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Contratto e impresa - Shop WKI - Wolters Kluwer Italia

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SAGGI 107re, di guisa, l’esigenza di attribuire, in tutto o almeno in parte, le complessivefunzioni del consiglio di amministrazione ad uno o più dei membri dell’organoconsiliare, attribuendo loro la determinazione di decidere ed agirein luogo del consiglio ( 2 ).Volendo, difatti, tracciare la semiotica del termine delega, si vuole significarecome il delegato deve supplire con la propria volontà, la propria decisionee la propria iniziativa a ciò che altrimenti risulta essere compito istituzionaledel consiglio d’amministrazione.la riforma del diritto societario, in La riforma del diritto societario (Atti del Convegno, Courmayeur,27-28 settembre 2002), Milano, 2003, p. 73 ss., p. 78 ss.( 2 ) In tema si legga Desario, L’amministratore delegato nella riforma delle società, in Società,2004, p. 940, il quale afferma che: “Sono fin troppo cognite le motivazioni sottese allanascita, nonché all’indiscusso successo, della figura dell’amministratore delegato perchéadesso vi si debba ritornare sopra. Nelle più complesse organizzazioni imprenditoriali collettive,nelle quali si registrano corposi investimenti a opera di un numero non trascurabile disodali, questi ultimi a ragione ottengono di poter esprimere personalità di propria fiducia nell’organogestorio, che in conseguenza tende a divenire pletorico e a configurarsi conclusivamentecome stanza di compensazione e di ponderazione di un più o meno ampio ventaglio diinteressi e istanze sovente non coincidenti. Ne discende un’articolazione collegiale del dettoorgano, non ottimale sotto il profilo dell’efficienza e della rapidità decisionale, per ovviare allaquale si ricorre allora – appunto – alla figura dell’amministratore delegato. Questi si muoveentro uno spazio operativo condizionato dalla latitudine della delega rilasciatagli, nonché dallegame che sempre continua ad astringerlo all’organo collegiale delegante, non senza il prodursi,quanto meno sotto la vigenza della disciplina or ora profondamente riformata, di gravie vicendevoli equivoci, massimamente in punto di responsabilità per gli atti posti in essere eper gli effetti conseguitine. Mi è spesse volte capitato, nello svolgimento della mia attività professionaledi avvocato, di assistere a un patetico “scaricabarile” tra amministratori deleganti edelegati, che, per schivare gli strali delle azioni risarcitorie loro intentate contro, valorizzavano,gli uni, proprio la delega accordata e, gli altri, le vincolanti direttive ricevute ai fini dell’espletamentodelle funzioni delegate. Ecco, allora, che la nuova regolazione appena entrata aregime proprio questo obiettivo si prefigge, di contribuire a definire – come recita la relazionedi accompagnamento – un quadro sufficientemente chiaro delle rispettive responsabilità,di modo che possa non doversi più assistere al triste spettacolo dei capponi di manzonianamemoria”. Ed ancora l’autore afferma che: “Per quanto concerne, poi, il potere di impartiredirettive, esso – a ben guardare – è intrinseco e immanente al rilascio stesso della delega. Cosavuol dire, infatti, se non impartire direttive, additare al delegato, come detto, il quomododell’esercizio delle funzioni demandategli? Da un’angolazione prettamente ricostruttiva simostra, invece, interessante sottolineare come le direttive eventualmente impartite debbanostimarsi vincolanti e ciò perché, diversamente, il legislatore non si sarebbe scomodato conun’espressa previsione. L’autonomia del delegato non ne esce, in ogni caso, dimidiata: oveegli reputi le direttive ricevute pregiudizievoli e deleterie, vi si atterrà compiendo l’atto ma, facendoconstare a verbale il proprio dissenso e informandone per iscritto il presidente dell’organointerno di controllo, fruirà dello scarico di responsabilità di cui all’ultimo comma dell’art.2392”.

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