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gennaio-febbraio - Carte Bollate

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DOSSIER14 carte<strong>Bollate</strong>bisogno di soldi. Fanno lavorare solo iraccomandati. Non vado ai gruppi perchémi stufo, ma se ci fosse un lavorofisso lo farei”. “Non me ne frega nientedelle stronzate che dicono ai gruppi.Preferisco fare i fatti miei qui in reparto.Tanto il lavoro non me lo danno perchésono vecchio secondo loro. Quindivadano tutti affanculo”.L’idea è che le attività di gruppo sianoinutili e non remunerative, che il lavorosia riservato ai raccomandati e a chiha un atteggiamento servile e il fattodi non ottenerlo è alla base di questoatteggiamento di chiusura: “Non faccionessuna attività, né vado a qualchegruppo perché mi sembrano inutili.Non servono a niente. Sarebbe più utilelavorare per guadagnare, ma dopo parecchiedomande non mi hanno ancorachiamato. Quindi sono incazzato enon faccio niente”. E poi partecipare aigruppi significa impegnarsi in qualcosa,mettersi in discussione, meglio lasciarperdere: “Mi rompo le palle di parteciparea qualsiasi gruppo e via dicendo.Lo trovo monotono e poco interessante.Non mi sono mai interessato. Mi sonoiscritto a scuola ma dopo le prime due/tre lezioni ho mollato perché arrivavosempre tardi e poi mi ero stufato.Preferisco cazzeggiare, fare palestra eandare a prendere il sole (d’estate). Semi facessero lavorare a stipendio perguadagnare qualche cosa ed essere indipendenteci andrei subito”.Partecipare significa anche scendere apatti con l’istituzione carcere, strategiache i “duri e puri” rifiutano rivelandoun modo tradizionale di intendere ladetenzione: “Ho visto che ai vari gruppici sono sempre i soliti leccaculo. Non miva. Poi secondo me è anche difficile entrarciperché da quello che ho sentito siva per raccomandazione. Il lavoro se melo dessero lo farei per guadagnare, peròmi sembra che anche quello sia come igruppi. Lo danno ai raccomandati”.Molti non conoscono le attività che sisvolgono all’interno dell’istituto oppurearrivano da carceri chiuse e la “troppalibertà” li spaventa. “È da poco che sonoqui e mi devo ancora ambientare”. Oppuresi sentono a disagio, non sono abituatia parlare in pubblico, hanno tentatoqualche approccio ma si sono arresialla prima risposta negativa. “Non socosa fare perché sono poco informato.Tuttavia ho fatto varie domande di lavoroperché mi servono i quattrini”.AlSecondo normalmente i periodi di detenzionesono più brevi e la prospettivaè quella di uscire per andare in comunità.Questo trasforma la detenzionein una specie di limbo: “Lavorano soloquelli che hanno il fine pena alto. Quindiaspetto di uscire”. “Avendo il finepena nel 2013 non mi fanno fare nientecome lavoro. I gruppi non mi servono”.Quelli del “geriatrico”Il Primo è affettuosamente consideratoil reparto geriatrico del carceredi <strong>Bollate</strong> perché ci stanno prevalentementei detenuti più anziani. Qui èproprio l’età il fattore escludente e ilnon far niente dipende da stanchezzae acciacchi o da un modo tradizionale,da vecchio detenuto, di intendere ilcarcere, ma sono meno evidenti atteggiamentidi protesta e rifiuto.“Ho 55 anni, ho qualche problema fisicoe certi lavori non li posso fare. Epoi spero che finisca presto la carcerazione,forse l’anno prossimo, quindiè inutile pensare anche ad andare ascuola”.“Ho una certa età, non ho voglia distudiare, certi lavori non me la sentodi farli e quelli più continuativi non mivengono offerti”. Qualcuno sarebbe interessatoal lavoro, ma se non c’è si rassegnaall’inattività: “Sono sessantennee mi interessa solo lavorare, ma finoa ora non mi hanno offerto un lavorostabile e non sono tipo da andare a elemosinareun posto di lavoro”.Persone che hanno un fine pena abbastanzaravvicinato dicono: “Sonopensionato, non ho un passato di delinquenzae mi basta passare la giornatacon quei pochi impegni. Le giornateper il resto le passo a giocare a carteo all’aria. E poi spero che finisca prestola carcerazione”.In linea di massimativù e carte bastano a riempire lagiornata, qualcuno passa il tempo acucinare e si attende la scarcerazionesenza investire su altri progetti.L’esclusione degli stranieriLa maggior parte degli stranieri verràespulsa a fine pena e all’uscita dal carceretroverà ad attenderli un’auto dellaQuestura, destinazione Cie. Per questosi ritiene che nel loro caso sia maggioreil pericolo di fuga e la magistraturatende a non concedere permessi. Daparte loro però, questa scelta di fattoè vissuta come una discriminazione: “Io non posso uscire e tanti altri escono”.Consapevoli di non avere nessunapossibilità di reinserimento neppure altermine della carcerazione, dato cheavendo commesso reati in Italia sarannoespulsi, spesso si autoescludono perchési sentono esclusi. La galera diventaquindi rassegnazione e attesa: “non houn lavoro fisso, non ho soldi, mi aiutanoi paesani miei e siccome mi faccio tuttala galera dentro perché non ho parentie famiglia in Italia perché dovrei farescuola o altro? Tanto non mi devo farevedere da nessuno e mi hanno chiuso lasintesi che non mi serve a nulla, perchédevo fare e cosa e per chi? Vorrei uscirealmeno per qualche iniziativa esterna.Come quelle che si fanno per le scuole,ma ci vanno sempre gli stessi e io nonho neanche quello perché non vado ascuola e forse non sono tanto intelligente.Allora faccio palestra, calcio eguardo la tv e i film. Quando esco tornoal mio Paese”.Il fare è condizionato all’avere qualcosain cambio: “Non faccio più nulla finchénon mi danno qualcosa, sono noveanni che sono dentro, ho fatto di tuttoe di 21 non se ne parla. Permessi nientee quindi non ho più voglia di niente,non vedo l’ora di uscire da qui dentroe andarmene al mio Paese, dimenticaretutti gli sbagli che ho fatto, rifarmi unavita e mettere una pietra sulla speranzadi avere delle opportunità e un po’ difiducia anche io. Le borse lavoro le dannoa chi vogliono, i 21 interni ed esterniidem, quindi non faccio del male a nessuno,ringraziando i miei non mi mancanulla, ho quello che mi serve e non hopiù intenzione di andare in depressioneperché mi hanno detto per mesi ‘a brevesi sblocca’ e sono ancora qui ad aspettare.Per mesi mi hanno fatto stare malee illuso. Se lo avessi saputo non avreifatto neanche quello che ho fatto”.L’attesa delusa di un lavoro esterno sitraduce a volte in senso di abbandono:“Sto aspettando da tanto il lavoro esternoche mi ero trovato io, ma sembra chenon vada mai bene niente, sono sotto idue anni e sono ancora qui, tutti i lavo-

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