettibile di averevalore di scrittura privata, si consideri l’ipotesi incui alla produzione dell’atto in giudizio da partedell’attore, segua un’eccezione di disconoscimentoad opera di parte convenuta. Infatti, secondo ildisposto di cui all’articolo 214 c.p.c., colui controil quale è prodotta la scrittura, se intende effettuareil disconoscimento, dovrà negare formalmentela propria scrittura o la propria sottoscrizione,anche per il tramite del difensore regolarmentenominato. La scrittura privata prodotta ingiudizio si ha per riconosciuta ex articolo 219c.p.c. (cd. riconoscimento tacito o per facta concludentia):1) se la parte alla quale la scrittura è attribuitaè contumace; 2) se la parte comparsa non ladisconosce o dichiara di non disconoscerla nellaprima udienza o risposta successiva alla produzione.Intervenuta l’eccezione di disconoscimento,l’attenzione dovrà spostarsi immediatamentesulla reale “necessità probatoria” del documento,in relazione al petitum e alla causa petendi del giudizio.In concreto, dovrà procedersi ad una ricognizionedell’importanza che il documento contestatopuò avere nell’ottica della domanda: questoperché la scrittura privata fa piena prova finoa querela di falso della “sola provenienza” dellastessa da chi l’ha sottoscritta e non anche della“veridicità del contenuto delle dichiarazioni inessa rappresentate”, di talché il contenuto di que-ste ultime potrà essere provato con ogni mezzo,entro i limiti di ammissibilità dello stesso (cfr.Cass. Civ., 08/11674 e 93/12428). Valutata l’importanzache il documento è suscettibile di avereper il buon esito del giudizio, anche in relazionealla robustezza <strong>degli</strong> altri argomenti ed elementidi prova, la parte che intende valersi del documentodisconosciuto, almeno secondo una certagiurisprudenza, dovrà proporre formale istanzadi verificazione, indicando i mezzi di prova cheritiene utili e producendo le scritture che possanoservire da comparazione. Trattasi del cd. procedimentoincidentale di verificazione di cui all’articolo216 comma 1 c.p.c. che, a differenza di quelloproposto in via principale con citazione (di cuial comma 2 della stessa norma), genera un vero eproprio sub-procedimento, avente natura di autonomadomanda di accertamento e non di meraammissione di un mezzo di prova, idonea adacquisire autorità di cosa giudicata formale esostanziale (cfr. Cass. Civ., sez. I, 18 ottobre 1956,n. 3699, sez. II, 23 maggio 1960, n. 1315). Suopposti lidi interpretativi, cui si ritiene prudenzialmentedi aderire, si colloca quella giurisprudenzache distingue tra procedimento di verificazioneproposto in via principale e quello azionatoin via incidentale. Nella specie, a differenza diquello proposto in via principale, il procedimentoincidentale di verificazione della scrittura privatadisconosciuta, avendo finalità e contenuti istruttorie inquadrandosi nell’ambito dell’attività probatoriadelle parti, ha funzione strumentale, inquanto non è fine al mero accertamento, ma èpreordinato all’utilizzazione nel processo dellaprova documentale. Così, ai fini della proposizionein via incidentale dell’istanza di verificazionenon sono richieste determinate formule, potendoil giudice ravvisare la volontà di chiederne la verificazione(e quindi di servirsi del documento disconosciuto)in un comportamento concludente,anche senza l’uso di formule sacramentali, qualepuò essere la mera articolazione di una provatestimoniale sul fatto che la controparte abbiaeffettivamente sottoscritto la scrittura (cfr. Cass.Civ., sez. III, 9 luglio 2004, n. 12734). Nella stessadirezione si è posta la sentenza della Cass. Civ.,sez. lavoro, n. 9631 del 20 maggio 2004, secondocui nel procedimento di verificazione della scritturaprivata il giudice di merito, ancorché abbiadisposto una consulenza grafica sull’ortografiadella scrittura disconosciuta, ha “il potere-doveredi formare il proprio convincimento sulla base diogni altro elemento anche desunto da prova testimoniale,senza essere vincolato ad alcuna graduatoriafra le varie fonti di accertamento della verità”.E ancora, la Suprema Corte con sentenza n.1549 del 28 gennaio 2004 aveva già stabilito che“tenuto conto che il procedimento di verificazionedella scrittura privata disconosciuta, avendonatura e finalità di carattere istruttorio, è preordinatoall’utilizzazione della prova documentale,il giudice non è tenuto a disporre la verificazionedella scrittura, qualora la ritenga non influente aifini della decisione”. Riassumendo, quindi, secondotale orientamento giurisprudenziale la volontàdi sottoporre a verificazione la scrittura privatadisconosciuta (per servirsi della stessa in giudizio),non richiedendo formule particolari o specificimezzi, può essere desunta e decisa anche sullabase dell’articolazione di una mera prova testimoniale(ad esempio, avente ad oggetto la circostanzadella formazione, sottoscrizione e rilasciodel documento), non esigendosi la formale aperturadi un procedimento incidentale (implicantela custodia del documento, il deposito di scritturedi comparazione, la nomina di un CTU), allorquandogli elementi già acquisiti siano ritenutisufficienti per una pronuncia al riguardo. Il giudicepotrà così ritenere come verificata la scritturaprivata disconosciuta, sulla base <strong>degli</strong> altri elementidi prova emersi in giudizio, prescindendosi,ove possibile, dalla formalità del sub-procedimentodi verificazione incidentale e della relativaistanza di parte (cfr. Cass. Civ., sez. III, 19 maggio2008, n. 12695). Nel mezzo dei due orientamenticontrapposti si è collocata una recente pronunciadella Cassazione (sez. III, del 16 febbraio 2012, n.2220), con la quale dapprima la Corte ha stabilitoche “la mancata proposizione dell’istanza di verificazionedi una scrittura privata disconosciutaequivale, per presunzione di legge, ad una dichiarazionedi non volersi avvalere della scrittura stessacome mezzo di prova, con la conseguenza cheil giudice non deve tenerne conto”, ribadendoperò che “la parte che ha disconosciuto la scritturanon può trarre dalla mancata proposizione dell’istanzadi verificazione elementi di prova a séfavorevoli”, potendo il giudice avvalersi, ai finidella decisione, delle prove testimoniali espletate.Eleonora StefanelliHL’espropriazione per pubblica utilità:evoluzione storica e analisidei profili giuridici.I. Excursus storico: origine ed evoluzione dell’istitutodell’espropriazione.Da un punto di vista etimologico, “espropriare”(dal latino ex proprius) significa togliere la proprietà,con la conseguenza che ben può definirsicome una sottrazione coattiva del diritto di proprietào di una facoltà a esso inerente, quali l’uso


26dottrina agosto 201327dottrina agosto 2013o il godimento del bene. Pertanto, negli ordinamentigiuridici che prevedono la proprietà comeun istituto e, più precisamente, in quelli come ilnostro, ove è considerata un diritto garantito alivello costituzionale, non può aversi espropriazionese non nei casi e nei modi sanciti ex lege e ilpotere di espropriare viene accordato solamentealla pubblica autorità. Ne discende che la proceduraablativa dell’espropriazione per pubblicautilità rappresenta uno <strong>degli</strong> strumenti di esplicazionedel potere pubblico, atteso che grazie a taleistituto è possibile al contempo realizzare operepubbliche e dare concreta attuazione alla pianificazioneurbanistica territoriale. Come sostenutoanche da giurisprudenza prevalente, siffatta proceduraablativa può qualificarsi come “l’istitutodi diritto pubblico in virtù del quale, per mezzo diun atto amministrativo emanato dalla competenteautorità nelle forme sancite dalla legge, si attuaa favore di un’impresa dichiarata di pubblica utilità,il trasferimento della proprietà di una cosaconvertendosi al tempo stesso il diritto sulla cosadel proprietario espropriato in un diritto a un’indennità”.Non a caso, si tratta di uno dei casi incui si attua la cd. conversione dei diritti: il dirittodel proprietario cessa di essere diritto di proprietàe si converte in un diritto di credito per unasomma d’indennizzo. Dunque, la proceduraespropriativa tende a favorire un giusto contemperamentotra il diritto di proprietà e la prevalentenecessità di soddisfazione delle esigenze dicarattere pubblico. E proprio l’interesse collettivocostituisce un presupposto fondamentale perchésia giustificabile il trasferimento della proprietàdel bene a un soggetto diverso ed anche contro lavolontà del proprietario. Tuttavia, sono richiesteulteriori condizioni affinché il procedimentoespropriativo possa avere luogo, ovvero: a) la presenzae la necessità di un’impresa di pubblica utilità;b) un vincolo o nesso di dipendenza fra l’esecuzionedell’opera e l’ablazione del diritto al privato;c) il pagamento dell’indennizzo all’espropriato.Di certo, le vicende che hanno segnato ilrapporto tra proprietà privata e autorità pubblicahanno influenzato anche l’evoluzione dell’espropriazione.In particolare, la disciplina dell’istitutomodernamente concepito ha subito la notevoleinfluenza del rapporto triangolare tra Stato, individuoe proprietà privata, atteso che rappresentauna delle caratterizzazioni più influenti dei diversimodelli amministrativi che hanno distinto ledifferenti epoche. A tal proposito, occorre evidenziarele singole tappe storiche che hanno contrassegnatol’iter di approvazione, a livello normativo,dell’espropriazione per pubblica utilità. Neldiritto romano, invero, non era disciplinato alcunistituto riconducibile alla funzione proprie dell’espropriazioneper pubblico interesse, in quanto ilcd. dominium era impermeabile alle limitazioni dicarattere esterno seppur provenienti dall’organostatale. Diversamente, nel diritto medievale ebbeinizio un lento e graduale percorso che portò auna maggiore commistione tra elementi pubblicisticied elementi privatistici dello ius, in cui ildiritto del privato veniva a configurarsi come undiritto inferiore rispetto a quello avanzato dalloStato. È solo con l’avvento del periodo comunaleprima e con la promulgazione della Costituzionepoi che i diritti della persona vengono a esseremaggiormente tutelati. In tal modo, il diritto diproprietà riacquista forza e vigore ritornando aessere un diritto di rango primario non suscettibiledi revocazione ad nutum da parte dell’autoritàpubblica; viene, quindi, impedita la sottrazionedei beni in modo arbitrario, atteso che le espropriazionipossono essere eseguite esclusivamentenel caso in cui esista un interesse di carattere pubblicoe dietro compenso del proprietario originale.Di certo, da un punto di vista strettamentenormativo, il diritto di proprietà viene annoveratotra i diritti inviolabili dell’uomo per la primavolta con l’articolo 17 della Costituzione francesedel 1791, il quale così recita: “La proprietà è inviolabilee sacra. Nessuno può esserne privato, se nonquando la necessità pubblica, legalmente constatata,lo esiga in modo evidente, e sotto la condizionedi una giusta e previa indennità”.Siffatto principio viene successivamente recepitoin Italia nella Carta Costituzionale. In particolare,nell’ordinamento italiano, l’espropriazione perpubblica utilità o per pubblico interesse trova unaprima base solida nell’articolo 29 dello StatutoAlbertino, laddove quest’ultimo definisce la proceduraespropriativa nella seguente maniera:“Tutte le proprietà, senza alcuna eccezione, sonoinviolabili. Tuttavia, quando l’interesse pubblicolegalmente accertato lo esiga, si può essere tenutia cederle in tutto o in parte, mediante una giustaindennità conformemente alle leggi”. Il medesimocorollario fu poi ripreso dal Codice civile del1865 all’articolo 438, cui ha fatto seguito l’articolo834 del Codice civile del 1942 tuttora vigente,secondo il quale: “Nessuno può essere privato intutto o in parte dei beni di sua proprietà se nonper causa di pubblico interesse, legalmentedichiarata, e contro il pagamento di una giustaindennità. Le norme relative all’espropriazioneper causa di pubblico interesse sono determinateda leggi speciali”. Merita attenzione un ulterioredisposizione normativa contenuta nel Codicecivile del 1942, ovvero l’articolo 832 con il qualeviene a essere ribadito che: “Il proprietario hadiritto di godere e disporre delle cose in modopieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservan-za <strong>degli</strong> obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”.Attualmente, l’istituto espropriativo trovail suo fondamento costituzionale negli articoli42, 43 e 44 della Costituzione. La norma generaleè propriamente rappresentata dall’articolo 42che, dopo aver dichiarato la proprietà privata“riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determinai modi di acquisto, di godimento e i limitiallo scopo di assicurare la funzione sociale e renderlaaccessibile a tutti”, aggiunge al 3 comma: “laproprietà privata può essere, nei casi prevedutidalla legge e salvo indennizzo, espropriata permotivi d’interesse generale”. Tale norma consentenon solo di identificare i principi cardine dell’espropriazionebensì riconosce anche la coesistenzadella proprietà privata con quella pubblicadefinendo lo status giuridico. Non sono mancateulteriori e successive modificazioni cui seguironomolteplici pronunce d’incostituzionalità. Al finedi semplificare la disciplina furono fatti diversitentativi legislativi senza che si arrivasse a unaformulazione normativa definitiva. Scopo che èstato raggiunto solo con il d.p.r. n. 327 dell’8 giugno2001, meglio noto quale Testo Unico inmateria di espropriazione, mediante il quale illegislatore ha accolto quanto affermato dalla giurisprudenzadella Corte Costituzionale e del<strong>Consiglio</strong> di Stato.II. Il sistema normativo anteriore al d.p.r.327/2001: la legge 25.VI.1865 n. 2359.Anteriormente al dettato costituzionale e all’entratain vigore del Testo Unico, la fonte normativain materia di espropriazione principale è statacostituita per quasi un secolo e mezzo dalla leggen. 2359 del 1865, cd. legge Pisanelli, dal nome delMinistro Guardasigilli. La suindicata normativapreordinava la dichiarazione di pubblica utilitàalla legittimità del trasferimento del diritto diproprietà in capo all’ente beneficiario. Dunque,come confermato anche dalla dottrina, la sua funzionenon si esauriva nell’identificazione dell’interessepubblico perseguito in concreto bensìmirava ad avviare la più complessa indagine sullecondizioni di recessività della proprietà privata.Pertanto, la funzione principale del procedimentoablativo consisteva nella mediazione tra enunciazionelegislativa astratta dell’espropriabilità edespropriazione in senso concreto tramite unasequenza di atti e valutazioni che culminava nelladichiarazione di pubblica utilità e, dunque, nell’attribuzioneex lege del potere espropriativo.Invero, la legge del 1865 prevedeva differenti tipologiedi dichiarazione di pubblica utilità; più precisamente,la dichiarazione emessa ex lege, per attoesplicito o implicito. Di certo, la dichiarazioneesplicita rappresentava la fattispecie ordinaria,atteso che l’articolo 2 definiva le opere di pubblicautilità come: “quelle opere che vengono espressamentedichiarate tali per atto dell’autorità competente”.Sul punto, merita attenzione l’interventodella Corte Costituzionale che con sentenza 29maggio 1968 n. 55 è intervenuta a chiarire che “lagaranzia della proprietà privata è condizionata,nel sistema della Costituzione, dagli articoli 41-44, alla subordinazione a fini dichiarati ora di utilitàsociale, ora di funzione sociale, ora di equirapporti sociali, ora d’interesse ed utilità generale”.Tuttavia, già in tempi precedenti la Corteaveva sottolineato l’importanza del precetto dicui all’articolo 42 della Costituzione, sostenendoche: “la proprietà privata non può essere espropriatache per motivi d’interesse pubblico, con laconseguenza che l’espropriazione, per appariregiustificata, deve ispirarsi a specifiche, puntuali econcrete finalità d’interesse generale”. Pertanto, ilsistema giuridico che è andato profilandosi sindalla legge del 1865 ha indicato una garanzia perla verifica dei caratteri di concretezza ed attualità.Ulteriore profilo sul quale occorre soffermarsi èrappresentato dal concetto d’indennità. Difatti,l’indennità di espropriazione, secondo quantoconsacrato dalla legge del 1865, era ragguagliataal valore venale del bene espropriato. Ma cosas’intende per valore venale del bene? La risposta sirinviene in due disposizioni normative, rappresentaterispettivamente dall’articolo 39 e dall’articolo40 della suindicata normativa, atteso che laprima norma faceva espressamente riferimento aicasi di occupazione totale mentre la secondanorma riguardava l’occupazione parziale. Più precisamente,l’articolo 39 così disponeva: “Nei casidi occupazione totale, l’indennità dovuta all’espropriatoconsisterà nel giusto prezzo che a giudiziodei periti avrebbe avuto l’immobile in unalibera contrattazione di compravendita”.Diversamente, il dato normativo di cui all’articolo40 statuiva quanto segue: “Nei casi di occupazioneparziale, l’indennità consisterà nella differenzatra il giusto prezzo che avrebbe avuto l’immobileavanti l’occupazione, ed il giusto prezzoche potrà avere la residua parte di esso dopo l’occupazione”.Tuttavia, il principio venne ben prestoderogato dall’articolo 13 della legge 15.I.1885n. 2892, introdotta per il risanamento della Cittàdi Napoli, che stabiliva norme particolari per ladeterminazione e la liquidazione dell’indennità.Nello specifico, tale regolamentazione prevideuna indennità ragguagliata “sulla media del valorevenale e dei fitti coacervati dell’ultimo decennio”.Attualmente, sulla scorta dei principi costituzionali,l’indennità non può certamente considerarsiun prezzo, cioè la controprestazione di unrapporto di scambio, bensì una contribuzione


28dottrina agosto 201329dottrina agosto 2013quale concorso del privato, con i propri beni o lapropria attività, alla realizzazione di fini pubblici.A tal proposito, la giurisprudenza ha adottatopronunce in stretta coerenza con tali principi, evidenziandocome l’espressione indennizzo nondebba intendersi nel senso meramente etimologicodi “rendere indenne”, ma come il massimo diretribuzione e di riparazione che l’organo pubblicopuò garantire all’interesse privato.III. Il procedimento secondo la legge 22 ottobre1971 n. 865.Ai fini della ricostruzione storica dell’istituto inquestione, appaiono di notevole rilievo i criteriinnovativi introdotti dal legislatore con la legge n.865 del 1971, cd. legge sulla casa, recante, tra l’altro,“Programmi e coordinamento dell’ediliziaresidenziale pubblica” e “norme sull’espropriazioneper pubblica utilità”. Ad essa si attribuisconomodifiche significative riguardanti le procedureed il metodo di calcolo dell’indennità di espropriazione.In particolare, merita attenzione l’articolo16 della legge 22 ottobre 1971 n. 865 cosìcome modificato ed integrato dall’articolo 14della legge 28 gennaio 1977, n. 10 (cd. leggeBucalossi ovvero “legge per l’edificabilità deisuoli”). Il maggiore intervento correttivo hariguardato la stima dell’ammontare dell’indennizzo,laddove la legge n. 865 ne ha ricondotto ladeterminazione al valore agricolo del fondooggetto della procedura ablativa; in tal modo, ilquantum dell’espropriazione viene determinato suun valore fittizio, che rende la traslatio della proprietàeconomicamente svantaggiosa per il privato.Nella determinazione dell’indennità non devepertanto prendersi in considerazione l’utilizzabilitàdell’area ai fini dell’edificazione nonché l’incrementodi valore derivante dall’esistenza nellastessa zona di opere di urbanizzazione primaria esecondaria e di qualunque altra opera o impiantopubblico (sesto comma, articolo 16, legge n. 865).In conseguenza dell’inattendibilità di tale metododi stima, è intervenuta la Corte Costituzionaleche con la pronuncia n. 5 del 30 gennaio 1980 hadichiarato illegittima la predetta disposizione,ritenuta in contrasto con l’articolo 42 dellaCostituzione, in quanto il criterio del valore agricoloera di gran lunga inferiore al valore reale deibeni. Più specificatamente, la Corte ha stabilitoquanto segue: “Affinché l’indennità di espropriazionepossa ritenersi conforme al precetto costituzionale,è necessario che la misura di essa siariferita al valore del bene, determinato dalle suecaratteristiche essenziali e dalla destinazione economicaperché solo in tal modo l’indennità stessapuò costituire un serio ristoro per l’espropriato”.A seguito della dichiarazione di incostituzionalitàdell’articolo 16 della legge n. 865/1971 era ritornatoapplicabile il criterio del valore di scambiodel bene di cui all’articolo 39 della legge fondamentaledel 1865. Bisogna attendere gli anni ‘90perché, con l’articolo 5 bis del decreto legge n.333/1992, convertito in legge n. 359/1992, si assistaall’introduzione del criterio del “valore mediato”.A differenza della legge n. 865/1971, il metododi calcolo introdotto nel 1992 era caratterizzatoda una minore specificità, applicandosi indiscriminatamentea tutte le espropriazioni preordinatealla realizzazione di opere o interventidichiarati di pubblica utilità e realizzate da pubblicheamministrazioni. Nonostante l’inserimentodel criterio mediato nell’ambito del T.U. sugliespropri (in ordine alle aree edificabili ex articolo37), anche l’articolo 5 bis non è rimasto esente dacritiche. Non a caso, la citata disposizione saràdichiarata costituzionalmente illegittima consentenza della Corte Costituzionale del 24 ottobre2007, n. 348. La questione, così come sollevatadal Supremo organo collegiale, s’incentrava sulpresunto contrasto tra la disposizione di cuiall’articolo 5 bis del d.l. 333/1992 e l’articolo 1 delprimo Protocollo della Convenzione Europea deiDiritti dell’Uomo (C.E.D.U.). In particolare,secondo la Corte, i “criteri volti alla determinazionedell’indennizzo dovuto ai proprietari di areeedificabili espropriate per motivi di pubblico interessecondurrebbero alla corresponsione disomme non proporzionate al valore dei benioggetto di ablazione”. Il parametro evocato dallaSuprema Corte era rappresentato dall’articolo117, comma 1, della Carta Costituzionale, cosìcome riformato dalla legge 18 ottobre 2001, n. 3recante “Modifiche al titolo V della parte secondadella Costituzione”. Tale impostazione giurisprudenzialeè stata confermata anche da pronuncepiù recenti, sull’assunto che fosse necessaria unavalutazione ex novo della norma censurata (articolo5 bis) in relazione al criterio introdotto a seguitodella modifica dell’articolo 117, comma 1,Cost., in quanto non esistente nel periodo in cuila precedente giurisprudenza costituzionale si eraformata.IV. Il Testo Unico <strong>degli</strong> espropri (d.p.r. n.327/2001): semplificazione e razionalizzazionedel quadro normativo.La necessità di dar vita ad un Testo Unico inmateria di espropriazione si è manifestata a causa<strong>degli</strong> innumerevoli interventi legislativi che sisono susseguiti nel corso dell’ultimo secolo. A talproposito, merita attenzione l’articolo 58 del T.U.sugli espropri che, in un ottica di semplificazione,elenca tutti gli schemi normativi abrogati, procedendoin tal modo ad un vero e proprio svecchia-mento attraverso una reductio ad unitatem dei molteplicimodelli cristallizzati dalla normativa previgente.Sul punto, è intervenuta la stessa giurisprudenzaamministrativa che, nell’analizzare lecause che hanno portato ad una frammentazionedella disciplina in questione, ha sottolineato laspecificità della materia espropriativa affermandoche: “essa nel tempo ha assunto un caratterepeculiare rispetto ad altre che pure sono statedisciplinate da un notevolissimo numero di fontinormative” e aggiunge che: “la materia dell’espropriazione(anche in considerazione dei suoi strettirapporti con l’urbanistica) si caratterizza nonsolo per la notevole diversità delle fonti normative,ma soprattutto per l’affermarsi di una disciplinasostanzialmente episodica che ha dettato lepiù variegate regole sulle competenze, sui procedimentida seguire e sulla determinazione dell’importospettante quale indennità di espropriazione”(parere/relazione reso nell’adunanza generaledel 29 marzo 2001 n. 4/2001 in occasionedella redazione dello schema di T.U. in materia diespropriazione). Pertanto, l’emanazione del TestoUnico ha rappresentato una valida risposta all’esigenzadi razionalizzazione amministrativa perseguitadal legislatore.È proprio con l’articolo 7 della legge n. 50 del1999 (successivamente modificato dall’articolo 1della legge n. 340 del 2000) che è stato introdottoun modello di semplificazione basato sulla redazionedi Testi Unici misti, miranti a realizzare una“codificazione per settori” delle molteplici disposizionistratificatesi negli anni. Il suindicato articolo7, al secondo comma, statuiva che si dovesseprocedere al riordino “mediante l’emanazione diTesti Unici riguardanti materie e settori omogenei,comprendenti, in un unico contesto e con leopportune evidenziazioni, le disposizioni legislativee regolamentari”. Tuttavia, siffatti testi normativipresentano due aspetti in netto contrastotra di loro, uno positivo e l’altro negativo. Difatti,se da un lato sono caratterizzati da una forte originalità,dall’altro presentano un limite legatoessenzialmente alla carenza di una forza innovativasostanziale. A distanza di pochi anni, e precisamentecon la legge 29 luglio 2003 n. 229 disciplinante“interventi in materia di qualità della regolazione,riassetto normativo e codificazione”, èstato predisposto un riassetto attraverso la redazionedi veri e propri codici (da emanarsi permezzo di decreti legislativi, previo parere del<strong>Consiglio</strong> di Stato). In particolare, l’articolo 23,terzo comma, della legge 229/2003 ha dispostol’espressa abrogazione dell’articolo 7 della leggen. 50/1999, con il conseguente venir meno deiTesti Unici misti, in quanto ritenuti una inconsuetafonte di cognizione.V. I soggetti del rapporto espropriativo.L’articolo 3 del d.p.r. 327/2001 nel definire i cd.“protagonisti” del procedimento ablatorio sisostanzia in una disposizione che non desta particolarecomplessità, diversamente dalla legge del1865. Difatti, quest’ultima proponeva una precisazionedei ruoli più decisiva dal momento chepoteva considerarsi autorità competente all’espropriazionela sola figura del prefetto, mentreogni altro soggetto che voleva procedere ad unaespropriazione doveva qualificarsi come beneficiarioo come promotore. La legislazione attualmentevigente, invece, pone una differenziazionemeno netta tra le parti, atteso che l’autoritàespropriante può essere assunta da un qualsiasiente pubblico che realizzi l’opera e che nella figuradell’espropriante possono confluire sia quelladel beneficiario che del promotore. Fatta questapremessa, occorre procedere ad una definizioneapprofondita dei termini che si riferiscono allefigure soggettive attorno alle quali ruota l’iterespropriativo. La norma di cui all’articolo 3,comma primo, lettera a) definisce l’“espropriato”come il soggetto, pubblico o privato, titolare deldiritto oggetto di espropriazione; dunque, si ponein una situazione di subordinazione, essendo soggettoall’agire pubblico. Tuttavia, occorre tenereben distinta la figura dell’espropriato da quelladel proprietario, laddove il concetto di “espropriato”,quale titolare del diritto ablato, risultaessere molto più ampio. In merito, anche lo stessoTesto Unico non sempre rispetta tale distinguo,al punto che spesso parla di proprietarioanziché di espropriato specialmente con riguardoalla fase che precede l’emanazione del decreto diesproprio. Possiamo trovare una chiara confermadi ciò in alcune disposizioni normative contenutenel Testo Unico. A titolo esemplificativo, si pensiall’articolo 22, laddove quest’ultimo al primocomma stabilisce che il proprietario debba essereinvitato ad esprimersi sull’indennità; diversamente,il comma terzo dello stesso articolo prevedeche sia l’espropriato a ricevere la comunicazioneprevista dal primo comma. Alla lettera b) dell’articolo3, invece, è delineata la figura dell’“autoritàespropriante”, con la quale si suole intendere l’autoritàamministrativa cui è attribuito il potere diespropriare nonché la cura del relativo procedimentoespropriativo, ovvero il soggetto privato alquale sia stato attribuito tale potere ex lege.Invero, tale definizione va necessariamente collegatacon il comma 1 dell’articolo 6, laddove quest’ultimorecita testualmente: “l’autorità competentealla realizzazione di un’opera pubblica o dipubblica utilità è anche competente all’emanazione<strong>degli</strong> atti del procedimento espropriativo chesi rende necessario”. La medesima norma, poi,


30dottrina agosto 201331dottrina agosto 2013prosegue disponendo che: “il potere di espropriopuò essere delegato dall’autorità pubblica che neè titolare ogni volta che l’opera pubblica o di pubblicautilità debba essere realizzata da un concessionarioo da un contraente generale” (commaottavo, articolo 6). L’intento più significativo è l’eliminazionedella frammentazione di competenzache si aveva in passato, laddove la normativa previgenteprevedeva l’intervento del prefetto al finedi emanare il decreto di esproprio, dell’autoritàgiudiziaria per le stime peritali e per ordinare ilpagamento dell’indennità, oltre che delle amministrazionipubbliche competenti a realizzare leopere. In tal modo, il legislatore ha inteso procederead una concentrazione dell’iter procedimentalein capo all’autorità competente al compimentodell’opera. Tuttavia, non è esclusa la possibilitàche l’opera venga eseguita da un concessionarioappositamente delegato, che assumerà intal caso le vesti di “autorità espropriante”. Insostanza, la nozione di autorità esproprianteappare, oggi, molto più ampia, laddove si qualificanon solo come organo deputato all’emissionedel decreto di esproprio bensì anche come soggettocompetente ad eseguire il procedimento diespropriazione. Proseguendo nell’analisi dell’articolo3, vengono, infine, delineate le figure delbeneficiario nonché del promotore dell’espropriazione,entrambe disciplinate rispettivamentedalla lettera c) e d) del primo comma. Per “beneficiario”s’intende il “soggetto, pubblico o privato,in cui favore è emesso il decreto di esproprio”. Inaltri termini, è colui che potrà realizzare l’operapubblica o di pubblica utilità per effetto dell’espropriazione,divenendo così il nuovo proprietariodel bene ablato. Diversamente, il “promotore”è qualificabile come il: “soggetto, pubblico o privato,che chiede l’espropriazione”. Di certo, lasuindicata figura non va confusa con quella del“promotore di lavori pubblici o di pubblica utilità”ex articolo 37 bis della legge quadro n.109/1994 recante disposizioni in materia di lavoripubblici, atteso che quest’ultimo può non essereaggiudicatario dei lavori proposti ed in tale ipotesinon potrà essere promotore delle corrispondentiespropriazioni. Come si evince chiaramentedal dato normativo, tali soggetti possono ancheessere soggetti privati. A tal proposito, possonoqualificarsi come soggetti privati quelli dellesocietà di trasformazione urbana di cui all’articolo120, comma secondo del d.lgs. n. 267/2000,modificato dall’articolo 44, comma 1, lettera a) eb) della legge n. 166/2002. Inoltre, non di radopuò verificarsi una perfetta coincidenza tra promotore,beneficiario ed autorità espropriante;anzi, con il Testo Unico, siffatta concordanza èdivenuta quasi una regola soprattutto nei casi incui l’espropriazione sia strumentale alla realizzazionedi una o più opere pubbliche da parte dellamedesima autorità espropriante. Naturalmente,possono verificarsi anche ipotesi in cui il suindicatoallineamento di posizioni non si concretizza;ad esempio, si pensi al caso di una società calcistica,proprietaria di uno stadio, che richieda alComune di avviare la procedura di esproprio conriferimento ad un’area confinante con lo stadio,col fine di realizzare un parcheggio pubblico. Insiffatta situazione, la società calcistica si qualificacome promotore della procedura espropriativa,mentre l’ente comunale risulta essere il beneficiario,atteso che, grazie alla realizzazione dell’operapubblica, diverrebbe il proprietario dell’area parcheggiabile.VI. L’ambito oggettivo dell’espropriazione:opera pubblica o di pubblica utilità.Originariamente, l’espropriazione era limitata ai“beni immobili” e relativi diritti (articolo 1, leggen. 2359 del 1865).Oggi, invece, a seguito di un aumento di attivitàpubbliche che hanno richiesto la disponibilità dibeni di ogni natura, è ammissibile anche l’espropriazionedi cose mobili e di diritti che nonriguardano beni immobili. Pertanto, possonoessere oggetto di procedura espropriativa diritti ebeni di diversa natura. A tal proposito, si pensi atutte quelle leggi speciali che consentono l’espropriazioneanche di taluni diritti e beni di naturamobiliare, e più precisamente dei brevetti diinvenzione, dei diritti d’autore e <strong>degli</strong> oggetti dipregio artistico. In ogni caso, il T.U. non si occupadi molte di tali espropriazioni, atteso che l’articolo1, comma primo, disciplina espressamente:“l’espropriazione, anche a favore di privati, deibeni immobili o di diritti relativi ad immobili perl’esecuzione di opere pubbliche o di pubblica utilità”.Seppur soggette allo stesso iter procedimentale,la distinzione tra opera pubblica e di pubblicautilità è palesata dal Testo Unico, anche se talefonte normativa non offre alcuna definizione dettagliatadelle due nozioni. Per la definizione diopera pubblica può risultare utile quella offertadalla legge 11 febbraio 1994, n. 109, meglio conosciutaquale legge quadro sui lavori pubblici.Difatti, l’articolo 2 della suindicata norma definisceopera pubblica ogni “opera eseguita dalloStato o da altro ente pubblico per il soddisfacimentodi un interesse pubblico”. Diversamente, ladefinizione di “pubblica utilità” richiama un concettomolto più vasto e di difficile interpretazione.Come sostenuto anche dalla dottrina, la qualificazionedi opera di pubblica utilità è fornitasulla base di un criterio finalistico: un’opera diproprietà dei privati, realizzata grazie al procedi-mento espropriativo, può essere di pubblica utilità.Allo stesso modo può considerarsi di pubblicautilità un’opera di proprietà di un ente pubblico.Dunque, nell’ipotesi di opera di pubblica utilitàquest’ultima può anche soddisfare un interesse dinatura privata; al contrario, l’opera pubblicatende al solo soddisfacimento dell’interesse collettivo.Tuttavia, il Testo Unico al secondocomma dell’articolo 1 estende l’ambito di applicazionedell’opera pubblica o di pubblica utilitàanche: “alla realizzazione <strong>degli</strong> interventi necessariper l’utilizzazione da parte della collettività dibeni o di terreni, o di un loro insieme, di cui nonè prevista la materiale modificazione o trasformazione”.Quest’ultima tipologia di espropriazioneha il fine di tutelare e valorizzare determinati benie per tale ragione non sono indispensabili le operenecessarie al godimento della collettività o lamateriale modificazione o trasformazione delbene medesimo. In tale categoria vi rientra senzadubbio l’espropriazione per ragioni di tutela delpatrimonio storico-artistico regolamentata siadall’articolo 52 del Testo Unico sia dal Codice deibeni culturali. In ultima analisi, merita particolareattenzione l’ultimo comma dell’articolo 1, inquanto introduce una clausola di salvaguardia, invirtù della quale le disposizioni del Testo Unico“non possono essere oggetto di deroga, modificao abrogazione se non per dichiarazione espressa,con specifico riferimento a singole disposizioni”.La ratio di tale clausola risiede nella volontà di rafforzareil dettato normativo impedendo interventiche possano minarne l’unitarietà e l’organicità.Tale finalità emerge anche dalla giurisprudenzadel <strong>Consiglio</strong> di Stato, il quale ha osservato che latecnica di predisporre una clausola di salvaguardia“è stata già sperimentata in settori ove forte èl’esigenza di dar vita ad un corpus unitario dinorme non suscettibile di interventi manipolativinon espliciti idonei ad ingenerare dubbi ermeneuticicirca l’effettivo assetto normativo” (cfr.Cons. Stato, ad. gen., 8 giugno 2000, n. 87).VII. L’espropriazione dei beni appartenenti aldemanio pubblico.Sul punto, merita attenzione la disposizione normativadi cui all’articolo 4, comma primo, delT.U., il quale così recita: “i beni appartenenti aldemanio pubblico non possono essere espropriatifino a quando non ne viene pronunciata la sdemanializzazione”.Tale principio trova fondamentonella inalienabilità e indisponibilità dei benidemaniali, consacrato dall’articolo 823 delCodice civile, secondo il quale i beni che fannoparte del demanio pubblico sono inalienabili. Lamotivazione risiede nel fatto che tali beni sonogià diretti a soddisfare in via permanente un interessepubblico, ragion per cui la loro destinazionead un uso diverso è possibile solo quando vengameno la loro assegnazione in virtù di uno specificodecreto di sdemanializzazione. È necessario,dunque, procedere ad un giudizio comparativofra l’interesse pubblico che si intende perseguireattraverso l’opera dichiarata di pubblica utilità el’interesse pubblico cui si provvede mediante l’utilizzodel bene demaniale. È solo al termine ditale confronto che, in presenza dei presupposti, siprocede alla cd. sclassificazione e all’espropriazione.Come è chiaramente desumibile dall’articolo829, primo comma, del Codice civile, il decreto disdemanializzazione ha natura puramente dichiarativa;difatti, tale norma statuisce testualmente:“il passaggio dei beni dal demanio pubblico alpatrimonio dello Stato deve essere dichiarato dall’autoritàamministrativa. Dell’atto deve esseredato annunzio nella Gazzetta Ufficiale dellaRepubblica”. Pertanto, in caso di declassificazione,il bene demaniale non avrà una destinazionead uso pubblico bensì esso entrerà a far parte delcd. patrimonio disponibile dello Stato e sarà soggettoalle regole di diritto privato.(Segue) Gli usi civici.Gli usi civici noti anche sotto il nome di “servitùciviche” o “ademprivi”, sono diritti reali di godimentospettanti ad una collettività organizzata estanziata su un dato territorio, le cui antiche originirisiedono nella necessità di assicurare i mezzidi sostentamento alla famiglia, traendo utilità eprofitto dalla terra, dai boschi e dalle acque. Intempi più recenti, gli usi civici hanno assunto unsignificato più ampio di natura culturale e paesaggistico,come si evince dall’articolo 142,comma primo, lettera h), del d.lgs. n. 42/2004,recante il Codice dei beni culturali e del paesaggio.Secondo la dottrina maggioritaria, è da considerarsilegittima l’espropriazione <strong>degli</strong> usi civicipurché risulti prevalente l’interesse generalerispetto all’interesse della collettività ad usufruiredell’uso civico stesso. Invero, la ricostruzione piùaccreditata sostiene che solo in seguito alla sdemanializzazioneè possibile l’estinzione dell’usocivico. Ma in merito alla questione ancora oggisussiste un contrasto di ordine giurisprudenziale.Difatti, secondo un primo filone la sdemanializzazioneprocurerebbe un irreversibile mutamentodello stato dei luoghi con conseguente impossibilitàdell’esercizio del diritto demaniale collettivo.Differente orientamento, invece, sostiene che l’espropriazioneper pubblica utilità di un’areademaniale soggetta ad uso civico non faccia venirmeno la demanialità e, al contempo, afferma chesolo una trasformazione del bene possa determinarel’estinzione del diritto di uso civico.


32dottrina agosto 201333dottrina agosto 2013VIII. I beni patrimoniali indisponibili.I beni appartenenti al patrimonio indisponibiledello Stato (ex articolo 826 c.c.) e <strong>degli</strong> altri entipubblici possono essere espropriati per conseguireun interesse pubblico di rilievo superiore aquello soddisfatto con la precedente destinazione(articolo 4, secondo comma, Testo Unico).Attualmente, grazie all’introduzione dell’articolo828 del c.c., la regola della inalienabilità è stataabrogata e sostituita con la regola dell’indisponibilità,ragion per cui tali beni possono essereoggetto di espropriazione purché l’alienazionenon comporti la loro sottrazione alla destinazionepubblica. Da qui, si spiega la disposizionegenerale del Testo Unico la quale, in perfetta sintoniacon la giurisprudenza amministrativaormai consolidata, ne ammette l’espropriazione acondizione che l’interesse pubblico da perseguiresia superiore a quello precedentemente soddisfatto(Cons. Stato, sez. IV, 29 aprile 1977, n. 439;Cons. Stato, ad. plen., 27 maggio 1983, n. 13).IX. Beni appartenenti alla Santa Sede e gli edificiaperti al culto.Il terzo comma dell’articolo 4 detta una disciplinadi particolare garanzia per l’espropriazione dideterminati beni appartenenti alla Santa Sede.Più specificatamente, l’articolo 4, terzo comma,Testo Unico, stabilisce che i beni descritti neiPatti Lateranensi non possono essere espropriatise non vi è il previo accordo con la Santa Sede. Sitratta <strong>degli</strong> immobili descritti dagli articoli 1, 14,15 e 16 della legge 27 maggio 1929, n. 810 intitolata:“Esecuzione del trattato, dei quattro allegatiannessi e del Concordato, sottoscritti in Roma,fra la Santa Sede e l’Italia, l’11 febbraio 1929). Perquanto concerne, invece, gli edifici aperti al culto(chiese) o gli edifici di altre confessioni religiosediverse dalla religione cattolica non può procedersiall’espropriazione se non per gravi ragioni eprevio accordo con la confessione religiosa (quartocomma, articolo 4). Infine, trovano applicazionele regole dettate dal Diritto internazionalegeneralmente riconosciuto e da trattati internazionalicui l’Italia aderisce nelle ipotesi in cui sitratti di espropriazione di sedi diplomatiche.X. L’espropriazione per pubblica utilità: le fasiprocedimentali.Il procedimento espropriativo si sviluppa attraversofasi successive e/o procedimentali che devononecessariamente precedere l’emanazione dell’attofinale di espropriazione, il cd. decreto diesproprio.Più precisamente, l’iter si articola in una sequelaprocedimentale rigidamente scandita, disciplinatadall’articolo 8 T.U.:1) la sottoposizione del bene al vincolo preordinatoall’esproprio. Trattasi di una fase tipicamenteurbanistica, in cui l’opera da realizzare deveessere prevista nello strumento urbanistico generaleo in un atto di natura ed efficacia equivalente,e sul bene oggetto dell’espropriazione deveessere apposto il vincolo preordinato all’esproprio.Quindi, è in tale fase che si individuano learee occorrenti per la realizzazione dell’operapubblica o di pubblica utilità;2) il secondo passaggio è rappresentato dalladichiarazione di pubblica utilità. Invero, oltreall’ipotesi di approvazione del progetto definitivodell’opera, la dichiarazione di pubblica utilità siintende disposta anche nel caso in cui vengonoapprovati una serie di atti definiti dall’articolo 12,comma primo, lettera a), del T.U.Più precisamente, si tratta: del piano particolareggiato;del piano di lottizzazione; del piano direcupero; del piano di ricostruzione; del pianodelle aree da destinare agli insediamenti produttivie del piano di zona.Come evidenziato anche dalla giurisprudenzaamministrativa, non si tratta di un elenco tassativo,essendo essa una elencazione meramenteesemplificativa (si veda Cons. Stato, ad. gen., 29marzo 2001). Ciò si evince anche dalla lettera b)dell’articolo 12, laddove tale disposizione stabilisceche: “la dichiarazione di pubblica utilità siintende disposta anche quando equivale a dichiarazionedi pubblica utilità l’approvazione di unostrumento urbanistico, la definizione di una conferenzadei servizi o il perfezionamento di unaccordo di programma, ovvero il rilascio di unaconcessione, di un’autorizzazione o di un attoavente effetti equivalenti”;3) la determinazione, anche se in via provvisoria,dell’indennità di esproprio;4) il decreto di esproprio. Quest’ultimo costituiscel’atto conclusivo del procedimento espropriativo,la cui adozione rientra nelle competenze edattribuzioni del dirigente dell’ufficio espropriazioni.In ogni caso, l’articolo 23 T.U. prevede che:“il decreto di esproprio deve essere emanato entroil termine di scadenza dell’efficacia della dichiarazionedi pubblica utilità, pena la sua illegittimità”.Per quanto riguarda il contenuto del decretodi esproprio, lo stesso articolo 23 richiede che“debba riportare gli estremi <strong>degli</strong> atti da cui èsorto il vincolo preordinato all’esproprio e delprovvedimento che ha approvato il progetto dell’opera”,nonché quale sia “l’indennità determinatain via provvisoria o urgente”, precisando “seessa sia stata accettata dal proprietario o successivamentecorrisposta, ovvero se essa sia stata depositatapresso la Cassa depositi e prestiti”. In ognicaso, il decreto di esproprio non è di per sé suffi-ciente per la produzione <strong>degli</strong> effetti ablatori, maacquista efficacia solo a seguito dell’immissionein possesso. A tal proposito, l’articolo 23, letteraf) precisa che: “il decreto di esproprio dispone ilpassaggio del diritto di proprietà, o del dirittooggetto dell’espropriazione, sotto la condizionesospensiva che il medesimo decreto sia successivamentenotificato ed eseguito”. Dunque, dopo lasua adozione, il decreto di esproprio deve esseretrascritto presso l’ufficio dei registri immobili(comma 2, articolo 23 T.U.) e va notificato al proprietarionelle forme <strong>degli</strong> atti processuali civili,con un avviso contenente l’indicazione del luogo,del giorno e dell’ora in cui è prevista l’esecuzionedel decreto di espropriazione, almeno sette giorniprima di essa (lettera g), comma primo, articolo23 T.U.). Successivamente, occorre procedereall’esecuzione del decreto di esproprio, che avvienemediante l’immissione in possesso, con laredazione del relativo verbale di cui all’articolo24. Pertanto, la fase dell’immissione in possessova considerata come un elemento costitutivo dell’efficaciadel decreto di esproprio. L’immissionein possesso deve avvenire entro il termine perentoriodi due anni dall’emanazione del decreto diesproprio (articolo 24, comma primo, T.U.). Lamancata esecuzione del decreto di esproprio neltermine dei due anni determina effetti caducatori;tuttavia, ciò non impedisce una reiterazionedella procedura per la dichiarazione di pubblicautilità. Difatti, il comma 7, dell’articolo 24 stabilisceche: “Entro i successivi tre anni può essereemanato un ulteriore atto che comporta ladichiarazione di pubblica utilità”.XI. Le fasi procedimentali: sub-procedimentio procedimenti autonomi?Questione ampiamente dibattuta in giurisprudenzariguarda la natura delle fasi procedimentalidell’espropriazione. Difatti, si discute se essecostituiscano dei sub-procedimenti oppure veri epropri procedimenti autonomi. Sul punto è intervenutogià da tempo il <strong>Consiglio</strong> di Stato che, conuna pronuncia risolutiva, ha evidenziato che: “ladichiarazione di pubblica utilità ha l’effetto disottoporre il bene al regime di espropriabilità,determinando così un affievolimento del dirittodi proprietà e ponendosi come presupposto dell’espropriazione.In tal modo essa incide direttamentesulla sfera giuridica del proprietario, èimmediatamente lesiva e, pertanto, viene ritenutaautonomamente impugnabile” (<strong>Consiglio</strong> diStato, ad. plen., 15 settembre 1999, n. 14).Dunque, secondo tale orientamento, la dichiarazionedi pubblica utilità è un procedimento autonomoche si conclude con un atto di natura provvedimentale,immediatamente impugnabile.Anche in tempi più recenti è stato ribadito talefilone interpretativo, così come dimostrato dallarelazione del <strong>Consiglio</strong> di Stato (ad. gen. del 29marzo 2001, parere n. 4/2001) sullo schema delT.U. in materia di espropriazione. Difatti, la relazioneparla espressamente di procedimenti autonomi,tra loro collegati e finalizzati all’espropriazione.Valeria TevereHIl regime autorizzatorio dei centriscommesse: tra libertàed esigenze imperative.In questi ultimi tempi si sta assistendo a una crescitaesponenziale del settore ludico, dalle scommessesportive on line ai videopokers e slot machines,al gioco d’azzardo 1 . La diffusione vertiginosa diquesto fenomeno sociale presenta ripercussionianche sul diritto. Del resto, il diritto è lo specchiodella società. Il gioco è stato oggetto di analisi daparte della Commissione parlamentare d’inchiestasulla mafia, considerati i profili di ordine pubblicosottesi al gioco illecito 2 . È stata, inoltre, inserita,nella recente normativa a tutela della salute,il cd. decreto Balduzzi (d.l. n. 158/2012, convertitonella legge 8 novembre 2012 n. 189), una disposizionead hoc che riconosce la “malattia dagioco” (o ludopatia). Con particolare riguardoalla specifica materia del diritto amministrativo,una questione di notevole interesse concerne ilregime autorizzatorio delle attività di scommesse,ai sensi dell’articolo 88 del R.D. 18.06.1931 n. 773(cd. T.U.L.P.S.). La problematica è emersa soprattuttoper le fattispecie relative alle attività diintermediazione on line di gestori di internet point,che operano come centri di raccolta scommesseper società allibratrici aventi sede all’estero esprovviste della concessione statale delleAAMMS. In subiecta materia, si sta affermando unricco contenzioso innanzi ai TribunaliAmministrativi Regionali. Molti gestori, infatti,hanno proposto ricorso impugnando i dinieghidelle competenti Questure di autorizzazione, exarticolo 88 T.U.L.P.S., all’esercizio delle attività discommesse, per conto di bookmakers stranieri. Laquestione non è di poco conto in quanto coinvolgepiù interessi pubblici. Da un lato, sussistonoesigenze imperative di sicurezza e ordine pubblico,dall’altro s’invocano la libertà di iniziativa economica,sancita all’articolo 41 Cost., e le libertàfondamentali del sistema unionistico, ai sensi<strong>degli</strong> articoli 47-48 TCE (ora articoli 49-56TFUE). All’interprete, dunque, è rimesso l’arduocompito di statuire se sussiste un’incompatibilità


34dottrina agosto 201335dottrina agosto 2013della normativa statale autorizzatoria con i principieuropei e le libertà fondamentali del mercatocomune europeo 3 . Orbene, per comprendere benela quaestio iuris, occorre, in primis, considerare ildato normativo. L’articolo 88 del T.U.L.P.S. recitache “La licenza per l’esercizio delle scommessepuò essere concessa esclusivamente a soggetticoncessionari o autorizzati da parte di Ministeri odi altri enti ai quali la legge riserva la facoltà diorganizzazione e gestione delle scommesse, nonchéa soggetti incaricati dal concessionario o daltitolare di autorizzazione in forza della stessaconcessione o autorizzazione”. In sostanza, illegislatore nazionale ha previsto un duplice sistemaprovvedimentale: da un lato, vi deve essere laconcessione dei Monopoli di Stato, concessa aseguito di procedura di gara, dall’altro occorrel’autorizzazione all’esercizio dell’attività da partedell’Autorità di pubblica sicurezza competente.Tuttavia, quest’ultima dovrà essere negata semanca il provvedimento presupposto della concessione4 . Per esigenze di completezza, è da soggiungereche il legislatore italiano ha previstoanche la fattispecie incriminatrice della raccoltaabusiva di scommesse, in assenza dell’autorizzazionedell’articolo 88 T.U.L.P.S., ai sensi dell’articolo4 della legge 13 dicembre 1989 n. 401.Sull’articolo 88 del T.U.L.P.S., la giurisprudenzadi legittimità ha rilevato che la disposizione de quaè posta a tutela dell’ordine pubblico al fine dicontrastare l’infiltrazione criminale nel settoredei giochi e delle scommesse (cfr. Cass., SS.UU.Pen., sentenza 26 aprile 2004, n. 23271).La Suprema Corte ha altresì evidenziato che “ladisposizione dell’articolo 88 T.U.L.P.S., si inseriscein un sistema integrato di controllo preventivoe di vigilanza continua, idoneo a soddisfarequell’imperativa esigenza di ordine pubblico chetende a contrastare le possibili degenerazioni criminalidel settore, quali le frodi, il riciclaggio deldenaro sporco, l’usura e simili” (Cass. Pen., sez.III, 16 maggio 2012, n. 18767). La legislazione italianain materia è, quindi, uno strumento di“canalizzazione” in ambiti controllabili del fenomenodelle lotterie e delle scommesse, per finipreventivi e di contrasto alla criminalità. Fin quila ratio della normativa interna autorizzatoria esanzionatoria. Resta ora da sciogliere il “nodogordiano” della sua compatibilità con la normativaeuropea e le libertà fondamentali <strong>degli</strong> operatorieconomici, soprattutto con specifico riguardoagli allibratori stranieri. Al riguardo, la Cortedi Giustizia ha elaborato dei principi chiarificatori.A partire dal caso Gambellli (Corte di Giust.,sentenza 6 novembre 2003-C-243/01) la giurisprudenzacomunitaria ha evidenziato che nonosta con il diritto comunitario la normativa internaautorizzatoria in quanto è giustificata da esigenzeimperative e può rientrare espressamentenelle misure derogatorie <strong>degli</strong> Stati membri exarticoli 45 e 46 TCE. A ben vedere, inoltre, sulpiano interno, anche la stessa Costituzione prevede,come limite alla libertà di iniziativa economical’utilità sociale (articolo 41 Cost). Ma vi è dipiù. Il giudice comunitario, in quella sede, nell’otticadi “un dialogo cooperativo” tra le Corti, hadettato anche i parametri, per il giudice di rinviodello Stato membro, al fine di valutare, nel casoconcreto, se la specifica misura derogatoria violi omeno il diritto dell’UE. A tal riguardo, la misurade qua deve essere idonea a garantire il conseguimentodello scopo perseguito e non deve andareoltre quanto è necessario per il raggiungimentodel fine (principio di proporzionalità). Essa, inoltre,non deve essere applicata in modo indiscriminato5 (par. 66 e ss). Successivamente, sul medesimocrinale, sono intervenute la decisione relativaal caso Placanica (Corte di Giust., sentenza 6marzo 2007 nelle cause riunite C-338/04, C-359/04, C-360/04) e il decisum sulla LigaPortugesa (Corte di Giust., Grande Sez., 8 settembre2009, C-42/07). Di recente, poi, è da rilevare lasentenza della giurisprudenza europea sul casoCosta Cifone (Corte di Giust., IV sez., 16 febbraio2012, nelle cause riunite C-72/10 e C-77/10). Inquest’ultima pronuncia della Corte di Giustiziac’è un quid novi. La fattispecie concerneva il casodi un bookmaker britannico, la StanleyInternational Betting Ltd, una società quotata,autorizzata a raccogliere scommesse nel RegnoUnito e che opera ormai in Italia con più di 200agenzie intermediarie con veste di CTD. Le suddetteagenzie sono locali aperti al pubblico neiquali gli scommettitori concludono scommessesportive in via telematica, accedendo al serverdella Stanley, ubicato nel Regno Unito, pagandole puntate e riscuotendo le vincite. Orbene i gestoriCosta e Cifone si erano visti negati l’autorizzazioneex articolo 88 T.U.L.P.S., per la mancanza,da parte della Stanley, della concessione AAMM.Il giudice nazionale propose allora rinvio pregiudizialeex articolo 267 TFUE. Nella fattispecieconcreta la Corte di Giustizia ha ritenuto che “neiconfronti della società di diritto inglese StanleyInternational Betting Ltd e dei centri di trasmissionedati che operano in Italia su suo incariconon sono applicabili le sanzioni penali previstedall’articolo 4 della legge 13 dicembre 1989, n.401 e dall’articolo 88 T.U.L.P.S., dal momento chesi tratta di società regolarmente quotata nei mercatiregolamentari e dotata delle prescritte autorizzazioninel paese di origine, che era stata illegittimamenteesclusa dalla gara per l’assegnazionedelle concessioni nel 1999 e non era statamessa in condizione di partecipare alla gara del2006, con la conseguenza che la normativa italianache esclude la Stanley dalla possibilità di svolgerein Italia la propria attività costituisce, neiconfronti di detta società e di altre che si trovanonella identica situazione, violazione <strong>degli</strong> articoli43 e 49 del Trattato”. Tuttavia, si è trattato di uncaso specifico in cui la società allibratrice non erastata messa in condizione di ottenere la concessionein una gara indetta dall’Amministrazioneitaliana. In tal caso la normativa italiana applicatacontrasterebbe con il diritto comunitario. Percontro, qualora il soggetto non autorizzato non sitrovi in questa peculiare condizione e la PubblicaAmministrazione abbia operato in modo legittimonella procedura di gara, la misura derogatoriastatale non sarà in contrasto con i principi comunitari.Anche la giurisprudenza amministrativa èstata - e la questione non sembra ancora definitatout court - investita della risoluzione del problema6 . In particolare si ravvisa una difformità diorientamento tra i Tribunali AmministrativiRegionali e il <strong>Consiglio</strong> di Stato. Ad avviso deigiudici di prime cure, la normativa interna contrasterebbecon il principio della home country control,in virtù del quale il soggetto che ha ottenutola concessione nel paese di origine può legittimamenteoperare nello spazio economico europeo inbase ad esso o stabilirsi in qualsiasi Stato membro.Il suddetto principio è invero espressione delprincipio del mutuo riconoscimento che insostanza, è un corollario del principio di lealecomparazione tra gli Stati (ex multis, T.A.R.Lombardia, n. 321/2011). Si ravviserebbe altresìuna disparità di trattamento tra gli operatori economici.È stato, inoltre, ritenuto che gli articolo88 T.U.L.P.S., e articolo 4, legge n. 401/89 contrastanocon le libertà comunitarie di stabilimento edi prestazione di servizi, in quanto, generandouna disparità di trattamento, impediscono a coloroche svolgono l’attività di gestione delle scommesse,sulla base di una concessione rilasciata dauno Stato dell’Unione Europea di gestire scommessein Italia, perché non muniti del titolo rilasciatodallo Stato italiano. Ciò precluderebbe lapossibilità di richiedere e ottenere la conseguentelicenza di polizia anche ove sussista il possesso ditutti i requisiti prescritti per conseguire dettaautorizzazione, sia da parte della Società di altropaese, sia da parte di soggetti intermediari (cfr.T.A.R. Abruzzo, 26 luglio 2005, n. 661).Il Supremo Consesso, per contro, al momento,ritiene la normativa interna autorizzatoria legittima,in ossequio ai principi enucleati dalla Cortedi Giustizia (ex plurimis, Cons. Stato, sez. IV, 29settembre 2005, n. 5203; sez. VI, 24 ottobre 2005,n. 5898; sez. VI, 14 luglio 2006, n. 5644; sez. VI,udienza del 13 febbraio 2007).Alla luce di quanto esposto, si può, quindi, concludereche la problematica del regime autorizzatoriodei centri scommesse risulta aperta, nonessendoci ancora una soluzione definitiva.In subiecta materia, un ruolo decisivo è stato svoltodalla giurisprudenza europea che ha elaborato deiprincipi fondamentali per l’interprete. Tuttaviasarebbe altresì auspicabile anche una modificadella disciplina interna autorizzatoria. A talriguardo, oggetto di interesse è l’esame parlamentaredel d.d.l. 2284 7 , per la modifica dell’articolo88 T.U.L.P.S. che si propone di adattare la normativaalle nuove esigenze concrete con la previsionedi una regolamentazione espressa delle nuoveattività di scommesse <strong>degli</strong> intermediari perconto di società straniere. Si resta inoltre in attesaanche di futuri sviluppi della giurisprudenzaeuropea e amministrativa sulla questione............................................1 Secondo i dati statistici delle AAMS, la raccolta dei giochi in Italia,tra il 2003 ed il 2011, è cresciuta vertiginosamente. Con riferimentosolo al comparto dei giochi pubblici e delle scommesse sportive, c’èstato un aumento dei volumi di raccolta ad un tasso medio annuodel 20,9 %, tra il 2003 ed il 2009 (da 15,1 a 54, 3 miliardi di euro) edel 13% nel 2010, raggiungendo la cifra di 61,433 miliardi di euro,con una proiezione per il 2011 fino a 70,485 miliardi di euro (cfr.nota AAMS del 3.06.2011-doc. 599.1).2 La Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno dellamafia, nel corso della XVI legislatura, ha istituito il comitato VI proprioal fine di analizzare le varie forme di riciclaggio di denaro. Ilsuddetto comitato ha individuato anche il riciclaggio connesso algioco lecito ed illecito (cfr. Relazione comitato VI, doc. XXIII, n. 3,approvata all’unanimità dalla Commissione il 17.11.2010).3 La manualistica di diritto dell’Unione Europea ha tradizionalmenteindividuato quattro libertà fondamentali nel mercato comune: lalibera circolazione delle persone, la libertà di stabilimento, la liberaprestazione di servizi e la libera circolazione dei capitali (cfr. G.Tesauro, Diritto comunitario, Padova, 2003).4 Invero, anche negli altri ordinamenti europei vige un sistema autorizzatoriosimile, giustificato da finalità di protezione e tutela dell’ordinepubblico. Ad esempio, in base al sistema portoghese, i giochid’azzardo, sotto forma di lotteria, di giochi del lotto e di scommessesportive, sono conosciuti con la denominazione “jogossociais” ed il loro esercizio è attribuito alla Santa Casa. Ogni giocod’azzardo è disciplinato con regolamento governativo. La SantaCasa è una “persona giuridica di utilità amministrativa” alla quale èattribuito un diritto esclusivo di gestione dei giochi sociali.5 Nel rispetto del principio di non discriminazione elaborato dallasummenzionata giurisprudenza comunitaria, il legislatore italiano,con l’articolo 38 del d.l. 4 luglio 2006 n. 223, convertito nella legge4 agosto 2006 n. 248 (cd. decreto Bersani) ha eliminato il limite dell’esclusionedelle società straniere di capitali dalle gare per il conseguimentodelle concessioni.6 È da rilevare che il legislatore, con il secondo correttivo al codice delprocesso amministrativo (d.l. 2 marzo 2012 n.16, conv. In legge 26aprile 2012 n. 44), ha ampliato i casi, ex articolo 135 del d.lgs. n.104/2010, di competenza funzionale inderogabile del T.A.R. Lazioincludendovi anche, all’articolo q- quater), le controversie sui provvedimentiemessi dall’Amministrazione autonoma dei Monopoli diStato in materia dei giochi pubblici con vincita in denaro.7 Il d.d.l. 2284 è stato presentato, su iniziativa del parlamentare L. LiGotti, nel corso della XVI legislatura, il 6 dicembre 2010 ed è all’esamedelle Commissioni riunite I (Affari Costituzionali) e VI(Finanze e Tesoro) in sede referente. Il d.d.l. aggiungerebbe all’articolo88 T.U.L.P.S. i commi 1 bis, ter e quater che così recitano: “1 bis.La licenza può essere concessa altresì ai soggetti di cui al comma 1


36dottrina agosto 201337dottrina agosto 2013che gestiscono, per conto di terzi, con qualunque mezzo, anche telematico,concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. La disposizionesi applica agli intermediari di società anonime ovvero consede ubicata all’estero. 1 ter. L’intermediario operante sul territorionazionale produce all’organo di pubblica sicurezza la documentazioneidonea la cui individuazione è rimessa ad un regolamentointerministeriale da emanare entro 20 giorni dalla data di entrata invigore della presente disposizione, su proposta del Ministro dell’interno,di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze e delMinistro della giustizia. 1 quater. La norma di cui al comma 1 bis siapplica altresì alle società con sede all’estero operanti sul territorioitaliano senza intermediario”.Il ritorno della mediazione.Michele TipaldiHDopo la pronuncia adottata dalla CorteCostituzionale (sentenza 6 dicembre 2012, n.272), che aveva bocciato la mediazione per il viziodi eccesso di delega, si aggiunge un ulteriore tasselloal mosaico di tale istituto 1 .Nella seduta del <strong>Consiglio</strong> dei Ministri del 15 giugno2013 è stato varato il primo importante pacchettoper il rilancio dell’economia del GovernoLetta, il decreto del “fare”. Tale denominazione èdovuta alla volontà dell’esecutivo di puntare l’attenzionesugli aspetti concreti della manovra(non vi sono provvedimenti radicali ma tanti piccoliinterventi che dovrebbero favorire la crescita,come, appunto, il ripristino della mediazione).Il decreto summenzionato, recante Disposizioniurgenti per il rilancio dell’economia, è stato pubblicatoin Gazzetta Ufficiale (d.l. 21 giugno 2013n. 69, in G.U., n. 144 del 21 giugno 2013, Suppl.ord. 50) e le nuove disposizioni saranno operativesolo dopo che siano trascorsi 30 giorni dall’entratain vigore della legge di conversione (al massimo,entro il 20 settembre). Questa importanteiniziativa legislativa è in linea con la raccomandazioneeuropea del <strong>Consiglio</strong> che si basa sul“Documento di Lavoro dei Servizi dellaCommissione Valutazione del programma nazionaledi riforma e del programma di stabilità 2013dell’Italia”. Lo stato della giustizia civile costituisceuno dei fattori che caratterizza negativamentela società italiana: attraverso il ritorno dellamediazione, si spera che molte controversie nonapprodino in tribunale, evitando così di appesantireancor più la macchina giudiziaria. Nelmondo, siamo al 158° posto, a causa dei tempilunghi, nell’indice di efficienza di recupero delcredito e 1.210 giorni è la durata media per ilrecupero crediti dei procedimenti civili.Preoccupante è, inoltre, il numero di condanneriportate dallo Stato italiano per aver violato iltermine della ragionevole durata dei processi.Per far fronte a queste criticità, quindi, il decretoin esame contiene una serie di misure volte a: incideresui tempi della giustizia civile e migliorarnel’efficienza. La mediazione torna a debuttare,guardando, da un lato, indietro, mutuando, infatti,dal passato il carattere dell’obbligatorietà, ma,dall’altro, senza dimenticare di guardare al futuro,circoscrivendo, ad esempio, il proprio perimetro(viene espunto il risarcimento danni da Rca,materia, tra l’altro, “vincolata” insieme a quellacondominiale, entrata in lista il 21 marzo 2012).Si prevede, dunque: il ripristino (per diminuire ilnumero dei procedimenti giudiziari in entrata)della mediazione obbligatoria, che torna a esserecondizione di procedibilità per numerose tipologiedi cause (nel dettaglio, ai sensi dell’articolo 5del d.lgs. 28/2010): condominio, diritti reali, divisione,successioni ereditarie, patti di famiglia,locazione, comodato, affitto di aziende e risarcimentodel danno derivante da responsabilitàmedica e da diffamazione), con l’esclusione(richiesta dall’avvocatura) delle controversie perdanni causati dalla circolazione di veicoli e natanti(materia, che, tra l’altro, aveva dato vita al maggiornumero di procedimenti), il netto contenimentodei costi, (il ritorno al gratuito patrocinioe le consistenti riduzioni tariffarie rappresentanoaspetti di primissimo piano del decreto) e l’adeguatocoinvolgimento della classe forense (leparti, nel procedimento di mediazione, devonoessere assistite da legali e per omologare l’intesadinanzi al giudice e avviare l’esecuzione serve lasottoscrizione da parte del professionista). Loscopo della reintroduzione dell’istituto summenzionatoè, orbene, quello di incidere sui tempidella giustizia, migliorandone l’efficacia. In particolare,l’Italia indossa la maglia nera per quantoriguarda il numero di cause civili pendenti dinanzialle Corti di Appello. Nel contenzioso civile, perdare maggiore prontezza di quanto si sta disaminando,con varie modalità, quali la mediazione e igiudici ausiliari, si prevede di ridurre in cinqueanni le pendenze di 1.157.000 unità. Nel dettaglio,le novità riguardano: come già ricordato, l’esclusionedelle liti sulla responsabilità per dannoderivante dalla circolazione di veicoli e natanti;l’introduzione della mediazione prescritta dalgiudice, fuori dei casi di obbligatorietà ex ante esempre nell’area generale dei diritti disponibili;l’integrale gratuità della mediazione, anche nelcaso del punto precedente, per i soggetti che, nellacorrispondente controversia giudiziaria, avrebberoavuto diritto all’ammissione al patrocinio aspese dello Stato; la previsione di un incontro preliminare,informativo e di programmazione, incui le parti, davanti al mediatore, verificano con ilprofessionista se sussistano effettivi spazi perprocedere alla mediazione; la forfettizzazione el’abbattimento dei costi della mediazione, in par-ticolare di quella obbligatoria, attraverso la previsionedi un importo contenuto, comprensivodelle spese di avvio, per l’incontro preliminare; illimite temporale della durata della mediazione intre mesi, invece di quattro, trascorsi i quali il processopuò sempre essere iniziato o proseguito; laprevisione della necessità che, per divenire titoloesecutivo e per l’iscrizione d’ipoteca giudiziale,l’accordo concluso davanti al mediatore deve esserenon solo omologato dal giudice, ma anche sottoscrittoda avvocati che assistano le parti; il riconoscimentodi diritto agli avvocati che esercitanola professione della qualità di mediatori (da unlato, va ricordato che le critiche maggiori al testodel decreto di attuazione riguardavano il percorsoprevisto per la formazione/aggiornamento deimediatori e i requisiti che dovevano possedere iformatori e gli enti di formazione, dall’altro, vaevidenziato che gli organismi di mediazione conservanocomunque la propria discrezionalità nell’individuarei professionisti ai quali assegnare gliincarichi di mediazione). Sulla falsariga di quantoprevisto per il processo del lavoro, il giudice civile,alla prima udienza o sino al termine dell’istruzione,formula alle parti una proposta transattiva oconciliativa. Il rifiuto della proposta senza giustificatomotivo costituisce comportamento valutabileai fini del giudizio. L’organismo di mediazionedeve fissare entro 30 giorni dal deposito delladomanda un incontro di programmazionedavanti al mediatore per verificare se è possibileproseguire il tentativo. Ciò al fine di aumentare lapartecipazione della controparte, evitando di perderetempo attraverso la previsione di tempi piùstretti. Sono state previste anche conseguenze piùpesanti per chi snobba la mediazione. Dalla mancatapartecipazione senza giustificato motivo alprocedimento di mediazione, il giudice potràdesumere argomenti di prova nel successivo giudizio.Il giudice inoltre, nei casi di mediazioneobbligatoria, condannerà la parte costituita chenon ha partecipato al procedimento senza giustificatomotivo, al pagamento di un importo corrispondenteal contributo unificato dovuto per ilgiudizio. Quando il provvedimento che definisceil giudizio corrisponde interamente al contenutodella proposta, il giudice escluderà la ripetizionedelle spese sostenute dalla parte vincitrice che harifiutato la proposta, riferibili al periodo successivoalla formulazione della proposta, e la condannaal rimborso delle spese sostenute dalla partesoccombente relative allo stesso periodo, nonchéal versamento allo Stato di un’ulteriore sommad’importo corrispondente al contributo unificatodovuto. Il giudice potrà inoltre applicare gli articoli92 e 96 del Codice di procedura civile e condannareanche alle spese per l’indennità corrispostaal mediatore. Non sono mancati atteggiamentidi protesta e dichiarazioni al vetriolo da partedell’OUA e del CNF. In particolare, il presidentedi quest’ultimo ha confermato la contrarietà allamediazione, suffragando la propria tesi sulla basedi un ampio ventaglio di ordini di motivi: lamediazione obbligatoria è in contrasto con laCostituzione (nonostante che la Consulta l’abbiabocciata per eccesso di delega e non per ragioni dimerito), preclude ai cittadini l’accesso diretto allagiustizia e aumenta i costi rispetto a quelli previstiper la causa. Da non trascurare è anche la posizionedell’OUA, che ha addirittura invitato ilPresidente della Repubblica a non firmare ildecreto in commento: le controversie intercettatesono state e saranno numericamente insignificanti(sono diversi i nodi venuti al pettine e chenon hanno consentito il decollo di tale istituto: imediatori non sempre sufficientemente formati ein grado di aver maturato le attitudini sufficientia dedicarsi alla procedura conciliativa e l’indipendenzae la terzietà <strong>degli</strong> organismi di mediazione).Il CNF e l’OUA concordano, infine, sull’inadeguatezzadello strumento adottato per ripristinarela mediazione: le norme sarebbero dovute essereraccolte in un disegno di legge, non in undecreto legge, che essendo tale in quanto caratterizzatodal carattere emergenzialistico, viene sottrattoalla dialettica parlamentare e al confrontocon gli organi di rappresentanza dell’Avvocatura............................................1 M. Tipaldi, Brevi note sulla pronuncia adottata dalla CorteCostituzionale sull’istituto della mediazione. Nota a CorteCostituzionale, sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, in <strong>Omnia</strong> <strong>Iustitiae</strong>,<strong>Anno</strong> IX n. 3 (2012), pp. 15-16.


38agosto 201339contributi dai colleghi agosto 2013Contributidai ColleghiIl diritto sociale alla trasparenzatra il diritto di accessoe l’accesso civico.di Francesca Del Grosso, Vincenza Esposito e Gennaro Passannanti*Il decreto 33/2013 di riordino <strong>degli</strong>obblighi di pubblicazione da partedelle Pubbliche Amministrazioni.Il profondo processo innovativo che ha permeatol’azione amministrativa sin dagli inizi <strong>degli</strong> anni‘90, nel ridefinire i rapporti tra amministrazione eamministrato 1 , ha condotto all’affermazione progressivae pervasiva dell’intero ordinamento giuridicodel principio della trasparenza amministrativa.È utile preliminarmente individuare le tappe fondamentali:- la legge n. 241/1990;- la legge n. 15/2005 che introduce esplicitamentenella legge sul procedimento il principio dellatrasparenza;- il Trattato di Lisbona (articolo 11, comma 3)che individua la trasparenza come principio regolantel’azione della Commissione e di ciascun’istituzione,organo o organismo europeo;- la legge n. 69/2009 (articolo 11) che nel modificarel’articolo 22 della legge sul procedimento,stabilisce che l’accesso è principio generale dell’attivitàamministrativa “al fine di favorire la partecipazionee di assicurare l’imparzialità e la trasparenza”;- il d.lgs. n. 150/2009 (articoli 3 e 11) che sancisceil principio della cd. “accessibilità totale”;- il d.lgs. 14 marzo 2013 n. 33 che in attuazionedella delega contenuta nella legge n. 190/2012(cd. legge anti corruzione) provvede al “Riordinodella disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità,trasparenza e diffusione”.La dottrina 2 , ancora prima dell’elaborazione dellalegge n. 241/1990, rinveniva nella trasparenzal’immanente principio permeante la cd. “casa divetro” che la PA doveva incarnare; tant’è che, purse nell’originario testo dell’articolo 1 della leggen. 241/1990 il termine “trasparenza” non compareper niente tra i principi della disciplina generaledel procedimento amministrativo, si ritiene lostesso collante dei vari fattori qualificanti il procedimentomedesimo (responsabile del procedimento,motivazione, istituti di partecipazioneetc). La trasparenza, infatti, (inserita solo con lanovella del 2005 3 nell’articolo 1 della legge sulprocedimento), trascende la mera osservanza formale<strong>degli</strong> istituti del procedimento amministrativoperché viene percepita quale valore finalisticodell’ordinamento, espressione di democraziapolitica e amministrativa 4 nonché valore strumentalee funzionale alla conoscibilità dei processidecisionali 5 .Proprio tale approccio finalistico consacra il rinnovatocontesto relazionale tra amministrazionepubblica e cittadino e il passaggio dal concetto diamministrazione - autorità a quello di amministrazione- servizio, dal concetto di amministrazioneburocratica al concetto di amministrazionepartecipata 6 . Il volano del cambiamento è da rinvenirsipertanto nel contenuto che s’intende attribuireal valore della trasparenza, ribaltando la tradizionalevisione dell’amministrazione trinceratadietro il manto dell’impermeabilità fino a diventareregola generale la conoscibilità e l’intellegibilitàdell’operato dei pubblici poteri.Come tutti i “valori” anche per la trasparenza sicorre il rischio di sfumare in un concetto assolutamenteatecnico 7 e bon a tout faire 8 . Per scongiurareciò deve intendersi in contrapposizione a tuttoquello che s’intende occultare per favorire interessipersonali o di gruppo, configurandosi al contrarioquale esigenza di chiarezza, di comprensibilitàe di non equivocità di un’organizzazione edel suo agire anche al fine di garantire il buonandamento dell’azione amministrativa 9 .In tale prospettiva, la trasparenza è il viatico dellachiarezza e della comprensibilità dell’azioneamministrativa.Alla luce di tale riflessione, si comprende come latrasparenza non possa esser confusa con la pubblicitào con l’accesso agli atti amministrativi rappresentandorispetto a questi ultimi un quid plurische impone alla Pubblica Amministrazione unobbligo alla comprensibile esplicitazione delpotere di cui è depositaria.La pubblicità è, infatti, una situazione prevalentemente“statica” afferendo al mero stato di fattodell’atto, dell’organizzazione o del procedimento,lì dove la trasparenza attiene a una “dinamica”relazionale, alla “intellegibilità” dei comportamentiamministrativi e delle scelte sottese.Così è da definirsi sicuramente pubblico, ma dicerto non improntato ai criteri di trasparenza, unatto puntualmente pubblicato nell’albo o sul sitointernet dell’amministrazione ma in periodofestivo ovvero occultato 10 , in altre parole nonintuitivamente individuabile sul sito di riferimento,ovvero formalmente accessibile ma non comprensibile.La trasparenza dunque si distingue dal diritto diaccesso 11 , pur rappresentando quest’ultimo unodei principali strumenti di verifica dell’effettivoperseguimento del complesso dei valori che la tra-sparenza è volta a soddisfare 12 . Infatti, la trasparenzaè un fattore più ampio del mero accesso,atteso che può esser formalmente soddisfatto ildiritto di accesso con l’ostensione di un attoamministrativo ma non esser garantita la trasparenzadell’azione amministrativa ove l’atto siasostanzialmente incomprensibile nel suo contenuto13 .Per converso, l’individuazione da parte delleamministrazioni pubbliche 14 di categorie di attisottratti al diritto di accesso può non esser in contrastocon la trasparenza 15 ove (relegata la “segretezza”al rango di eccezione 16 ), si ritenga, nel contemperamento<strong>degli</strong> interessi sottesi, prevalentel’esigenza alla riservatezza.La problematicità del bilanciamento di tali valoriviene percepita tanto nelle principali produzioninormative straniere 17 che nazionali 18 .Infine, la necessità della comprensibilità dell’azioneamministrativa appare coerente con una diffusaetica di sicurezza giuridica che, in uno Stato didiritto non può non informare i rapporti cittadino-amministrazione.Infatti, un’azione amministrativa “equivoca” o“irrazionale” rischia di disorientare i cittadini suicomportamenti da tenersi 19 . Non a caso la CorteCostituzionale ha riconosciuto “l’affidamentodel cittadino nella sicurezza giuridica” un elementofondamentale dello stato di diritto 20 . Intale contesto assume rilevanza particolare il d.lgs.n. 150/2009 che all’articolo 3 (la trasparenza deirisultati delle amministrazioni e delle risorseimpegnate per il loro perseguimento) pone lastessa tra i principi volti all’ottimizzazione dellaproduttività del lavoro pubblico, e all’articolo 11,stabilendo un collegamento tra performance etrasparenza, la definisce “accessibilità totale” riferitaa ogni informazione afferente l’aspetto dell’organizzazione,introducendo, per la primavolta, accanto al concetto di trasparenza, il valoredell’integrità, quale fattore culturale da sviluppareattraverso la programmazione e l’aggiornamentodei relativi piani triennali 21 .La configurazione della trasparenza quale accessibilitàtotale apre la stura al controllo sociale diffusoda parte della collettività sull’operato delleamministrazioni ponendosi, quindi, quale strumentofinalizzato alla prevenzione di fenomeni dicorruzione e in generale di fenomeni di maladministration22 .Tutto ciò segna la definitiva linea di demarcazionetra diritto di accesso e richiesta di trasparenzaatteso che il primo resta spiazzato ove i dati sianonecessariamente pubblici e accessibili, pertanto,all’intera collettività al di fuori dell’ambito procedimentalein senso stretto.Ne consegue che la migliore organizzazioneamministrativa nella direzione della trasparenzasarà quella che si vedrà rivolgere limitate domandedi accesso. Inevitabile, quindi, l’accelerazioneulteriore dei processi di riforma nelle amministrazionipubbliche nella direzione dell’open governemente delle problematiche dell’open data 23 . Sarà,pertanto, opportuno procedere all’individuazionedei dati rilevanti da pubblicare attraverso losviluppo di una politica di ascolto del cittadinoquale fruitore finale del servizio.Il concetto illustrato di trasparenza si perfezionaa seguito dell’introduzione nel nostro panoramagiuridico, della figura dell’accesso civico, pereffetto del d.lgs. 14 marzo 2013, n. 33 che estendeil campo di applicazione della normativa sul dirittodi accesso.La portata innovativa di tale istituto viene compresase preliminarmente si tiene conto della circostanzache il decreto legislativo citato non èsolo di riordino della tipologia <strong>degli</strong> obblighi dipubblicazione (incarichi esterni, beni e contrattipubblici, servizi sanitari...) che gravano sulle pubblicheamministrazioni, bensì ridefinisce la trasparenza“quale strumento al servizio dell’interessealla conoscibilità <strong>degli</strong> elementi rilevanti ai finidi un controllo diffuso sull’operato delle amministrazioni”24 .Ciò senz’altro nel solco delineato dalla legge241/90 e successivamente dal decreto legislativo150/09 (la trasparenza come accessibilità totale eispiratrice unitamente ai criteri di economicitàefficacia e pubblicità dell’attività amministrativa),per giungere all’elaborazione di tre aspettiparticolari dell’attuale accezione della trasparenza:la trasparenza come diritto, come obiettivo, einfine come strumento di gestione della cosa pubblicae nella realizzazione dei servizi pubblici.Infatti secondo quanto indicato dall’articolo 5 deldecreto citato in premessa, l’obbligo che dalmedesimo è posto a carico delle pubbliche amministrazionidi pubblicazione di documenti, informazionio dati, vede il diritto di chiunque dirichiederne la pubblicazione se omessa.Che cosa rappresenta ciò?Di certo la comunicazione all’esterno delle informazioniche devono pubblicarsi anche al di là delcampo di applicazione dello stesso decreto, ealtresì l’ampliamento dei confini oggettivi e soggettividel diritto di accesso. La domanda di accessocivico non è infatti condizionata né dall’obbligodella motivazione, né dalla posizione soggettivadel richiedente 25 .Mentre infatti il diritto di accesso è strumentalealla tutela di interessi specifici ed ha a oggetto attie documenti individuati, l’accesso civico sembrerebbeaffiancarsi all’azione popolare e porsi comemezzo di verifica diffusa dell’attività amministra-


40contributi dai colleghi agosto 201341contributi dai colleghi agosto 2013tiva, da parte del cittadino.Potremmo parlare di “engagement”, nel senso diimpegno, di promessa e del dedicarsi agli interlocutorida parte dell’amministrazione 26 , e sipotrebbe ancora giungere a ipotizzare una nuovaforma di controllo “pubblico” accanto a quellegià previste dal sistema attuale dei controlliamministrativi e politici.Se infatti si pensa all’inciso di cui al comma 6 dell’articolocitato: “la richiesta di accesso civico,comporta da parte del Responsabile della trasparenza,l’obbligo di segnalazione di cui all’articolo43, comma 5 27 ”, ci si rende conto che poiché lasegnalazione va resa anche al vertice politico aisensi di tale comma, l’intera disciplina è finalizzataa dare effettività ai flussi dell’informazionepubblica, non solo a fini conoscitivi, ma anche esoprattutto a fini di programmazione, di prevenzionee di controllo sociale.Tale assunto è ancor più pregnante se si considerache la nomenclatura della legge anticorruzionepone in stretto contatto gli obblighi di pubblicitàe la lotta alla corruzione: la funzione pubblica èinfatti depositaria della fiducia pubblica. In taleottica dunque, accanto alla predisposizione obbligatoriadel Programma triennale per la trasparenzae l’integrità, è disciplinato l’istituto dell’accessocivico.Va tenuto presente che la richiesta di accesso civicova presentata al responsabile della trasparenzadell’amministrazione obbligata alla pubblicazione.Essa riveste inoltre il carattere della gratuità.Parrebbe dunque che si voglia incentivare il ricorsoda parte dei cittadini a tale nuovo strumento,diffondendo sempre più tra i medesimi la culturadella trasparenza.Sicuramente è poi uno stimolo preventivo allepubblicazioni, considerato che, ove le stesse nonavvengano: 1) si profila una delle ipotesi diresponsabilità dirigenziale anche per dannoall’immagine all’amministrazione 2) nei casi diritardo o mancata risposta, il ricorrente ha lafacoltà di rivolgersi al titolare del potere sostitutivodi cui all’articolo 2, comma 9 bis della legge241/90 28 . La disciplina esaminata comporta inoltreper le pubbliche amministrazioni la necessità,ora imprescindibile, dell’adozione del sito web, inquanto successivamente alla richiesta di accessocivico, e nei trenta giorni successivi, occorre procederealla pubblicazione in esso del documento odell’ informazione.Ciò conferma l’attuale riconoscimento dellepotenzialità del web (in ciò la distinzione ulteriorecon la disciplina del diritto di accesso in caso diaccettazione della richiesta relativa) di pari passoalla necessità impellente e al tempo stesso oggicostante, di contenere i dispendi della res pubblica.Si osserva però da parte della dottrina 29 che “se giàla trasparenza sancita dalla legge 241 aveva messoa dura prova le amministrazioni responsabili diaver impiegato troppo tempo per attrezzarsi,quella del decreto 33 potrebbe rivelarsi persinopiù impegnativa, arrivando a scontrarsi con lascelta (compiuta dalla legge delega 190) di ipotizzareche tutto possa concretarsi a risorse invariate”.In tal senso dunque l’accesso civico potrebberappresentare uno step significativo del processocitato in premessa di riorganizzazione dellaPubblica Amministrazione in quanto il controlloche ne deriva e che è stato ora illustrato, inducel’amministrazione a comportamenti legittimi (intal senso anche la recentissima adozione delnuovo Codice di comportamento in vigore inquesti giorni), rendendola finalmente “utile allosviluppo sociale ed economico, con la conseguenzadi limitare i tentativi ricorrenti di privatizzaree/o sopprimere enti amministrativi perché insufficienti30 ”............................................1 La trasformazione dell’individuo da suddito a cittadino è teorizzatanel saggio di W. Ulmann, Individuo e società nel medioevo, Laterza,1983.2 R. Marrama, La Pubblica Amministrazione tra trasparenza e riservatezzanell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, in Dir. proc. amm.,1989, 416 ss.A. Sandulli, Il Procedimento Amministrativo e la trasparenza, inL’amministrazione pubblica italiana (a cura di S. Cassese e C.Franchini) Bologna, 1994, 101 ss.G. Arena, La Trasparenza Amministrativa, in Enc. giur. XXXI, agg.Roma, 1995.R. Chieppa, La trasparenza come regola della pubblica amministrazione,Dir. econ., 1994, 613 ss.3 Legge 11 febbraio 2005, n. 15 “La attività amministrativa persegue ifini determinati dalla legge ed è retta da criteri di economicità, efficaciaimparzialità e trasparenza”.4 F. Patroni Griffi, La Trasparenza della Pubblica Amministrazione traaccessibilità totale e riservatezza, in www.federalismi.it, p. 2.5 F. Patroni Griffi, op. cit.6 T. Miele, in Il procedimento amministrativo e il diritto di accesso, lo stato diattuazione della L. 241/1990, Torino, 1995, 181.7 R. Marrama, La pubblica Amministrazione tra trasparenza e riservatezzanell’organizzazione e nel procedimento amministrativo, op. cit., 418.8 F. Manganaro, L’evoluzione del principio di trasparenza amministrativa,in www.astrid-online.it, p. 3.9 R. Marrama, op. cit., p. 419; R. Scalia, Controllo della spesa e prevenzionedi inefficienze e sprechi di risorse pubbliche, Convegno 20.06.2013,Controllo costi, produttività, competitività, Roma, Camera deideputati (fondazione Lab PA).10 F. Manganaro, op.cit., p. 311 Il diritto di accesso è inteso come interesse ad un bene della vitadistinto e separato rispetto alla lesione di una posizione giuridicaquale situazione legittimamente l’impugnativa di un atto; tant’èche è possibile riconoscere il diritto di accesso anche in presenza diuna situazione divenuta inoppugnabile, T.A.R. Lazio, sez. quater, 12agosto 2009, n. 8176.12 M. Antonioli, Accesso ai documenti amministrativi, situazioni soggettive edazioni esperibili, in Giorn. Dir. amm., 2007, 669 ss.M. Ciammola, La legittimazione ad accedere ai documenti amministrativi:prima e dopo la L. 11 febbraio 2005, in Foro amm., T.A.R., 2007, 1181 ss.13 F. Manganaro, op. cit., p. 4.14 Ad es. Decreto Ministero di Grazia e Giustizia n. 115 del 25 gennaio1996, Regolamento concernente le categorie di documenti formatio stabilmente detenuti dal Ministero di Grazia e Giustizia e dagliorgani periferici sottratti al diritto di accesso.15 G. Abbamonte, La funzione amministrativa tra riservatezza e trasparenza.Introduzione sul tema, in Aa.Vv. l’Amministrazione pubblica tra riservatezzae trasparenza. Atti del XXXV Convengo di studi di scienzedell’amministrazione, 1989, Milano, 1991, 13 ss.16 Più tecnicamente il “segreto” da personale. cioè legato genericamenteall’individuo - diventa reale perché collegato al solo contenutodell’informazione e il diritto all’informazione diventa un interesseautonomamente qualificato, pienamente azionabile da parte deltitolare, così Sandulli, Il procedimento, in Trattato di DirittoAmministrativo (a cura di S. Cassese), parte generale, tomo II, 2003,1083.17 Open Government Plan statunitense.18 D.lgs. 30 giugno 2003 n. 196 (Codice di Protezione dei dati personali)nonché Delibera CIVIT n. 105 del 2010 recante le linee guidain materia di trasparenza.19 S. Antoniazzi, La tutela del legittimo affidamento del privato nei confrontidella pubblica amministrazione, Torino,2005.S. Tarullo, Il principio di collaborazione procedimentale. Solidarietà e correttezzanella dinamica del potere amministrativo, Torino, 2005.20 Corte Cost., 26 luglio 1995, n. 390, in Giur. cost., 1995, 385 oveafferma che il legislatore, pur ben potendo modificare la disciplinagiuridica dei rapporti di durata, non si sottrae alla valutazione dellaeventuale irrazionalità della nuova disciplina ove leda l’affidamentoper i rapporti in corso.21 Vedasi, inoltre, articolo 9, d.lgs. n. 150/2009, ove fa divieto, in casodi mancata adozione e realizzazione del Programma triennale per latrasparenza e l’integrità o il mancato assolvimento <strong>degli</strong> obblighi dipubblicazione, di erogazione della retribuzione di risultato ai dirigentipreposti agli uffici coinvolti.22 F. Patroni Griffi, op. cit., p. 3.23 Vedasi le disposizioni contenute nel Codice dell’amministrazionedigitale soprattutto a seguito delle modifiche introdotte dal d.lgs.n. 235/2010, cd. terzo correttivo cad.24 B. Ponti, Il codice della trasparenza: non solo riordino, ma ridefinizionecomplessiva del regime della trasparenza amministrativa on-line, inwww.nel diritto.it, p. 1.25 Articolo 5, comma 2, decreto legislativo n. 33, 14 marzo 2013: Larichiesta di accesso civico non è sottoposta ad alcuna limitazionequanto alla legittimazione soggettiva del richiedente non deve esseremotivata, è gratuita e va presentata al responsabile della trasparenzadell’amministrazione obbligata alla pubblicazione di cui alcomma 1, che si pronuncia sulla stessa.26 Giuseppe Del Medico lezione 6 giugno 2013 al ventunesimo ciclo diformazione dirigenti giustizia alla SSPA Caserta.27 Articolo 43, comma 5, decreto legislativo n. 33, 14 marzo 2013: Inrelazione alla loro gravità, il responsabile segnala i casi di inadempimentoo di adempimento parziale <strong>degli</strong> obblighi in materia dipubblicazione previsti dalla normativa vigente, all’ufficio di disciplina,ai fini dell’eventuale attivazione del procedimento disciplinare.Il responsabile segnala altresì gli inadempimenti al vertice politicodell’amministrazione, all’OIV ai fini dell’attivazione delle altreforme di responsabilità.28 Articolo 5, comma 4, decreto legislativo n. 33, 14 marzo 2013: Neicasi di ritardo o mancata risposta il richiedente può ricorrere al titolaredel potere sostitutivo di cui all’articolo 2, comma 9-bis dellalegge 7 agosto 1990, n. 241, e successive modificazioni, che, verificatala sussistenza dell’obbligo di pubblicazione, nei termini di cuial comma 9-ter del medesimo articolo, provvede ai sensi del comma3.29 Accesso civico, pubbliche amministrazioni: ecco cos’è in www.leggioggi.it.30 F. Manganaro, op. cit., vedi contra A. De Nicola, Le privatizzazionistrumento per la crescita e l’efficienza del sistema economico, in Convegno20.06.2013, Controllo costi, produttività, competitività, Roma,Camera dei deputati (fondazione Lab PA), le società privatizzatehanno livelli di perfomance più efficienti tranne quando siano privatizzatecon procedure meno trasparenti e corrette.*Dirigenti amministratividel Ministero di Grazia e GiustiziaZibaldone.di Raffaele FasolinoGiorni addietro incontrai un amico-collega ilquale, per avere letto precedenti miei “articoletti”,mi qualificò come novello Pietro L’Aretino.Ovviamente non accettai l’affermazione dalmomento che l’Aretino “di tutti disse mal fuorchédi Cristo scusandosi col dir non lo conosco” mentreio, al più, prendo a prestito l’affermazione bartaliana“l’è (quasi) tutto sbagliato, l’è (quasi) tuttoda rifare” ovviamente limitandomi al settore dellagiustizia perché, in caso contrario, dovrei eliminarela parentesi col “quasi”.E vengo agli argomenti.Delle indagini.Anni addietro, per ripudiare il “vecchio” codiceRocco, subentrò la “mania” del garantismo perl’indagato-imputato e non si trovò di meglio chemettere dei “paletti” all’attività della Polizia giudiziariache, pertanto, doveva agire sotto la direzione(o coordinamento che dir si voglia) delleProcure della Repubblica. Non accenno neppureal problema delle distinzioni delle carriere fraufficio del P.M. e Magistratura giudicante ma milimito a qualche elementare considerazione. Iprocuratori della Repubblica e suoi sostituti (cheio sappia) non hanno studiato i sistemi investigativiavendo concorso come i Magistrati giudicantiper cui semplicisticamente mi chiedo: comepossono dirigere (o coordinare) le indagini dipolizia giudiziaria quando questa è “specializzata”nelle indagini? Come possono indirizzare leindagini se non conoscono (e non certamente percolpa loro!) i sistemi investigativi e l’utilizzo ed irisultati che possono dare particolari strumentiscientifici? La risposta è nei risultati che esemplificativamentevado ad indicare, avvalendomi(come è ovvio) soltanto delle notizie diffuse daimedia.La piccola Gambiraghi attende ancora giustiziaperché, nonostante che i cani condussero gliinquirenti al cantiere di Mapello e sulla piccola(sempre stando alle notizie giornalistiche) fu trovatoqualche filo di iuta di sacchi usati in cantieree le ferite erano compatibili con i taglieriniusati sempre nel cantiere, la pista fu abbandonatae si ricorse a migliaia di accertamenti di DNA, disturbandoperfino la pace di un cadavere, maquanto a risultati: zero.Per Roberta Ragusa si pensò all’allontanamentovolontario in pigiama e in una notte gelida per cuisi andò alla ricerca di una persona viva rincorrendosegnalazioni varie, senza pensare a un omici-


42contributi dai colleghi agosto 201343agosto 2013Historiaet Antiquitatesdio. Risultato: zero. Ma a parte questi due eclatanticasi, non può sfuggire come, a volte, (forsespesso) le indagini sono condotte in modo erratotant’è che le sentenze giungono a risultati deltutto diversi nei vari gradi dei giudizi mentre inaltri casi si hanno sentenze “barcollanti” perchénon fondate su indagini approfondite, con capovolgimentinelle Magistrature Superiori.E per concludere l’argomento, peraltro superficialmenteaffrontato, non posso fare a meno diriferire un episodio a proposito della “mania delgarantismo”.All’inizio del fenomeno partecipai (come sempliceuditore) ad un convegno di diritto e procedurapenale e, nel corso di due giorni, si alternaronosul podio giuristi e magistrati e tutti ad elogiare la“novella” del garantismo. Quasi al termine deilavori un signore, (che poi seppi essere un magistrato)chiese di intervenire e mentre, fra il serioed il faceto, elogiò i vari oratori, concluse all’incircacon questa espressione: “durante due giorniabbiamo sentito parlare ed elogiare il garantismodell’indagato-imputato ma non si è sentito unasola parola a garanzia del cittadino onesto”.Verità sacrosanta!Delle sentenze.L’articolo 132 del Codice di procedura civile nell’indicaregli elementi della sentenza al punto 4cita le sue caratteristiche: “concisa esposizione difatto e di diritto della decisione” e l’articolo 118delle disposizioni di attuazione è ancora più precisaallorquando ricorre alle espressioni “succintaesposizione delle ragioni giuridiche della decisione”.Nonostante tale ben precisa disposizionenon è raro (anzi frequente!) leggere sentenze lecui motivazioni più che “concise” e “succinte” dissertanosu tutte le prospettazioni delle parti laddovedevono ritenersi implicitamente disattesitutti gli argomenti ed i rilievi e le tesi incompatibilicon la valutazione addotta e con il “percorsoargomentativamente seguito”. Senza contare poiil continuo richiamo a sentenze della SupremaCorte! Certamente questa mia osservazione non ègeneralizzata ma, purtroppo, non è rara per cui la“prolissità” inutile e le inutili dissertazioni, si traducono,in ultima analisi, in una perdita di temponella stesura della decisione.Ho appena completato di scrivere questa “noterella”ed apprendo che i nostri governanti-legislatoriintendono portare a novella vita, sia pure conqualche “accorgimento” la “mediazione” già “seppellita”dalla Consulta e già “ripudiata” dai cittadinicome ben si è potuto constatare nella suaprecedente breve vita di “farfalla”.E per oggi può bastare.Dell’illimitato numero <strong>degli</strong><strong>Avvocati</strong> ne’ Tribunali di Napoli.di Gianluca GranatoL’espurgo dei Dottori sotto il Regno diRoberto d’Angiò. Riflessioni dell’Avvocatonapoletano Baldassarre Imbimbo nella suaopera “Abusi nell’Ordine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> ne’Tribunali di Napoli” - 1779.Duecentotrentaquattro anni fa BaldassarreImbimbo, noto giureconsulto partenopeo, fondatoredi un’accademia legale e proprietario di unadelle più importanti biblioteche dell’epoca, scrivevain Napoli: “Ne’ tempi della Repubblica liberadi Roma le parole defendere alterum in judicio, perdiversi rapporti che potevano avere, molti significatiavevano. Asconio Pediano ce ne dà il seguentedettaglio. Qui defendit alterum in judicio, aut patronusdicitur, si orator est; aut advocatus, si aut jus suggerit,aut praesentiam suam commodat amico; aut procuratorsi negotium suscipit; aut cognitor, si praesentis causamnovit, sic tuetur ut suam. E dal corpo delle leggie dalla storia sappiamo, che gli oratori non studiavanoex professo la legge, perché vi erano i giureconsultiche ne facevano particolare professione;e gli oratori negli articoli dubbj di legge consultavanoi giureconsulti. Ne’ tempidegl’Imperatori varj furono i nomi <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>.Si chiamavano anche Causidici, Patroni, Togati; ela voce Defensor in stretto significato rimase perquelli soli che difendevano spontaneamente il reoconvenuto, loro amico assente, senza mandato.Presso di noi la voce Difensore pure va sottonome di Avvocato, tanto se difenda il reo, quantose difenda l’attore. E si uniscono presso di noinella persona dell’Avvocato le due professioni dioratore e di giureconsulto: e possono difendere ingiudizio così quelli che si chiamano <strong>Avvocati</strong>,come quelli che si chiamano Procuratori. E largamenteparlando, il Procuratore si dice ancheAvvocato … quantunque rigorosamente parlandoAdvocati causas orant, Procuratores causa non aguntsed adsistunt negotiis, litem alieno nomine persequuntur,nihil in foro obloquuntur … . Non è però da disprezzarsi,anzi molto da commentarsi l’ufficio diProcuratore. E chi vuol essere buono e valenteAvvocato debbe aver fatto prima il Procuratore;non potendo essere buon nocchiero chi non èstato prima rematore … di fatti a’ tempi nostriabbiam veduto che i migliori <strong>Avvocati</strong> del nostroforo, han fatto prima i Procuratori … .Or questiDifensori spesso han dato motivo a qualche provvidalegge municipale, essendosi conosciuto, chenon esercitavano il loro ufficio con quella puritàe candidezza che si ricerca, e che per i loro sutterfugje calunnie si allungavano le liti. Ma o non siè dato mai alla radice, cioè al numero, qualità, erequisiti <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>: o la provvida cura de’Regnanti su questo particolare, per l’inosservanzadelle loro leggi, è andata a vuoto. Quindi è chemolti sicofanti e rabule (così dissero i Latini uncattivo Avvocato, di quelli che al dir di Cicerone,non credon di esser facondi, se schiamazzandonon mettono ogni cosa a tumulto - ndr), in dissonoredell’Ordine di tanti bravissimi <strong>Avvocati</strong> delnostro foro, si fan lecito di difender cause, senzaesami, senza matricole, senza approvazione, solche si proveggano d’un abito negro, d’un cappottino,e di un collare. Donde è nato quel prodigiosonumero di Causidici che occupa gran parte delPopolo Napoletano; talché non meno la magnificenzade’ Tribunali nostri, che questo immensostuolo di Difensori, tira la curiosità de’ forestieri,i quali … la prima cosa che veggono sono iTribunali, dove tuttoché molte e spaziosissimesian le sale, pure la folla <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> è sì grandeche a gran fatica vi si può dar passo. La cosa èridotta a tal confusione e disordine che non foro,ma folto bosco può dirsi, ricetto ed asilo di moltirifiuti <strong>degli</strong> altri impieghi, e di non poca genteindisciplinata e scorretta. … Per la qual cosa ionon dubito di affermare che questa nobilissimaprofessione inventata per soccorso <strong>degli</strong> uomini,anzi necessaria alla vita umana, presso di noi perl’eccessivo numero de’ professori è divenuta a’ cittadinidannosa. Di fatti tutta questa gente deecolle liti vivere. Adunque se meno <strong>Avvocati</strong> ci fossero,meno liti ci sarebbero. Se si prescrivesserorequisiti e regole certe per esercitar questa professione,e si rinnovasse l’esatta osservanza di que’requisiti e regole che per dritto comune e municipaleabbiamo, indubitatamente verrebbe a scemarsiil numero <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>. Or ecco che n’avrebbedi bene al Pubblico. Questo numero di<strong>Avvocati</strong> approvati, sarebbe capace a sostenere undato numero di liti. Se, oltre a queste, altre liti icittadini volessero muovere, non avrebbero chi lidifendesse, perché que’ tali <strong>Avvocati</strong> approvatinon se ne potrebbero caricar d’avvantaggio; ondene seguirebbe che molte liti non si porterebberoinnanzi per gli anfratti giudiziarj, ma ex equo bonosi transigerebbero. Nel sistema presente ha dovelussureggiare l’ardor delle liti. Non si dà il caso,che per mancanza di Avvocato non si promuovauna lite, perciocché il numero <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>quasi avanza il numero delle liti. Nel governo dell’anticaRoma il Pretore o il Proconsole daval’Avvocato a chi supplichevole lo cercava, qualoranon lo avesse … presso di noi molti <strong>Avvocati</strong> preganoi litiganti perché dian a loro a difender liti, el’incoraggiscono a promuoverle, ancorché ingiu-


44historia et antiquitates agosto 201345historia et antiquitates agosto 2013ste … laonde si vede che quasi non vi è casa, ocomunità che liti non abbia. Dal che conseguitache si … depauperano le famiglie, s’impoverisce ilRegno, e si turba la pace e la tranquillità delloStato … Perciò Catone persuadeva il PopoloRomano, che il foro si fosse buttato a terra e spianato… . Da tale illimitato numero di <strong>Avvocati</strong>nascendo maggior numero di liti nasce in conseguenzail ritardo della spedizion delle medesime.I Ministri destinati all’amministrazion della giustiziasono dall’enorme peso d’infinite liti oppressi.Dimodoche l’una incalzando l’altra, poche sene decidono per mancanza di tempo, ond’è cherimangono inestinguibili per infelice retaggiodelle famiglie, non ostante che le leggi gridino perla celere spedizion delle medesime … . Girolamode Monte riferisce per caso memorando d’esserdurata una lite 150 anni. Presso di noi non soncasi rari che le liti durino più lungo tempo di questo.Gemono i popoli sotto il pesante giogo delleliti. Si va e si torna più e più volte da’ Ministri(funzionari, concepiti come servitori del sovranoo dello Stato - ndr) per lo disbrigo delle medesime.E quindi nuovi dispendi per i litiganti, quindiinfiniti ricorsi al Re di lamenti di costoro per loritardo delle cause, quindi nuovi incomodi <strong>degli</strong><strong>Avvocati</strong>, nuove fatiche, perdita di tempo, e durissimiinesplicabili strapazzi; e quindi finalmenteconséguita una necessaria ignoranza, perché a’giovani <strong>Avvocati</strong> studiosi non avanza maimomento da studiare, occupati sempre o adandare in giro pregando per lo disbrigo dellecause, o ad andare più e più volte per le stessecause informando, o ad apparecchiarsi per le parlatedi cause appuntate e riappuntate di farsi inRuota, che poi non si fanno. Ho voluto fare unaosservazione ne’ Registri antichi e nuovi de’ votidel S.R.C. (il Sacro Regio <strong>Consiglio</strong> era un organogiudiziario a composizione collegiale del Regnodi Napoli - ndr) e della G.C. della Vicaria (la GranCorte fu istituita da Carlo II d’Angiò e costituivala prima magistratura di appello di tutte le cortidel Regno di Napoli per le cause criminali e civili- ndr), ed ho trovato che son cresciuti due terzi dipiù da una ventina d’anni a questa parte. Vedeteche monte di liti è oggidì cresciuto: e se la miaragion non falla, questo prodigioso aumento diliti non d’altronde è nato che dal prodigiosoaumento <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>, non già dal maggioraumento del Popolo, perché da una parte si vedeche le numerazioni da circa 20 anni a questa partequasi battono fra loro: e dall’altra si sa che siccomeprima molti si applicavano ad altre professioni,così oggidì tutti si vogliono applicare al foro.Tutti questi disordini, sconvolgimenti, e gravissimidanni del Pubblico, non d’altronde nascono,che dagli <strong>Avvocati</strong> i quali essendo di numeroquasi innumerabile, molti di essi intraprendonoliti unicamente per vivere, senza prima esaminarneil merito e la giustizia, e con fraudolenti dilazionie trappolerie le prolungano … pigliano litiingiuste e … a bella posta frappongono induji etemerarj gravami per eternarle, affin di vivere condissonesto guadagno; e poiché altro capitale nonhanno, vendono a caro prezzo soli gridi e rabbioseparole … . Donde è avvenuto tale general disprezzodel grado e dignità di questa professione,che si veggono i professori malmenati e conculcati,non sol da’ i superiori, ma anche (ciocch’è piùscandaloso) dagl’inferiori, cioè da’ clienti medesimi…” (Abusi, pp. 8-29).<strong>Avvocati</strong> in Campania al 01.08.2012: 38.072(www.albonazionaleavvocati.it). Popolazione residentein Campania al 01.01.2011: 5.834.056(Servizio Statistica della Giunta Regionale dellaCampania).“… nel vero … non può negarsi, che la giustizia èl’anima de’ Stati, senza la quale le Città e leProvincie e i Regni sarebbero sconcertate adunanzed’uomini, non già civili società e Stati regolarie politi. Ora gli <strong>Avvocati</strong> sono i sacerdoti e gli oracolidella giustizia, la quale senza di essi non puòamministrarsi. Dagli <strong>Avvocati</strong> dipende l’introdurreo no una lite attiva, oppure non abbracciar ladifesa di una lite passiva: essi ne sono i primi giudici:le loro case sono i primi Tribunali privati: illoro impiego è impiego pubblico. Adunque moltointeressa il Pubblico quanti e quali debbano essercostoro. Presso i Romani il numero <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>era certo e determinato, il quale non poteva néaccrescersi, né diminuirsi. Di fatti … vediamo conleggi espresse stabilito il numero <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>.Coloro che patrocinavano nel Tribunale delPrefetto Pretorio erano 150. Negli altri Pretoriierano meno: cioè quelli che avocavano nellaPrefettura della Città di Roma erano 64: nelPretorio Alessandrino, ed in quello de’ PopoliIllirici erano 50: nel Pretorio del Conte di Orienteerano 40: e finalmente quelli ch’esercitavanol’Avvocheria nella Provincia della Siria erano 30. Equesto certo numero <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> si chiamavaCorpo, Ordine, o sia Collegio <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>, opure Advocatio, Avvocherìa… . Ed in quest’Ordinesi riceveva il nuovo Avvocato dal ruolo dei sopranumerarjquando vi era piazza vacante: e i figli<strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> erano preferiti agli altri sopranumerarj… L’imperator Federico II pigliando normadalle leggi Romane … in una sua Costituzione stabilì,che certo dovesse essere il numero <strong>degli</strong><strong>Avvocati</strong> in ogni Corte e Tribunale… L’istessocostantemente si osserva presso altre Nazioni … .La veneranda Repubblica di Venezia diede almondo un bellissimo esempio su questa materia.Nel XVI secolo vedendo che contra il dritto, e con-Monumentofunebre diRoberto d’Angiònella Basilica diSanta Chiara a Napoli.tra ogni buona politica, eraaperto a tutti l’adito a questaprofessione, talché i Causidicierano giunti fino al numero di600; fece un solenne espurgo, eli ridusse a 80. E notisi che credetteroi Veneziani eccessivo ilnumero di 600 Causidici: Epresso di noi non si credeeccessivo un numero infinito …Degna è d’immortal memoriala prefazione alla legge di questoespurgo che fecero iVeneziani; la quale calza a proposito de’ disordiniche oggidì si veggono nel nostro foro. Solevano igiovani dotti e ben nasciuti di questa Città, cheaspiravano all’esercizio et grado dell’Avvocato,aver come per scala di pervenire degnamente aquello il sollicitare in Palazzo, con che imparavanol’uso et esperientia di difender le cause, et facevanodi quelle, onorate riuscite, ch’è noto adognuno. Da certo tempo in qua che si sonoadmessi per sollicitatori non solo forestieri et dialiene giurisdizioni, ma ignoranti, ma banditidelle loro patrie per sue male operazioni, et notaridi diverse infamie, de’ quali oggidì in Palazzo cen’è un gran numero con indegnità pubblica, conruina di molte case private, di molti pupilli, etpovere vedove, alle quali espilano la roba, et benespesso levano anche la fama; è seguito che moltepersone d’onore si astengono di applicarsi a questoesercizio per non essere nel numero di talsorte di gente. Al che dovendosi in ogni modo etsopra ogni cosa provvedere, acciocché espurgatoil Palazzo da sì cattiva gente d’uomini, si venga adaprir la strada alla gioventù della Città et delloStato, di esercitarsi con beneficio de’ litiganti etonore del Palazzo, come si faceva per li tempiaddietro, etc. … Questo espurgo si praticò anchein Napoli in tempo del savissimo Re Roberto(Roberto d’Angiò, detto il Saggio, Santa MariaCapua Vetere, 1277-Napoli, 16 gennaio 1343 -ndr), il quale avendo creato per Gran CancelliereIgeranno Stella Arcivescovo di Capua, questi esaminòdi nuovo tutt’i Dottori del Regno, e neriprovò molti …. Si stimò dunque giusto di tornarsiad esaminar coloro che già erano stati esaminatied approvati con privilegio, ed essendonetrovati molti insufficienti, se ne fece un espurgo.E non sono mancati Popoli i quali nella universaldepravazione dell’Ordine <strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong>, non sifidaron di venire ad espurgo … ma furono nellanecessità di estirparlo tutto. Non sono però daimitarsi questi Popoli barbari, né da ascoltarsicoloro i quali per gli accennati disordini vorrebberoche quest’Ordine si abolisse. Imperciocchétroppo lodevole anzi necessaria per la vita umanaè questa nobilissima professione;ma sarebbe sol da desiderarsiun freno, talché non sialibero a tutti l’adito nellamedesima: che si facesse unsolenne espurgo: che si fissasseil numero dei professori, eche questi avessero quelle qualitàe requisiti che ordinano leleggi comuni e municipali”(Abusi, pp. 29-39). Anche aseguito dell’intervento diImbimbo, la Real Camera di S.Chiara fu invitata a proporre “una nuova costituzione,con la quale nel tempo medesimo che silasci ai talenti di qualunque ceto il campo liberoper distinguersi nel foro, ne limiti il numero acoloro che abbiano le vere facoltà dello spirito e leessenziali virtù del cuore” (documento senza datapubblicato in V. Masellis, Riforme economico-socialicit., p. 174). Il 6 dicembre 1780 venivano fissatedelle norme per l’iscrizione <strong>degli</strong> avvocati inapposito albo, distinguendo la prima classe daquella <strong>degli</strong> avvocati e procuratori. Tra la fine<strong>degli</strong> studi e il momento della richiesta della relativacertificazione veniva introdotto un terminedi due anni. Per l’iscrizione all’albo si richiedeva,come per la laurea, “la fede delle tre matricole, chesarà sempre la testimonianza di aver fatto lo studiodelle leggi” (Notizie per servire alla riformadella Università <strong>degli</strong> studi di Napoli, quadrocomparativo delle principali università europee eitaliane). Il 27 luglio 1784 lo stampatore regioVincenzo Flauto pubblicava, per conto della RealCamera di S. Chiara, il Catalogo de’ legali del foronapoletano con le notizie delle case ove essi abitano, peruso e comodo del pubblico per l’anno 1784 fino a’ 4maggio 1785. Baldassarre Imbimbo, denunciandola mancanza di preparazione di coloro che abusivamenteesercitavano nel foro, faceva leva nontanto sullo specifico sapere tecnico giuridico,quanto sulla cultura enciclopedica che dovevaessere indispensabile ornamento dell’avvocato;non solo, ma la professione forense gli apparivacome una vocazione al servizio della pubblica utilità,arte liberale che la mera ricerca del guadagnonon poteva che svilire (Gli ambienti intellettualinapoletani, Annamaria Rao). La cultura apparivacosì come una sorta di riscatto dalla venalità dell’eserciziodella professione: “ha bisogno di granfondo di filosofia, di un buon capitale di storiesacre e profane, di finissima eloquenza, di letturadi ottimi Poeti, che sono quelli che imprestano levive immagini e fantasie agli oratori, e finalmentedi lingue e di altre belle arti ed erudizioni….Questo patrimonio non s’ha da acquistare nelforo, ma ci si ha da portare” (Abusi, p. 112).


46agosto 201347notizie dal consiglio dell’ordine agosto 2013Notiziedal <strong>Consiglio</strong> dell’Ordinela redazione<strong>Avvocati</strong>: notificazioni in proprioa mezzo PEC.Si segnala che a seguito della pubblicazione avvenutasulla Gazzetta Ufficiale serie generale n. 107del 9.5.2013, dal 24 maggio 2013 sono efficaci lenuove norme sulla facoltà per gli avvocati di procederealle notificazioni in proprio a mezzo PEC.La norma che individua gli atti notificabili è l’articolo1 della legge 53/94, esattamente come perle altre tipologie di notificazione già da tempofruibili, quindi sono passibili di notifica in proprioatti in materia civile, amministrativa e stragiudiziale.È scaricabile dal sito dell’Ordinewww.foronocera.it il vademecum predispostodall’Unione Lombarda dei Consigli dell’Ordine<strong>degli</strong> <strong>Avvocati</strong> in materia di notificazione in proprioa mezzo PEC.Pagamenti telematici contributounificato e diritti di cancelleria:servizio operativo dal 17 giugno 2013.A partire dal 17 giugno 2013 gli uffici Giudiziaridel Distretto di Corte di Appello di Salerno sonoabilitati all’accettazione dei pagamenti telematici.L’avvocato può, pertanto, pagare telematicamenteil contributo unificato (con esclusione di quelloversato al momento della presentazione dell’istanzadi vendita nel procedimento di esecuzione)e diritti di cancelleria (8 euro) utilizzando sia lefunzionalità esposte sul Portale Servizi Telematicidella Giustizia, sia le funzionalità di pagamentomesse a disposizione dal punto di accessodell’Ordine.La Circolare del <strong>Consiglio</strong>Nazionale Forense.Articolo 41, comma 6, lettera d), legge n.247/12. Anticipazione di un semestre di tirociniodurante il corso di studi universitari.Applicabilità nel periodo transitorio.Esclusione.Illustri Presidenti, cari Amici,è giunta notizia a questo <strong>Consiglio</strong> della circostanza chealcuni Ordini circondariali seguono la prassi di riconosceregià a oggi la possibilità di anticipare un semestre ditirocinio in costanza <strong>degli</strong> studi universitari.L’articolo 41, comma 6, lettera d) della nuova legge professionaleforense espressamente contempla tale possibilità,ancorandone però l’effettiva praticabilità all’adozionedelle convenzioni tra Ordini circondariali e università,di cui all’articolo 40, comma 1, nel quadro della convenzioneda stipularsi tra <strong>Consiglio</strong> nazionale forense eConferenza dei presidi delle facoltà di giurisprudenza, dicui all’articolo 40, comma 2.In ogni caso, come già precisato da questo <strong>Consiglio</strong>, l’applicabilitàdella nuova disciplina del tirocinio, ai sensidell’articolo 48 della legge professionale, deve intendersidifferita al secondo anno successivo all’entrata in vigoredella legge (dunque, a partire dall’1 gennaio 2015),fatta salva la riduzione a diciotto mesi del periodo di tirocinio,che è immediatamente applicabile. In tal senso si èespressa la Commissione consultiva del <strong>Consiglio</strong> nazionaleforense, con il parere n. 32 del 10 aprile 2013, giàtrasmesso agli Ordini e che per completezza si allega allapresente.Alla luce del dettato normativo, deve ritenersi che, nelperiodo transitorio di cui all’articolo 48 cit., resti esclusala possibilità di anticipare lo svolgimento del tirocinio incostanza di studi universitari. A partire dall’1 gennaio2015, invece, l’anticipazione sarà consentita solo in presenzadelle convenzioni di cui all’articolo 40 della legge.Si confida, pertanto, in un adeguamento delle prassi sinqui seguite a quanto sopra rappresentato, anche al fine digarantire l’uniforme applicazione del dettato normativoe, più in generale, “rendere omogenee le condizioni diesercizio della professione e di accesso alla stessa” (articolo35, comma 1, lettera f) della legge professionale.Con i più cordiali saluti,Avv. Prof. Guido AlpaNuovo saggio d’interesse da applicareper il ritardo dei pagamenti nelletransazioni commerciali.Il Ministero dell’economia e delle finanze, concomunicato “Saggio <strong>degli</strong> interessi da applicare afavore del creditore nei casi di ritardo nei pagamentinelle transazioni commerciali” pubblicatosulla Gazzetta Ufficiale del 17.07.2013 n. 166,informa che, ai sensi dell’articolo 5 del decretolegislativo 231/2002 (come modificato dal decretolegislativo 192/2012, articolo 1, comma 1, letterae), per il periodo 1° luglio-31 dicembre 2013,il tasso di riferimento è pari allo 0,50%.Assicurazione obbligatoria:Circolare del <strong>Consiglio</strong>Nazionale Forense.Con riferimento all’obbligo assicurativo di cuiall’articolo 12 della legge 31 dicembre 2012, n.247, si segnala che il <strong>Consiglio</strong> NazionaleForense, con la circolare n. 14-C-2013, ha precisatoche mentre per tutte le altre professioni diverràattuale a partire dal 13 agosto prossimo, per laspecialità della legge professionale Forense,riguarderà concretamente gli avvocati solo a partiredal momento in cui il Ministero avrà determinato“(…) le condizioni essenziali e i massimaliminimi delle polizze“ (articolo 12, comma 5,legge cit.).Cassa Forense, modello 5/2013:termini e modalità di pagamento.La comunicazione obbligatoria del reddito nettoprofessionale e del volume d’affari relativa all’anno2012 (mod. 5/2013) da rendere alla Cassa,dovrà essere trasmessa telematicamente, da partedi tutti gli iscritti agli Albi Forensi, entro il 30 settembre2013 mediante l’apposita procedura, disponibilesul sito internet della Cassa, www.cassaforense.it,a partire dalla seconda metà del mesedi giugno.Termini di scadenza.31 luglio 2013: mercoledì, termine per il versamentodella rata in acconto del contributo soggettivodi base, del soggettivo modulare e integrativo(1^ rata - pari al 50% del dovuto);30 settembre 2013: lunedì, termine per la trasmissionedel mod. 5/2013;31 dicembre 2013: martedì, termine per il versamentodella rata a saldo del contributo soggettivodi base, del soggettivo modulare e integrativo (2^rata);31 dicembre 2013: termine per il versamento dellarata del contributo modulare volontario (rataunica).Pagamenti.Si rammenta che tutta la modulistica personalizzataè reperibile, esclusivamente, sul sito internetdella Cassa, una volta eseguito l’invio telematicodel mod. 5/2013. Si consiglia vivamente di procedereai versamenti mediante M.Av. bancario,home banking o carta di credito (Forense Card).In via eccezionale e residuale se si dovesse utilizzaremodulistica generica (bollettini di c/c postaleo disposizioni di bonifico bancario), è necessarioindicare sempre il “Codice identificativo diversamento” che si può reperire, sempre, tramitela sezione “accessi riservati - posizione personale”del sito internet www.cassaforense.it. Per maggioriinformazioni, consultare il sito internetwww.cassaforense.it o contattare, anche via email, l’Information Center di Cassa Forense conle modalità indicate nel medesimo sito.


48notizie dal consiglio dell’ordine agosto 2013STATISTICHE ISCRITTI (IN FORZA)Ordinari Speciali Professori Stabiliti TotaliCASSAZIONISTI 197 6 0 0 203AVVOCATI NON CASSAZIONISTI 1301 9 5 1 1316TOTALE 1498 15 5 1 1519DonneOrdinari Speciali Professori Stabiliti TotaliCASSAZIONISTI 29 1 0 0 30AVVOCATI NON CASSAZIONISTI 688 6 1 0 695TOTALE 717 7 1 0 725UominiOrdinari Speciali Professori Stabiliti TotaliCASSAZIONISTI 168 5 0 0 173AVVOCATI NON CASSAZIONISTI 613 3 4 1 621TOTALE 781 8 4 1 794Uomini Donne TotaliPRATICANTI SEMPLICI 97 116 213PRATICANTI ABILITATI 156 255 411TOTALE 253 371 624Uomini Donne TotaliISCRITTI 1047 1096 2143Studi Associati Società tra Professionisti26 0statistiche aggiornate al 30•08•2013

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