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Contratto e impresa - Shop WKI - Wolters Kluwer Italia

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DIBATTITI 3dità e credito occorrenti alla propria attività, si trovi in una situazione di impotenza funzionalee non transitoria, non essendo in grado di osservare regolarmente, tempestivamentee con mezzi normali gli impegni assunti (Cass., 6 giugno 1979, n. 3198; Id., 14 febbraio1980, n. 1067; Id., 11 maggio 1981, n. 3095).Tuttavia, non è da tacere che le censure della ricorrente, in ordine della pretesa mancanzadi uno squilibrio fra attivo e passivo, si muovono nell’ambito di un inammissibileapprezzamento diverso delle medesime circostanze di fatto valutate dal giudice del merito;inammissibile anche perché muove da una critica che non è pertinente all’effettivodecisum, in quanto la Corte d’appello ha tratto dallo stato passivo (e non dal bilancio)l’ammontare dei crediti, che pertanto erano tutti insinuati ed ammessi per circa 27 miliardi(contro un attivo comunque assai inferiore).Il punto fondamentale della motivazione consiste nell’accertamento dell’assolutamancanza di liquido, che non consentiva alla S.A.S. di pagare neppure l’<strong>impresa</strong> appaltatricedei lavori di costruzione; nonché nell’accertamento che 1’I.C.C.R.I. non avevarinnovato il fido o fatto un’ulteriore apertura di credito per dotare la società della liquiditànecessaria per far fronte alle sue obbligazioni.Eppure sono tutt’altro che rare le sentenze che dichiarano il fallimentosulla constatazione che l’<strong>impresa</strong> avesse passività superiori all’attivo. Recentisentenze del Supremo Collegio lo hanno giudicato ammissibile. CosìCass., 1° dicembre 2005, n. 26217 (come poi Cass., 27 febbraio 2008, n.5215):Il riscontro dello stato d’insolvenza del debitore prescinde da ogni indagine sull’effettivaesistenza ed entità dei crediti, essendo a tal fine sufficiente l’accertamento di unostato d’impotenza economico-patrimoniale, idoneo a privare tale soggetto della possibilitàdi far fronte, con mezzi “normali”, ai propri debiti e può quindi essere legittimamenteeffettuato dal giudice ordinario anche quando i crediti derivino da rapporti riservati allacognizione di un giudice diverso (Cass., Sez. un., 11 febbraio 2003, n. 1997). Atale proposito,anche il dato di un assai marcato sbilanciamento tra l’attivo e il passivo patrimonialeaccertati, pur se non fornisce, di per sé solo, la prova dell’insolvenza – potendo comunqueessere superato dalla prospettiva di un favorevole andamento futuro degli affari,o da eventuali ricapitalizzazioni dell’<strong>impresa</strong> – nondimeno deve essere attentamentevalutato, non potendosene, per converso radicalmente prescindere, perché l’eventualeeccedenza del passivo sull’attivo patrimoniale costituisce pur sempre, nella maggior partedei casi, uno dei tipici “fatti esteriori” che, a norma della l. fall., art. 5, si mostrano rivelatoridell’impotenza dell’imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni (Cass., 9marzo 2004, n. 4727).Due sono i punti che meritano censura. Anzitutto, l’eccedenza del passivosull’attivo patrimoniale non è fatto esteriore rivelatore dell’impotenzadell’imprenditore a soddisfare le proprie obbligazioni, come la stessa sentenzaammette quando menziona eventi idonei a neutralizzarne l’efficaciaprobatoria. Non si può poi invertire l’onere della prova sullo stato di insolvenzaed addossare al debitore l’onere di provare la propria solvibilità, co-

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